EDITORIALE – Che lo si chiami Vranec o Vranac è lo stesso. Nei Balcani si identifica principalmente con questi due nomi il vitigno in grado di regalare vini rossi potenti e corposi, freschi, tannici e longevi. L’omonimo vitigno è originario del Montenegro, ma è diffuso anche in Macedonia e Kosovo. Proprio in questi tre Paesi si è svolto il Vranec / Vranac World Day 2021.
Il viaggio e le degustazioni, riservate a critici e stampa internazionale dal 30 settembre al 5 ottobre 2021 (giornata ufficiale della terza edizione organizzata da Wines of Macedonia, celebrata a Podgorica con l’intervento delle istituzioni nazionali e della Master of Wine Caroline Gilby), hanno messo in luce lo “stato dei lavori” sulla varietà. Sia dal punto di vista agronomico che enologico.
L’obiettivo dei produttori è “infilare” il vitigno-vino Vranec / Vranac in valigia, varcando i confini dei Balcani – dove è già molto conosciuto e consumato – per raggiungere ristoranti e tavole di intenditori e consumatori internazionali.
Un percorso agli esordi per il vitigno frutto dell’incrocio naturale o della spontanea mutazione di Kratošija (Кратошија, l’italiano Primitivo) e Duljenga. Una storia ancora tutta da scrivere, nel triangolo compreso tra Skopje, Podgorica e Pristina.
L’IDENTITÀ DEI VINI VRANEC / VRANAC
La lettura locale più schietta è quella di Radosh Vukichevich (nella foto), Ceo di Tikveŝ, la più grande cantina della Macedonia, fresca d’elezione ad “Ambasciatrice del vitigno nel mondo”, assieme all’altro colosso Plantaže, numero uno in termini di volumi in Montenegro (suo il vigneto a corpo unico più vasto d’Europa, 2.300 ettari).
Il Vranec è il vitigno simbolo dei Balcani – spiega bene Vukichevich – importante per il suo potenziale enologico ma anche per l’economia dei nostri Paesi, dal momento che consente di produrre vini di ogni fascia di prezzo, in base all’interpretazione delle cantine. Un vino che, tuttavia, è ancora in fase di profilazione».
«Tutti conosciamo per esempio quale sia il profilo dei vini prodotti con vitigni come Cabernet Sauvignon o Merlot. La grande sfida del Vranec – continua il Ceo di Tikveŝ – è renderlo sempre più riconoscibile quale varietà locale dei Balcani, attraverso alti standard produttivi. Un obiettivo da centrare con il contenimento delle rese, il bando alla standardizzazione ed investimenti in sostenibilità e biologico».
A capo del management di Tikveŝ e con il via libera di un presidente visionario come Svetozar Janevski, Radosh Vukichevich sta traghettando la cantina verso un futuro votato alla qualità, più che alla quantità delle bottiglie prodotte (circa 15 milioni all’anno).
Prova tangibile è l’intera linea Horeca della cooperativa e dei suoi Chateaux & Domaines, espressione dei tre microclimi di Barovo, Lepovo e Bela Voda. Vini che rendono onore alla varietà principe dei Balcani, il Vranec, così come ad autentiche interpretazioni dei vitigni internazionali (da segnalare, in particolare, quella del Cabernet Sauvignon e dello Chardonnay).
La consulenza dell’enologo francese Philippe Cambie aiuta. Così come la presenza in pianta stabile del suo “protetto”, Marko Stojakovic, nato in Serbia ma formatosi a Bordeaux e Montpellier prima dell’approdo a Tikveŝ a soli 27 anni, nel 2010.
IL VRANEC IN MACEDONIA
Dagli assaggi al Vranec / Vranac World Day 2021 emergono chiaramente gli approcci dei tre Paesi al loro vino rosso simbolo. Le idee più chiare in Macedonia. Al di là dei volumi, il Vranec macedone garantisce standard qualitativi più omogenei.
Merito degli ingenti investimenti di diverse cantine in tecnologia, nonché dell’arrivo di capitali ed expertise dall’estero, con professionisti internazionali che hanno trovato un habitat ideale alla corte di Skopje.
L’interpretazione della varietà è schietta e sincera. Spazia dai vini larghi, corpulenti e market-oriented (su tutti quelli di Bovin Winery e Chateau Kamnik), ad espressioni più fresche ed eleganti, come quelle di Stobi Winery e Puklavec Family Wines. Due cantine che sembrano parlare la stessa lingua, potendo contare – tra l’altro – su due winemaker fuoriclasse.
Stobi, a Gradsko, nel cuore della Macedonia, ha trovato la quadra perfetta nella “lettura” del Vranec del giovane giramondo Andon Krstevski, ossessionato dall’esaltazione del varietale e da un uso garbato (intelligentissimo), dei legni.
Una trentina di chilometri più a sud, a Timjaniku, gli ambiziosi investimenti della famiglia slovena Puklavec consentono all’enologo Dane Jovanov di valorizzare microclima e terroir macedone.
Lo stesso approccio produttivo della “casa madre”, situata nella regione di Podravjedel (Ljutomer-Ormož). Nella regione di Radovish, molto convincente il Vranec di Dalvina, da splendide piante di oltre 50 anni.
IL VRANAC DEL KOSOVO
Spostandosi in Kosovo, si cambia completamente registro. Il viaggio organizzato in occasione del Vranec / Vranac World Day 2021 ha consentito di toccare con mano le differenze tra l’interpretazione kosovara del Vranac e quella macedone e montenegrina – per certi versi più vicine tra loro – ancor prima di mettere il naso nel calice.
A parlare, di fatto, è il paesaggio e la sua morfologia. Terre rosse, terre bianche e terre nere si alternano in maniera vivace, dando vita a una sorta di linea immaginaria che avvicina il Kosovo alla Puglia del Primitivo di Manduria.
È qui, al netto delle esigue dimensioni del “vigneto” del Paese (3.500 ettari totali), che il Vranac pare avere una «profilazione» più omogenea. Tutti i vini degustati al Centro della Vite e del Vino di Rahovec (Orahovac), nel Distretto di Prizren, presentano un colore più scarico e un rapporto frutto-acidità lontano da molti eccessi macedoni.
Un paio di vini non perfettamente “puliti” invitano a una maggiore attenzione nelle pratiche di cantina. Ma il calice di Vranac di realtà come Labi Wine, cantina artigianale guidata dall’enologo Labinot Shulina, si staccano dalla media tanto da poter essere considerati simboli per l’intero areale dei Balcani (sopra, una foto del suo vigneto innevato).
Ottime anche le prove di Stonecastle Wine e Rahvera, cantine che consentono di eleggere la cittadina di Rahovec – 65 chilometri a sudest della capitale Pristina, non lontano dal confine con l’Albania – a vero cuore pulsante del Vranac kosovaro.
A convincere, oltre al colore che “spaventa” un po’ meno il consumatore moderno rispetto a quello del «black stallion» macedone, è l’integrazione e corretta gestione (anche grazie alle caratteristiche pedoclimatiche) degli alti livelli di acidità, tipici della varietà.
Il tutto, in accompagnamento alla golosità generalizzata del frutto rosso e nero (si spazia dalla ciliegia alla mora di rovo, come in Macedonia del Nord), e a una spezia che dona carattere ed elettricità al sorso. Per il Kosovo, dunque, ampi margini di miglioramento e note più che mai incoraggianti.
Crescita e consacrazione del movimento del vino kosovaro non possono tuttavia prescindere da un approfondito studio dei terreni (bianchi, rossi, scuri) che possono regalare vini tanto diversi quanto tipici. Più luci che ombre, insomma, nella piccola repubblica dei Balcani.
IL VRANAC IN MONTENEGRO
Si cambia Paese ma resta la “a”, al posto della “e” di Vranec. Anche in Montenegro, il rosso simbolo dei Balcani si chiama Vranac. È qui che succede quello che non t’aspetti. Dopo le prove più che mai positive dei colossi macedoni (grandi cantine in grado di produrre annualmente ingenti volumi di vino) a scivolare è la cantina che più di tutti dovrebbe trainare la scoperta del vitigno: Plantaže.
Tutti i vini degustati a Šipčanik, nelle maestose sale ricavate da un ex aeroporto militare (7 mila metri quadrati complessivi, profondità media di oltre 30 metri, tunnel per l’affinamento dei vini lungo 356 metri e alto 7) paiono usciti da un film in bianco e nero. Di un’altra epoca.
Piacciono tantissimo alle guide internazionali, eppure non emozionano e non convincono. Tantomeno nel rapporto qualità prezzo, squilibrato su un marketing utile forse a giustificare costi di gestione e interessi degli azionisti (tra cui figura ancora lo stesso Stato del Montenegro). In definitiva, vini stanchi. Vini in divisa.
La vera sorpresa, in Montenegro, sono i giovani. Gente come Nikola Marković (nella foto sotto) che con la famiglia sta realizzando mattone dopo mattone una cantina (con ristorante e mini hotel) strappata alla natura incontaminata, a Cetinje. Appena due ettari per 10 mila bottiglie annue.
Se la migliore espressione del Vranac è ancora da trovare – il desiderio di produrre una versione meno opulenta finisce per dar vita a un rosso troppo scarno, che può essere considerato un punto di partenza ma non un punto di arrivo, tantomeno un’icona stilistica alternativa nell’interpretazione della varietà – colpisce l’altro rosso di Vinarija Marković.
Si tratta di un vino ottenuto dalla Tamjanika nera, varietà originaria della Serbia. In “carta” anche un vino ottenuto da Tamjanika bianca, altrettanto interessante. «Produrre vino qui è una questione d’amore più che di business», riferisce Nikola Marković riequilibrando inconsapevolmente il braccio della bilancia con i vicini di casa di Lipovac Winery (nella foto a inizio paragrafo).
Questo il nome scelto dal magnate russo per una boutique winery votata alla spettacolarizzazione del concetto di “vino”. Il sipario si apre a centinaia di metri di distanza dall’edificio, su un costone circondato da terrazze artificiali di vigneti. Tutt’attorno, un anfiteatro di montagne, in cui la roccia s’alterna a un verde che profuma di Mediterraneo.
Siamo a Građani (Грађани), in uno di quei luoghi in cui il viaggio – arduo – vale la meta. Lo “show” continua in cantina, dove il direttore Pavle Micunovic mostra fiero il proprio arsenale di anfore di terracotta d’Impruneta e qvevri (kwevri / kvevri / quevri) tipiche della Georgia (ქვევრი). C’è concretezza, oltre allo spettacolo, nel calice.
In primis grazie a una delle rare espressioni “in rosa” del Vranac (una caramellina, nonché il classico rosato “glou glou” che cattura sin dal colore, corallo luminoso). Poi grazie al Vranac in anfora e qvevri, capace di colpire per stile, gioventù e prospettiva (non solo di mercato).
UN BRAND COLLETTIVO PER IL VRANEC / VRANAC DEI BALCANI
La domanda è centrale, specie nel contesto della terza edizione del Vranec / Vranac World Day 2021, quella della svolta. La strada segnata da diversi produttori è quella corretta, anche se – come dice bene Radosh Vukichevich – i vini necessitano di ulteriore profilazione. E poi?
In un mondo sempre più globalizzato, in cui esperienze ed expertise sono intercambiabili e replicabili in diversi angoli del pianeta, occorre forse andare oltre (anche) al profilo della varietà. Per esplorare le potenzialità della sua terra d’origine: i Balcani. Un contesto uniforme.
Già, perché se la varietà (il vitigno) è replicabile ovunque lo consentano le condizioni climatiche, l’accezione “balcanica” del Vranec / Vranac rappresenta un unicum. Anzi, l’unicum su cui puntare. Ben oltre il “banale” nome (replicabile) di un vitigno.
E se dopo essersi “(ri)unite” per la comunicazione del Vranec / Vranac, i tre paesi Macedonia, Montrenegro e Kosovo lavorassero a un “brand collettivo” sotto cui riunire e identificare i vini prodotti con questa varietà, secondo standard comuni?
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.