Tra i migliori Brunello di Montalcino 2016 della Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022 di WineMag.it ecco quello di Pietroso. Si tratta del vino bandiera della cantina di via Podere Pietroso 257, Montalcino (SI).
Il Brunello Pietroso si distingue per la spiccata personalità. Naso ricco di sottobosco e frutta rossa matura, tendente al surmaturo, che non soffoca una viva freschezza sanguigna e agrumata. Note di spezie dolci e un tocco di pepe nero rendono ancora più intrigante il quadro olfattivo.
In bocca, il Brunello di Montalcino 2016 di Pietroso è molto presente, pieno. Il sorso è potente, con un tannino molto presente e di sicura prospettiva. Finale lunghissimo, in perfetta corrispondenza naso-bocca.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Tenuta Amadio è ormai da considerare un punto di riferimento assoluto nella produzione del Prosecco Superiore Docg di Asolo. Lo dimostra la costanza qualitativa della gamma di vini di Simone Rech, che conta solo gemme. All’apice, l’Asolo Prosecco Superiore Docg Extra Brut 2020. Uno degli spumanti della Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022 di WineMag.it.
TENUTA AMADIO: PUNTO DI RIFERIMENTO PER L’ASOLO PROSECCO
Giallo paglierino, riflessi verdolini. Al naso sfodera veli di lievito su un cesto d’agrumi, fiori e frutta tipica della Glera. Palato corrispondente, che si sviluppa come un bocciolo pronto a schiudersi, dalla tensione dell’agrume alla morbidezza della pera. Passando per una vena erbacea, simil-balsamica, mentolata.
L’Asolo Prosecco Superiore Docg Extra Brut 2020 chiude asciutto, sapido, su una complessità che rasenta quella d’un Metodo classico. Etichetta che nobilita le punte d’eccellenza assoluta del Prosecco Superiore asolano. Una denominazione che, non a caso, cresce e si afferma sui mercati, di anno in anno.
DOVE NASCE L’EXTRA BRUT DI SIMONE RECH
Glera in purezza per l’Asolo Prosecco Superiore Docg Extra Brut 2020 di Tenuta Amadio. Per l’esattezza, le uve crescono su vecchie viti, nei vigneti in località Castelli di Monfumo, in provincia di Treviso. L’altezza media è di 200 metri sul livello del mare.
La resa per ettaro è di 135 quintali, garantita anche da pendii collinari soleggiati e ben ventilati. Il terreno è di tipo marnoso-argilloso, con un substrato profondo, ricco di minerali e sostanza organica.
La vendemmia delle uve che danno vita all’Asolo Prosecco Superiore Docg Extra Brut 2020 di Tenuta Amadio viene compiuta a mano, nell’ultima decade di settembre. Dopo la pressatura soffice a temperatura controllata e in assenza di ossigeno, la massa fermenta e affina in acciaio per almeno 4 mesi. La spumantizzazione avviene in autoclave per circa 50 giorni, con sosta sui lieviti.
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«Dove le rocce, il sole, il mare e il vento creano un intreccio magico di colori e profumi» si trova l’Azienda agricola Possa di Heydi Bonanini. Siamo alle Cinque Terre, angolo della Liguria che regala due vini dolci – o, meglio, due Sciacchetrà – perfetti per Natale 2021, direttamente dalla Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022 di WineMag.it.
Cinque Terre Dop Sciacchetrà 2019, Azienda Agricola Possa, Heydi Bonanini
Naso delizioso, goloso, tra frutta matura (dattero in gran vista), bergamotto, rosmarino. Un’esplosione della macchia mediterranea nel calice. L’ossigenazione libera note di curry e curcuma e intensifica la succosità materica del frutto.
Ci vorrebbe un libro intero per raccontare come questo nettare-capolavoro guadagna in complessità col passare dei minuti nel calice. Non resta che assaggiarlo, concedendosi un regalo (in più) in occasione di Natale 2021. Uno di quei vini, lo Sciacchetrà di Possa, da condividere solo con chi se lo merita davvero.
Frutta secca, sotto sciroppo e terziari si dividono la posta, al naso, in un quadro di grazia assoluta. Giusto il tempo di portare lo Sciacchetrà di Possa alla bocca, per comprendere quanto possa essere lunga una carezza d’albicocca, vaniglia, caramella mou e fondo di caffè.
Chiudi gli occhi e una brezza gentile, di mare, sfiora le labbra. Gran beva. Non è un vino ma il mare, ovunque si voglia. Un nettare più forte del traffico delle metropoli. Una finestra sui terrazzamenti eroici della splendida Liguria. Delle splendide Cinque Terre.
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Quindici ettari vitati, quasi tutti a circa 300 metri dal corpo dell’azienda. Una masseria nel cuore della Daunia, a poca distanza dal suo luogo simbolo: il castello di Lucera. Una famiglia dedita alla viticoltura. Più di trent’anni di esperienza. Cantina La Marchesa è tutto questo, in uno: cantina dell’anno Sud Italia 2022 per WineMag.it, all’interno della Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022.
Una realtà che si fa custode di un tratto di Puglia aspro, generoso. Fin troppo spesso dimenticato. Lo racconta al mondo attraverso i suoi vini. A condurre le vigne è Sergio Lucio Grasso, un vignaiolo vulcanico ed instancabile, legato alle proprie viti come se fossero un’estensione del proprio corpo.
CANTINA LA MARCHESA SUL PODIO DEL SUD ITALIA
A tratti ruvido nei modi, sempre schietto nelle parole, trasmette la sua energia e la vera essenza del territorio nei suoi vini. A fargli da contraltare è la moglie, Marika Maggi. Solare, aperta, fantasiosa donna del vino pugliese. È lei l’anima comunicativa della cantina La Marchesa. I due, insieme, sono una forza della natura.
Una voce unica, all’insegna dell’autenticità della produzione, divenuta l’ennesima ragione di vita comune. Nero di Troia, Montepulciano, Fiano e Bombino Bianco i vitigni coltivati con passione da Cantina La Marchesa e da cui nascono i cinque vini dell’azienda. Custodi di un territorio che merita un posto d’onore nel panorama vitivinicolo italiano.
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Online su Amazon Kindle la GuidaTop 100 Migliori vini italiani 2022 di WineMag.it, che incorona Podere Fedespina “Cantina dell’anno” 2022. Anche quest’anno la selezione delle etichette, avvenuta tramite una rigorosa degustazione alla cieca, è giustificata da pochi, semplici dettami. Non mancano le novità, dovute al successo che sta riscuotendo una pubblicazione annuale che si inserisce in un contesto ben più ampio: quello di WineMag Editore.
Chi ci conosce sa che non amiamo nasconderci dietro a un dito e ha compreso l’approccio innovativo del nostro magazine: controcorrente quando serve, irriverente quanto basta, innamorato della verità. E, soprattutto, fedele a un registro che vuole essere caldo e appassionato, pur nell’oggettività assoluta della “terza persona singolare”.
UNA NUOVA COMUNICAZIONE PER IL VINO ITALIANO
Bando all’io e all’ego di cui molti abusano nel settore, dando sfogo a un’interiorità che fa della penna un labirinto, per chi si approccia alla lettura. In fondo, siamo persone semplici a cui piacciono le cose difficili. Le missioni impossibili.
Con tutte le nostre forze stiamo cercando di ridefinire, giorno dopo giorno, attraverso una linea editoriale quotidiana basata su un approccio puntuale, rigoroso e approfondito delle news, i canoni dell’intero panorama della critica enologica in Italia.
Un’oggettività che si riflette anche nella degustazione e nella “costruzione” di una Guida ai migliori vini italiani che fornisca ai lettori – nostro vero punto di riferimento – uno strumento utile per orientarsi nel mare magnum del vino italiano, attraverso una semplificazione di carattere macro-geografico (Nord e Centro-Sud) e suggerimento di decine di vini quotidiani, dall’ottimo rapporto qualità prezzo.
LA DEGUSTAZIONE ALLA CIECA
Ecco dunque grandi nomi accanto a cantine sconosciute. Vini prodotti da grandi cantine e “piccoli” vignaioli artigianali. Nomi storici e realtà che si sono affacciate da poco tempo sul mercato.
Nella Top 100 Migliori vini italiani di WineMag.it trovano spazio vini di impronta tecnica e di “metodo” – in grado ovviamente di sfoggiare la propria identità territoriale – e altri che trasmettono l’emozione dell’artigianalità e della cura manuale, esenti da difetti di natura chimica o accidentale.
Sfumature che convivono perché accomunate dalla bontà e dalla capacità intrinseca di comunicare prima a sorsi e, poi, a parole. Pochi, semplici dettami, dicevamo, per l’appunto.
Al centro dell’attenzione, su tutto, la tipicità e il rispetto del varietale: bando al cosiddetto “gusto internazionale” – ormai cambiato, anche grazie a consumatori sempre più attenti all’autenticità e alla territorialità – e a scelte commerciali che tendono a uniformare le diverse Denominazioni del vino italiano.
VINI BUONI SENZA BANDIERA: “CRU” E “PARCELLE” SUGLI SCUDI
Fortemente connesso al primo caposaldo c’è il nostro desiderio di sotterrare l’ascia dell’integralismo e di quello che ci piace definire “razzismo enologico“: ciò che deve colpire è il vino nel calice, non la filosofia produttiva (“convenzionale“, “naturale“, “biologico“, etc).
L’altro focus della Top 100 Migliori vini italiani di WineMag.it è su produttori e vignaioli che puntano sulla valorizzazione delle espressioni dei singoli “cru” del proprio “parco vigneti”. Alla parcellizzazione e alla valorizzazione della macro eccellenza nella micro selezione.
Il tutto ricordando sempre che siamo sognatori, prima che commentatori e critici del nettare di Bacco. Amiamo le persone vere e i vini in grado di trasmettere personalità, nerbo, carattere, gusto e passione. In una parola? Amiamo il coraggio e chi osa.
LE CANTINE DELL’ANNO
In un anno come il 2021, segnato come il precedente dalla pandemia Covid-19, capace di condizionare pesantemente anche il mercato internazionale del vino riscrivendone gli equilibri e le dinamiche, speriamo di aver costruito l’ennesima “carta” alla portata di tutti (dal professionista al consumatore meno esperto, ma desideroso di bere bene).
Una selezione in cui regioni e denominazioni perlopiù si mescolano, per mostrare il quadro delle bellezza dell’Italia, racchiuse in “bottiglie sparse” di vino. Importante anche lo sguardo delle quattro cantine dell’anno.
Si tratta di Podere Fedespina (Cantina italiana dell’anno 2022), Agricola MoS (cantina dell’anno 2022 – Nord Italia), Ninni (cantina dell’anno 2022 Centro Italia) e La Marchesa (cantina dell’anno 2022 Sud Italia).
Più che cantine, famiglie del vino italiano rispettivamente della Lunigiana (Toscana), della Val di Cembra (Trentino), di Spoleto (Umbria) e della provincia di Foggia (Puglia). È proprio da queste cantine che inizia il racconto di un anno che ci ha reso fieri del nostro lavoro. Buone bevute, con la nostra Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
A caccia di vini per la Festa della Mamma del 9 Maggio? I nostri consigli si concentrano sulle etichette premiate dalla Guida Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it, in particolare su due spumanti Metodo classico da Emilia Romagna e Campania, due bianchi da Alto Adige e Piemonte, un rosso dalla piccola Doc Capriano del Colle (Brescia, Lombardia) e un Marsala Vergine d’annata 1995.
Vsq Metodo classico 2016 Rosato “Il Pigro”, Romagnoli
Un petalo di rosa colora il calice. Delicatezza anche al naso, con note di piccoli e precisissimi frutti rossi. Tocco di agrumi. Al momento, il miglior spumante metodo classico della gamma di Romagnoli, non ultimo per la finezza del perlage. Un’etichetta che alza l’asticella degli Champenoise prodotti in provincia di Piacenza, zona che sta trovando anno dopo anno il proprio equilibrio.
Vsq Metodo classico 2017 Caprettone “Pietrafumante”, Casa Setaro Il calice si tinge di un giallo paglierino dai riflessi dorati. Il vino è da premio, dall’ingresso alla lunga chiusura. Un percorso arrotolato attorno a un agrume delizioso. Il resto è freschezza, salinità, pienezza. Spensieratezza e gastronomicità.
Alto Adige Doc Valle Isarco Grüner Veltliner 2019 “Aristos”, Eisacktaler Kellerei Giallo paglierino. Naso che regala belle note tropicali, soprattutto mango. Grandissimo equilibrio e grandissima freschezza. Chiusura salina, contornata da agrume ed albicocca appena matura. Uno dei cosiddetti “vini verticali”, affilati come lame, in grado di mostrare appieno il prezioso terroir della Valle Isarco, in Alto Adige. Un vino perfetto per una Festa della Mamma di carattere.
Colli Tortonesi Doc Derthona Timorasso 2018 “Grue”, Pomodolce Giallo paglierino, riflessi dorati. Bel naso talcato. Frutta matura, macchia mediterranea e mentuccia a donare freschezza. Alcol presente, che deve integrarsi, ma non disturba. Palato pieno, freschezza assoluta con ritorni di frutta matura. Lunghissimo.
Lombardia Capriano del Colle Doc Marzemino 2019 “Berzamì”, Lazzari Rosso rubino tendente al trasparente. Bellissimo frutto, preciso. Ammalianti note di fiori, soprattutto di viola. In bocca bella freschezza, con ritorni di spezia. Ottima declinazione del vitigno.
Marsala Vergine Riserva Doc 1995 “La Villa Araba”, Martinez Non c’è Festa della Mamma senza un grande vino “dolce”. In questo caso, un pezzo di storia di Marsala nel calice, in tutti i sensi. La cantina di Carlo Martinez è uno degli emblemi della grandezza eterna della città del vino della Sicilia, che con questa etichetta tiene alta la bandiera di una denominazione sciaguratamente snobbata (e maltrattata). Peraltro, rapporto qualità prezzo eccezionale per “La Villa Araba”.
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Alzi la mano chi non ha ancora dato una sbirciatina alle corsie del vino del supermercato, da quando è entrato in commercio il Prosecco Rosé. Pochi quelli che hanno resistito al richiamo della nuova tipologia, se non altro sulla spinta della (bella) pubblicità tv con cui il Consorzio del “PDoc” ha scelto di invitare l’Italia intera al matrimonio tra la Glera e il Pinot Nero. Eppure, il Prosecco Rosé è quasi introvabile in alcune insegne di supermercati.
Direttore Luca Giavi, abbiamo notato una certa scarsità di referenze di Prosecco Rosé nella Grande distribuzione organizzata italiana, al contrario di una buona presenza della nuova tipologia sull’online: è un’impressione corretta?
Pur non avendo a disposizione dati a riguardo, riteniamo assolutamente plausibile la cosa, sulla scorta di alcune considerazioni. La prima è che nel 2020, “solo” un terzo circa del nostro sistema produttivo (111 aziende per la precisione) ha spumantizzato Prosecco Doc Rosé, e questo ha evidentemente contratto il numero di operatori che normalmente hanno accesso alla Grande distribuzione.
Allo stesso tempo, l’incertezza nei tempi dell’accesso al mercato, ha spinto molti produttori a mettere in produzione un quantitativo che, evidentemente, si è riversato prioritariamente su quei canali capaci di valorizzarlo maggiormente.
I numeri cosa dicono?
I dati in possesso del Consorzio di Tutela del Prosecco Doc sembrano essere piuttosto incoraggianti. Le bottiglie di Prosecco rosé certificate nel 2020 sono 16.850.034. La stima dell’export si assesta sull’80%, ovvero 13.480.027 bottiglie. La stima relativa all’Italia, per il restante 20%, è di 3.370.007 bottiglie.
Se una quota del 70-75%, pari a 2,3-2,5 mln di bottiglie, è andata al supermercato, considerati i numeri di punti vendita e la quantità necessaria per accedere alla Gdo, è credibile vi sia una limitata presenza di referenze a scaffale, rispetto al Prosecco Doc.
Come molti italiani, anche noi abbiamo visto la pubblicità in tv: qual è la strategia, dal momento che il prodotto non è poi disponibile nei supermercati, su larga scala?
Il Consorzio ha ritenuto opportuno presidiare il mercato accompagnando la nascita del Prosecco rosé, per rassicurare i consumatori sulla sua qualità certificata e sul rispetto del disciplinare. I quantitativi erano sufficienti per comunicare questa novità nel mercato, in piena coerenza con la funzione del Consorzio. È ovvio attendersi che, da adesso in poi, la distribuzione sarà sempre più capillare.
Come sono cambiate rispetto al passato le strategie di promozione del Consorzio che si ritrova ora a dover comunicare (e presentare) due prodotti al posto di uno?
La strategia del Consorzio non cambia, si arricchisce semplicemente la narrazione con l’introduzione di una tipologia, al pari delle più importanti denominazioni spumantistiche.
Quali sono le conseguenze dell’ufficializzazione della nuova tipologia, dal punto di vista viticolo? Come è cambiato il “vigneto atto a Prosecco Doc”, in attesa della decisione, negli ultimi anni? In particolare, il riferimento è alle varietà Glera e Pinot Nero.
Nel territorio delle nove province della Doc Prosecco, la quota di vigneti a Pinot nero ammontava storicamente a circa 600-700 ettari, dei quali 250, con la vinificazione in bianco, entravano già a far parte del Prosecco Doc.
Negli ultimi tre anni, a seguito della presentazione della proposta di modifica del disciplinare, sono stati piantumati circa mille ettari (da estirpo), tant’è che il Consorzio, come per la varietà Glera, ha chiesto il blocco delle idoneità a Prosecco anche per il Pinot nero.
Ipotizzando che mille ettari su 1.600/1.700 totali vengano destinati alla produzione di Prosecco rosé e considerando le rese di trasformazione dell’uva in vino (75%), nonché le percentuali di taglio (Pinot nero tra il 10 e il 15%), l’offerta potenziale di Prosecco Doc Rosé potrebbe giungere a una cifra compresa tra i 95 e i 140 milioni di bottiglie.
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Ben più di un Ciliegiolo da incorniciare. Il Maremma Toscana Doc Ciliegiolo 2015 “San Lorenzo” di Sassotondo, etichetta icona della cantina guidata da Carla Benini ed Edoardo Ventimiglia, è il simbolo di una fetta di Toscana che chiede – e merita – attenzione nel panorama vitivinicolo nazionale.
Il riferimento è non solo alla Maremma, ma soprattutto alla zona vulcanica di Sorano e Pitigliano, in provincia di Grosseto. Un’areale influenzato dagli effetti dal bacino vulcanico dell’attuale lago di Bolsena, in cui il tufo è di casa nel terreno.
LA DEGUSTAZIONE
Il Ciliegiolo 2015 “San Lorenzo” di Sassotondo si presenta nel calice di un colore violaceo. Naso ben giocato sul frutto e sui terziari, con sbuffi netti di spezie. Al palato, freschezza e mineralità vulcanica fanno da “freno a mano” all’incedere esplosivo dei primari, ovvero del frutto, disegnando un sorso di grande precisione e persistenza.
Un vino bello (e buono) da bere oggi, ma con tanta vita davanti. Non a caso si tratta della miglior selezione di uve Ciliegiolo provenienti da un vigneto di circa 60 anni, condotto dal 1994 con metodi di agricoltura biologica.
LA VINIFICAZIONE
Dal vigneto di 4.800 vecchie viti si scorge Pitigliano, tra i borghi simbolo della Maremma. Raccolta e selezione delle uve avvengono in maniera manuale e “naturale” è anche la fermentazione, che avviene grazie a lieviti indigeni.
La macerazione dura da 15 a 20 giorni. Il vino atto a divenire “San Lorenzo” matura per 18/30 mesi in botti di rovere di Slavonia da 10 ettolitri. Viene immesso in commercio solo in seguito a un altro anno di affinamento in bottiglia nelle fresche cantine sotterranee di Sassotondo.
Il Maremma Toscana Doc Ciliegiolo 2015 “San Lorenzo” è tra le etichette presenti nella Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it, la Guida edita con cadenza annuale dalla redazione della nostra testata.
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Marisa Cuomo è una cantina simbolo non solo della Campania, ma di una vera e propria gemma italiana famosa nel mondo: la Costa d’Amalfi. Un nome che, da solo, è capace di evocare paesaggi incantati, dominati da scogliere a picco sul mare e spiagge da cartolina.
La Banca d’Italia calcola che, ogni anno, prima dell’emergenza Covid-19, l’indotto del turismo straniero superi i 350 milioni di euro in questo spicchio della Provincia di Salerno, con epicentro nei comuni di Amalfi, Positano, Ravello, Maiori e Minori.
Proprio qui hanno trovato casa Marisa Cuomo e Andrea Ferraioli, presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it con ben quattro vini: Costa d’Amalfi Doc Furore Bianco 2018 “Fiorduva”, Costa d’Amalfi Doc Ravello Bianco 2019, Costa d’Amalfi Doc Furore Rosso Riserva 2016 e il “vino quotidiano” Costa d’Amalfi Doc Bianco 2019. Un vero e proprio en plein.
LA DEGUSTAZIONE Costa d’Amalfi Doc Furore Bianco 2018 “Fiorduva”, Marisa Cuomo
Giallo paglierino carico. Il bianco più complesso della cantina. Pienezza del sorso data dalla grande maturità del frutto ed una vena salina, iodata, marcata. Tanto sapido in bocca da sembrare servito su una barca, in mezzo al mare.
Costa d’Amalfi Doc Ravello Bianco 2019, Marisa Cuomo Giallo paglierino. Meno complesso di “Fiorduva”, ma coinvolgente nella sua estrema verticalità. Acidità affilata e tagliente; sapidità accentuata. Note vestite e ammantate dalla frutta matura. Un vino di mare fresco, godibile e senza fronzoli.
Costa d’Amalfi Doc Furore Rosso Riserva 2016, Marisa Cuomo
Rosso rubino, unghia violacea. Note di frutta matura e tocchi di spezia. Concentrato. Sorso estremamente bilanciato, tra frutto pieno e morbido e durezze saline. Terreno calcareo che gioca un ruolo determinante in questo equilibrio.
Costa d’Amalfi Doc Bianco 2019, Marisa Cuomo
Più salino e verticale di “Furore” coinvolge il naso con tutta la gamma delle erbe mediterranee. Riempie la bocca in maniera stupenda, alternando la vena glicerica alla freschezza. Vino da non perdere.
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EDITORIALE – Con una selezione che supera le 100 etichette, l’e-commerce vinoungherese.it punta a far conoscere a winelovers e professionisti del settore Wine&Food una terra del vino che pare ormai giunta alla piena maturità e consapevolezza dei propri mezzi, ben oltre i vini dolci di Tokaj: l’Ungheria.
WineMag.it gioca in casa, dal momento che la selezione è stata da me compiuta negli ultimi 6 mesi con ripetuti viaggi dall’Italia e lunghe permanenze in tutte le regioni vinicole ungheresi.
L’obiettivo di vinoungherese.it è quello di ampliare il bagaglio di conoscenze degli amanti del nettare di bacco in Italia, mostrando la bellezza assoluta dei vini vulcanici ungheresi, ben oltre il mainstream (meritatissimo, per carità) dei vini Aszú, delle nuove espressioni di Furmint “dry” e delle etichette commerciali di vini rossi delle regioni Villány ed Eger.
Ho percorso in auto più di 2 mila chilometri, conoscendo personalmente ognuno dei produttori entrati in catalogo e assaggiando tutta la linea di vini (comprese, ove possibile e degno di nota, le vecchie annate). Altre realtà entreranno in catalogo nei prossimi mesi.
Al centro della selezione ci sono decine di varietà autoctone ungheresi di cui posso dirmi ormai “innamorato”. Su tutti lo Juhfark (letteralmente “Coda di Pecora”) originario di Somló: vitigno e regione che meritano un’attenzione assoluta nel panorama internazionale, in qualità di principale, nuova e vera “frontiera” del vino ungherese.
Assieme, Juhfark e Somló costituiscono una coppia inimitabile per mostrare il terroir vulcanico della collina di Somló, situata a nord del lago Balaton, nella zona orientale dell’Ungheria (a sole due ore di auto da Budapest).
Poi ci sono Budai Zöld, Csókaszőlő, Ezerjó, Hárslevelű, Irsai Olivér, Kabar, Kadarka, Kéknyelű, Királyleányka, Kövérszőlő, Leányka, Kékfrankos, Portugieser, Nektár, Olaszrizling, Turan, Zengö, Zéta e Zeus.
Nomi pressoché impronunciabili, in alcuni casi, che meritano un posto d’onore accanto a internazionali come Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Grüner Veltliner, Merlot, Moscato Bianco, Moscato Giallo (Sargamuskotály).
E ancora: Muscat Ottonel, Pinot Grigio, Pinot Nero, Riesling renano, Müller-Thurgau (Rizlingszilváni), Sauvignon Blanc, Syrah, Gewürztraminer (Tramini) e Zweigelt. Infine, ma non ultimi nel vasto catalogo dell’e-commerce – udite, udite – Sagrantino (l’uva di Montefalco) e Sangiovese (il vitigno che ha reso grande la Toscana, nel mondo).
Due le etichette che vedono l’Italia “protagonista”, con altrettante varietà simbolo. Il Sagrantino è allevato in Ungheria da un solo produttore, innamorato dell’Umbria: Heimann di Szekszárd, che lo utilizza in uvaggio nel portentoso “Franciscus” e nel giovane, dinamico e freschissimo “Sxrd” (a proposito di potenziali nuove frontiere per il Sagrantino di Montefalco).
Il Sangiovese è invece quello della cantina 2HA, finita nei guai con il Consorzio del Brunello (episodio raccontato qui da WineMag.it) per un sito web un po’ troppo “brunellofilo” per avere il dominio “.hu”, utilizzato per promuovere l’etichetta “Tabunello“, tuttora in vendita senza alcuna commistione con il re dei vini rossi della Toscana.
Tra le particolarità dell’e-commerce vinoungherese.it, anche la presenza del più popolare e apprezzato tra i produttori del cosiddetto vino naturale ungherese: si tratta di Hummel, vignaiolo tedesco che ha sparigliato le carte in una zona piuttosto “seduta sugli allori” e abituata all’auto-incensazione come Villány.
Non poteva mancare la cantina che, meglio di altre, sta cercando di raccogliere l’eredità di Hummel nel sud dell’Ungheria: Wassmann, il sogno divenuto realtà di un’altra coppia tedesca, Ralf Wassmann e Susann Hanauer, che opera in regime biodinamico. Chi ci segue nella scoperta? Cin, cin.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Cinque vini rossi per Natale dalla Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it, la Guida Vini edita dalla nostra testata indipendente, grazie a una rigorosa degustazione alla cieca.
Barbera d’Asti Superiore Docg 2016 “Litina”, Cascina Castlet
Inconfondibilmente Barbera. Frutto succoso, grondante, ben sostenuto da accenni di spezia e freschezza. In bocca gioca a fare la preziosa, svelandosi poco a poco. Bell’allungo speziato. Eleganza pura.
Amarone della Valpolicella Docg Classico Bio 2011 “Morar”, Valentina Cubi
Colore seducente. Naso di frutto, di cuoio, sanguigno, ferroso, spezia, bacca di ginepro. Tutti profumi portati su da un alcol che fa da sprint ed è tutt’altro che disturbante. In bocca perfetta armonia tra note di frutta matura ed i ritorni di cuoio e liquirizia. Chiude sulla bacca di ginepro ed un tocco di prugna.
Colli Euganei Doc Merlot 2018 “Poggio alle Setole”, Vigne al Colle
Rosso rubino, riflessi violacei. Un Merlot particolarmente espressivo, vero, tipico. Accenni verdi che donano freschezza alla parte di frutto maturo ed alla spezie dolce, liquirizia soprattutto. Grande bevibilità.
Toscana Igt 2015 “Cà”, Podere Fedespina
Bel colore carico, gran bel frutto per un vino figlio della sua terra, anzi del suo terreno. Radici profonde che si fan largo tra il calcare. Ne risulta un sorso asciutto, di gran prospettiva, tra la pienezza dei primari e una riequilibrante verticalità. Quando si dice “in vino veritas”.
Colli di Salerno Igt Aglianico 2016 “Borgomastro”, Lunarossa
Rosso rubino splendido. Al naso un gran frutto di bosco, tocchi di spezia nera e macchia mediterranea. In bocca meravigliosamente coinvolgente con le sue note di frutta croccante. Gran lunghezza. Un vino che sorprende per precisione.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Cinque vini bianchi per Natale dalla Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it, la Guida Vini edita dalla nostra testata indipendente, grazie a un rigoroso blind tasting.
Alto Adige Doc Chardonnay 2018 “Flora”, Girlan
Giallo paglierino, riflessi dorati. Nota mielata di primo naso. L’ingresso in bocca è morbido per poi affilarsi grazie alla viva freschezza. Ricco e con una intrigante complessità data dal varietale, non dall’affinamento. Di grande eleganza, bilancia sapientemente note citriche e cremosità da pasticceria.
Soave Doc 2017 “Le Cervare”, Zambon
Giallo paglierino. Al naso una pietra focaia “didattica”, esuberante. Il vulcano ammansisce fiori e frutti pur presenti, dimostrando come il vino sia ancora giovanissimo. In bocca una buona freschezza e grande sapidità, su note di frutta matura ed una leggera chiusura citrica. Persistenza da campione.
Vino bianco “Escamotage”, Simone Cerruti
Giallo paglierino carico. Naso splendidamente aromatico. Salvia, mentuccia, uva sultanina, eucalipto, verbena. In bocca domina una gran vena salina. Dritto e verticale, con ritorni del varietale in chiusura. Un vino gastronomico che dà il meglio di sé a tavola.
Trebbiano Spoletino Igt 2019 “Maceratum”, Fongoli Orange. Naso di erbe, radice di liquirizia, zenzero ed agrume candito. In bocca tannino non ruvido ma presente, a sua volta stuzzicato da un agrume succoso. Chiude su ritorni di radice di liquirizia, lungo. Accenno di sale e gran freschezza. Vino manifesto di un movimento, quello dei cosiddetti “vini naturali”, che troppo spesso si perde in sofismi. Ma quando fa sul serio, fa sul serio. Così.
Melissa Doc Greco di Bianco 2019 “Caraconessa”, Fezzigna
Giallo paglierino. Bel naso di bergamotto, agrumi, erbe mediterranee. Leggero tocco di spezia bianca. Sorso teso ma agile, lungo sulla freschezza e su ritorni di agrumi. Vino manifesto del vitigno e della zona.
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ROMA – Il premio Miglior Cantina d’Italia 2021 di Winemag.it va alla cantina Terre di Petrara di San Mango sul Calore, comune della provincia di Avellino, in Irpinia. Una realtà capace di affermarsi in una fase cruciale: quella del passaggio generazionale, all’iterno della famiglia Simonelli.
“Questo premio che ci ha emozionato – sottolinea Giuseppe Simonelli, architetto e responsabile oggi della cantina di famiglia – perché abbiamo immaginato la gioia che avrebbe potuto dare ai nostri nonni e a chi ci ha messo in condizione di entrare in questa realtà. L’obiettivo di mantenere il sapore dei vini come era una volta si è rivelato un cardine fondamentale per raggiungere questo traguardo durante una degustazione alla cieca delle bottiglie”.
“Si tratta di un premio che ci stimola a continuare lungo la strada intrapresa e a ricercare una qualità sempre maggiore, pur conservando la tradizione”, fa eco Claudia Simonelli, economista e grande appassionata di vendemmia, appena reduce dalle fatiche sul campo.
Il grande valore aggiunto deriva proprio da quei terreni delle nostre proprietà e dalle loro caratteristiche straordinarie. Siamo sempre più certi che oltre il marchio ci sia un prodotto che offre la testimonianza dei sapori autentici: questo riconoscimento è proprio un invito a non cambiare mai le cose importanti”.
“Nell’ambito della degustazione alla cieca – commenta Davide Bortone, direttore di WineMag.it – la redazione si è espressa con voto unanime sul premio a Terre di Petrara, Miglior cantina d’Italia 2021. L’Irpinia è una terra straordinaria”.
“Dipinta così bene nel calice, mostra quanto la strada intrapresa da una larga parte della Campania del vino sia quella corretta: qualità, riconoscibilità delle peculiarità del terroir e grande lustro ai vitigni locali. Un premio – conclude Bortone – che, ci auguriamo, serva ad accendere la luce sull’Irpinia anche dal punto di vista dell’enoturismo, vera chiave del futuro di tutto il Made in Italy enologico”.
L’EVENTO
La premiazione e il momento conviviale con gli esperti del settore si è tenuto a Roma presso il ristorante Sa Cardiga, in sardo “La Graticola”. I titolari Alessandro Biagiotti e Alberto Boi con lo Chef Andrea Catania hanno proposto per una volta un menù dalle venature, dai colori e dai sapori della Campania felix e dell’Irpinia, con caciocavallo impiccato, scialatielli alle melanzane e manzo di prima qualità, innaffiato dall’ottimo Taurasi Docg e dal Fiano di nobile provenienza.
Dal prossimo 22 ottobre, a cadenza settimanale verrà inaugurata una Wine Experience in centro a Roma, presso lo Spazio Canova 22, nell’omonima traversa di Via del Corso, nei locali di un’antica fornace per il pane. Sarà proposta una degustazione di vini e prodotti tipici che vedrà come protagonista l’Irpinia.
“Periodicamente – prosegue Giuseppe Simonelli – vorremmo in futuro dare la possibilità di fare un’esperienza diretta nella nostra terra, per visitare i vitigni, la cantina e degustare i prodotti direttamente sul luogo di produzione. In termini di promozione e digitalizzazione, tra poche settimane attiveremo il nostro e-Commerce, che permetterà una più semplice e sicura pianificazione degli ordini”.
Il sito www.terredipetrara.it invece è attivo e consultabile per tutte le informazioni che riguardano l’azienda e i vini. “La logistica verrà semplificata in modo da ottimizzare ogni trasporto e velocizzare i tempi di risposta in modo intelligente e funzionale”, anticipa Simonelli.
“Gli obiettivi futuri della nostra azienda – prosegue il giovane manager – fanno parte di un ampio programma di pianificazione che prevede eventi, esperienze, promozione, logistica e nuovi prodotti”.
Per ora è stata avviata una produzione limitata che riguarda il Taurasi magnum ed il Taurasi riserva. A breve si intenderà inaugurare la commercializzazione dell’olio di oliva, altra eccellenza Irpina.
TERRE DI PETRARA E L’IRPINIA
Terre di Petrara si trova a San Mango al Calore, nella verde Irpinia, la parte più interna dell’entroterra campano. Questa zona, caratterizzata da un paesaggio collinare e dalle distese boscose, rappresenta un luogo intriso di memoria e di antica cultura.
Qui ha inizio la storia della famiglia Simonelli, che da secoli raccoglie i frutti della propria terra. Al 1816 risalgono le prime scritture ufficiali di questo percorso, oggi fedelmente riportati sulle etichette delle bottiglie.
La produzione a carattere locale era riservata a pochi intimi fino al 2009, quando i tre fratelli Giuseppe, Alberto e Mario Simonelli decisero di proporre i vini al pubblico affinché fossero apprezzati anche al di fuori dei propri confini. A vegliare sulle coltivazioni vi è una maestosa quercia centenaria, testimone della storia della Famiglia e del suo territorio, che oggi si pone quale simbolo nel logo di Terre di Petrara.
“Noi consideriamo il vino come convivialità e come atto di generosità – sottolinea Claudia Simonelli –. Nei tempi in cui le case dei nostri nonni erano aperte a tutti, si utilizzavano questi prodotti come momenti dello stare insieme. Ci piace immaginare che le persone che aprono questo vino vogliano cogliere l’occasione per condividere con i propri cari e amici i loro momenti più intimi”.
“Terre di Petrara – continua – è una realtà nuova per noi giovani che ci inseriamo in un mondo che prima vedevamo solo da lontano. Curiosi e determinati ad imparare il mestiere, abbiamo approfondito i temi legati alla terra, alla viticoltura e alla produzione, stimolando una grande passione per queste attività”.
La nostra missione consiste nel portare l’Irpinia al di fuori dei confini attraverso le sue meraviglie: questa terra può diventare un attrattore naturale nonché un motore che attiva un circuito basato sui prodotti e sui frutti della terra. Del resto le castagne, le nocciole, le olive, i formaggi e i salumi sono tutti prodotti che in Irpinia raggiungono altissimi livelli di qualità”.
“Noi giovani – conclude Claudia Simonelli – abbiamo il ruolo di proseguire un lavoro iniziato da molti anni e cercare di espandere la cultura dell’entroterra campano. La sfida più grande è stata quella di conservare il sapore originale gustato da chi stappò quel vino la prima volta, imbottigliando l’autenticità e lo stile che da sempre contraddistinguono la tradizione familiare”.
LE ORIGINI E LA CANTINA
La tradizione vitivinicola della famiglia Simonelli risale al 1816, anno in cui compaiono alcune documentazioni che testimoniano l’utilizzo dei terreni per la coltivazione della vite.
Terre di Petrara nasce nel 2009 dalla volontà di Giuseppe Simonelli, classe 1934, con la volontà di accrescere una produzione che in precedenza era destinata esclusivamente a famiglia e amici. Da subito l’azienda si pone il nuovo obiettivo di raggiungere un pubblico più ampio, comunque conservando i sapori dei vini che gustavano i nostri avi.
Ad oggi la produzione annua è di circa 30 mila bottiglie tra Taurasi Docg, Aglianico Dop e Fiano Dop, vini che hanno consentito alla cantina di aggiudicarsi il premio Miglior Cantina d’Italia 2021 di WineMag.it. I terreni appartenenti a Terre di Petrara hanno una dimensione di 8.5 ettari; 3 ettari sono dedicati alla coltivazione del vitigno Fiano e 5.5 ettari sono invece dedicati al vitigno Aglianico.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Siamo a Trento, per la precisione in località Sponda Trentina. È qui che si trova una piccola ma storica realtà, nata dalla passione di Luciano Lunelli e oggi condotta dalla figlia Roberta. Un segno di continuità forte, che dura da più di quarant’anni. Parliamo dell’azienda Abate Nero , di cui la “Cuvée dell’Abate” è l’etichetta di punta.
Sotto la lente di ingrandimento il millesimo 2008, proposto con la classica bottiglia “sciampagnotta”. L’uvaggio, 100% Chardonnay ed il lungo affinamento sui lieviti (80 mesi), mettono il timbro sulla carta d’identità di una produzione totalmente artigianale.
LA DEGUSTAZIONE “Cuvée dell’Abate” 2008 si presenta di un bel colore giallo paglierino lucente. Il perlage è fine e persistente, di una continuità esemplare. Il naso è complesso: si distinguono in sequenza sentori floreali e fruttati. Tiglio, biancospino, mela golden matura, kiwi, un cenno di mango. Poi ricordi di miele, una gradevole tostatura e frutta secca.
L’ingresso di bocca è connotato dalla cremosità e avvolgenza del perlage, in un gioco prezioso con la freschezza, più che mai viva. I sentori risultano corrispondenti a quelli avvertite al naso. La finezza risponde alle attese di uno spumante Trento Doc pensato per il lungo affinamento sui lieviti.
Ottanta mesi che permettono alla “Cuvée” 2008 di Abate Nero di abbinarsi a piatti importanti e strutturati, sia di terra che di mare. Un Metodo classico ottimo da degustare anche da solo, in un calice più ampio del consueto, che permetta di apprezzarne al meglio la straordinaria complessità gusto-olfattiva.
LA VINIFICAZIONE La vinificazione è tradizionale. La prima fermentazione delle uve Chardonnay avviene in acciaio e la rifermentazione in bottiglia secondo il Metodo Classico, con presa di spuma e lungo affinamento sulle lisi. In particolare, la sboccatura risale alla primavera 2019. La massima espressione della “Cuvée dell’Abate” 2008 si verificherà attorno al 2025.
Abate Nero produce complessivamente 50 mila bottiglie. Abbastanza per permettere alla “maison” trentina di collocarsi tra i migliori produttori di “Bollicine di Montagna” Trento Doc, con un’impronta da sempre orientata alle lunghe evoluzioni.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Chiamiamolo pure “test“. Anche se, forse, sarebbe meglio parlare dell’inizio di una vera e propria rivoluzione, che potrebbe dare il “la” a molti produttori italiani di vino di qualità. Mario Piccini rompe il muro tra Horeca e Gdo con la decisione di destinare otto vini di quattro delle sue Tenute alla vendita al supermercato. Prima di oggi, le etichettepremium in questione erano destinate solo a ristoranti, hotellerie, wine bar ed enoteche.
Sono interessate dal progetto Fattoria di Valiano, situata nel cuore del Chianti Classico e casa della famiglia Piccini, Tenuta Moraia in Maremma, Regio Cantina nel Vulture e la tenuta siciliana Torre Mora, sul versante nord dell’Etna. Resta esclusa, al momento, solo Villa al Cortile, la “boutique winery” di Montalcino.
Mosso dalle altrettanto rivoluzionarie dichiarazioni rilasciate a WineMag.it dal buyer Vini di Coop Francesco Scarcelli – pronto al dialogo con i vignaioli e a sedersi a un tavolo di lavoro ad hoc al Mipaaf – Mario Piccini ha trovato il coraggio di mettere nero su bianco quello che, forse, gli frullava nella testa già da un po’ di tempo.
Pensieri che l’emergenza Coronavirus e il conseguente lockdown dell’Horeca hanno solo accelerato. Nulla di ufficiale, ma l’interlocuzione tra il patron del colosso del vino toscano e il direttore vendite Gdo, Maurizio Rossi, deve aver sollevato Piccini da qualsiasi ulteriore perplessità. Nell’intervista esclusiva, tutti i dettagli.
Mario Piccini, quali sono le etichette interessate dal progetto?
Abbiamo selezionato due prodotti per ciascuna delle nostre tenute. Si tratta di referenze premium solitamente destinate al canale Horeca o, più in generale, referenze dedicate a tutti gli appassionati di vino che ricercano non solamente la qualità, ma desiderano anche scoprire la cantina che li produce e il territorio dove il vino nasce.
Qual è il numero di bottiglie prodotte per etichetta?
Se rapportate ai numeri della Grande distribuzione, si parla di produzioni davvero ristrette. Basti pensare che le bottiglie in questione non superano le 50 mila unità per tipologia, salvo una sola eccezione.
Può entrare ancor più nel dettaglio?
Le referenze in questione vengono prodotte dalle nostre Tenute, tutte realtà medio piccole, a conduzione biologica, dai 13 ai 75 ettari vitati. Tutte le etichette fanno già parte dell’attuale offerta del ‘mondo Piccini’. Per questo motivo la percentuale destinata alla Gdo verrà costantemente monitorata, in modo da poter garantire ai nostri clienti storici, nel momento della loro ripresa a regime, la qualità e quantità di sempre.
Quali sono le ragioni di questa scelta?
L’emergenza in corso ha accelerato il processo di evoluzione del mondo del commercio e della comunicazione, cambiando anche i paradigmi delle informazioni che vengono consumate.
Dal punto di vista commerciale non ha senso privare i clienti dei supermercati dei vini di qualità delle aziende agricole, anche se è bene precisare che la provenienza da un’azienda agricola non è per forza sinonimo di vino di qualità, come del resto non è vero l’esatto contrario.
La nostra filosofia aziendale e comunicativa si basa su questa trasparenza: sul diritto e la libertà che offriamo al consumatore di scegliere una referenza piuttosto che un’altra e di consumarle in assoluta tranquillità a casa.
La qualità deve essere fruibile dal maggior numero di persone possibile e più permettiamo alle persone di incontrarsi con la qualità, più questa può entrare nelle loro vite, determinando un vero e proprio cambiamento e miglioramento.
È l’inizio di una manovra di avvicinamento che interesserà tutta la linea Horeca?
Non interesserà tutta la linea Horeca, ma solo alcune selezioni. Prodotti che sono parte del core range delle nostre Tenute e che convivranno su entrambi i canali. Azione che a nostro avviso è assolutamente possibile se si lavora con trasparenza.
Il nodo cruciale nei rapporti delle aziende del vino col mondo della Gdo sono le politiche di prezzo e la scontistica adottata dalle varie insegne di supermercati. Qual è il vostro piano d’azione, su questo fronte?
Le politiche di prezzo si basano su di un posizionamento corretto del prodotto piuttosto che su logiche di scontistica. Siamo aperti a dialogare con tutte quelle insegne che vorranno mostrare il loro interesse ed apprezzamento verso determinati prodotti.
Il primo passo deve venire da noi produttori, che dobbiamo liberarci da questi timori e muoverci in sinergia, uniti. Dall’altra parte le insegne devono dare il giusto spazio alle etichette, incentivando anche l’inserimento di personale qualificato in grado di consigliare il consumatore e di raccontare vini e territori legati ad una selezione di referenze premium.
Il valore e la percezione della qualità di queste selezioni dovranno rimanere insomma intatte, rispettando le piccole aziende nei prezzi, in una sezione concepita come luogo di scoperta e non di affari a basso prezzo. Per far questo è necessario un grande senso di responsabilità da parte delle insegne pronte a compiere questo passo.
Non ha paura di “ferire” la sensibilità di qualche cliente Horeca?
Probabilmente una scelta di questo tipo potrà allontanare qualcuno, ma siamo sicuri che gran parte dei nostri partner ha sposato non un’etichetta, bensì un progetto. In tal senso questa scelta è perfettamente allineata con la nostra filosofia aziendale e per questo non mi aspetto grandi sconvolgimenti.
Gdo e Horeca, come auspicato nei nostri editoriali e articoli inerenti a un potenziale ‘Patto sul vino di qualità’, possono avvicinarsi per il bene dell’intero settore, a vantaggio delle produzioni di nicchia e di qualità premium. Siamo dei visionari, dei folli o c’è del concreto?
Sono convinto di questo. Il consumatore è sempre più interessato alle produzioni locali, al biologico, alla qualità. E le insegne stanno rispondendo con rapidità a questa rinnovata esigenza. Acquisti con assegnazioni regionali se non provinciali, come auspicato da Francesco Scarcelli di Coop Italia nell’intervista rilasciata a WineMag.it, vanno sicuramente nella direzione giusta.
Mario Piccini, l’ultima sfida al mondo del vino sembrava l’avventura sull’Etna: qualcosa che avvicina ancor più sua personalità al vulcano siciliano. Oggi questa novità, che potrebbe costituire l’esempio e l’avvio di una vera e propria rivoluzione. Come la vive? È solo un’operazione commerciale, o c’è anche della filosofia sotto (o, ancor meglio, sopra)?
Come spiegato in precedenza, alla base di questa sfida c’è e rimane la nostra filosofia aziendale di trasparenza e di voglia di far conoscere ad un numero sempre maggiore di consumatori le eccellenze dei vari territori dell’Italia del vino.
Grazie alle nostre tenute che sono dislocate sul territorio nazionale e a questa operazione, possiamo portare al consumatore un esempio del vino di territorio e questo è assolutamente in linea con la nostra mission.
Tanti suoi colleghi, pure tra i vicini di casa toscani, sembrano vergognarsi di comunicare alla stampa o ai propri clienti i dettagli del loro rapporto con la Grande distribuzione, pur traendone ampi vantaggi, sfruttando abbondantemente le strategie legate alla leva promozionale, in voga in Gdo: cosa nasconde davvero, secondo lei, una tale ipocrisia nel mondo del vino italiano?
A nostro avviso si tratta di timore e non di ipocrisia. Il mondo del vino è estremamente conservatore, sia tra le fila di noi produttori che nella distribuzione. Il problema della Gdo, così come lo era per l’online fino a pochi giorni fa, è legato al timore di un giudizio negativo da parte del cliente finale Horeca.
Lamentele legate al prezzo finale della bottiglia di vino ricadono giocoforza sull’immagine del ristoratore, piuttosto che sul produttore. Noi siamo convinti che oggi il consumatore sia in buona misura più pronto a comprendere ed accettare il costo maggiorato di un vino servito nell’Horeca.
Al giorno d’oggi c’è la consapevolezza che, in gran parte, questi costi sono legati alla distribuzione, allo stoccaggio e al mantenimento di personale qualificato: tutti aspetti che incidono notevolmente sul prezzo finale.
Vuole lanciare un ulteriore messaggio al mondo del vino italiano?
Alcuni consorzi stanno rivedendo le loro strategie e rivalutando la Grande distribuzione. Spero che saranno in molti ad abbracciare questo cambiamento. Azioni solitarie, o fatte in ordine sparso, difficilmente potrebbero far cambiare approccio e mentalità al mondo del vino.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
“Sì al dialogo coi vignaioli, iscritti o meno alla Fivi, nonché con le piccole realtà del vino italiano. Ma il rapporto deve essere continuativo: non possiamo essere usati solo in questo momento di difficoltà per Covid-19. I produttori devono metterci la faccia, affidandoci le stesse etichette dell’Horeca, dimostrando così di credere nel processo di qualificazione dello scaffale del vino della Grande distribuzioneorganizzata, ormai in corso da diversi anni”. Parole e musica di Francesco Scarcelli, buyer Wines, Beers and Spirits di Coop Italia.
Solo l’ultimo dei sì al “Patto sul vino di qualità” tra Gdo e Horeca, con la supervisione dal Mipaaf e della ministra Teresa Bellanova. Una proposta avanzata da WineMag.it per arginare le conseguenze devastanti di Coronavirus sulle produzioni dei vignaioli. E utile, più in generale, a riequilibrare i rapporti tra i due segmenti di vendita del vino, oltre a ridurre il contraccolpo dell’instabilità politica internazionale (vedi dazi Usa, Brexit e Russia).
Chiariamoci – commenta Scarcelli a WineMag.it – non è che fino ad oggi Coop Italia sia stata a guardare. Negli ultimi anni abbiamo referenziato sempre più vini di altissima qualità, come dimostra l’assortimento dei nostri 1.200 punti vendita dislocati in 88 province. Negli ipermercati arriviamo ad avere 800 referenze a scaffale”.
Possibile fare ulteriore spazio? “L’operazione non è semplice – risponde il buyer Scarcelli – ma da parte nostra c’è tutta la disponibilità di sedersi a un tavolo coi vignaioli, per capire come potrebbe essere gestita la ‘nuova enoteca‘ post Covid-19. Si dovrà razionalizzare e investire, ma deve esserci disponibilità anche dall’altra parte”.
“I clienti dei ristoranti – commenta Scarcelli – sono abituati a cercare le etichette scoperte per consumarle anche a casa, ma in Gdo numerose cantine offrono linee alternative. Crediamo sia arrivato il momento di fare un passo avanti, per i consumatori, fornendo alla Grande distribuzione le stesse etichette, senza timore di offendere l’Horeca”.
I numeri del vino di Coop sono quelli di una cantina gigante. Nel 2019 ha venuto 40 milioni di bottiglie a Denominazione e 15 milioni di bottiglie di spumanti. Sono 40 i milioni di litri di vino generico da tavola finiti nel carrello della spesa dei clienti della Cooperativa, principalmente nei formati bag in box, brik e dame.
Il 50% del vino venduto è sottoposto a promozione, a differenza dei vini di alta gamma che – a parte rarissimi casi – non viene neppure sfiorato dalla leva promozionale. Forte di questi numeri, Scarcelli va ben oltre al sì al “Patto sul vino di qualità”, avanzando una proposta che potrebbe risultare vincente.
“Una buona idea per venire incontro sia ai vignaioli sia alla Gdo, che necessita di dare continuità al proprio assortimento, potrebbe essere quella di operare con ordini in assegnazione dalla sede centrale ai punti vendita, sulla base delle stime di rotazione delle singole etichette di nicchia, regione per regione e provincia per provincia”.
La disponibilità di Scarcelli è massima, nell’ottica di coordinamento dell’operazione dalla sede centrale di Coop Italia. “Siamo convinti di essere già sulla strada giusta, anche grazie all’inserimento di personale qualificato nei giorni di maggiore affluenza – chiosa il buyer Coop – ma sappiamo che si può sempre migliorare, se ognuno fa la sua parte”.A fare la loro “parte”, dall’altro lato dello scontrino, sono vignaioli Fivi come Enrico Drei Donà e Giorgio Perego: tutto tranne che figli di un tappo minore. Si tratta infatti di due produttori che, ai tempi di Covid-19, festeggiano le Nozze di Porcellana – quelle dei vent’anni – col mondo dei supermercati. Donà opera con Conad, a livello locale. Perego con Esselunga, con contratto nazionale.
Una scelta che i due esponenti della Federazione italiana vignaioli indipendenti, iscritti rispettivamente alle delegazioni Emilia Romagna e Oltrepò pavese, esibiscono senza vergogna. Auspicando l’apertura di un dialogo articolato di Fivi con la Gdo, sul modello di successo dei Vignerons Indépendant francesi.
C’è di più: Perego fa addirittura parte di VinNatur, l’associazione che raggruppa diversi produttori di cosiddetto “vino naturale”. Nulla di più lontano dalle logiche della Gdo. La Croatina “Myrtò” di Perego (senza solfiti aggiunti e certificata vegan) e il Sangiovese “Notturno” di Drei Donà, sono un esempio di come la grande distribuzione non sia solo fatta di grandi numeri e vino venduto in sottocosto.
“Nei confronti della Gdo – commenta Enrico Drei Donà – c’è una vera e propria mistificazione. La grande distribuzione è un canale di vendita come un altro, che negli ultimi anni registra una sensibilità crescente nei confronti delle produzioni di nicchia”.
Quella di Drei Donà è una delle aziende più strutturate di Fivi, con una capacità produttiva che si assesta attorno alle 140 mila bottiglie annuali, di cui circa 12 mila finiscono in Gdo, spalmate su tre etichette.
“Ho sempre considerato tutti i clienti alla pari – sottolinea Drei Donà – compresa la Gdo. Purtroppo nell’ambiente c’è un po’ di snobismo. La stessa Fivi potrebbe trovare nella fascia prezzo che parte dai 9 euro, dove si colloca il Sangiovese ‘ Notturno’, ampi margini per un rapporto ottimale con la grande distribuzione, che al contempo non danneggi l’Horeca.
Più risicati i numeri di Giorgio Perego (nella foto, sopra). Quarantacinquemila bottiglie complessive per la sua cantina di Rovescala (PV), di cui 20 mila con la sola referenza realizzata in esclusiva per Esselunga. “Il rapporto con l’insegna – spiega Perego – è basato su un grande rispetto reciproco, su tutti i fronti. I pagamenti, a differenza di quanto avviene con alcuni ristoranti anche per cifre irrisorie, sono sempre puntuali, a 60 giorni dalla fattura“.
“In questo periodo di lockdown – continua il vignaiolo dell’Oltrepò pavese – la Gdo sta dando una grande mano a chi ha creduto in questo canale. Io produco vini senza solfiti aggiunti e vendo molto ai privati. Sono dunque un vignaiolo tendenzialmente lontano dalle logiche dei grandi volumi, eppure non capisco come si possa ancora, nel 2020, bistrattare la Grande distribuzione“.
Vorrei anche io un maggiore servizio nei punti vendita ma non solo per le mie etichette. Credo che la presenza di un esperto nella corsia vini dei supermercati sia una conquista culturale”.
“Un elemento che vada a sostegno della cultura del vino, in cui investono sempre più persone in Italia, sempre più capaci di distinguere tra le etichette di marketing e le etichette buone e basta, che non facciano venire il mal di testa il giorno dopo e rispettino l’ambiente e la filiera produttiva. Non smetterò mai di dire che la Gdo è un’opportunità. Anche per i vignaioli veri”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Domanda secca, risposta che divide: “Se domani aprisse il tuo ristorante preferito, ci andresti entro la prossima settimana?”. Il risultato del sondaggio condotto sulla pagina Facebook di WineMag.it e Vinialsuper.it si è concluso con un 46% di “Sì, senza dubbio” e un 54% di “No, farei comunque passare più di una settimana. Al momento Coronavirus mi preoccupa e spaventa”.
Per l’esattezza, su un campione di 201 votanti, 109 si sono espressi per il “No”. Poco meno le persone che tornerebbero al ristorante senza farsi troppe domande, fiduciose nonostante tutto: 92.
Nei commenti al post, tutta l’incertezza della situazione della ristorazione italiana e dell’Horeca, alle prese con l’emergenza Covid-19 e con gli interrogativi – o meglio la necessità, per la sopravvivenza stessa delle aziende del comparto – di una riapertura pressoché immediata. Senza aspettare giugno, come disposto dal Governo.
“Dal mio punto di vista – scrive Gaetano R. – posso solo sperare in un atteggiamento responsabile e consapevole da parte di tutti. Da un lato ambienti puliti e utilizzo di dpi che rassicurino il cliente, dall’altro clienti che capiscano che sedersi tra tavoli distanziati in ambienti puliti può essere più sicuro che andare al supermercato, per esempio”.
Davide B. aggiunge: “Abbiamo due problemi. Quello più importante deriva dal fatto che i più non percepiscono reddito da 2 mesi, e quindi la vedo dura che abbiano la possibilità; il secondo è l’effettivo pericolo di contagio.
Ora sul secondo sta nel ristoratore ispirare fiducia nel consumatore. Sul primo non c’è molto da fare”.
“Ho timore del Coronavirus e non andrò per un bel po’ al ristorante”, commenta Vittorio C.. “Sì andrei – risponde Lori R. – magari non potrò più permettermi un pranzo completo ma ci andrei per incoraggiare la categoria. Andrei anche al bar e dal parrucchiere. E poi fino a poco fa ci ammassavamo nei supermercati, cosa ci stiamo raccontando? Comunque il gestore mi deve dare fiducia“.
Andrea è tranchant: “Senza pagliacciate di mascherine, plexiglas ecc, ecc, senza dubbio”. Gli fa eco Roberto G.: “Se per andare al ristorante bisogna indossare mascherina, guanti e stare tra lastre di plexiglas allora no, preferisco aspettare ancora quando si potrà andare normalmente“.
“Andrei subito perché ho piena fiducia nella ristorazione di qualità”, commenta Piero C., mentre Mony R. non aspetta altro che “fiondarsi subitamente nel bar per un buon espresso, per il ristorante aspetterei”. Lia M. è in linea con questo parere: “Aspetterei”.
Fanno seguito un elenco di no. “Con quali soldi?”, si chiede Gabriele C.. “No, non riuscirei a gustare un pranzo in modo rilassato”, fa eco Giovanni F.. Nessun dubbio anche per Gian Paolo G.: “No – scrive – andrei al mare”.
Un pubblico eterogeneo quello della pagina Facebook delle nostre due testate. Diecimila persone circa, tra consumatori abituali di vino nell’Horeca e in Gdo, amanti dei cosiddetti “vini naturali”, professionisti e operatori del settore Food & Beverage come sommelier ed enologi, ma anche colleghi della stampa.
Sui risultato del sondaggio, tutto sommato prevedibile, incidono le tempistiche di un ritorno alla cosiddetta normalità, davvero inimmaginabili con esattezza. D’altro canto, non è solo la paura del contagio a far titubare il pubblico Facebook di Vinialsuper WineMag.
Ad aleggiare c’è anche la perplessità verso le nuove “restrizioni”. Non aiuta il fronte “portafoglio“, con la crisi economica che ha toccato in molti. Dipendenti posti in cassa integrazione che all’orizzonte intravedono un possibile licenziamento, ma anche liberi professionisti “liquidati” con 600 euro dall’Inps.
Siamo pronti (forse) a riprendere la vita di prima. Ma a piccoli passi, soprattutto in uno scenario completamente diverso. Quella libertà tanto reclamata durante la quarantena spaventa e frena i consumi. Chi immaginava che la luce si riaccendesse improvvisamente, come dopo un blackout, non può che essere rimasto deluso.
Appare sempre più evidente che non sarà così, ancora per molto. E in questo contesto tornano in mente le parole del “Signor G.”, Giorgio Gaber: “La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”. Perché senza la consapevolezza della nostra libertà non possiamo davvero sentirci liberi.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Szekszárd, Ungheria meridionale: 160 chilometri a sud di Budapest, giù in linea retta. Meno di un’ora di strada dal confine con Serbia e Croazia. È qui che Zoltán Heimann ha deciso di piantare un ettaro di Sagrantino. L’uva che ha reso noto in tutto il mondo il borgo medievale umbro di Montefalco si è adattata bene al microclima e al terreno ricco di loess della regione vitivinicola ungherese di Tolna, di cui Szekszárd è capoluogo.
Un groviglio di valli soleggiate, che si distende a mano aperta lungo il 46° parallelo. Lo stesso di Egna e Montagna, in Alto Adige. Della Borgogna, in Francia. O della Willamette Valley, nell’Oregon. Una delle zone più vocate alla produzione dei vini rossi ungheresi, che qui risultano eleganti, speziati, generalmente agili e “pronti”.
Il tannino del Sagrantino, unito alla sua capacità di dare vita a vini da lungo affinamento, fa da spalla alle varietà Cabernet Franc e Kékfrankos in “Franciscus” e in “Grand“, due delle etichette top di gamma di Heimann Családi Birtok.
Ma si trova anche in “Sxrd“, vino fresco e moderno che suggella il cambio generazionale in corso tra i coniugi fondatori della cantina, Zoltán e Ágnes, e il figlio enologo Zoltán Jr, artefice della nuova e accattivante linea “Heimann & Fiai” (vini in vendita anche in Italia dal 2021, sull’e-commerce vinoungherese.it, di cui WineMag.it è Media partner).
Il tutto grazie al consiglio del consulente francese della cantina ungherese, che agli esordi del progetto – nel 1998 – suggerì a Zoltán Heimann di piantare a Szekszárd anche mezzo ettaro del vitigno tipico dell’Umbria, oltre a qualche filare di Tannat.
A distanza di 18 anni dal primo impianto, avvenuto nel 2002 grazie alle barbatelle giunte dall’Alto Adige tramite i vivai ungheresi Teleki-Kober, entrerà in produzione un altro mezzo ettaro di Sagrantino, che andrà addirittura a sostituire una porzione di Syrah.
“Ho imparato a conoscere nel tempo questa varietà – racconta Mr. Heimann a WineMag.it – e l’occasione di assaggiare per la prima volta il vino di Montefalco è capitata a Lucca, all’inizio del Duemila. Entrai in una wine boutique del centro e chiesi una bottiglia di Sagrantino. Ricordo ancora lo stupore dell’uomo che si trovava dall’altra parte del bancone. Faticò non poco a trovare una, ma alla fine riuscì a soddisfarmi”.
Nel 2012, dopo aver prodotto diverse edizioni di “Franciscus” e la prima di “Grand”, Zoltán Heimann torna in Italia e fa tappa in Umbria. Sempre a caccia di nuovi assaggi di Sagrantino, sceglie due cantine dalle filosofie diametralmente opposte.
“La Arnaldo Caprai – spiega il produttore ungherese – dall’impronta moderna e internazionale, e quella più artigianale di Paolo Bea. Mi trovai molto più a mio agio con la versione meno opulenta del Sagrantino di Bea, che ancora oggi cerchiamo di proporre a Szekszárd, nell’uvaggio con Cabernet Franc e Kékfrankos. Con Marco Caprai ho avuto modo di confrontarmi ancora a ProWein, negli anni scorsi”.
Assaggi che hanno aiutato a trovare ben presto la quadra per la vinificazione del Sagrantino alla Heimann Családi Birtok. La raccolta avviene generalmente a metà ottobre. La fermentazione avviene senza raspi, in acciaio. I rimontaggi, due volte al giorno, aiutano l’estrazione ottimale dei polifenoli.
Il mosto riposa a contatto con le bucce per un periodo compreso fra 20 e 30 giorni. La malolattica, svolta in acciaio, anticipa il trasferimento in botti da 1000 litri. Dopo un anno di riposo viene effettuato il taglio con Cabernet Franc e Kékfrankos. Il nettare, dopo un ulteriore affinamento in legno di circa un anno, viene imbottigliato e messo in commercio.
LA DEGUSTAZIONE
Védett eredetű száraz vörösbor Szekszárd Pdo 2017 “Franciscus”: 92/100 Etichetta che sarà in commercio a partire dalla fine del 2020. Siamo di fronte alla migliore espressione assoluta di Sagrantino di Heimann Winery, in attesa di un’ancor più promettente vendemmia 2018 (94/100) e da una buona 2019 (entrambe degustate da botte, la prima a taglio già effettuato).
Il vino si presenta di un rosso rubino carico, luminoso. Prezioso il gioco tra fiori, frutto e spezia, al naso. Le note fruttate, molto precise e scandite, risultano ben amalgamate ai ricordi vegetali del Franc, con virata netta sullo stecco di liquirizia.
Il tannino del Sagrantino è vivo, ma elegante e integrato, pronto evidentemente ad addolcirsi ulteriormente, negli anni. Un bel modo di raccontare il terroir di Szekszárd tra potenza, eleganza e attitudine al lungo affinamento.
Védett eredetű száraz vörösbor Szekszárd Pdo 2016 “Franciscus” (13,5%): 88/100
Un rosso che abbina potenza e morbidezza, rispecchiando perfettamente il carattere di una vendemmia caratterizzata dalla pioggia, nel periodo della raccolta delle uve.
Manca un po’ di struttura e un po’ di materia nella componente fruttata, come rivelano i richiami verdi leggermente preponderanti del Franc. Nel complesso, un vino che si fa bere con sufficiente agilità, orfano del nerbo riscontrabile nelle altre annate.
Oltalom allat álló eredetmegjelölésű száraz vörösbor Szekszárdi Borvidék 2012 “Grand” (15%): 90/100 Nel 2012, l’uvaggio di “Franciscus” entra nel progetto di costruzione di un’etichetta in collaborazione con altri quattro produttori della zona: un blend in grado di elevare l’immagine dei rossi di Szekszárd. Il risultato è eccellente.
Un vino ungherese dall’anima internazionale, con la potenza del Sagrantino che si fonde con le note profonde del Cabernet Franc e il frutto elegante, preciso e croccante del Kékfrankos.
Oltalom allat álló eredet-megjelölésű vörösbor Szekszárdi Borvidék 2008 “Franciscus” (14,5%): 91/100 È la prova del nove per il Sagrantino di Szekszárd: quella della longevità. Il vitigno umbro dà carattere a un vino che risulta perfettamente intatto, uscito vittorioso dalla battaglia con le lancette, sin dal colore. Il risvolto più “selvatico” del Sagrantino fa capolino per la prima volta al naso, contribuendo ad allargare lo spettro di sensazioni.
Si passa dalla viola appassita a un frutto di bosco di gran precisione, attraverso preziosi richiami di liquirizia e accenti goudron. Perfetta la corrispondenza gusto olfattiva. Tannino perfettamente integrato e sorso piuttosto agile, ma tutt’altro che banale. Buono anche l’allungo, su una preziosa venatura salina che chiama il sorso successivo.
Cuvée 2017 “Sxrd” (13%): 85/100
Il Sagrantino figura in piccola misura nell’uvaggio di “sXRd”, modernissimo vino rosso ottenuto in prevalenza da Cabernet Franc, Merlot e Kékfrankos . Un “moderno”, anello di congiunzione tra lo stile tradizionale di Zoltán senior e consorte e quello nuovo di Zoltán Jr.
Siamo di fronte al classico rosso “da frigo”, di quelli da bere anche d’estate. A canna. È in questa dimensione che dà il meglio di sé, anche a tavola. Un vino che fa facilità di beva uno stile, a prescindere dal vitigno e dalla zona di produzione.
Etichette come questa, capaci come poche di incontrare il gusto dei Millennials internazionali e di introdurli piacevolmente al complesso mondo del vino, meriterebbero una “categoria” a sé, a livello internazionale.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
EDITORIALE – Civitella d’Agliano Igt, Colli Cimini Igt, Frusinate Igt e Lazio Igt. Sono le quattro le Igt (Indicazione geografica tipica) in cui figura il Primitivo, nel Lazio. Si aggiunga alla lista anche la Dop Matera, in Basilicata e il Falerno del Massico Doc, in Campania. Eppure, nelle scorse ore, dopo le pressioni ricevute dalla filiera pugliese (Consorzi, Confcommercio, Gal) la ministra Teresa Bellanova ha escluso la possibilità che il vitigno più noto della Puglia venga autorizzato in Sicilia. Un’ottima notizia per la Glera palermitana, i cui ettari vitati sono in crescita sull’isola, dal 2009.
L’uva con la quale si produce il Prosecco (in Veneto e Friuli) continuerà ad essere il vitigno minore più allevato in Sicilia. Senza il rischio della “concorrenza” del pugliese. “Mai consentirò che una bottiglia di vino siciliano Dop o Igp possa chiamarsi Primitivo”, riferisce la titolare del Mipaaf in una nota.
“La legislazione Europea e i corrispondenti Decreti nazionali, come sa chi li conosce – continua Bellanova – proteggono i riferimenti territoriali, le cosiddette indicazioni geografiche, ma non creano la protezione giuridica delle varietà né impediscono che quelle uve possano essere coltivate anche altrove”.
“Purtroppo questa è un’epoca in cui nessuno più studia o semplicemente si documenta ed è ben triste una politica che cavalca qualsiasi cosa pur di guadagnare un po’ di visibilità, ingenerando confusione e peraltro legittimando aspettative di tutti i generi”, è l’attacco della ministra al governo siciliano, guidato da Nello Masumeci.
“Eppure anche sul sito del Ministero è possibile reperire tutte le indicazioni necessarie proprio sulle Indicazioni geografiche che rappresentano un’eccellenza indiscussa della nostra filiera alimentare e il legame inscindibile tra territori e eccellenze produttive, soprattutto nel caso del vini e delle oltre 500 cultivar che fanno del nostro Paese un unicuum“.
La guerra del Primitivo sembra essere così terminata, a pochi giorni dalla chiamata alle armi del consigliere Pd pugliese Dario Stefàno, che senza mezzi termini ha parlato di “abuso” e “insopportabile mistificazione delle autoctonie” da parte della vicina Trinacria.
In Sicilia, come in altre regioni italiane – sottolinea Bellanova – non si può impedire, dopo necessaria sperimentazione, l’impianto di viti Primitivo ma i vini Dop e Igp ottenuti non potranno mai essere etichettati con l’indicazione in etichetta del nome del vitigno Primitivo”.
Nel Dm del 13 agosto 2012 (allegato 2) è infatti indicato senza equivoci come quella varietà “Primitivo” possa essere solo usata nell’etichetta di vini Dop o Igp della Puglia e delle regioni: Basilicata, Campania, Abruzzo, Umbria, Lazio e Sardegna“
“Pertanto – precisa Bellanova – nulla vieta che anche la Sicilia, dopo adeguata sperimentazione, lo classifichi prima in osservazione e poi lo dichiari eventualmente idoneo alla coltivazione. Resta il fatto che la coltivazione del vitigno Primitivo non consente in aree diverse dalle Dop e Igp indicate nel Dm 13 agosto 2012 (allegato 2), l’uso del termine varietale sulla bottiglia di Primitivo”.
Poi, l’ultima staffilata a Masumeci (nella foto sopra): “Una accortezza maggiore sarebbe consigliata anche in questo caso perché non si ingenerino allarmi ingiustificati e conflitti tra Regioni, soprattutto del Mezzogiorno che, anzi, dovrebbero e potrebbero fare della qualità e della valorizzazione delle loro eccellenze una battaglia comune e una strategia di posizionamento globale“.
La questione, in realtà, è ben più profonda e legata, certamente, alla potenzialità (commerciali) che la Sicilia potrebbe esprimere con il Primitivo in una (o più) delle proprie Igt o Dop, rispetto ad altre regioni italiane.
Qualcosa in grado di minare – ed ecco dunque il perché del feroce attacco alla Sicilia da parte della filiera pugliese, che non sembra affatto curarsi del Primitivo in altre regioni – un giro d’affari da 140 milioni di euro. Sono quasi 17 milioni i litri imbottigliati nel 2019: oltre 23 milioni di bottiglie, il +12% in più rispetto al 2018.
MA LA GLERA NO
A onor del vero, non può che essere di natura puramente commerciale la scelta della Sicilia di puntare sul Primitivo. E sarebbe ancora più lecito, se non fosse che l’isola l’isola dimentichi di valorizzare i vitigni già presenti.
Non ultimo il simbolo Nero d’Avola, rientrato in una Doc regionale che ha poco senso (almeno così come concepita oggi) per un vitigno così grandiosamente e diversamente espressivo, in base al singolo terroir in cui è presente: provare per credere la differenza tra un Nero d’Avola agrigentino e uno di Noto e Pachino.
Il management del vino siciliano esclude, peraltro, la necessità stessa di un lavoro di approfondimento sul vitigno, con una zonazione che potrebbe valorizzare le caratteristiche delle singole sottozone ed elevare – realmente – la qualità della produzione, consentendo di poterla esprimere anche in etichetta. Ben oltre, insomma, il divieto alla produzione del Nero d’Avola Igt.
Ma il vero mistero siciliano resta la Glera, autorizzata in diverse Igt sicule senza che il Veneto abbia mai mosso un dito (neppure il mignolo, per intenderci). Il noto vitigno a bacca bianca è stato introdotto in diversi disciplinari siciliani nello stesso anno in cui la varietà ha prendeva una strada diversa dal vino spumante Prosecco, il 2009.
Oggi la Glera è il “vitigno minore” più allevato in Sicilia, con 127 ettari sui 245 complessivi delle varietà prive di storicità, non autoctone o tradizionali. Evidente come la Glera palermitana sia meno “scomoda” del Primitivo pugliese, in Sicilia.
La politica (di destra e di sinistra) farebbe dunque bene a evitare di usare come colluttorio parole quali autoctonia, o formule retoriche come abuso del vitigno o mistificazione del chicchessia. Che ormai, le Dop, in Italia, hanno quasi tutte a che fare con una cosa sola: il commercio.
La solerzia con la quale Bellanova ha messo fine (forse) in poche ore alla “guerra del Primitivo” tra Puglia e Sicilia, non fa che confermarlo. Dall’altra parte della barricata, centinaia di famiglie del comparto vino ancora attendono misure concrete (o anche solo risposte alle proposte) per sollevarsi dalla crisi Covid-19. Cin, cin.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Riconosciuto a livello internazionale come una delle leggende enologiche italiane, il Cerasuolo d’Abruzzo dell’Azienda Agricola Valentini conferma la sua fama di grande vino rosato anche con la vendemmia 2016.
LA DEGUSTAZIONE
Il vino si presenta di un rosa corallo, un colore che potremmo definire “di evoluzione”, carico ed apparentemente impenetrabile. Impronta olfattiva profonda, che si apre progressivamente, continuando a regalare diversi profumi in successione. Sentori di frutta, in particolare fragoline di bosco e scorzette d’arancia, poi pietra bagnata ad anticipare terziari avvolgenti.
L’ingresso in bocca è rotondo, morbido. Sapidità e mineralità sono perfettamente amalgamate, mai ruvide. Ricorda quasi un vino rosso vestito da rosato. Una bella struttura supporta l’intero sorso, forte di una coinvolgente carica di freschezza.
Il tutto verso una chiusura lunga, caratterizzata da una mineralità difficile da dimenticare. Un vino ha ancora molto da dire, nel futuro. Caratteristica da non sottovalutare, considerando che si tratta di un vino rosato.
LA VINIFICAZIONE
Uve 100% Montepulciano coltivate attraverso lotta integrata e figlie di una vendemmia, la 2016, particolarmente fortunata. Naturalità anche nel processo di vinificazione: fermentazione spontanea in grandi botti (35 hl) di rovere senza controllo delle temperature e senza filtrazioni. Botti nelle quali il vino affina per 12 mesi, prima di passare in bottiglia dove riposerà ancora per almeno un altro anno.
Nome noto agli appassionati, l’Azienda Agricola Valentini di Loreto Aprutino (PE) rappresenta la realtà storicamente più antica della regione Abruzzo. Presente dal 1650, è conosciuta da decenni in tutto il mondo grazie alle eccellenti produzioni di Montepulciano d’Abruzzo, Cerasuolo e Trebbiano.
Attività fondata da Camillo Valentini premiato già nel lontano 1821 per un eccellente Trebbiano D’Abruzzo, e proseguita dal compianto Edoardo, che ha saputo centrare i migliori successi ed ora brillantemente condotta da Francesco Paolo. Un “artigiano del vino”, come che ama definirsi.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
ROMA – “Uso dell’alcol di emergenza, distillazione controllata, vendemmia verde con risarcimento al viticoltore e ammasso privato”. Queste le richieste che la filiera del vino intende portare all’attenzione del Ministro delle Politiche Agricole, Ambientali e Forestali, Teresa Bellanova, per superare lo stallo del comparto generato da Covid-19. Ecco dunque la terza lettera indirizzata al governo da Confagricoltura, Cia, Alleanza delle Cooperative Italiane, Copagri, Unione Italiana Vini, Federvini, Federdoc e Assoenologi.
È attesa da giorni anche una risposta di Bellanova alla proposta avanzata da WineMag.it in merito a un potenziale “soccorso” della Gdo al settore Horeca, con la mediazione del Ministero, per stilare un “Patto sul vino di qualità” nella Grande distribuzione organizzata. Un’idea che piace a Coldiretti nazionale e che gode del favore del segretario generale di Unione italiana vini (Uiv), Paolo Castelletti.
Le nuove richieste delle associazioni di filiera convergono con quelle contenute nel Piano Salva Vigneti di Coldiretti, nonché sulla proposta di Assodistil relativa alla distillazione volontaria. Un’ipotesi, quest’ultima, ormai al vaglio del Mipaaf, come confermato proprio ieri da Bellanova.
“Per il settore vitivinicolo – ha annunciato il ministro – stiamo valutando un intervento per la distillazione volontaria. La priorità è utilizzare i fondi Ocm, chiedendo l’attivazione della misura distillazione di crisi a livello Ue”.
“Prima però – ha aggiunto Bellanova – occorre verificare quante risorse dell’Ocm non saranno spese entro il 15 ottobre 2020. Nel caso l’intervento non dovesse essere sufficiente proporremo nel DL una misura specifica integrativa”.
La crisi del settore del vino al cospetto di Covid-19, del resto, unisce in un unico coro piccoli e grandi produttori. Lo dimostrano i recenti appelli a Bruxelles della Confédération européenne des vignerons indépendants (Cevi, a cui per l’Italia aderisce Fivi) e dell’European Federation of Origin Wines (Efow).
LE PROPOSTE DELLA FILIERA
“In questo momento la priorità è garantire liquidità, fondamentale per la sopravvivenza dell’impresa e dei suoi dipendenti, in attesa della ripartenza delle attività economiche”, ribadiscono le organizzazioni dopo la prima lettera in materia di misure economiche e fiscali a sostegno della liquidità delle imprese e la seconda sulla concessione di proroghe nella tempistica delle domande Ocm e di deroghe nell’esecuzione dei programmi, investimenti e promozione.
Le proposte riguardano il sostegno del mondo agricolo e vitivinicolo in particolare per il quale la filiera chiede l’avvio di un confronto immediato con l’obiettivo di individuare al più presto una strategia di sostegno e rilancio del settore, uno dei comparti agricoli più rilevanti per l’economia italiana.
Nello specifico, sono quattro le ipotesi avanzate dal mondo del vino per far fronte all’impatto dell’emergenza sul mercato vitivinicolo, in particolare nel segmento on-trade e nella vendita diretta in cantina, caratterizzato da una riduzione delle vendite.
La prima proposta riguarda l’uso dell’alcol per l’emergenza con l’opportunità per i produttori vinicoli di destinare vino da tavola in giacenza alla distillazione, al fine di ricavarne alcol ad uso medicale, a disposizione della Protezione Civile.
Le distillerie si dovrebbero fare carico del prelievo del prodotto, del trasporto e della distillazione. Resta inteso che, in questa catena, nessun anello dovrà conseguire un profitto. A ciò si aggiunge la necessità di fissare una misura di distillazione per far fronte alle giacenze e alla potenziale mancanza di capienza nelle cantine per le uve e i mosti per la prossima vendemmia.
Le organizzazioni ritengono però che debbano essere poste alcune specifiche condizioni per l’attivazione che, innanzitutto, “deve restare volontaria e non obbligatoria“. “Inoltre dovrà essere finanziata da adeguate risorse economiche, preferibilmente all’interno di un nuovo budget di emergenza per il settore a livello europeo”.
Con l’obiettivo, spiega la filiera del vino italiano, “di porre rimedio allo shock di mercato e alle conseguenze patite dai produttori, evitando distorsioni nel segmento dell’alcol uso bocca“.
Allo stesso tempo, “la misura della distillazione dovrà essere seguita, già a partire dalla prossima campagna vitivinicola, da una modifica delle disposizioni nazionali in materia di rese massime di uva per ettaro per i vini non a indicazione geografica, che tenga tuttavia conto delle diverse specificità produttive territoriali.
VENDEMMIA VERDE CON RISARCIMENTO
Tra le proposte più significative avanzate dalla filiera del vino a sostegno del settore agricolo c’è anche la misura della vendemmia verde. La filiera auspica che la misura possa essere attivata dalle regioni, con l’obiettivo di ridurre la produzione per la successiva campagna vendemmiale e che il Ministero proceda a una rimodulazione dell’attuale dotazione del Pns.
“In via generale – spiega la filiera – lo strumento della vendemmia verde, è destinato all’eliminazione del prodotto mentre si potrebbe esplorare la possibilità di introdurre una nuova misura transitoria destinata alla riduzione volontaria delle rese con un risarcimento al viticoltore o procedere con una modifica della misura stessa”.
“Data la mancanza di forza lavoro nella fase dell’anno nella quale la vendemmia verde è normalmente attivata (mese di giugno), il mondo del vino chiede inoltre lo spostamento del calendario, dando la possibilità di esercitarla anche nel mese di luglio”, continuano le associazioni nella terza lettera inviata alla ministra Teresa Bellanova.
L’ultima richiesta della filiera riguarda invece la possibilità, per alcune produzioni vitivinicole temporaneamente eccedenti o con difficoltà di sbocco sul mercato, di ricorrere all’ammasso privato per una parte del quantitativo in giacenza.
Questa misura, che piace appunto anche ai vigneron europei della Cevi, “potrebbe essere di supporto per alcune produzioni da invecchiamento che non troverebbero subito mercato nei mesi estivi quando auspicabilmente potrebbe riaprire il canale Horeca“.
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EDITORIALE – “Unione italiana vini è disponibile al confronto e pronta a condividere idee e proposte su come il vino italiano potrebbe essere valorizzato ancora di più attraverso la Grande distribuzione organizzata“. Il segretario UivPaolo Castelletti commenta così la proposta di WineMag.it di un tavolo coordinato dalla ministra Teresa Bellanova al Mipaaf, che coinvolga i principali attori della filiera del vino italiano – comprese le realtà al momento estranee dal segmento Gdo come la Federazione italiana vignaioli indipendenti (Fivi) o VinNatur – allo scopo di redigere un “Patto sul vino di qualità” nella Grande distribuzione.
Un avallo, quello di Uiv, che arriva a pochi giorni da quello di Coldiretti, che si è detta pronta ad aderire alla discussione attraverso il responsabile nazionale settore Vino, Domenico Bosco. Una soluzione, quella del tavolo ministeriale Gdo-Horeca, che potrebbe avere risvolti positivi anche al termine dell’emergenza Covid-19, preservando almeno in parte le piccole e medie imprese dal pericolo dei dazi internazionali.
“Non dimentichiamo – sottolinea Paolo Castelletti – che già oggi, e sempre di più, la Gdo è orientata a offrire al consumatore la più vasta gamma di prodotti, anche ad alto valore aggiunto. Al contempo, la crisi che stiamo vivendo da più di un mese, oggi mette in ginocchio, più di ogni altra cosa, il canale on-trade, dove si vende il 33% del vino italiano, vale a dire circa 7 milioni di ettolitri solo in Italia. “Un segmento martoriato dal ‘lockdown’ e dall’azzeramento del turismo”.
“Chiediamo perciò al governo misure a favore di queste imprese – aggiunge a WineMag.it il segretario di Unione italiana vini – soprattutto Pmi con una forte propensione al mercato nazionale, che più di ogni altro stanno pagando la crisi, con ingenti interventi di liquidità”.
“Fondamentale, infine, dare ristoro al mondo horeca: temiamo, infatti, che tanti piccoli esercizi (enoteche, ristoranti, wine bar) possano scomparire a seguito della crisi. Quindi diciamo: bene i tavoli con la Grande distribuzione, ma allarghiamo la discussione a tutti gli attori di tutti i segmenti dove le aziende hanno creato valore, altrimenti la ripresa sarà molto dura”.
Mentre è attesa per le prossime ore una presa di posizione ufficiale della ministra Teresa Bellanova, i rumors che arrivano dall’Horeca e dalla Gdo risultano sempre più preoccupanti.
Da un lato centralini intasati dei buyer delle maggiori insegne nazionali della Grande distribuzione organizzata, chiamati a rispondere al pressing di numerose cantine – anche di grandi dimensioni – ora disponibili alla vendita delle linee di vini Horeca sugli scaffali della Gdo (impensabile, prima della crisi Covid-19).
Dall’altro, numerose cantine abituate a operare prevalentemente nei supermercati stanno contattando i pochi operatori Horeca rimasti aperti (prevalentemente enoteche, in importanti città italiane, come Milano) per “piazzare” a prezzi stracciati interi bancali di vino a Denominazione (Doc e Docg).
Una situazione paradossale, che dimostra la necessità di interventi immediati da parte del Governo, utili a evitare intrecci d’interessi incompatibili, se non regolamentati all’interno di un “Patto sul vino” che preservi gli operatori e i vignaioli abituati a dialogare con l’Horeca e offra alla Gdo la possibilità (forse irripetibile) di alzare l’asticella della qualità del vino a scaffale. Nell’interesse assoluto del Made in Italy enologico.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
In questo periodo difficile per tutti, noi di WineMag.it e Vinialsuper.it abbiamo scelto di confermare in maniera ancora più ferrea la nostra linea di rispetto assoluto nei confronti dei lettori, che si manifesta da sempre nella netta differenziazione tra pubblicità e informazione.
Riteniamo questo punto fondamentale per dare il nostro contributo a un settore, quello della stampa enogastronomica, che soffre di una crisi di autorevolezza e credibilità – al di là della congiuntura economica – proprio a causa del progressivo svilimento etico e deontologico, che genera inaccettabili commistioni tra pubblicità e giornalismo.
Tutti lo sanno, nessuno ne parla: ebbene, abbiamo deciso di rompere il ghiaccio, costi quel che costi, sperando di essere seguiti da altri e di non rimanere soli con le spalle al muro, come spesso capita in Italia a chi alza la mano per primo. In ogni caso, è un rischio che deve assumersi chi ha a cuore l’informazione prima del portafogli.
Non intendiamo dunque partecipare ad alcun “tasting online”, “Splashmob”, “degustazione virtuale” proposta dagli uffici stampa in questi giorni alle nostre testate. Crediamo che qualsiasi cantina che intenda parlare, attraverso i nostri canali, con i nostri lettori, debba consentirci di veicolare correttamente tali attività codificandole come “pubblicità”, al posto di mascherarle da “informazione”.
Non sappiamo come arrivino a fine mese molti colleghi. Di certo, noi di WineMag.it e Vinialsuper.it non siamo in grado di vivere grazie ai campioni gratuiti che le aziende (generosamente) sono abituate ad elargire a testate e blog vari, grazie alla mediazione di uffici stampa lautamente retribuiti.
Intendiamo dunque interrompere il cordone ombelicale, consci che questa scelta ci costerà ulteriori problemi in un settore che vive di ripicche e vendette trasversali, specie nei confronti di chi non cede al paradigma del “do ut des”. Cordiali saluti
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Da oggi, acquistare la guida “TOP 100”migliori vini italiani di WineMag.it su Amazon Kindle aiuta a combattere l’emergenza Coronavirus (Covid-19). Abbiamo infatti deciso di devolvere al 100% il denaro raccolto dalle vendite della nostra guida ai migliori vini degustati nel 2019.
In particolare, i proventi saranno devoluti all’associazione Fraternita di Misericordia di Arese, comune alle porte di Milano, in Lombardia. I soccorritori sono incessantemente all’opera da giorni, per venire incontro alle necessità di centinaia di persone bisognose di soccorso e trasporto in ambulanza.
“Siamo un’associazione che lavora 24 ore su 24, sette giorni su sette – spiega il direttore generale Rossano Carrisi (nella foto, sotto) – e in questo periodo abbiamo immesso ulteriori risorse in servizio. Ad oggi sono cinque le ambulanze dedicate esclusivamente all’emergenza Covid-19, su turni di 12 ore”.
“La media degli interventi è di 7 per ogni turno di lavoro – continua il dirigente della Fraternita di Misericordia di Arese – dunque di circa 70 al giorno. Di questi servizi effettuati dalla nostra associazione, veicolati dal 118, l’80-85% riguarda Covid. I numeri, al momento, parlano chiaro: per un paziente che guarisce, uno muore“.
“C’è solo un modo per preservare il futuro del nostro Paese – conclude Carrisi – il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti: stare a casa, per non essere a nostra volta contagiati. Il virus viaggia tramite propagazione da contatto personale. Tutto quello che dobbiamo fare, dunque, è evitare i contatti e seguire le disposizioni”.
Con l’acquisto della guida “Top 100” migliori vini italiani di WineMag.it si aiuterà l’associazione a fronteggiare l’emergenza, assicurandosi al contempo una selezione dei 100 migliori vini italiani destinati al mercato Horeca (enoteche, hotellerie e ristorazione), premiati dalla nostra redazione su oltre 3 mila vini degustati nel 2019.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
EDITORIALE – La speranza è quella di sbagliarsi alla grande e di ritrovarci qui a sorridere, a giugno 2020, di fronte a una vana profezia. Nel concreto, l’impressione è che i tedeschi si siano informati in merito all’intenzione dei buyer internazionali di partecipare (o meno) a Vinitaly a giugno al posto che ad aprile, prima di annullare definitivamente Prowein 2020. L’evento veronese potrà infatti essere a sua volta cancellato, una volta recepite le perplessità dei “portatori d’interesse” internazionali.
Messe Düsseldorf non lo ammetterà mai. Ma se l’edizione annuale della più importante fiera internazionale del vino è stata rimandata al 2021, è perché il trade ha voluto così, non solo per Prowein. Ma anche per le nuove date di Vinitaly.
L’altra opzione è che in Germania siano tutti più responsabili e “puri” di noi italiani, interessati più agli affari che al “bene comune”, nel panico generato da Coronavirus: alzi la mano chi è disposto a crederci, ai tempi dello spread. Erhard Wienkamp, amministratore delegato di Messe Düsseldorf GmbH, ammette che rimandare Prowein 2020 al prossimo anno è arrivata in seguito a “un intenso dialogo con le nostre associazioni partner e con gli attori chiave del settore”.
Monika Reule, amministratore delegato del Deutsches Weininstitut (Dwi), l’Istituto del vino tedesco, sponsor di ProWein, appoggia Wienkamp. Tanto da parlare del “coraggio di Messe Düsseldorf di fare questo passo, che è interamente nell’interesse del settore vinicolo”.
Non c’è passo (utile) se non funzionale a un cammino. Quello di Prowein, di fatto, può essere letto come un invito a Veronafiere per Vinitaly. Allo scopo di saltare il giro, assieme, nel 2020. “A nostro avviso, ProWein ha risposto con attenzione, prudenza e correttezza a tutti i vantaggi e agli svantaggi”, commenta ancora Reule. “Correttezza”, appunto. Chi sarebbe stato scorretto?
Va registrato che anche Italia serpeggia il malumore per la decisione dell’ente fieristico veronese di rimandare Vinitaly al 14-17 giugno. Chi addita il caldo, chi il rischio che si tratti di un rinvio utile solo a mostrare i muscoli.
Fatto sta che Veronafiere, fatta di uomini e non d’alieni (quelli, forse, esistono solo in Germania) ha una bella gatta da pelare. Se non altro per non far passare gli italiani per “Demoni“, al cospetto dei (presunti) “Angeli” tedeschi. Del resto, Vox populi, vox Dei: le avvisaglie su un 2020 sfortunato c’erano tutte, con largo anticipo. Anno bisesto…
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
“Fivi faccia più sindacato, non solo il Mercato di Piacenza“. Con queste parole il vignaiolo Walter Massa commenta la decisione di non firmare la petizione lanciata da 140 produttori contro i dazi sul vino italiano prospettati da Trump, negli Usa. Tra i primi firmatari, alcuni nomi di spicco della Federazione italiana vignaioli indipendenti (Fivi), tutti molto attivi sui social: Marilena Barbera, Gianluca Morino e Michele Antonio Fino.
In ballo c’è il Made in Italy enologico negli Usa, che vale 1,7 miliardi di euro sui 4 complessivi dell’Ue. L’Italia, di fatto, è il secondo Paese esportatore di vino negli Stati Uniti, dopo la Francia. Ma nel documento, che sarà inviato alle istituzioni italiane ed europee, non viene mai nominata Fivi.
Dal canto suo, la presidente Matilde Poggi ha scritto al neo commissario all’Agricoltura e allo Sviluppo rurale Janusz Wojciechowski, sollecitando “un’azione politica condivisa da tutti i paesi europei”. “Ad oggi il Commissario non ci ha ancora risposto – ha fatto sapere Poggi agli associati – vi terremo aggiornati con la riapertura dei lavori a Bruxelles, dopo le festività”.
La presidente ha quindi invitato gli iscritti Fivi a firmare la petizione: “Un’azione politica – così la descrive Poggi (nella foto, sotto) – per difendere il nostro settore da queste scellerate minacce del governo americano. Il sostegno di ognuno di noi è importante”. Una sorta di “appoggio esterno” che non convince Walter Massa.
“Non ho firmato la petizione – spiega in esclusiva a WineMag.it il vignaiolo piemontese – per un discorso di coerenza. Sono ancora socio Fivi e, per questo, pretendo che Fivi inizi a lavorare e a pensare seriamente come Associazione”.
Questo conferma la sofferta decisione di candidarmi senza appoggi alle ultime elezioni con i risultati elettorali conseguenti e inizia a chiarire la mia posizione, che alcuni definirono ambigua”.
“In Fivi – continua Massa – trovo oggi un vuoto culturale, ideologico e propositivo che le impedisce di dire la sua. L’associazione è nata con delle idee, è sana, ha una presidente che stimo, ma è gestita da un direttivo privato di figure determinanti e che comprende alcuni membri culturalmente troppo fragili e lontani dal mondo dell’Agricoltura veracemente artigianale”.
Parole che pesano come macigni. “Fivi – prosegue Walter Massa – è nata per rappresentare i vignaioli italiani e portare avanti le loro istanze nei tavoli istituzionali, che siano europei, nazionali, regionali. Per questo credo che non si debba pensare solo al Mercato, ma di più al sindacato“.
Non tanto per fare paura a Trump o al suo successore – precisa – ma perché da intendersi come ‘sindacat‘, una parola che unisce chi ha un intento etico come quello voluto da me, Charrère, Pieropan, Pantaleoni, Bucci, Petrilli e altri, quando abbiamo fondato la Fivi, nel 2008″.
“La Fivi – sottolinea ancora il vignaiolo artefice del miracolo Timorasso – deve entrare nell’immaginario collettivo e far sì che chiunque si candidi ad elezioni politiche in Italia tenga in considerazione il ruolo della Federazione. Il Mercato Fivi di Piacenza è fondamentale e importantissimo, ma inizia e finisce nella testa dei winelover e degli addetti ai lavori”.
Nonostante ciò, Massa si dice fiducioso: “Confido in una presa di posizione ufficiale della Fivi, utile a far comprendere che l’agricoltura non può essere ostacolata dai dazi, né alimentata da contributi pubblici”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
EDITORIALE – Da un lato i dazi di Trump, che potrebbero decimare (se non annientare) le esportazioni di vino italiano negli Usa, soggette al 100% di ricarico. Dall’altro gli attacchi social di qualche produttore di vino del Belpaese alle “testate giornalistiche” italiane, colpevoli di non fare abbastanza informazione sull’argomento: “Tutto tace“, scrive per esempio il vignaiolo Fivi piemontese Gianluca Morino su Facebook. Un quadro che mette a nudo il sostanziale stallo – per non parlare della vera e propria involuzione – dell’editoria enogastronomica italiana. La situazione – se non fosse chiaro – è drammatica. Da una parte e dall’altra della bottiglia. O della penna, s’intende.
Chi chiede alla stampa di schierarsi non sa – o non considera – che il giornalismo (non solo quello enogastronomico) in Italia è sostanzialmente morto. Si scrive in prima persona, si attacca chi prova a cambiare il sistema, si accusa di far marchette chi, nella duplice veste di editore e direttore responsabile di una testata, cerca di tenere in piedi tra mille sacrifici personali gli unici due progetti editoriali “di rottura” presenti in Italia.
Una duplice veste dettata, appunto, dall’assenza di editori puri, interessati a promuovere contenuti più che pubblicità. Un invito spassionato giunga a chi oggi si appella alle “testate giornalistiche” contro i dazi di Trump: chiedete di difendervi – facendo i nomi – a chi vi prospetta premi per portare i vostri vini in giro per il mondo, per cifre che si aggirano attorno ai 30 mila euro.
Chiedete di prendere posizione a chi intasca i vostri soldi per due foto col vostro vino in mano pubblicate su Instagram, col nome dell’account che richiama l’Ais (Associazione italiana sommelier). Chiedete di difendere il Made in Italy enologico a quelle testate a cui pagate fior di redazionali, mai pubblicati come tali.
Perché chi si sorprende del silenzio, spesso, è lo stesso che alimenta forme alternative all’informazione professionale. E non è il caso di Morino. La stampa, insomma, pare tornar buona solo al momento del bisogno.
Potremmo scrivere tutti a Trump, o potremmo averlo già fatto, senza fare troppa pubblicità. Potremmo anche fare tutti fronte comune, ma per cosa? Cosa hanno fatto le istituzioni italiane, sino ad ora, per bloccare Trump?
Troppo poco, se non nulla. L’ultimo comunicato della ministra Bellanova (Mipaaf) riguarda un (seppur nobilissimo) bando Agea per gli indigenti. Non resta che sperare che resti qualcosa di buono sotto al ciuffo di Donald. Cin, cin.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Seconda edizione per la classifica “Top 100” di WineMag.it, dopo l’esordio nel 2018 consultabile online. Quest’anno la nostra selezione dei 100 migliori vini italiani “senza bandiera né razza”, che contempla assieme convenzionali, naturali, biologici, biodinamici e senza solfiti aggiunti, è in vendita su Amazon Kindle, a questo link. La guida è consultabile scaricando gratuitamente l’app di Kindle.
Nel 2019, la nostra redazione ha avuto modo di degustare circa 3 mila vini destinati al mercato Horeca (enoteche, hotellerie e ristorazione). La scelta delle migliori 100 etichette è giustificata da pochi, semplici dettami.
Al centro dell’attenzione, su tutto, la tipicità e il rispetto del varietale, che deve risultare scevro da condizionamenti dettati dal cosiddetto “gusto internazionale” e dalle scelte commerciali che tendono a uniformare le diverse Denominazioni del vino italiano.
Fortemente connesso al primo caposaldo c’è il nostro desiderio di sotterrare l’ascia dell’integralismo e del “razzismo enologico“: ciò che deve colpire è il vino, non la tecnica di produzione.
Altro focus della nostra classifica è sui produttori e vignaioli che puntano sulla valorizzazione delle espressioni dei singoli “cru” del proprio parco vigneti.
Riteniamo infatti che la cosiddetta “zonazione” sia un’arma in più in mano al Made in Italy enologico, nel mare magnum del vino internazionale. Non resta che augurarvi buone bevute con la classifica “Top 100” di WineMag.it. Cin, cin.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Due espressioni di Aglianico del Vulture in grado di intercettare palati differenti. Sotto la lente di ingrandimento di WineMag.it “Verbo” e “Terre di Orazio” di Cantina di Venosa, vendemmia 2017. Una degustazione comparativa utile a inquadrare due etichette di punta della cooperativa lucana.
“Verbo” è un vino moderno. Un’interpretazione accattivante dell’Aglianico, che guarda oltre i confini della Basilicata, con l’obiettivo di raggiungere anche i consumatori all’estero. “Terre di Orazio” è invece più tradizionale. Un vino che mette a nudo il nobile vitigno del Sud Italia, esaltandolo in tutta la sua tipicità.
LA DEGUSTAZIONE
Aglianico del Vulture Dop 2017 “Verbo”: 90/100
Unghia violacea. Fiori di viola e note fruttate intense, mora, lampone, spezie calde, garbate. In bocca bella pienezza, note frittate corrispondenti, bella persistenza. Tannino elegante di cioccolato, chiusura asciutta e salina, su ritorni di frutta molto precisi.
L’eta dei vigneti – situati a un’altezza media di 500 metri sul livello del mare – varia tra i 10 e i 20 anni, con una produzione per ettaro che si aggira attorno alle 8 tonnellate. Siamo nella parte orientale della Provincia di Potenza, in particolare nel Comune di Venosa.
Le uve vengono raccolte a mano, solitamente tra il 10 e il 30 ottobre. La macerazione pellicolare a temperatura controllata e il completamento della fermentazione alcolica e malolattica avvengono in serbatoi di acciaio inox.
L’affinamento si protrae per 12 mesi, in botti di rovere. “Verbo”, col suo gusto in grado di accontentare tutti, è il classico vino da arrosti, primi piatti tipici della cucina mediterranea, cacciagione e formaggi stagionati.
Aglianico del Vulture Dop 2017 “Terre di Orazio”: 92/100
Rosso rubino intenso, con unghia tendente al granato. Naso tra fiori e spezie, su un letto di frutti di bosco. Gran profondità che sfiora il balsamico, grazie a ricordi di mentuccia e radice di liquirizia.
Un vino che pare evidenziare con orgoglio la sua anima mediterranea, anche quando l’ossigenazione esalta terziari di tabacco, cioccolato e fondo di caffè, mai troppo invadenti. In bocca la parola d’ordine è eleganza, nonostante la gioventù del nettare renda il sorso ancora scalpitante.
Il frutto è di gran precisione. La vena salina è più marcata rispetto a quella di “Verbo” e fa da spina dorsale al nettare, assieme a una buona freschezza e a tannini presenti, ma non invadenti. Ottima la persistenza, su ritorni di frutta.
“Terre di Orazio” nasce da vigneti di età compresa fra i 15 e i 30 anni, situati fra i 450 e i 500 metri sul livello del mare, nel territorio di Venosa (PZ). Le uve vengono vendemmiate dal 15 al 30 ottobre.
Le uve, raccolte a mano previa accurata selezione, vengono riposte in cassette da 12-15 chili. La vinificazione avviene in piccoli fermentini, con macerazione pellicolare a temperatura controllata, tra i da 23 e i 26 gradi per circa 10 giorni. Fermentazione alcolica e malolattica proseguono in serbatoi inox, mentre l’affinamento si svolge in botti da 25 ettolitri per 15 mesi.
Un vino, “Terre di Orazio”, che pare la rappresentazione perfetta del sontuoso castello di Venosa (nella foto, sotto) per la sua capacità di abbinare struttura ed eleganza. A tavola è perfetto con arrosti di carni bianche, primi piatti saporiti e formaggi piccanti e speziati, con temperatura di servizio tra i 18 e i 20 gradi.
*** DISCLAIMER: La recensione di queste etichette è stata richiesta a WineMag.it dall’inserzionista, ma è stata redatta in totale autonomia dalla nostra testata giornalistica, nel rispetto dei lettori e a garanzia dell’imparzialità che caratterizza i nostri giudizi ***
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
MILANO – “Abbiamo avuto l’onore di incontrare poche ore fa il sindaco di Milano Giuseppe Sala, a cui abbiamo regalato una bottiglia di Chianti Classico 1946, anno in cui sono stati completati i lavori di ristrutturazione del Teatro alla Scala, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Un momento di ripartenza dell’Italia, così come il nostro Consorzio vuole ripartire da Milano per affermarsi in Italia”.
Così Carlotta Gori, direttore del Consorzio Vino Chianti Classico, in un’intervista esclusiva rilasciata a WineMag.it a margine dell’evento “Il Signore del Chianti Classico“, che ha visto il ritorno nel capoluogo lombardo del Consorzio che tutela la versione più tradizionale del vino toscano per antonomasia, dopo ben 13 anni.
“La rinascita del Teatro alla Scala – continua Gori – è stata un momento fondamentale per la città di Milano e di ripartenza di tutta l’Italia. Siamo convinti che non mancheremo per altrettanto tempo: saremo più rapidi nel tornare a Milano, la prossima volta”.
Un’assenza nella città motore dell’economia italiana che la stessa Gori giudica “ingiustificata”. “Forse – aggiunge sempre nell’intervista esclusiva rilasciata a WineMag.it – la nostra attenzione è stata molto spostata sui mercati internazionali, in questi anni”.
“Ma con il 2019 riportiamo al centro del nostro trade l’Italia – precisa la direttrice del Consorzio Chianti Classico – e Milano è la vetrina da dover ritrovare, riscoprire e con cui dover riallacciare una duratura relazione, soprattutto sul fronte della grande ristorazione milanese, la più internazionale del nostro Paese”.
“Qui dovevamo ricominciare a comunicare il nostro Chianti classico in Italia – conclude Gori – forti del fatto che l’accoglienza che ci è stata riservata da Milano è stata oggi meravigliosa: abbiamo avuto una presenza di altissimo profilo a questo evento e questo ci riempie di orgoglio oltre che di soddisfazione”.
Oltre ottocento gli accessi all’evento andato in scena oggi al The Westin Palace di Milano, dalle 14.30 alle 19.30. Un appuntamento frutto della collaborazione tra il Consorzio Vino Chianti Classico e l’Associazione italiana Sommelier (Ais). Presto online su WineMag.it i migliori assaggi tra le oltre 200 etichette presenti al banco di degustazione.
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