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Gipi De Bartoli e Carlo Martinez a WineMag: “Ecco come rilanciare il vino Marsala”


EDITORIALE –
C’è un’immagine che descrive meglio di tutte la crisi del vino Marsala. Quella di un castello di sabbia, costruito troppo vicino al mare. Un maniero venuto su in fretta. Dalle palizzate ai merletti. Spazzato via dalla prima onda lunga, aiutata dal vento. Facile comprendere come possano sentirsi Carlo Martinez e Giuseppina “Gipi” De Bartoli. Due figli della storia del vino Marsala. Eredi di un patrimonio ridotto in cocci.

La “favola” del commerciante inglese John Woodhouse, che diede vita alla commercializzazione internazionale del Marsala, si scontra con le (il)logiche commerciali dell’industria e degli imbottigliatori.

Chi oggi invoca la “Marsala Revolution” come panacea di tutti i mali è lo stesso che, al supermercato, devasta la Denominazione con “primi prezzi” da vergogna. Senza neppure il garbo di firmare con nome e cognome l’etichetta, ma utilizzando sigle lecite, ma offensive per il consumatore.

Del resto, 3,59 al litro (prezzo a scaffale, Iva compresa) costituiscono un bel margine rispetto agli 80 centesimi attorno ai quali si aggira – secondo fonti locali di WineMag.it – lo sfuso atto a divenire vino Marsala, che esce dalle grandi cantine ad appena 4 mesi dalla vinificazione.

Un surrogato che solo in alcuni casi prende la via della bottiglia una volta fortificato, “degno” com’è di diventare piuttosto “ingrediente” nelle preparazioni delle peggiori cucine del mondo, o delle industrie alimentari e dolciarie.

Tra proclami per giornali e riviste prezzolate ed eventi utili ai “brand” più che alla Denominazione, il Marsala è senza un Consorzio di Tutela. E viene da chiedersi se, forse, non sia meglio così. Che cosa resta da “tutelare”? Intanto, nell’ombra, c’è chi prova a tener alta la bandiera. Ecco l’intervista a Carlo Martinez e Gipi De Bartoli.

Giuseppina De Bartoli, detta “Gipi”. Carlo Martinez. Chi siete?

Sono Giuseppina De Bartoli, ho 37 anni e sono la figlia di Marco De Bartoli, fondatore dell’omonima cantina che produce, tra le altre etichette, anche Marsala. Porto avanti l’azienda occupandomi della parte amministrativa, assieme ai miei fratelli Renato e Sebastiano che si occupano della produzione.

Sono Carlo Martinez, contitolare della Martinez Srl. Faccio parte insieme ai miei cugini, della quinta generazione della mia famiglia che da sempre gestisce la società. In cantina lavorano anche i nostri figli che appartengono alla sesta generazione.

Qual è la storia delle vostre aziende?

– Giuseppina De Bartoli. L’Azienda è stata fondata nel 1978 da Marco De Bartoli, con motivazioni non legate al business o alla moda. Mio padre usciva da due grosse aziende industriali di Marsala.

In quegli anni, si era reso conto che l’immagine di quel vino era ormai deviata e la Sicilia non era per nulla tenuta in considerazione, se non per lo sfuso o per i vini utili a tagliarne altri: erano gli anni della Sicilia “cantina d’Europa”.

Mio padre capì che era venuto il tempo di cambiare rotta. Puntò tutto sul serio lavoro in vigna, sugli autoctoni come il Grillo. In una parola, sulla “qualità”. Si mise così a fare il “vigneron” nel senso più alto del termine. Ripartì dal vino del territorio, quello ormai dimenticato: il Perpetuo, ovvero il Marsala delle origini.

L’obiettivo era quello di produrre un vino naturale, che non necessitava di gradazioni altissime o di fortificazioni, prodotto nel pieno dello stile ossidativo. Lo chiamò “Vecchio Samperi“, dal nome della vigna dove ora sorge la nostra cantina. Irruppe con quel vino, senza Denominazione, nel mondo delle industrie del Marsala.

Marco (nella foto) fu coraggioso: per amore del vino si dimenticò dei fatturati e difese il territorio, cercando di far capire a tutti che la Sicilia poteva e doveva fare ben altro, per emergere come meritava.

Intraprese solo in un secondo momento la strada del Marsala riconosciuto dal disciplinare, per l’esattezza nel 1984. Tra le 29 tipologie consentite, decise di puntare su tutto su “Oro” e “Superiore Riserva”, le due versioni che gli consentivano di portare avanti la sua visione, puntando tutto su lunghissimi invecchiamenti, ossidazioni ed evoluzione. Bandì così le tipologie “Ambra”, “Fine” e “Superiore”.

Ancora oggi lavoriamo il nostro Marsala come un grande vino da tavola: bassissime rese, vendemmie manuali, selezione, pressa soffice, lieviti indigeni. Mosto cotto e concentrato, per noi, mistificano il vino.

Il nostro fatturato si assesta su 1,5 milioni di euro, per una produzione complessiva di 120 mila bottiglie. Per quanto riguarda il solo Marsala, si tratta di 25 mila bottiglie all’anno per 400 mila euro.

– Carlo Martinez. Era il 1866 quando Carlo Martinez fondò a Marsala la sua azienda vinicola, destinata a diventare una delle più antiche della città. Originario di Palermo, dove conobbe e fu grande amico di Ignazio Florio, lavorò a Napoli come suo rappresentante della ditta di ceramiche.

Lì conobbe Angelina Miraglies, che poi sposò. Per sigillare questa amicizia, quando nacque il suo secondo figlio lo chiamò Domenico Florio Martinez. Un nome che si è ripetuto con gli altri discendenti.

In oltre 150 anni di attività la nostra azienda ha sempre mirato alla qualità, filosofia rimasta immutata negli anni. Produciamo una vasta gamma di vini Marsala, ma puntiamo soprattutto, da sempre, su prodotti a lungo invecchiamento ed antiche riserve.

Completano la nostra produzione anche i vini liquorosi Igt Terre Siciliane, i vini aromatizzati ed i vini da Messa. L’80% del nostro fatturato è destinato all’Italia, l’altro 20% al resto del mondo.

Le vostre aziende hanno rapporti con la Grande distribuzione organizzata, ovvero il mondo dei supermercati?

Giuseppina De Bartoli. No, la Marco De Bartoli non ha rapporti diretti con la Grande distribuzione. Abbiamo un distributore unico, Les Caves de Pyrene, che cura la commercializzazione.

Non è escluso che si possa reperire qualche etichetta nei supermercati più attrezzati, dotati di un reparto enoteca ben strutturato e organizzato. Di certo, tuttavia, non si tratta di contratti diretti con noi.

– Carlo Martinez. Il nostro rapporto con la Gdo è iniziato circa vent’anni fa, esclusivamente con Bennet, partner con il quale ci troviamo molto bene, con discreti volumi di vendita della sola tipologia “Fine”.

Cosa potrebbe fare la Grande distribuzione per il vino Marsala?

– Giuseppina De Bartoli. Dev’essere proprio la Gdo a fare qualcosa? È il suo compito quello di acquistare prodotti da rivendere, possibilmente col margine più alto possibile. Impossibile chiedere ai buyer di rifiutarsi.

Sono piuttosto i produttori che dovrebbero fare qualcosa, come per esempio rifiutarsi di produrre e vendere Marsala a basso costo, anche di fronte alle eventuali richieste della Gdo. La nostra azienda, tuttavia, non ragiona con la logica industriale.

L’etichetta che potremmo definire “base”, ovvero il Marsala Superiore Oro 5 anni “Vigna la Miccia”, potrebbe uscire sul mercato dopo 5 anni, ma in realtà l’affinamento si protrae sempre più a lungo. L’ultima annata in commercio, la 2012, è finita nel 2018.

Abbiamo cambiato l’etichetta, eliminando la dicitura “5 anni” ed uscirà millesimato: il 2016 sarà in commercio nel 2020. Per intenderci, l’altra vendemmia De Baroli attualmente in commercio è la 2004.

Imbottigliamo poi riserve degli anni 80 e 90, in edizioni limitatissime. Si tratta di etichette che non interessano neppure lontanamente alla Grande distribuzione: quelle su cui la Denominazione e i produttori dovrebbero puntare quotidianamente, per il bene del Marsala.

Carlo Martinez. Prima dovremmo fare tanto noi produttori. Poi dopo il nostro lavoro la Gdo potrebbe darci una mano veicolando il messaggio che vogliamo proporre.

Come giudicate il quadro dipinto dalla nostra inchiesta sul Marsala?

– Giuseppina De Bartoli. È un quadro molto coraggioso e realistico, che raramente viene dipinto dalla stampa, specie quella del settore enogastronomico. Si preferisce piuttosto nascondersi dietro un ago. Non ci si focalizza mai sugli aspetti da voi evidenziati.

L’unica cosa che chiederei ai miei colleghi produttori è la coerenza, perché ognuno con disciplinare fa quello che vuole, nel rispetto della legge. È giusto che ci siano piccole cantine e grandi industrie, ovunque.

Ma serve coerenza e sincerità: servire due padroni non è una cosa che si può fare. L’immagine realista che emerge dall’inchiesta di WineMag.it è esattamente quella contro cui noi sbattiamo la testa quotidianamente.

Non abbiamo letto nulla di inventato, anzi una ricerca così documentata serve ad andare a fondo su una realtà in profonda crisi come quella del Marsala. A voi va il nostro ringraziamento.

– Carlo Martinez. Il vostro servizio ha rappresentato purtroppo chiaramente e realmente quella che è l’attuale situazione del mercato della Gdo. Ci sono però altre realtà, come le enoteche ed i negozi specializzati che, avendo delle persone competenti ed esperte, riescono a far conoscere ed a far apprezzare questo vino.

Una Denominazione che, soprattutto per le tipologie a lungo invecchiamento, sorprende tutti quelli che la degustano per la prima volta. Purtroppo molta gente pensa che il Marsala sia quello all’uovo che si usa nello zabaione.

Quali sono i costi di produzione del Marsala, nelle varie tipologie?

Giuseppina De Bartoli. I nostri costi sono diversi da quelli di altri produttori, in quanto non agiamo secondo logiche industriali. Non possiamo nemmeno decifrarli al momento, in quanto non li abbiamo mai calcolati.

Per dare comunque qualche metro di paragone, il nostro vino “base”, ovvero il già citato “Vigna la Miccia”, esce all’ingrosso a 16 euro più Iva per la bottiglia da mezzo litro. Un prezzo basso rispetto al valore dell’etichetta.

– Carlo Martinez. Il Marsala, nella tipologia “Fine”, ha costi relativamente contenuti. Mai quanto quelli del vino della prima fascia di prezzo e comunque non bassissimi, perché ha un invecchiamento minimo in botti di legno di almeno un anno. Le tipologie “Superiore” e “Vergine”, in special modo quelle che subiscono lunghi invecchiamenti, hanno dei costi di produzione piuttosto alti.

Quanto dovrebbe costare un Marsala di qualità, a scaffale?

– Giuseppina De Bartoli. A scaffale almeno 20 euro, stando bassi. Ma non perché “spari il prezzo”, tentando un’operazione di marketing sull’etichetta: mi riferisco al reale valore della bottiglia, al suo minimo sindacale, qualora tutta la filiera produttiva venisse rispettata a dovere.

– Carlo Martinez. Esistono, purtroppo, Marsala di elevata qualità ed altri meno. Un Marsala perché di qualità, nella tipologia “Superiore”, in bottiglia da cl. 75 e venduto al supermercato, non dovrebbe costare meno di 8 euro.

Credete che i “vini aromatizzati” che contengono Marsala danneggino l’immagine della Denominazione o siano un veicolo utile al “brand” Marsala?

– Giuseppina De Bartoli. Queste tipologie costituiscono, per la nostra visione del Marsala, un grande “dolore”. Fortunatamente, però, non contengono in etichetta la parola “Marsala” e devono essere chiamati “vini aromatizzati” o “creme”.

Per quanto mi riguarda non hanno senso di esistere. Hanno inficiato l’immagine del Marsala, dagli anni 50 in poi. La loro produzione e diffusione ha generato la fine di questo vino, dal punto di vista qualitativo.

Gran parte della colpa della crisi è da addebitare a questo tipo di sottoprodotti. Sono persino sorpresa che esitano consumatori intenzionati ad acquistarli, motivo per il quale vengono evidentemente prodotti.

– Carlo Martinez. Danneggiano sicuramente l’immagine del vero vino Marsala. Le tipologie aromatizzate si possono produrre tranquillamente con altri tipi di vini. Se si usa come base il Marsala non dovrebbe essere specificato in etichetta ma citato solo come uno degli ingredienti. La differenza dovrebbe farla il bicchiere.

Marsala e Mixology: giusto trattarlo da “ingrediente” per i cocktail?

– Giuseppina De Bartoli. Se i barman usassero un grande Marsala per fare grandi cocktail, o gli chef usassero un grande Marsala per fare grandi piatti, sarebbe il massimo. Invece finisce come al solito: in cucina, nove volte su dieci, finisce il marsalaccio.

E per i cocktail, come succede per gin e distillati vari, gran parte dei bar si accontentano dell’etichetta a minor costo. Queste dinamiche generano produzione di Marsala di bassa qualità. Non sono contro al cocktail “figo”, anzi. Ma credo che la mixology non sia la soluzione. Bisogna fare altro per renderlo più appetibile e famoso.

– Carlo Martinez. Più che ingrediente penso dovrebbe essere la base per una tipologia di cocktail ben precisa. Dovremmo essere noi produttori, sicuramente con l’aiuto di barman professionisti e di alto profilo, ad individuarne una sola tipologia con un solo nome ben definito.

Cambiereste qualcosa del disciplinare di produzione del Marsala?

– Giuseppina De Bartoli. Questo è un argomento caldissimo. Se ci penso bene, però, è un po’ come lottare contro i mulini da vento. Pensare di cambiare le cose porta a quanto successo a mio padre Marco: gliene hanno fatte di ogni. Brutto da dire, ma per certi versi ci abbiamo anche rinunciato.

Abbiamo una sorta di consapevolezza che è impossibile cambiare lo stato attuale delle cose. Noi siamo nulla. Comandano i fatturati nei Disciplinari. Nel nostro piccolo, ogni giorno lavoriamo per far conoscere il Marsala. Viaggiamo, facciamo degustazioni. Anche questo è il nostro dovere, da produttori. Ma ci siamo forse un po’ arresi.

Tuttavia, secondo noi, dal disciplinare sarebbe bene togliere la tipologia “Fine” ottenuta dai vini sfusi che escono dalle cantine dopo 4 mesi, o quantomeno togliere un nome che poi finisce nelle peggiori cucine e industrie mondiali.

Dovremmo preservare in qualche modo questo vino dall’immagine di “ingrediente da cucina”, riportandolo alla sola immagine che gli è consona, ovvero quella del “vino da bere”. Così però toglierei il fatturato a molte cantine, che con lo sfuso di Marsala campano.

Molto si potrebbe fare abbassando le gradazioni alcoliche minime: perché ancora 18 gradi? Tutto ciò è legato all’aspetto storico del Marsala, legato al fatto che gli inglesi fortificavano per proteggerlo dai lunghi viaggi in nave.

Oggi è anacronistico. L’alcol aggiunto evidenzia un lavoro non eseguito in vigna, copre le mancanze. E ne serve di più, se il vino base viene lavorato male in vigneto. Punterei ad abbassare la soglia alcolica a 16 o 17 gradi. Sarebbe quantomeno un segnale.

Infine, leverei dal disciplinare anche la tipologia “Ambra”. Bisogna puntare sul lavoro dei viticoltori e meno sull’acquisto di vino già pronto, di bassa qualità, da conciare in cantina prima della commercializzazione.

– Carlo Martinez. Quattro cose secondo me hanno la priorità assoluta. Innanzitutto si dovrebbero razionalizzare le varie tipologie di produzione. Attualmente, ne esistono 29, che si differenziano per caratteristiche, colore e contenuto zuccherino. Sono sicuramente troppe: confondono il consumatore.

Seconda operazione: diminuire le zone di produzione delle uve. Altra cosa che ho proposto tanti anni fa è fare diventare Docg la tipologia più nobile, che è quella Vergine. Ultima, ma secondo me la più importante: cambiare leggermente il nome al Marsala “Fine”.

Non chiamarlo più completamente Marsala, ma modificarlo leggermente così da differenziarlo dai Marsala di pregio, cioè le tipologie “Superiore” e “Vergine”, che sono dei veri e propri vini da meditazione e non solo.

Sul nome penso di avere anche un’idea che potrebbe mettere d’accordo tutti i produttori, quelli conservatori (i più difficili da convincere) e quelli che la pensano come me e tanti altri.

La tipologia “Fine” viene usata come ingrediente (sì di alto livello, ma sempre di un ingrediente si tratta) dai ristoratori in cucina, dalle aziende di dolciumi ed anche dai salumifici, perché è un conservante naturale. Noi dalla grafica dell’etichetta lo facciamo capire. Se si vuole cambiare il trend dei consumi, bisogna guardare non ad oggi ma al domani.

Di chi sono le responsabilità di questa crisi?

– Giuseppina De Bartoli. Si tratta degli effetti della degenerazione industriale, dagli anni 50 in poi. Qui in Sicilia è iniziata, a un certo punto, una guerra fratricida a chi lo facesse pagare meno, non a chi producesse il miglior Marsala.

Chi vuole risparmiare toglie tutto: qualità, lavoro in vigna, invecchiamenti. E lavora invece su altri canali: più sfuso, più uovo, più fragola, più banana, per venderlo al più basso prezzo possibile. Ecco cosa condiziona oggi la produzione di qualità del Marsala: il Dio Denaro.

– Carlo Martinez. Essenzialmente di noi produttori. Dovremmo fare sistema, lavorare insieme dentro un Consorzio che stabilisca le strategie e detti le linee guida.

Perché il vino Marsala non ha un Consorzio?

– Giuseppina De Bartoli. Colpa nostra non è, perché non siamo mai stati considerati. Prima c’era un Consorzio. Ora lo si rimpiange: mi chiedo perché. Non ha mai fatto nulla per la tutela del vino Marsala e questo è sotto gli occhi di tutti, mi pare.

Neppure sul fronte internazionale il Consorzio è riuscito ad essere efficace, dal momento che si può produrre Marsala negli Usa. Inoltre, questo vino è in sostanza in mano ad alcuni imbottigliatori. I protagonisti del Consorzio, oggi, sarebbero gli stessi di ieri.

Ma c’è la volontà di ricostituirlo. Noi siamo stati invitati a partecipare alla prima riunione, questa primavera. Mio fratello Renato ha preso la parola, dicendo chiaramente quanto sto condividendo con voi, in questa intervista.

Renato andò oltre, chiedendo di limitare lo strapotere delle cantine sociali e delle tipologie di Marsala consentite dal disiciplinare. Apriti cielo, tutti a imprecare.

Così, prima della convocazione della seconda riunione, abbiamo inviato una lettera, dichiarando che non intendiamo essere solidali con produttori che non hanno i nostri stessi scopi. Ad impedircelo sono visioni completamente diverse sul futuro del Marsala e sulla strada da intraprendere per il rilancio.

Non siamo degli ipocriti, dunque non intendiamo prendere parte al Consorzio. Magari ci fosse un ente che tutelasse la produzione. Il problema è che non si hanno visioni comune, nemmeno tra le gradi industrie, che tra loro hanno rivalità commerciale. Il nostro auspicio è per un Consorzio che salvaguardi i vignaioli del Marsala.

– Carlo Martinez. Le aziende del vecchio Consorzio (che non ha mai funzionato, infatti la quasi totalità dei produttori, come noi, poi è andata via) hanno sempre guardato al poco di oggi, per non toccare gli interessi di nessuno, anziché al futuro che sarebbe potuto essere sicuramente più prestigioso per tutto il comparto.

Significative le parole del notaio Salvatore Lombardo, presidente della Strada del Vino, riportate proprio dalla vostra testata: “O si riesce a ricreare un Consorzio serio del Vino Marsala, che investa e lo rilanci, oppure sarà difficile godere di nuovi benefici legati al vino”.

“E su questo – ha aggiunto Lombardo – tutti i produttori di Marsala devono essere d’accordo. I grandi vini da meditazione come Madera, Porto e Sherry sono legati a una città e non possono fare a meno di raccontarla. I vini non si bevono solo perché buoni, ma soprattutto perché nel calice si ritrova il territorio e la sua storia”.

Ecco, oltre all’aspetto tecnico-normativo, cosa deve fare il Consorzio che speriamo possa nascere al più presto. Lavorando bene, come hanno fatto di recente al Consorzio Sicilia Doc, si ottengono i risultati sperati.

Quante bottiglie di Marsala si può stimare vengano prodotte complessivamente, nelle varie tipologie, al giorno d’oggi? Quante in passato, all’epoca “d’oro”?

– Giuseppina De Bartoli. Secondo dati in nostro possesso, oggi si parlerebbe di circa 70 mila ettolitri, ovvero circa 6 milioni di bottiglie. All’inizio del secolo scorso, la cifra era nettamente superiore: 1,5 milioni di ettolitri.

– Carlo Martinez. A questa domanda non posso rispondere con precisione, per mancanza di dati ufficiali. Il Consorzio, che al momento non esiste, ha anche il compito di raccogliere tutti i vari dati su produzioni e vendite. I volumi di Marsala venduti tanti anni fa erano sicuramente maggiori.

Riguardo invece quelli dell’imbottigliato, secondo me il dato non è molto differente tra passato ed oggi. Attualmente penso che le bottiglie vendute, nelle varie tipologie, siano intorno a 6 milioni.

Cosa significa per voi il Marsala?

– Giuseppina De Bartoli. Un grande vino, territoriale. Deve sentirsi il sole, il calcare. Il Marsala è un vino naturale, invecchiato. Un Marsala deve sopravvivere, non deve essere venduto subito. Per questo occorre effettuare un grande lavoro in vigna, sulla varietà Grillo. Il Marsala dev’essere un vino non dico eterno, ma quasi.

– Carlo Martinez. Il Marsala è la storia ed il patrimonio della mia famiglia e della mia città. Il vero Marsala, è il risultato della gente, della terra, della storia da cui nasce e da cui è circondato.

È il mare che lo profuma, il bottaio che crea l’ambiente più giusto per farlo maturare, il sole, gioioso ed onnipresente, che ne prepara il futuro. Un prodotto che regala una austerità ed una severità commovente, fatta di lunghi riposi in botti di legno e di tempo, tanto tempo necessario per raggiungere espressioni di altissimo gusto.

Cosa significa “vino Marsala” per i trapanesi, ieri e oggi?

– Giuseppina De Bartoli. Secondo me c’è molta ignoranza sul Marsala, anche qui da noi. Non c’è l’idea concreta di cosa sia, dei vitigni col quale lo si produce e delle varie tipologie esistenti. Se vai in molti ristoranti, non ti chiedono né tipologia né vitigni, né produttore: te ne rifilano uno generico.

È un vino poco conosciuto anche a Marsala, perché non si dà importanza a tutte le sue sfumature, andando nel profondo. Tutti sanno che è un vino Doc, sì. Ma nel concreto lo scenario del Marsala si conosce poco, nel bene e nel male. Si consuma anche poco. E si va su prodotti economici. Ci sono eccezioni, ma la percentuale è molto bassa.

– Carlo Martinez. Non vorrei passare per campanilista: direi piuttosto per i marsalesi che per i trapanesi. Marsala contraddistingue la parte estrema della nostra isola. Nasce nel 397 a.C. (si chiamava prima Lilibeo) ed è la quinta città della Sicilia.

Tra i numerosi reperti archeologici si trovano innumerevoli anfore e giare (contenitori di terracotta) che servivano per il trasporto del vino. La nostra provincia (la più vitata d’Italia) ed il vino sono un’unica cosa ed il Marsala, per quanto è conosciuto nel mondo, è il vino più famoso. Ricordo che è stato il primo prodotto italiano riconosciuto come Doc.

Quale provvedimento ritenete più urgente per sollevare le sorti del vino Marsala?

– Giuseppina De BartoliNoi come debartoliani, lavorare su prodotto bene: uve, prodotto di eccellenza e qualità.

– Carlo Martinez. Fare chiarezza sulle tipologie di produzione, essenzialmente semplificarle, così da indirizzare il consumatore alla tipologia da lui preferita. Differenziare il nome per la tipologia “Fine”, così da guidare il consumatore a bere le tipologie “Superiore” e “Vergine”.

Come si muove l’azienda sui mercati per promuovere il Marsala?

– Giuseppina De Bartoli. Degustazioni in cantina ed enoturismo molto selezionato: accogliamo qui da noi circa 2 mila persone all’anno. In cantina non ospitiamo mai più di 20 persone per gruppo. Un “pacchetto” che si può tranquillamente definire tecnico e concettuale, sia al momento della visita sia della degustazione.

Non a caso dura 2 ore: chi viene qui da noi è perché è fortemente interessato a conoscere una dimensione diversa. Inoltre viaggiamo molto e lavoriamo a stretto contatto con i nostri importatori. Il turista, del resto, ha un’ampia offerta in centro città, dove ci sono aziende bellissime da visitare per vedere la grande produzione.

– Carlo Martinez. Stiamo puntando molto sull’enoturismo come veicolo di divulgazione della cultura del Marsala. Nell’ultimo decennio, infatti, abbiamo aperto le porte della nostra cantina per accogliere non solo i nostri clienti ma anche i consumatori.

Un modo per far sì che possano conoscerci da vicino e apprezzare quei piccoli grandi segreti della nostra azienda, che siamo lieti di condividere con chi viene a trovarci. In tanti sono diventati “ambasciatori” del nostro Marsala, che come tutti i Marsala di qualità sono patrimonio di tutti noi italiani.

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Povero Marsala: Cantine Pellegrino guida i prezzi più bassi al supermercato


MILANO –
Da un lato i prezzi più bassi al supermercato. Dall’altro l’organizzazione di cene nei ristoranti “in”, per proporre la “Marsala Revolution” attraverso alcune referenze dal packaging accattivante. Misteri del marketing. Fatto sta le storiche Cantine Pellegrino – al secolo Carlo Pellegrino & C. Spa – guidano il triste primato del Marsala a basso costo nella Grande distribuzione organizzata italiana.

È quanto emerge dall’inchiesta di WineMag.it tra le corsie delle maggiori insegne nazionali della Gdo: da Auchan a Conad, da Carrefour ad Esselunga, passando per Bennet, Coop, Eurospin, Lidl, Penny Market e Iper, La grande i.

C’è di più. Quasi mai, il nome “Cantine Pellegrino” appare per intero sulle etichette “primo prezzo”. Più facile trovare la sigla “C.P.C. Spa”, col riferimento della sede aziendale (via del Fante 39, Marsala). Si tratta appunto dell’acronimo della Carlo Pellegrino & C. Spa.

Tutto lecito, in un’Italia e in Europa che impone etichette “Chiare, Semplici e Leggibili”, ma che consente alle aziende di usare delle sigle, al posto del nome per esteso.

Un “escamotage” che molte cantine da milioni di bottiglie di vino a prezzo stracciato, destinato a supermercati e discount – impegnate però a promuovere quel paio di etichette destinate all’Horeca – conoscono bene.

Del resto, giusto vergognarsi di un Marsala che costa persino meno di quello degli imbottigliatori con sede legale a Piacenza (vedi quello di Giarola Savem) e Milano (quello di Giovanni Bosca Spa). Il record negativo spetta infatti alla referenza di Cantine Pellegrino proposta nei supermercati Esselunga.

Si tratta del Marsala Dop Fine I.P. Alagna – “Marca depositata Pietro Alagna e Figlio”: 3,58 euro risultano il prezzo più basso della Grande distribuzione italiana, per la bottiglia da un litro. Viene da chiedersi se Pietro Alagna, oggi novantenne presidente di Cantine Pellegrino, lo sappia.

A dire il vero, gli attenti buyer di Esselunga strappano il record per un solo centesimo ad Eurospin (avete presente? Quelli della campagna dei vini “Integralmente prodotti”, promossi da Luca Gardini) e Lidl, dove il vino simbolo della città trapanese (e della Sicilia intera) è in vendita a 3,59 euro al litro.

Clamoroso anche il prezzo del Marsala Fine Italia Particolare ambra secco di “F.F. Marsala” (Fratelli Fici): altra bottiglia da litro in vendita a 3,59 euro negli ipermercati di Iper, La grande i (Finiper).

Più in generale, come spesso accade nelle corsie del vino al supermercato, il quadro organizzativo del banco registra più di una pecca. Non è difficile trovare bottiglie di Marsala di vecchie annate, dimenticate sul fondo dello scaffale al posto di essere vendute prima dell’arrivo degli ordini della “vendemmia” più recente.

Per i clienti più attenti e preparati risulta così semplice procurarsi delle vere e proprie “verticali di Marsala“, come quella raccontata nei mesi scorsi dall’altra testata del nostro network, Vinialsupermercato.it (la polvere sulle bottiglie non si paga e le bottiglie risultano nel 90% dei casi molto ben conservate, nonostante i pregiudizi). Anche la costruzione del display, in molti casi, lascia a desiderare.

Tralasciando la violazione di Conad e di Iper, La grande i (che espongono un “vino aromatizzato” come il “Floriovo” indicando sull’etichetta la parola “Marsala”, cosa che del resto fa anche la nota enoteca online Bernabei) va sottolineato che solo i francesi di Auchan dedicano ai “vini liquorosi” una vera e propria “voce” a scaffale, ben visibile grazie alla cartellonistica.

Per il resto, il Marsala si trova spesso decontestualizzato dalla corsia dei vini. Nella maggior parte dei casi, le referenze presenti sono collocate tra i distillati o le creme liquorose, con risultati imbarazzanti per la nobile Denominazione siciliana.

Curiosa la scelta di Esselunga, che in ottica cross-marketing espone il Marsala su testate adiacenti la pasticceria, vicino a Passiti e vini spumanti dolci come il Moscato e il Brachetto d’Asti o frizzanti come il Sangue di Giuda dell’Oltrepò pavese. Ecco, nello specifico, la situazione riscontrata in occasione della nostra inchiesta, insegna per insegna.

IL MARSALA AL SUPERMERCATO, INSEGNA PER INSEGNA


Auchan

Ampio l’assortimento e ben esposto in verticale, in una sezione dedicata ai “vini liquorosi”. In alto due referenze di Carlo Pellegrino, linea “Baglio Kelbi”: 4,69 euro per entrambe le bottiglie da 75 cl (6,25 euro al litro).

Si tratta del Marsala fine I. P. Semisecco Dop e del Marsala Superiore S.O.M. Ambra secco Dop. Appena sotto, ad altezza presa, a 3,79 euro per la bottiglia da 75 cl (5,05 euro al litro) il Marsala fine imbottigliato da Casano Sas di Marsala.

È il Marsala fine ambra Semisecco “Antichi Bagli“. Accanto a lui il Cremovo di Pellegrino, sempre linea Baglio Kelbi, a 3,99 euro (5,32 al litro). Appena sotto, ecco il VecchioFlorio 2014: 75 cl a 7,99 euro (10,65 euro al litro). Due vendemmie a scaffale: 2014 davanti e 2012 dietro.

Più sotto, sempre in verticale, il “Terre Arse” vergine 2002. Presenti anche alcune bottiglie del 2000, mal esposte sul fondo: 11,29 euro il prezzo del mezzo litro (22,58 al litro). Ripiano più basso per “Targa riserva 1840”, altra etichetta di Florio: 11,43 euro la vendemmia 2003, bottiglia da 0,50 (22,86 al litro).

Bennet

Buon assortimento. Il Marsala superiore dolce Dop “Garibaldi” di Pellegrino è ad altezza presa (4,39 euro, bottiglia da 500 ml, 8,78 al litro), tra un Picolit da 11,85 euro e una grappa di Franciacorta.

Appena sotto nel display, in perfetta verticalizzazione, il Marsala fine Doc ambra semisecco di Martinez Srl, tra un Sangue di Giuda dell’Oltrepò pavese e una grappa gentile di Chardonnay.

Base dello scaffale riservata ad altre due referenze: il VecchioFlorio secco 2014 a 6,95 euro (750 ml) e il Marsala Ambra Semisecco “Gibò”, imbottigliato in zona d’origine per Giovanni Bosca Spa, Azienda con sede in piazza Diaz 1, a Milano: costo di 4,99 euro per la bottiglia da un litro.

Carrefour

Due referenze che paiono dimenticate nell’angolo basso dello scaffale, contro una colonna. Sono il VecchioFlorio 2014 (6,90 euro la 750 ml) e il Marsala fine I. P. “Liberti”, imbottigliato da D.D.S. Spa in via Florio, a Marsala (bottiglia da 1 litro a 4,49 euro).

Si tratta della sigla che “cela” Duca di Salaparuta, marchio che riunisce alcuni brand storici siciliani come Corvo e la stessa Florio. Certamente più rispettoso l’approccio alla Denominazione, rispetto a quello di Cantine Pellegrino.

Coop

Il Marsala si trova nella corsia dei superalcolici, per l’esattezza sul ripiano più basso dello scaffale. Due le referenze. Il VecchioFlorio a 6,85 euro (9,13 al litro), presente nel caos con ben tre vendemmie (2012, 2013 e 2014 esposte in ordine inverso rispetto alla basilare regola del first in first out) e il Marsala Fine Ambra Semisecco “Lilibeo” di C.P.C. Spa: 4,99 euro il litro. Riecco dunque Cantine Pellegrino a cimentarsi nel primo prezzo.

Nel supermercato Coop preso in analisi per la nostra inchiesta, le bottiglie di Marsala risultano esposte tra un “Anice forte” venduto a 5,89 euro e il Martini rosato perfetto per i cocktail, in vendita a ben 8,39 euro.

Conad

Due referenze, oltre al Floriovo (che in etichetta viene erroneamente indicato come “Marsala”). Ad altezza presa il Marsala Superiore Old Marsala Ambra secco, di Cantine Pellegrino: 5,25 euro per la bottiglia da 0,50 (10,50 al litro). Più in basso il Marsala Fine I. P. imbottigliato da F.F. Marsala (Fratelli Fici) per conto di Giarola Savem, azienda vitivinicola di Piacenza (5,29 euro la 75 cl).

Esselunga

Due referenze, ad altezza piedi, alla base di una testata condivisa con spumanti dolci, passiti e vin santo, intervallate dal “Cromovo” di Pellegrino. Si va dai 3,58 euro del Marsala Fine di “C.P.C.”, che offre appunto il primato del Marsala a basso costo della Grande distribuzione organizzata a Cantine Carlo Pellegrino, agli 8,39 euro del Marsala superiore Doc Secco VecchioFlorio, vendemmia 2014 (formato da 1 litro).

Eurospin

Ancora una volta decontestualizzato dalla corsia vini, il Marsala si trova poco lontano da una “crema di banana” da 4,29 euro (“liquore cremoso e avvolgente”) e da un passito di Pantelleria da 4,99 (Cantine Pellegrino), accanto a un vino aromatizzato all’uovo dello stesso brand. Una sola referenza, “Baglio delle Torri” in formato da 1 litro: 3,59 euro il prezzo.

Iper, La grande i (Finiper)

VecchioFlorio apre la linea a banco, ad altezza presa. Due le vendemmie presenti: 2014 davanti e 2013 dietro. Prezzo di 6,95 euro per la bottiglia da 75 cl (9,27 al litro). Il Marsala ha accanto una crema alla nocciola da 3,99 euro e il “Floriovo” Florio a 5,99 euro (altra etichetta fuorilegge del punto vendita, in cui è indicata la parola “Marsala”).

Più sotto, posizionato correttamente, un altro Marsala a 3,59 euro bottiglia da litro: è il Fine Italia Particolare Ambra secco di F.F. Marsala (Fratelli Fici).

Lidl

Ancora una volta il Marsala decontestualizzato dal banco destinato all’esposizione dei vini e collocato tra i distillati. Siamo tuttavia su un lungo lineare, che dal centro del punto vendita arriva a lambire le casse, interessando anche l’ampio assortimento che la catena tedesca riserva alle birre (anche “artigianali” italiane). Una sola referenza di Marsala, accanto a un Gin da 6,49 euro: il costo è di 3,59 euro per la bottiglia da litro.

Penny Market

La referenza è esaurita nel punto vendita visitato, ma gli addetti del supermercato confermano che in assortimento c’è un solo Marsala. Il costo è 3,59 euro, ma la bottiglia è da 0,75 cl (4,79 euro al litro).

Il Marsala è inserito nella corsia dei distillati, tra una grappa barricata da 5,99 euro e un surrogato dello Jägermeister prodotto in Germania, a 5,29 euro. Tant’è. Povero Marsala.

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Gli Editoriali news news ed eventi

Valdobbiadene, rivoluzione del Prosecco con lo Chardonnay? Meglio Verdiso, Bianchetta e Perera


EDITORIALE –
Articolo 2, comma 1 e 2. Articolo 5, comma 3. Tocca scomodare il Decreto del 12 luglio 2019, inerente le “Modifiche al disciplinare di produzione della Denominazione di origine controllata dei vini ‘Conegliano Valdobbiadene – Prosecco” per capire quanto, realmente, i produttori di Valdobbiadene abbiano perso un’occasione d’oro per “distinguersi” – al di là dell’etichetta – dal Prosecco Doc prodotto in pianura (anche in Friuli Venezia Giulia) e non solo sulle colline patrimonio Unesco.

L’8 agosto è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il provvedimento con cui il Ministero delle Politiche agricole alimentari, forestali e del turismo ratifica le richieste presentate il 29 marzo dal Consorzio di Tutela della Docg veneta.

Positiva la valorizzare della tipologia “Rive”, per la “qualità superiore delle uve provenienti da vigneti in forte pendenza, che richiedono un lavoro manuale più lungo e faticoso da parte dei viticoltori” e utile a “distinguere i diversi territori all’interno della Denominazione”. Una sorta di zonazione.

Commovente la “salvaguardia del legame con la tradizione, rendendo ufficiale la tipologia spumante ‘Sui Lieviti’ di Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore, che sta a cuore da generazioni ai produttori del territorio”.

Costruttivo “rispondere, con l’introduzione della tipologia ‘Extra Brut’, al gusto contemporaneo dei consumatori che hanno dimostrato un apprezzamento speciale per il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg”.

Manca solo un dettaglio. Quello definito, appunto, dagli articoli 2 e 5, e relativi commi. La base ampelografica dei vini “Conegliano Valdobbiadene Prosecco” è sì costituita dalle uve provenienti dai vigneti del vitigno Glera.

Possono concorrere, in ambito aziendale, fino ad un massimo del 15%, le uve Verdiso, Bianchetta trevigiana, Perera e Glera lunga. Ma anche quelle dei vitigni Pinot bianco, Pinot nero, Pinot grigio e Chardonnay, “usate da sole o congiuntamente”.

Una “tradizionale pratica correttiva di aggiunta di vini” ottenuti da varietà internazionali, il cui utilizzo è consentito anche nel disciplinare del Prosecco Doc. Ma non ci si poteva (doveva) distinguere?

Se da un lato è sacrosanto che i vini (specie quelli buoni) non si fanno coi disciplinari, dall’altro, da parte dei produttori e del Consorzio, poteva arrivare un segnale importante, sul fronte della base ampelografica.

Gli esempi di Denominazioni che stanno puntando tutto sull’autoctono, in Italia si sprecano. Basti pensare alla Franciacorta, con il Consorzio concentrato nella valorizzazione e diffusione dell’autoctono bresciano Erbamat.

La necessaria corsa ai ripari dei produttori franciacortini, alle prese con il surriscaldamento globale e i conseguenti cali di freschezza delle basi di Pinot Nero, Chardonnay e Pinot Bianco, si è trasformata in un motivo di promozione del territorio, che porterà presto alla nascita della tipologia Franciacorta “Mordace” e al conseguente aumento delle percentuali di Erbamat ammesse nella cuvée del Metodo classico (ora ferme al 10%).

Hanno storia e storicità anche gli autoctoni divenuti ormai una rarità sulle colline di Conegliano e Valdobbiadene. Le prime testimonianze sul Verdiso risalgono al 1788 e sono legate ai coloni dell’Abbazia di Follina (TV). Il vitigno ha una buona vigoria e si adatta a molti tipi di terreno.

Anche le prime notizie della Bianchetta trevigiana risalgono al Settecento. Si suggeriva l’appassimento, per produrre vini dolci. In epoca più recente ha dimostrato il perfetto carattere alla spumantizzazione, tanto da risultare per decenni il vitigno più coltivato in una quarantina di comuni della Provincia di Treviso.

Varietà storica della zona di Conegliano e Valdobbiadene anche la Perera, nota anche come “Pevarise”. Santo Stefano e San Pietro di Barbozza (TV) le due zone in cui era più presente e riconoscibile, per la sua forma a “pera rovesciata”.

Apprezzata per le sue caratteristiche fruttate, fu decimata dalla fillossera ed ora è rara da reperire. Tre vitigni, insomma, non uno. Già in disciplinare. Chi ci crede, in Consorzio e tra i produttori, alzi la mano. Cin, cin.

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Gli Editoriali

Cotarella nella culla del Pinot Nero italiano: solo buoni auspici per l’Oltrepò pavese


EDITORIALE –
Ci ha girato attorno per anni, come un’ape che si fa distrarre da tante suggestioni, prima di posarsi sul fiore più bello del reame. Riccardo Cotarella, grazie al “Progetto qualità” di Terre d’Oltrepò, potrà finalmente misurarsi con lo Spumante Metodo classico Docg base Pinot Nero.

Un’uva che il noto enologo umbro conosce molto bene, per via delle sue esperienze in Piemonte (Colombo Cascina Pastori) ma soprattutto in Campania (sarà strepitoso l’Igt Paestum Rosso 2015 “Pino di Stio” di San Salvatore 1988, ancora in affinamento in cantina), oltre che “in casa”, a Falesco: il vigneto per la produzione del Brut Rosé di famiglia è situato a 450 metri sul livello del mare, nella Tenuta di Montecchio (Terni).

Il Metodo classico da Pinot Nero è il “vino simbolo” dell’Oltrepò pavese. Quello che mette d’accordo tutti, dentro e fuori da un Consorzio che, negli anni, ha perso pezzi da novanta e oggi cerca di ricomporre il puzzle. A gocce di Super Attak.

Già, perché il Pinot Noir spumantizzato “alla francese”, come lo Champagne, è l’emblema della massima qualità esprimibile dalle colline oltrepadane. Terre del vino italiano tanto straordinarie quanto sottovalutate, che hanno contribuito a far grande la Franciacorta e le zone spumantistiche del Piemonte (per informazioni citofonare ad occhi chiusi “Berlucchi”, “Martini” o “Gancia”).

Ancora oggi, dall’Oltrepò pavese partono cisterne di Pinot Nero che diventano “Veneto”, “Trentino”, “Alto Adige” e così via. Come per magia. E sarà forse proprio questo il limite eterno dei pavesi, troppo poco innamorati della propria terra e schiavi del portafoglio per dire, fermamente e in massa: “No, grazie. Questo lo vinifico io e non sarà un Vsq“.

Ancora una volta, però, il re degli enologi italiani ha scelto la strada più lunga, in un gioco all’attesa che pare compiacere il drammaturgo tedesco Gotthold Ephraim Lessing, quello de “L’attesa del piacere è essa stessa il piacere” (Minna von Barnhelm, atto IV, scena VI).

LA SVOLTA

Il primo vino di Cotarella in Oltrepò pavese, come anticipato ieri da WineMag.it, sarà un Pinot Nero fermo e non la versione spumante Metodo classico. Un’etichetta, quella firmata dal noto enologo per Terre d’Oltrepò, che si andrà ad affiancare a quella di un bianco, sempre fermo. Base Riesling renano.

Ma c’è già chi storce il naso, perché non è stata scelta – per esempio – la Croatina, neppure citata da Cotarella tra le varietà sulle quali ha intenzioni di lavorare, dalle parti di Pavia. Altri affidano lo scetticismo alla figura stessa di Cotarella, senza pensare a quanto il numero uno di Assoenologi possa – con una “semplice” consulenza – portare attenzione positiva su tutto l’Oltrepò.

Roba che uno come Gerry Scotti, assoldato da una singola cantina e per quella all’opera (promozionale) addirittura durante le trasmissioni Mediaset, può scordarsi. Eh, già. L’Oltrepò ha bisogno di dieci, cento, mille Cotarella e di meno showman dalla lacrima facile, per rilanciarsi (che dico “Ri”? Per “lanciarsi” e basta, che una reale affermazione mai c’è stata) in Italia in primis e nel mondo poi, come territorio italiano del vino di qualità.

L’Oltrepò, come sostiene da anni quell’eremita e visionaria (ma sempre meno sola) di Ottavia Vistarino, ha bisogno di tecnici di cantina che abbiano visto oltre al proprio naso. Di consulenti esterni. Di gente con le palle, insomma. Che sappia trasformare in oro il grande patrimonio ampelografico che l’Oltrepò pavese è in grado di offrire.

Altrimenti la zona resterà in eterno un vigneto vocatissimo, vasto 13.500 ettari, fino alla prova contraria dell’ingresso delle uve in cantina. Avete mai provato a mettere in fila i Pinot nero vinificati in rosso dell’Oltrepò? Quanti difetti? Quante “puzzette”? Quanti sbagli evitabili, senza stravolgere con la chimica il vino?

L’auspicio, allora, è che Cotarella porti il vento della professionalità in Oltrepò pavese, intesa come desiderio di apertura mentale e confronto, oltre i confini provinciali. Solo così si conquista Milano. L’Italia. L’Europa. Il mondo.

Ed è bello che, al fianco del famoso enologo, ci sia oggi un’altra figura nuova, che arriva in Oltrepò da una zona di successo come il Lago di Garda del fenomeno Lugana: parlo del (futuro) neo direttore del Consorzio di Tutela Vini, Carlo Veronese. Destini che si incrociano al momento giusto. Speriamo anche nel posto giusto. Auguri a entrambi. Cin, cin.

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degustati da noi vini#02

Franciacorta Satèn Brut Docg 2015, Ferghettina


Impossibile confonderlo sullo scaffale. Il Franciacorta Satèn Docg 2015 di Ferghettina, con la classica forma della bottiglia quadrata, è uno degli spumanti Metodo classico bresciani più riconoscibili. Una quadratura (del cerchio) che torna anche nel calice.

LA DEGUSTAZIONE
Chardonnay 100%, come previsto dal disciplinare del Franciacorta, per questa etichetta di Ferghettina che nel bicchiere si presenta di un giallo paglierino intenso e brillante, con un perlage fine ed elegante.

Al naso le caratteristiche note dettate dai lieviti, piccola pasticceria, fiori gialli ed un accenno di erbe aromatiche. All’esame gustativo, la minor pressione di anidride carbonica rende l’assaggio molto elegante. La percezione della spuma è briosa, ma di grande avvolgenza, su note di pasticceria e frutta gialla perfettamente matura.

Perfetto l’abbinamento con del pescato crudo, come frutti di mare, ostriche o un’orata. La bottiglia esprime il meglio di sé bevuta particolarmente fredda, stappata a 4 gradi per poi far riscaldare leggermente il prezioso nettare nel bicchiere.

LA VINIFICAZIONE
I vigneti di Chardonnay utili alla produzione del Satèn si trovano a un’altezza di 250 metri sul livello del mare. Ferghettina raccoglie manualmente i grappoli di Chardonnay interi, attorno alla metà di agosto. La resa si attesta tra i 90 e i 95 quintali per ettaro.

La pressatura avviene con una pressa pneumatica che garantisce la massima delicatezza all’operazione. Durante la vinificazione vengono separati i mosti in due frazioni.

Il mosto fiore, che ha le caratteristiche qualitative migliori e che viene utilizzato per la produzione di Franciacorta, e mosto di seconda spremitura, che non viene destinato all’imbottigliamento. La fermentazione alcolica viene svolta in vasche di acciaio a temperatura controllata compresa tra 16 e 18 °C.

Il vino base riposa in vasca fino alla primavera successiva alla vendemmia. Trentasei mesi (minimo) sui lieviti e dosaggio di 6 grammi litro per questo Satèn. Ne vengono prodotte annualmente circa 50 mila bottiglie da 0,75 lietri e 5 mila da 1,5 litri. La prima annata risale al 1996.

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Gli Editoriali news

Se il vignaiolo naturale diventa presidente del Consorzio


EDITORIALE –
“Il desiderio iniziale di produrre vino di qualità si è integrato negli anni con un progetto più ampio: quello di rendere l’azienda un laboratorio sulla sostenibilità agricola. Ad oggi il nostro intento è quello di proporre la pratica naturale come alternativa all’agricoltura convenzionale attraverso la coltivazione dei cereali, degli ortaggi e dei frutti fino all’allevamento degli animali unita alla produzione di un grande vino!”.

Parole (e musica) di Stefano Amerighi, vignaiolo “naturale” appena eletto presidente del Consorzio Vini Cortona, in Toscana. L’organismo, nato nel 2000, conta oggi una produzione di 1 milione di bottiglie annue, per un fatturato medio che supera i 3 milioni di euro.

Un evento, l’elezione di Amerighi, che deve far ragionare il mondo vinnaturista, sempre più diviso (internamente) tra “fanatici” – detentori di un vocabolario preistorico e di un modus operandi degno dei peggiori ultrà, specie sui Social Network – e i “moderati”, che accettano il dialogo (anche istituzionale) col mondo dei produttori e consumatori di “vino convenzionale”.

L’elezione di Amerighi a presidente del Consorzio che tutela i Vini Doc di Cortona segna l’inizio di una nuova era per tutto il mondo del vino naturale in Italia, non solo dal punto di vista della comunicazione. Un segmento che non passa inosservato nei palazzi che contano, anche a Roma.

Ne è una prova l’attenzione dimostrata dal ministro alle Politiche Agricole Gian Marco Centinaio, che in un’intervista esclusiva rilasciata a WineMag.it ha aperto le porte alle principali associazioni di vinnaturisti.

Obiettivo: istituzionalizzare – o meglio “regolamentare” – un mondo fatto troppo spesso di auto-certificazioni e auto-denunce di legittimità, che si traducono in auto-referenzialità, auto-incensazione e conseguenti auto-proclamazioni di beatificazione. Una forma paradossale di illuminismo anti-enologico e anti-scientifico sempre più grottesca.

Il neo presidente Amerighi, del resto, ha già le idee chiare per Cortona e i suoi vini. “Vorrei portare una vera anteprima del nostro Syrah a Cortona – ha anticipato alla Nazione – fare maggiormente squadra con il mondo della ristorazione, trovare nuove formule di collaborazione con le realtà locali e soprattutto avere un dialogo più stretto e concreto con l’Amministrazione comunale, per poter costruire progetti di territorio”.

Ma soprattutto Stefano Amerighi si dice pronto “a fare lavoro di squadra anche all’interno del Consorzio, costituendo dei gruppi di lavoro e mettendo le energie di tutti a sistema”. Le barricate non servono. Gli ultrà dei vini naturali e biodinamici ancora meno. Cin, cin.

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“Monferace”, il Monferrato ci crede: 10 produttori presentano il Super Grignolino

Dopo i Super Tuscan, ecco il Super Grignolino per smettere di pensare a questo straordinario vitigno come al Brutto Anatroccolo del Piemonte. Riprende vigore l’Associazione Monferace, che ha l’obiettivo di riportare agli onori delle cronache enologiche (e sopratutto sulle tavole degli italiani) un Grignolino di qualità.

Il “Monferace”, ottenuto da Grignolino in purezza, ha un disciplinare ben preciso. Rese basse (70 quintali ettaro) in vigneti selezionati. E affinamento di 40 mesi, di cui 24 in botti di legno. Dopo quattro anni di duro lavoro – e non senza l’accusa di voler vanamente insidiare il Barolo – si potrà finalmente assaggiare la prima annata ufficiale, la 2015.

L’appuntamento con i 10 produttori dell’Associazione Monferace – che prende il nome dal vecchio “Monferrato” – è riservato alla stampa e agli operatori Horeca (su invito) e si terrà il 16 e 17 giugno presso la sede del Castello di Ponzano, in provincia di Asti.

I NUMERI DEL GRIGNOLINO
Accornero, Alemat, Angelini Paolo, Castello di Uviglie, Fratelli Natta, Sulin, Tenuta La Fiammenga, Tenuta La Tenaglia, Tenuta Santa Caterina e ViCaRa – Visconti Cassinis Ravizza sono le cantine protagoniste della rivincita del Grignolino targato Monferace.

Secondo i dati del Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato, nel 2018 sono stati prodotti 12.086 ettolitri di Grignolino, prodotti su una superficie rivendicata di 268 ettari.

Valoritalia riferisce di 1.098.285 bottiglie da 0,75 cl, su un totale di 8.273 ettolitri messi in vetro. Un terzo della Denominazione finisce dunque sul mercato dello sfuso.

Dati che, ovviamente, non riguardano il Monferace. Il vino della riscossa, che mira a presentare il Grignolino in abito da sera. La principessa del Piemonte è diventata grande e vuole cantarlo ad alta voce. Se è intonata, lo scopriremo a breve.

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Avvinando Wine Fest 2019: i migliori assaggi a Palermo


PALERMO –
Quasi cento aziende vinicole, 800 vini in degustazione e prodotti tipici siciliani in bella vista: eccolo “Avvinando Wine Fest“. Abbiamo selezionato i migliori assaggi della kermesse svoltasi ai Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo, l’11 e 12 maggio.

Un’edizione interessante che guarda non solo al vino siciliano ma a tutto il mondo enogastronomico, voluta per l’ottavo anno consecutivo dagli organizzatori Massimiliano Morghese, Giuseppe D’Aguanno e Marco Busalacchi ed inserita nel calendario degli eventi di interesse per l’anno 2019 della Regione Siciliana.

I MIGLIORI ASSAGGI AD AVVINANDO WINE FEST 2019


Etna Rosato Doc 2018, “Sul Vulcano”, Donnafugata
Proseguono le novità di Donnafugata nelle contrade dell’Etna. Un bel rosato da uve di Nerello Mascalese che ci avvicina all’estate e che piace per la sua freschezza e mineralità. Rosa tenue al colore, glicine e pompelmo al naso, abbastanza persistente, già pronto al consumo.

Sicilia Doc Nocera 2017, Planeta
Ogni anno sempre meglio per questo Nocera di Planeta coltivato nella splendida cornice di Capo Milazzo. Un rosso marino che profuma di mirto e garrigue. Tannini morbidi e grande equilibrio tra le parti morbide e quelle dure. Si gusta bene anche in estate a temperature più basse di quelle consigliate.

Terre Siciliane Igt 2018 “Alaziza”, Feudi del Pisciotto
Alaziza, ovvero “La splendente” é il nome di questa novità di Feudi del Pisciotto che rimanda al Castello della Zisa, a due passi da dove si svolge la manifestazione. Viognier (85%) e Zibibbo (15%). Uve coltivate a ridosso di una sughereta, a due passi da Caltagirone.

Giallo paglierino, è dotato di piacevoli profumi di mango e pesca e di una buona bevibilità. La firma di Stephan Janson, si aggiunge agli altri stilisti che hanno firmato le altre etichette di questa cantina.

Collio Doc Friulano 2017, “Ronco delle Cime”, Venica
Aromaticità e freschezza sono il biglietto da visita di questa cantina friuliana. Tra le poche cantine non siciliane presenti ma sicuramente tra le più interessanti: al colore giallo paglierino, possiede una bella sapidità e spiccano le note mandorlate e di pera.

Rosso Sicilia Doc 2016, “Terre del Sommacco”, Mandrarossa
Passione, dedizione e tanta cura per un progetto innovativo ma con un forte legame nel passato. Con “Storie ritrovate” (ne abbiamo parlato qui) Madrarossa lancia questo Cru di Nero d’Avola (insieme al Bianco 2017 “Bertolino Soprano”, da uve Grillo) della più famosa varietà siciliana coltivata a 310 metri sul livello del mare. Bel colore, profuma di more e ciliegie. Buona freschezza e tannini morbidi.

Brut Nature Metodo Classico 2012 “Enrica Spadafora”, Azienda agricola dei Principi di Spadafora
Dodici mesi in vasca d’acciaio e trenta mesi sui lieviti per questo metodo classico prodotto a Monreale da un insolito Grillo. Perlage fine e persistente. Sentori di pane, frutta secca e una piacevole mineralità. Una bella freschezza per questo spumante dedicato alla figlia Enrica dal patron della casa vinicola.

Sicilia Doc Frappato 2018 “Dumé”, Gorghi Tondi
Cosa avrà da raccontare un Frappato coltivato a Mazara del Vallo? La risposta la offre Gorghi Tondi. Rosso intenso e fresco da una vigna ancora giovane posta a 65 metri sul livello del mare. Buona struttura ma da bere anche a una temperatura di 8-10 gradi.

Catarratto Terre Siciliane Igt 2018 “Esperides”, Di Bella
Prodotto sulle colline dell’Alto Belice a 450 metri sul livello del mare si presenta di colore giallo paglierino. Al naso note di ginestra, pesca gialla e susina. Dotato di una bella sapidità e un’interessante freschezza, risulta ben bilanciato ed elegante.

Monreale Doc Syrah 2018 “La Monaca”, Tasca d’Almerita
Tra le migliori espressi del Syrah siciliano, emblema di una Doc che cresce sempre di più in termini di qualità. Rosso rubino e note di erbe e spezie. Elegante e dotato di una bella struttura e persistenza. Da bere adesso ma può regalare sorprese se lasciato riposare in cantina per qualche anno.

NON SOLO VINO

Chiudiamo questa piccola selezione con i digestivi di Amari Siciliani. Un’azienda giovane che si presenta con prodotti dai nomi antichi, belle etichette e la migliore espressione dell'”amaro fatto in casa“. Sabbenerica, Allorino, Turiddu e Passionao dove quest’ultimo colpisce per il riferimento al suo ingrediente principale ingrediente il Maracuja (Frutto della Passione).

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Sicilia, Doc Monreale da 12 a 4 varietà. Via libera agli spumanti


MONREALE –
Riduzione del numero di vitigni ammessi alla coltivazione – che passano da 12 a 4 – e introduzione di nuove tipologie di vini, tra cui gli spumanti Metodo classico e Martinotti (Charmat). Cambia così la Doc Monreale.

Oggi il presidente del Consorzio di tutela, Mario Di Lorenzo, incontrerà la stampa italiana e internazionale nella cittadina patrimonio Unesco, per formalizzare le modifiche al Disciplinare di produzione in occasione di Sicilia en Primeur 2019.

Con lui una delegazione di 8 aziende su un totale di dodici che producono i vini Doc Monreale, che proporranno in degustazione le loro etichette. La vera novità è l’esclusione del Nero d’Avola dalla base ampelografica della Denominazione, in modo da convogliare tutta la produzione del vitigno nella Doc Sicilia.

Un ulteriore segno di attenzione della governance isolana nei confronti di una varietà scelta, assieme al Grillo, per rappresentare la Sicilia in Italia e nel mondo. Dalla vendemmia 2017, infatti, i due vitigni non possono più essere imbottigliati come Igt Terre Siciliane, ma solo come Doc.

LE VARIETÀ AMMESSE

Ma il Nero d’Avola non è l’unica varietà esclusa. Restano fuori dalla Doc Monreale anche Grillo, Chardonnay, Pinot bianco, Nerello Mascalese, Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Merlot. Sarà infatti ammesso solo l’utilizzo di Catarratto e Ansonica (Inzolia) per le varietà a bacca bianca e Nero d’Avola e Perricone per quelle a bacca rossa.

Il nuovo corso della Denominazione punta dunque tutto sui vitigni autoctoni. L’unica eccezione è il Syrah, anche se il vitigno di origine francese può essere ormai considerato completamente adattato al microclima del continente Sicilia.

La revisione interessa anche le tipologie di vini che potranno essere imbottigliati come Doc Monreale. Sarà infatti introdotta la versione spumante, sia nella versione Metodo classico – quello che prevede la seconda fermentazione in bottiglia, come nel caso della Franciacorta e dello Champagne – che nella versione Charmat, tipica del Prosecco – singola fermentazione in autoclave -.

Una scelta che risponde all’incremento esponenziale di “bollicine Made in Sicily”, come dimostrano i dati forniti a WineMag.it dall’Irvo, l’Istituto regionale del Vino e dell’Olio di Sicilia. Attualmente le aziende che producono spumanti sull’isola sono una cinquantina per circa 90 etichette, di cui 22 spumanti Rosè e 67 spumanti bianchi.

LA CORSA AGLI SPUMANTI

Secondo il censimento dell’Irvo, nel 2011 le cantine siciliane che producevano vini spumanti erano solo una ventina, per circa 30 etichette. Alcune cantine che operano all’interno della Doc Monreale hanno già avviato da tempo le prime sperimentazioni.

E’ il caso di Alessandro di Camporeale, che presenterà a breve sul mercato il primo Metodo Classico da uve Catarratto. Sarà un Dosaggio Zero o un Extra Brut, vendemmia 2016. Dai primi assaggi effettuati a Sicilia en Primeur l’etichetta – al momento 24 mesi sui lieviti – si preannuncia promettente, soprattutto in termini di longevità. Quattromilacinquecento le bottiglie complessive.

La possibilità di produrre spumanti aumenterà la potenza di fuoco sul mercato della Doc Monreale, al momento ferma alla cifra non certo esorbitante di 50 mila bottiglie. Confermata inoltre la versione rosè.

In questo quadro il Perricone, varietà ostica sia dal punto di vista agronomico che enologico, potrà fungere da vera e propria chicca della Denominazione siciliana. Un autoctono capace di rispondere alla crescente richiesta di varietà locali dei consumatori più attenti.

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Sicilia en Primeur e Giornata internazionale del Nero d’Avola: l’isola capitale del vino per una settimana


SIRACUSA –
Sicilia capitale del vino per una settimana. Al via oggi Sicilia en Primeur, che anticipa la Giornata Internazionale del Nero d’Avola, prevista per l’11 maggio. Due appuntamenti che racconteremo in presa diretta dall’isola, con aggiornamenti che potrete seguire sulla nostra pagina Facebook. Si tratta dei due momenti dell’anno più importanti per le aziende del vino siciliano, dopo Prowein e Vinitaly.

Sicilia en Primeur prevede cinque giorni di degustazioni, visite in cantina e tour culturali per la Sicilia e i suoi Patrimoni Unesco, durante i quali oltre 100 giornalisti provenienti da tutto il mondo incontrano 50 cantine. Il tutto dal 6 al 10 maggio, come previsto dal programma di Assovini Sicilia, l’associazione che riunisce 90 aziende vitivinicole siciliane di piccole, medie o grandi dimensioni.

Venerdì 10 maggio, a chiusura dell’evento, presso l’Ex Convento del Ritiro in Ortigia (SR) a partire dalle 18 e fino alle 22, appassionati e wine lovers avranno la possibilità di degustare le novità delle cantine aderenti.

Quest’anno l’evento sarà curato dall’Associazione Italiana Sommelier Sicilia, con i professionisti della delegazione di Siracusa. Il ticket di ingresso ha il costo di 15 euro, per i soci Ais 12 euro. Per info e prenotazioni: info@aissicilia.com o siracusa@aissicilia.com.

LE 50 AZIENDE PARTECIPANTI A SICILIA EN PRIMEUR 2019

ALESSANDRO DI CAMPOREALE

FEUDO MONTONI

ASSULI

FEUDO PRINCIPI DI BUTERA

AZIENDA AGRICOLA TODARO

FINA

BAGLIO DEL CRISTO DI CAMPOBELLO

FIRRIATO

BAGLIO DI PIANETTO

GULFI

BARONE SERGIO

HORUS

BENANTI

LE CASEMATTE

CANTINE COLOSI

PALMENTO COSTANZO

CANTINE NICOSIA

PETER VINDING MONTECARRUBO

CANTINE SETTESOLI

PIETRADOLCE

CARUSO e MININI

PIETRO CACIORGNA

CASA VINICOLA FAZIO

PLANETA

CASTELLO SOLICCHIATA

RALLO

CENTOPASSI

SIBILIANA

COSTE GHIRLANDA

SPADAFORA DEI PRINCIPI

COTTANERA

TASCA D’ALMERITA

CUSUMANO

TENUTA GORGHI TONDI

CVA CANICATTI’ S.C.A.

TENUTE BOSCO

DIMORE DI GIURFO

TENUTE RAPITALA’

DONNAFUGATA

TERRA COSTANTINO

DUCA DI SALAPARUTA – CORVO – FLORIO

TORNATORE

FEUDI DEL PISCIOTTO

TORRE MORA

FEUDO ARANCIO

VALLE DELL’ACATE

FEUDO DISISA

VIVERA

FEUDO MACCARI

ZISOLA

LA GIORNATA INTERNAZIONALE DEL NERO D’AVOLA

E’ invece alla seconda edizione la Giornata Internazionale del Nero d’Avola. “Il Nero D’Avola – commenta l’ideatore Carmelo Sgandurra, responsabile di Club Sommelier – rappresenta il carattere del vero siciliano, rosso, intenso, dal calore unico e dal gusto che lascia un ricordo indelebile nel palato di chiunque lo incontri. Ma soprattutto è un grande compagno della cucina internazionale”.

“Negli ultimi anni è cresciuto, è diventato un gran vino, apprezzato in ogni parte del mondo”, conclude Sgandurra. Quest’anno l’evento sarà ospitato in una location incantevole: il Castello Tafuri a Portopalo di Capo Passero.

Il momento clou della Giornata Internazionale del Nero d’Avola sarà alle ore 10 di sabato 11 maggio. Si svolgerà infatti il seminario “Il Nero D’Avola per la Sicilia nel Mondo”.

Interverranno enologi di fama mondiale, giornalisti e ospiti da Italia, Albania, Georgia, Spagna, Francia, Romania, Russia, invitati ad approfondire le peculiarità del vitigno.

Relatori principali al seminario saranno gli enologi Bruno Fina, Vittorio Festa, Corrado Gurrieri, Antonio Froio insieme a giornalisti come Ghia Parashivili (Georgia) e Davide Bortone, direttore responsabile di WineMag.it e Vinialsupermercato.it (nella foto), oltre a Marcello Battaglia, consulente internazionale.

Dalle ore 18 è prevista l’apertura dei banchi degustazione, per i quali è necessaria la registrazione sul sito nerodavolawine.com oppure via email all’indirizzo nerodavolawine@gmail.com.

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Dieci Asolo Prosecco Superiore Docg da avere in cantina questa estate


ASOLO –
Ebbene sì, “da avere in cantina”. Chi crede che il Prosecco non possa diventare più buono col tempo trascorso in bottiglia, evidentemente non ha mai assaggiato un Asolo Prosecco Superiore Docg. Chiaro che non stiamo parlando di un Metodo classico.

Ma all’Asolo Wine Tasting 2019, in programma dalle 10 alle 19 di quest’oggi al Palazzo Beltramini di Asolo (TV), ci sarà l’occasione di testare diverse annate di una delle “bollicine” venete più pregiate, nelle sue diverse sfumature.

Chi predilige vini morbidi potrà scegliere la versione Extra Dry o Dry, con residui zuccherini tendenzialmente compresi tra i 14 e i 25 grammi per litro. Chi invece preferisce spumanti più verticali potrà dirigersi senza indugio sulla versione Brut (dai 7 ai 12 grammi per litro).

Ancor più diretti gli Extra Brut (da 0 a 6 grammi litri di residuo zuccherino) o i Col Fondo (da 0 a 2 g/l), connotati dal tipico lievito in vista sul fondo della bottiglia.

Di seguito i migliori dieci Asolo Prosecco Superiore Docg risultati dalla degustazione alla cieca di WineMag.it su 49 campioni complessivi, suddivisi per tipologia. Non mancheranno i vini rossi del Montello Colli Asolani, di cui abbiamo parlato qui. Da non perdere quello prodotti con la rara uva Recantina, autoctona della zona di Asolo.

COL FONDO

1) Asolo Prosecco Superiore Docg Col Fondo 2016 “Il Brutto”, Montelvini: 89/100
Giallo paglierino carico. Naso profondo e fresco, che sfiora il balsamico. Si apre su tinte erbacee che ricordano la radice di liquirizia e il fieno bagnato. Un vino in continua evoluzione nel calice, tanto da arrivare a ricordi di cera d’api a diversi minuti dal servizio.

Un naso complesso, dunque, che evidenzia come il vino stesso sia in continua, positiva evoluzione. In bocca denota una bella struttura, giocata su una freschezza invidiabile in ingresso, che poi lascia spazio a un frutto preciso in centro bocca. Il tutto prima di una chiusura salina preziosa, unita a ricordi di radice di liquirizia già avvertiti al naso.

EXTRA BRUT

2) Asolo Prosecco Superiore Docg Extra Brut Biologico 2018 “Benny”, Bresolin: 89/100
Tra i campioni più completi in assoluto degustati all’interno della Denominazione asolana. In bocca sfodera una ottima freschezza, con leggeri richiami di mentuccia che si accostano a percezioni fruttate molto precise. L’allungo è sulla frutta a polpa gialla, sostenuta da una vena salina che chiama il sorso successivo. Beva che non stanca mai.

3) Asolo Prosecco Superiore Docg Extra Brut 2018, Giusti: 89/100
Uno spumante che fa dell’equilibrio e dell’eleganza le sue armi vincenti, senza rinunciare a una bevibilità straordinaria. Risulta infatti molto ben equilibrato in tutte le sue fasi, in un gioco prezioso tra frutto tendente al maturo e struttura resa dal terroir. Al palato sorprende, in particolare, per il retro olfattivo serioso, leggermente speziato (pepe bianco). Certamente tra gli Asolo Prosecco più complessi della Denominazione.

4) Asolo Prosecco Superiore Docg Extra Brut 2017 “Iaya”, Meridiana: 87/100
Tra gli spumanti più gastronomici in assaggio. Naso suadente, su ricordi di macchia mediterranea – rosmarino, alloro – oltre al frutto tendente al maturo (pesca e pera, tipiche della Denominazione). Bel palato che si distingue per l’apprezzabile verticalità in ingresso. Si allarga in centro bocca, senza scomporsi. Chiusura salina, precisa.

BRUT

5) Asolo Prosecco Superiore Docg Brut 2018 “Duse”, Pat del Colmèl: 88/100
Uno spumante connotato da un bel corpo, oltre da che da una gran freschezza al palato. Uno di quei calici che non stanca mai, per l’equilibrio tra tutte le sue componenti. Sorprende, ancora prima, per la complessità al naso, giocata tra note dure, gessose – che ricordano la pietra bagnata – e il frutto suadente, polposo, esotico. In bocca si ritrova lo stesso filo conduttore, in un gioco di perfetta corrispondenza impreziosita da una chiusura di sipario salina, elegante.

6) Asolo Prosecco Superiore Docg Brut 2018, La Caneva dei Biasio: 86/100
Tra i più tipici ed equilibrati tra i Brut della Denominazione (tipologia che, in verità, ad Asolo non brilla). Bella spinta minerale al naso, che gioca con la frutta matura ma non sgarbata. In bocca la mineralità trova conferma assoluta. Chiuse tipico, su note pulite di mandorla amara. Migliorerà certamente col passare dei mesi.

EXTRA DRY

7) Asolo Prosecco Superiore Docg Extra Dry 2018 “57”, La Montelliana: 87/100
Classico vino “a gradoni”, connotato da fasi gusto-olfattive che devono ancora integrarsi tra loro alla perfezione. Piace e convince perché è giovanissimo e le sue componenti non potranno che amalgamarsi meglio col passare dei mesi, creando un quadro coraggioso per la tipologia Extra Dry.

Uno spumante, di fatto, che non gioca sulla piacevolezza commerciale data dai 17 grammi/litro di residuo zuccherino, cercando nelle durezze date dalla mineralità l’equilibrio perfetto. Lo raggiungerà col passare dei mesi.

8) Asolo Prosecco Superiore Docg Extra Dry 2018, Pat del Colmèl: 86/100
Altro calice che fa dell’essenzialità il suo punto di forza. Il frutto è pulito e tutt’altro che esasperato, pur nella sua maturità. La vena minerale è un corredo preziosissimo per il raggiungimento di un buon equilibrio gusto olfattivo. Un altro spumante a cui farà bene il tempo, che finirà di amalgamare i sentori di lisi alla bella venatura citrina avvertibile – in particolar modo – nel retro olfattivo.

DRY

9) Asolo Prosecco Superiore Docg Dry 2018 “Collina 48”, Bedin: 87/100
Al naso, oltre al frutto, rari richiami alla macchia mediterranea avvertiti in un altro paio di campioni presenti in batteria. Fresco già al naso, coi suoi richiami mentolati e di salvia. In bocca la vena minerale affianca la frutta tendente al maturo: è così che convince, nel senso dell’equilibrio.

10) Asolo Prosecco Superiore Docg Dry 2018, Pat del Colmèl: 86/100
Altro campione che riesce a coniugare una gran freschezza alle note fruttate tendenti al maturo, piuttosto tipiche della tipologia Dry. Sorprende per la chiusura vagamente speziata, che conferisce ulteriore freschezza e carattere al sorso, assieme ai richiami salini.

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L’Asolo Montello riscopre le uve antiche: Recantina oggi, Rabiosa domani


ASOLO – 
Un bianco e un rosso per domani. Per diversificare l’offerta – già consolidata – di bollicine. E cavalcare l’onda della riscoperta degli autoctoni, viste le crescenti richieste di un mercato sempre più attento alla tipicità. Così il Consorzio Vini Asolo Montello punta tutto su Recantina e Rabiosa. Le due uve affiancheranno l’ormai affermato Asolo Prosecco Superiore Docg nel futuro delle Denominazioni di questo prezioso angolo di Veneto.

Se il percorso della Recantina è già avviato, con il riconoscimento all’interno della Doc Montello Colli Asolani, per la Rabiosa (o “Rabbiosa”) il percorso è appena iniziato. La riscoperta di quella che viene considerata la “cugina” della Durella dei Monti Lessini – con la quale condivide la spiccata acidità, distinguendosi per il maggiore apporto zuccherino e alcolico – è ancora in cantiere.

Le caratteristiche organolettiche, unite all’ottima resistenza alle muffe, rendono la Rabiosa un’uva estremamente interessante per i produttori locali, costretti a fare i conti con i cambiamenti climatici. Se le prove di vinificazione delle prime due cantine andranno a buon fine, il Consorzio avvierà l’iter per l’iscrizione nell’elenco dei vitigni della Doc.

Due carte preziose nella manica del presidente del Consorzio, Armando Serena, che ieri ha condotto assieme al suo vice Franco dalla Rosa una masterclass sui rossi dell’Asolo Montello. Quattro assaggi di Recantina – oggi allevata da una decina di aziende per un totale di 10 ettari, in terreni magri prediletti da questa varietà – e 6 di Montello Rosso Docg, ottenuto dall’ormai storico uvaggio di Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc.

“Varietà internazionali – ha ricordato Serena – che si sono perfettamente adattate al microclima locale, tanto da poter essere ormai considerate anch’esse autoctone. Se fino a un po’ di anni fa quello di Asolo era il Prosecco segreto, perché nessuno lo conosceva, oggi questa zona può offrire ai consumatori anche dei rossi unici”.

Per scoprirle c’è Asolo Wine Tasting 2019, in programma domani, domenica 5 maggio, dalle 10 alle 19 a Palazzo Beltramini di Asolo (TV). In degustazione anche alcune eccellenze gastronomiche locali, con La Fucina del Gusto.

LA DEGUSTAZIONE

Recantina Montello e Colli Asolani Doc 2017, Sagrevit: 83/100
Cantina tra le più giovani della Denominazione. Colore rubino, mediamente trasparente. Frutto di bosco, ribes al naso, assieme a richiami vegetali netti. In bocca la struttura non è particolarmente accentuata. Un vino semplice, tutto sommato elegante. La gioventù dell’impianto gioca un ruolo determinante. Un patrimonio che non potrà che migliorare, di vendemmia in vendemmia.

Recantina Montello e Colli Asolani Doc 2017, Ida Agnoletti: 85/100
Rosso rubino intenso, riflessi violacei. Naso sul sottobosco, ma senza il verde che ha contraddistinto l’assaggio precedente. Il frutto ne guadagna in eleganza, sia al naso che al palato, dove in particolare mostra una buona pulizia. Il tannino non è spigoloso e la parte delle durezze spetta a una spezia che ricorda il pepe. Buona bevibilità, data appunto dalla bella freschezza apportata dalla spezia, specie nel retro olfattivo.

Recantina Montello e Colli Asolani Doc 2016, Giusti: 86/100
Si cresce in qualità, a riprova che il vitigno non teme affatto i giri di lancette in bottiglia. Rosso rubino tendente al violaceo. Oltre al frutto, profondo, di bosco, note terziari da caramella mou.

In bocca una bella vena salina che tende al salmastro, ma anche al torbato. Le note fresche al palato vengono attenuate dalla vinificazione in legno, che arrotonda il sorso. Bello l’equilibrio tra le componenti.

Recantina Montello e Colli Asolani Doc 2015, Pat del Colmèl: 91/100
Voto alto, per le ottime prospettive future di questa etichetta. Rosso rubino con riflessi violacei. Note di legno molto più integrate e meno invasive rispetto al precedente assaggio: la percezione è sia fresca (mentuccia) che calda (mou, fumo di pipa dolce), in un pregevole gioco che mette il naso sull’altalena.

Non manca la classica frutta di sottobosco. E’ la Recantina più tannica della batteria, ma anche quella che garantisce la maggiore pienezza al palato, nel rincorrersi tra frutto e sale. Vino giovane, come detto, che maturerà alla grande e troverà il suo perfetto equilibrio una volta assorbita la vena amaricante del tannino, in evidenza in chiusura.


Montello Rosso Docg 2016, Ida Agnoletti: 86/100
Siamo a Selva del Montello, quindi alla base del Montello. Terreno ricco di scheletro, ben drenato e caldo. Vino con buon apporto di frutto (ciliegia netta, prugna, ribes) e caratterizzato da una spezia accesa. In bocca non esplosivo, lineare, tannino piuttosto pastoso e in fase giovanile. Ottima freschezza. Vino che, al momento, guadagna in equilibrio e in eleganza nel retro olfattivo.

Montello Rosso Docg 2015, Martignago: 85/100
Ci spostiamo nel Comune di Maser, in un’area piuttosto calda, molto soleggiata, nota per la coltivazione delle ciliegie. Il vino risulta meno strutturato e fresco del precedente, più sul frutto, specie al naso. Chiude su un tannino meno evidente, ma presente, che si somma alla consueta venatura salina.

Montello Rosso Docg 2015, Le Terre: 82/100
La zona è quella di Onigo. Il naso evidenzia una spinta aromatica intensa, caratterizzata da evidenti richiami di ciliegia sotto spirito. In bocca meno evidente. L’alcol è presente e importante, non ancora supportato da una struttura all’altezza. Chiusura salina meno accentuata, che lascia spazio a una nota mentolata.

Montello Docg 2015 “Campo del Prà”, Sartor Emilio: 91/100
Azienda storica del comprensorio, situata nella zona posta davanti al Montello, tra le più vocate. Naso di frutto rosso molto preciso, caratteristico. Un Cabernet che si fa sentire col suo verde che tende più alla radice (di liquirizia) che al raspo.

Completano il quadro richiami di sciroppo di amarena e ricordi leggeri di miele. Il palato è inatteso: bella verticalità, richiami di spezia, frutto preciso in termini di maturità. Tannino vivo, in fase di distensione. Bello ritrovare in chiusura note di liquirizia e rabarbaro. Un vino che chiama il piatto: gran gastronomicità.

Montello Docg 2013 “Zuiter”, Montelvini: 84/100
Ciliegia netta, matura. Vaniglia. Vino che scorre bene in bocca ma senza lasciare il segno, giocato com’è sulle sole morbidezze. Poco complesso, si riaccende solo in chiusura, dove sfodera una buona freschezza.

Montello Docg 2015 “Umberto Primo”, Giusti (anteprima): 85/100
Nota di tabacco al naso, oltre alla classica nota di ciliegia. Nervoso, scalpitante, ancora molto giovane soprattutto per il tannino. Non ancora armonico al palato, ma è giusto che sia così: vino pensato per l’allungo, dunque da aspettare. Coraggioso.

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Morellino di Scansano: i migliori, alla cieca


VERONA –
I migliori Morellino di Scansano in commercio nell’Horeca, ovvero in enoteca e nella ristorazione? Li abbiamo cercati a Vinitaly 2019, in occasione della degustazione alla cieca organizzata per WineMag.it dal Consorzio di Tutela del noto vino della Toscana. Ecco come è andata.

1) Morellino di Scansano Docg 2016 “Brumaio”, Tenuta Pietramora: 91/100
Rosso rubino. Al naso frutto di buona precisione. In bocca corrispondenza ottima. Tannino lungo, molto fine ed elegante che lavora bene, assieme alla sapidità, sul frutto. Chiusura lunga, fresca, tra il balsamico e il salino.

2) Morellino di Scansano Docg 2016 “Nero”, Villa Acquaviva: 89/100
Naso che, oltre al frutto, con un po’ di ossigenazione si spinge su sentori di brace. Anche in bocca si conferma in evoluzione: beva scorrevole, su tinte tra ribes e il lampone e l’agrume (arancia sanguinella, tendente al maturo). Pregevole chiusura fresca, su un tannino disteso, fine, che annuncia potenzialità di affinamento nel tempo.

3) Morellino di Scansano Docg 2017 “Asintone”, Asintone: 88/100
Rosso rubino con riflessi violacei. Naso di frutto scuro, maturo: mora in evidenza. Palato sul frutto, intenso in ingresso, che poi lascia spazio a una buona freschezza e salinità, che chiama il sorso successivo. Il tannino parla di un vino giovane, di prospettiva, anche se già godibile.

GLI ALTRI PUNTEGGI
Morellino di Scansano Docg 2017 “Tore del Moro”, Azienda Santa Lucia: 88/100
Rosso rubino. Naso complesso, che guarda la terra: radice, rabarbaro, buccia di mandarino, liquirizia, speziatura e vena mentolata, balsamica. Leggero tocco di vaniglia bourbon. Bello al palato, intenso: salino sul frutto, assieme a un tannino giovane, che chiama un amaro da buccia d’agrume in chiusura di sorso e in allungo.

Il direttore del Consorzio del Morellino, Alessio Durazzi

Morellino di Scansano Docg 2017, Col di Bacche 2017: 87/100
Rubino. Frutto tendente al maturo al naso, accenni di spezia. In bocca conferma il frutto maturo, poi la spezia e l’alcol. Un Morellino potente. Tannino che prende la scena in chiusura, su vena amaricante. Da aspettare, sarà grande.

Morellino di Scansano Docg 2016 “Arsura”, Poggio Brigante: 87/100
Rubino. Frutto maturo, giustamente. Accenni di spezia e alcol un po’ prepotente. In bocca bel frutto e salinità, che giocano col tannino. Alcol che si fa sentire in chiusura, peccato. Vino comunque giovane, che non potrà che migliorare in futuro.

Morellino di Scansano Docg 2017, Tenuta Ghiaccio Forte – Castello Romitorio: 87/100
Rubino. Verde, sapidità salmastra, oltre al frutto e alla vena speziata, di pepe nero. In bocca radice di liquirizia, salinità che si ritrova in chiusura.

Pare un Morellino da terroir diverso, marino. Annotiamo questo appunto a Vinitaly, prima di scoprire l’etichetta. Avevamo ragione: la vena salina è la sua peculiarità, tanto da distinguerlo dal resto dei vini della Denominazione.

Morellino di Scansano Docg 2018, I Cavallini: 86/100
Rosso rubino piuttosto trasparente. Naso che rivela la gioventù, un po’ slegato. Frutto esplosivo al palato, spezia. Tannino che asciuga. Giovane di buone prospettive.

Morellino di Scansano Docg 2016 “Doga delle Clavole”, Borgoscopeto – Caparzo: 86/100
Rubino. Naso piacione, frutta matura, bocca più equilibrata del precedente. In bocca tannino vivo, di prospettiva. Tocco salino e balsamico, su un’alcolicità che si fa sentire, pur senza compromettere l’assaggio.

Morellino di Scansano Docg 2016, Fattoria dei Barbi: 86/100
Rubino. Frutto di sottobosco, ma anche venature tra il muschio e la radice, che con l’ossigenazione virano sul fumè. In bocca buon allungo salino, fresco, tannino di prospettiva. Morellino lineare, tipico, oseremmo dire didattico.

Morellino di Scansano Docg 2017 “8380”, Cantina 8380: 85/100
Naso di frutta matura, floreale. In bocca frutto e tannino. Un Morellino piuttosto semplice e immediato, godibilissimo.

Morellino di Scansano Docg 2017 “Poggio al Lupo”, Tenuta Setteponti Srl: 85/100
Naso delicato, tra il fiore appassito e la radice, oltre al frutto. In bocca buona vena salina. Il frutto è presente, buona freschezza. La pecca? Manca in persistenza, peccato.

Morellino di Scansano Docg 2016, Tenuta Agostinetto Manuel: 85/100
Rosso rubino. Al naso arancia amara e lampone. In bocca spinta alcolica e chiusura sul legno, vaniglia. 85/100

Morellino di Scansano Docg 2016 “Montecivoli”, Montecivoli: 84/100
Colore rubino intenso. Naso tra frutto maturo e macchia mediterranea. Corrispondente al palato. Chiusura non pulitissima, su un tannino e una spezia un po’ invadenti, che troncano il frutto.

Morellino di Scansano Docg 2017 “More”, Monterò: 84/100
Colore carico, riflessi violacei. Note di mela rossa matura, ma anche di frutto maturo. Vino a due fasi, tra il tannino e la polpa, al momento un po’ slegate. Chiude sull’alcol. Scopriamo poi che è la seconda prova col Morellino per questa azienda toscana. Attendiamo di degustare la terza, certamente migliore.

Morellino di Scansano Docg 2016, Roccapesta: 83/100
Frutto rosso, maturo, sia al naso che al palato. Poco di più. Un vino piuttosto semplice, all’apice dell’evoluzione.

LE RISERVE


1) Morellino di Scansano Docg Riserva 2014 “Madrechiesa”, Terenzi: 92/100

Rubino. Lampone al naso, netto, oltre a richiami floreali e di macchia mediterranea. Ricordi di cacao e povere di caffè, oltre all’anice stellato. In bocca gran consistenza tattile del frutto, masticabile. Il tannino asciuga la polpa, in equilibrio con l’alcol. Vino di prospettiva, pur mostrando ottimi margini di impiego immediato sulla tavola. Chapeau.

2) Morellino di Scansano Docg Riserva 2015, Alberto Motta: 88/100
La più giovane delle Riserve in batteria, scopriamo al termine della degustazione. Frutto, tannino elegante in fase di integrazione, radice, balsamicità. Chiusura salina. C’è tutto. Ottima Riserva.

3) Morellino di Scansano Docg Riserva 2016, Morisfarms: 86/100
Frutto e macchia mediterranea. Corrispondente al palato, con chiusura bella su radice di liquirizia. Una Riserva in cui vince e si esalta la goduria, più che il cerebrale.

Morellino di Scansano Docg Riserva 2015 “Massi di Mandorlaia”, Conte Guicciardini: 85/100
Frutto, radice di liquirizia e venatura leggera di selvatico. Accenno di spezie dolci. Bella bevibilità al palato, sul frutto maturo, ben coniugata alla freschezza. Non precisissimo il retro olfattivo, su quelle note di pelliccia avvertite al naso.

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Degustazione a cura di Davide Bortone e Giacomo Merlotti – WineMag.it

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Approfondimenti

Malbec World Day Milano: domani si elegge il migliore (e si degusta ai banchi Ais)

MILANO – Domani, mercoledì 17 aprile, è il Malbec World Day. E Milano non resta a guardare. La distribuzione Via dell’Abbondanza, guidata da Federico Bruera, celebrerà per l’ottavo anno consecutivo l’evento più importante per il vino argentino in Italia. Appuntamento dunque al The Westin Palace di Milano per il Malbec World Day 2019.

Alle 16 la degustazione alla cieca da parte della giuria composta da 15 specialisti del settore, tra enologi, sommelier, ristoratori e giornalisti (ci saremo anche noi di WineMag.it con il direttore responsabile, Davide Bortone). Obiettivo: eleggere il miglior Malbec argentino in Italia tra circa 40 etichette rappresentate da Via Dell’Abbondanza.

Nel frattempo, dalle 15 alle 20.30, il pubblico potrà degustare i Malbec di oltre 30 Bodegas (circa 60 etichette), guidato dai Sommelier Ais Milano e Lombardia. Si potranno acquistare ed ordinare i vini degustati, al desk dedicato. Saranno consegnati nel giro di pochi giorni, direttamente a casa.

Spazio anche alle prelibatezze gastronomiche, con le empanadas cucinate dallo chef di un noto ristorante argentino di Milano. Il ticket di ingresso del Malbec World Day Milano è acquistabile sul posto, al costo di 10 euro.

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Guida a Vinitaly 2019: dieci (e più) cantine per padiglione da non perdere


VERONA –
Le cantine da non perdere a Vinitaly 2019 (7-10 aprile)? Ecco la guida di WineMag.it. Impossibile citare tutte quelle che avremmo voluto. Di seguito abbiamo quindi cercato di tracciare un elenco (non scontato) di aziende scelte tra i territori più rappresentativi del vino italiano.

Dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, dall’Alto Adige alla Sardegna, senza dimenticare il centro Italia e il Meridione, nella sua interezza. Qui invece la mappa dei padiglioni, scaricabile e stampabile.

PADIGLIONE 1: EMILIA ROMAGNA
– Cantina Valtidone (A 13)
– Fratelli Bonelli (A 14)
– Ca’ de’ Medici (A 11)
– Cantine Ceci (D 8)
– Pandolfa (C 7)

– Enio Ottaviani Vini e Vigneti (A 3 e B 4)
– Mossi 1588 (B 15)
– Poderi dal Nespoli (B 2)
– Cantine Romagnoli (A 9)
– Tenuta Biodinamica Mara (C 2)

PADIGLIONE 2: SICILIA E UMBRIA
– Società Agricola Destro (6)
– Antano Milziade Fattoria Colleallodole (B 10)
– Frank Cornelissen (44 C)
– Cottanera (50 c)
– Dionigi (A 9)

– Judeka (127 G)
– Moretti Omero (A 10)
– Romanelli (B 9)
– Gorghi Tondi (65 D)
– Adanti Azienda Agricola (E 10)

PADIGLIONE 3: TRENTINO E ALTRI TERRITORI
– Endrizzi (E 5)
– Pedrotti spumanti (D 1)
– Pojer e Sandri (E 3)
– Cantine Briziarelli (D 8)
– Letrari (E 4)

– Lini 910 (C 6)
– Marisa Cuomo (C 6)
– Moser (E 2)
– Cesarini Sforza (C 4 – D 4)
– Cantina della Volta (E 5)

Guida Vinitaly 2019 PADIGLIONE 4 E 5: VENETO E ALTRI TERRITORI
– Villa Angarano (G 4 – G 5)
– Dal Maso (B 6)
– Inama (B 2)

– Lamole di Lamole (B 7)
– Vignaioli Contrà Soarda (G 4 – G 5)
– Alessandro Benini (G 6 – G 7)
– Fongaro (F 7)
– Franchetto (G 4 – G 5)

– Le Battistelle (G 6 – G 7)
– Zambon Vulcano (F 7)
– Le Tende Azienda Agricola (E 4)
– Accordini Stefano (C 3)
– Albino Piona (C 6)

– Kettmeir (B 7)
– Ruggeri (D 7)
– Cà Maiol (B 7)
– Albino Armani (A 6)

PADIGLIONE 6: ALTO ADIGE, FRIULI VENEZIA GIULIA
– Abbazia di Novacella (D 3)
– Arunda (D 2)
– Tenute Ebner (B 3)
– Falkenstein Tenuta (C 1 – D 1)
– Gigante Adriano (E 7)

– Gump Hof Markus Prackwieser (B 3)
– Haderbusrg (C 3)
– Keber Edi (C 7)
– Köfererhof (B 3)
– Ferruccio Sgubin (C 7)

PADIGLIONE 7: MARCHE E ALTRI TERRITORI
– Abrigo Orlando (C 11)
– Cantina Orsogna (E 2)
– Belisario (E 6)
– Argiolas (A 4 – A 5)
– Boccadigabbia (C 9)

– Cantina Tre Rose (B 2)
– Leone De Castris (E 5)
– Lucchetti Mario (C 9)
– Monsupello (B 1)
– Quintodecimo (D 3)

– Campi Valerio (F 3)
– Vie di Romans (C 5)
– Frecciarossa (B4 – B5 – B6)
– Fulvia Tombolini (C 6)
– Fattoria Mancini (C 7)
– Cantine Torrevilla (D 11)

Guida Vinitaly 2019 PADIGLIONE 8: SARDEGNA E ALTRI TERRITORI
– Antonella Corda (G 8 / G 9)
– Cantine Sardus Pater (B 2)
– Contini (D 1)
– Cantina Giuseppe Sedilesu (B 4)

– Binzamanna (B 6)
– Adriano Marco e Vittorio (D 8 – D 9)
– Alessio Brandolini (B 8 – B 9)
– Barbaglia (B 8 – B 9)
– Benito Favaro (C 8 – C 9)
– Bresolin Bio (C 8 – C 9)

– Corte Fusia (F 8 – F 9)
– De Tarczal (E 8 – E 9)
– Lazzari (D 8 – D 9)
– Palazzone Azienda Agricola (B 8 – B 9)
– Villa Persani (E 8 – E 9)
– Cantina Neri (C 8 – C 9)

PADIGLIONE 9: TOSCANA
– Badia a Coltibuono (D 9)
– Borgo Scopeto (B 2)
– Campo alla Sughera (D 14)
– Poderi del Paradiso (C 14)

– Capitoni Marco (A 15)
– Castello di Volpaia (D 4)
– Castello Tricerchi (B 8)
– Col di Bacche (C 13)
– La Combarbia (D 12 – D 13)
– Piandaccoli (E 15)

PADIGLIONE 10: PIEMONTE E ALTRI TERRITORI
– Abrigo Giovanni (I 2)
– Braida di Giacomo Bologna (N 4)
– Giulia Negri Serradenari (H 3)
– Oddero Poderi e Cantine (N 4)
– Castello di Verduno (L 2)

– Cascina Luisin (M 2)
– Giribaldi Azienda Agricola (D 3)
– Pecchenino (O 3)
– Antichi Vigneti di Cantalupo (O 2)
– Ioppa (E 3 – F 3)

PADIGLIONE 11: BASILICATA, MOLISE, PUGLIA
– Casa Maschito (E 5)
– Di Majo Norante (F 5)
– Agricola Erario (B 2)
– Agricole Alberto Longo (G 4)

– Apollonio Casa Vinicola (E 2)
– Cantina La Marchesa (G 2)
– Cantine San Marzano (D 5)
– Cardone (C 1)
– Colli della Murgia (H 2)

– I Pastini (D 3)
– Produttori di Manduria (C 3)
– Terrecarsiche 1939 (F 5)
– Varvaglione (C 3)

PADIGLIONE 12: ABRUZZO, CALABRIA, LIGURIA, VALLE D’AOSTA
– Anfossi Azienda Agraria (D 4)
– Cantine Viola (A 5 – E 6)
– Casal Bordino “Madonna dei Miracoli” (G 2)
– Cataldi Madonna (E 5 – F 5)
– Cave Mont Blanc de Morgex et La Salle (A 3 – B 3)

– Ciavolich (E 5 – F 5)
– Elena Fucci (A 2)
– Isole e Olena (A 2)
– Lo Triolet (A 3 – B 3)
– Tenuta del Conte (B 5)

Guida Vinitaly 2019 PALAEXPO: LOMBARDIA
– Agnes Fratelli (B 4)
– Azienda Agricola Rebollini (D 2)
– Cantine Conte Carlo Giorgi di Vistarino (A 2)
– Barone Pizzini (D 16)
– Quadra Franciacorta (D 11)

– La Perla di Triacca Marco (A1)
– Noventa Bioviticoltori (A 8)
– Tenuta Mazzolino (C 4)
– Bruno Verdi (C 3)
– Rivetti & Lauro (A 1)

PADIGLIONE A: LAZIO
– Azienda Agricola Giangirolami Donato (50)
– L’Avventura (58)
– Casale del Giglio (2)
– Tenuta di Fiorano (49)

– Mottura Sergio (23)
– Casale Cento Corvi (15)
– Casale della Ioria (22)
– Fattoria Madonna delle Macchie (41)
– Merumalia (36)
– Vini Giovanni Terenzi (25)

PADIGLIONE B: CAMPANIA
– Donnachiara (D 2)
– Casa Vinicola Ettore Sammarco (C 2)
– Azienda Agricola San Salvatore (C 2)
– Galardi (B 2)
– Masseria Frattasi (B 2)

– Petilia (D 2)
– Sertura (D 2)
– Tenuta Sarno (D 2)
– Traerte Vadiaperti (D 2)
– Il Verro (B 2)

Guida Vinitaly 2019 PADIGLIONE F: ORGANIC HALL – VINITALY BIO
– 1701 Franciacorta (70 Vi.Te.)
– Ampeleia (42 Vi.Te.)
– ‘A Vita Vignaioli in Cirò (41 Vi.Te.)
– Az. Agricola Al di Là del Fiume (17 Vi.Te.)
– Fosso degli Angeli (34 Bio)

– Castello di Tassarolo Marchesi Spinola (1 Bio)
– La Cantina di Enza (65 Vi.Te.)
– Garganuda (67 Vi.Te.)
– Thomas Niedermayr (9 Bio)
– Giancarlo Ceci Agrinatura (54 Bio)

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Vino naturale, il ministro Centinaio a WineMag: “Il settore va regolamentato”


ROMA –
“Al fine di valutare l’opportunità di regolamentare il settore del vino naturale è necessario avviare ampie consultazioni con tutti i soggetti coinvolti”. Così il ministro Gian Marco Centinaio in un’intervista esclusiva rilasciata a WineMag.it.

E’ la prima volta che un ministro alle Politiche Agricole tende la mano a un settore molto attivo in Italia, pur rappresentando meno del 3% della produzione. Solo in Veneto, saranno ben due gli eventi collaterali in programma a ridosso di Vinitaly 2019: ViniVeri – Vini Secondo Natura (5-6-7 aprile a Cerea) e VinNatur Tasting (6-7-8 aprile a Gambellara).

Una svolta storica, dunque. “Tra gli organismi che è necessario interpellare – continua Gian Marco Centinaio – sono compresi i produttori. L’obiettivo è valutare l’impatto del vino naturale ‘certificato’ sul mercato nazionale ed internazionale”.

“La qualifica di vino naturale – sottolinea Centinaio – si basa ad oggi su una disciplina di carattere volontario. E’ attualmente assente un sistema di certificazione e controllo conforme alla normativa sui controlli ufficiali”.

Eppure non mancano gli esempi di autoregolamentazione, in Italia come all’estero. Su tutti il disciplinare di VinNatur, Associazione culturale fondata nel 2006 da Angiolino Maule, che oggi conta oltre 170 cantine.

Allo stesso modo il Consorzio ViniVeri pone paletti ben precisi per l’adesione al circuito, che riguardano le scelte dei produttori, sia in vigna che in cantina. Non sono ammessi per esempio diserbi e insetticidi chimici. E’ vietata la vendemmia meccanica, così come l’uso di lieviti selezionati commerciali.

Come già successo per altri settori – commenta il ministro Centinaio – alcune realtà del mercato evolvono spesso in modo indipendente rispetto alla regolamentazione. Tali realtà forniscono lo stimolo al legislatore per ratificare e regolamentare un fenomeno già esistente nella realtà economica e imprenditoriale”.

Per questo, la volontà del ministro e del suo staff è quello di “studiare ed approfondire le realtà esistenti con la più ampia consultazione dei soggetti interessati, al fine di individuare le soluzioni migliori a tutela del consumatore e dei produttori”.

Nell’intervista esclusiva a WineMag.it, il ministro commenta anche la necessità di regolamentare il settore della sommellerie in Italia. Si tratta della scia del polverone sollevato dalla testimonianza di un sommelier della catena Esselunga, raccolta dall’altra testata giornalistica del nostro network, vinialsupermercato.it (qui l’articolo e qui la replica dei presidenti Ais, Fisar e Aspi).

“Rispetto alla questione posta dalle associazioni della sommellerie italiana – assicura il ministro Gian Marco Centinaio – valuteremo la possibilità di avviare un’ampia consultazione con tutte le associazioni dei sommelier finalizzata all’individuazione di requisiti univoci di formazione e aggiornamento degli stessi, consapevoli del fatto che in materia di formazione le Regioni costituiscono l’autorità a cui è delegato tale aspetto”.

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Biodiversità significa vino di qualità. In Franciacorta il primo studio al mondo


PROVAGLIO D’ISEO –
E’ la differenza che passa tra una bellezza naturale e una costruita dal chirurgo. Da un ambiente sano e ricco di biodiversità, non ritoccato dai “ferri” della chimica, nasce un vino “naturalmente” buono.

E’ quanto conferma per la prima volta al mondo uno studio avviato in Franciacorta dall’Università della California di Davis, in collaborazione con il professor Leonardo Valenti dell’Università degli Studi di Milano. Un progetto avviato tra i vigneti di Barone Pizzini, azienda pioniera della sostenibilità in Italia, poi diffuso in altre aree vinicole del Paese.

Non a caso Barone Pizzini ha affidato all’enologo Valenti la presentazione dei primi risultati dello studio, in occasione dell’assaggio delle basi spumante 2018 della maison franciacortina. L’analisi dei terreni dei “cru” – oltre 40 quelli a disposizione di Barone Pizzini – dà infatti vita a micro vinificazioni, utili alla perfetta composizione delle cuvée.

Un approccio che avvicina la cantina bresciana ad alcune note realtà cooperative dell’Alto Adige, che da anni vinificano separatamente le uve dei propri conferitori, per arrivare al miglior blend. La marcia in più è costituita dall’attenzione alle diverse condizioni registrabili nelle micro porzioni di ogni singolo vigneto.

Un puzzle nel puzzle, che si traduce per esempio in scelte differenti sui livelli di pressatura delle uve del medesimo “cru”, da stabilire in base alle caratteristiche di “croccantezza” ed elasticità della buccia.

Sembra una cosa ovvia la connessione tra la vitalità del suolo e la qualità del vino – spiega Silvano Brescianini, direttore generale di Barone Pizzini e neo presidente del Consorzio per la Tutela del Franciacorta – ma in realtà non sempre questo viene considerato”.

“Per di più – sottolinea Brescianini – non esistono pubblicazioni ufficiali su questo tema. Dobbiamo essere dunque orgogliosi, come italiani, di essere stati i primi a lavorarci. E un grande merito va al nostro enologo, il prof Valenti, e al nostro agronomo, Pierluigi Donna”.

I PUNTEGGI DI BIODIVERSITÀ
“Quando una vite è in equilibrio con l’ambiente – spiega Leonardo Valenti – lo dimostra con un comportamento vegetativo corretto e una tendenza a generare uve di qualità. Non abbiamo fatto altro che analizzare i fattori alla base di questa correlazione, nel sottosuolo”.

Sono stati messi sotto osservazione i differenti appezzamenti di Barone Pizzini, ritenuti più o meno in grado, secondo le evidenze storiche raccolte in occasione delle diverse vendemmie, di produrre uve di maggiore o minore qualità.

Abbiamo dunque assegnato dei veri e propri punteggi di biodiversità ai diversi terreni – aggiunge Valenti – provando per la prima volta al mondo le precise assonanze tra i valori di vitalità del suolo e la qualità dei vini da esso prodotti. Il medico non tratta tutti i pazienti alla stessa maniera. Conoscere le caratteristiche di ogni singolo terreno ci aiuta a comprendere come aiutarlo naturalmente a produrre meglio”.

L’ASSAGGIO DELLE BASI E L’ERBAMAT

Dal campo alla bottiglia, insomma, il passo è breve. E promette benissimo l’annata 2018 di Barone Pizzini, sulla base degli assaggi delle basi spumante dell’ultima vendemmia. Si tratta di prelievi di “botte”, che andranno a comporre i Metodo Franciacorta passando per il tiraggio e la successiva sboccatura.

Le uve atte alla produzione di spumante – ricorda il professor Valenti – devono raggiungere un’immaturità matura. Potremmo anche definirla una ‘maturità adolescenziale’, di un giovane che ha un carattere abbastanza formato, anche se ancora malleabile”.

E’ così che lo Chardonnay del “cru” Roncaglia, utile alla produzione dell’etichetta “Animante” (20-30 mesi sui lieviti) rivela una buona acidità, equilibrata col resto del corredo. Sarà infatti “tirato” a breve.

Più torbida la base dello Chardonnay di Ronchi, che finirà nella cuvée del “Satèn” o del “Naturae”. Una storia a sé per questo vino, ottenuto grazie a una selezione di lieviti indigeni compiuta in un magazzino sterile di Barone Pizzini, fino a individuare – tra 10 diversi – quello più capace di garantire elevati standard qualitativi in fermentazione.

Ben 5, ovvero la metà, sono risultati “gravemente problematici”: una riprova che anche tra i lieviti indigeni delle uve occorre fare selezione, per evitare arresti fermentativi o altri problemi indotti. Un progetto che Barone Pizzini intende comunque estendere ad altri vigneti.

Altro campione altra base: lo Chardonnay del “cru” del Roccolo è perfetto per il Franciacorta Riserva “Bagnadore”, prodotto di punta della cantina bresciana. Si tratta infatti delle ultime uve raccolte nel comprensorio aziendale.

Una maturazione più lenta che garantisce l’ottenimento di un vino base di potenza, struttura e maturità, grazie ad un accumulo di zucchero che non penalizza l’uva in termini di acidità e ph.

Non a caso le radici affondano in un suolo misto, dove parti profonde e sottili si mescolano. Una situazione simile a quella della fascia centrale della Borgogna, dove si trovano appunto i preziosi Grand Cru e i Premier Cru.

Tra gli assaggi più significativi anche quello dell’Erbamat, l’autoctono riscoperto da Barone Pizzini ed entrato ufficialmente tra i vitigni del Franciacorta dalla vendemmia 2017, con un massimo del 10%.

Un vitigno che dà vita a vini duri, ma dotati al contempo di una certa aromaticità, avvertibile nel retro olfattivo. In Italia può essere paragonato solo alla Durella, l’uva “tosta” con cui si produce il Metodo classico dei Monti Lessini.

“Il campanello d’allarme delle caldissime vendemmie 2003 e 2007 – spiega Silvano Brescianini – ci ha spinto ad interrogarci ancora più seriamente sui cambiamenti climatici. Tra le 18 varietà autoctone disponibili per la Denominazione abbiamo scelto l’Erbamat. Una scelta dovuta al fatto che matura 6-8 settimane dopo lo Chardonnay e mostra un’acidità malica elevata, oltre ad essere citata dall’agronomo bresciano Agostino Gallo già nel 1564″.

Barone Pizzini ha iniziato a reimpiantarlo nel 2008 in località Timoline (vigneto Prada). Nel 2011 le prime prove di vinificazione e nel 2016 i nuovi vigneti, per aumentare la massa critica. La cantina di Provaglio di Iseo, assieme a Berlucchi, detiene oggi la nursery dell’Erbamat.

Ci vorrà del tempo per capire se la sperimentazione avrà avuto gli effetti sperati – evidenzia ancora Brescianini – ma di sicuro avere un vitigno così sul territorio ci consente di presentarci all’estero con una storia autentica e di territorio da raccontare, oltre ai vantaggi garantiti dalle caratteristiche di questa uva”.

Secondo l’enologo Leonardo Valenti, la quota perfetta di Erbamat nella cuvée del Franciacorta è tra il 20 e il 25%, meglio se con Chardonnay e Pinot Noir. Sorprendenti, appunto, anche gli assaggi di Pinot Nero della vendemmia 2018 di Barone Pizzini: potenti, salini e dotati del giusto apporto di frutto.

Quel che è certo è che tutti i Franciacorta della cantina di Provaglio d’Iseo siano “ipocalorici”, come piace definirli al direttore Silvano Bresciani. Ovvero sostanzialmente privi di percezioni zuccherine. La “coda” dolce della liqueur d’expedition è poco percettibile ed è semplice capire perché: il vino “più dosato” è il Satèn, che registra tra i 4 e i 5,5 grammi di residuo.

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Approfondimenti Gli Editoriali news

Prosecco Doc, pugno duro del Consorzio contro lo “stile influencer” su Instragram

EDITORIALE – Primi risultati concreti per la nostra “battaglia” contro i bot di Instagram, utilizzati da molti influencer (o presunti tali) per incrementare follower ed engagement dei loro account, attraverso un controverso (e poco corretto) meccanismo. Dopo una nostra denuncia (vedi a lato), il Consorzio di Tutela Prosecco Doc è infatti intervenuto nei confronti dell’agenzia che gestisce il profilo Instagram proseccodoc_usa.

I FATTI
Da diversi mesi pubblico sul mio profilo Facebook la lista di account che utilizzano il fastidioso “trucchetto” del “Follow – Unfollow“, scovati grazie a una speciale app installata sul mio smartphone (ne avevo parlato qui).

Con pochi euro, tutti gli iscritti Instagram che intendano incrementare i follower in maniera esponenziale (e in breve tempo) possono attivare dei “bot” che consentono di iniziare a seguire altri account interessati al medesimo argomento (follow), per poi eseguire – nel giro di 24/48 ore – un “unfollow” di quegli stessi profili.

Questo strumento di Inbound Marketing fa gioco su una pratica ormai comune su Instagram: sono moltissimi gli utenti del social, specie non professionali, che decidono di seguire automaticamente un account che inizia a seguirli. Non a caso spopolano su Instagram gli hashtag che contengono la parola “follow“. Eccone alcuni esempi:

  • #follow
  • #followforfollowback
  • #follow4followback
  • #Ilikeforfollow
  • #followforfollow
  • #followforlike
  • #followback
  • #followforafollow

Ebbene, anche l’agenzia che si occupa di comunicazione per il Consorzio di Tutela del Prosecco Doc ha iniziato ad utilizzare un “bot” per incrementare i follower dell’account Instragram Usa. Ma ha avuto la “sfortuna” di iniziare a seguire, il 24 febbraio, l’account di WineMag.it.

Essendo ovviamente interessati alle attività di un Consorzio del vino italiano, abbiamo concesso il “follow back”. Accorgendoci però che, nel giro di una notte, il 25 febbraio, l’account prosecco_usa aveva eseguito lo sciagurato “unfollow”. Un episodio che ho deciso di “denunciare”, appunto, sul mio profilo Facebook.

Con grande sorpresa, ieri sera siamo stati contattati dal Consorzio di Tutela Prosecco Doc, che ha fatto tesoro dell’accaduto e ha annunciato di aver preso provvedimenti nei confronti dell’agenzia Usa:

Ciao Davide, ti scriviamo in merito all’attività sospetta registrata nell’account @proseccodoc_usa. Il profilo è attualmente gestito da Casa Prosecco DOC USA, l’agenzia di comunicazione che si occupa delle pubbliche relazioni per conto del Consorzio del Prosecco DOC in tutto il territorio degli Stati Uniti.

In qualità di Consorzio, forniamo costantemente alla nostra “fonte” ufficiale negli States guidelines di comunicazione utili a promuovere la reputazione e l’autenticità del Prosecco DOC, sia nel rapporto coi media, che in quello coi consumatori.

Alcuni task, però, vengono svolti in autonomia da Casa Prosecco DOC USA, la gestione dell’account @proseccodoc_usa è uno di questi. In questo senso, abbiamo già individuato l’attività sospetta e ci siamo adoperati per bloccare in modo definitivo tutte le tipologie di acquisizione, following e unfollowing sospetti. Buona serata.

Un plauso e un ringraziamento, dunque, a uno dei Consorzi del Vino più importanti d’Italia, che ha deciso di prendere in mano la situazione e dire basta a queste pratiche offensive per chi si occupa di comunicazione.

Un meccanismo che, invece, sembra spopolare anche tra le cantine italiane.

Sull’esempio del Consorzio del Prosecco, la speranza è che anche cantine e uffici stampa del settore Food & Wine decidano di investire risorse in chi davvero fa informazione nel settore, abbandonando la strada degli influencer (con un pranzo e il “rimborso spese” offerto a questa gente, su WineMag o Vinialsuper si fa pubblicità per un mese!).

Basterebbe del resto chiedersi come mai, qualcuno di questi “fenomeni” social, riceva solo qualche centinaio di “cuoricini” per le foto pubblicate nei mirabolanti tour enoici, a fronte di decine di migliaia di follower vantati dell’account. Sveglia, Italia! Cin, cin.

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Amarone 2015: è davvero una grande annata? I migliori assaggi all’Anteprima


VERONA –
 Doveva essere un’annata speciale per l’Amarone, la 2015. Sarà soprattutto il mercato a dare ragione ai tecnici del Consorzio di Tutela Vini Valpolicella e del Crea di Conegliano, che parlano di una vendemmia speciale, quasi irripetibile. La “migliore degli ultimi 30 anni”.

Di certo si fatica a vedere tutta quest’eccellenza nei calici dell’Anteprima Amarone 2015, andata in scena ieri al Palazzo della Gran Guardia di Verona. Sessantanove etichette che il pubblico di winelovers e appassionati potrà gustare oggi, dalle 10 alle 19: sessantacinque le aziende della Valpolicella protagoniste, anche con annate più vecchie (porte aperte anche il 4 febbraio, ma solo per gli operatori del settore).

La verità è che molti campioni di botte promettono meglio dei vini già in bottiglia. Segno di un nuovo stile di produzione, che pare incentrato su una sorta di alleggerimento dei toni più “mascolini” dell’Amarone.

Il risultato (spesso) non è male. Ma a rimetterci è la tipicità della Denominazione, alla luce delle richieste del mercato. E’ un fenomeno tutto italiano. Di fatto, all’Anteprima di Verona 2019, si è assistito al medesimo “trend” in voga dall’altra parte del pianeta dei fine wines italiani: il Piemonte.

All’Anteprima “Barolo, Barbaresco e Roero” di Alba di inizio settimana (qui i migliori assaggi) è parso evidente l’assottigliarsi delle differenze tra Nebbiolo “base” e Nebbioli più affinati, atti a diventare Barolo o Barbaresco.

Così, in Valpolicella, sin troppi Amaroni paiono l’emblema (cosciente) di un’occasione persa: quella di una “annata perfetta”. Le scelte enologiche di molti produttori sembrano aver privilegiato la bevibilità rispetto alla struttura. E a sentire gli stessi vignaioli (tanti), questo era – appunto – l’obiettivo.

Ecco dunque le valutazioni effettuate ieri sui campioni in degustazione all’Anteprima Amarone 2015, suddivise tra vini “già imbottigliati” e “campioni di botte”. Un tasting avvenuto rigorosamente alla cieca, senza cioè conoscere il nome del produttore e dell’etichetta prima di valutarla. Enjoy.

AMARONE DELLA VAPOLICELLA DOCG GIA’ IMBOTTIGLIATO

Zanoni Pietro 2015 “Zovo”: 92/100
Roccolo Grassi 2015: 91/100
Boscaini Carlo 2015 “San Giorgio”: 90/100 — Giovanni Ederle 2015: 90/100

Monte del Frà Classico 2015 “Lena di Mezzo”: 86/100
Albino Armani Classico 2015 “Albino Armani”: 86/100
Tinazzi 2015 “Cà de’ Rocchi La Bastia”: 86/100

Antiche Terre Venete 2015: 85/100
Corte Figaretto Valpantena 2015 “Graal”: 85/100
Riondo-Collis 2015 “Castelforte”: 85/100
Vigneti di Ettore Classico 2015: 85/100
Gamba Classico 2015 “Campedel”: 85/100
Fratelli Degani Classico 2015 “La Rosta”: 85/100

Gerardo Cesari Classico 2015 “Cesari”: 84/100
Corte Archi Classico 2015 “Gli Archi”: 84/100
Bertani Valpantena 2015: 84/100
La collina dei ciliegi 2015: 84/100
Bottega 2015 “Il Vino degli Dei”: 84/100
Accordini Stefano Classico 2015 “Acinatico”: 84/100

Cà dei Maghi Classico 2015 “Camparsi”: 83/100
Zeni 1870 Classico 2015 “Vigne Alte”: 83/100
San Cassiano 2015: 83/100
Domini Veneti Classico 2015 “Domini Veneti”: 83/100
Capurso 2015: 83/100

Pasqua Vigneti e Cantine 2015 “Famiglia Pasqua”: 82/100
Recchia Classico 2015 “Masùa di Jago”: 82/100
Fratelli Degani Classico 2015: 82/100

Aldegheri Classico 2015: 81/100
Ilatium 2015 Campo Leòn: 81/100

CAMPIONI DA BOTTE: VALUTAZIONI 02/02/2019

Valentina Cubi Classico 2015 “Morar” (campione di botte): 90/100
I Tamasotti 2015 (campione di botte): 90/100
Giacomo Montresor Classico 2015 “Capitel della Crosara” (campione di botte): 89/100

Zýmē Classico 2015 (campione di botte): 86/100
Massimago 2015 “Massimago” (campione di botte): 86/100
Cantina Valpantena 2015 “Torre del Falasco” (campione di botte): 86/100

Cà dei Frati 2015 “Pietro Dal Cero” (campione di botte): 85/100
Cà la Bionda Classico 2015 “Vigneti di Ravazzòl” (campione di botte): 85/100
Famiglia Cottini – Montezovo 2015 (campione di botte): 85/100

Monteci Classico 2015 (campione di botte): 84/100
Secondo Marco Classico 2015 (campione di botte): 84/100
Selùn di Marconi Luigi Classico Riserva 2015 (campione di botte): 84/100
Tenuta Chiccheri 2015 “Campo delle Strie” (campione di botte): 84/100
Santi Classico 2015 “Santico” (campione di botte): 84/100
Tenuta Santa Maria di Gaetano Bertani Classico 2015 (campione di botte): 84/100
Novaia Classico 2015 “Corte Vaona” (campione di botte): 84/100
Corteforte Classico 2015 “Corteforte” (campione di botte): 84/100
Fasoli Gino 2015 “Alteo” (campione di botte): 84/100
Fattori 2015 (campione di botte): 84/100
Flatio Classico 2015 (campione di botte): 84/100

Dal Cero in Valpolicella 2015 “Dal Cero” (campione di botte):: 83/100
Falezze Luca Anselmi 2015 (campione di botte): 83/100
Marinella Camerani 2015 (campione di botte n. 50 Vigneto Adalia): 83/100
Clementi Classico 2015 (campione di botte): 83/100
Corte Archi Classico 2015 Riserva “Is” (campione di botte): 83/100
Ceschi Brugnoli Classico 2015 “Cà del Mato” (campione di botte): 83/100
Scriani Classico 2015 (campione di botte): 83/100
Bolla Classico 2015 (campione di botte): 83/100
Santa Sofia Classico 2015 (campione di botte): 83/100

Vigna ‘800 Classico 2015 “Virgo Moron” (campione di botte): 82/100
Marinella Camerani 2015 (campione di botte n. 57 Vigneto Dietro Casa): 82/100
Le Bignele Classico 2015 (campione di botte): 82/100
Cà Rugate 2015 “Punta Tolotti” (campione di botte): 82/100
Benedetti Corte Antica Classico 2015 (campione di botte): 82/100
Cà Botta 2015 “Tenute Cajò” (campione di botte): 82/100

Villa San Carlo 2015 (campione di botte): 81/100
Sartori Classico 2015 “Reius” (campione di botte): 81/100
Le Guaite di Noemi 2015 (campione di botte): 81/100

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degustati da noi news vini#02

Torcolato Doc Breganze: degustazione con punteggi delle annate 2011-2015


BREGANZE –
Undici campioni di Torcolato in degustazione all'(Ante) Prima di sabato 19 gennaio, a Breganze (VI). A ospitare l’evento è stata Cantina Maculan, vera e propria azienda-bandiera mondiale della Denominazione vicentina, grazie al lungimirante lavoro avviato negli anni Settanta dal patron Fausto.

Numeri da “chicca” oggi per il Torcolato, ottenuto dall’appassimento e successiva spremitura dei grappoli di uva Vespaiola. Nella pedemontana vicentina, su un totale di 600 ettari vitati, sono circa 65 quelli destinati a questa varietà. Nel 2017 sono state prodotte circa 380 mila bottiglie, di cui 50 mila di Torcolato.

Un nettare che si abbina alla perfezione alla pasticceria secca e da forno, ma anche a preparazioni al cucchiaio. Da provare l’accostamento a formaggi erborinati come il Gorgonzola, Roquefort e Bleu, oppure al foie gras.

Di seguito le valutazioni delle etichette in degustazione nel programma della Prima del Torcolato 2019. Seguiranno, sempre su WineMag, quelle alle vecchie annate di Torcolato (1972-2007) e agli spumanti e vini fermi ottenuti dal vitigno Vespaiola.

TORCOLATO 2011-2015: LE VALUTAZIONI

Torcolato 2015, Cantina Col Dovigo: 82/100
Giallo dorato, naso preciso, leggera riduzione. Buon rapporto frutto-dolcezza-acidità. Un Torcolato equilibrato, giocato sulla facilità e prontezza della beva. Torco-flash: corto.

Torcolato 2015, Azienda agricola Vitacchio Emilio: 80/100
Colore tendente all’ambrato. Al naso note di nocciola tostata che evidenziano una fase ossidativa precoce. Acescenza rimarcata da una volatile che, nel complesso, non compromette definitivamente l’olfatto. Eppure, sotto questa coltre, c’è la stoffa di un buon Torcolato. Intenso l’ingresso al palato, dove è ancora più marcata la nota acetica. Ne risente la struttura del nettare. Peccato. Ottanta punti di incoraggiamento a un controllo delle ossidazioni in cantina.

Torcolato 2015, Azienda Agricola Ca’ Biasi: 92/100
Giallo dorato. Impronta vulcanica netta al naso, che prende le forme della pietra focaia. Un Torcolato “fresco” già al naso: talcato, mentolato, leggermente speziato. Ingresso di bocca largo, su colate laviche di miele. In centro bocca, al momento giusto, s’irrigidisce sull’attesa freschezza, in perfetto equilibrio con le note dolci. Preziosa chiusura di liquirizia, lunghissima, con un tocco di zafferano. Un Torcolato di personalità, vero, sincero come il sorriso e gli occhi di chi lo produce: Innocente Dalla Valle. Contadino vero.

Torcolato Riserva 2015 “San Biagio”, Villa Angarano: 88/100
Giallo dorato. Naso tra i più eleganti ed essenziali della batteria, giocate su agrumi (buccia di pompelmo) e note di vaniglia. Evidente vena balsamica di menta e liquirizia dolce, garbatissima, che col trascorrere dei minuti si arricchisce di ricordi d’idrocarburo. Il sorso è pieno, eppure manca qualcosa: forse un po’ di struttura. Ma è la cifra da pagare, a volte, quando si nasce vino e si vuole girare per forza in cravatta. Gastro-Torcolato.

Torcolato 2014, Io Mazzucato: 86/100
Giallo dorato, riflessi ambra. Naso con impronta dolce netta, di miele, ma anche di agrumi. Una punta di idrocarburo. In bocca l’acidità spinge, mettendo in luce uno spirito impetuoso. In centro bocca una nota fumè intrigante, che accompagna verso un retro olfattivo nuovamente dominato da un’eccessiva freschezza. Vago ricordo di tannino in chiusura di sipario. Torco-ribelle.

Torcolato 2014, Cantina Beato Bartolomeo da Breganze: 80/100
Naso semplice, mieloso. Legno evidente, poi confermato da un palato corrispondente. Freschezza che tenta di prendere al lazzo lo zucchero, finendo per vincere solo per la mancanza di concentrazione di aromi del nettare. Torcolato ineccepibile a livello di pricing (il più conveniente della Denominazione). Tor-convenience.

Torcolato 2014, Firmino Miotti: 84/100
Giallo dorato e naso piuttosto complesso, con note di datteri e uva passa in grande evidenza, oltre all’albicocca sciroppata e a una leggera nota d’idrocarburo. Tuttavia eccessiva percezione alcolica. Ingresso di bocca un po’ troppo zuccherino, non supportato dalla necessaria freschezza. Non un campione in lunghezza.

Torcolato 2015, Maculan: 89/100
Tra i “nasi” più complessi ed equilibrati della batteria per quello che si definirebbe un Torcolato da “istruzioni per l’uso”. In bocca pieno, ma dal ventaglio meno espressivo del naso. Un nettare fine, equilibrato e gastronomico, che sfodera un bell’idrocarburo nel retro olfattivo.

Torcolato 2015, Transit Farm: 78/100
Giallo dorato tendente all’ambra. Naso dominato dalla frutta secca, con l’affinamento in legno che fa capolino sotto forma di una nota tostata. In bocca corto, poco complesso, quasi scheletrico per i ricordi minerali: unico squillo, ma in solitario. Rapporto qualità prezzo sbilanciato.

Torcolato 2012, Le Vigne di Roberto – Terre di Confine: 84/100
Oro con riflessi ambra. Naso di frutta secca, con ricordi di arachidi e nocciola. Leggera nota ossidativa, piacevole, che si unisce a quella mielosa. Non particolarmente complesso al palato e apparentemente all’apice della curva evolutiva.

Torcolato Riserva 2011 “Sarson”, Vignaioli Contrà Soarda: 90/100
Giallo ambrato, destinato a rimanere tale ancora a lungo. La percezione è quella di trovarsi di fronte a un Torcolato dalla lunga vita, nonostante si tratti del più “anziano” in degustazione. Il piatto forte è il perfetto equilibrio tra freschezza, dolcezza e mineralità vulcanica, pronta a divenire sempre più evidente. Torcolato di prospettiva, che benedice il bel lavoro di Mirco Gottardi nella zona Est della Denominazione.

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degustati da noi vini#02

Cupertinum – Antica Cantina del Salento: vini “qualità prezzo” è dire poco!

COPERTINO – Dal Negroamaro al Primitivo, passando per i vini simbolo della Doc Copertino e chiudendo con le Riserve. La gamma di vini di Cupertinum – Antica Cantina del Salento 1935 fotografa una fetta di Salento dal rapporto qualità prezzo invidiabile. Tra i migliori in assoluto in Italia.

E’ quanto emerge dalla nostra degustazione delle ultime annate in commercio firmate dalla cooperativa di Copertino (LE). Trecento soci attivi su 300 ettari vitati, tra il Golfo di Taranto e il Canale d’Otranto. Un tasting reso possibile dall’invito del presidente della cantina salentina, Francesco Trono.

L’ennesima prova che molte cooperative vitivinicole italiane abbiano intrapreso la strada della qualità, anche fuori dai confini dell’inarrivabile Alto Adige (spesso costoso, a buona ragione).

Una qualità che fa ancora più “effetto” se si considera il contesto: una Puglia che sta tentando di lasciarsi alle spalle il ruolo di “serbatoio” d’Italia per tagli e “magheggi”, puntando tutto sull’imbottigliato di valore.

(5 / 5) LE VALUTAZIONI DI WINEMAG  (5 / 5)

Negroamaro Salento Igp 2017 “Spinello dei Falconi” (13% vol): 4,90 euro in cantina
(4 / 5) 87/100
Cerasuolo limpido, naso pulito, frutto rosso e fiore di rosa. Bella eleganza al palato, minerale e lungo. Un naso e una bocca intensa che sostiene bene un alcol per nulla disturbante.

Impreziosisce il quadro la chiusura amarognola, che chiama il sorso successivo. Cinque mesi di elevazione in vasche di cemento vetrificate e almeno 1 mese di affinamento in bottiglia (25 mila bottiglie complessive).

Negroamaro Salento Igp 2014 (13%): 4,90 euro in cantina
(4 / 5) 86/100

Bel colore, tutto sommato “giovane”. Naso pieno, di frutta precisa e tipica, con vezzi che ricordano l’oliva nera in concia di salamoia. Con l’ossigenazione, il nettare si apre a tinte di liquirizia, tabacco dolce, menta. Si fa sempre più netto il sentore di arancia sanguinella succosa, tendente al maturo, assieme a quello di fragolina di bosco.

In bocca il tannino è ben integrato e appena percettibile: quanto basta per far da perfetto contraltare alle note fruttate, piene e carnose. Godibile anche a temperature attorno ai 14 gradi. Due anni o più (a seconda del lotto) di elevazione in vasche di cemento vetrificato e almeno 9 mesi di affinamento in bottiglia (70 mila bottiglie complessive).

Primitivo Salento Igp Rosso 2016 (13,5%):  5,60 euro in cantina
(4 / 5) 88/100
Colore leggermente più trasparente rispetto a quello del Negroamaro. Naso che rivela un vino più “austero”, “serio”, meno gioioso e con cui azzardare abbinamenti più importanti. Oltre al frutto, il nettare rivela un’impronta “animale”, di pellame, che ricorda il Montepulciano. Rosmarino netto, pepe nero, curry, lampone, ciliegia.

Ingresso di bocca “verde” garbato, che lascia spazio a ricordi di ciliegia. Il tannino in chiusura, leggero, asciuga e prepara al sorso successivo. Un Primitivo perfetto per una grigliata. Uno o più anni di elevazione in vasche di cemento vetrificate (a seconda del lotto) e almeno 9 mesi di affinamento in bottiglia (30 mila bottiglie complessive).

Copertino Doc Rosso 2010 (13%): 5,90 euro in cantina
(3,5 / 5) 85/100
Colore rosso rubino pieno. Naso piuttosto timido, di un vino che attende nello scoprirsi. Vena ferrosa, ma anche “animale” al palato. Tanta macchia mediterranea, spezia, ma anche frutta come amarena e prugna). Corrispondente al palato, dove il punto forte è l’assoluta freschezza. Un vino che sembra fermo all’epoca di imbottigliamento.

Chiusura sull’alcol già avvertito al naso, forse un po’ troppo invadente. Due anni o più (a seconda del lotto) di elevazione in vasche di cemento vetrificate e almeno 9 mesi di affinamento in bottiglia (150 mila bottiglie complessive).

Copertino Doc Rosso Riserva 2010 (13%): 7,40 euro in cantina
(4,5 / 5) 90/100

Bel colore, brillante, bel naso elegante. Arancia sanguinella, parte balsamica, mentuccia, liquirizia, origano. In bocca corrispondente: freschezza accentuata, tannino marcato, chiusura salina e fruttata, lunga. Tannino, frutto, sapidità: non manca niente.

Un vino in evoluzione, che fa dell’equilibrio il suo punto di forza. Quattro o più anni (a seconda del lotto) di elevazione in vasche di cemento vetrificate e almeno 9 mesi di affinamento in bottiglia: 300 mila bottiglie complessive. Il vero fiore all’occhiello di Cupertinum.

Copertino Doc Rosso Riserva 2009 “Settantacinque” (13%): 9,10 euro in cantina
(4 / 5) 88/100
Simile alla precedente Riserva, ma più esplosiva al naso. In bocca, “Settantacinque” non rivela la medesima eleganza. Un vino adatto a chi ama potenza e verticalità, ben calibrate. Quattro o più anni (a seconda del lotto) di elevazione in vasche di cemento vetrificate e almeno 9 mesi di affinamento in bottiglia (50 mila bottiglie complessive).

Degustazione a cura di Davide Bortone, Giacomo Merlotti e Gabriele Rocchi – WineMag.it

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“Fake” brasiliano a ritmo samba. Sul catalogo Rauscedo “Prosecco”, non “Glera”


PORDENONE –
Si sposta in Friuli Venezia Giulia la nostra inchiesta sul Prosecco brasiliano e, più in generale, sul fenomeno del “falso Prosecco“. Sono proprio le autorità brasiliane a offrirci l’assist. Nell’intervista esclusiva rilasciata dall’Ibravin a WineMag.it, la referente legale Kelly Bruch segnala un elemento clamoroso.

Un fattore che gioca, per certi versi, a favore della proliferazione del “Prosecco” in Brasile e della fermezza del governo “carioca” nella difesa dei produttori locali. Sul catalogo di Rauscedo, il più grande complesso vivaistico-viticolo del mondo, la Glera non appare.

Continuano invece ad essere menzionati il “Prosecco” e il “Prosecco lungo”. Eppure risale a marzo 2009 il decreto ministeriale col quale è stato modificato il registro nazionale delle varietà di vite, in Italia.

In particolare, è stato riconosciuto il sinonimo “Glera” per la varieta’ di vite “Prosecco” ed il sinonimo “Glera lunga” per la varieta’ di vite “Prosecco lungo”. Perché i Vivai cooperativi Rauscedo non hanno aggiornato il proprio catalogo? La domanda appare per certi versi retorica. Specie se si considera la credibilità dell’interlocutore.

Parlano chiaro i numeri di Rauscedo: la produzione annuale di barbatelle innestate di Rauscedo è pari ad oltre 80 milioni di unità. Ed è ormai indiscutibile il ruolo internazionale che ha saputo costruirsi la cooperativa friulana, in quasi un secolo di attività.

Eppure, oltre alla Glera che non è stata “aggiornata” a Prosecco, sui cataloghi Rauscedo figura ancora il “Tocai”, la cui menzione è stata modificata dal Ministero due anni prima, nel 2007.

Poco da aggiungere, dunque, alla risposta rilasciata a WineMag da Monique Truant, referente di Vivai Rauscedo.

“I cloni di Prosecco citati e presenti in catalogo – evidenzia la rappresentante della cooperativa friulana – sono entrati nella procedura di selezione clonale e molti di essi omologati prima che entrasse in vigore l’obbligo di ri-denominare il vitigno con la denominazione varietale ‘Glera’.  Per questo motivo le schede varietali a catalogo sono state inizialmente pubblicate con la dicitura Prosecco”

Avremo cura di aggiornare tutta la nomenclatura all’atto della pubblicazione del prossimo catalogo”

“Poiché i provvedimenti legislativi di modifica alle denominazioni interessano diverse varietà e si susseguono con una certa frequenza nel corso del tempo, diventerebbe per noi estremamente dispendioso dover ripubblicare un nuovo catalogo ogniqualvolta venga introdotta una modifica di nomenclatura ufficiale”.

Questione di costi e di organizzazione, dunque? Così sembra. “Facciamo comunque presente che dall’entrata in vigore del cambio di denominazione da Prosecco a Glera – precisa la referente di Rauscedo – le nostre barbatelle sono state sempre commercializzate con il nome di Glera e accompagnate da documenti di vendita e etichette ufficiali riportanti tale ultima denominazione”.

“Relativamente alle esigue quantità di barbatelle di questa cultivar vendute in passato alla nostra clientela brasiliana, – conclude Monique Truant – ci siamo sempre attenuti ad utilizzare la denominazione varietale autorizzata in base alla normativa vigente negli anni in cui le barbatelle sono state fornite”.

Sintetizzando, dunque: nome sbagliato sullo “scaffale” dove si acquista “Prosecco” (ovvero sul catalogo Rauscedo) ma nome corretto sullo “scontrino fiscale”, dove appare la dicitura “Glera”. Perché c’è carta e carta. Priorità e priorità. E in Brasile, nel frattempo, si balla la samba.

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news ed eventi

E’ online winemag.it


MILANO –
La seconda testata giornalistica del nostro network, winemag.it, è online da ieri sera. Stessa squadra, stesso spirito, stessa voglia di raccontare in un modo nuovo il mondo del vino italiano, dando spazio anche a Spirit, birra e food.

L’ossatura resta la medesima, con la possibilità di abbracciare nuovi collaboratori, motivati dall’ambizioso progetto di fare cronaca e informazione nel mondo dell’enogastronomia italiana: Davide Bortone alla direzione, con Viviana Borriello, Giacomo Merlotti e Gabriele Rocchi in redazione.

In soldoni, WineMag.it ha assorbito le sezioni di “Wine News” (“Notizie ed Eventi”), “Birra e distillati“, “Approfondimenti” e “Wine Tour” Italia ed Estero di Vinialsupermercato.it, in maniera totale o parziale.

L’obiettivo è quello di offrire al pubblico di “naviganti” due wine magazine di informazione caratterizzata sui diversi canali di distribuzione del vino: la Grande distribuzione organizzata (Gdo, il canale moderno) e l’Horeca (ovvero il mondo delle enoteche e della ristorazione, il canale tradizionale).

DUE TESTATE, UN NETWORK
Per via di retaggi (s)culturali (la “s” tra parentesi intende svolgere funzione privativa) molte cantine italiane che operano lautamente nella Grande distribuzione, attraverso linee dedicate ai supermercati, preferiscono non raccontarsi sui giornali parlando di questi vini “di massa”, prediligendo le nicchie destinate all’Horeca, foriere di un’immagine di maggior prestigio (almeno nell’anacronistico immaginario collettivo).

Continueremo dunque a raccontare su Vinialsuper i vini reperibili nelle maggiori catene di supermercati italiani. Mentre su winemag.it sarà trattato e valutato il vino reperibile in enoteca e al ristorante. Una scelta che non vuol essere una resa alle logiche della distribuzione, bensì un ulteriore passo verso la specializzazione del nostro network di testate giornalistiche.

NON SOLO WINE
La vera novità di winemag è la rubrica “A tutto volume“, dedicata al mondo dei distillati. Cercheremo di raccontarvi gli “Spirit” a 360 gradi. Lo faremo con la schiettezza che ha contraddistinto il nostro lavoro in Vinialsuper e che sarà il marchio di fabbrica anche di WineMag.

“A tutto volume” non tratterà solo le bottiglie più interessanti, rare o costose ma anche i prodotti che più facilmente passano dalle mani di tutti noi consumatori.

Parleremo di grandi produttori così come di piccole realtà. Del resto è inutile negarlo: winelover ed amanti di spirit e mixology non sono due realtà separate. Chi beve vino non necessariamente detesta i superalcolici, anzi spesso è vero proprio il contrario.

Su winemag, dunque, alziamo il tenore alcolico! Alziamo il volume % fin dove si può. Perché gli spirit sono come la musica. A volte dritta, sincera e potente come un brano degli Stones o degli Iron Maiden, che ascolti a tutto volume senza pensare a niente.

Altre volte complessa e coinvolgente come una sinfonia di Beethoven o un’opera di Mozart, che ascolti ad alto volume per non perdere nemmeno una sfumatura. Ci auguriamo di trovarvi in questo viaggio. Slàinte!

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