Fase 2 anche per l’enoturismo e per le degustazioni in cantina, ai tempi di Covid-19. La Confederazione Nazionale Consorzi Volontari Tutela Denominazioni Vini Italiani (Federdoc) ha infatti diramato le regole a cui dovranno attenersi le aziende e i clienti, per condurre i wine tasting in totale sicurezza. Un prontuario che sarà esposto all’interno e all’esterno delle cantine, corredato da materiale informativo anti-pandemia.
Dispenser per detergere le mani e/o guanti monouso dovranno essere posizionati all’entrata. I percorsi da seguire per l’accesso e la permanenza dovranno essere indicati con apposita segnaletica. Naturalmente si entra solo con la mascherina.
Onere della cantina la formazione del personale addetto alla vendita o alla degustazione che dovrà essere informato delle misure obbligatorie ed eventualmente di quelle facoltative implementate dalle singole aziende. Sarà possibile anche nominare un responsabile per la prevenzione.
Bisognerà predisporre la misurazione della temperatura di dipendenti ed ospiti che non dovrà superare i 37,5°C. In alternativa potrà essere prevista un’autocertificazione da far compilare e sottoscrivere che attesti lo stato di buona salute. Le certificazioni andranno conservate a cura dell’azienda per 30 giorni.
Per evitare assembramenti o attese negli spazi comuni, sempre secondo le regole sull’enoturismo e le degustazioni in cantina diffuse da Federdoc, sarà necessario regolare l’accesso anche tramite prenotazioni preventive. Meglio organizzare le degustazioni in locali opportunamente ventilati o all’aperto.
Calici alla mano, che andranno consegnati personalmente ad ogni cliente e ritirati, al termine, per procedere alla sterilizzazione. Vige comunque l’obbligo del distanziamento di almeno un metro.
Meglio che sia predisposto un secchiello svuota vino (la cosiddetta “sputacchiera“) a testa. Se non fosse possibile andrà spiegato ai winelovers di evitare il contatto con il bicchiere. E per gli stuzzichini? Dovranno essere serviti in confezioni monoporzione, consegnati al singolo cliente, purché servito direttamente.
Regole ferree da Federdoc anche per l’igiene dei locali. Andrà redatto un programma di pulizia e disinfezione che definisca aree di intervento, modalità e frequenza (almeno due volte al giorno secondo le indicazione regionali). Più frequentemente andranno sanificate le superfici più toccate nelle aree di vendita e somministrazione (banchi, maniglie, frigoriferi) così come i servizi igienici.
Questi ultimi dovranno essere dotati di prodotti igienizzanti, asciugamani usa e getta e cestini in numero adeguato che dovranno essere svuotati senza entrare in contatto con il contenuto. Un consiglio a margine, non scritto nel prontuario? Guardiamoci negli occhi e sorridiamo sempre e comunque.
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Si definisce il vino “più bello del mondo” l’Orcia Doc, denominazione di origine controllata che rappresenta i produttori del territorio della Val d’Orcia, patrimonio Unesco dal 2004, proprio per la sua bellezza unica.
Queste terre saranno nuovamente protagoniste, dal 25 al 28 aprile ,dell’Orcia Wine Festival, giunto ormai alla sua decima edizione.
La manifestazione, destinata a winelovers, famiglie anche con bambini piccoli al seguito, amanti dei viaggi e del buon vivere avrà come leit motiv la “Francigena di Vino”, il pellegrinaggio per antonomasia di questi territori, meta da sempre di molti turisti ed enoturisti.
IL PROGRAMMA In programma il 25 aprile una conferenza a cura di Giampietro Comolli, fondatore dell’Osservatorio Vini Spumanti Effervescenti, in cui si parlerà di come è cambiato il mondo degli spumanti in crescita vertiginosa, anche in vista del cambiamento di disciplinare dell’Orcia Doc.
Il 26 Aprile sarà la volta del campione italiano dei sommelier Ais, Simone Loguercio che guiderà una degustazione sull’eleganza del Sangiovese nel territorio dell’Orcia Doc.
Ma l’Orcia Wine Festival è anche mostra mercato promossa dal Comune di San Quirico d’Orcia, in collaborazione con il Consorzio del Vino Orcia e Onav Siena. Quest’ultima curerà le degustazioni guidate nelle suggestive sale seicentesche di Palazzo Chigi Zondadari, con i vini di oltre 20 aziende del territorio ai banchi di assaggio.
Tra gli eventi collaterali cene tematiche nei ristoranti del territorio, trekking urbano sulla Francigena, cortometraggi, laboratori culinari per i più piccoli e l’esposizione di auto d’epoca lungo la Francigena.
Naturalmente saranno anche possibili visite in cantina in bici ed anche in treno a vapore in partenza da Siena verso San Quirico.
ORCIA DOC E VAL D’ORCIA Le uve che danno i vini della denominazione sono in gran parte coltivate in Val d’Orcia, zona che registra mediamente ogni anno 1,4 milioni di presenze turistiche, con un milione di escursionisti.
Non a caso il 65% delle aziende vitivinicole dell’Orcia Doc è impegnata nell’ospitalità con agriturismi o servizi di ristorazione.
I NUMERI DELLA DOC Nata nel febbraio del 2000, l’Orcia Doc raccoglie nella sua area di produzione dodici comuni a sud di Siena (Buonconvento, Castiglione d’Orcia, Pienza, Radicofani, San Quirico d’Orcia, Trequanda, parte dei territori di Abbadia San Salvatore, Chianciano Terme, Montalcino, San Casciano dei Bagni, Sarteano e Torrita di Siena).
Il disciplinare di produzione prevede la tipologia Orcia (uve rosse con almeno il 60% di Sangiovese), l’Orcia Sangiovese (con almeno il 90% di Sangiovese) entrambe anche con la menzione Riserva per prolungato invecchiamento (rispettivamente 24 e 30 mesi tra botte di legno e bottiglia). Fanno inoltre parte della Doc anche il bianco, il rosato e il Vin Santo.
Sono 153 gli ettari di vigneti dichiarati su un totale potenziale di 400 ettari. La produzione media annua si attesta intorno alle 240 mila bottiglie realizzate dalle circa 60 cantine nel territorio di cui oltre 40 socie del Consorzio di tutela che dal 2014 ha l’incarico di vigilanza e promozione Erga Omnes nei confronti di tutti i produttori della denominazione.
Il Consorzio di tutela si occupa di promuovere la denominazione attraverso varie azioni, tra cui anche eventi territoriali come l’Orcia Wine Festival.
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VERONA – Doveva essere un’annata speciale per l’Amarone, la 2015. Sarà soprattutto il mercato a dare ragione ai tecnici del Consorzio di Tutela Vini Valpolicella e del Crea di Conegliano, che parlano di una vendemmia speciale, quasi irripetibile. La “migliore degli ultimi 30 anni”.
Di certo si fatica a vedere tutta quest’eccellenza nei calici dell’Anteprima Amarone 2015, andata in scena ieri al Palazzo della Gran Guardia di Verona. Sessantanove etichette che il pubblico di winelovers e appassionati potrà gustare oggi, dalle 10 alle 19: sessantacinque le aziende della Valpolicella protagoniste, anche con annate più vecchie (porte aperte anche il 4 febbraio, ma solo per gli operatori del settore).
La verità è che molti campioni di botte promettono meglio dei vini già in bottiglia. Segno di un nuovo stile di produzione, che pare incentrato su una sorta di alleggerimento dei toni più “mascolini” dell’Amarone.
Il risultato (spesso) non è male. Ma a rimetterci è la tipicità della Denominazione, alla luce delle richieste del mercato. E’ un fenomeno tutto italiano. Di fatto, all’Anteprima di Verona 2019, si è assistito al medesimo “trend” in voga dall’altra parte del pianeta dei fine wines italiani: il Piemonte.
All’Anteprima “Barolo, Barbaresco e Roero” di Alba di inizio settimana (qui i migliori assaggi) è parso evidente l’assottigliarsi delle differenze tra Nebbiolo “base” e Nebbioli più affinati, atti a diventare Barolo o Barbaresco.
Così, in Valpolicella, sin troppi Amaroni paiono l’emblema (cosciente) di un’occasione persa: quella di una “annata perfetta”. Le scelte enologiche di molti produttori sembrano aver privilegiato la bevibilità rispetto alla struttura. E a sentire gli stessi vignaioli (tanti), questo era – appunto – l’obiettivo.
Ecco dunque le valutazioni effettuate ieri sui campioni in degustazione all’Anteprima Amarone 2015, suddivise tra vini “già imbottigliati” e “campioni di botte”. Un tasting avvenuto rigorosamente alla cieca, senza cioè conoscere il nome del produttore e dell’etichetta prima di valutarla. Enjoy.
AMARONE DELLA VAPOLICELLA DOCG GIA’ IMBOTTIGLIATO
Zanoni Pietro 2015 “Zovo”: 92/100
Roccolo Grassi 2015: 91/100 Boscaini Carlo 2015 “San Giorgio”: 90/100 — Giovanni Ederle 2015: 90/100
Monte del Frà Classico 2015 “Lena di Mezzo”: 86/100
Albino Armani Classico 2015 “Albino Armani”: 86/100
Tinazzi 2015 “Cà de’ Rocchi La Bastia”: 86/100
Cà dei Maghi Classico 2015 “Camparsi”: 83/100
Zeni 1870 Classico 2015 “Vigne Alte”: 83/100
San Cassiano 2015: 83/100
Domini Veneti Classico 2015 “Domini Veneti”: 83/100
Capurso 2015: 83/100
Pasqua Vigneti e Cantine 2015 “Famiglia Pasqua”: 82/100
Recchia Classico 2015 “Masùa di Jago”: 82/100
Fratelli Degani Classico 2015: 82/100
Aldegheri Classico 2015: 81/100
Ilatium 2015 Campo Leòn: 81/100
CAMPIONI DA BOTTE: VALUTAZIONI 02/02/2019
Valentina Cubi Classico 2015 “Morar” (campione di botte): 90/100 I Tamasotti 2015 (campione di botte): 90/100
Giacomo Montresor Classico 2015 “Capitel della Crosara” (campione di botte): 89/100
Zýmē Classico 2015 (campione di botte): 86/100
Massimago 2015 “Massimago” (campione di botte): 86/100
Cantina Valpantena 2015 “Torre del Falasco” (campione di botte): 86/100
Cà dei Frati 2015 “Pietro Dal Cero” (campione di botte): 85/100
Cà la Bionda Classico 2015 “Vigneti di Ravazzòl” (campione di botte): 85/100
Famiglia Cottini – Montezovo 2015 (campione di botte): 85/100
Monteci Classico 2015 (campione di botte): 84/100
Secondo Marco Classico 2015 (campione di botte): 84/100
Selùn di Marconi Luigi Classico Riserva 2015 (campione di botte): 84/100
Tenuta Chiccheri 2015 “Campo delle Strie” (campione di botte): 84/100
Santi Classico 2015 “Santico” (campione di botte): 84/100
Tenuta Santa Maria di Gaetano Bertani Classico 2015 (campione di botte): 84/100
Novaia Classico 2015 “Corte Vaona” (campione di botte): 84/100
Corteforte Classico 2015 “Corteforte” (campione di botte): 84/100
Fasoli Gino 2015 “Alteo” (campione di botte): 84/100
Fattori 2015 (campione di botte): 84/100
Flatio Classico 2015 (campione di botte): 84/100
Dal Cero in Valpolicella 2015 “Dal Cero” (campione di botte):: 83/100
Falezze Luca Anselmi 2015 (campione di botte): 83/100
Marinella Camerani 2015 (campione di botte n. 50 Vigneto Adalia): 83/100
Clementi Classico 2015 (campione di botte): 83/100
Corte Archi Classico 2015 Riserva “Is” (campione di botte): 83/100
Ceschi Brugnoli Classico 2015 “Cà del Mato” (campione di botte): 83/100
Scriani Classico 2015 (campione di botte): 83/100
Bolla Classico 2015 (campione di botte): 83/100
Santa Sofia Classico 2015 (campione di botte): 83/100
Vigna ‘800 Classico 2015 “Virgo Moron” (campione di botte): 82/100
Marinella Camerani 2015 (campione di botte n. 57 Vigneto Dietro Casa): 82/100
Le Bignele Classico 2015 (campione di botte): 82/100
Cà Rugate 2015 “Punta Tolotti” (campione di botte): 82/100
Benedetti Corte Antica Classico 2015 (campione di botte): 82/100
Cà Botta 2015 “Tenute Cajò” (campione di botte): 82/100
Villa San Carlo 2015 (campione di botte): 81/100
Sartori Classico 2015 “Reius” (campione di botte): 81/100
Le Guaite di Noemi 2015 (campione di botte): 81/100
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
MODENA – Oltre 120 Maison presenti per 700 tipologie di champagne, 60 tra importatori e distributori, 2000 operatori di settore e 4000 visitatori previsti. Ecco i numeri con i quali si ripresenta al grande pubblico delle bollicine “Modena Champagne Experience“.
Dopo il grande successo dell’edizione 2017 presidiata anche dalla nostra redazione che ne ha stilato i migliori assaggi, torna la più grande manifestazione sullo Champagne in Italia che si rivolge principalmente a professionisti del settore horeca, ma anche ai winelovers.
IL PROGRAMMA “Modena Champagne Experience 2018”, promossa ed organizzata da Club Excellence, si svolgerà a Modena Fiere domenica 7 e lunedì 8 Ottobre dalle 10:00 alle 18:30.
Fino al 30 Giugno sarà possibile acquistare on line il biglietto di ingresso giornaliero a 60 euro. Da luglio il costo del biglietto incrementerà di dieci euro al mese, fino a raggiungere il prezzo di 110 euro nella settimana precedente l’evento. Stessa “urgenza” di acquisto anche per il biglietto bi-giornaliero attualmente disponibile a 110 euro ma che lieviterà fino a 180 euro per chi lo acquisterà ad Ottobre.
Durante i due giorni della manifestazione sarà possibile degustare i prodotti delle maggiori Maison francesi tra cui, Louis Roederer, Bollinger, Bruno Paillard, Jacquesson, Mailly Grand Cru, Thiénot, Palmer & Co, Pannier, Encry, Paul Bara, Marguet, Larmandier-Bernier e incontrare i produttori francesi presenti.
La Maison saranno distribuite in un percorso organizzato per area geografica di produzione (Montagne de Reims, Vallée de la Marne, Côte des Blancs, Aube) oltre alle maison classiche riunite in uno specifico spazio.
Sono previsti anche momenti di approfondimento tematico, masterclass verticali e degustazioni relative a particolari annate o specifiche aree guidate da esperti di fama internazionale.
CLUB EXCELLENCE Club Excellence, Club dei distributori e importatori nazionali di vini e distillati di eccellenza è nato nel 2012. Dal 2016 si è trasformato in una realtà cooperativa cui aderiscono le principali aziende italiane operanti nel settore della distribuzione vitivinicola di qualità come Balan srl, Bolis srl, Cuzziol Grandivini srl, Gruppo Meregalli, Les Caves de Pyrene srl, Pellegrini spa, Premium Wine Selection P.W.S. srl, Proposta Vini sas, Sagna spa, Sarzi Amadè srl, Teatro del Vino srl e Vino & Design srl.
Tra i principali obiettivi del Club, l’organizzazione di eventi, la partecipazione a fiere e manifestazioni, l’attività di promozione commerciale e culturale sui prodotti commercializzati dai soci, l’organizzazione di corsi di formazione in ambito enogastronomico e lo sviluppo di iniziative sociali, culturali e ricreative aperte al pubblico dei consumatori.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
E’ un ritorno in pompa magna quello di La Versa nella Grande distribuzione. La cantina pavese, fallita e poi risorta grazie alla cordata lombardo-trentina guidata da Terre d’Oltrepò e Cavit, è a volantino questa settimana in Esselunga, con lo spumante base Riesling Doc Oltrepò Pavese.
La nuova etichetta sarà in promozione fino al 18 aprile a 2,94 euro. Un ribasso del 40% rispetto al “prezzo pieno”, che si assesta su 4,90 euro.
Lo spumante di Riesling è uno dei tre Charmat (Metodo Martinotti) pensati dalla nuova La Versa per i clienti dei supermercati, assieme a un Pinot Nero vinificato in bianco e a un Moscato.
I tre spumanti sono già disponibili negli store Esselunga e Bennet. “Ma entro fine anno – anticipa in esclusiva a vinialsuper Marco Stenico, direttore commerciale di La Versa – andremo a completare l’inserimento in tutti i principali player della Gdo”.
Tre Charmat lunghi, con un periodo di autoclave che varia dagli 8 ai 9 mesi. Per quanto riguarda i volumi, si tratterà a pieno regime (ovvero nell’arco dei prossimi due, tre anni) di un milione e mezzo di bottiglie di Charmat a marchio La Versa immesse nel canale moderno. L’obiettivo per il Metodo Classico è invece quello di raggiungere quota 750 mila bottiglie.
Di fatto, la nuova dirigenza lavora anche al riposizionamento del prestigioso marchio nel canale tradizionale. All’Horeca saranno riservate le etichette di Metodo Classico Docg base Pinot Nero, vero simbolo dell’Oltrepò pavese di qualità.
“Inizieremo con l’etichetta ‘Collezione‘ 2007 – spiega Stenico – una cuvée delle basi spumante selezionate tra le migliori reperite a La Versa al nostro ingresso in azienda. Il prezzo sarà attorno ai 16 euro più Iva, all’ingrosso. Toccherà poi a ‘Testarossa‘, il vero portabandiera di La Versa, con le basi spumante tirate da noi. In questo caso, il prezzo supererà i 20 euro più Iva”.
Per degustare il “nuovo” Testarossa si dovrà tuttavia attendere la metà del 2019. “Un prodotto – commenta Stenico – che intende rappresentare l’intero Oltrepò d’eccellenza, con il suo vitigno più rappresentativo, il Pinot Nero”.
LA DEGUSTAZIONE (4 / 5) Una tipicità salvaguardata anche attraverso i tre Charmat. Il Riesling da oggi in promo in Esselunga è il vero “anti Prosecco”. Giallo paglierino nel calice, naso intenso, fruttato, aromatico. Bollicina mediamente fine e persistente.
In bocca entra pulito, grazie a un “dosaggio” (Brut) capace di valorizzare al contempo aromaticità e corpo del vino. Uno spumante che riempie bene il palato anche una volta deglutito, con ritorni di frutta e richiami vagamente salini piacevoli, che invitano il sorso successivo.
Uno sparkling dall’ottimo rapporto qualità prezzo, capace di accompagnare alla perfezione un aperitivo, gli antipasti, ma anche l’intero pranzo o una cena non impegnativa.
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(4 / 5) E’ “l’etichetta verde”, quella destinata alla Gdo, ovvero ai supermercati. Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper finisce oggi il Colli di Luni Doc Vermentino 2016 de La Colombiera di Castelnuovo Magra. Un Vermentino ligure, dunque.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il vino si presenta di un giallo paglierino acceso, luminoso. Al naso fiori freschi e frutta a polpa gialla, con richiami esotici che ricordano l’ananas. Un quadro in cui non mancano gli agrumi.
Al palato, il Vermentino de La Colombera si mostra più morbido di quanto possa far presagire il naso. L’ingresso in bocca, di fatto, è caratterizzato da sentori di frutta piuttosto matura. Percezione alcolica e acidità si fanno largo all’assaggio e lo dominano nel retro olfattivo.
Una beva facile per questo Vermentino ligure, ma tutt’altro che banale. Tutte le componenti risultano in perfetto equilibrio e armonia. Un vino fresco, che fa pensare al mare e all’estate.
Il Vermentino “etichetta verde” de La Colombera si abbina a tutto pasto ed è particolarmente indicato con piatti a base di pesce o carni bianche. Ottimo con il sushi, specie con le portate di crudo di salmone, tonno e tartàre in generale.
LA VINIFICAZIONE
Il Vermentino Doc Colli di Luni La Colombera viene prodotto con uve provenienti principalmente dai vigneti situati nel Comune di Sarzana, secondo Comune per abitanti della provincia di La Spezia.
Le vigne sono allevate a Guyot con una densità di 5 mila ceppi per ettaro, su terreni argillosi dotati di buona esposizione. La vendemmia viene effettuata “rigorosamente a mano e le uve immediatamente lavorate nell’arco della giornata”. La vinificazione della uve Vermentino in purezza avviene unicamente in serbatoi di acciaio inox, a temperatura controllata.
Una storia che affonda le radici negli anni Settanta quella dell’Azienda Agricola La Colombiera. Sul finire del decennio, Francesco Ferro, padre dell’attuale titolare Pieralberto Ferro, acquista una vigna nell’antico territorio di Luni, in Castelnuovo Magra.
Oggi La Colombiera può invece contare su oltre dieci ettari di vigna. L’obiettivo è quello di “rispettare la materia prima, tendendo all’eliminazione di manipolazioni chimiche, sia dei mosti che dei vini ottenuti”.
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La grande bellezza dello stare nel vino è la sua interdisciplinarità, occorre conoscere di chimica, fisica, botanica,biologia,meccanica, economia, è importante mantenere sempre una mente aperta ed una visione d’insieme.
Cosi’ per rimanere sempre con la mente aperta, non rimanere chiusa nel mio ghetto. Avevo una giornata libera e sono andata a Live Wine a Milano.
Ho assaggiato, parlato con produttori, incontrato amici e colleghi e si mi sono divertita molto. Come tutte le volte in cui sono nel vino con leggerezza. “Leggerezza di linguaggio naturale”, vorrei leggere.
Basta focalizzare l’attenzione sui lieviti selezionati!
Si limita il racconto del vino ad un unico elemento, mentre il cammino dall’uva alla bottiglia è molto più lungo e complesso.
Basta addentrarsi in diatribe fra industriali vs artigianali!
Correte due campionati diversi, inutile sprecare fiato.
Il terrorismo sugli additivie sui coadiuvanti non ha portato a nulla. La casalinga di Voghera e la sua amica di Voghiera non conoscono la differenza fra queste due famiglie di prodotti.
E poi vi ricordo che la gomma arabica è un principale componente delle caramelle.
Raccontate del vino naturale figlio del tempo e non delle logiche commerciali. Raccontate del vino fatto da viticoltori che sono custodi del territorio.
Non parlate di vino fatto con le ricette!
Il vino è un lavoro di squadra, un racconto corale, non un susseguirsi di fredde operazioni di fabbrica.
Amici naturali, non correte dietro – in etichetta – ad api, coccinelle, farfalle, foglie con le stelline… Siate minimalisti ed essenziali, il vino parlerà da sé.
I giornalisti e le guide non vi hanno fatto nulla, non sono faziosi. Sono solo dei curiosi del vino che vogliono capire e conoscere il vostro mondo. Un nuovo linguaggio è possibile. Basta volerlo.
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Si è conclusa da una settimana la rassegna enologica milanese Live Wine 2018. Quattromila i visitatori, tra pubblico di appassionati di vini naturali e operatori.
Per alcuni un’edizione sottotono, nonostante il gran traffico al Palazzo del Ghiaccio di via Piranesi. A contribuire a questo giudizio, forse, le tante novità.
Tra queste, l’esordio di molte cantine estere, accanto ai soliti nomi e a qualche new entry nostrana.
I MIGLIORI ASSAGGI A LIVE WINE 2018 Quest’anno siamo andati anche noi a caccia di novità. Pescando soprattutto fuori dai confini italiani. Sempre lontani dai soliti cliché enofighetti e dalle convenzioni della “Milano da Bere”. La prima “bollicina” che segnaliamo – non a caso – è un Cava, il Metodo Classico spagnolo.
Azienda sorprendente quella di Recaredo, 50 ettari di vigneto a conduzione famigliare nella zona del Riu de Bitlles, comarca de l’Alt Penedès, vicino Barcelona. La linea offre interessanti variazioni sul tema e sugli affinamenti.
Magnifico il Terrers 2012 Brut Nature (58% Macabeo, 39% Xarel-lo, 3% Parellada) rimasto per 57 mesi sui lieviti. C’e tutto in questo prodotto di ingresso della cantina. Perlage finissimo, freschezza e sapidità spiccanti, mineralità data dal terreno calcareo. Poi note di frutta bianca e gialla con qualche accenno fumè. Bocca cremosa e mediamente persistente. Ottimo finale.
Gran reserva 2007 (64% Macabeo, 36 Xarel-lo), 117 mesi di affinamento sui lieviti. Qui l’espressività del territorio e la freschezza del frutto lasciano spazio alla complessità e alle note evolute. Giallo dorato dal finissimo perlage, note di pane tostato, biscotti, frutta secca poi agrumi e anice. Bottiglia completa.
Serral del Vell Brut Nature 2008 è quello dei tre che ci convince di meno, ma merita comunque una menzione. Sempre combinazione di Macebeo e Xarel-lo in diverse percentuali. Quest’ultimo fermenta parzialmente in barrique poi la seconda fermentazione in bottiglia e la sosta per 96 mesi. Vino potente e al tempo stesso raffinato, pasticceria, nocciole tostate, agrumi canditi. Lunga la persistenza. Una bolla cremosa, complessa.
Ci spostiamo su un distributore che presenta sparkling francesi. Champagne in prevalenza, ma noi vi consigliamo il Best/buy del banchetto .
Domaine des Marnes Blanches e il suo Cremant du Jura 100% Chardonnay. Due giovani ragazzi che lavorano in biologico dieci ettari di vigneti (alcuni dei quali hanno 100 anni) situati nel sud del Revermont, a Saint Agnes.
Pressatura soffice delle uve e fermentazione in vasche d’acciaio per 6 mesi, mentre la seconda fermentazione avviene in bottiglia per 18 mesi. Giallo paglierino intenso, bollicina fine e persistente.
All’olfatto richiama aromi fruttati e di agrumi. In bocca si nota subito la bollicina cremosa, frutta acidula , arancia, limone, ribes, ben equilibrati tra loro.
Crémant Brut Nature Flèche Saignante, Domaine Brand & Fils (40% Pinot Blanc, 30 % Pinot Gris, 30% Pinot Noir). Zero dosato. Diciotto mesi sui lieviti in barrique. Aromi intensi e fortissimo carattere minerale per questo gioiellino, abbinabile a tutto pasto.
Impossibile non citare l’Azienda Agricola TerreVive Bergianti con il suo “Per Franco”, metodo classico di Lambrusco Salamino 100% del 2015. Fermentazione in cemento con lieviti indigeni e rifermentazione in bottiglia con sosta di 36 mesi. Rosato brillante, fragoline in esplosione , poi violette e fiori di campo. Freschezza da non farne mai a meno. Da avere sempre pronto a temperatura a 8° dalla pizza ai salumi al pesce. Incredibile.
Nando Wine si trova invece a cavallo tra il Carso italiano e quello sloveno. Dei 5,5 ettari totali, infatti, il 60% è nel Collio italiano, il 40% a Pleviso, Brda, nella regione della Primorska.
Clima mediterraneo e vigne di famiglia da sempre, con età massima intorno ai 40 anni. Proviamo un po’ tutta la linea ma quello che ci rimane di più è la magnifica semplicità della Rebula 2016. Pochi giorni di macerazione poi acciaio dove matura per 6 mesi.
Bocca setosa , palato morbido ma aromatico , paglia , fieno e frutta gialla fino al mango sorretti da una freschezza e da una mineralità ben bilanciate. Altro best/buy.
Torniamo a riassaggiare i vitigni Piwi – ovvero vitigni resistenti agli attacchi fungini e quindi meno esposti alle temibili malattie dell’oidio e della peronospora – del giovane Thomas Niedermayr titolare del maso Hof Gandberg di Appiano (BZ).
Straordinario il Solaris 2016 uno degli ultimi nati in casa. Piante ancora molto giovani ma dalla grande prospettiva. Fermentazione spontanea del mosto, 8 mesi di maturazione con le fecce in acciaio, 14 settimane in botte di rovere usata da 500 litri.
Imbottigliato in agosto 2017, non filtrato. Aromatico, fresco, sapido e minerale, bouquet di fiori, sambuco, poi frutta bianca come l’uva spina, mela, fino a note tropicali di ananas. Caleidoscopico nel bicchiere.
Allo stand dell’Azienda Agricola Nino Barraco ci lasciamo conquistare non dai soliti (splendidi) bianchi o dalle vendemmie tardive tipiche della tradizione di Marsala, ma da quello che c’è sotto il banchetto.
Un metodo classico di nero d’Avola fuori commercio, ormai rimaste pochissime bottiglie in cantina, che Nino ci confida non rifarà più. Almeno per ora. Sessanta mesi di permanenza sui lieviti. Colore rosato e tutta la gamma dei frutti piccoli rossi caldi del sud esplodono nel bicchiere. Persistenza lunghissima, freschezza e acidità.
Assaggiamo poi tutta la gamma di Frank Cornelissen cercando di soffermarci sui singoli cru in degustazione. Sette per la precisione. Ogni cru una vigna, una contrada, un’altezza dei vigneti, un suolo, un’esposizione. E’ come giocare al cubo di Rubik. Mille sfaccettature di un terroir che è il più stimolante di tutto lo stivale: l’Etna.
A colpirci sono Zottorinoto, cru Chiusa Spagnolo 2016, 700 metri versante nord, vigne di oltre 60 anni a piede franco. Lunga macerazione di 2 mesi e affinamento in vasche neutre di resina da 1500 a 2500 litri per diversi mesi.
Di colore rosso rubino. Al naso intensi profumi di frutta rossa e note di spezie dolci, poi salamoia. Al sorso è fine, elegante, corposo, equilibrato con un finale lungo e profondo.
Campo Re 2016, Nerello 100%, vigne di oltre 70 anni. Snche qui macerazione per due mesi. Colore rosso rubino. Molto più intensa la nota di frutta rossa, in particolare di ribes e di mora. A seguire note speziate molto gradevoli. Morbido, caldo ben equilibrato dalla freschezza e dalla trama tannica.
Sempre Sicilia, sempre Etna, sempre un mosaico affascinante quello di Etnella i vini di Davide Bentivegna, già segnalato da vinialsuper tra i migliori assaggi a VinNatur 2017.
Assaggiamo Anatema 2016, assemblaggio di Nerello Mascalese (85%) e Nerello Cappuccio (15%) da parcelle allevate ad alberello con oltre 30 anni di età situate in contrada Porcaria a Passopisciaro, a circa 700 metri di altitudine sul versante nord dell’Etna.
La particolarità in questo cru è che dopo la macerazione di circa una settimana e la fermentazione alcolica, si passa a un affinamento per circa 12 mesi in botti grandi di castagno. E’ meno varietale rispetto al Kaos ma la rotondità conferita dal legno scarico ne completa la complessità.
Incredibile l’intreccio di frutta rossa come ribes, amarena e della tipica macchia mediterranea siciliana, ginestra, cappero. Il retro olfattivo è un esplosione di mirtillo e amarena. Kaos 2016 è un intreccio di vendemmie, una in agosto, una in settembre, una in ottobre per cogliere il meglio di ogni fase di maturazione.
Una precoce, una matura e una surmatura. Anche qui un passaggio in castagno grande, poi torna in acciaio e infine affina in bottiglia. Fantastico perché il gioco è il perfetto bilanciamento tra la parte più acida della vendemmia prematura e il frutto della fase tardiva.
Un blend meraviglioso per una esplosione di frutta con trama fresca e acida sorretta da un tannino non invadente. Al naso sentori di frutta rossa matura, confettura di amarena e di ciliegie, prugna, poi esce il balsamico come liquirizia e sullo sfondo cannella.
Chiudiamo al nord, più esattamente nelle Langhe, in Piemonte. Con il Barbaresco 2014 di Cascina Roccalini. E chi parlava di un’annata debole, a Barbaresco, dovrà ricredersi. Il solito bellissimo frutto rosso, la solita eleganza, la solita acidità.
Quando c’è il tocco sapiente del produttore, il vino esce sempre bene. Sessanta giorni di macerazione a cappello sommerso, poi solo botte grande. Un grandissimo vino.
Medico per vocazione e sommelier per passione. Mi sono poi riscoperto medico per passione e sommelier per vocazione. Sostieni il nostro progetto editoriale con una donazione a questo link.
(3 / 5) Che ci sia “Prosecco” e “Prosecco” è ormai chiaro a tutti gli attenti “bevitori”. Una regola che vale soprattutto al supermercato, dove peschiamo uno dei più commerciali e pubblicizzati: il Prosecco Doc Extra Dry millesimato 2017 Casa Sant’Orsola.
Un’etichetta che non faceva parte della nostra degustazione alla cieca di settembre 2017, in cui abbiamo stabilito i migliori e i peggiori “sparkling da Glera” al supermercato. Ma difficilmente – ve lo anticipiamo subito – sarebbe riuscita ad aggiudicarsi un posto tra i top.
LA DEGUSTAZIONE
Di certo, il Prosecco Sant’Orsola è uno di quei vini che, prima del calice, provano a raccontarsi visivamente sullo scaffale del supermercato (e ancora prima in tv, grazie a numerosi spot pubblicitari).
La bottiglia è avvolta in un sacchetto di colore arancione trasparente, che cattura l’attenzione del cliente. Un velo d’eleganza forse necessario per stordire, con il marketing, il palato di chi si accinge alla degustazione. Noi conosciamo Ulisse. E soprattutto le sirene.
Creature mitologiche a parte, il Prosecco Sant’Orsola si presenta del classico giallo paglierino nel calice. La “bollicina” è mediamente fine e persistente. Al naso la tipicità della Glera, che si esprime principalmente col sentore di pera.
Al palato, ennesima conferma dell’assoluta semplicità di questo Prosecco. L’ingresso è morbido, ma il nettare si sbilancia poi sui sentori zuccherini (pera matura). Finale sufficientemente persistente e lineare rispetto al sorso.
Un Prosecco destinato a un pubblico poco esigente, anche se il prezzo (se non soggetto a tagli prezzo e promozioni) non è tra i più invitanti per il portafogli, pur avvicinandosi al reale valore dell’etichetta. L’abbinamento? A tutto pasto, per chi gradisce, o come aperitivo.
LA VINIFICAZIONE
Il Prosecco Casa Sant’Orsola è prodotto con il Metodo Charmat, che prevede la rifermentazione della Glera in ampie vasche chiamate autoclavi. Casa Sant’Orsola è un marchio di Fratelli Martini Secondo Luigi Spa, che a sede in località San Bovo a Cossano Belbo, in provincia di Cuneo.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
BOLZANO – Logiche che solo all’apparenza possono sembrare “illogiche”, quelle di (una certa) Grande distribuzione organizzata.
Fatto sta che un gruppo storico della provincia di Bolzano come Schenk Italian Wineries (lì, a Bolzano, dal 1960) si presenta sugli scaffali dell’hard discount Md con un Gewurztraminer ungherese. Mica altoatesino o trentino.
Parliamo del Gewurztraminer Oem Matrai della linea Cantina Clairevue, private label con cui Schenk opera all’interno dei discount Md, già Lillo Group S.p.A. (linea che Luca Maroni premia con alte valutazioni, che non riguardano tuttavia questa etichetta).
Scappa più di un sorriso a pensare che il sito web di Md tenga a sottolineare che “la storia della Società s’identifica con quella del suo fondatore, Patrizio Pondini, nato a Bolzano, attivo nel mercato della Gdo fin dagli anni ’60”.
E’ la stessa Schenk, pungolata da vinialsupermercato.it, a chiarire i contorni di una vicenda che ha del paradossale. Almeno quanto risulta paradossale, per un imprenditore italiano, la convenienza di investire all’estero.
“UNGHERESE MA DI QUALITA'” “Si tratta di una linea ‘private label’ realizzata per Md Italia, secondo le esigenze espresse dal cliente – evidenzia il gruppo bolzanino – che chiedeva un vino con un ottimo rapporto qualità-prezzo. Vista l’annata difficile del 2017, soprattutto per gli aromatici, risultava arduo mantenere tale rapporto sotto una certa soglia, utilizzando un vino Alto Adige”.
“Il prodotto in questione – continua Schenk Italian Wineries – è un Gewurztraminer Ungherese di ottima qualità, ma non è una Doc Alto Adige come invece è ‘Kellerei Auer’, nostra linea di punta. Auspicando, nei prossimi due anni, vendemmie quantitativamente e qualitativamente corrette, Schenk Italian Wineries sarà in grado di proporre vini italiani per la soddisfazione di Md”.
Piutost che nient l’è mei piutost, sintetizzerebbero a Milano. Il vino in questione, tuttavia, si lascia tutto sommato apprezzare. Soprattutto nell’ottica qualità prezzo. “Oem” sta per “Oltalom alatt álló eredetmegjelölés”, l’equivalente, in Ungheria, delle nostre Dop. “Mátrai” identifica “Mátra”, zona collinare dell’Ungheria settentrionale, dove si produce vino.
(4 / 5) Giallo paglierino scarico e velato per il Gewurztraminer Oem Mátrai 2016 Cantina Clairevue. Naso di litchi, pesca, esotico maturo (ananas), una punta minerale. Bocca corrispondente, non elegantissima, con chiusura su note posate di miele d’acacia.
Beva facile, zucchero non stucchevole. Dopo l’ingresso morbido, questo Gewurz ungherese svela un bel risvolto acido, che accompagna fino a un finale speziato, di pepe bianco. Un vino che fa della facilità di beva (e del prezzo: 2,99 euro) la sua arma vincente.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
BRONI – Abbassamento delle rese, restringimento della zona Igt, vinificazione e imbottigliamento in loco per Sangue di Giuda e Pinot Nero. E parola fine all’era del vino Doc in damigiana. L’Oltrepò pavese guarda così al futuro, riformando i disciplinari.
Mosse storiche, che forse ridaranno slancio a un territorio che merita molto più di quello che è riuscito a raccogliere. Le riforme dei disciplinari sono state presentate giovedì dal Consiglio di amministrazione del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese, in occasione dell’assemblea dei soci all’Enoteca Regionale di Broni.
“Ringrazio chi ha lavorato con noi per arrivare a questi risultati – commenta il presidente Michele Rossetti – che sono solo il primo passo. Un passo che però è storico e lascerà il segno soprattutto perché sul territorio, davvero, qualcosa è successo”.
“Questo Consiglio, insieme ai nuovi disciplinari e a una tracciabilità vera per ridare smalto alla Doc – aggiunge Rossetti – lascerà in eredità un nuovo modo di fare Consorzio. E’ un messaggio anche a chi ha scelto di star fuori, di non partecipare e di lasciar fare agli altri”.
Parole scaturite dal confronto positivo tra grandi e piccoli produttori oltrepadani. “Ho visto una Terre d’Oltrepò profondamente cambiata – evidenzia Rossetti – che si è messa in gioco per gli altri. Una Torrevilla disposta a fare sacrifici. Tanti titolari d’imprese di qualità pronti a scommettere sul futuro. Si può ricominciare”.
LE NOVITA’ “Uno spirito collaborativo – precisa Emanele Bottiroli, direttore del Consorzio di Tutela Vini Oltrepò – che ha portato a migliorare i vecchi disciplinari, abbassare le rese all’insegna della qualità, cancellare tipologie e versioni non identitarie da una Doc fino ad oggi barocca, restringere la zona di produzione Igt eliminando comuni di pianura, limitare in zona la vinificazione e l’imbottigliamento di Sangue di Giuda e Pinot nero”.
Ma non solo. “Le modifiche dicono addio all’era del vino Doc in damigiana – continua Bottiroli – contribuendo a ridare slancio al disciplinare del Casteggio e a ottimizzare tutti gli altri disciplinari di produzione, compreso quello del Bonarda, il vino territoriale più venduto e amato, che sarà solo il lato frizzante o ‘vivace’ dell’Oltrepò Pavese”.
“Ognuno ha fatto uno sforzo – chiosa Bottiroli – in particolare le cantine cooperative Terre d’Oltrepò, socio di maggioranza mai così vicino nella storia al comune sentire territoriale pur a costo di sacrifici, e Torrevilla. Non si sono tirati indietro nemmeno gli altri produttori presenti in assemblea, che hanno capito in che direzione andava una riforma che voleva dare segnali concreti di cambiamento”.
Ai vini Doc sarà inoltre apposto il contrassegno di Stato. La cosiddetta “fascetta”, “utile – sottolinea ancora Bottiroli – a garantirne autenticità e valore, facilitando gli organismi di controllo e dando ai consumatori consapevolezze nuove sul valore aggiunto che i grandi vini meritano”.
IL FUTURO
Il futuro dell’Oltrepò, come di altre Denominazioni, passa tuttavia anche dall’estero. Anche su questo fronte le premesse sembrano buone. “Il nostro Piano per l’internazionalizzazione 2018 – annuncia il direttore Bottiroli – è stato valutato al primo posto in graduatoria regionale davanti, per punteggio, a realtà importanti come Franciacorta e Ca’ del Bosco. Si tratta di un progetto di rete, di cui siamo capofila, mirato in particolare a Stati Uniti, Giappone, Cina e Svizzera”.
Sul fronte fieristico è già iniziato il conto alla rovescia anche in chiave europea: “Ci prepariamo – annuncia Bottiroli – al Prowein di Dusseldorf, la fiera del vino più importante in area Ue riservata agli operatori professionali”.
Occhi puntati anche su Verona: “Ci prepariamo a un Vinitaly 2018 all’insegna di molte novità e di una comunicazione nuova – preannuncia Bottiroli -. Saremo al salone del vino più importante d’Italia con il libro bianco sull’Oltrepò del vino, uno studio dettagliato e scientifico condotto dall’Osservatorio di Wine Marketing che un anno fa abbiamo costituito con l’Università di Pavia”.
Il Consorzio di Tutela presenterà così “uno strumento, frutto di analisi dati, uscite sul campo e interviste, che ci consentirà di progettare con metodo, avendo una rappresentazione plastica del complesso universo della vite e del vino in Oltrepò”. Dalla diagnosi nascerà “una terapia, ovvero una strategia a breve, medio e lungo termine”.
Per Bottiroli, il limite da superare resta sempre lo stesso: quello delle divisioni. “Il Consorzio è la casa di tutti. Solo con l’unione e il superamento delle barricate i risultati saranno tangibili. Auspico che il 2018 sia l’anno della svolta, anche sul tema dell’enoturismo e del marchio Oltrepò Pavese che puntiamo a creare con la Strada del Vino”.
“Voler bene al territorio – conclude Bottiroli – significa remare, insieme, nella stessa direzione, considerare i successi di uno un vantaggio per tutti. Bisogna dare numeri al top di gamma per poterlo promuovere facendolo reperire più facilmente sul mercato ai consumatori in Italia e nel mondo. Sei quel che si trova e quel che si vede di tuo, non quel che dici di te”.
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(4,5 / 5) “Qualità vegetariana”. Il “bollino” presente sulla retro etichetta della Croatina “Myrtò” di Perego & Perego attira l’attenzione di molti.
A noi che di slogan, certificazioni e medaglie interessa ben poco, sorge spontanea una domanda: cosa racconterà il calice di questo vino prodotto in provincia di Pavia?
LA DEGUSTAZIONE Iniziamo col precisare che la Croatina Myrtò di Perego & Perego ha parecchio in comune col più noto “Bonarda” dell’Oltrepò Pavese, prodotto (appunto) per un minimo dell’85% con uve Croatina. Aspetto e profumi sono quelli attesi. Porpora impenetrabile. Naso di frutta rossa (amarena) e fiori di viola.
Una Croatina, Myrtò di Perego & Perego, che rivela all’olfatto una parte “verde”, vicina alle foglie del geranio. Al palato, un rosso che si scopre leggermente mosso. Un brio subito placato dal tipico tannino ruggente della Croatina. Per il resto, un concerto di frutta rossa abbastanza fine, nel quale si distinguono gli acuti dell’amarena e della mora. La chiusura di bocca tende invece a un piacevole amarognolo.
La Croatina Myrtò di Perego & Perego trova sulla tavola molti alleati. Perfetta a tutto pasto, accompagna bene salumi, affettati e preparazioni di carne non troppo elaborate. Nella speciale scala di valutazione di vinialsuper, sfiora la vetta con un punteggio di 4,5 su 5. Prezzo eccezionale per un vino così “pulito” e capace di non stancare mai.
LA VINIFICAZIONE
Vinificazione molto semplice per ottenere Myrtò. Le uve di Croatina vengono raccolte e pigiate. Il mosto viene quindi messo in botti d’acciaio a temperatura controllata, per un tempo che varia (a seconda dell’annata) dai 7 ai 10 giorni.
In questo periodo vengono eseguiti continui rimontaggi, in modo da tenere sempre bucce (cappello) bagnate e per “caricare” il vino di colore e profumi. Finita questa fase, il mosto viene svinato e le bucce pressate in maniera soffice.
La fermentazione alcolica e malolattica prosegue in botti di acciaio, a temperatura controllata. Una volta terminata si procede al travaso, per separare il vino dalla feccia (residuo di fermentazione). L’affinamento prosegue in acciaio per circa 6-8 mesi, prima di essere pronto per la bottiglia.
“Tengo a precisare che viene aggiunta solforosa durante la vinificazione – commenta Giorgio Perego – ma non lieviti selezionati, né altri tipi di sostanze chimiche. Le chiarifiche vengono fatte solo con bentonite”.
“Per quanto riguarda la dicitura ‘qualità vegetariana’ – aggiunge il titolare della cantina pavese – si tratta di un marchio che certifica il non utilizzo di generi derivati da animali (albumine, caseine o gelatine che generalmente vengono utilizzate per le chiarifiche)”.
“Oltre a questo – continua Giorgio Perego – vengono certificati anche gli imballaggi (colle delle etichette e colle dei tappi, qualora venissero utilizzati gli agglomerati). Siccome pensiamo che il vino nasca ‘vegano’, facciamo il possibile per mantenerlo tale e ci teniamo che il consumatore lo sappia”.
“Per questo motivo – aggiunge il titolare della cantina dell’Oltrepò pavese – abbiamo pensato di appendere al collo della bottiglia e di far stampare sulla retro etichetta un qr code, grazie al quale l’acquirente può trovare tutte le informazioni utili. Siamo arrivati al punto di pubblicare la tracciabilità del prodotto, partendo dalle vigne alla bottiglia finita, in modo che il consumatore abbia un’idea precisa di come venga prodotto il nostro vino.
LA CANTINA
“Tradizione” e “innovazione” sono le parole d’ordine della Perego & Perego. A dirigere la cantina sono i due fratelli Marco e Giorgio Perego, che hanno deciso di rifondare l’azienda agricola del bisnonno Ernesto. Siamo a Rovescala, sulle colline dell’Oltrepo Pavese.
Un territorio tutto da scoprire per gli enoappassionati lombardi e italiani. E anche per la Gdo, raramente impegnata a scovare “chicche” nella nuvola di fumo creata dai grandi gruppi e dagli imbottigliatori. Polvere nella quale si distingue, certamente, questa ottima Croatina.
Trentamila le bottiglie di Myrtò che finiscono sugli scaffali del colosso milanese della grande distribuzione, su una produzione complessiva di 70 mila bottiglie per la la cantina Perego & Perego. Un rapporto, quello con la Gdo, avviato nel 2004.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Si terrà a Roma, il primo appuntamento dedicato ad una delle Doc più amate della Puglia, il Primitivo di Manduria. Un grande viaggio in un territorio vitivinicolo di 3.140 ettari di vigneti tra terra e mare dove il vino sembra assimilarne la cultura e incorporarne i profumi e i sapori.
L’evento, “Rosso Mediterraneo”, promosso dal relativo Consorzio di Tutela e organizzato dall’associazione GnamGlam, si svolgerà domenica 21 gennaio nella capitale, presso l’Hotel Savoy di via Ludovisi.
IL PROGRAMMA
Dalle 15 alle 16:30 l’evento sarà riservato agli operatori del settore e alla stampa specializzata. A seguire, dalle 17 alle 18:30, dopo il saluto del presidente del Consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria Roberto Erario, sarà la volta dell’attesa grande degustazione guidata “Conoscere il Primitivo di Manduria” dedicata alle tre anime della grande Doc pugliese: Primitivo di Manduria Dop, Primitivo di Manduria Dolce Naturale Docg e Primitivo di Manduria Dop Riserva.
Dalle 16.30 alle 22.30 le porte si apriranno anche al pubblico dei winelovers. Ai banchi di assaggio, i visitatori potranno conoscere le diverse aziende provenienti dalla provincia di Brindisi e Taranto che offriranno le loro etichette abbinate a prodotti gastronomici.
LE AZIENDE PARTECIPANTI
Agricola Erario
Cantine Lizzano
Cantine San Marzano
Cantolio
Feudi San Gregorio
Masca del Tacco
Plinania
Produttori di Manduria
Vespa Vignaioli per Passione
Vigne Monache
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
(3,5 / 5) Esse(l’)allunga. Anzi, lo gonfia. Non tutti gli sconti sono veri e propri “affari”. E’ bene tenerlo a mente nelle corsie del vino al supermercato.
Esempio lampante quello del Chianti Docg Conti Serristori 2016. In questi giorni al 50% sugli scaffali di Esselunga (2,99 euro al posto di 6 euro).
Un prezzo che pare di per sé “gonfiato” ad hoc. Online, la stessa bottiglia è in vendita a meno di 5 euro (prezzo pieno).
Centesimo più, centesimo meno, sono diversi i siti web che confermato la poco elegante operazione del colosso milanese della Grande distribuzione. Tant’è.
LA DEGUSTAZIONE
Il calice di questo Chianti Docg, che in etichetta riporta il simbolo del casato dei Conti Serristori, si tinge di un rosso rubino piuttosto trasparente. Il naso è quello dei Chianti “duri” e poco aggraziati.
Se da un lato risultano tipiche le note di frutti a bacca rossa e di fiori di viola, dall’altro il legno dell’affinamento risulta davvero troppo invadente. Non stiamo parlando della classica vena “vanigliata”. Piuttosto di una sensazione “verde”, scomposta.
Una caratteristica riscontrabile anche al palato, dove i tannini, pur mascherati da una vena sapida nel finale, contribuiscono a sgraziare le note fruttate incontrate al naso, già di per sé poco fini.
Insomma, un Chianti da abbinare a piatti decisi, a base di carne rossa. Oppure, ad oggi, da dimenticare in cantina. Sperando che il quadro gusto-olfattivo ne guadagni, riequilibrandosi nel tempo.
LA VINIFICAZIONE
Il Chianti Docg Conti Serristori è ottenuto all’85% da uve Sangiovese grosso. Completa il “blend” un 15% di vitigni complementari. Le vigne vengono selezionate nella parte senese della zona classica del Chianti, sul territorio dei comuni di Castellina e Radda.
I vigneti sono allevati a Guyot e cordone speronato, su colline di 300-350 metri di altitudine bene esposte e di
composizione diversa, con microclimi differenti. La produzione di uva per ettaro è di 75 quintali, con una resa in vino del 70%.
Le uve mature, raccolte durante la prima decade di ottobre, sono vinificate tradizionalmente “in rosso”, con un paio di settimane di macerazione e con frequenti rimontaggi. La fermentazione, previa l’aggiunta di lieviti selezionati, si svolge alla temperatura controllata di 25 gradi.
La maturazione avviene in fusti di rovere del Limousin: una scelta che potrebbe motivare l’eccessiva “durezza” del vino, percepita durante la degustazione. Prima dell’immissione in commercio, questo Chianti affina ulteriormente in bottiglia per diversi mesi.
La cantina Conti Serristori, operante in località Gaggiano a Poggibonsi, in provincia di Siena, è un’azienda storica della Toscana del vino. Oggi fa parte di Giv, Gruppo italiano vini, uno dei maggiori player del settore in Italia, con importanti partecipazioni in società estere.
Centoquarantacinque gli ettari di vigneti di Serristori, che si estendono tra il cuore del Chianti Classico e la città di San Gimignano. Alla cantina principale si affianca quella destinata alla vinificazione e all’affinamento della Vernaccia.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Quali sono i migliori vini in vendita al supermercato degustati dalla nostra redazione nel 2017? Ecco di seguito un elenco che vuol rappresentare un viaggio in lungo e in largo per l’Italia delle cantine che sanno coniugare qualità e prezzo, in Gdo.
Un viaggio che inizia – come ovvio – dagli spumanti: dai migliori Charmat e Metodo Classico degustati da vinialsupermercato.it negli ultimi 12 mesi. Si passa poi ai vini bianchi, prima dei vini rossi e dei passiti.
Un “tour” che, nel 2017, ha come epicentro l’Umbria. E’ qui, per la precisione ad Orvieto, che abbiamo deciso di fermarci per assegnare il premio di “Miglior Cantina Gdo” 2017. L’azienda vinicola che se l’è aggiudicato, come i nostri più attenti lettori sapranno, è Castello di Corbara.
IL 2017 DI VINIALSUPER
Prima dell’elenco delle migliori etichette di vino al supermercato, due parole su di noi. Il 2017, per vinialsupermercato.it, è stato un anno cruciale. Un anno di grandi cambiamenti e di grande conferme. Abbiamo innanzitutto introdotto la valutazione a “cestelli della spesa” per i vini della sezione “Recensioni – Supermercato”.
Nel corso dell’anno abbiamo accolto nella nostra “famiglia” nuovi collaboratori, sia per la parte wine sia per la parte food. Due new entry sono ai box, a scaldare il motore prima di un 2018 che si preannuncia scoppiettante.
Entrerà a pieno regime dal prossimo anno anche la nuova rubrica sui vini in promozione al supermercato, con l’analisi settimanale dei vini in offerta sui volantini delle insegne Auchan, Bennet, Carrefour, Conad, Coop, Despar, Esselunga, Il Gigante, Ipercoop e Iper la Grande I.
Sempre nel corso dell’anno, abbiamo lanciato la nostra campagna “Non solo Prosecco“, con lo scopo di diffondere una verità assoluta: “Prosecco” non è sinonimo di “Spumante”, bensì il nome con il quale si identifica solo una delle tante tipologie e denominazioni degli spumanti italiani: quella prodotta in Veneto e Friuli.
Ma è a luglio 2017 che, di fatto, si è concretizzato il passaggio più importante dell’anno per vinialsupermercato.it: l’iscrizione come testata giornalistica presso il tribunale di Busto Arsizio (VA).
Una scelta intrinseca alla nascita stessa di questo portale, due anni fa, quando vinialsuper è stato fondato come “wine blog”. Il passaggio a testata giornalistica vuol esser un segno di rispetto per i nostri lettori.
Una garanzia in più del “metodo di lavoro” della nostra redazione, animata da uno spirito da vere “Iene”, come spesso dimostrano gli articoli e le inchieste presenti nella nostra sezione “News” (a cui teniamo moltissimo).
In un mondo della comunicazione del vino popolato sì da tanti professionisti, ma anche da tante figure che accostano volentieri la narrazione di un’etichetta alle loro “grazie” o ai favori ricevuti in cambio di un post sui social, vinialsuper vuole distinguersi come punto d’incontro e di scambio di chi bada più alla sostanza che all’immagine.
Questo sito web vuole essere un luogo dove non si fanno distinzioni tra i portafogli di chi vuole bere del buon vino a un prezzo giusto, o congruo alle proprie possibilità. L’epicentro dello sdoganamento della “Gdo” come canale di “serie B” per la vendita del vino, a fronte di un’Horeca che utilizza ampiamente (ma vanamente) quest’arma per auto accreditarsi di fronte ai propri clienti, rimanendo così irrimediabilmente ancorata al passato.
Noi di vinialsuper come “grilli parlanti” per i clienti dei supermercati, che sanno di poter contare sulle nostre recensioni, nella corsia dei vini delle maggiori insegne nazionali.
Noi che, al contempo, siamo e vogliamo essere le spine nel fianco delle stesse catene della Grande distribuzione: tutte consapevoli (ormai) di essere sotto il nostro costante e ininterrotto “monitoraggio”.
I MIGLIORI VINI AL SUPERMERCATO DEL 2017, SECONDO VINIALSUPER
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Senza mezzi termini, uno dei migliori vini bianchi italiani qualità prezzo (attorno ai 10 euro) presenti sul mercato Horeca. E’ il Biferno Bianco Doc 2015 Kantharos di Angelo D’Uva. Una delle innumerevoli prove che il Molise “esiste”. E che il Molise “del vino”, esiste eccome.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, questo blend di Trebbiano e Malvasia si presenta, a due anni dall’imbottigliamento, di un giallo dorato, simile a quello della camomilla. Al naso è particolarmente intenso e complesso. Dapprima emergono note esotiche e di frutta matura, albicocca sciroppata, ananas, melone giallo.
Sorprendono i richiami a frutta a polpa rossa come l’amarena e il lampone stramaturo, di quello che si spappola appena lo prendi in mano. Il sottofondo, olfattivo e musicale, è quello di un sottile miele millefiori, corroborato da una preziosa vena campagnola, conferita dalla foglia di pomodoro rinsecchita.
L’ingresso in bocca è corrispondente al palato, più morbida che dura. Poi l’acidità accende il sorso, d’un tratto. Caldo per l’alcolicità, il Biferno Bianco Kantharos Angelo D’Uva trova un perfetto equilibrio al palato, grazie al calibro di un’acidità che sembra dosata col misurino.
Retro olfattivo sullo stesso fil rouge, citrico, tutto giocato su note di lime e pompelmo. Una chiusura austera rispetto alla “grassezza” e all’opulenza del primo bacio col nettare. Un vino, questo Kantharos di D’Uva, che alla cieca potrebbe essere scambiato per un Gewurztraminer di ottima fattura. Filo conduttore, l’aromaticità che accomuna Traminer e Malvasia.
In cucina, questo ottimo vino del Molise, perfettamente maturato in bottiglia – anche se non si tratta, formalmente, di un pensato per lunghi affinamenti – si presta bene all’accompagnamento di piatti della cucina asiatica, speziati, o di carni leggere.
LA VINIFICAZIONE
Sono Trebbiano (90%) e Malvasia (10%) a comporre il delizioso blend molisano Kantharos. Milleseicento ceppi per ettaro la densità d’impianto delle viti, che affondano le radici in un suolo argilloso e calcareo. La vinificazione prevede diraspatura e pressatura soffice delle uve.
Segue la chiarifica con flottazione. La fermentazione avviene invece alla temperatura controllata di 15 gradi. Il Biferno Doc Bianco Kantharos affina poi in acciaio per 4 mesi e riposa in bottiglia diverse decine di giorni prima di essere commercializzato.
Angelo D’Uva è uno di quelli che si fa chiamare ancora “vignaiuolo”. Con quel “iu” che sottolinea, forse, ancora meglio il concetto. La sua terra è Larino, in Molise: regione che ha tanto da dare all’enologia italiana. La storia della cantina “è una storia di famiglia”.
Fu il nonno Angelo a piantare i primi vigneti, negli anni Quaranta. Il figlio Sebastiano, negli anni 60-70 contribuisce alla crescita della cantina. Ad Angelo, l’attuale titolare, si deve la definitiva consacrazione. Un percorso iniziato nel 2001, anno in cui dà avvio alla trasformazione diretta delle proprie uve e alla produzione di vini Doc e Igt.
“Coniugare l’esperienza contadina e le moderne conoscenze e tecnologie enologiche” è il credo di Angelo D’Uva, condiviso dal suo giovane enologo Donato Di Tommaso. Per entrambi “un buon vino inizia da un frutto sano e la vinificazione deve essere semplice ed essenziale. Perché il vino sia una sincera e schietta espressione della sua terra”.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
VERONA – Almeno due i motivi per non perdersi la prossima Anteprima Amarone 2018, in programma dal 3 al 5 febbraio al Palazzo della Gran Guardia di Verona. Degustare in “anteprima”, appunto, l’annata 2014. E festeggiare i 50 anni dal riconoscimento della Denominazione di origine Valpolicella.
Come di consueto sono tre le giornate in calendario. L’evento inaugurale, sabato 3 febbraio 2018, è chiuso al pubblico e dedicato a stampa e media, dalle ore 9 alle ore 17. Domenica 4 febbraio 2018, Anteprima Amarone apre le porte al pubblico, dalle 10 alle 19 (biglietto di ingresso 40 euro, 35 euro con acquisto online).
L’Anteprima chiude lunedì 5 febbraio 2018, con un altro evento riservato agli operatori di settore, dalle ore 10 alle ore 17 (biglietto di ingresso: 35 euro, 30 euro con acquisto online).
IL BIGLIETTO
Il biglietto d’ingresso sarà presto acquistabile sul sito ufficiale dell’Anteprima Amarone. Comprende la degustazione dei vino presso i banchi d’assaggio delle aziende partecipanti (qui l’elenco delle aziende presenti nel 2017 all’Anteprima 2013) e l’assaggio di prodotti gastronomici nell’area dedicata.
Secondo i dati forniti da Assoenologi, nel 2014 la denominazione che ha tratto il maggior vantaggio dal miglioramento climatico di settembre è stato il Valpolicella.
In particolare è stata una buona annata per l’Amarone, ottenuto da uve d’appassimento, “la cui resa alla raccolta è stata ridotta dal 50% al 35%, con resa uva-vino leggermente sotto la media”. “L’andamento fermentativo – continua Assoenologi – si è svolto in maniera ottimale, aiutato anche dalle temperature ambientali più basse rispetto alle annate precedenti”.
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“Evitare di assimilare abuso alcool Paesi del Nord con il consumo consapevole e limitato delle bevande alcoliche della tradizione italiana”.
Questo l’obiettivo di Coldiretti e Federalimentare che, assieme al Governo Italiano e alla Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Ue, hanno preteso e ottenuto tale dichiarazione sulle Conclusioni del Consiglio Occupazione, politica sociale, salute e consumatori (in breve EPSCO).
Un principio espresso in allegato al documento della Presidenza UE. Nei giorni scorsi Coldiretti e Federalimentare erano intervenute proprio per chiedere l’impegno deciso del Governo “per tutelare da una nuova caccia alle streghe il vino che è la punta di diamante della filiera agroalimentare Made in Italy”.
I DETTAGLI
Nella dichiarazione si prende atto del fatto che “il tema è di grande rilevanza per le politiche sanitarie Ue” e quindi che “l’Italia non intende ostacolare alcuna proposta”. Tuttavia si ricorda “la positiva esperienza italiana che vede in generale il consumo medio della popolazione tra i più bassi in assoluto in Europa, in un contesto di stile alimentare e di vita sano”.
E si precisa che “per garantire l’efficacia delle politiche di prevenzione sia indispensabile un approccio multisettoriale”. L’adozione di misure fiscali, infatti, non costituisce di per sé una misura efficace, e anzi essa potrebbe stimolare modalità di approvvigionamento illecite. Inoltre si ricorda che ogni iniziativa nazionale in materia di etichettatura non debba violare i principi della libera circolazione dei beni tra gli Stati membri come previsti dai Trattati.
“Insistiamo sulla necessità che l’Unione europea distingua tra consumo equilibrato di bevande alcoliche nella dieta mediterranea e l’abuso di alcol emergenziale – dice Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare anche per rimanere in linea con le indicazioni e il linguaggio delle organizzazioni internazionali quali OMS, che distinguono sempre l’ uso dannoso di alcol e dal semplice consumo”.
“Il vino in questi anni è diventato l’emblema di uno stile di vita ‘lento’, attento all’equilibrio psico-fisico, che aiuta a stare bene con se stessi, da contrapporre proprio all’assunzione sregolata di alcol”, ha aggiunto il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel precisare che “si tratta di una componente determinante della dieta mediterranea che ha consentito all‘Italia di diventare il Paese più sano al mondo grazie al modello di qualità alimentare”.
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Con 15 mila accessi in 16 ore, il Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi di Piacenza 2017 passerà alla storia come quello della “transizione”. Un passaggio dal “sogno” alla “consapevolezza” per gli oltre 500 produttori riuniti sotto la guida di Matilde Poggi.
Una realtà, Fivi, con la quale il vino italiano ha ormai l’obbligo di confrontarsi. Più che nei due giorni di “Fiera”, nei 363 giorni restanti. Sburocratizzazione, sviluppo dell’enoturismo, riscoperta e valorizzazione dei vitigni autoctoni dimenticati. Le battaglie di Fivi trovano a Piacenza (e da quest’anno, per la prima volta, anche a Roma) un teatro ideale dal quale gettare sfide concrete al Made in Italy enologico.
Non a caso, il Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi 2017 è stato contraddistinto dal motto “Scarpe grosse, cervello Fivi“. Come a sottolineare l’appartenenza alla “terra” delle battaglie portate avanti da Poggi&Co. A Roma come a Bruxelles, spesso al posto di sindacati blasonati, ma attenti più agli equilibri di potere che agli interessi della “base”.
Eppure, qualche scaramuccia interna ha preceduto anche il Mercato dello scorso weekend. Gli esiti più evidenti nell’assemblea di domenica mattina, quando la maggioranza dei vignaioli ha votato per l’estromissione dalla Federazione delle Srl “partecipate” da altri gruppi.
Di fatto, come precisa la stessa Fivi, “non è stato (ancora, ndr) fatto fuori nessuno. E’ stato approvato il nuovo regolamento e ora la Federazione nazionale valuterà le situazioni caso per caso, con l’aiuto delle delegazioni regionali”. Tradotto: per belle realtà come Pievalta, c’è ancora da sperare.
VINI E VIGNAIOLI Che qualcosa sia cambiato, lo si avverte pure dall’altra parte dei banchetti. Osservando alcuni vignaioli e raccogliendo i loro commenti. Se un “bravo ragazzo” come Patrick Uccelli di Tenuta Dornach arriva a proporre sui social: “Tra 5 anni… Mercato dei vini FiVi solo per privati. Vinitaly solo per operatori. Sogno o realtà?”, ci sarà un motivo.
“Non stavo pensando a me – precisa poi il produttore altoatesino – pensavo a come poter far convergere le diverse aspettative/necessità delle due categorie, che solitamente in queste manifestazioni si sovrappongono per sommo dispiacere di entrambe”. Nulla di più sbagliato.
L’episodio (ben più grave) vede invece protagonista Nunzio Puglisi della cantina siciliana Enò-Trio. Che alla nostra richiesta di precisazioni sulle caratteristiche del vigneto di Pinot Noir sull’Etna, risponde stizzito: “Per un’intervista prendete un appuntamento per telefono o via mail e veniteci a trovare in cantina”.
“Ma siamo di Milano!”, precisiamo noi. “Sto lavorando, non ho tempo”, la risposta del fighissimo vignaiolo Fivi che ci scansa, rivolgendo la parola a un altro astante. Una macchia indelebile sull’altissimo tasso di “simpatia” e umiltà tangibile tra i vignaioli dell’intera Federazione.
Per fortuna, oltre agli incontri-scontri con vignaioli evidentemente troppo “fighi” per essere “Fivi”, il Mercato 2017 è stato un vero e proprio concentrato di “vini fighi”. Ve li riassumiamo qui, in ordine sparso. Ognuno meritevole, a modo suo, di un posto sul podio.
I MIGLIORI ASSAGGI 1) Bianco Margherita 2015, Cantine Viola (Calabria): Guarnaccia bianca 65%, Mantonico bianco 35%. Una piccola parte di Guarnaccia, a chicco intero e maturazione leggermente avanzata, viene aggiunta in acciaio a fermentazione partita. Bingo. Nota leggermente dolce e nota iodica perfettamente bilanciate. Vino capolavoro.
2) Verdicchio dei Castelli di Jesi 2015 “San Paolo”, Pievalta (Marche): Un tipicissimo Verdicchio, che matura 13 mesi sulle fecce fini e altri 7 in bottiglia, prima della commercializzazione. Lunghissimo nel retro olfattivo. Vino gastronomico. Nel senso che fa venir fame.
3) Vigneti delle Dolomiti Igt 2015 “Maderno”, Maso Bergamini (Trentino): Bellissimo esempio di come si possa produrre un vino “serio” e tutt’altro che “scimmiottato”, con la tecnica del “Ripasso” o del “Rigoverno”, veneto o toscano. Un vino prodotto solo nelle migliori annate, facendo rifermentare le uve Lagrein (già vinificate) sulle vinacce ancora calde di Teroldego appassito su graticci per 60 giorni.
Teroldego e Lagrein affinano poi assieme per un anno, in barrique di rovere francese, prima di essere imbottigliate nell’estate successiva. Il risultato è Maderno: vino di grandissimo fascino e di spigolosa avvolgenza.
4) Erbaluce di Caluso Spumante Docg Brut 2013 “Calliope”, Cieck (Piemonte): C’è chi fa spumante per moda e chi lo fa perché, a suggerirlo, sono territorio e uvaggio allevato. Dopo Merano, premiamo la splendida realtà piemontese Cieck anche al Mercato Fivi 2017.
Tra i migliori assaggi, questa volta, lo sparkling dall’uvaggio principe della cantina: l’Erbaluce di Caluso. La tipicità del vitigno è riconoscibile anche tra i sentori regalati dai 36 mesi di affinamento sui lieviti. Uno spumante versatile nell’abbinamento, ma più che mai “vero” per quello che sa offrire nel calice.
5) Sannio Rosso Doc 2010 “Sciascì”, Capolino Perlingieri (Campania): La bella e la bestia in questo fascinoso blend prodotto da Alexia Capolino Perlingieri, donna capace di rilanciare un marchio di prestigio della Campania del vino, come cantina Volla.
“Sciascì” coniuga la struttura “ossea” dell’Aglianico e la frutta avvolgente tipica dell’autoctono Sciascinoso. Rosso rubino, bel tannino in evoluzione, frutto elegante. Due anni in botte grande e tre in bottiglia per un vino di grande prospettiva futura.
6) Pecorino Igt Colline Teatine 2016 “Maia”, Cantine Maligni (Abruzzo): Forse l’azienda che riesce a colpire di più, al Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi, per la completezza dell’offerta e lo sbalorditivo rapporto qualità-prezzo (6 euro!).
Cantine Maligni – realtà che ha iniziato a imbottigliare nel 2011 e lavora 10 ettari di terreno, sotto la guida di Fabio Tomei – porta al tavolo un fenomeno su tutti: il Pecorino Maia, non filtrato.
Giallo velato con riflessi verdolini, profuma di frutta matura, mela cotogna, pera Williams. Note morbide che traggono in inganno, materializzando la possibilità di un’alcolicità elevata.
Maia si assesta invece sui 12,5% e regala un palato stupefacente, pieno, ricco, “ciccione”, con frutta e mineralità iodica perfettamente bilanciate. Un altro vino che fa venir fame del corretto abbinamento gastronomico.
7) Spumante Metodo Classico Pas Dosè 2010, Vis Amoris (Liguria): E’ il primo spumante metodo classico prodotto al 100% da uve Pigato. E la scelta pare più che azzeccata. Una “chicca” per gli amanti di vini profumati ma taglienti come il Pigato.
Coraggioso, poi, produrre un “dosaggio zero”. Segno del rispetto che Roberto Tozzi nutre nei confronti dei frutti della propria terra, che non stravolge nel nome delle leggi di un mercato che avrebbe preferito – certamente – più “zucchero” e più facilità di beva.
Intendiamoci: il Pigato Pas Dosè di Vis Amoris va comunque giù che è una bellezza. Ammalia al naso, come in Italia solo i migliori Pigato sanno fare. Per rivelare poi una bocca ampia, evoluta, di frutti a polpa gialla e mandorla. Sullo sfondo, anche una punta di idrocarburo (al naso) e un filo di sentori tipici del lievito, ben contestualizzati nel sorso.
8) Terre Siciliane Igp 2014 “Sikane”, Baronia della Pietra (Sicilia): Altra bellissima realtà fatta di passione e competenza, già incontrata da vinialsuper al Merano Wine Festival 2017. Tra i migliori assaggi del Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi 2017 brilla anche il vino rosso “Sikane”, blend di Nero d’Avola e Syrah (60-40%). Dieci mesi in barrique, minimo 3 in bottiglia prima della commercializzazione.
Altro vino dall’ottimo rapporto qualità-prezzo, prodotto in zona Agrigento dalla famiglia Barbiera. Un rosso che si fa apprezzare oggi per l’eleganza: del tannino, nonché delle note fruttate pulite e nette. Una bottiglia “Made in Sicilia” da dimenticare in cantina e riscoprire tra qualche anno.
A dicembre sarà invece imbottigliato il Nero d’Avola-Merlot passito di Baronia della Pietra, in commercio a partire da marzo 2018. Bottiglie da 0,50 litri, “rotondeggianti”. Vendemmia 2015, 16-17% d’alcol in volume. Viste le premesse, si preannuncia una scommessa vinta in partenza. Ma ne parleremo nei prossimi mesi, dopo averlo testato.
9) Lappazucche, Berry And Berry (Liguria): “Pietra, fatica e passione” costituiscono il fil rouge di questa curiosa cantina di Balestrino, in provincia di Savona, condotta da Alex Beriolo. Un marketing fin troppo “spinto” sul packaging, forse, rischia di incuriosire il consumatore in maniera troppo “leggera”. Alla Berry And Berry, invece, si fa davvero sul serio. Si sperimenta e si valorizza vitigni autoctoni a bacca rossa come il Barbarossa, che rischiano di scomparire.
Lappazucche è appunto un blend, composto all’80% da Barbarossa e al 20% da Rossese, vinificati in acciaio. Le uve di Barbarossa, sulla pianta, sembrano Gewurztraminer per il loro colore rosa. Una nuance leggera, che ritroviamo anche nel calice.
Una tonalità che comunica la delicatezza del vitigno Barbarossa e del fratello Rossese, dotato di buccia poco spessa e particolarmente esposto al rischio malattie. Questo, forse, il senso di un calice che sembra parlare della fragilità della terra, in balia delle scelte dell’uomo.
Se è vero che Fivi è anche filosofia, Lappazucche potrebbe esserne il simbolo ideale. E quei richiami speziati, percettibili nel retro olfattivo e tipici del Rossese, la metafora perfetta delle battaglie ancora da intraprendere. Con coraggio.
10) Falanghina del Sannio Doc 2012 “Maior”, Fosso degli Angeli (Campania): Poche parole per descrivere un capolavoro. Un vino completo, a cui non manca davvero nulla. Neppure il prezzo, ridicolo per quello che esprime il calice. Naso tipico, giocato su richiami esotici.
Palato caldo, ricco, ampio, corrispondente, con l’aggiunta di una vena minerale che conferisce eleganza e praticità alla beva. Di Fosso degli Angeli, ottimo anche il Sannio Rosso Dop Riserva 2012 “Safinim”, ottenuto da Aglianico e Sangiovese cresciuti a 420 metri d’altezza sul livello del mare.
11) Azienda Agricola Alessio Brandolini (Lombardia): Dieci ettari ben distribuiti in due aree, suddivise con rigore scientifico per la produzione di Metodo Classico e vini rossi. L’Azienda Agricola Alessio Brandolini è una di quelle realtà tutte da scoprire in quel paradiso incastonato a Sud di Milano che è l’Oltrepò Pavese.
Alessio ci fa assaggiare in anteprima un Pas Dosè destinato a un futuro luminoso. Chiara l’impronta di un maestro come Fabio Marazzi, vero e proprio rifermento oltrepadano per tanti giovani che, come Brandolini, lavorano nell’umile promozione di una grande terra di vino, capace di sfoderare spumanti Metodo Classico degni dei più prestigiosi parterre enologici.
Di Brandolini, ottima anche la Malvasia secca “Il Bardughino” Provincia di Pavia bianco Igt: un “cru” con diverse epoche di maturazione che dimostra la grande abilità in vigna (e in cantina) di questo giovane vigneron pavese.
Da assaggiare anche il Bonarda Doc “Il Cassino” di Alessio Brandolini. Sì, il Bonarda. Quello che in pochi, in Oltrepò, sanno fare davvero bene come lui.
12) Calabria Igp 2013 “Barone Bianco”, Tenute Pacelli (Calabria): Chi è il Barone Bianco? Di certo un figuro insolito per la Calabria. Ma così “ambientato”, da sembrare proprio calabrese. Parliamo di Riesling, uno dei vitigni più affascinanti al mondo. Giallo brillante, frutta esotica matura e una mineralità che, già al naso, si pregusta prima dell’assaggio.
Al palato, perfetta corrispondenza con il naso. Un trionfo d’eleganza calabrese, per l’ennesimo vino Fivi “regalato”, in vendita a meno di 10 euro. “Barone bianco” è anche la base di uno spumante, “Zoe”, andato letteralmente a ruba a Piacenza.
Interessantissimo, di Tenute Pacelli, piccola realtà da 20 mila bottiglie che opera a Malvito, in provincia di Cosenza, anche il “taglio bordeaux-calabrese”, la super riserva 2015 “Zio Nunù”: Merlot e Cabernet da vigne di oltre 40 anni che, come per il Riesling, fanno volare la mente lontana da Cosenza. Verso Nord, oltre le Alpi.
13) Frascati Docg Superiore Riserva “Amacos”, De Sanctis (Lazio): Altro vino disorientante, altra regione italiana dalle straordinarie potenzialità, molte delle quali ancora da esprimere. Dove siamo? Questa volta nel Lazio, a 15 chilometri da Roma. Più esattamente nei pressi del lago Regillo. Per un Frascati da urlo, ottenuto dal blend tra Malvasia puntinata e Bombino bianco.
Un invitante giallo dorato colora il calice dal quale si sprigionano preziosi sentori di frutta matura. E’ l’antipasto per un palato altrettanto suadente e morbido, ma tutt’altro che banale o costruito. Anzi. I terreni di origine vulcanica su cui opera De Sanctis regalano una splendida mineralità a un Frascati fresco, aristocratico e nobile.
14) Verticale Valtellina Superiore Sassella Docg “Rocce Rosse”, Arpepe: Ve ne parleremo presto dell’esito, entrando nel merito di ogni calice, della verticale “privata” condotta a Piacenza Expo da Emanuele Pelizzatti Perego, “reggente” di quello scrigno enologico lasciato in eredità dal padre Arturo. Un vino, “Rocce Rosse”, già entrato di diritto nella storia dell’enologia italiana e mondiale. Un rosso proiettato nel futuro.
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PIACENZA – “Scarpe grosse, cervello FIVI”. È questo il messaggio del settimo Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti organizzato da FIVI in collaborazione con Piacenza Expo. Una due giorni che che avuto inizio sabato 25 novembre ed è terminata poco fa.
Alle ore 19, gli ingressi staccati nel weekend hanno raggiunto quota 15 mila: 6 mila in più dello scorso anno. Un evento che si ripeterà il 24 e 25 novembre 2018, quando la FIVI festeggerà i 10 anni di vita.
“Siamo convinti che il successo crescente del Mercato – ha dichiarato la presidente FIVI Matilde Poggi – sia la diretta conseguenza della credibilità che ci stiamo guadagnando a livello istituzionale, in Italia come in Europa. Abbiamo le scarpe grosse e il cervello FIVI, le mani nella terra e la testa rivolta a una causa comune”.
Tante sono infatti le battaglie condotte durante l’anno in corso e tante sono ancora quelle da combattere. Dall’etichetta nutrizionale, giudicata dalla FIVI un inutile aggravio, alla regolamentazione dell’Enoturismo, di cui FIVI come componente della CEVI (Confederazione Europea dei Vignaioli Indipendenti) sta discutendo con le istituzioni europee.
Ma anche e soprattutto la sburocratizzazione di un settore, quello vitivinicolo, “schiacciato da una burocrazia che ostacola il ruolo di tutela del territorio che il vignaiolo riveste”.
Tutti temi di cui si è discusso nell’assemblea della domenica mattina, durante la quale sono stati premiati come Vignaioli dell’anno, di fronte a una platea di vignaioli commossi, Germana Forlini e Alberto Cappellini, coppia in vigna e nella vita nelle Cinque Terre, più esattamente nel Comune di Riomaggiore.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
(5 / 5) E’ l’Azienda agricola Giol di San Polo di Piave (TV) a produrre il Prosecco Doc Treviso Extra Dry “Le Gerette”, vino biologico della linea Iper “Grandi Vigne“.
Senza dubbio uno dei migliori Charmat in circolazione per fascia prezzo, nell’intero panorama della grande distribuzione.
Un vino che avrebbe certamente dato filo da torcere ad almeno due dei tre Prosecco finiti sul podio della nostra degustazione alla cieca di “bollicine” venete.
LA DEGUSTAZIONE
“il vino dovrebbe essere un alimento: pura spremuta d’uva biologica fatta fermentare nel modo più povero possibile”, si legge sul sito di Giol. Non ci sono parole migliori per descrivere quanto il Prosecco “Le Gerette” Grandi Vigne riesca ad esprimere nel calice.
Giallo paglierino, lievi sfumature dorate che brillano mentre la spuma si dissolve. Al naso una marcia in più rispetto a tanti altri vini della stessa denominazione. Alle tipiche note di frutta a polpa bianca e fiori freschi (una pera fine e un’armoniosa acacia) fanno eco dolci richiami al miele, sempre d’acacia, ma anche ad erbe come la salvia. Poi scorza d’arancia e un lievissimo sentore di pepe bianco, appena percettibile.
Un olfatto molto intrigante, insolito per un vino considerato (spesso a buona ragione) come “entry level”. La bocca non delude. Anzi. Il Prosecco “Le Gerette” Grandi Vigne entra dritto, ancor più tipico che al naso. Si ammorbidisce al centro del sorso, quando frutta e miele la fanno da padrona. Dura un momento: ecco dunque ritorni freschi erbacei, di mentuccia e salvia. Il tutto, prima di una chiusura giustamente sapida, che non fa altro che invogliare al nuovo assaggio.
Con cosa abbinare questo Prosecco? Col rispetto, innanzitutto. Il rispetto per chi sa proporre “vini comuni ma diversi”, anche nella Grande distribuzione. Lo ha fatto Iper. E lo fa certamente l’azienda agricola Giol, che visiteremo nel 2018, per un resoconto globale della produzione di vini senza solfiti aggiunti, biologici e vegani.
In cucina, questo sparkling è perfetto a tutto pasto, come aperitivo. Ma può accompagnare più che dignitosamente piatti di pesce non troppo elaborati, dall’orata o il branzino al sale alle fritture. Non disdegna neppure carni leggere, bianche.
LA VINIFICAZIONE
La vinificazione del Prosecco Doc Treviso “Le Gerette” della linea Iper “Grandi Vigne” avviene in maniera tradizionale per la tipologia. Ovvero con il metodo Charmat, che prevede la rifermentazione delle uve Glera in ampi recipienti di acciaio, le autoclavi.
Un processo di spumantizzazione curato in conto terzi dall’azienda agricola Vigna Samuel di Sperandio Flavio, a San Vendemiano, sempre in provincia di Treviso. Azienda che, sull’etichetta del Prosecco bio Grandi Vigne, è indicata con il riferimento ICRF TV 7682 IT.
Prezzo: 7,75 euro
Acquistato presso: Iper, la grande I
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
MILANO – Una degustazione di alcune tra le migliori etichette di vino presenti al supermercato scovate da vinialsupermercato.it, con premiazione della “Miglior cantina Gdo 2017”, che presenterà al pubblico i suoi vini.
Ingresso a 15 euro, comprensivo di calice per la degustazione e assaggi di formaggi e salame dell’Oltrepò pavese. Disponibile menu alla carta.
I DETTAGLI
Vinialsupermercato.it, testata giornalistica giovane e dinamica con base a Milano, è l’unico sito in Italia che aiuta a scegliere il vino presente sugli scaffali delle maggiori insegne della Grande distribuzione organizzata.
Con un voto espresso in “cestelli della spesa” all’inizio di ogni recensione, rendiamo immediata la comprensione del “valore” assegnato a ogni singola bottiglia, soprattutto in un’ottica qualità prezzo.
Ma non solo. Raccontiamo anche le piccole realtà: piccole cantine che – per scelta o per dimensioni limitate – non presentano le proprie etichette al supermercato, scegliendo di vendere solo in enoteca. Spazio anche al racconto delle nuove frontiere del wine: vini naturali, biologici e biodinamici.
Una sezione di news sul mondo del vino, delle birre e dei distillati, oltre a una rubrica di cucina, completano l’offerta ai lettori. Non mancano le sezioni dedicate ai “Wine tour”: i nostri viaggi, in Italia e all’estero, a caccia di eccellenze enologiche da scoprire.
La speranza è quella di incontrarvi presto, in occasione del nostro primo evento pubblico! Ti aspettiamo sui Navigli di Milano, al Movida, il 29 ottobre. Non mancare!
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(5 / 5) L’Abruzzo del vino deve il suo successo, specie negli ultimi anni, al Pecorino (oltre al classico Montepulciano). Ma sul mercato si fa largo un vitigno autoctono abruzzese a bacca bianca: la Cococciola. E’ Auchan a portarlo alla ribalta sui propri scaffali. Obiettivo centrato non solo nello straordinario rapporto qualità prezzo.
La valorizzazione dei vitigni autoctoni da parte delle insegne di supermercati è un aspetto che troppi buyer ancora sottovalutano. Giù il cappello per il coraggio dimostrato dalla catena francese del gruppo Adeo. Ennesima riprova delle positive ricadute di una “buona Gdo” sul tessuto vitivinicolo.
LA DEGUSTAZIONE
Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper finisce così la Cococciola 2016 “Niro” di Citra Vini, consorzio di 9 cantine sociali che ha come obiettivo quello di “selezionare, controllare e valorizzare la migliore produzione enologica della provincia di Chieti”.
Nel calice, il vino si presenta di un giallo paglierino limpido dai riflessi dorati. Al naso, la Cococciola parla una lingua esotica, capace di scaldare il cuore: una spremuta d’agrumi, papaya e pesche. Un olfatto ammiccante, reso più serioso da evidenti note minerali e da interessanti richiami di foglia di pomodoro secca.
L’ingresso in bocca di “Niro” è morbido e fa pensare a quel 13% d’alcol in volume indicato in etichetta. Una percezione che limita a tradursi in seta per il palato, carezzevole, tutt’altro che stordente. Poi arriva il pizzicotto dell’acidità e della sapidità. Durezze perfettamente equilibrate in un sorso che si fa sempre più interessante.
Non stiamo certo parlando di un vino particolarmente “complesso” in termini d’aromi. Quel che colpisce è la sua evoluzione fatta di gradini netti e ben definiti, come l’incedere dei capitoli di un libro che svela piccoli segreti, prima della verità finale. Frutta e i richiami floreali freschi. Poi l’acidità. Quindi la sapidità.
Prima della scritta “the end”, la Cococciola 2016 di Citra Vini regala una lunga chiusura su note piacevolmente fresche e agrumate, capaci di chiamare il sorso successivo e di accompagnare il piatto in maniera quasi spasmodica.
Accompagnamento perfetto, quest’autoctono Igp Terre di Chieti, per piatti a base di mare: dalle insalate ai crudi, passando per i crostacei. Da provare con il sushi. Un’etichetta che non disdegna neppure la carne bianca. Purché si badi a una temperatura di servizio tra i 10 e i 12 gradi.
LA VINIFICAZIONE
Di Cococciola, in Abruzzo, non ce n’è molta. Che la si chiami così, oppure “Cacciola” o “Cacciuola”, si parla di poco meno di 500 ettari. Citra Vini seleziona i grappoli e li raccoglie a mano. La tecnica di vinificazione di “Niro” prevede una pressatura soffice degli acini. Il mosto viene lasciato decantare diverse ore, prima della fermentazione a temperatura controllata.
Operativa dal 1973 in Contrada Cacullo a Ortona, in provincia di Chieti, Citra Vini si pone come “punto di riferimento” in un’area in cui la viticoltura è il pane quotidiano per molte famiglie. Non a caso, Chieti è la seconda provincia italiana (la prima in Abruzzo) per quantità di uva raccolta di vendemmia in vendemmia.
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(3,5 / 5) Un classico abruzzese dal nome accattivante, sugli scaffali di Simply Market. E’ il Montepulciano Dop “La farfalla” di Cantina Tollo. Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper, la vendemmia 2016.
LA DEGUSTAZIONE Nel calice, il vino appare di un colore rosso rubino acceso e brillante. Al naso il bouquet è ampio e complesso, si percepiscono sentori fruttati di marasca e ribes. Non mancano le note speziate, di pepe nero. Al palato, il Montepulciano Dop 2016 di Cantina Tollo si percepisce secco, caldo, morbido, di buona acidità che conferisce freschezza, sapido e piuttosto tannico.
Siamo dunque di fronte a un vino giovane, con ampi margini di miglioramento nel tempo, in bottiglia. Attualmente, questo rosso abruzzese appare piuttosto sbilanciato sulle durezze, che prevalgono soprattutto per la percezione dei tannini.
Un vino che potrebbe regalare sensazioni amplificate lasciandolo a riposo un paio d’anni. “La farfalla” è abbinabile con antipasti a base di salumi e affettati, primi piatti saporiti, secondi di carne, formaggi freschi e semi stagionati.
LA VINIFICAZIONE Uve Montepulciano in purezza, raccolte nella prima settimana di ottobre. I vigneti di Cantina Tollo hanno un’età compresa tra i 15 e i 20 anni, allevati a tendone con esposizione sud-est, in terreni argillosi-limosi, ubicati nel comuni di Tollo e Giuliano Teatino, a un’altezza di 150 metri sul livello del mare.
Le uve vengono pressate a contatto con le bucce, a temperatura controllata, per 6-8 giorni. Dopo la fermentazione viene effettuata una parziale malolattica. Le Farfalle affina quindi per 6 mesi in serbatoio di acciaio inox, prima dell’imbottigliamento.
Cantina Tollo opera nell’omonima contrada della provincia teatina (Chieti). I vigneti si estendono su una superficie di oltre 3 mila ettari, dalle colline del litorale fino alle pendici dei monti, in un clima tipicamente mediterraneo, temperato, con escursioni termiche notevoli. La produzione è concentrata esclusivamente sui vitigni tipici e autoctoni del territorio, coltivati tradizionalmente a pergola.
Prezzo: 3,99 euro
Acquistato presso: Simply Market
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(2 / 5) Il vino Terre Siciliane si presenta nel calice di un colore giallo paglierino. Al naso si percepisce abbastanza intenso e complesso, con sentori floreali e fruttati che spaziano dalla frutta esotica alla frutta matura a polpa bianca, in cui primeggiano la mela, il cedro ed il pompelmo.
Al palato appare secco, abbastanza caldo e morbido, fresco, sapido. Nel complesso abbastanza equilibrato, anche se prevalgono le durezze dovute dalla giovane annata. Un vino che può essere degustato anche nei prossimi mesi, quando dovrebbe risultare meno “spigoloso”.
Si accosta bene a tutti i piatti di pesce, soprattutto antipasti di pesce crudo e crostacei, formaggi a pasta molle, ma anche a primi piatti di pasta con verdure, secondi di pesce e carni bianche. Da provare in abbinamento ad una vellutata gustosa come la crema di patate di Siracusa.
LA VINIFICAZIONE
Lo Chardonnay Terre Siciliane Igt 2016 dell’azienda Duca di Saragnano è ottenuto da uve Chardonnay raccolte durante la prima quindicina di settembre. La vinificazione avviene in acciaio. A novembre viene unita una piccola percentuale di Insolia (vendemmiata a fine agosto).
Il blend resta dunque a riposo sino a febbraio, a temperatura controllata, in modo che i loro caratteri specifici si fondano. L’affinamento avviene poi, per almeno un mese, in bottiglia.
Saragnano è il nome della frazione del Comune di Baronissi, in provincia di Salerno. La storia dell’azienda risale all’Alto Medioevo, nel X secolo d.c., quando il Meridione fondò nell’entroterra Baronissi e Saragnano, per allontanarsi dalle incursioni dei pirati saraceni.
Il Duca di Saragnano si distinse per aver combattuto con coraggio ed onestà, anche se gli arabi ebbero la meglio. Il duca si rifugiò con la famiglia nel centro Italia, protetto dal Sacro Romano Impero.
Dopo l’allontanamento degli arabi, uno dei discendenti divenne un grande amico di Luigi Barbanera, che concesse al casato di tornare nella terra natale e così la linea dei vini assunse questo nome.
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Voliamo in Grecia per il racconto di Melissanthi 2016, vino bianco biologico prodotto da Porto Carras nell’area della Denominazione di origina controllata Meliton Slopes (Protected Designation of Origin, “Pdo”). Un blend di uve autoctone della Macedonia, allevate sulla penisola centrale della Calcidica.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, Melissanthi 2016 si presenta di un giallo dorato. Naso dall’impronta minerale netta, come nelle migliori delle aspettative per un vino greco. Il contorno è piacevole, tra la la frutta esotica, l’agrume maturo e il melograno.
Non mancano i richiami vegetali alla macchia mediterranea, soprattutto al rosmarino. Completa l’olfatto di Mellisanthi una nota di miele millefiori, che avanza nel calice grazie all’ossigenazione, assieme a ricordi di cera d’api e liquirizia dolce.
Un olfatto complesso, dunque. Al palato, questo blend di Porto Carras risulta tagliente, per la buona acidità espressa, ma in netto equilibrio con le altre componenti. Melissanthi gioca quasi esclusivamente su note agrumate, dall’ingresso sino al fin di bocca. Intervallate da percezioni erbacee già apprezzate all’olfatto.
La chiusura, amarognola, ricorda quella di certi vermentini sardi. Questo bianco greco si abbina con piatti di mare, primi leggeri a base di pasta, carni bianche e cucina orientale.
LA VINIFICAZIONE
Mellissanthi 2016 è ottenuto da uve Athiri, Assyrtiko e Roditis allevate nella Pod Meliton Slopes. Si tratta di piante di 45 anni di età, situate a un’altezza compresa fra i 300 e i 400 metri sul livello del mare. Le viti affondano le radici in terreni prettamente sabbiosi.
Uva volta raccolte le uve, la tecnica di vinificazione prevede un contatto del mosto con le bucce a bassa temperatura. La fermentazione avviene in acciaio, con l’aggiunta di lieviti selezionati, alla temperatura di 16-18 gradi. Il vino matura in seguito sulle bucce per diversi mesi, prima della filtrazione e dell’imbottigliamento che anticipano la commercializzazione.
Domaine Porto Carras vanta il più grande vigneto in Grecia atto alla produzione di “organic wines”, vini biologici. Quattrocentocinquanta gli ettari a disposizione della cantina di Sithonia, realizzata nel 1970. E’ al noto enologo Émile Peynaud, professore dell’Università di Bordeaux, che si deve parte del successo di Porto Carras. Oggi vengono allevate 26 differenti varietà di uva.
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(5 / 5) Massimo dei voti nella scala di valutazione di vinialsuper per il Carignano del Sulcis Riserva Doc 2014 “Kanai” di Sardus Pater. L’ennesima prova che in Italia esistono realtà cooperative capaci di valorizzare il territorio, anche fuori dal Trentino Alto Adige.
Lo sanno bene alla Società cooperativa Sant’Antioco, formula con la quale opera sul mercato – e anche in Gdo – la cantina Sardus Pater. Mettici poi l’abile consulenza di Riccardo Cotarella, attuale presidente di Assoenologi, e il quadro è completo.
LA DEGUSTAZIONE Kanai si veste di un rosso rubino impenetrabile. Le rotazioni del nettare nel calice evidenziano lacrime e archetti ben delineati: segno di una componente alcolica considerevole. Di fatto, questo Carignano del Sulcis registra un 15% d’alcol in volume.
Uno dei pregi del Carignano del Sulcis di Sardus Pater è il perfetto equilibrio dell’alcol al palato, amalgamato con la ricchezza e la complessità del resto dei descrittori. E’ al naso che il vino appare di primo acchito molto “caldo”. Come le padelle appena usate e gettate sotto l’acqua, sembra emanare calore, assieme a generosi e intensi sentori di frutta rossa, radici di liquirizia e spezie come il chiodo di garofano.
Lo sfondo balsamico, fresco, ingentilisce in ingresso di bocca questo potente vino rosso della Sardegna. L’alcol sembra evaporare, mentre si accendono di seguito le note di frutta e spezie, corrispondenti a quelle percepite al naso. Di nuovo la liquirizia, prima di inattesi sapori di frutta secca: fichi, su tutti. La chiusura è lunghissima, tendente a un amarognolo riconducibile al rabarbaro.
Una complessità pronta ad arricchirsi di minuto in minuto, con l’ossigenazione del vino del calice. Tanto da richiedere, nell’abbinamento in cucina, portate altrettanto complesse. Il Carignano del Sulcis Riserva 2014 Kanai si abbina a piatti a base di selvaggina e cacciagione, agnello al forno, formaggi stagionati e impreziositi dal tartufo. Rigorosa la temperatura di servizio, tra i 18 e i 20 gradi.
LA VINIFICAZIONE
La zona di produzione del Carignano Riserva Kanai è l’isola di Sant’Antioco, all’estremo Sud-Ovest della Sardegna. Nell’omonima cittadina di 11 mila abitanti opera la cooperativa Sardus Pater. Le uve, conferite da 200 soci, provengono da un’area vitata complessiva di 300 ettari. La maggior parte dei vigneti sono proprio di uva Carignano. I più antichi proprio sull’isola di Sant’Antioco, di età compresa tra i 50 e gli 80 anni.
Vigneti impiantati su terreni sabbiosi, con basse rese per ettaro, che producono uve di assoluta qualità. Il Carignano Kanai, in particolare, è ottenuto da vigneti allevati ad alberello a piede franco (ovvero da viti originarie, non innestate). Densità d’impianto di 7-8 mila piante, con produzioni di 35 quintali per ettaro.
La vendemmia, nel 2014, è avvenuta durante la quarta settimana del mese di settembre. Vinificazione e fermentazione delle uve Carignano hanno avuto luogo in acciaio. La fermentazione malolattica, utile alla trasformazione dell’acido malico in acido lattico, è invece avvenuta interamente in barrique.
Anche l’affinamento si è svolto in barrique di allier, per una durata complessiva di 10 mesi. Prima della commercializzazione, Kanai ha riposato altri 6 mesi in bottiglia. Sorprendente la qualità del prodotto, soprattutot in rapporto con il prezzo.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Abbiamo degustato tre vini dolci aromatici piemontesi reperibili nei supermercati Esselunga (ma non solo). Obiettivo: sapersi orientare quando l’occasione richieda un vino dolce. Natale, tutto sommato, non è poi così lontano.
E allora ecco le nostre impressioni sulla Malvasia di Castelnuovo Don Bosco Doc “Nevissano” di Terredavino, sul Brachetto d’Acqui 2016 di Braida e sul Moscato d’Asti 2016 “Su Reimond” di Bera. Prima, però, qualche breve accenno sui vitigni cosiddetti “aromatici”.
Brachetto, Moscato e Malvasia (solo alcune varietà) sono tre dei principali vitigni aromatici. Ci sono due strade per spiegare cosa siano. La prima prende in causa terpeni come nerolo e geraniolo (no, non sono nani di Biancaneve) e ne dà una spiegazione scientifica.
La seconda via è probabilmente più efficace: un vitigno è aromatico se un chicco d’uva appena raccolto e il vino che se ne ricava restituiscono le stesse sensazioni aromatiche. Per questo i vini aromatici sono in genere molto facili da individuare, anche per i meno esperti.
(2 / 5) Malvasia di Castelnuovo Don Bosco Doc Nevissano, Terredavino (6.5% vol)
Il colore fa subito festa, è rosa chiaretto intenso, molto vivo, brillante, con una leggera componente gialla. La spuma, subito corposa, scompare presto nel bicchiere.
Al naso il vino è intenso, di lampone, fragola e rosa. Sullo sfondo una leggerissima nota di lievito. In bocca è dolcissimo, al limite della stucchevolezza. Purtroppo la componente acida e nemmeno l’effervescenza riescono a compensare questo effetto “ghiacciolo all’amarena”. Questo nonostante sia stato degustato a circa 5 gradi e nonostante il produttore ne consigli una degustazione a 8-10 gradi.
Abbiamo fatto la prova anche a quella temperatura e sebbene emergano note leggermente più evolute, la sensazione di avere nel bicchiere qualcosa di davvero troppo dolce non scompare. Finisce leggermente ammandorlato, apprezzabile.
L’abbinamento più congeniale è con frutta secca e pasticceria secca non troppo dolce. Assieme ad una confettura potrebbe davvero dare un risultato eccessivamente stucchevole.
Prezzo: 6,79 euro (Esselunga)
(3 / 5) Brachetto d’Acqui 2016, Braida (5.5% vol)
Colore difficile da definire secondo i criteri usuali. Non è rosso e non è rosato. Ricorda certi calici di cristallo che si usavano parecchi anni fa, colorati di rosso, quando ad interessarsi del colore di quanto ci si versava erano davvero in pochi.
La luminosità anche in questo caso non manca, così come alcuni riflessi leggeri verso il giallo. Il naso è fine e molto interessante, di amarena, rosa e un ricordo di cioccolato.
La dolcezza anche in questo caso la fa da padrone anche se una nota fresca abbastanza decisa e una leggera frizzantezza ne limitano fortunatamente la percezione. Questo vino si abbina molto bene a dolci al cioccolato, per esempio ad un panettone farcito.
Prezzo: 9,90 euro (Esselunga)
(4 / 5) Moscato d’Asti 2016 “Su Reimond”, Bera (5% vol)
Nel calice si mostra di un bel giallo paglierino brillante con bollicina finissima e molto persistente. Il naso è finissimo e molto classico di pesca, salvia e con una affascinante nota citrina, anche in scorza.
Sebbene sia molto dolce, qui la freschezza davvero gioca un ruolo fondamentale riuscendo a bilanciarne le sensazioni gustative. Decisa sensazione agrumata, tanto da ricordare la cedrata, con un leggero pizzicore sulla lingua che non spiace affatto.
Anche sul finale è l’agrume a farla da padrone, sicuramente il più interessante dei tre. Biscotti, frutta secca, panettone e pandoro, ma anche crostate di frutta e piccola pasticceria troveranno un buon alleato in questo Moscato.
Prezzo: 8,20 euro (Esselunga)
LA TEMPERATURA DI SERVIZIO Una nota importante: i vini dolci non sono affatto semplici da servire. La temperatura riveste per questi vini, molto più di quanto sembri, un ruolo fondamentale.
Tipicamente vengono serviti a fine pasto, quando l’attenzione alla tavola pian piano viene meno (anche a causa delle bottiglie aperte prima…). Si apre la bottiglia, la si mette in tavola, poi si taglia il panettone, si ascolta una barzelletta dello zio, e i minuti passano.
La temperatura in sala da pranzo raggiunge facilmente i 24 gradi, il vino in men che non si dica arriva a 10, 12, 15… temperature alle quali si degusta bene una buona Barbera evoluta. Immancabilmente il giudizio sul vino dolce è: “Troppo dolce”.
Non abbiate paura ad usare la glacette per un moscato da 8 euro, o a tenerlo fuori, sul davanzale della finestra, dove le temperature si avvicinano allo 0. Ne gioveranno tutti.
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(3 / 5) Un packaging invitante con il quale Sensi Vini da sempre si distingue sugli scaffali del supermercato per un vino biologico e vegano. Ecco i tre “assi”che l’azienda di Lamporecchio sfodera sul tavolo da gioco del consumatore della Gdo. Il quarto asso è naturalmente il vino. Dopo il Sangiovese Igt Ninfato, “scartiamo” il Chianti Superiore Docg, vendemmia 2015, Vegante.
LA DEGUSTAZIONE Se fosse un aggettivo, il Chianti Superiore Docg 2015 Vegante di Sensi sarebbe “delicato”. Già dal colore rosso rubino chiaro (delicato), ma brillante e luminoso. Assolutamente limpido, nonostante non sia filtrato.
Un profumo di ciliegia fine lo contraddistingue al naso: semplice, leggero. “Delicato” per il Vegante potremmo scriverlo all’infinito, per tutte le sue caratteristiche gustative. Anche al palato è lieve, leggiadro nel corpo, carezzevole nel tannino.
Un Chianti un po’ “atipico”, ma fresco e gradevole, con una retrogusto fruttato sufficientemente persistente. Sangiovese light (12,5%) da gustare anche con qualche grado in meno, abbinato a verdure grigliate, legumi e piatti della cucina vegana o “veganizzabili”.
LA VINIFICAZIONE Prodotto con uvaggi storici del Chianti accuratamente selezionati ed allevati a cordone speronato in zone collinari a 150-250 mt s.l.m., costituite da terreni prevalentemente argillosi, calcareo-marnosi e con prevalenza di sabbia e ciottoli. Le rese delle uve per ettaro non superano i 90 q.li e la resa massimo di uva in vino non supera il 70%.
Da un attento controllo ed analisi delle uve viene determinato il periodo di raccolta ottimale nella fine di Settembre metà Ottobre. Le uve sono selezionate manualmente. La fermentazione alcolica viene condotta in serbatoi di acciaio a temperatura controllata di 24/28 °C per circa 10-12 giorni di macerazione sulle bucce utilizzando tecniche di rimontaggio.
La fermentazione è spontanea, con lieviti indigeni. Il vino viene affinato in acciaio dove svolge la malolattica e viene conservato fino all’imbottigliamento. Non viene filtrato e la certificazione vegana garantisce che nei processi produttivi non venga utilizzato alcun prodotto di derivazione animale.
La storia della famiglia Sensi risale al 1890. La maggiore concentrazione sulla viticultura però si ha con la terza generazione, ma è con la quarta generazione, a partire dalla fine degli anni ottanta che l’azienda diventa leader anche nei mercati internazionali.
Dopo un periodo di smarrimento, nel 2004, per la prematura scomparsa di Marco Sensi, Massimo, a testa bassa, prende il testimone dell’azienda e porta avanti tutti i progetti avviati con il fratello. Oggi, nelle due fattorie di proprietà, la Tenuta del Poggio e la Fattoria di Calappiano, dispone di 100 ettari tra vigneti e uliveti e di una moderna cantina di 5000 mq.
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(4,5 / 5) Impresa non impossibile trovare un buon Bonarda al supermercato. Ma bisogna sapere dove andarlo a cercare. Un porto sicuro è quello offerto dall’Azienda agricola Fiamberti di Canneto Pavese.
Una delle prime cantine a entrare nella galassia Esselunga, al momento dello sbarco del colosso della Gdo in provincia di Pavia.
Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper, in particolare, il Bonarda dell’Oltrepò pavese Doc 2016 “Vigna Bricco della Sacca”. Un “cru” di uve Croatina, dal quale Fiamberti trae in edizione limitata il vino rosso del pavese più noto al grande pubblico dei supermercati.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, questo Bonarda è perfettamente conforme alle caratteristiche espresse dal disciplinare di produzione. Colore rosso intenso, impenetrabile. E unghia purpurea, vivacizzata al momento del servizio da una spuma generosa, che svanisce in fretta. Lasciando così spazio al tuffo del naso.
I sentori parlano di un’uva raccolta a perfetta maturazione: caratteristica essenziale per la produzione di un ottimo Bonarda, che si stacchi dalla media di quelli prodotti senza troppa attenzione al risultato finale (tanto, poi, andranno a scaffale in Gdo a 2 euro, magari pure a volantino).
A una temperatura di servizio di 14-15 gradi, le note fruttate di ciliegia e lampone sono nette e perfettamente definite. La complessità non è una caratteristica del Bonarda, che deve restare un vino semplice, ma pulito. Qui, l’obiettivo è centrato. Perde un po’ di finezza, “Vigna Bricco della Sacca”, con la permanenza nel calice.
A una temperatura di 18°, peraltro suggerita dal produttore in etichetta, ciliegia e lampone perdono parte della loro gentilezza. Sfociando nel ribes da un lato (accentuato dalla leggera percezione del tannino, evidente a temperature più basse) e nella mela gialla matura dall’altro (il residuo zuccherino, non stucchevole, sembra divertirsi a controbilanciare il tannino).
Note che ritroveremo in un retro olfattivo di sufficiente persistenza, ma di nuovo non all’altezza della finezza espressa in ingresso. D’altro canto tutto tranne che sentori fastidiosi. Peraltro prevedibili in una vendemmia anomala e calda come la 2016, in occasione della quale si è fatto comunque un buon lavoro in casa Fiamberti, visti i risultati in bottiglia.
Mezzo punto in più (da 4 a 4.5) nella speciale scala di valutazione di vinialsupermercato.it per il prezzo fortemente concorrenziale del prodotto, nettamente superiore ad altri della stessa tipologia, dal punto di vista qualitativo. Un affare l’acquisto in occasione di promozioni da parte di Esselunga.
Vino a tutto pasto per antonomasia, il Bonarda Doc 2016 “Vigna Bricco della Sacca” non fa eccezioni. Dà il meglio di sé con antipasti a base di salumi e primi piatti non troppo elaborati. Da provare – per chi ama giocare con gli abbinamenti in cucina – con gli spätzle, i tipici gnocchetti tirolesi agli spinaci, con panna e fiammiferi di speck dolce.
LA VINIFICAZIONE
Se c’è un aspetto che salta all’occhio nella degustazione della Bonarda Fiamberti “Vigna Bricco della Sacca”, è l’indubbia attenzione nella selezione delle uve del “cru” e nella tecnica di vinificazione.
La Croatina viene pigiata non appena raccolta, al fine di evitare indesiderate fermentazioni. La temperatura stessa fermentazione, in cantina, viene costantemente controllata. Avviene a contatto delle bucce, secondo l’antica tradizione. L’affinamento avviene esclusivamente in acciaio, per preservare le caratteristiche varietali del vitigno.
L’azienda agricola Fiamberti di Canneto Pavese è una delle aziende più antiche dell’Oltrepò Pavese e dell’intera Lombardia. Nel 2014 ha festeggiato i 200 anni dalla sua fondazione. “Il vino è storia e geografia liquida – sintetizza Giulio Fiamberti, oggi alla guida dell’impresa di famiglia – e non si fa senza terreno e tradizione. Lavoreremo con entusiasmo e attenzione affinché chi beve i nostri vini sappia sempre da dove vengono”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
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