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La Vigna del Re della Reggia di Caserta e quel Pallagrello “d’Oro” che sa di storia


Nel cuore dell’Oasi WWF Bosco di San Silvestro, che lambisce il parco della Reggia di Caserta, ha ripreso vita la Vigna del Re. Nasce qui il PallagrelloOro Re” di Tenuta Fontana, che nel 2018 ha reimpiantato una parte del vigneto di 5 ettari un tempo di proprietà del
Re Ferdinando di Borbone, grande estimatore della vitigno autoctono della Campania. Con la caduta dei Borboni, a seguito dell’Unità d’Italia, il bosco aveva preso il sopravvento sui filari, invadendo lo spazio dove erano impiantate le viti. Tutto era stato sommerso da arbusti e vegetazione spontanea, che hanno finito per cancellare quel pezzo di storia della viticoltura italiana.

La Vigna del Re ha ripreso vita col recente impianto di barbatelle di Pallagrello bianco e nero, in aree distinte, su una superficie di poco più di un ettaro. Uno spazio sufficiente per rendere ancor più suggestivo questo angolo dell’Oasi WWF di San Silvestro, che sovrasta la Reggia di Caserta. Lasciandosi alle spalle la città, si giunge alla vigna del Re tramite un sentiero sterrato, che conduce alla sommità della collina. Si procede per un paio di chilometri prima di giungere ad uno spazio arioso, soleggiato, aperto alla vista, costellato da migliaia di viti che si susseguono incalzanti, di fronte a un ingresso solenne del quale rimangono solo le due colonne di pietra.

ORO RE DI TENUTA FONTANA, IL PALLAGRELLO DELLA REGGIA DI CASERTA

Il merito della rinascita della Vigna del Re va a Raffaele Fontana della cantina beneventana Tenuta Fontana, che ha vinto l’appalto per far tornare in vita un patrimonio che sembrava ormai perso. Merito anche della direttrice del Palazzo Reale Tiziana Maffei e del suo predecessore Mauro Filicori, convinti che la Reggia di Caserta fosse stata concepita come «parte di un articolato sistema produttivo territoriale». Nell’ottica di far tornare quel luogo una “casa vivente”, uno dei primi passi riguardò proprio la Vigna del re, affidata per l’appunto a Tenuta Fontana.

La vigna originaria era quella che serviva le tavole e la cantina reale. I circa 5 ettari si estendevano di fronte alla Casina di San Silvestro, nel bosco omonimo, oggi Oasi WWF. L’altra vigna reale conosciuta era quella del Ventaglio, che aveva però un valore puramente coreografico. Col tempo, il bosco aveva inglobato tutto il vigneto tranne l’ettaro situato davanti al cancello d’ingresso della Casina. Quell’ettaro che ora è tornato a nuova vita. «I lavori per preparare il terreno, nel 2018, furono lunghi e complessi; visti gli anni di abbandono, il terreno aveva bisogno di opere di scavo e di ripristino», spiega a winemag.it Raffaele Fontana, che con la figlia Maria Pina e il figlio Antonio gestisce la Vigna del Re.

Furono necessari due o tre mesi di lavoro, ma nello stesso anno riuscimmo a installare i primi impianti e a impiantare le prime barbatelle di Pallagrello. L’abbiamo fatto per amore del territorio, per passione e per far conoscere la storia di questo vino che era andato, con gli anni, un po’ in disuso. Alla fine abbiamo vinto questa sfida e al Vinitaly del 2022 abbiamo presentato “Oro Re”, Igt Terre di Volturno, protagonista anche a Place de Fontenoy, quartier generale dell’’Unesco a Parigi».

L’EPOPEA DEL PALLAGRELLO, DALL’OBLIO ALLA VIGNE DEL RE

Un vino che fermenta ed è affinato in anfore di terracotta per sei mesi, con permanenza sulle fecce fini. Protagonista assoluto il vitigno Pallagrello, vitigno autoctono della Campania molto diffuso in provincia di Caserta nelle due varianti a bacca bianca e nera. Il grappolo si presenta piccolo, con acini perfettamente sferici. Da qui cui il nome Pallagrello, cioè “piccola palla”, in dialetto locale “U Pallarel“. Una varietà di uva che ha origini antichissime, secondo alcuni riconducibile all’epoca della Pilleolata Romana.

Famosissimo fino a tutto l’Ottocento, era uno dei vini più apprezzati dai Borbone. Le infestazioni di oidio e fillossera nei primi anni del Novecento, assieme alla decadenza sociale e politica delle regioni meridionali, ne decretarono una veloce e prematura scomparsa e un sostanziale oblio, nonostante le indubbie qualità esprimibili in vinificazione. Il Pallagrello, ben coltivato nelle vigne dei contadini campani, fu utilizzato come uva da taglio, fino alla sua riscoperta e al suo allevamento, anche in luoghi esclusivi come la Vigna del Re.

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Adi Apicoltura lancia “Biodiversità”

Oltre 150 anni nella produzione di miele, 20 anni di certificazione biologica e una storia di famiglia che parla di rispetto per l’ambiente e la natura, oltre che di salvaguardia delle api.

ADI Apicoltura lancia la nuova linea “Biodiversità” che contiene 5 mieli biologici 100% italiani frutto della pratica del nomadismo, che lascia le api libere di succhiare il nettare dai fiori in varie zone incontaminate d’Italia, a seconda dell’andamento stagionale delle fioriture. La nuova linea sarà lanciata ufficialmente il 26 marzo, in occasione dei 20 anni di certificazione biologica di ADI.

“Biodiversità” è un progetto che sostiene la Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus e punta a sensibilizzare i consumatori sul tema del rispetto dell’ambiente e degli animali, sottolineando il rapporto diretto fra la tutela della biodiversità e la sopravvivenza di molte specie ormai in via di estinzione.

Acacia, agrumi, castagno, millefiori e tiglio, queste le 5 varietà di miele presenti nella nuova linea. Sono racchiusi in vasetti da 250 grammi. Sull’etichetta le illustrazioni di altrettanti animali inseriti nella lista WWF fra quelli in via d’estinzione: il lupo italiano, la tartaruga delle Galapagos, il lemure del Madagascar, il panda gigante e il leopardo delle nevi.

“Con i mieli della nuova linea – spiega l’azienda produttrice in una nota – ADI prosegue e intensifica il suo impegno a favore della protezione dell’ecosistema e del mantenimento del suo delicato equilibrio, tema da sempre caro alla famiglia Iacovanelli“.

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