Il vino è un mondo estremamente vario. Si passa da etichette giovani, che esprimono freschezza e vivacità, a prodotti più “datati”, che regalano morbidezza e calore. Quando troviamo però bottiglie che dovevano essere bevute giovani, riscoperte dopo anni e date ormai per “spacciate”, che una volta aperte e decantate si mostrano eccellenti e complesse… Beh, il nostro amore per il mondo del vino si rinnova e rinvigorisce. E’ il caso de La Grola Veronese Igt 2001 della nota casa vinicola veneta Allegrini.
LA DEGUSTAZIONE
Il vino, di color rosso granata con qualche riflesso mattone, presenta una leggera torbidezza, ma data l’età ormai avanzata gli concediamo questo piccolo difetto. Conserva comunque una buona scorrevolezza e una buona concentrazione di glicerolo.
Il naso si presenta ancora pulito e senza odori strani. Qualche componente volatile fastidiosa è sparita dopo 2 ore di passaggio in decanter. Sentori delicati di vaniglia si mescolano a note balsamiche e frutti rossi, nel complesso empireumatico, un vino non semplice, con mille sfaccettature che si mescolano, dal cuoio al pepe nero.
Al gusto si presenta ancora vivo. E dopo ben 15 anni, un vino da bere nei primi 3-4 anni dalla vendemmia che si presenta in questa “forma”, fa capire che l’azienda ha ben lavorato. Troviamo un corpo non troppo spinto, che conserva una bevuta delicata e scorrevole. Compaiono ribes e mela, con note balsamiche addomesticate da una certa sapidità. Il che conferma la freschezza di questo vino. Turando le somme: un’esperienza gustativa complessa da giudicare e raccontare, proprio per la rarità dell’occasione. Ma è questa la benzina che alimenta la nostra ricerca.
LA VINIFICAZIONE
Il Podere “La Grola” rappresenta, secondo l’antica leggenda che vuole l’uva Corvina nata proprio su questa stupenda collina, il luogo eletto “a fare vino” e, da sempre, il vigneto simbolo della Valpolicella Classica. Siamo esattamente a Sant’Ambrogio di Valpolicella, Verona. E questo prodotto di Allegrini è ottenuto appunto da Corvina e Corvinone (80%), Oseleta 10% e Syrah 10%. Il terreno è prevalentemente argilloso e calcareo, ricco di scheletro e povero di sostanza organica. La raccolta manuale delle uve viene effettuata nella seconda metà di settembre.
Segue una pigiatura soffice con diraspatura delle uve. La fermentazione avviene in acciaio inox a temperatura controllata, con rimontaggi giornalieri periodici. La Grola viene dunque sottoposto a fermentazione malolattica, naturalmente svolta nel mese di ottobre in barrique. La maturazione si compie in barrique di rovere francese di secondo passaggio per 16 mesi, con ulteriore affinamento in bottiglia per 10 mesi, prima della commercializzazione.
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Metodo Classico Extra Brut Rosè 2010 Traverse La Kiuva 2 689x1024 1
È una di quelle bottiglie capaci di tenerti incollato al calice, per scoprirne secondo dopo secondo le nuove sfumature. Il Metodo Classico Extra Brut Rosè 2010 Traverse della Cooperativa La Kiuva di Arnad è ottenuto al 100% da uve Nebbiolo, coltivate nel Comune di 1.300 abitanti della bassa Valle D’Aosta. Assieme a un paio di strepitosi Chardonnay, certamente uno dei prodotti di “punta”. Nel vero senso della parola.
La raccolta degli acini, che avviene rigorosamente in maniera manuale, riguarda solo la “punta” del grappolo, ovvero la parte più vicina al terreno. Un’accurata selezione voluta dall’enologo de La Kiuva, Sergio Molino, che ha trasformato in realtà il sogno di Alberto Capietto, compianto direttore commerciale della Cooperativa valdostana, scomparso nel 2013. Un prodotto, la bollicina di Nebbiolo Traverse, che mira a conquistare il mercato nazionale, al di là di quello regionale. Oggi il progetto è nelle mani del giovane direttore della Cooperativa, il 43enne Ivo Joly.
LA DEGUSTAZIONE Il Metodo Classico Traverse La Kiuva si presenta nel calice di un rosato aranciato che non può che incuriosire. Un perlage molto fine e molto persistente ravviva una vista ipnotica. Al naso è strepitosa l’evoluzione compiuta dal Nebbiolo sur lie. La vendemmia 2010 (sboccatura avvenuta nei primi mesi del 2016) assume all’olfatto tinte molto complesse. Sentori “dritti”, taglienti. Ma allo stesso tempo avvolgenti.
Netta l’impronta del terroir, con mineralità e sapidità che impreziosiscono le note tipiche del Nebbiolo: frutta a bacca rossa di bosco, lamponi e fragoline su tutti. Non manca uno spunto agrumato e speziato, capace di riportare alla mente buccia dell’arancia e cannella. Un quadro che si chiude, così, su tinte balsamiche.
Al palato, la “bollicina” è viva ma non invasiva. E in un’ottica di perfetto equilibrio e di grande freschezza, sono le note di fragolina di bosco e di lampone a dominare la scena, prima di una chiusura che si fa nuovamente balsamica e lievemente speziata (buccia d’arancia su corteccia di cannella).
Un Vino Spumante di Qualità, proprio come recita l’etichetta. E una Cooperativa, La Kiuva, che dimostra come si possa fare qualità assoluta e di livello quantomeno nazionale. Puntando senza compromessi sulla qualità.
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Per le feste correnti in Italia salteranno circa 60 milioni di tappi di spumante Made in Italy. Con consumi in aumento del 9%. E’ quanto stima la Coldiretti nel sottolineare che quasi nove italiani su 10 (l’89%) non rinunciano a fare un brindisi Made in Italy a fine anno. In Italia si consolida l’inversione di tendenza, dopo anni di progressive riduzioni con appena l’11% che sceglie lo champagne. Il comparto nazionale dei vini spumanti chiuderà il 2016 con una produzione di circa 625 milioni di bottiglie in aumento del 18% sull’anno precedente e un export di oltre 450 milioni di bottiglie se fosse confermato il trend gennaio-settembre dell`anno, secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Ismea.
La stragrande maggioranza dello spumante italiano si beve dunque all’estero dove a pesare è il fatto che con il successo – sottolinea la Coldiretti – crescono le imitazioni in tutti i continenti a partire dall’Europa dove sono in vendita bottiglie di Kressecco e di Meer-Secco prodotte in Germania che richiamano palesemente al nostrano Prosecco che viene venduto addirittura sfuso alla spina nei pub inglesi. Circa 3 bottiglie di spumante Made in Italy su 4 – spiega la Coldiretti – sono di Prosecco con Asti, Franciacorta e TrentoDoc a seguire. Gli spumanti italiani annoverano in totale 153 tipologie DOC, 18 DOCG, 17 IGT oltre a diverse decine di altri tra varietali autorizzati, generici e di qualità.
LE REGOLE D’ORO PER OFFRIRE E GUSTARE LO SPUMANTE Non offrirlo ghiacciato, ma tirato fuori dalla cantina un paio d’ore prima e raffreddato in un secchiello con ghiaccio tritato, acqua fredda e sale grosso.
La temperatura migliore è compresa fra gli 8 ed i 12 gradi
Berlo esclusivamente in una flûte a forma di tulipano che consente agli aromi di svilupparsi liberamente
Per gustare al meglio l’effervescenza sciacquare i bicchieri con acqua calda e sapone neutro
Stapparlo tenendo con una mano il tappo e facendo ruotare con l’altra mano la bottiglia leggermente inclinata accompagnando sempre l’espulsione del tappo
Far uscire lentamente il gas e versarlo tenendo la bottiglia dal fondo e non dal collo per evitare che lo spumante si riscaldi con il calore della mano
Mai utilizzare del ghiaccio nel bicchiere
Conservarlo in una cantina buia, fresca e senza sbalzi di temperatura, in posizione orizzontale
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Pur restando ampio il divario in valore (circa 1,5 miliardi di euro), nel 2016 le esportazioni di spumanti italiani continuano a ridurre le distanze con quelle francesi, mettendo a segno una crescita a valore superiore al 25% – sulla scia della crescita per i primi sette mesi di quest’anno, come anche segnalato dall’Osservatorio del Vino di cui Wine Monitor è partner – a fronte di una leggera flessione degli spumanti d’oltralpe (-1%).
Manco a dirlo, tutto merito del Prosecco che dovrebbe chiudere l’anno con il vento in poppa, trascinando così al rialzo tutta la categoria, al contrario del più blasonato Champagne che invece terminerà con gli stessi valori di export dell’anno precedente (o giù di lì, con una riduzione a cavallo dell’1%), così come il Cava spagnolo che arretrerà di qualche punto percentuale (-3%).
“In alcuni tra i principali mercati mondiali, gli spumanti italiani mettono a segno crescite nell’export a fronte di cali dei principali concorrenti” sostiene Denis Pantini, Responsabile Wine Monitor di Nomisma. “Basti pensare al Regno Unito, dove le importazioni dall’Italia aumentano, nel periodo gennaio-ottobre di quest’anno, di oltre il 38% in volume rispetto allo stesso periodo del 2015; al contrario, quelle dalla Francia si riducono del 4% mentre dalla Spagna calano di oltre il 13%”.
Ma non è solo la Gran Bretagna a dare soddisfazione ai nostri produttori di spumanti. Anche negli Stati Uniti, che rappresentano il principale paese al mondo per import di sparkling, i vini italiani “fanno meglio” del mercato. A fronte di una crescita nelle importazioni (sempre riferite ai valori dei primi dieci mesi dell’anno) pari all’11%, quelle provenienti dall’Italia superano il 30%. La stessa tendenza si ripete in Canada (+9% l’import totale, +20% quello italiano), in Svizzera e in Germania. All’opposto, gli spumanti spagnoli vedono ridursi la loro quota (calcolata sulle importazioni della categoria) dal 6,2% al 5,3% in Uk e dal 19,2% al 15,5% in Germania.
Non solo cresciamo più dei francesi nell’export, ma sono gli stessi cugini d’oltralpe ad aumentare gli acquisti dei nostri spumanti. “Tra il 2010 e il 2015 – continua Pantini – l’export degli spumanti Dop italiani verso la Francia, al netto dell’Asti, è praticamente decuplicato, passando da meno di 4.000 a quasi 46.000 ettolitri, per un controvalore superiore ai 15 milioni di euro”.
La stessa tendenza sembra ulteriormente rafforzarsi nell’anno in corso: le esportazioni in Francia di spumanti Dop nei primi 9 mesi del 2016 evidenziano un’ulteriore crescita in volume dell’80%, superando già per questo periodo (e ancora prima delle festività di fine anno) i 55.000 ettolitri. Insomma, la moda dello Spritz ha contagiato i francesi e il Prosecco ne cavalca l’onda.
Nel complesso, sarà proprio grazie agli spumanti se l’export di vino italiano riuscirà anche quest’anno a ritoccare verso l’alto il proprio record, alla luce del fatto che i vini fermi imbottigliati – che rappresentano i tre quarti del valore complessivo delle nostre vendite oltre frontiera – segnalano per i primi 9 mesi del 2016 un calo dell’1,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
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Oltrepo Pavese Consorzio e Distretto di nuovo uniti per fare marchio
Pace fatta? Forse. Per adesso può bastare un calcistico “palla al centro”. Consorzio di Tutela Vini Oltrepò Pavese e la sua costola scissionaria, il Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese, trovano un punto d’accordo nel nome della qualità e dell’export del vino oltrepadano. Un piano strategico unitario, per portare nel mondo vini e spumanti dell’Oltrepò Pavese, insieme ai marchi che possono e devono farsi largo a beneficio dell’intero territorio. L’obiettivo comune è “dare valore a una terra che vale, in cui storia e qualità meritano di essere conosciute e raccontate ai buyer e ai winelover di ieri e di oggi”.
Alla Camera di Commercio di Pavia, a fianco al presidente Franco Bosi, il presidente del Consorzio, Michele Rossetti, e il presidente del Distretto, Fabiano Giorgi, scommettono sul generare nuovi scenari di mercato per portare l’Oltrepò Pavese nel mondo alta gamma. “Internazionalizzare l’Oltrepò Pavese – spiega Michele Rossetti – è un obiettivo strategico, per un territorio che pur offrendo un’intera carta dei vini è oggi appiattito su un mercato perlopiù multi regionale, tutto questo nell’ambito di uno scenario nazionale in cui le denominazioni di maggior successo esportano dal 50% in su delle loro produzioni di maggior pregio. Ci siamo dati un metodo per guardare a domani”.
I PAESI TARGET
I principali Paesi target del 2017 saranno Stati Uniti e Svizzera, seguiti dal Giappone. Ovviamente, precisa il Consorzio, “ci sarà spazio anche per l’ascolto delle singole volontà aziendali su cui plasmare le progettualità”. L’Oltrepò Pavese lavorerà anche ad esplorare con attività BtoB gli interessanti scenari di Germania, Nord Europa e dell’Inghilterra post Brexit. “C’impegneremo – annuncia Fabiano Giorgi – già dalla prossima edizione di ProWein per dare coerenza e continuità alle nostre azioni per portare la nostra qualità a chi la sa apprezzare”.
Gli strumenti di lavoro saranno viaggi d’affari, conferenze stampa, marketing, pubbliche relazioni, attività nei punti vendita, fiere ed eventi internazionali, ‘incoming’ sul territorio, materiali promozionali, pubblicità e attività sul web. Si agirà sulla leva di grandi professionalità e specialisti dell’export. “La nostra denominazione – spiegano Rossetti e Giorgi – vuole evolversi e diventare marchio”.
Il messaggio di Consorzio e Distretto è che “ripartire significa unirsi e progettare insieme a lungo termine”. Si cambia, “non in modo improvvisato ma ragionato, con la consapevolezza che si debbano mettere a fattore comune le eccellenze, che l’Oltrepò può vantare e che devono essere di esempio”. E’ già stato creato il Tavolo Internazionalizzazione che vede la partecipazione del Direttore del Consorzio, Emanuele Bottiroli, di Cristina Cerri (Travaglino), Luca Bellani (Ca’ di Frara) e Stefano Dacarro (La Travaglina). L’obiettivo è ampliarlo, di volta in volta e a seconda delle esigenze di progetto, per arrivare sempre a scelte strategiche condivise con i produttori.
I DATI
Secondo l’osservatorio di Nomisma Wine Monitor all’avvicinarsi del giro di boa per il commercio mondiale di vino 2016, l’Italia resta in scia ai diretti competitor, surclassando quelli dell’Emisfero Sud ma arrancando nei confronti degli europei. Nel periodo gennaio-maggio di quest’anno, le importazioni nei primi dieci mercati – che congiuntamente pesano per il 70% dell’import mondiale di vino in valore – sono cresciute del 3,8% sullo stesso periodo dell’anno precedente, superando così i 7,3 miliardi di euro. Stati Uniti e Giappone crescono di oltre il 4%.
Le importazioni di vini italiani nei principali mercati mondiali continuano ad essere trainate dagli spumanti. La crescita per questa tipologia nei primi cinque mesi del 2016 è infatti superiore al 20%, mentre nel caso dei vini fermi imbottigliati la variazione è appena dell’1%.
Regno Unito e Stati Uniti si confermano, invece, i principali mercati di sbocco degli sparkling italiani. La Germania si conferma il primo importatore di vino italiano e da monitorare c’è il trend dei mercati del Nord Europa in cui sta crescendo rapidamente, complici le nuove abitudini di consumo, l’attenzione verso i vini di qualità italiani che, insieme a quelli francesi, godono di un fascino del tutto particolare per storia e identità che riescono a trasmettere.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Un’attività di contraffazione “di proporzioni devastanti”. Con queste parole il gip definisce l’attività illecita messa in atto da tre soggetti arrestati ieri nel corso dell’Operazione Bacco. Il blitz è stato coordinato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze nel capoluogo toscano e a Salerno. L’accusa nei loro confronti è quella di aver messo in piedi un’associazione per delinquere finalizzata alla produzione ed alla immissione nel circuito commerciale di vino adulterato e contraffatto. Un sistema di truffe ben articolato, che prevedeva – tra l’altro – l’acquisizione di società del settore in stato di crisi.
Le indagini, dirette dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Firenze Giulio Monferini, hanno permesso di segnalare un totale di dieci soggetti. L’organizzazione, nella quale – come precisa il gip- “ognuno ricopriva un ruolo ben specifico”, aveva il fine di produrre e commercializzare in Italia e all’estero “vino adulterato con aggiunta di alcol, per aumentarne la gradazione rispetto al prodotto base”. Vino che, poi, “veniva contraffatto facendolo apparire quale vino di alta qualità, mediante apposizione sulle bottiglie di false etichette di vini pregiati”, le cosiddette “fascette” recanti il sigillo di Stato a Denominazione di Origine Controllata (Doc) e a Denominazione di Origine Controllata e Garantita (Docg). Copie molto simili all’originale, tanto da “indurre in errore il consumatore e l’operatore commerciale di vendita al dettaglio”. Chianti Doc, Brunello di Montalcino Docg o Sassicaia (Bolgheri Sassicaia Doc) i vini finiti nel mirino dei contraffattori.
I tre arrestati sono il titolare di un’azienda agricola di Empoli, che prestava i propri impianti per l’imbottigliamento e il confezionamento del vino adulterato e contraffatto, nonché due soggetti residenti nella provincia di Salerno, che si occupavano – sempre secondo l’accusa – di reperire il materiale necessario alla contraffazione. Una volta confezionato, il vino veniva stoccato in depositi di ditte riconducibili agli indagati, sia nel Lazio sia in Emilia Romagna. Il vino veniva poi caricato su bilici e trasportato nel mondo. In particolare, una partita di vino di 18 mila bottiglie è stata spedita in Costa Rica, Paese in cui trovava asilo uno uno degli indagati.
Le indagini sono iniziate circa un anno e mezzo fa. In seguito alla segnalazione di un ristoratore finito nella trappola dei truffatori nella zona dell’Osmannoro di Firenze. L’imprenditore, insospettito dal sapore di alcuni vini, ha deciso di segnalare l’anomalia alle forze dell’ordine. Le indagini, complesse e articolate, hanno consentito ai carabinieri del Nas di Firenze di sequestrare l’azienda agricola operante nella provincia di Empoli. Al momento del controllo, 9 mila litri di vino rosso erano pronti per essere imbottigliati.
LE REAZIONI “Serve tolleranza zero sulle frodi che mettono a rischio lo sviluppo di un settore che è cresciuto puntando su un grande percorso di valorizzazione qualitativa che ha portato il vino italiano a raggiungere il record storico nelle esportazioni per un valore stimato in 5,2 miliardi grazie all’incremento del 3% nel 2016”. E’ quanto afferma la Coldiretti nell’esprimere “apprezzamento per l’operazione Bacco del Nas di Firenze” che hanno scoperto la frode di vino di bassa qualità, adulterato con l’aggiunta di alcol che veniva commercializzato in Italia e all’estero come Chianti doc, Brunello di Montalcino o Sassicaia. “Non può essere messo a rischio – conclude la Coldiretti – il patrimonio di credibilità costruito nel tempo dal vino Made in Italy che oggi è diventato la principale voce dell’export agroalimentare nazionale”.
“Vogliamo ringraziare il Nas e la Direzione distrettuale Antimafia di Firenze – commenta il direttore del Consorzio di Tutela del Vino Chiati, Giovanni Busi – per aver impedito l’ennesimo tentativo di danneggiare il nostro mercato falsificando e alterando i nostri prodotti. “Un plauso in particolare anche al ristoratore che ha fatto la segnalazione da cui è stato possibile avviare le indagini. Un segnale importante che indica come la ristorazione abbia tutto l’interesse nel proporre vini veri e buoni che rendono il nostro territorio un luogo di eccellenza che tutti abbiamo il dovere di tutelare. Come dobbiamo tutelare – conclude Busi – le migliaia di aziende che su questo territorio ogni giorno operano onestamente nel rispetto delle norme producendo con sacrificio un prodotto che viene esportato e apprezzato in tutto il mondo”.
“Il vino adulterato spacciato per pregiato Doc e Docg – commenta Francesco Colpizzi, presidente della federazione vitivinicola di Confagricoltura Toscana – poteva provocare un danno incalcolabile alle tantissime aziende del territorio che con professionalità lavorano ogni giorno per offrire sui mercati nazionali e internazionali prodotti di qualità. Solo grazie all’azione congiunta della magistratura, delle forze dell’ordine e dei produttori onesti si è riusciti a smantellare questa associazione a delinquere”. “Il vino – conclude Colpizzi – è uno dei prodotti più importanti per la nostra economia e per tale motivo va tutelato e valorizzato, così come va protetto quel tessuto produttivo che contribuisce a rendere unica la nostra regione. Non dobbiamo mai abbassare la guardia, ne va dell’immagine stessa della Toscana nel mondo”.
UN ANNO DI FRODI
Si chiude così un anno positivo per le forze dell’ordine impegnate nel contrasto delle frodi alimentari. Risale a pochi giorni fa un ingente sequestro di Amarone della Valpolicella contraffatto all’interno della catena di supermercati francesi del gruppo Adeo Auchan. Le indagini, in questo caso, procedono contro ignoti. Anche se il cerchio sembra stringersi sempre più attorno ai responsabili della truffa. Un blitz, quello sull’Amarone contraffatto, scattato proprio nel giorno del Black Friday, la giornata di “sconti pazzi” che ha interessato trasversalmente le diverse anime del commercio e della grande distribuzione italiana.
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L’enogastronomia vicentina di qualità fa squadra e presenta Autoctono Wine & Food Tour 2017. Un calendario di 15 serate, in programma per il 2017 da gennaio a maggio in selezionati locali della provincia berica, per raccontare i vini delle quattro denominazioni enologiche vicentine in abbinamento a quelle gastronomiche.
Protagonisti sono i Consorzi di Tutela dei vini della Provincia di Vicenza (Breganze, Colli Berici e Vicenza, Durello, Gambellara) con la partecipazione dei Consorzi di Tutela del Formaggio Asiago, dell’Asparago di Bassano DOP, della Ciliegia di Marostica IGP, il contributo della Camera di Commercio di Vicenza e il coinvolgimento delle associazioni di categoria APIndustria, Confartigianato, Confcommercio, F.I.P.E. Primo appuntamento: venerdì 13 gennaio 2017 alle 18 allo Snack Bar di Montecchio Maggiore.
Autoctono Wine & Food Tour 2017 è il primo progetto trasversale che mette in comunicazione i diversi settori dell’enogastronomia vicentina. Formula scelta per le quindici serate è quella dell’aperitivo – dalle 18 alle 21 circa – quando i partecipanti potranno degustare i vini, assaggiare i prodotti tipici, ascoltare il racconto dei produttori presenti. Quattro denominazioni che raccontano un territorio esteso e variegato: nella zona Breganze DOC la voce più forte è quella del vino Vespaiolo nelle versioni fermo, spumante e passito (Torcolato); dai Colli Berici, terra vocata per la produzione di vini rossi, un nome su tutti è l’autoctono Tai Rosso; Gambellaraè invece terra di bianchi con l’uva Garganega che diventa Gambellara Classico, Spumante, Vin Santo e Recioto di Gambellara; tra Vicenza e Verona l’autoctona Durella è alla base degli spumanti Lessini Durello DOC.
Non solo vino. Durante le serate gli abbinamenti saranno con la gastronomia tipica vicentina. In particolare l’Asiago, sia Fresco che Stagionato nelle tre versioni (mezzano, vecchio e stravecchio); l’Asparago di Bassano certificato DOP che si riconosce dal colore rigorosamente bianco; la Ciliegia di Marostica frutto rotondo, rosso, con una polpa molto soda.
I locali vicentini coinvolti sono: Snack bar di Montecchio Maggiore; Wine Enoteca di Lonigo; Osteria da Mirella di Tezze sul Brenta; Bar ristorantino La Rua di Vicenza; La Vaca Mora Café di Barbarano Vicentino; Osteria alla Botti di Vicenza; Garibaldi Cafè di Lonigo; La Bottega da Claudio – ombre e cicheti di Vicenza; Enoteca da Cesare di Nanto; Enoteca La Caneveta di Barbarano Vicentino; Osteria Madonnetta di Marostica; Trattoria Palmerino di Sandrigo; Pulierin Enotavola di San Michele di Bassano del Grappa; Caffè Carducci di Thiene; Bar Mazzini di Breganze. Per informazioni Autoctono Wine & Food Tour 2017 ha una pagina Facebook (http://www.facebook.com/autoctonowinefoodtour), che verrà aggiornata con tutti i dettagli delle serate.
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Spumanti italiani “superstar” a Natale: durante le prossime festività, nel nostro Paese verranno stappate 62 milioni di bottiglie di spumanti italiani (+10% sul 2015; bottiglie da 0,75l), mentre all’estero 158 milioni (+20%). Dalle stime dell’Osservatorio del Vino, su base dati Ismea, emerge che il comparto nazionale dei vini spumanti chiuderà il 2016 con una produzione di circa 625 milioni di bottiglie (4,69 mln di hl, +18% sul 2015) ed un export di 3,4 milioni di ettolitri (oltre 450 milioni di bottiglie da. 0,75l) se fosse confermato il trend gennaio-settembre dell’anno.
“Il prossimo Natale conclude un anno che ha visto le bollicine italiane trainate dal Prosecco raggiungere un importante record di vendite sul mercato interno e nell’export – ha commentato Antonio Rallo, presidente dell’Osservatorio del Vino. I nostri spumanti stanno conquistando nuovi consumatori, stimolano modalità e occasioni di consumo innovative e moderne rivelandosi un eccellente apripista per gli altri vini di qualità del nostro Paese. Una famiglia, quella degli spumanti italiani, da record mondiale per biodiversità e ricchezza organolettica con 153 tipologie DOC, 18 DOCG, 17 IGT oltre a diverse decine di altri tra varietali autorizzati, generici e di qualità. Patrimonio unico di eccellenza e tradizione che con il prossimo Natale vogliamo far conoscere di più ai nostri consumatori grazie al “traino” offerto dallo straordinario successo del Prosecco. Perché la festa è tradizione, e le bollicine raccontano tante storie affascinanti dei nostri territori. Storie di passione e cultura che strizzano l’occhio al piacere di stare insieme. Per condividere il gusto, i molteplici gusti, del Natale”.
Dall’analisi Ismea, con il contributo del Cirve dell’Università degli Studi di Padova, all’interno dell’Osservatorio del Vino, emerge un quadro nel quale il crescente interesse del pubblico per i vini spumanti potrà offrire interessanti opportunità di diversificazione anche nelle aree non specializzate in questi prodotti. Nel generale successo degli spumanti Italiani, si conferma nel 2016 il notevole dinamismo delle tipologie minori, ossia i vini spumanti prodotti in denominazioni diverse da quelle principali o varietali che rappresentano ormai più di un quinto della produzione nazionale.
Molto bene l’export che, trainato dallo spumante a Denominazione di Origine (+23% a volume e +29% a valore) e, in particolare, dal Prosecco (+28% a volume e +38% a valore), da gennaio a settembre 2016 ha fatto registrare già oltre 2 milioni di ettolitri di vendite oltre i confini nazionali, con incrementi su base annua a volume del 21% e a valore del 24%.
E’ bene evidenziare che l’export è orientato verso gli spumanti di qualità rispetto sia agli spumanti “comuni”, che guadagnano un 7% a volume perdendo un 3% a valore, sia agli spumanti cosiddetti ‘varietali’, che perdono 1% a volume e 2% a valore sullo scorso anno. Tra i principali Paesi clienti, il Regno Unito rappresenta ancora il primo mercato in termini di esportazioni per lo spumante italiano, dove si registra, sullo stesso periodo 2015, un incremento in valore del 46% per un corrispettivo di 236 milioni di euro (+30% in volume per circa 700mila hl). Per gli Stati Uniti l’export vale oltre 185 milioni di euro (+31%) con una crescita anche in volume del 23% (465mila hl). Dato interessante sulla Francia, che importa per 28 milioni di euro (+57% a valore e +75% a volume). Anche la Spagna mostra grande interesse per lo spumante italiano: +71% a valore e +289% a volume. In ripresa il mercato interno trainato soprattutto dalle vendite presso la GDO (+13% a volume e +15% a valore), a fronte di una sostanziale stabilità del vino non spumante.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Salorno, Alto Adige. Settembre 2015. Tempo di vendemmia per Patrick Uccelli della tenuta Dornach. Il vignaiolo altoatesino viene messo in ginocchio da un gesto vile: i cassoni d’uva conferiti alla nota cantina Alois Lageder vengono sabotati. Le analisi chimiche non lasciano spazio a interpretazioni. Le uve sono contaminate da gasolio. Interviene Slow Wine. Patrick Uccelli, autore di uno straordinario Gewurztraminer, recupera solo una parte dei 33 mila euro di danni causati dal sabotaggio. C’è chi sostiene che i “vandali” non volessero colpire lui, ma direttamente Alois Lageder.
Una delle realtà più prestigiose dell’Alto Adige del vino, non solo nella stretta cerchia della viticoltura biologica e biodinamica. “I responsabili del gesto – commenta Uccelli – non sono mai stati individuati. Ovviamente ho denunciato l’accaduto. Oggi, di fronte a quanto successo ai danni della Tenuta Conte Vistarino, dico che i commenti non servono a nulla. Perché un gesto così non merita commento. Serve sostegno, non commenti”.
Incalzato, Patrick Uccelli entra nel dettaglio. “Non commento – spiega – perché non ho commentato quello che è successo a me e non inizierò a farlo ora. Tra l’altro, nel mio caso, non furono svuotate le vasche, bensì mi fu messo del gasolio in un cassone con dell’uva raccolta che, sversata in pressa assieme a dell’altra, andò a contaminare 90 quintali. Un quantitativo ben lontano dai 5.300 ettolitri della collega dell’Oltrepò. Anche il danno economico – precisa Uccelli – fu di almeno un decimale inferiore a quello presunto nel caso dell’altro giorno in Oltrepò. Insomma: sì, fu un sabotaggio, ma in tutto e per tutto diverso”.
Infine, un’esortazione. Accorata. “Date visibilità alla collega dell’Oltrepò, mettete in piedi una raccolta fondi. Quello vale molto di più che ricordare cosa successe a me”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Un grande risultato per Ais e per tutti i sommelier che, da anni, con professionalità, prestano servizio in lungo e in largo in Lombardia, e non solo. Il Comune di Milano ha conferito ieri all’Associazione italiana Sommelier l’Abrogino D’Oro 2016. L’attestato di Benemerenza civica è stato consegnato dal sindaco del capoluogo lombardo, Giuseppe Sala, al presidente della delegazione Ais di Milano, Hosam Eldin Abou Eleyoun , in occasione di una solenne cerimonia al Teatro Dal Verme. “Questo attestato – ha sottolineato Eleyoun – è merito di tutti i nostri 1853 soci e del gruppo di lavoro che si impegna ogni giorno dell’anno nel comunicare il vino. La passione, la professionalità, l’abnegazione sono solo poche parole per rappresentare la squadra di Ais Milano premiata con questo riconoscimento”. Una candidatura, quella alla prestigiosa Benemerenza meneghina, fortemente sostenuta nei mesi scorsi da Enrico Marcora, consigliere comunale della lista Sala e socio Ais.
IL SOMMELIER E’ “POP” Un riconoscimento all’impegno di tanti giovani, dunque. Ma anche a una filosofia che, in un mondo come quello del vino, spesso tacciato d’essere autoreferenziale e “snob”, ha saputo aprirsi – specie negli ultimi anni – a un pubblico sempre più eterogeneo. Incontrando così il favore degli appassionati. Basti pensare che è proprio l’Associazione italiana sommelier a formare il personale delle enoteche di molte catene della Gdo. Non ultima la milanese Esselunga.
“Al supermercato – commenta di fatto Fiorenzo Detti (nella foto), presidente Ais Lombardia – è assolutamente possibile bere bene. Devo dire che questa Gdo, al suo interno, è composta da persone qualificate che sanno comprare e comprano sempre meglio, spuntando il prezzo migliore perché, a differenza dei piccoli esercizi, acquista vini in grosse quantità. In questo modo la Gdo riesce a proporre all’utente finale numerose etichette molto valide, a prezzi vantaggiosi. E’ ormai confermato il trend che vede sempre più aziende blasonate aderire al circuito della grande distribuzione”.
Un fenomeno che, secondo Fiorenzo Detti, non è destinato a esaurirsi. Anzi. “Sono sicuro – continua il presidente Ais Lombardia – che oggi e sempre meglio nel futuro la Gdo saprà proporre prodotti di qualità al giusto prezzo. Io stesso acquisto da sempre vini al supermercato. E non è un caso se Ais cura la formazione enologica del personale che opera in questi grandi gruppi. D’altro canto – conclude Fiorenzo Detti – devo ammettere che da loro abbiamo avuto modo di apprendere molto, soprattutto in merito alle strategie di marketing che adottano. Insomma: più li conosciamo, più ci convincono che sono davvero bravi”.[sg_popup id=”1″ event=”onload”][/sg_popup]
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Vespaiolo Doc Breganze Sulla Rotta del Bacalà vino 3
Creata sul finire degli anni ’60 e con quasi 400 ettari vitati, la Denominazione di Origine controllata Breganze è situata nei pressi del Monte Grappa, in provincia di Vicenza. L’uva autoctona per eccellenza è la Vespaiola, famosa per essere la base del Torcolato, il vino passito simbolo di questa denominazione. Questa uva viene anche vinificata secca o spumante, con risultati di buona piacevolezza.
La cantina sociale Beato Bartolomeo da Breganze propone la selezione Vespaiolo D.O.C. Breganze “Sulla Rotta del Bacalà”, omaggio al nobile veneziano Pietro Querini, che nel 1431 naufragò nei mari del Nord Europa e venne salvato dagli abitanti di un’isola norvegese, dove scoprì il merluzzo essiccato, il Bacalà appunto.
La versione 2015 si mostra giallo paglierino di buona vivacità e media intensità. I sentori sono molto freschi, croccanti, con note di pere Williams e mele Golden, tiglio e biancospino, erba appena tagliata e accenni di frutta tropicale. In bocca spicca immediatamente un’acidità importante, tipica del vitigno, supportata da notevole sapidità. Corretta la struttura e la persistenza. Non impegnativo e di buona beva. Vino adatto a chi ama queste sensazioni gustative forti. In alternativa si può far affinare per un anno. Per intanto degustiamolo ad una temperatura di massimo 10°C e abbiniamolo a un Bacalà alla Vicentina, come vuole la tradizione.
LA VINIFICAZIONE Questo Vespaiolo è prodotto nelle località di Costa di Breganze e Fara, su terreni vulcanici esposti a sud. Le uve sono conferite da 15 soci, dopo un’ attenta selezione. Prima della vinificazione, la Vespaiola subisce una prefermentazione a freddo, pratica diffusa per i vini bianchi, che permette di ottenere colori, profumi, aromi e struttura più intensi.
L’affinamento si prolunga per circa 5 mesi in acciaio con i propri lieviti. Successivamente il vino viene filtrato e imbottigliato, con una produzione di circa 7800 bottiglie. La Cantina Sociale Beato Bartolomeo da Breganze nasce nel 1950 e oggi conta 700 soci conferitori e con una produzione media annua di oltre 2 milioni di bottiglie.
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Frank e Cindy ti guardano stralunati. Pesci fuor d’acqua. Con in mano un calice di vino. Vuoto. “We’re looking for american Barbera. We love american Barbera. Where is it?”. Vaglielo a spiegare, alla coppia agée d’americani in tour a Barolo, che alla rassegna di Vignaioli Corsari in programma a Castello Falletti non figurano aziende a stelle e strisce. Tradotto: scordatevi la vostra Barbera. Glielo fai capire con le buone. Mentre il discorso vira, lento come i fumi dell’alcol, verso altri lidi: “We love Barbera, and we love Donald Trump. He’s a good person. Hillary Clinton is fake. Believe in us!”. Lo faremo. Ma da domani. Oggi, piuttosto, è il giorno dei bilanci per la rassegna di vini europei organizzata dall’Associazione culturale Giulia Falletti al Castello di Barolo. Affluenza a tre zeri che soddisfa i promotori dell’evento, con i sotterranei del maniero letteralmente presi d’assalto da un pubblico eterogeneo, tra cui figurano tanti giovani.
“Siamo molto contenti di vedere volti nuovi rispetto alla scorsa edizione – commenta Marta Rinaldi – con ottocento persone ai nostri banchi d’assaggio, tra le giornate di domenica 4 e lunedì 5 dicembre. I produttori sono sempre 30, ma quest’anno abbiamo avuto il piacere di ospitarne di nuovi, rappresentando zone d’Europa prima non considerate. Lo spirito è rimasto lo stesso: prima di tutto l’amicizia. E poi lo scambio di esperienze tra diversi produttori. Vini Corsari non è solo un festival per un pubblico amante dei vini artigianali, ma anche un’occasione per i vignaioli di incontrarsi e scambiare parecchio, tra di loro e con il territorio del Barolo”. Una zona volutamente non rappresentata ai banchi d’assaggio, che non hanno visto intervenire nessuno dei grandi interpreti locali delle uve Nebbiolo e Barbera. “Però – sottolinea ancora Marta Rinaldi – sono molti i produttori delle Langhe che hanno partecipato alle degustazione e alle cene con i loro colleghi europei”. Una quarta edizione che ha visto la collaborazione di “amici” portoghesi e francesi, al fianco dell’Associazione culturale Giulia Falletti. E un risultato, a conti fatti, davvero prezioso per l’accuratezza della selezione di produttori intervenuti. Tutti capaci di esprimere un livello qualitativo altissimo, attraverso le loro opere: i loro vini.
LA DEGUSTAZIONE Con fatica, noi di vinialsuper proviamo a identificare qualche vino ‘sopra le righe’ degustato alla quarta edizione di Vini Corsari. Tra gli italiani, una menzione speciale per i vini rossi va di diritto a Cristiana Galasso di Feudo D’Ugni. Memorabile il suo Montepulciano d’Abruzzo 2013 “Rudero”, ottenuto da vendemmia tardiva. Vino rosso da tavola, di quelli che si scordano i Consorzi delle Doc. Troppo bello per essere vero il frutto rosso che si materializza al naso, sotto forma di sublime confettura. Una concentrazione e una carica gusto olfattiva di rara bellezza, per un vino capace di accompagnare piatti della tradizione abruzzese, tanto quanto non sfigurerebbe in un ristorante stellato di qualsiasi capitale del mondo.
Ma Cristiana Galasso di professione fa la “vignaiola fiammiferaia”. E se le fai i complimenti, arrossisce. Del Montepulciano d’Abruzzo 2013 ne ha prodotte solo 300 bottiglie. In ognuna deve averci lasciato un pezzo del cuore umile sfoggiato a Barolo. Bottiglia dal valore inestimabile. Da amare, sorso dopo sorso. Così come splendido è il Cerasuolo da uve Montepulciano rimaste poche ore a contatto con le bucce e vinificato in cemento e acciaio. Imbottigliamento dopo 15 mesi, con un pizzico di solforosa.
Un rosato indimenticabile, per struttura e intensità. Capace, al contempo, di assicurare la beva leggera, estiva, caratteristica delle vinificazioni in bianco. Tra gli altri rossi a Barolo, una menzione speciale va all’intera elegante produzione della Tenuta di Valgiano, Lucca, che con Moreno Petrini ha portato in degustazione gli ottimi “Tenuta di Valgiano Rosso” 2013 e 2011 e, soprattutto, “Palistorti” 2012.
Dall’altra parte della sala degustazioni allestita a Castello Falletti, ecco il nostro eroe dei vini bianchi italiani presenti in rassegna. E’ Patrick Uccelli di Tenuta Dornach, Salorno (Bolzano), Alto Adige. Uno capace di mettere il punto sul Gewurztraminer con il suo “G.”, vendemmia 2015. Nel senso che ti manda a capo, tanto è in grado di spiazzarti in un gioco quasi diabolico tra un naso più che convenzionale (ma curioso) dominato dal litchi e un palato dirompente, persistente, di sorprendente tannicità verde. Quel colore rosato, dovuto al contatto di un mese con le bucce dello splendido uvaggio autoctono altoatesino, non poteva che portare a tale conclusione. Ma te ne rendi conto troppo tardi. Proprio per colpa di quell’olfatto così convenzionale. Poi la bocca ti frega. E sono pernacchie che ti ricorderai a lungo.
Tre ettari e mezzo che nel 2017 diventeranno 4,5, per Tenuta Dornach. E una filosofia spiegata con chiarezza dal quell’eterno Peter Pan che sembra essere il 42enne Patrick Uccelli, vignaiolo giocoliere. “Io e la mia famiglia produciamo tutto in biodinamico dal 2009 e speriamo che un giorno tutto il mondo del vino operi in questo regime. Ma il cambiamento è assurdo pensarlo in tempo reale. Sarebbe arrogante. Ci vuole pazienza, è inutile forzare le tappe”.
A pari merito con Dornach, impossibile, tra i vini bianchi italiani, non citare l’intera produzione de La Castellada di Giorgio e Nicolò Bensa, realtà che opera in Friuli Venezia Giulia. Più esattamente a Oslavia, Gorizia. Tutti vini importanti, da aspettare, quelli presenti al banco degustazione corsaro. Il Collio Doc 2010 Bianco della Castellada è sublime. Ottenuto da un 50% Pinot Grigio, un 30% Chardonnay e un 20% Sauvignon da vigne di età compresa tra i 20 e 50 anni, pare una caramellina al palato. Per poi accendersi d’improvviso, come il fuoco su un terreno impregnato di benzina, svelandosi caldo, strutturato, poderoso. E dotato di un finale senza fine. Il Pinot Grigio, come spiega al banco di degustazione il preparatissimo Stefano Bensa, viene colto e subito pressato. Il mosto viene fatto dunque fermentare in barrique, con lieviti indigeni. Chardonnay e Sauvignon fermentano a contatto con le bucce per 4 giorni.
Poi vengono travasati in barrique per completare la fermentazione. Seguono 11 mesi in barrique e 12 mesi in vasca d’acciaio inox di affinamento, più ulteriori 12 mesi in bottiglia, senza filtrazione. Sontuoso il Collio Doc Bianco Riserva 2006 “Vrh”: un blend ottenuto al 75% da Chardonnay, cui viene sommato un 25% Sauvignon di vigne di 45 anni di marna Eocenica. I grappoli vengono diraspati e il pigiato posto a fermentare in tini aperti di rovere di Slavonia, per 2 mesi. Fermentazione alcoolica e malolattica a contatto con le bucce. Seguono 36 mesi in botte grande di rovere di Slavonia, 12 mesi in vasca d’acciaio inox. In bottiglia senza filtrazione, esprime un 14,5% di alcol in volume. Dieci ettari di vigneto per La Castellada nel goriziano, per un totale di 25-30 mila bottiglie prodotte annualmente. Azienda tutta da scoprire e da amare al primo sorso.
Rimaniamo in Italia per segnalare altri due bianchi coraggiosi. Il Liguria di Levante Igt “Poggi Alti” 2015 dell’Azienda Agricola Santa Caterina di Sarzana è un vino di grande prospettiva, capace di far tornare alla mente i grandi bianchi liguri di quel genio anarchico di Fausto De Andreis, one man company di Rocche del Gatto. “Fermentazione in tini aperti d’acciaio e maturazione in gres”, spiega Andrea Kihlgren, che così mira a preservare e valorizzare i varietali del Vermentino. “Facevo altro nella vita – continua il vignaiolo dal cognome svedese, tramandato dal padre – ma quando ho deciso di dedicarmi a tutto tondo al vino ho capito subito che una via ‘tiepida’ non faceva per me. Questo è un lavoro che bisogna sentire dentro e che fa fatto con coscienza, oppure bisognerebbe fare altro”. Un degno compagno di De Andreis, insomma. Dentro e fuori dal calice. Ad accomunarli, ovviamente, anche i problemi con il Consorzio per il riconoscimento di una Denominazione d’origine controllata a cui, entrambi, hanno ormai rinunciato su parte della produzione.
Merita un plauso, infine, il coraggio di Les Petits Riens di Regione Chabloz, Aosta, piccola realtà a metà tra Morgex e Saint Vincent. L’unica ad allevare, nell’intera Valle d’Aosta, l’Erbaluce di Caluso. Nasce così Petit Bout De Lun 2014, un bianco curioso, la cui vinificazione avviene all’80% in acciaio e al 20% in barrique, dove resterà a maturare 15 mesi, prima dell’imbottigliamento. Un vitigno, l’Erbaluce, scelto per conferire acidità a uno Chardonnay altrimenti stanco. Altra curiosità: i vini de Les Petits Riens sono tutti turati con il sughero, ricoperto da cera d’api. Un altro modo per sottolineare il profondo legame del vino con il territorio d’origine.
Tra le bollicine presenti a Vini Corsari 2016, non poteva che spuntarla il sontuoso Franciacorta Docg Pas Dosé 2011 “Il Contestatore” dell’Azienda Agricola Il Pendio di Michele Loda (Monticelli Brusati, Brescia). Un Metodo Classico ottenuto in purezza da uve Chardonnay, provenienti dai gradoni più alti della vigna. Capace di surclassare l’unica maison di Champagne presente ai banchi di degustazione, La Closerie, con il solo “Le Beguines” (prezzo tra gli 80 e i 90 euro) a discostarsi da una produzione fin troppo piaciona e commerciale, fondata sul Pinot Meunier.
GLI STRANIERI C’è una cantina che più delle altre ha saputo convincere tra i Corsari 2016. L’avreste mai immaginato? Proviene dalla Svizzera. Più esattamente dal Vallese. Quel Valais che, in estate, vi abbiamo raccontato in lungo e in largo (vedi qui). Dimenticandoci, però, di uno come Olivier Pittet di Fully (d’altronde, con centosessantadue vini degustati in diciotto differenti cantine, poste su un percorso di circa 250 chilometri, siamo sicuri potrete perdonarci). Il Fendant 2014 di Pittet è divino. Si scosta dalla semplicità intrinseca del vitigno Chasselas, per assumere al naso sentori complessi, che segnano tutta l’esperienza olfattiva con Pittet: quelli vegetali, erbacei, in bilico tra l’erba fresca e il fieno, tra i fiori e le aromatiche alpine, sino alla camomilla secca.
Note che nel Petit Arvine 2014 diventano quasi piccanti, con il peperone giallo a verde a spuntare nel mucchio composto di sentori delicati. Una caratteristica che, qui, ritroveremo anche in bocca. Chimere 2014 è il più gastronomico dei vini di Olivier Pittet, quello di più facile abbinamento in cucina. A.R.H. 2014 è invece il sorprendente blend tra Petite Arvine (50%) e un clone sconosciuto derivante da un incrocio di quattro vitigni, tra cui l’autoctono Rèze (Resi) e l’Humagne Blanc: un vino dal residuo zuccherino elevato (12 g/l).
Per completezza e qualità nella produzione non può essere dimenticato anche Aleks Klinec, vignaiolo bio del Collio sloveno, impiantato a Medana. Il fil rouge che lega i vini è quello di una consistente sapidità, quasi croccante, da mordere. Ma a convincere più di tutti – per presente e prospettive future – è Jakot 2012, ottenuto da fermentazione spontanea con quattro giorni di contatto con le bucce delle omonime uve, dimenticate per 3 anni in botti di acacia. Tipico colore aranciato e grande intensità e finezza olfattiva, che richiama fiori e frutta esotica matura. Un naso suadente, che al palato rompe gli indugi sfoderando muscoli d’acciaio: di alcolicità calda, almeno al percepito, controbilanciata alla perfezione da una freschezza e da una sapidità invidiabili. Vino che stupisce, appunto, per il suo grande equilibrio.
Ottima anche la Malvazia Istriana 2012 di Klinec, più profonda al palato rispetto a Jakot, per la presenza di un’acidità ancora più spinta e un tannino astringente. In Gardelin 2012 è ancora più marcata la vena sapida, evidentemente per l’assenza dei tannini in un uvaggio come il Pinot Grigio. La Ribolla 2012 (14 giorni di macerazione e 3 anni in botte per estrarre al meglio le proprietà di un’uva dalla buccia spessa come l’orgoglio del popolo sloveno) è un altro luminoso esempio della grandezza dei vini della vicina Slovenia. Infine, ma non ultima, la Riserva 2006 Klinec con base Verduzzo Friulano, in blend con Ribolla, Malvasia e Tocai. Un Barolo bianco, potremmo azzardare. Estratto secco che pesa come un macigno, sulla lingua. E 14,9% di alcol in volume a completare il quadro. Chapeau.
Segnaliamo, tra gli altri, anche la cantina portoghese Encosta da Quinta, 80 chilometri a nord di Lisbona. Vino di facile beva ma di cui non ci si dimentica affatto il bianco Humus 2015, proposto in degustazione dal timido Rodrigo Filipe. Un blend ottenuto dai vitigni autoctoni del Portogallo Arinto e Fernao Pires. A chiudere la rassegna dei migliori vini degustati tra i Corsari 2016 anche lo Chardonnay du Hasard, Vin de Voile di Domaine Labet, Jura, Francia. Un bianco unico, in cui alle note ossidative fanno da contraltare sorprendenti note fruttate fresche. Spazio anche per un vino a prezzi pazzi: il blend di Trebbiano e Trebbiano di Spagna di Vittorio Graziano (Castelvetro di Modena): 13 euro per un’esperienza sensoriale giocata sul filo sottile dell’equilibrio tra le note macerative e quelle fruttate mature.
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E alla fine dei conti, quello che ti fa più incazzare, è che gliel’hanno proposto in abbinamento a una frittura di paranza. Eppure, la controetichetta parla chiaro. “Questo vino dolce e leggendario dell’Oltrepò Pavese ha un ruolo chiave nei pranzi festivi della tradizione in Lombardia, ove la sua vivacità conferisce importanza al fine pasto. Un vino che trova il suo adatto abbinamento (…) con dolci quali crostate, pasta di mandorle e sfogliatine”. Sfogliatine? Sfogliatine, sì. Quelle campane? Forse. Sembra un’etichetta studiata ad hoc. Ma lo avete capito? Parliamo del Sangue di Giuda. Il vino dolce dell’Oltrepò Pavese.
Sono le 23.30 di sabato quando un lettore di vinialsuper ci contatta attraverso la nostra pagina Facebook. E’ al ristorante. A Salerno, dove vive. Gli hanno appena proposto un vino che non conosce, in abbinamento alla frittura di pesce che ha ordinato al cameriere. E’ un vino rosso. Qualcosa non torna. La domanda che ci rivolge è perentoria. “Non è che gli devo fare un assegno? Rispondente, prima che arriva il conto”.
Allega al messaggio la foto della bottiglia. Panico. Si tratta del Sangue di Giuda Doc “Il Pozzo”, vino frizzante dolce. Vendemmia 2015. Ammettiamo l’ignoranza. Non lo conosciamo. Il nome di fantasia non ci dice nulla. Chiediamo una foto dell’etichetta posteriore. Che arriva, di lì a qualche minuto. E’ tutto chiaro. L’azienda indicata è Enoitalia, gigante imbottigliatore di Bardolino, Verona, che serve i supermercati Lidl. Quelli, per intenderci, del Montepulciano Biologico Passo dell’Orso decantato da Luca Maroni. Boom. Questa bottiglia costerà 6 euro al lettore. Un ricarico notevole, quello del ristoratore salernitano, rispetto alle potenzialità della bottiglia.
E’ la legge dei grandi numeri. Quelli che in Italia vincono sempre, a prescindere dal valore che rappresentano realmente. Basti calcolare che una delle aziende leader del Sangue di Giuda, in Oltrepò, fissa il prezzo del proprio “base” – comprensivo di trasporto, ma con pagamento anticipato – a 4,30 euro a bottiglia. E a 6.90 euro per il “cru”. Troppo? Fin troppo poco, assicuriamo noi che quei due Sangue di Giuda (il base e il cru) li conosciamo bene. E allora vada per il Sangue di Giuda di Enoitalia. Pure al ristorante. Con la paranza. Ma si sappia: l’Oltrepò pavese è un’altra cosa. Quando imparerà a promuoversi a dovere in Italia? Ai posteri l’ardua sentenza.
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Sangue di Giuda Il Pozzo Enoitalia Lidl Salerno Oltrepo Pavese vino dolce 1
Sangue di Giuda Il Pozzo Enoitalia Lidl Salerno Oltrepo Pavese vino dolce 3
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Puglia Cantine Aperte 2016 con il bus del Movimento Turismo del Vino
Focus sulla regolamentazione del turismo del vino al wine2wine con il convegno MTV, “Enoturismo: una legge per mettere ordine”, in programma a Veronafiere il 6 dicembre alle ore 16.30. A fare il punto sul tema, alla luce dell’approvazione definitiva del Testo Unico del Vino, il presidente del Movimento Turismo del Vino Italia, Carlo Pietrasanta, l’onorevole ColombaMongiello, il presidente dell’Unione Italiana Vini, Antonio Rallo e il responsabile delle relazioni istituzionali del Movimento Turismo del Vino Italia, Maurizio Pescari.
“Con il Testo Unico del Vino – ha detto il presidente del Movimento Turismo del Vino Italia, Carlo Pietrasanta – il concetto di enoturismo ha ottenuto un riconoscimento che però non è sufficiente sul piano fiscale. Questa norma taglia-burocrazia, infatti, da una parte rappresenta un passo avanti per il settore, dall’altra non fornisce una risposta esaustiva per un fenomeno che, con i suoi 2,5 miliardi di euro di fatturato e 13 milioni di arrivi in cantina, riveste un ruolo chiave per l’economia italiana e il turismo made in Italy. Ora è più che mai urgente lavorare ad un Testo unico dell’Enoturismo”.
Pietrasanta si era già espresso duramente in merito allo “stallo” dell’enoturismo italiano. “L”enoturismo è tricolore, lo si può dire con certezza. Ma è un tricolore francese, non certo il nostro”, tuonava il presidente nazionale del Movimento Turismo del Vino a commento delle importanti iniziative intraprese in Francia in favore dell’enoturismo. Dichiarazioni che risalgono al giugno scorso. A pochi giorni dall’inaugurazione di fine maggio, a Bordeaux, de La Cité du vin, “La città del vino” francese.
“Il turismo del vino rappresenta un asset strategico per lo sviluppo della nostra vitivinicoltura – ha osservato Antonio Rallo, presidente di Unione Italiana Vini – che oggi ha bisogno di un nuovo quadro di riferimento normativo in grado di supportarne lo sviluppo con regole adeguate. Dopo il grande lavoro portato avanti con successo sul Testo Unico del Vino sono convinto che abbiamo costruito tutte le premesse di carattere politico e istituzionale per favorire un percorso più snello per la condivisione di una normativa dedicata al turismo del vino, oggi richiesta da tutte le nostre imprese”.
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Nero di Troia Grifo Cantina Cooperativa della Riforma Fondiaria di Ruvo di Puglia e1480754991680 scaled
(3 / 5) l Nero di Troia è il vitigno a bacca nera principale del centro-nord pugliese, capace di dare vini strutturati e molto longevi. Il produttore Grifo, la Cantina Cooperativa della Riforma Fondiaria di Ruvo di Puglia, in provincia di Bari, propone nei supermercati la vendemmia 2014 con denominazione Puglia Igp.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice il vino si presenta rosso rubino con riflessi porpora che denotano gioventù. Al naso si riconoscono note avvolgenti di ciliegia e lampone maturo, violetta, pepe rosa, timo e sullo sfondo sentori tipici dell’affidamento in legno.
In bocca però non rispecchia le aspettative create precedentemente. Il corpo non è del tutto pieno, il tannino è già evoluto e non molto presente, la persistenza è un po’ corta. Bottiglia che ha già raggiunto il suo equilibrio: fatto di per sé piacevole, ma deludente vista la sua giovane età.
Da prendere in considerazione se si cerca un vino immediato e non troppo impegnativo. Da degustare ad una temperatura di 16° gradi e da abbinare a un primo con ragù di carne.
LA VINIFICAZIONE
Prodotto da una selezione di uve Nero di Troia in purezza coltivate a Ruvo di Puglia, su terreni marnosi-argillosi a 400 metri sul livello del mare. La vendemmia è svolta manualmente e, dopo la vinificazione, il vino affina in botti di rovere per alcuni mesi.
La Cantina Cooperativa della Riforma Fondiaria di Ruvo di Puglia è nata nel 1960 e vanta ben 1020 soci conferitori, concentrati sulla “valorizzazione di vitigni autoctoni come il Nero di Troia, il Bombino Bianco, il Bombino Nero, il Moscatello Selvatico e il Pampanuto”.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Difficili. Aristocratici. Semplici. Contadini. Cinque calici. Numero dispari. Dentro, solo Gaglioppo. E’ una “verticale obliqua”. Black out. Come d’improvviso, il Mercato dei Vini Fivi sembra assumere le forme di una delle opere di Escher. Un labirinto. Prima mentale, visivo. Poi, gusto olfattivo. Tutto sembra studiato per confondere, a quel festival dell’ossimoro che è stata la degustazione con il produttore Francesco De Franco di ‘A Vita – Vignaioli a Cirò.
Specie se quei vini li hai appena degustati – fuori temperatura – al banchetto dell’azienda produttrice. E non t’hanno fatto una buona impressione, lontano dall’ambiente ovattato della Sala degustazioni dei padiglioni fieristici di Piacenza.
L’ultimo dei quattro “appuntamenti con il vignaiolo” sul calendario degli organizzatori, tra sabato 26 e domenica 27 novembre. Qui, il vino viene servito a gradazione perfetta. E fa il suo: sconvolge. In positivo. Per armonica contrapposizione di note stonate. Per quella capacità di mettere d’accordo tutti. Mostrando con semplicità mille sfaccettature diverse. Ma nello stesso quadro.
LA DEGUSTAZIONE
Calabria Igp Rosato 2015, Cirò Doc Rosso Classico 2012, Cirò Doc Rosso Classico Superiore 2013, Cirò Doc Riserva 2008 (Magnum), Cirò DOC Riserva 2010 (Magnum). Questa la batteria, raccontata da Francesco De Franco assieme all’amico e collega campano Bruno De Conciliis. Il vignaiolo di Prignano Cilento, Salerno, ricorre alla musica per descrivere il Gaglioppo di De Franco. E fa benissimo. Perché quelle di ‘A Vita non sono “etichette”. Sono spartiti. Riproduzioni fedeli dell’incoscienza. Dell’autore. E di Madre Natura.
Due elementi, uomo e terra, sembrano incontrarsi nei calici che assumono le fatture d’un girone dantesco. Al primo sguardo. Alla prima olfazione. Al primo sorso. Si finisce sempre più risucchiati verso l’ignoto. “Cerco di raccontare un territorio sconosciuto e le potenzialità del Gaglioppo”, dice al tavolo dei relatori un timido Francesco De Franco, quasi nascondendosi dietro all’asta bassa e stretta del microfono. Annuisce, facendosi ancora più piccolo, mentre il collega De Conciliis ne decanta l’opera. Non è un animale da palco, De Franco. Ma da campagna, sì.
IL RITRATTO
Basta sentirlo mentre parla della sua terra. La Calabria. Mentre racconta di quelle “vigne fronte mare”, a 300 metri dalla riva, sembra di sentire lo scrosciare delle onde dello Ionio sui muri freddi dei padiglioni Expo Piacenza. Chiudi gli occhi, mentre parla di quella “stretta pianura con i mari sui due lati, di terra d’argilla e calcare”. Anche perché, mentre De Franco illumina del sole calabrese la Sala degustazioni, in bocca ci sono i suoi vini. Iodio allo stato puro. Vini tesi, tra l’asprezza dei paesaggi disegnati a parole. E la viscosità marina, simile a quella dell’olio d’oliva. Tannini e frutta a bacca rossa si giocano le parti in grassetto sullo spartito, in ognuno dei cinque vini di ‘A Vita in batteria. E così, il Rosato 2015 pare “un piccolo, giovane guerriero” dai muscoli d’acciaio. Destinato a conquistare il mondo.
Nel 2013 le note di china e rabarbaro sono evidenti. Drogano l’olfatto. T’incollano il naso al calice. Il 2012 è pura follia. “Un vino che non vederò mai”, ammette d’aver pensato il viticoltore mentre lo imbottigliava. Poi, un’evoluzione inattesa in bottiglia. Che, oggi, porta le note grevi a farsi (relativamente) più morbide. Come la china, che si tramuta in zenzero. E’ la storia, in sintesi, di tutta una produzione. Il primo anno (vedi Rosato 2015) il tannino sembra costituire un elemento a sé nei vini di ‘A Vita. “Io li chiamo ‘vini del sorriso'”, ammette. Vini disturbanti, che al posto di dissetare, asciugano. Tolgono linfa vitale al succo. Ma dal secondo anno in poi, mineralità e acidità tornano a prevalere, a conti fatti. Bagnando e rinfrescando un tannino da elisir di lunga vita.
Un continuo rimando a leggerezza e pesantezza. Vini musicali, appunto. Da sincope. Come il 2008. Quello che assume le tinte più profonde. Grevi, al naso: rabarbaro (ancora lui), ma anche liquirizia e cuoio. Macerazione sulle bucce lunga 20 giorni e successivo affinamento in legno nuovo non tradiscono. Alcol attenuato da un’annata non caldissima, tannini pure. E’ il vino di più “facile” beva di ‘A Vita. Quello che esprime note quasi “dolci” al palato. Un Cirò Riserva aperto a note minerali, fresche. Deliziose. Così come appagante è la freschezza vegetale del Cirò Riserva 2010. Tutto giocato su frutta rossa, timo e mirto.
Il bello è che De Franco fa sembrare tutto semplice. Come lui. Come l’incedere di un quattro quarti su un metronomo appena tarato. “Non cerco nessun tecnicismo – spiega – piuttosto il mio obiettivo è quello di raccontare il Gaglioppo e Cirò, con le caratteristiche che assume di annata in annata, a fronte delle condizioni climatiche”. I vini di ‘A Vita sono vini fatti in casa. “Non ho rifermenti in zona o modelli da seguire – continua il vignaiolo Fivi – perché a Cirò ci sono grandi cantine o contadini che producono per sé e per le loro famiglie. Per questo sono libero di esprimere, semplicemente, quello che offre la terra”. “Mi piacerebbe che i miei vini fossero ricordati nel tempo perché raccontano la vera Cirò”. Grazie per il viaggio, Francesco De Franco.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Metodo Classico Brut Rosé Casa Vinicola Aldo Rainoldi 644x1024 3
La Valtellina è una rinomata terra di vini rossi fermi, prodotti principalmente da uve Nebbiolo (localmente chiamato Chiavennasca), a partire da quelli da tavola – non complessi – fino ai grandi Sforzati, vini strutturati e di grande qualità. Cercando attentamente ci si può imbattere in produzioni davvero interessanti. Come questo spumante Metodo Classico Brut Rosé millesimo 2010 (sboccatura 2016) prodotto dalla Casa Vinicola Aldo Rainoldi, da un 92% Nebbiolo, un 4% di Pignola e un 4% Rossola (queste ultime uve assolutamente autoctone della lombarda Valtellina).
Il vino mostra una veste rosa con tonalità ramate vivaci e con bollicine discretamente fini. Il naso ha un’ottima intensità, con piacevoli profumi agrumati soprattutto di arancia rossa, di fragoline di bosco, note floreali dolci di fiori di arancio, con i classici sentori di crosta di pane da Metodo Classico e un intrigante sfondo di erbe aromatiche.
In bocca spicca la freschezza gustativa e una bella sapidità, con buona struttura e una morbidezza presente che da equilibrio, invogliando ad altri assaggi. Ottima persistenza, con aromi coerenti ai sentori olfattivi, soprattutto quelli agrumati.
LA VINIFICAZIONE Lo spumante Brut Rosé Rainoldi è prodotto da uve coltivate nei comuni di Ponte in Valtellina e Teglio, in vigneti situati tra i 600 e 730 metri sul livello del mare, esposti a sud e con terreno sabbioso-limoso derivato da rocce granitiche sfaldate. La vendemmia viene effettuata nella seconda metà di ottobre. Per ottenere il colore rosato sopra descritto, viene effettuata una veloce macerazione delle uve a freddo, con successiva pressatura. Il vino base rimane per qualche mese in acciaio a maturare e viene poi imbottigliato con i lieviti, con la quale ha inizio la seconda fermentazione e il seguente affinamento che si protrae per almeno 36 mesi.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
E’ il “Cru” di Casa Testa, il vino più “esclusivo”. Quello nato da vigneti che godono della migliore esposizione. Parliamo del Gutturnio Superiore Doc la Gobba, prodotto e imbottigliato all’origine dalla Casa Vinicola Cav. Italo Testa Snc di Castell’Arquato, in provincia Piacenza. Abituati dai supermercati – specie nel Nord Italia – a vini Gutturnio mossi, spesso venduti a prezzi risicati che ne denotano la scarsissima qualità, il passaggio a un Gutturnio Superiore, senza “effervescenza”, può costituire un’esperienza unica per i winelovers meno esperti. Una sorta di scoperta delle potenzialità di uvaggi spesso bistrattati, per logiche di commercio, come Croatina e Barbera. Chiariamo, innanzitutto, che al contrario dei “cugini effervescenti”, il Gutturnio Superiore Doc si presta a diversi anni di invecchiamento, proprio perché vinificato alla maniera dei grandi rossi italiani.
Sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it finisce, di fatto, la vendemmia 2011. Tredici gradi e mezzo il titolo alcolometrico. Vino importante, dunque. Che si presenta nel calice di un rosso tra il rubino e il porpora, con riflessi granati. Al naso è schietto, mediamente fine: gli uvaggi si distinguono chiaramente, attraverso note che risultano pulite, nonostante il tempo trascorso in bottiglia. E’ il primo segnale della sublimazione di un prodotto storicamente “contadino” come il Gutturnio, vino della tradizione piacentina, che con il Superiore La Gobba si toglie di dosso le vesti polverose. E indossa la cravatta della domenica.
Al naso fa eco un palato di grande energia. Buona struttura, buon corpo. Con i profumi di ciliegia e prugna che si tramutano in gusto, giocando testa a testa con i fiori di viola e le note evolute di sottobosco (mirtillo, lampone maturo). Spazio, con l’ossigenazione, anche per terziari raffinati di vaniglia e cioccolato, avvolti al palato in tannini morbidi ma tutt’altro che spenti, uniti alla grande freschezza (e chi se l’aspettava, ancora?) conferita da un’acidità autorevole. L’idillio piacentino, da affiancare a importanti portate di carne rossa, dall’arrosto alla cacciagione, passando per la griglia. Alla temperatura dei grandi rossi: 18-20 gradi.
LA VINIFICAZIONE
Non è un caso se il Gutturnio Superiore Doc La Gobba della Casa Vinicola Testa viene prodotto solo nelle annate climaticamente fortunate. Quelle in cui il blend ottenuto al 70% da uve Barbera e al 30% da uve Croatina (Bonarda), garantisce i risultati migliori in bottiglia. I vigneti sono di tipo argilloso e calcareo, con esposizione privilegiata a Sud. L’allevamento a Guyot semplice. La tecnica di vinificazione prevede una pigiadiraspatura delle uve, accuratamente raccolte a mano, la fermentazione con lieviti selezionati in tini di acciaio a temperatura controllata e la macerazione per circa 20 giorni.
L’estrazione di colore, aromi e struttura tannica sono garantiti da rimontaggi giornalieri che evitano la creazione di sgradevoli sentori. L’affinamento si protrae per almeno 38 mesi, con passaggio di 4-6 mesi in botti di rovere di Slavonia, prima di un ulteriore affinamento in bottiglia che precede la commercializzazione. Ottimo vino, il Gutturnio Superiore La Gobba, dopo i 4-5 anni dalla vendemmia.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Dwight Stanford, un lavoro ce l’aveva. In America. Chirurgo generale. Apriva e ricuciva pazienti, nella sua clinica di Kansas City, Missouri. Poi, la svolta. Anche Antonella Lonardo, un lavoro l’avrebbe avuto. Una cattedra all’Università di Napoli. Docente ordinaria, dopo la laurea in Archeologia. Ebbene. Ci ha rinunciato. Ancor prima di cominciare. Il richiamo della terra è una questione di vita o di morte per i vignaioli Fivi. L’americano che molla tutto e si trasferisce a Offida, nella sperduta provincia di Ascoli. E l’avellinese che dopo tanti sacrifici sui libri capisce cosa vuole davvero: proseguire il cammino segnato dai genitori, titolari di un’azienda agricola ben avviata, a Taurasi. Storie di vino. Storie di vignaioli che, nel weekend scorso, si sono resi protagonisti del Mercato dei Vini della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti (Fivi), nei padiglioni di Piacenza Expo, pronto ora allo storico sbarco nella capitale, Roma, il 13 e 14 maggio 2017 all’Eur.
“Sopra la stessa zolla. Sotto la stessa goccia. Nello stesso letame”: questo il messaggio lanciato dai viticoltori nel corso della sesta edizione della manifestazione, che ha chiuso con più di 9 mila ingressi la due giorni nel capoluogo emiliano (+50% rispetto all’edizione 2015). Citazione della retroetichetta delle bottiglie di Prosecco di Luigi Gregoletto, vignaiolo Fivi dell’anno. Un segnale forte, in un periodo in cui il vino e i vignaioli sono sotto accusa, in particolare nella zona di Conegliano-Valdobbiadene. In un’arena piena di colleghi il vignaiolo di Miane, premiato come Vignaiolo dell’anno, ha commosso i presenti con il suo discorso. Un inno alla terra e al suo rispetto.
“Dalla mia vita e dalle mie esperienze – ha raccontato Gregoletto – posso dire che la terra va rispettata, va amata, perché la terra è madre e sa ricompensare. Anche oggi che produrre molto è facile e produrre poco è altrettanto facile. Produrre equilibrato nel rispetto della terra, della sua conservazione e della qualità del prodotto, è molto più difficile. Ma sono convinto che questa sia la via da affrontare e sono altrettanto convinto che la terra non delude. La terra ti può fare meno ricco, ma sicuramente più signore”.
I MIGLIORI VINI DEGUSTATI Signori vini, quelli in degustazione al “Mercato” di Piacenza. I bianchi di Ermes Pavese, vignaiolo valdostano di Morgex, mostrano tutte le potenzialità del vitigno autoctono Prié Blanc. Il metodo classico Pas Dosé, 24 mesi sui lieviti si rivela complesso, sapido, minerale, di persistenza balsamica. Più pronto del Pas Dosé 18 mesi, ancora giovane, come evidenzia un’acidità spiccata e di prospettiva. Anche Nathan, il barricato di casa Pavese, è un buon compagno da dimenticare in cantina e riscoprire tra qualche anno.
Dalla Valle D’Aosta ci spostiamo in Friuli Venezia Giulia, dai Vignai Da Duline. La cantina di Villanova (Udine), visitata nelle scorse settimane da Angelo Gaja e dal suo staff, porta sugli scudi Malvasia Istriana e, soprattutto, Friulano Giallo: antico biotipo di Tocai, risulta meno produttivo ma più resistente alle malattie. Duecento ceppi in totale, che nelle annate migliori i coniugi Lorenzo Mocchiutti e Federica Magrini tramutano in magnum d’occasione. Memorabile la vendemmia 2015 di Giallo di Tocai, in degustazione: note speziate di zenzero e curcuma si legano a doppio filo ai terziari conferiti dal legno. Naso rigoglioso, cui fa eco un palato morbido, ricco, carico di vitalità. Da provare anche Morus Alba, unione tra i cru di Malvasia Istriana e Sauvignon che esprime l’idea di territorialità dei Vignai Da Duline.
Un passo più in là ecco Weingut Abraham. A presentarla Martin Abraham. Personaggio schivo, presenta in degustazione una batteria interessantissima. Tra i Pinot Bianco svetta la vendemmia 2013. Lungo periodo sulle fecce e due anni in botte seguono una raccolta dei migliori grappoli, da viti del 1955. L’acidità spiccata gioca con note esotiche che, tanto al naso quanto in bocca, spaziano dal mango alla banana. Un Pinot Bianco salino, che darà il meglio di sé nei prossimi due, tre anni. Solo 600 le bottiglie prodotte. Una vera perla.
Straordinario anche il Traminer 2014 di Martin Abraham. Meno aromatico di quanto ci si possa aspettare, spariglia le carte con un olfatto tipico e un palato che, al contrario, spinge maggiormente sulla mineralità. La vendemmia 2013 di Traminer è ancora più concentrata, ma conserva i medesimi tratti. Ottimi anche i rossi del vignaiolo altoatesino di Appiano (Bolzano). Upupa Rot 2013 è il blend tra Schiava (95%) e Pinot Nero (5%), vino “dritto” sulle acidità più che sulle note fruttate tipiche dei due vitigni. Sublime il tannino espresso, così come elegante risulta quello del 100% Pinot Nero 2013, timido in ingresso, pronto poi ad aprirsi sul classico bouquet di sottobosco.
Ecco dunque Edi Keber, friulano di Cormons, Gorizia. Il suo Collio 2015 è fresco e fruttato. In degustazione anche una più evoluta vendemmia 2012, che mostra tutta la potenzialità d’invecchiamento dell’uvaggio storico Tocai, Malvasia Istriana e Ribolla. Giallo dorato, naso minerale che richiama il terroir, frutta meno stucchevole e meglio bilanciata da un’acidità viva. “Un vino da aspettare”, come conferma al banco il giovane vignaiolo Kristian Keber.
Non poteva mancare la Lombardia, con una vera e propria “chicca”. E’ Bastian Contrario, 100% Trebbiano dell’azienda Lazzari di Capriano del Colle, provincia di Brescia. Novecentotrenta bottiglie, numerate. La vendemmia in degustazione è la 2014. Giallo dorato, naso di miele millefiori e tipica nota botritica. Al palato pieno, sapido ed elegante. Morbido, nonostante l’acidità spiccata. Fondamentali i diradamenti dei tralci di Trebbiano, in vigne di età superiore ai 20 anni. “L’obiettivo – spiega Davide Lazzari – è quello di ridurre il carico produttivo fino a non più di 60 quintali di uva per ettaro: si spinge così sulla surmaturazione con vendemmia tardiva a fine ottobre. Attendiamo dunque l’attacco botritico, che contribuisce a un’ulteriore concentrazione delle rese. Il 50% del mosto fermenta direttamente nella barrique in cui resterà in affinamento per 12 mesi”. L’abbinamento perfetto? Quello con i formaggi grassi delle valle Orobiche.
Ecco dunque l’incontro che non t’aspetti. Quello con Ps Winery di Offida, Ascoli Piceno. Una cantina a metà tra le Marche e gli Stati Uniti d’America. Chiedere per credere ai due soci fondatori, Raffaele Paolini e Dwight Stanford. Galeotto fu il master di Scienze Gastronomiche organizzato da Slow Food del 2006, presso la Reggia di Colorno. I due si conoscono lì e la passione per il vino fa il resto.
“Dopo 25 anni di lavoro in clinica ero un po’ stanco – spiega Dwight (nella foto con la moglie, conosciuta al Bravio delle Botti di Montepulciano) – volevo un anno sabbatico. Ho deciso così di aderire al master di Slow Food. Mi avevano assicurato che tutte le slide sarebbero state in inglese. Ma quando sono arrivato, mi sono reso conto che non era così! Passavo i pomeriggi a tradurre i pochi appunti, studiando su Internet cosa fosse esattamente, per esempio, il Parmigiano Reggiano. Proprio in quei giorni mia madre è venuta a mancare e ho deciso di reinvestire l’eredità, assieme ai soldi che avevo messo da parte in tanti anni di lavoro, nell’acquisto di alcuni terreni, assieme al mio compagno di corso Raffaele”. I due scelgono i cloni, le varietà. E trasformano interi campi coltivati a erbe mediche in vigna. “Il primo anno è stato fantastico – ammette Dwight – anche se abbiamo dovuto mandare via l’enologo. A quello poi ho ovviato io, laureandomi in enologia”.
Da provare l’Incrocio Bruni 54 di Ps Winery, dal prezzo strabiliante di 10 euro (in cantina). Si tratta del risultato dell’incrocio, per impollinazione, di Verdicchio di Jesi e Sauvignon Blanc. “Una pianta legnosissima – spiega Raffaele Paolini – tutt’altro che elastica, già a maggio. Delicatissima nel periodo della fioritura, ha un grappolo spargolo”. Solo 14, in tutta la regione, le cantine che lo allevano. Ps Winery ne ha 1.500 ceppi, distribuiti su un quarto di ettaro. Di colore giallo paglierino con riflessi dorati, il Marche incrocio Bruni 54 Igt di Ps Winery richiama il Verdicchio e la sua carica minerale, al naso. Al palato è un concentrato di struttura e di calore, ben espresso dagli oltre 15 gradi di percentuale d’alcol in volume. La sapidità è il secondo tratto distintivo del magnifico terroir Marche, espresso anche in questo Incrocio.
Di Ps Winery splendido anche il Syrah 2013 (24 mesi tra barrique e tonneau). Ai frutti rossi maturi rispondono a livello olfattivo percezioni floreali di viola, che poi lasciano spazio a complessi terziari di vaniglia, tabacco, liquirizia. Non manca uno spunto vegetale, che richiama la macchia mediterranea (alloro, rosmarino). Di grande freschezza in ingresso, rivela al palato la potenza (elegante) di un tannino ben bilanciato che nobilita la beva e chiama il sorso successivo. Ancora verde il tannino del Montepulciano 2011 Igt di Ps Winery: altro prodotto di assoluto valore, ma da attendere.
Rimaniamo nelle Marche per scoprire un altro vignaiolo che ha fatto della sperimentazione il proprio credo. E’ Giuseppe Infriccioli dell’Azienda agricola biologica Pantaleone, che lascia a bocca aperta con il suo Bordò. Si tratta di un biotipo storico appartenente alla famiglia dei Grenache. Utilizzato in purezza (100%), dà vita all’Igt Marche Rosso La Ribalta, di cui apprezziamo in particolare le vendemmie 2012 e 2010.
Di colore rosso rosso granato intenso, impenetrabile, si rivela speziato al naso: alle note fruttate rosse fanno da preponderante contorno liquirizia, chiodi di garofano, ginger e una spruzzata di pepe nero. Il tannino è presente, ma non disturba la beva in una vendemmia 2012 che, a conti fatti, risulta di grande eleganza e avvolgenza, anche nel finale tendente nuovamente al fruttato. Più complessa, come da aspettative, l’evoluzione della vendemmia 2010. Naso e bocca tendono al peperone verde e al cetriolo sotto aceto. Tutt’altro che un difetto, anzi: vino da provare, almeno una volta nella vita, per accompagnare grigliate, stufati, arrosti, brasati, cacciagione e selvaggina, nonché formaggi stagionati.
E’ di Contrade di Taurasi – Cantine Lonardo, provincia di Avellino, l’ultimo vino che segnaliamo tra i migliori assaggi al Mercato dei Vini Fivi 2016. Ventimila bottiglie la produzione totale della cantina oggi condotta in regime biologico dall’ex archeologa Antonella Lonardo, avviata dal padre Alessandro Lonardo e dalla madre Rosanna Cori: lui professore di Lettere in pensione e sommelier, lei insegnante di educazione Tecnica a Napoli. Cinque ettari, coltivati prettamente ad Aglianico. Ed è proprio un Taurasi Docg a centrare nel segno. Si tratta del cru Coste, vendemmia 2011.
Vino elegante, maestoso, che esprime tutta la magnificenza del grande vitigno avellinese. Difficile non pensare a una ricca tavola imbandita, sorseggiandolo a Piacenza: perfetto l’abbinamento con piatti elaborati a base di carne (dal brasato alla selvaggina) o accostato a formaggi stagionati. “L’annata 2016 è stata dura – commenta Rosanna Cori – le piogge ci hanno fatto temere addirittura per l’intero raccolto. Abbiamo vendemmiato quasi grappolo per grappolo, non appena compariva un po’ di sole. Il nostro enologo si è meravigliato quando ha visto le condizioni perfette delle uve condotte in cantina”.
Contrade di Taurasi produce vino ma svolge anche un ruolo sociale ed educativo nell’avellinese, nell’indole dei suoi fondatori. “Ogni anno ospitiamo un tirocinante dell’Università di Palermo – evidenzia ancora Rosanna Cori – che può formarsi al fianco del nostro piccolo staff scientifico, di cui fanno pare il professor Giancarlo Moschetti e il professor Nicola Francesca, microbiologi dell’Università di Palermo”. Loro il merito di aver estratto i lieviti indigeni che rendono così unici i vini di Cantine Lonardo, capace – se non bastasse – di recuperare anche un vitigno abbandonato come il Grecomusc, unico bianco di questa validissima realtà avellinese.
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Vermentino Sardegna Don Giovanni Cantina Mogoro 768x1024 1
Avevamo un po’ dimenticato i vini sardi, per lasciarci conquistare da qualche bianco del nord-est o qualche rosso del sud-est. Ma siamo sempre pronti a scoprire nuove realtà enologiche come il Vermentino di Sardegna Doc Don Giovanni, prodotto dalla cantina sociale di Mogoro. Alla vista si presenta di un colore giallo intenso che richiama il dorato, con una limpidezza e una brillantezza molto apprezzabili. L’esame olfattivo è spiazzante, in positivo. Sentori di passion fruit e banana si mescolano a quelli di fiori di sambuco.
Quindi note di frutta e floreali che non ci saremmo aspettati in questo vermentino, che fa tornare alla mente qualche buon Sauvignon, dai profumi bilanciati e gradevoli. La prima sensazione che si avverte in ingresso, al palato, è il gran corpo del Vermentino di Sardegna Doc Don Giovanni. Naturalmente fa seguito una sapidità spiccata e molto percettibile, che sconfina nella mandorla e accompagna un pizzico di balsamicità, data da sentori di zenzero.
LA VINIFICAZIONE
Questo vino nasce nei vigneti del Don Giovanni del comune di Mogoro, in provincia di Oristano, che si sviluppano su una superficie sia collinare sia pianeggiante, su un suolo mediamente calcareo alternato a sabbie quaternarie. Il clima nel quale la vite si sviluppa è ovviamente mediterraneo, con inverni miti ed estati calde, mitigate da un vento salino di Maestrale. La raccolta delle uve avviene manualmente, con un ammostamento condotto entro poche ore dalla vendemmia. Dopo una breve macerazione pellicolare, la vinificazione prosegue evitando il contatto con l’ossigeno, per preservare le caratteristiche gusto-olfattive del vitigno. Continui battonage in serbatoi di acciaio accompagnano per 40 giorni la fermentazione.
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Se glielo chiedi, la prende alla larga. Ti parla delle “tante porte prese in faccia negli anni scorsi” e, sopratutto, del “cambio di mentalità degli importatori”. Tutte cose vere. Ma se il Ruchè di Castagnole Monferrato, minuscola e giovane Docg piemontese, è oggi conosciuto (e apprezzato) in tutto il mondo, gran parte del merito va a Luca Ferraris, titolare dell’omonima “Agricola” di località Rivi, 7. Reduce da una full immersion in Oriente, su e giù da un aereo all’altro – dall’Hong Kong International Wine and Spirits Fair a Bangkok, passando per Singapore – Luca Ferraris è impegnato in cantina quando squilla il telefono.
“E’ stato un tour molto impegnativo ma anche molto soddisfacente – commenta il viticoltore -. Sono ormai 8-9 anni che bazzichiamo quei mercati e abbiamo sempre avuto dei problemi. Ci chiedevano stupiti se in Italia ci fosse il vino, abituati com’erano a bere esclusivamente francese, fino al 2008. Nel tempo siamo riusciti ad affermarci, in generale come vino italiano. Oggi, addirittura, incontriamo importatori che ammettono che stavano cercando, tra tutti i vini, proprio il nostro Ruchè”. E’ cresciuta la consapevolezza del cliente orientale o sono migliorati i piemontesi esportatori? “Direi entrambi – risponde Ferraris -. Noi ci abbiamo dato dentro a testa bassa, senza mai mollare. Ma anche gli importatori iniziano a capire il vino. Abbiamo assistito a una scrematura incredibile nelle importazioni. Fino a cinque o sei anni fa, qualsiasi corporate acquistava vini perché era chic e di moda. Oggi, chi compra sa dove rivenderlo. E ripete gli ordini, cosa che non succedeva in passato, quando assistevamo a sterili ordini a spot da parte di aziende sempre diverse”.
Sono lontani, insomma, i tempi in cui il Piemonte esportava esclusivamente Moscato, Malvasia e Barbera modern style. Del resto, il Ruchè si presta deliziosamente alla cucina asiatica. “La cucina asiatica di alto livello, quella ‘stellata’ – precisa Luca Ferraris – è il cliente potenzialmente più interessato al nostro prodotto. Un vino così aromatico e speziato si abbina benissimo ai piatti orientali, soprattutto se fusion. Poi non bisogna dimenticare che la cucina italiana, nel mondo, la fa da padrona”.
Anche a Bangkok, mega regione urbana in cui si condensano 30 milioni di persone. “Basti pensare – continua Ferraris – che l’imprenditore thai, oggi, investe in cuochi e chef italiani per aprire ristoranti tricolore nella capitale della Thailandia. Perché va di moda, ma anche perché a Bangkok, effettivamente, è pieno di italiani. Il Made in Italy, in particolare quello del food, sta tirando moltissimo. E il vino segue questa scia. Se da un lato, in questi mercati, la forbice tra ricchi e poveri si sta aprendo sempre di più, dall’altro è consistente, numericamente, la classe media che ha voglia e coraggio di investire”.
I NUMERI DEL RUCHÈ La Docg di Castagnole produce, ad oggi, 800 mila bottiglie scarse. Ferraris, nel 2017, punta a 130 mila bottiglie. Circa il 20% della produzione totale. “L’Export – spiega il titolare – riguarda il 65-70% della produzione del nostro Ruchè. Nonostante questo, la denominazione non esporta più del 30%. Rimane comunque salda la posizione sul mercato italiano, come riferimento. Noi, come azienda, puntiamo invece a esportare il 55% della nostra produzione totale all’estero, con punte del 70% per il Ruchè, mentre ad oggi ci assestiamo sul 45%. All’inizio vendevamo bottiglie a 13 euro che venivano rivendute a 400 euro all’estero. Il prezzo del Ruchè base si assesta adesso sui 9-10 euro, mentre il top di gamma tocca quote di 19-20 euro. Rivendute rispettivamente a 25 e 50 euro”.
“A livello di comunicazione – precisa Ferraris – il Consorzio ci ha dato la possibilità di partecipare a fiere di settore, in gruppo. Dunque, avanzandone. Direi che siamo stati bravi noi, dal punto di vista della comunicazione aziendale. Su mercati così lontani, vale più l’iniziativa del singolo. Nella produzione del Ruchè, poche aziende sono in grado di fare investimenti tali, anche a livello chilometrico, da Castagnole Monferrato. La degustazione in Svizzera è un discorso. Le fiere a Hong Kong, piuttosto che in Giappone o negli Stati Uniti, sono un’altra storia. Ci va una massa critica che consenta tali investimenti”.
Un futuro luminoso, dunque, quello del Ruchè. “Spero che continui la crescita registrata in questi anni – ammette Luca Ferraris – e, anche se mi guardano tutti con gli occhi sbarrati, la Docg potrebbe puntare a produrre nel 2017 un milione di bottiglie prodotte, mantenendo una qualità molto elevata”. Basti pensare che la Ferraris, il prossimo anno, volerà da 80 a 130 mila bottiglie. Con un incremento, entro il prossimo febbraio, da 16 a 26 ettari vitati a Ruchè (passando da 33 a 43 ettari complessivi), sui 136 ettari totali della denominazione.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Pinot Nero Metodo Classico Pas Dosé Roccapietra Zero Cantina Scuropasso 768x1024 1
Ci sono bottiglie di cui t’innamori al primo sorso. E ce sono altre di cui, poi, non faresti più a meno. Questa è la storia di un vino da avere sempre in cantina. Magari a partire dalle prossime feste di Natale. E’ la storia del Pinot Nero Metodo Classico Pas Dosé Roccapietra Zero, di Cantina Scuropasso (Scorzoletta di Pietra dè Giorgi, Pavia). Quarantotto mesi sui lieviti per questo spumante dell’Oltrepò Pavese, privo di dosaggio zuccherino. Una di quelle etichette che, calice tra sorso e olfatto, ti portano con la mente altrove. Magari ai banchi di una degustazione alla cieca, dove – ne siamo certi – si mimetizzerebbe al cospetto di una batteria di Champagne. Già, lo Champagne. Quel prodotto che ci fanno pagare caro, tanto in enoteca quanto al supermercato. Ma che, in realtà, in Francia, si porta a casa con poche decine di euro.
Piccole produzioni di piccoli vigneron, capaci di assicurare (ma solo al consumatore più attento e, soprattutto, curioso) “poca spesa e tanta resa”. Non a caso l’Oltrepò e l’area dello Champagne si trovano tra il 40° e il 50° parallelo, l’area più prolifica al mondo per la viticoltura, in termini di qualità. E allora è impossibile non accostare seriamente questo Metodo Classico di Pinot Nero oltrepadano alle produzioni francesi. Anche perché – udite, udite – questa bottiglia si mette in frigorifero (quello di casa propria) per soli 10-12 euro. Come lo Champagne dei vigneron.
Di francese, il produttore Fabio Marazzi – un omone tanto grande quanto buono – ha l’eleganza e l’educazione, che poi trasferisce al proprio vino. Un vino, lo immaginiamo, coccolato grappolo per grappolo, in vigna, prima e durante la vendemmia. E pupitre dopo pupitre, in cantina. Coccole e parole: Marazzi deve proprio essere uno di quei viticoltori che parlano alle bottiglie. Amore e umiltà. Due vitamine che sembrano trasferite in purezza nel Pinot Nero Metodo Classico Pas Dosé Roccapietra Zero di Cantina Scuropasso.
Il colore, nel calice, è quello della paglia d’un fienile, su cui una nobile lussuriosa deve aver smarrito polvere d’oro, distratta dal mugnaio. Il perlage è meravigliosamente fine e persistente. Le catenelle riluccicano come gli ornamenti natalizi delle città del Nord Europa: ordinate, precise. In un contorno di limpidezza brillante.
Al naso la schiettezza del Pinot Nero, spiccata, penetrante. Capace di assumere tinte balsamiche, con l’aiuto dell’ossigeno. Al palato una freschezza invidiabile (sboccatura 6/14), lunga, che accompagna un finale al contempo minerale e (nuovamente) velatamente balsamico. Il compagno perfetto, a tavola: quello che riesce ad essere formale, se gli viene richiesta la compostezza, la struttura e la complessità degna di portate sublimi. Ma allo stesso tempo – poliedrico Metodo Classico come pochi – la capacità di scendere in gola facile, semplice, tutto sommato beverino (merito della straordinaria freschezza). La bollicina di Natale. La bollicina dell’Oltrepò della qualità.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Trecentoquarantamila bottiglie. Si assesta su queste cifre la produzione di vino novello da parte di Cavit, Cantina Viticoltori del Trentino. Cifre in decremento. Così come in picchiata risultano, su scala nazionale, le vendite di vino novello. Una crisi senza fine, quella del corrispettivo italiano del Beaujolais nouveau francese. Il primo nettare della vendemmia, ottenuto (almeno parzialmente) mediante macerazione carbonica, ha perso il fascino di 10 anni fa. In Italia se ne producevano 10 milioni di bottiglie. Oggi 2 milioni. Il minimo storico, come sottolinea la stessa Coldiretti.
“Indubbiamente – spiega Susi Pozzi, direttore Marketing Italia di Cavit S.C. – il mercato del Novello negli anni ha subito un ridimensionamento, sia dal punto di vista delle bottiglie totali sia del numero di produttori. E’ un prodotto che ha raggiunto la fase di maturazione e declino. Le motivazioni sono diverse: un calo generalizzato del consumo di vino, la perdita ‘dell’effetto attesa’, dopo la modifica della data del cosiddetto ‘deblocage‘ del 6 novembre, una costante rincorsa all’anticipo del Natale che ha eroso ‘spazio/tempo’ alla vendita di questo prodotto, in particolare nel canale Gdo”.
Eppure, per Cavit, la produzione di vino novello rappresenta un segmento importante. “Il nostro novello Fiori d’Inverno è leader nel canale Gdo – precisa ancora Pozzi – mentre Terrazze della Luna è dedicato al canale Horeca. Il novello, per Cavit, rappresenta ancora un prodotto importante, che sosteniamo con eventi ad hoc per comunicare al consumatore e agli opinion leader la peculiarità dell’uva Teroldego, particolarmente adatta alla tecnica della macerazione carbonica, oltre alle caratteristiche distintive dei nostri Novelli”.
IL NOVELLO DI CAVIT L’Igt Vigneti delle Dolomiti “Fiori d’Inverno”, destinato ai supermercati, è un vino di pronta beva, preparato e proposto al consumatore già un mese dopo la fine della vendemmia. La zona di produzione è il Campo Rotaliano, nei comuni di Mezzolombardo, San Michele all’Adige e tra le colline coltivate a vite di Roverè della Luna. In particolare, “Fiori d’Inverno” nasce dalle uve di due vigneti autoctoni trentini: Teroldego e Schiava Gentile, che contribuiscono al blend rispettivamente al 70 e al 30%.
La tecnica usata per la vinificazione del Teroldego è la macerazione carbonica: le uve, perfettamente sane e mature, vengono fatte sostare intere e non pigiate in tini di acciaio inox in ambiente saturo di anidride carbonica. Durante questo periodo avviene la fermentazione intracellulare con estrazione delle sostanze aromatiche più delicate presenti nella buccia. Dopo qualche giorno l’uva viene pressata e il mosto fatto fermentare a temperatura controllata. Unito alla Schiava gentile (che dunque non subisce macerazione carbonica) viene poi sottoposto a un breve affinamento in tini di acciaio inox, prima dell’imbottigliamento e della commercializzazione. Dati analitici: alcool 11,50% vol., acidità totale 4,8 g/l, estratto secco netto 26 g/l, zuccheri residui 7 g/l.
Caratteristiche organolettiche: colore rosso rubino, vivo e brillante. Profumo netto, marcatamente fruttato con sentore di lampone e fragola tipico dei vini ottenuti in macerazione carbonica. Sapore secco, piacevolmente equilibrato, di corpo leggero, ma elegante e vivace. Temperatura di servizio: 12-14° gradi.
Il Novello di Teroldego Igt Vigneti delle Dolomiti “Terrazze della Luna” è vinificato e proposto al consumatore appena dopo un mese dalla vendemmia. “A torto – spiega Susi Pozzi – per la sua giovinezza, è considerato di ‘relativa’ qualità: è invece il frutto di un’attenta selezione delle uve, di una raffinata tecnica enologica e di un efficiente servizio al consumatore più curioso”. La zona di produzione è sempre quella del Campo Rotaliano in Trentino, ossia l’area vitata delimitata dalle Borgate di Mezzolombardo, Mezzocorona e San Michele all’Adige, collocata lungo i fiumi Adige e Noce. “L’esperienza – evidenzia Pozzi – ha dimostrato che il vitigno più adatto all’elaborazione del vino Novello è l’autoctono Teroldego, opportunamente selezionato e vinificato in purezza. La particolare resistenza ‘meccanica’ della buccia consente di mantenere integri gli acini durante la prima fase di vinificazione in macerazione carbonica delle uve intere. Particolare questo molto importante per i processi enzimatici che avvengono in questa prima fase all’interno dell’acino e che conferiscono al vino quel particolare sentore fruttato e fresco, tipico del novello”.
Il metodo di elaborazione è quello della macerazione carbonica. I grappoli maturi e perfettamente sani vengono posti interi, e non pigiati, in piccoli tini di acciaio inox. La macerazione in ambiente chiuso, in totale assenza di ossigeno, favorisce l’estrazione delle sostanze aromatiche e coloranti dalle bucce. Dopo alcuni giorni si passa alla pigiatura delle uve, avviando il mosto alla fermentazione a temperatura controllata. Un breve affinamento in recipiente d’acciaio inox precede imbottigliamento e commercializzazione.
Caratteristiche organolettiche: colore rosso rubino, vivace e brillante; profumo netto con marcato sentore fruttato che ricorda i frutti di bosco e in particolare il lampone. Sapore fresco, armonico, delicato e piacevole. Dati analitici: alcool 12,00% vol, acidità totale 5 g/l, estratto netto 26 g/l, zuccheri residui 6 g/l. Temperatura di servizio: 12-14° gradi.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Brunello di Montalcino Docg Riserva 2006 Villa Poggio dei Salvi
(5 / 5) E’ uno dei prodotti top di gamma di Villa Poggio Salvi, secondo solo al Brunello di Montalcino Docg Cru “Pomona”. E, in effetti, il Brunello di Montalcino Docg Riserva 2006 va annoverato tra i migliori vini rossi toscani da invecchiamento presenti nel panorama nazionale della grande distribuzione italiana.
Lo distribuisce, sui propri scaffali, la catena milanese di grandi magazzini e supermercati Il Gigante. Certo, a giocare a favore dell’esito di questa degustazione di vinialsuper c’è la straordinaria annata di questo vino.
Un 2006 che resterà tra le vendemmie da ricordare per il Sangiovese atto alla produzione del Brunello di Montalcino. Per favorire l’apertura degli aromi utilizziamo un decanter. dove il nettare riposa per quasi un’ora.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Riserva 2006 di Villa Poggio dei Salvi si presenta di un rosso rubino ancora intenso, con riflessi granati: il primo “sintomo” di un vino ancora vivo, con ampi margini di miglioramento in bottiglia negli anni, anzi nei decenni.
Al naso si svela pieno, ampio, complesso: note di frutta a bacca rossa, a metà tra la confettura e lo spirito, dominano la scena. Non manca uno spunto floreale di viola. Ma sono ben percettibili, come dalla attese, i richiami terziari (ovvero il bouquet conferito dal periodo di affinamento in legno) a caffé tostato, liquirizia e cacao dolce.
Profumi che evolveranno ulteriormente, col passare dei minuti, per effetto dell’ossigenazione nel calice. Al palato, grande freschezza unita a una sapidità invidiabile: due elementi che, uniti assieme, si mostrano in perfetto equilibrio con le note fruttate di sottobosco. Completa il quadro un tannino elegante, tutt’altro che pungente.
Grande persistenza per il Brunello di Montalcino Docg Riserva 2006 di Villa Poggio dei Salvi, tutta giocata sulle note fruttate, sull’acidità e sulla sapidità. Un quadro davvero perfetto, che può essere reso paradisiaco dal corretto abbinamento in cucina.
Un vino importante, questa riserva toscana, da accostare dunque a piatti dello stesso “peso”: dai primi a base di ragù di selvaggina (cinghiale, per esempio), ai secondi di carne grigliata o a base di cacciagione e selvaggina. Senza dimenticare i formaggi stagionati e il tartufo.
LA VINIFICAZIONE
“Vini tradizionali prodotti con sistemi moderni”: questa la filosofia di Villa Poggio Salvi, azienda agricola che nell’omonima località del Comune di Montalcino, in provincia di Siena, conta 21 ettari di vigneti, tutti impiantati con cloni di Sangiovese Grosso. L’età dei vigneti atti alla produzione del Brunello di Montalcino Riserva varia dai 15 ai 20 anni, situati tra i 300 e i 520 metri sul livello del mare.
L’esposizione è a Sud-Ovest e il terreno è ricco di galestro a larga tessitura. La forma di allevamento è quella del cordone speronato, con una densità di impianto di 5 mila piante per ettaro. La vendemmia avviene sul finire del mese di settembre, a mano, in piccole cassette.
La vinificazione in acciaio, in vasche a temperatura controllata tra i 28 e i 30 gradi, per un periodo che varia fra i 12 e i 14 giorni. Le follature del cappello sono automatizzate, con sistema a pistoni. Fondamentale, poi, la fase di maturazione in legno per il Brunello, come da disciplinare della Denominazione di origine controllata e garantita.
Quaranta mesi in botti di rovere di Slavonia da 50 a 100 ettolitri. Il vino affina poi in bottiglia per un minimo di 6 mesi, prima dell’immissione in commercio. La vendemmia 2006 ha dato vita a circa 7 mila bottiglia di Brunello Riserva.
Villa Poggio Salvi deve il suo nome alla felice posizione sul versante Sud di Montalcino che guarda il mare Tirreno. L’aria pulita, i profumi che arrivano dai folti boschi di lecci che circondano l’Azienda e dalla macchia mediterranea, hanno attirato qui, fin dall’antichità le genti che provenivano dalla Maremma.
Poggio Salvi, appunto, il “Poggio della Salute” in quanto considerato da sempre zona salubre e pura, dove già nei secoli scorsi la gente trovava rifugio per allontanarsi dalle zone più insalubri infestate da malattie. Villa Poggio Salvi per struttura e modernità è un’azienda che guarda al futuro condotta con passione e competenza da Pierluigi Tagliabue e dal nipote Enologo Luca Belingardi.
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bottiglia vino parlante scherzo supermercato diego abatantuono
Lo sapevate che il vetro ha vite infinite? Alcuni ignari clienti di un supermercato di Roma, forse, lo hanno scoperto solo di recente. Grazie a Diego Abatantuono. Tranquilli. Non stiamo spoilerando l’ultimo film dell’ormai ex capo dei “barbari di Segrate”, al cinema proprio in questi giorni. Si tratta piuttosto di una sorta di “pubblicità progresso”, che vede protagonista proprio l’ugola di Abatantuono.
L’iniziativa è di Friends of Glass, community nata da una campagna di sensibilizzazione sul vetro creata da Feve (European Container Glass Federation), associazione no-profit internazionale che rappresenta l’industria dei contenitori in vetro per alimenti e bevande, flaconi per profumeria, farmacia e cosmetica e produttori di articoli per la tavola. I sostenitori di Friends of Glass, provenienti da diversi Paesi europei e non solo, sono convinti che “il vetro è il materiale per l’imballaggio ideale per i suoi vantaggi unici a livello ambientale, economico e per le famiglie: l’unico al 100% inerte e al 100% riciclabile”.
L’INIZIATIVA
Per sensibilizzare il grande pubblico su questi temi, Friends of Glass ha deciso di installare delle telecamere nascoste all’interno di alcuni supermercati di tutta Europa, tra cui uno proprio a Roma. La community è riuscita così a filmare la reazione dei clienti, sorpresi da una bottiglia di vino parlante, doppiata (rigorosamente dal vivo) da personaggi noti. Sally Phillip nel Regno Unito, Christophe Beaugrand in Francia. E Diego Abatantuono in Italia. Una “serie” girata – sin ora – anche in Germania, Polonia e Spagna. Ecco cosa è successo a Roma.
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(4 / 5) Tra i colossi del vino di Valtellina, la casa vinicola Pietro Nera di Chiuro. Sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it finisce oggi l’Inferno Valtellina Superiore Docg, vendemmia 2011.
LA DEGUSTAZIONE
All’esame visivo, il vino si presenta di un rosso rubino trasparente. L’annata e la tipologia di vino suggeriscono di per sé un’apertura della bottiglia con il giusto anticipo. Il nettare si presenta di fatto piuttosto timido all’olfatto.
Rivela comunque le caratteristiche note di frutti a bacca rossa (lampone) e fiori (viola), su sfondo lievemente speziato, con una punta di resine alpine. Al palato, l’Inferno Nera è asciutto, moderatamente caldo e astringente, più per acidità che per tannino. Un Nebbiolo che sembra aver ormai raggiunto l’apice della maturazione, prima dell’inevitabile “scollinamento”.
Questo Valtellina Superiore Docg conserva tuttavia una buona persistenza, su note di frutta a bacca rossa che si vestono, prima di scomparire, di un’inaspettata sapidità. L’Inferno Nera può essere abbinato a primi con rigogliosi ragù, secondi di carne come arrosti, cacciagione e grigliate, e formaggi di media stagionatura, meglio se Valtellinesi.
LA VINIFICAZIONE
“I vini che fanno parte della linea di produzione ‘classica’ sono destinati a soddisfare il pubblico che ricerca la qualità con particolare attenzione al prezzo”, precisa il produttore sul proprio sito web. Una premessa che fa intuire il posizionamento qualitativo della gamma presente (con etichette diverse) in varie catene della Gdo, rispetto al valore assoluto che è in grado di esprimere l’area vitivinicola valtellinese.
In particolare, l’Inferno Valtellina Superiore Docg Nera è ottenuto da uve del vitigno Nebbiolo, localmente denominate Chiavennasca, con una piccola aggiunta delle autoctone Pignola e Rossola. La resa per ettaro, per quanto riguarda il Nebbiolo, è di 70 quintali.
I vigneti, ricadenti sul versante retico da est a ovest con esposizione a sud, sono situati all’interno della zona di produzione del Valtellina Superiore Inferno, a un’altitudine compresa tra i 300 e i 450 metri sul livello del mare, nei comuni di Montagna in Valtellina, Poggiridenti e Tresivio (Sondrio).
Il terreno in cui affondano le radici le piante è di tipo franco-sabbioso, permeabile all’acqua, moderatamente profondo. La vinificazione prevede una fermentazione a cappello sommerso, con macerazione sulle bucce per circa 10 giorni, a temperatura controllata.
Il disciplinare di produzione del Valtellina Superiore Dogc prevede la maturazione del vino per almeno di 24 mesi di cui 12 in botti di rovere, prima di essere messo in commercio. Di fatto, l’Inferno Nera matura 12 mesi in botti di rovere, per poi essere travasato in serbatoi di acciaio inox e vasche di calcestruzzo, prima dell’imbottigliamento.
Prezzo: 7,89 euro
Acquistato presso: Carrefour / Esselunga
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(5 / 5) La vendemmia 2015 si rivela splendida per uno dei vini simbolo delle Marche in vendita nei supermercati italiani. Il Verdicchio dei Castelli di Jesi “Titulus” Fazi Battaglia, già meritevole di lodi nelle annate precedenti, guadagna quel mezzo grado in più di titolo alcolimetrico che conferisce a questo vino bianco una straordinaria morbidezza al palato. Merito della calda estate 2015 e delle conseguenti escursioni termiche, tutte da assaporare nel calice. Non si lascino impressionare, insomma, quei consumatori di vini che, al supermercato, non osano superare la soglia fatidica dei 12,5%. I 13% della vendemmia 2015 del Verdicchio Fazi Battaglia sono ben compensati, al palato, da una sapidità rigogliosa, regalo – questa volta – del terroir marchigiano. Un vino, insomma, che conserva una facilità di beva invidiabile. Ma tutt’altro che banale.
Nel calice, il Verdicchio dei Castelli di Jesi Fazi Battaglia si mostra d’un giallo paglierino deciso, limpido e trasparente. La morbidezza al palato si presagisce già dagli “archetti” che il nettare crea, facendolo ruotare nel calice. Al naso, l’impronta minerale è decisa: altro indicatore di quella che sarà la sapidità, al palato. Completano l’elegante buquet sentori floreali freschi e note d’agrumi. Sullo sfondo, a conferire ulteriore freschezza, anche percezioni vegetali di macchia mediterranea.
Al palato, ecco svelata la corrispondenza gusto-olfattiva. E’ un vino che si raccolta, di fatto, già al naso questo Verdicchio dei Castelli di Jesi “Titulus”. Che in bocca, però, sfodera la già citata morbidezza: vero e proprio velluto che accarezza le papille gustative, mentre si rincorrono percezioni minerali e agrumate. Solo in chiusura la sapidità riesce ad avere la meglio sulla glicerina, mentre avanza deciso il gusto di mandorla amara: timbro definitivo sull’eleganza di questo vino bianco.
LA VINIFICAZIONE
Colpisce, in definitiva, Fazi Battaglia, per la continuità qualitativa che riesce a conferire al Verdicchio dei Castelli di Jesi “Titulus”, di anno in anno. Superando se stessa, con la vendemmia 2015. Prodotto nella zona Classica del Verdicchio dei Castelli di Jesi, Titulus nasce solo ed esclusivamente da uve Verdicchio selezionate e raccolte a mano nei vigneti della Fazi Battaglia. Come spiega la stessa casa vinicola, si tratta di circa 250 ettari adagiati nel cuore delle colline marchigiane, ad altitudini ed esposizioni diverse e complementari. Le uve vengono raccolte a mano nei dodici appezzamenti, in momenti differenti. Per ognuno viene accertata la data ottimale di vendemmia, che per questo può durare anche dai 20 ai 25 giorni.
Ad occuparsi della raccolta è una squadra di circa 200 persone. Dopo una spremitura soffice, il mosto ricavato viene fermentato in serbatoi di acciaio inox per 15-18 giorni. Prima dell’affinamento in bottiglia, dove rimane per circa 30 giorni, il Verdicchio dei Castelli di Jesi “Titulus” riposa in vasche di acciaio per diversi mesi, necessari al raggiungimento della giusta maturazione dei profumi e della complessità al palato. Sono circa 2 milioni le bottiglie, tutte dalla classica forma ad anfora, ottenute ogni anno dalla società agricola di Castelplanio.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Non capita spesso di prendere parte a una degustazione verticale di vini del grande produttore piemontese Angelo Gaja. L’occasione l’altra sera, in provincia di Milano, grazie alla delegazione sommelier Fisar di Bareggio. Sul “tavolo”, nettari di tutto rispetto: tutti Barbaresco delle annate 1995, 2000, 2006, 2011 e 2012. Ecco qualche appunto. E qualche considerazione.
Barbaresco Gaja 1995
Di una freschezza e acidità memorabile. Colore granato bellissimo, quasi luminoso. Al naso solo violetta e qualche richiamo di frutta, matura ma non troppo. Non presentava neanche un terziario (a differenza del 2006, già più evoluto in tutto). In bocca giocava tutto sull’acidità in ingresso, con un accenno ancora di tannini. Unica pecca: un po’ corto, sia al naso che in bocca.
Barbaresco Gaja 2000
Il 2000 invece… Di colore perfetto. Naso che spaziava dai sentori floreali a un po’ di frutto. E poi menta, liquirizia. Il migliore della serata.
Barbaresco Gaja 2006
Colore carico. Il più concentrato. Naso tutto humus, fungo, dado. Balsamico. Frutta cotta, prugna secca. In bocca decadente e scomposto. Il peggiore. Annata top in Langa, ma bottiglia sfigata?
Barbaresco Gaja 2011 e 2012
Il 2012 e il 2011, partono bene. Colore un po’ scarico. Ma con bella frutta giovane e, nel complesso, un naso invitante la beva. Peccato durino poco queste emozioni. Dopo mezzora regge solo il 2011, per un’acidità tonica e ben bilanciata. Tannino duro, oggi. Il 2012 già pronto: giusto chiedersi se valga la pena spendere tanto per averlo. Considerazioni collaterali: proprio vero che in Langa non si lavora più come una volta. 1995 e 2000, due Nebbioli veri, rustici, ma con eleganza e complessità. Il 2006 sembra abbia fatto a pugni con una barrique. Annate 2011 e 2012 prodotte – così almeno pare – per essere già bevibili, hic et nunc. Qui e ora. Troppo poco veri però.
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Cifre da capogiro per Morbegno in Cantina, nella giornata di sabato 8 ottobre. Sono 5631 i pass staccati ieri, validi per l’accesso alle vecchie cantine della città, fatte rivivere a suon di vino e prodotti gastronomici tipici della Valtellina. Impeccabile l’organizzazione, che è riuscita a tamponare i possibili disagi dovuti alle lunghe code alle porte delle cantine. La manifestazione prosegue quest’oggi e si chiuderà il prossimo weekend: sabato 15 e domenica 16 ottobre, in concomitanza con la Festa del Bitto, uno dei prodotti caseari lombardi più pregiati (il Bitto Storico è un presidio Slow Food). L’edizione 2016 prevede, proprio nel fine settimana conclusivo, un nuovo percorso speciale volto a valorizzare l’enogastronimia locale. “Quest’anno – spiega Paolo Angelone (nella foto, a destra), presidente del Consorzio Turistico di Morbegno – abbiamo cercato di dare all’evento una connotazione ancora più valtellinese. Oltre ai vini, ai banchetti allestiti all’interno delle 31 cantine visitabili è possibile trovare esclusivamente prodotti della nostra Valtellina: dai salumi ai formaggi, senza dimenticare dolci come la Bisciola. Un modo per valorizzare non solo dal punto di vista enologico ma anche gastronomico il nostro splendido territorio”. “Morbegno – aggiunge Alberto Zecca (nella foto, a sinistra), vicepresidente del Consorzio Turistico – gode di una posizione strategica non solo nel contesto della Valtellina, ma anche in quello lombardo. Ogni anno accogliamo una media di 20 mila persone, che giungono anche da altre regioni d’Italia, come per esempio il Piemonte e la Toscana, ma anche da altri Paesi, come la Svizzera, per godere delle nostre tipicità. E il feedback che ci viene offerto è sempre positivo”.
Anche Mamete Prevostini, presidente del Consorzio Vini di Valtellina e di Ascovilo, è soddisfatto dal primo bilancio dell’evento: “C’è continuità rispetto agli altri anni – commenta – e i dati sono molto incoraggianti. Per noi, la vera novità è stata l’introduzione dei wine lab in occasione della domenica d’apertura di Morbegno in Cantina. Un’iniziativa che ha dato lustro e risalto alla manifestazione e che ripeteremo certamente il prossimo anno, in collaborazione con i produttori”. Prevostini anticipa anche qualche cifra sulla prossima vendemmia: “La Valtellina produce in media 3,5 milioni di bottiglie all’anno. Un dato che subirà una lieve flessione con la vendemmia 2016, appena iniziata per le uve dello Sforzato. Nonostante le piogge di inizio stagione, che hanno favorito la peronospora, le uve risultano ad oggi in buono stato”.
I MIGLIORI VINI DEGUSTATI Davvero ampia l’offerta enologica nelle 31 cantine fatte rivere da Morbegno in Cantina. La scopriamo con la complicità di un ‘Cicerone’ d’eccezione, il sommelier Ais Massimo Origgi, brianzolo, oggi valtellinese d’azione che collabora da tempo con il Consorzio Turistico. Al terzo weekend di degustazione la parte del leone spetta ai medio-grandi produttori, capaci di fornire agli organizzatori un quantitativo più elevato di vino. Di fatto, ieri non v’era traccia dei nuovi ‘monumenti’ della viticoltura valtellinese. Aziende come Dirupi e Rivetti & Lauro, per citarne due su tutte, che per via della limitata produzione sono riuscite a fare bella mostra di sé solo in occasione del fine settimana di apertura dell’evento. L’altra faccia della medaglia è che i mostri sacri di Valtellina – i vari Arpepe, Mamete Prevostini, Nino Negri e Rainoldi – hanno saputo confermare la grandezza della loro stella, degna di un palcoscenico nazionale ed internazionale. Un palco su cui può salire di diritto, nelle sue varie coniugazioni, la Chiavennasca, nome col quale viene chiamata localmente l’uva Nebbiolo (a proposito: secondo alcuni recenti studi, il vitigno sarebbe originario proprio della Valtellina e non del Piemonte).
A vini da non perdere come lo Sforzato di Valtellina Albareda di Mamete Prevostini (in degustazione una vendemmia 2012 succosa, più pronta ad oggi di un vino di luminosa prospettiva come il 5 Stelle Sfursat di Nino Negri 2011, ancora un ‘infante’ nel calice) si affiancano gli ottimi Inferno Carlo Negri Valtellina Superiore Docg 2012 (degustabile sul percorso rosso, ‘fermata’ Gerosa: rivela anch’esso un futuro strabiliante per acidità e tannino) e il Grumello 2011 Arpepe (40 giorni sulle bucce e utilizzo di botti di castagno, come vuole la tradizione, ormai sulla via della definitiva riscoperta). Per completezza e qualità della gamma espressa a Morbegno in Cantina, un riconoscimento speciale va alla Aldo Rainoldi, capaci di spaziare dall’ottimo Inferno in vendita nei supermercati a prodotti di straordinaria freschezza e piacevolezza come il Prugnolo 2012, 13%, criomacerazione e utilizzo di barrique precedentemente utilizzate per lo Sforzato: un “vino quotidiano” d’eccezione il cui prezzo si aggira sui 10 euro.
Senza dimenticare, sempre di Rainoldi, le punte espresse dalle due Riserve di Sassella e Grumello Docg 2010 (interessante da valutare nell’evoluzione in bottiglia il primo, mentre il secondo, ottenuto da un unico vigneto posto a 600 metri sul livello del mare, oltre allo sprint futuro, regala un presente già delizioso), nonché dal Brut Rosè Metodo Classico, ottenuto da uve Nebbiolo vinificate in rosato assieme a una piccola percentuale di uve Pignola e Rossola: letteralmente l’unica bollicina che merita una menzione tra quelle presenti ai banchi d’assaggio. Ottima anche la vendemmia tardiva Crespino, sempre a firma Rainoldi. Da concedersi al termine della degustazione il sorprendente passito Vertemate di Mamete Prevostini, nome che ricorda la splendida villa di Piuro (frazione del Comune di Prosto, nei pressi di Chiavenna, SO) nei cui giardini sorgono le vigne di Riesling e Gewurztraminer da cui prende vita questo vino speciale (residuo zuccherino elevato, pari a 80-90 g/l).
Tra i ‘volti’ meno noti al pubblico non residente in Valtellina, da non perdere il Valtellina Superiore Valgella Docg 2009 di Cantina Motalli (Teglio, SO): vino di grande complessità, ottenuto in purezza da uve Chiavennasca del singolo cru ‘Le Urscele’. Anche il Valtellina Superiore Docg Grumello 2011 Red Edition di Plozza Vini Tirano, con il suo doppio passaggio in legno (prima rovere, poi castagno) svela ottime potenzialità di evoluzione, con un tannino e un’acidità stuzzicanti, in prospettiva. E’ invece di Triacca (Tenuta La Gatta di Bianzone, SO) il Valtellina Superiore Docg 2011 “Prestigio”, 14%, 100% Chiavennasca che affina 12 mesi in barrique di rovere francese nuove: un altro ottimo aspirante al trono della longevità.
De La Perla di Marco Triacca, invece, è il Valtellina Superiore Docg 2011 “La Mossa”: ottenuto dal vigneto situato in Valgella, affina due anni in botti grandi di rovere e un anno in bottiglia, prima della commercializzazione. Degno di nota anche il Valtellina Superiore Docg Riserva 2009 “Giupa” di Caven, azienda agricola del gruppo Nera Vini. Prodotto in edizione limitata dalla vendemmia tardiva di uve Nebbiolo, affina per circa 6 mesi in piccole botti di rovere, per poi maturare per ulteriori 18 mesi in botte grande, sempre di rovere. Da provare, infine, “Le Filine”, il Valtellina Superiore Docg 2011 di Vini Dei Giop, realtà di Villa di Tirano che opera in regime biologico, pur non certificato. Ennesimo vino di prospettiva, ottenuto da piccoli appezzamenti di vigna, “Le Filine” appunto, strappati letteralmente alle rocce, che fanno da contorno.
NON SOLO VINO Due, in assoluto, gli incontri da non mancare con la gastronomia Valtellinese a Morbegno in Cantina. Il pilastro locale, vera e propria istituzione in città, è il negozio di alimentari Fratelli Ciapponi di Piazza III Novembre 23. Una di quelle botteghe d’altri tempi, in cui trovare delizie enogastronomiche non solo locali. Del posto sono certamente le forme di formaggio Bitto in bella mostra nelle ‘segrete’ del negozio, aperte al pubblico. Tra queste, si potrà scorgere anche qualche forma di Bitto Storico di 15 anni. Fornitissima anche l’enoteca, che oltre a offrire una panorama pressoché completo della viticultura Valtellinese, non dimentica di annoverare le più prestigiose case vinicole italiane, passando addirittura per alcune tra le più note maison di Champagne francese. I più fortunati riusciranno anche a conoscere il signor Ciapponi, anima e cuore della storica attività, pronto a regalare sorrisi e battute geniali.
Per i più giovani, invece, l’appuntamento è con il modernissimo food truck Marco Gerosa e Massimo Rapella “L’idea è quella di proporre ai nostri tempi i sapori che avevano in bocca i nostri nonni – spiega Marco Gerosa -. Pertanto è nata l’idea del cibo ‘bio-grafico’, che riprende ricette storiche tradizionali, mediante utilizzo di materia prima esclusivamente locale. Un esempio su tutti è quello delle farine: è più facile trovarne di estere, anche nel nostro territorio. I nostri prodotti sono invece ottenuti da farina di grano saraceno e segale nata, cresciuta e macinata in Valtelina, in particolare nei comuni di Ponte e Morbegno. I nostri nonni di certo non compravano saraceno in Cina! Il valore aggiunto è la valorizzazione della territorialità e della tipicità dei prodotti ottenuti dall’arco alpino, unici al mondo. E anche i nostri salumi vengono trattati come li trattavano i nostri nonni”. Un evento al mese per Il Carretto Valtellina Street Food, che a Morbegno propone, oltre agli sciatt, un panino di segale della Valtellina spalmato con burro aromatizzato al timo selvatico, ripieno di slinzega di codone.
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Cifre a tre zeri per il secondo weekend di Morbegno in cantina, la più importante rassegna enogastronomica della Valtellina. Circa 4 mila i pass staccati per l’ingresso di sabato 1 e domenica 2 ottobre. Numeri in crescita a una settimana dall’inaugurazione della XXI edizione, che ha preso il via il 24 settembre nella splendida cornice di Palazzo Malacrida. Per chi non c’era, niente paura. Il centro storico di Morbegno vivrà di vino e gastronomia ancora per due weekend. La città della provincia di Sondrio aprirà al pubblico i consueti quattro itinerari tra le cantine storiche, il 7-8 e il 9 ottobre, per chiudersi poi sabato 15 e domenica 16 ottobre, in concomitanza con la Festa del Bitto. L’edizione 2016 prevede, proprio nel weekend conclusivo, un nuovo percorso speciale, realizzato in collaborazione con il Consorzio di Tutela Vini di Valtellina e con il Consorzio Tutela Valtellina Casera e Bitto.
LA NOVITA’
Si chiama appunto “Rosso Cheese&Wine”: in quattro cantine del percorso Rosso saranno allestite speciali installazioni e saranno disponibili degustazioni di produzioni speciali di Bitto e Casera con la presenza di un assaggiatore dell’Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggi (Onaf) che guiderà la degustazione. “Il Consorzio Turistico di Morbegno ha lavorato in continuità rispetto all’anno scorso – dichiara il presidente Paolo Angelone – nel solco del miglioramento qualitativo della manifestazione, che in questa edizione è ben evidente nella preziosa collaborazione con i due consorzi di tutela rivolgiamo alle associazioni di volontariato e alle organizzazioni coinvolte nella gestione delle cantine, un sentito ringraziamento per la costante e fattiva collaborazione che anche quest’anno non hanno fatto mancare”. L’organizzazione e la promozione della manifestazione sono curate dal Consorzio Turistico di Morbegno.
I DETTAGLI
Nel centro storico di Morbegno gli itinerari sono quattro, tutti curati dalla qualificata presenza dell’Associazione Italiana Sommelier (Ais):
• Itinerario ORO: 8-9 ottobre
• Itinerario ROSSO: 7-8-9, 15-16 ottobre
• Itinerario GIALLO: 8-9, 15-16 ottobre
• Itinerario VERDE: 8-9 ottobre
Gli orari di apertura sono i seguenti: sabato dalle 14.30 alle 22.30 e domenica dalle 12 alle 19. Solo per il 7 ottobre stato reintrodotto il “venerdì dei morbegnesi” che dalle 18 alle 23 potranno godersi il giro delle cantine con maggiore tranquillità rispetto agli altri fine settimana. I prezzi dei pass sono invariati rispetto al 2015: da un minimo di 20 a un massimo di 40 euro, in base al percorso prescelto.
LE CANTINE
Saranno presenti le case Alberto Marsetti, Aldo Rainoldi, Alfio Mozzi, AR.PE.PE, Barbacàn, Boffalora, Cantina Castel Grumello, Cooperativa Triasso e Sassella, Dirupi, Fratelli Bettini, Fay, Folini, Giorgio Gianatti, La Perla, Luca Faccinelli, Mamete Prevostini, Nino Negri, Plozza, Rivetti & Lauro, Rupi del Nebbiolo, Tenuta Scerscè, Terrazzi Alti, Triacca.
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