Nell’Italia che riconosce la viticoltura eroica per Decreto solo nel 2020 – la notizia è del primo luglio – si parla forse ancora troppo poco di “tappatura eroica” dei vini: quella col tappo a vite. Lo “screwcap” non è gradito al mondo della ristorazione italiana, ancorata su un’ormai anacronistica posizione sugherocentrica, che condanna (o elegge) ad “eroi” i produttori più sfidanti.
Nella preistoria che imbrattata le carte dei vini di mezzo Paese, il progresso enologico si tiene stretta la sua capitale italiana. È l’Alto Adige, che coi suoi grandi vini bianchi e rossi prova a prendere per le orecchie lo Stivale. Mostrando questa volta la strada maestra che porta al tappo a vite, in alternativa al sughero. Anche per i vini da lungo affinamento.
Il Consorzio Vini Alto Adige ha infatti organizzato ieri una masterclass a sei voci: Cantina Kaltern, Cantina Valle Isarco e Cantina Bolzano per la chiusura “tradizionale”; Falkenstein, Tiefenbrunner e Franz Haas per il tappo a vite. Altrettanti i vini, attorno ai quali è stato animato il dibattito.
Cantina Kaltern | Pinot Bianco Quintessenz 2018 | sughero |
Falkenstein | Val Venosta Riesling 2017 | vite |
Cantina Valle Isarco | Valle Isarco Kerner Aristos 2018 | sughero |
Tiefenbrunner | Sauvignon Blanc Turmhof 2017 | vite |
Franz Haas | Pinot Nero 2017 | vite |
Cantina Bolzano | Lagrein Riserva Taber 2015 | sughero |
Tra gli interventi più significativi quello di Christof Tiefenbrunner (nella foto sotto) pioniere del tappo a vite in Alto Adige. Una scelta adottata sin dal 2007 sul Pinot Grigio destinato all’export, allargata al vino top di gamma dall’anno successivo, “per dare il messaggio che è una tappatura adatta anche a vini di altissima qualità”.
Vendere il Feldmarschall col tappo a vite non è mai stato un problema – ha evidenziato il numero uno di Tiefenbrunner Schlosskellerei – trattandosi di un Müller-Thurgau unico, un marchio. Ma quando abbiamo messo il tappo a vite su altri prodotti abbiamo riscontrato un calo delle vendite del 20%. Negli anni abbiamo sostituito i ristoranti contrari allo screwcap con altri, invece favorevoli”.
Le resistenze sono diminuite, ma non ancora superate. “Questo metodo di tappatura dei vini resta una scelta difficile – ha precisato Tiefenbrunner – ci sono ancora ristoranti che non vogliono vedere il tappo a vite. Negli ultimi 3 anni è più accettato, anche perché consente ai ristoranti di tenere una bottiglia aperta una settimana e ci sono vantaggi anche sul fronte dei solfiti, praticamente dimezzati“.
Significativo anche l’intervento di Andrea Moser, enologo di Kellerei Kaltern: “La nostra cantina – ha dichiarato – ha scelto il tappo a vite soprattutto per i mercati che lo accettano di buon grado. Ma non posso che evidenziare un concetto: il 60-70% degli enologi ormai stufi dei problemi connessi al sughero, non più legati al classico ‘sentore di tappo‘, riconoscibile facilmente dalla maggior parte dei consumatori”.
“Il vero guaio – ha evidenziato Moser – sono le microcessioni di tca, diosmine, pirazine e tannini amari, che portano il consumatore meno esperto a dire che quel vino non è buono, per via di deviazioni olfattive che non attribuisce al tappo, ma al produttore!”.
Il tappo di sughero resta l’ideale, ma il punto è: quanto ce n’è ancora e quanto siamo disposti a pagare per averlo, dal momento che un buon tappo costa 1,20-1,30 euro al pezzo, incidendo troppo sul prezzo finale del vino? Salendo di prezzo non esiste comunque la garanzia assoluta di consegnare al calice il vino come lo abbiamo imbottigliato”.
Dall’altra parte della “bottiglia”, il sommelier Fis Eros Teboni: “Quello del tappo a vite è un argomento sempre attuale e moderno. Ma l’Alto Adige, grazie alla grandissima grandissima varietà di vini bianchi e rossi, atti o meno ai lunghi affinamenti, può fare davvero da portabandiera dei metodi più innovativi di tappatura. Col tappo a vite si perde un po’ di romanticismo nel ‘rito della stappatura’, ma si guadagna nel calice, da godere in compagnia”.
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.