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Coldiretti: «Riaperture valgono 2,5 mld per il vino italiano»

Secondo una stima di Coldiretti la riapertura di ristoranti, bar e agriturismi vale 2,5 miliardi per il vino italiano, il settore dell’agroalimentare Made in Italy più penalizzato dall’emergenza Covid a causa della chiusura del canale della ristorazione, primo mercato di sbocco.

Il via alla ripresa delle attività di ristoranti, bar e agriturismi, che riguarda un locale su due ha un impatto rilevante dal punto di vista economico per il settore vitivinicolo poiché interessa soprattutto i prodotti a maggior valore aggiunto come i 526 vini a denominazioni di origine e indicazione geografica, che rappresentano il 70% della produzione nazionale e che sono stati proprio i più penalizzati dalla pandemia.

Secondo l’analisi di Coldiretti su dati Ismea a causa dei lockdown e delle misure di restrizione disposte dai vari Dpcm, dall’inizio della pandemia sono rimasti invenduti oltre 220 milioni di bottiglie col risultato che più di 2 aziende vitivinicole su 3 hanno registrato una perdita di fatturato nel 2020, con punte superiori al 30% rispetto all’anno precedente.

Un crollo che non è stato compensato dall’aumento dei consumi domestici che hanno visto un aumento dell’8,3% dei vini fermi e del 7,5% per gli spumanti nel 2020 rispetto all’anno precedente. All’incremento delle vendite al supermercato si accompagna il vero e proprio boom registrato in quelle on line che, sulla base dati di Wine Monitor Nomisma, sono più che raddoppiate nel 2020 (+105%).

Ma Sul settore vitivinicolo rischia di pesare a partire dalla prossima vendemmia anche il crollo della produzione causato dal maltempo e dal gelo con un calo generale stimato pari a 2,5 miliardi di litri. Le gelate tardive che hanno compromesso almeno il 10% della produzione. Addirittura peggiore la situazione in Francia dove forti gelate hanno danneggiato gravemente le gemme dei vigneti, e in alcune aree ridurranno addirittura del 90% la vendemmia, per un calo complessivo stimato tra il 30% e il 40% del totale.

«Come se non bastasse la pandemia, stiamo registrando anche ingenti danni a causa dell’ondata di freddo, in molte aree senza precedenti, che ha portato alle gelate tardive dei giorni scorsi», conferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare la necessità di «immediati interventi economici straordinari».

«In gioco – conclude Coldiretti – c’è il futuro del primo settore dell’export agroalimentare Made in Italy che sviluppa un fatturato da 11 miliardi di euro e genera opportunità di lavoro per 1,3 milioni di persone impegnate direttamente in campi, cantine e nella distribuzione commerciale, ma anche in attività connesse e di servizio e nell’indotto che si sono estese negli ambiti più diversi: dall’industria vetraria a quella dei tappi, dai trasporti alle bioenergie, da quella degli accessori, come cavatappi, dai vivai agli imballaggi, dall’enoturismo alla cosmetica fino al mercato del benessere».

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Crescono le vendite dei vini abruzzesi in Gdo

Nel 2020 i vini abruzzesi si sono dimostrati protagonisti nella grande distribuzione. Il Montepulciano d’Abruzzo, in particolare, ha visto un +8% delle vendite a valore, una crescita del prezzo medio superiore al +4% e un +3,8% nelle vendite a volumi rispetto al 2019. È quanto emerge dall’Osservatorio Permanente a cura di Wine Monitor Nomisma voluto dal Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo nel 2019.

«La crescita in termini di volumi e quella rispetto ai valori, che è addirittura maggiore delle altre principali Denominazioni nostre competitor, sono un riscontro più che positivo in un’annata tutta in salita. Grazie alla penetrazione e all’appeal del Montepulciano d’Abruzzo nella grande distribuzione si è in parte compensato alla grave perdita provocata dalla chiusura per troppi mesi del canale Horeca», spiega Valentino Di Campli, presidente del Consorzio.

In Germania, principale mercato di esportazione dei vini abruzzesi, nonostante la diminuzione del consumo del vino italiano, la ricerca mette in luce per il Montepulciano d’Abruzzo una stabilità nella quota di mercato in termini di volumi e la crescita del +4%) del prezzo medio ribadendone le grandi potenzialità.

Dall’analisi dei dati del contrassegno di stato, introdotto a dicembre 2018, si evince che nel 2020 il Montepulciano d’Abruzzo chiude con 804.000 ettolitri imbottigliati, pari al +1%, confermandosi Denominazione strategica. Nel primo trimestre dell’anno i vini abruzzesi avevano registrato un +10% e, nonostante l’emergenza sanitaria e le ricadute economiche disastrose, grazie alla forza del Montepulciano d’Abruzzo si è arrivati a fine anno con un segno positivo.

«Questi dati ci confermano che il Consorzio deve proseguire nella direzione intrapresa, continuando ad investire sulle attività di comunicazione, da una parte, e mettendo in campo iniziative volte alla gestione delle produzioni, dall’altra – spiega Di Campli – Se il prezzo medio a scaffale è cresciuto, non è aumentata la redditività dei nostri agricoltori, occorre dunque intervenire per fare in modo che i viticoltori abruzzesi possano ottenere un maggiore ritorno dal proprio lavoro».

«Abbiamo attivato quest’Osservatorio per analizzare al meglio i risultati raggiunti dai nostri vini sui mercati più strategici, in questo caso si parla di Italia e Germania, andando a mettere in luce le leve su cui insistere per migliorare il posizionamento degli stessi vini e, nel contempo, per accrescere la notorietà di tutto il territorio da cui derivano e di cui si possono fare portavoce in tutto il mondo», conclude il presidente.

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Presentato il Consorzio Vino Toscana Igt

Il Consorzio Vino Toscana Igt si è presentato oggi, in occasione di PrimAnteprima 2020 alla Fortezza da Basso di Firenze. “Toscana – sottolinea il presidente Cesare Cecchi – è una parola potentissima che ci fa riconoscere in Italia nel mondo. Il nostro scopo è mettere sotto lo stesso tetto i grandi vini toscani Igt”.

“Numeri Impressionanti – aggiunge – stante il numero di realtà che già hanno aderito. Un progetto nato sei mesi fa che si racconta attraverso il suo logo: Un grappolo d’uva a forma di regione Toscana”. Ma non solo.

Gli acini del grappolo sono infatti dei piccoli cerchi uguali fra loro e fra loro interconnessi. Come gli ingranaggi di un meccanismo. Come il motore di un orologio. il simbolismo è chiaro: ogni membro del Consorzio è uguale agli altri, aiuta gli altri e da gli altri è aiutato.

Una realtà, quella dell’Igt Toscana quantomai varia. Territori diversi e vitigni diversi. “Oltre 2000 produttori ed oltre 1400 imbottigliatori” come sottolinea Ilio Pasqui, presidente dell’Ente di Certificazione TCA – istituto delegato ai controlli del neonato Consorzio.

Realtà diverse che hanno punti di vista diversi. Ed è per via di queste diversità che, come afferma l’Assessore all’Agricoltura della Regione Toscana Marco Remaschi “occorre oliare le rotelle di quel meccanismo. Concentrasi sugli aspetti di Governance senza lasciare fuori nessuno”.

D’altra parte le analisi condotte da Wine Monitor Nomisma, qui rappresentato da Evita Gandini, parlano chiaro. Sulla base di un campione in grado di rappresentare il 95% delle bottiglie prodotte (di cui più del 30% appartenente al Consorzio) emerge come tanto la percezione del consumatore quanto la risposta del mercato sia forte per il vini rossi toscani non-Dop.

Un incremento di oltre il 126% (il rossi toscani Dop si “fermano” al +76%). Terza regione italiana per export di vino rosso (in valore) dove si avverte un calo delle vendite solo per le bottiglie di valore inferiore ai 5€. Crescita in mercati strategici come UK (+26,7%, forte dell’effetto Brexit), Cina (+5,4%), Svizzera (+3,1%), Canada (+3,1%) e USA (+1,7%).

Secondo lo studio occorre quindi puntare su USA e Cina (Rispettivamente con un +29% e +18% di aspettative di crescita) sfruttando leve come il binomi Vino&Turismo (74%) e Cibo&Vino (13%) o sfruttando la spinta del Bio (10%).

Secondo Gianni Zipoli, direttore di Cantina Leonardo da Vinci, il punti di forza del neonato consorzio sono nella sua territorialità e nell’importanza stesse dell’essere “consorzio” e quindi voce corale per dare valore al vino in un’ottica di maggiore remunerazione per la filiera.

Gli fa eco Lamberto Frescobaldi che con un gioco di parole afferma “mi stupisco che ci si stupisca”. In questo la consapevolezza di come il vino Igt Toscana sia sempre esistito (sotto forma di vino da tavola) e come abbia sempre saputo produrre grandi eccellenze poi balzate agli onori della cronaca come Sassicaia o Tignanello.

“L’Igt è un vino estremamente democratico – prosegue Frescobaldi – perché se non è buono non va. Non vende. Senza potesi difendere dietro ad un nome altisonante”.

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Millennials e consumo di vino: ricerca Nomisma-Verallia

Verallia, terzo produttore globale di contenitori in vetro per l’industria alimentare e Nomisma Wine Monitor hanno presentato ieri a Pollenzo lo studio “Il ruolo del packaging nelle scelte di consumo di vino: un confronto tra i Millennials statunitensi ed italiani”.

La ricerca, realizzata da Wine Monitor, si è posta l’obiettivo di valutare comportamenti e stili di consumo di vino da parte dei Millennials nei due mercati più importanti per le imprese vinicole del Belpaese: oggi 5 bottiglie di vino italiano su 10 vengono ancora consumate nel mercato nazionale, mentre delle 5 rimanenti che vengono esportate, una finisce direttamene negli Stati Uniti.

Gli Usa rappresentano infatti il primo mercato di export per le nostre produzioni; un mercato che nel 2016 ha importato complessivamente oltre 5 miliardi di euro di vino, di cui il 32,4% di origine italiana, facendo del nostro paese il leader di settore. La crescita a valore delle importazioni totali di vino negli Stati Uniti è stata del 52% nel corso dell’ultimo decennio (3,3% nell’ultimo anno, 2016 vs 2015).

L’universo di riferimento dello studio sono stati i Millennials (popolazione di età compresa tra 18-35 anni in Italia e 21-35 in USA – per legal drinking age). Si tratta della generazione su cui stanno puntando tutti i produttori e che in futuro sostituirà – in particolare in Italia – quei consumatori di vino che per anni ne hanno sostenuto il consumo in virtù di un approccio più tradizionale, per il quale questa bevanda ha spesso ricoperto un ruolo funzionale (di alimento) più che voluttuario. Nel caso degli Stati Uniti, dove questo approccio non è mai esistito, i Millennials rappresentano già oggi la generazione che in quantità consuma più vino di qualsiasi altra: 42% di tutti i consumi.

La ricerca ha messo a confronto l’approccio al vino dei Millennials statunitensi e italiani, fotografandone le percezioni e i principali driver di scelta nell’acquisto e consumo di vino, tra i quali il packaging dimostra di avere un ruolo di primaria importanza. Le differenze di atteggiamento tra le due sponde dell’Atlantico sono ragguardevoli. I giovani adulti USA, ad esempio, scelgono il vino per la notorietà del brand (32%) e molto meno per il tipo di vino (21%).

All’opposto, il primo criterio di scelta dei Millennials italiani è la tipologia del vino (51%), mentre la notorietà del brand è del tutto marginale (10%). Le percezioni divergono anche sull’importanza del prezzo basso o promozionale, alta negli USA (20%) e bassa in Italia (11%), nonché sulla rilevanza del paese/territorio di origine, più alta in Italia (21%) che negli USA (15%). Nella scelta del vino entrano anche fattori puramente estetici e di design come il packaging e le etichette, indicati dal 10% del campione USA e dal 5% di quello italiano.

Quando il campo si restringe sulle bottiglie di vino, emerge che i Millennials italiani sono più sensibili agli aspetti “etici” di sicurezza e sostenibilità del vetro (55%) dei loro omologhi USA (44%), mentre il rapporto si ribalta nell’apprezzamento degli aspetti “sensoriali” (trasparenza, freschezza al tatto) con un 53% a 40% a favore degli USA. La distanza tra italiani più aderenti alla sostanza e americani più inclini a essere attratti dall’estetica è messa in rilievo anche dalla diversa importanza assegnata alla forma e colore dell’etichetta (82% USA – 55% Italia), forma della bottiglia (74% USA – 47% Italia) e presenza di loghi/grafiche in rilievo sul vetro (71% USA – 40% Italia). Non stupisce, perciò, che il 76% dei Millennials USA ritenga che le bottiglie personalizzate contengano vini di qualità superiore contro il 53% degli italiani, né che dinanzi a una bottiglia di vino sconosciuto, ma dal design molto innovativo o particolare, il 92% dei consumatori USA tra i 26 e i 31 anni sarebbe interessato all’acquisto, contro il 70% dei loro coetanei italiani.

“I Millennials rappresentano la generazione cui stanno puntando tutti i produttori – afferma Denis Pantini Responsabile Wine Monitor di Nomisma – però questa generazione ha un approccio all’acquisto di vino nettamente differente da quella che tradizionalmente ne ha sostenuto i consumi (i baby-boomers): maggiore attenzione all’innovazione, alla sostenibilità, alla creatività, tutti fattori spesso legati al packaging e per i quali ancora molte imprese italiane non ne hanno colto la strategicità a fini di mercato. L’obiettivo di questa ricerca è stato proprio quello di fornire ai produttori italiani uno strumento in più per cogliere le opportunità nei due principali mercati di vendita del nostro vino: Italia e Stati Uniti”.

“La scelta se raccogliere le indicazioni emerse dalla ricerca spetta esclusivamente alle singole imprese italiane, però ritengo sia già un inizio promettente che se ne discuta serenamente, senza preconcetti in un senso o nell’altro – ha dichiarato Roberto Pedrazzi, Direttore Commerciale e Marketing di Verallia Italia. “Noi di Verallia, come sempre, siamo pronti ad affiancare il made in Italy mettendo a disposizione il know-how, le risorse industriali e la ricerca avanzata su materiali e design di un gruppo internazionale interamente dedicato al packaging in vetro per il food and beverage”.

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