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Vitis in Vulture è Cantina dell’anno Sud Italia per la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024

Vitis in Vulture Cantina dell anno Sud Italia Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024 winemag.it winery of the year
È Vitis in Vulture la Cantina dell’anno Sud Italia per la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024 di winemag.it (disponibile a questo link in prevendita). Fondamentale per il riconoscimento è il punteggio di 94/100 assegnato in occasione delle degustazioni alla cieca all’Aglianico del Vulture Doc 2017 Toppo di Viola, ottenuto dall’omonimo vigneto situato nel comune di Venosa, alle pendici del Monte Vulture. Non solo. La cantina convince anche con l’altra interpretazione del vitigno principe della Basilicata, “Forentum” 2019; oltre a sfoderare una serie di vini dall’ottimo rapporto qualità prezzo, capaci di assicurarsi un posto tra i “Vini quotidiani” della Guida 2024 (Falanghina e Aglianico vinificato in rosa).

In definitiva una linea molto completa, dal top di gamma ai vini adatti a un consumo a tutto pasto, tutti i giorni. Del resto, con i suoi 95 ettari di vigneti, Vitis in Vulture è uno dei più importanti produttori della Basilicata e tra i migliori interpreti della grande varietà che ha reso celebre la regione a livello internazionale: l’Aglianico del Vulture. A guidare questa realtà cooperativa è il presidente Giuseppe Avigliano, agronomo e imprenditore agricolo con una grande esperienza nei settori enologico ed agroindustriale.

VITIS IN VULTURE E L’AGLIANICO

L’obiettivo dell’azienda è quello di creare un legame unico nella filiera. Tutto inizia dalla coltivazione dei vigneti, passando poi attraverso alle varie fasi della vinificazione e dell’affinamento in cantina e terminando con l’imbottigliamento e la commercializzazione. In Italia e nel mondo. Al centro dell’azienda si trova l’innovativa cantina Finocchiaro, il cui progetto è stato affidato nel 2001 all’architetta giapponese Hikaru Mori. La struttura è di quelle che meritano una visita.

Di fronte alla cantina, peraltro, sorge un ampio complesso archeologico risalente tra il IV e il VII secolo d.C. Sul margine occidentale si conservano delle buche di alloggiamento di due Phitòi. Si tratta di contenitori rivestiti con malta, utilizzati per la fermentazione di vini di qualità. La mission di Vitis in Vulture, sin dall’anno della sua fondazione, avvenuta nel 2006, è quella di valorizzare l’Aglianico del Vulture. Ed è proprio grazie alle ottime interpretazioni del vitigno-vino simbolo del territorio che si è guadagnata il titolo di “Cantina dell’anno Sud-Italia” nell’ambito della nostra Guida Migliori vini italiani 2024.

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“Le litrò de Gi.Gi.”, la bottiglia da 1 litro del “Camerlengo” Antonio Cascarano


Le litrò de Gi.Gi.“. Si chiama così l’ultimo vino in bottiglia da 1 litro firmato dal “CamerlengoAntonio Cascarano, custode di antichi vitigni riportati alla luce e salvati dall’oblio, in Basilicata. Siamo a Rapolla, nel Vulture, per una novità che non arriva a caso dopo il periodo di pandemia, in cui si è assistito alla riscoperta dei “grandi formati”.

Non sono casuali neppure gli accenti sul nome di fantasia scelto per il nuovo vino. «Con il nome Le litrò de Gi.Gi.” mi diverto un po’ a scimmiottare i francesi – spiega a winemag.it Antonio Cascarano – giocando col loro accento e scegliendo, per di più, il formato da 1 litro, tipico della cultura contadina italiana. Ma soprattutto è il primo vino che dedico a me stesso, dopo averne dedicati altri a persone a me care e al mio cane».

Fuori da Rapolla mi conoscono tutti come Antonio, nome che ho ereditato dal nonno paterno. Ma all’anagrafe ho anche altri due nomi: Luigi, perché sono nato il 21 giugno, giorno di San Luigi; e Giovanni, come il nonno materno. In paese mi hanno sempre chiamato “Luigino” o “Gigino”: da qui l’idea di “Gi.Gi.”. Il punto dopo la “G” sta a indicare… Beh, è facile da capire: ha a che fare con le donne!».

IL VINO NATURALE E LA RISCOPERTA DEI GRANDI FORMATI

L’ultima annata, generosa, ha consentito a Cascarano di produrre 1000 bottiglie di “Le litrò de Gi.Gi.”. Un numero destinato a ridursi ben presto, in vista della presentazione ufficiale della nuova etichetta in programma proprio il 12 giugno 2023. «Sarà una festa – anticipa il patron dell’Azienda agricola Camerlengo – con i piatti di Riccardo Barbera all’Agriturismo Masseria Barbera di Minervino Murge. La nuova etichetta sarà poi commercializzata su assegnazione, perché voglio assicurarmi che ce l’abbiano un po’ tutti, dall’importatore americano ai distributori italiani».

“Le litrò de Gi.Gi.” è un vino macerato ottenuto dalle rare uve Santa Sofia e Cinguli, che si dividono in maniera esatta l’uvaggio (la prima è nota anche come “Fiano del Cilento”; la seconda è molto simile al Trebbiano toscano). «Un vino da tutti i giorni – spiega Antonio Cascarano – da bere in totale spensieratezza. Un vino contadino, che mi rappresenta e che invoglia all’assaggio di altri vini in bottiglia da 1 litro. Uno su tutti il “Litrò Rosso” da uve Ciliegiolo e Sangiovese prodotto a Montemelino, in Umbria, dalla cantina Conestabile della Staffa». Un altro vino con l’accento e un altro vino contadino. Pardon, “contadinò”. Prosit.

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Mario Piccini rompe il muro tra Horeca e Gdo: 8 vini delle Tenute al supermercato

Chiamiamolo pure “test“. Anche se, forse, sarebbe meglio parlare dell’inizio di una vera e propria rivoluzione, che potrebbe dare il “la” a molti produttori italiani di vino di qualità. Mario Piccini rompe il muro tra Horeca e Gdo con la decisione di destinare otto vini di quattro delle sue Tenute alla vendita al supermercato. Prima di oggi, le etichette premium in questione erano destinate solo a ristoranti, hotellerie, wine bar ed enoteche.

Sono interessate dal progetto Fattoria di Valiano, situata nel cuore del Chianti Classico e casa della famiglia Piccini, Tenuta Moraia in Maremma, Regio Cantina nel Vulture e la tenuta siciliana Torre Mora, sul versante nord dell’Etna. Resta esclusa, al momento, solo Villa al Cortile, la “boutique winery” di Montalcino.

Mosso dalle altrettanto rivoluzionarie dichiarazioni rilasciate a WineMag.it dal buyer Vini di Coop Francesco Scarcelli – pronto al dialogo con i vignaioli e a sedersi a un tavolo di lavoro ad hoc al Mipaaf – Mario Piccini ha trovato il coraggio di mettere nero su bianco quello che, forse, gli frullava nella testa già da un po’ di tempo.

Pensieri che l’emergenza Coronavirus e il conseguente lockdown dell’Horeca hanno solo accelerato. Nulla di ufficiale, ma l’interlocuzione tra il patron del colosso del vino toscano e il direttore vendite Gdo, Maurizio Rossi, deve aver sollevato Piccini da qualsiasi ulteriore perplessità. Nell’intervista esclusiva, tutti i dettagli.

Mario Piccini, quali sono le etichette interessate dal progetto?

Abbiamo selezionato due prodotti per ciascuna delle nostre tenute. Si tratta di referenze premium solitamente destinate al canale Horeca o, più in generale, referenze dedicate a tutti gli appassionati di vino che ricercano non solamente la qualità, ma desiderano anche scoprire la cantina che li produce e il territorio dove il vino nasce.

Qual è il numero di bottiglie prodotte per etichetta?

Se rapportate ai numeri della Grande distribuzione, si parla di produzioni davvero ristrette. Basti pensare che le bottiglie in questione non superano le 50 mila unità per tipologia, salvo una sola eccezione.

Può entrare ancor più nel dettaglio?

Le referenze in questione vengono prodotte dalle nostre Tenute, tutte realtà medio piccole, a conduzione biologica, dai 13 ai 75 ettari vitati. Tutte le etichette fanno già parte dell’attuale offerta del ‘mondo Piccini’. Per questo motivo la percentuale destinata alla Gdo verrà costantemente monitorata, in modo da poter garantire ai nostri clienti storici, nel momento della loro ripresa a regime, la qualità e quantità di sempre.

Quali sono le ragioni di questa scelta?

L’emergenza in corso ha accelerato il processo di evoluzione del mondo del commercio e della comunicazione, cambiando anche i paradigmi delle informazioni che vengono consumate.

Dal punto di vista commerciale non ha senso privare i clienti dei supermercati dei vini di qualità delle aziende agricole, anche se è bene precisare che la provenienza da un’azienda agricola non è per forza sinonimo di vino di qualità, come del resto non è vero l’esatto contrario.

La nostra filosofia aziendale e comunicativa si basa su questa trasparenza: sul diritto e la libertà che offriamo al consumatore di scegliere una referenza piuttosto che un’altra e di consumarle in assoluta tranquillità a casa.

La qualità deve essere fruibile dal maggior numero di persone possibile e più permettiamo alle persone di incontrarsi con la qualità, più questa può entrare nelle loro vite, determinando un vero e proprio cambiamento e miglioramento.

È l’inizio di una manovra di avvicinamento che interesserà tutta la linea Horeca?

Non interesserà tutta la linea Horeca, ma solo alcune selezioni. Prodotti che sono parte del core range delle nostre Tenute e che convivranno su entrambi i canali. Azione che a nostro avviso è assolutamente possibile se si lavora con trasparenza.

Il nodo cruciale nei rapporti delle aziende del vino col mondo della Gdo sono le politiche di prezzo e la scontistica adottata dalle varie insegne di supermercati. Qual è il vostro piano d’azione, su questo fronte?

Le politiche di prezzo si basano su di un posizionamento corretto del prodotto piuttosto che su logiche di scontistica. Siamo aperti a dialogare con tutte quelle insegne che vorranno mostrare il loro interesse ed apprezzamento verso determinati prodotti.

Il primo passo deve venire da noi produttori, che dobbiamo liberarci da questi timori e muoverci in sinergia, uniti. Dall’altra parte le insegne devono dare il giusto spazio alle etichette, incentivando anche l’inserimento di personale qualificato in grado di consigliare il consumatore e di raccontare vini e territori legati ad una selezione di referenze premium.

Il valore e la percezione della qualità di queste selezioni dovranno rimanere insomma intatte, rispettando le piccole aziende nei prezzi, in una sezione concepita come luogo di scoperta e non di affari a basso prezzo. Per far questo è necessario un grande senso di responsabilità da parte delle insegne pronte a compiere questo passo.

Non ha paura di “ferire” la sensibilità di qualche cliente Horeca?

Probabilmente una scelta di questo tipo potrà allontanare qualcuno, ma siamo sicuri che gran parte dei nostri partner ha sposato non un’etichetta, bensì un progetto. In tal senso questa scelta è perfettamente allineata con la nostra filosofia aziendale e per questo non mi aspetto grandi sconvolgimenti.

Gdo e Horeca, come auspicato nei nostri editoriali e articoli inerenti a un potenziale ‘Patto sul vino di qualità’, possono avvicinarsi per il bene dell’intero settore, a vantaggio delle produzioni di nicchia e di qualità premium. Siamo dei visionari, dei folli o c’è del concreto?

Sono convinto di questo. Il consumatore è sempre più interessato alle produzioni locali, al biologico, alla qualità. E le insegne stanno rispondendo con rapidità a questa rinnovata esigenza. Acquisti con assegnazioni regionali se non provinciali, come auspicato da Francesco Scarcelli di Coop Italia nell’intervista rilasciata a WineMag.it, vanno sicuramente nella direzione giusta.

Mario Piccini, l’ultima sfida al mondo del vino sembrava l’avventura sull’Etna: qualcosa che avvicina ancor più sua personalità al vulcano siciliano. Oggi questa novità, che potrebbe costituire l’esempio e l’avvio di una vera e propria rivoluzione. Come la vive? È solo un’operazione commerciale, o c’è anche della filosofia sotto (o, ancor meglio, sopra)?

Come spiegato in precedenza, alla base di questa sfida c’è e rimane la nostra filosofia aziendale di trasparenza e di voglia di far conoscere ad un numero sempre maggiore di consumatori le eccellenze dei vari territori dell’Italia del vino.

Grazie alle nostre tenute che sono dislocate sul territorio nazionale e a questa operazione, possiamo portare al consumatore un esempio del vino di territorio e questo è assolutamente in linea con la nostra mission.

Tanti suoi colleghi, pure tra i vicini di casa toscani, sembrano vergognarsi di comunicare alla stampa o ai propri clienti i dettagli del loro rapporto con la Grande distribuzione, pur traendone ampi vantaggi, sfruttando abbondantemente le strategie legate alla leva promozionale, in voga in Gdo: cosa nasconde davvero, secondo lei, una tale ipocrisia nel mondo del vino italiano?

A nostro avviso si tratta di timore e non di ipocrisia. Il mondo del vino è estremamente conservatore, sia tra le fila di noi produttori che nella distribuzione. Il problema della Gdo, così come lo era per l’online fino a pochi giorni fa, è legato al timore di un giudizio negativo da parte del cliente finale Horeca.

Lamentele legate al prezzo finale della bottiglia di vino ricadono giocoforza sull’immagine del ristoratore, piuttosto che sul produttore. Noi siamo convinti che oggi il consumatore sia in buona misura più pronto a comprendere ed accettare il costo maggiorato di un vino servito nell’Horeca.

Al giorno d’oggi c’è la consapevolezza che, in gran parte, questi costi sono legati alla distribuzione, allo stoccaggio e al mantenimento di personale qualificato: tutti aspetti che incidono notevolmente sul prezzo finale.

Vuole lanciare un ulteriore messaggio al mondo del vino italiano?

Alcuni consorzi stanno rivedendo le loro strategie e rivalutando la Grande distribuzione. Spero che saranno in molti ad abbracciare questo cambiamento. Azioni solitarie, o fatte in ordine sparso, difficilmente potrebbero far cambiare approccio e mentalità al mondo del vino.

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Vini al supermercato

Piccini è la “Miglior Cantina Gdo” 2019 per Vinialsuper

Piccini, azienda vinicola della Toscana con sede a Castellina in Chianti (SI), è la “Miglior Cantina Gdo2019 per Vinialsuper.it. Si guadagna il premio della testata, specializzata nel racconto quotidiano del vino in vendita al supermercato, grazie a una gamma di assoluto rispetto, in vendita in numerose insegne della Grande distribuzione organizzata italiana.

Il riconoscimento va soprattutto alla linea “Collezione Oro“, con la quale Piccini mette a scaffale delle etichette che eccellono nel rapporto qualità prezzo, sbilanciato in maniera netta sulla qualità.

Ne giova il consumatore, che può gustare a tutto pasto, oppure in occasioni speciali, dei vini rispettosi del vitigno, del terroir e della tipicità della Denominazione. Aspetti tutt’altro che scontati in Gdo, garantiti invece dalla realtà guidata da Mario Piccini (nella foto sopra) quarta generazione della famiglia titolare dell’azienda.

“Mario Piccini – sottolinea il direttore di Vinialsupermercato.it, Davide Bortone – è un imprenditore illuminato che dimostra di avere a cuore la Toscana, terra delle origini, così come l’Italia intera, con le sue eccellenze enogastronomiche. Un amore dimostrato dal rispetto col quale indica la strada ai propri agronomi ed enologi, nell’ambito della produzione delle referenze destinate a un canale complicato come quello moderno”.

“Il progetto delle Tenute – sottolinea ancora Bortone – ormai salite a cinque in tre regioni italiane (3 in Toscana, una in Basilicata e una in Sicilia) indica la voglia di Mario Piccini di puntare all’eccellenza assoluta nell’Horeca, accostando all’areale del Chianti e di Montalcino quelli del Vulture dell’Etna, sinonimo di ‘vino italiano di qualità’ nel mondo”.

Piccini, con 16 milioni di bottiglie e un’etichetta come quella del Chianti Docg “arancione”, punta a crescere ancora grazie all’investimento compiuto con l’acquisizione della cantina Chianti Geografico, avvenuta sul finire del 2018, e la realizzazione di un nuovo polo produttivo che sarà inaugurato a breve a Casole D’Elsa, in provincia di Siena. Un impianto di 17 mila metri quadrati, all’avanguardia tecnologica (nella foto sotto).

L’obbiettivo è superare quota 17 milioni di bottiglie e consolidare la crescita del fatturato, che lo scorso anno ha raggiunto la cifra record di 64,5 milioni. Erano 60,2 nel 2017, 64,2 nel 2018. Fondamentale l’apporto del Chianti Geografico (1,1 milioni di bottiglie e 5 milioni di fatturato nel 2019) a cui è stata data nuova linfa con l’arrivo di Riccardo Cotarella e del giovane (e bravo) enologo Alessandro Barabesi.

“Piccini – commenta Giacomo Merlotti della redazione di Vinialsupermercato.it – è la ‘Miglior Cantina Gdo’ 2019 per Vinialsuper perché attraverso un’attenta gestione della produzione e delle referenze, tanto in Gdo quanto nell’Horeca con il progetto delle Tenute, riesce a portare la territorialità all’attenzione del consumatore”.

“La corretta gestione della capacità produttiva – aggiunge Merlotti – permette a Piccini di proporre vini dall’elevato rapporto qualità prezzo, con una diffusione pressoché capillare in molti canali distributivi”.

“Grazie alle performance in Italia, come Gruppo abbiamo chiuso il 2019 con un fatturato superiore a quello dei precedenti 12 mesi”, spiega Maurizio Rossi, responsabile commerciale di Piccini (a sinistra nella foto, assieme al global brand ambassador Giacomo Panicacci). Positive le performance estere, con la Russia e la Cina a registrare i tassi di crescita migliori.

In Italia, il canale Gdo di Piccini cresce a due cifre. “Merito soprattutto delle nostre punte di diamante – precisa Rossi – il Chianti Riserva Docg Collezione Oro e il Chianti Orange. Entrambi, oggi, sono leader di mercato nel canale, con il Riserva Collezione Oro che risulta il Chianti più venduto al supermercato”.

Performance, quelle delle due etichette best seller, che trainano anche le vendite degli altri prodotti Piccini, a partire proprio dalle referenze che compongono la Collezione Oro. “Il Chianti Superiore Docg si sta avvicinando progressivamente nei numeri al Riserva”, conferma il responsabile commerciale di Piccini.

“Ma siamo molto soddisfatti anche di quello che è stato il debutto dell’Orvieto Classico Doc, bianco introdotto quest’anno nella Collezione Oro e che ha già soddisfatto gli obiettivi che ci eravamo posti”. Circa 200 mila le bottiglie vendute, a fronte di 400 mila del Superiore e degli 1,1 milioni della Riserva.

“Vogliamo sempre più accreditare agli occhi dei consumatori il marchio Piccini come il simbolo dell’ottimismo – aggiunge Maurizio Rossi – della gioia di vivere e della condivisione di una buona bottiglia di vino in compagnia. L’obiettivo, come brand, è di continuare a crescere in numerica nelle vendite, soprattutto in Gdo”.

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degustati da noi vini#02

“Verbo” e “Terre di Orazio” 2017 di Cantina di Venosa: i volti dell’Aglianico del Vulture

Due espressioni di Aglianico del Vulture in grado di intercettare palati differenti. Sotto la lente di ingrandimento di WineMag.it “Verbo” e “Terre di Orazio” di Cantina di Venosa, vendemmia 2017. Una degustazione comparativa utile a inquadrare due etichette di punta della cooperativa lucana.

Verbo” è un vino moderno. Un’interpretazione accattivante dell’Aglianico, che guarda oltre i confini della Basilicata, con l’obiettivo di raggiungere anche i consumatori all’estero. “Terre di Orazio” è invece più tradizionale. Un vino che mette a nudo il nobile vitigno del Sud Italia, esaltandolo in tutta la sua tipicità.

LA DEGUSTAZIONE

Aglianico del Vulture Dop 2017 “Verbo”: 90/100
Unghia violacea. Fiori di viola e note fruttate intense, mora, lampone, spezie calde, garbate. In bocca bella pienezza, note frittate corrispondenti, bella persistenza. Tannino elegante di cioccolato, chiusura asciutta e salina, su ritorni di frutta molto precisi.

L’eta dei vigneti – situati a un’altezza media di 500 metri sul livello del mare – varia tra i 10 e i 20 anni, con una produzione per ettaro che si aggira attorno alle 8 tonnellate. Siamo nella parte orientale della Provincia di Potenza, in particolare nel Comune di Venosa.

Le uve vengono raccolte a mano, solitamente tra il 10 e il 30 ottobre. La macerazione pellicolare a temperatura controllata e il completamento della fermentazione alcolica e malolattica avvengono in serbatoi di acciaio inox.

L’affinamento si protrae per 12 mesi, in botti di rovere. “Verbo”, col suo gusto in grado di accontentare tutti, è il classico vino da arrosti, primi piatti tipici della cucina mediterranea, cacciagione e formaggi stagionati.

Aglianico del Vulture Dop 2017 “Terre di Orazio”: 92/100
Rosso rubino intenso, con unghia tendente al granato. Naso tra fiori e spezie, su un letto di frutti di bosco. Gran profondità che sfiora il balsamico, grazie a ricordi di mentuccia e radice di liquirizia.

Un vino che pare evidenziare con orgoglio la sua anima mediterranea, anche quando l’ossigenazione esalta terziari di tabacco, cioccolato e fondo di caffè, mai troppo invadenti. In bocca la parola d’ordine è eleganza, nonostante la gioventù del nettare renda il sorso ancora scalpitante.

Il frutto è di gran precisione. La vena salina è più marcata rispetto a quella di “Verbo” e fa da spina dorsale al nettare, assieme a una buona freschezza e a tannini presenti, ma non invadenti. Ottima la persistenza, su ritorni di frutta.

“Terre di Orazio” nasce da vigneti di età compresa fra i 15 e i 30 anni, situati fra i 450 e i 500 metri sul livello del mare, nel territorio di Venosa (PZ). Le uve vengono vendemmiate dal 15 al 30 ottobre.

Le uve, raccolte a mano previa accurata selezione, vengono riposte in cassette da 12-15 chili. La vinificazione avviene in piccoli fermentini, con macerazione pellicolare a temperatura controllata, tra i da 23 e i 26 gradi per circa 10 giorni. Fermentazione alcolica e malolattica proseguono in serbatoi inox, mentre l’affinamento si svolge in botti da 25 ettolitri per 15 mesi.

Un vino, “Terre di Orazio”, che pare la rappresentazione perfetta del sontuoso castello di Venosa (nella foto, sotto) per la sua capacità di abbinare struttura ed eleganza. A tavola è perfetto con arrosti di carni bianche, primi piatti saporiti e formaggi piccanti e speziati, con temperatura di servizio tra i 18 e i 20 gradi.

*** DISCLAIMER: La recensione di queste etichette è stata richiesta a WineMag.it dall’inserzionista, ma è stata redatta in totale autonomia dalla nostra testata giornalistica, nel rispetto dei lettori e a garanzia dell’imparzialità che caratterizza i nostri giudizi ***

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degustati da noi news news ed eventi vini#02

GoVolcanic 2019: i vini vulcanici italiani convincono Budapest. I migliori assaggi

BUDAPEST – I vini vulcanici italiani sono ormai una categoria ben definita, riconoscibile anche all’estero. Un movimento capace di riunire i produttori di alcune delle aree vitivinicole più vocate del Belpaese, accomunate dal terroir vulcanico. La conferma è arrivata lo scorso weekend a Budapest con GoVolcanic 2019, prima edizione del summit che si candida a diventare uno degli appuntamenti chiave per i vini vulcanici internazionali, in Europa.

Sotto lo stesso tetto i vignaioli di Soave, Monti Lessini, Etna e Vulture, ospitati da 40 produttori ungheresi delle regioni di Mátra, Tokaj, Somló, Bükk, Balaton, Ménes e Szerémség. Presenti anche diversi vigneron di Isole Canarie, Azzorre, Slovenia, Israele, Francia (Auvergne) e Slovacchia (Tekov, Tekovského regiónu).

Abbiamo avviato la valorizzazione dei vini da suolo vulcanico ormai 10 anni fa – commenta Aldo Lorenzoni, direttore del Consorzio Tutela Vini Soave e Recioto di Soave, nonché del Consorzio del Lessini Durello – ed è bello vedere che la nostra idea si sia sviluppata non solo in chiave nazionale, ma anche internazionale”.

“All’evento di Budapest faranno seguito summit in Francia e Germania – annuncia Lorenzoni – ma soprattutto siamo protagonisti come Lessini Durello, assieme al formaggio Monte Veronese e alla cantina Santo Wines di Santorini, del progetto ‘Gli eroi vulcanici d’Europa‘: una misura 1144 dell’Ue che coinvolge 6 Stati, in 3 anni. Momenti, questi, che trasformano i vini vulcanici in una vera e propria categoria”.

Buoni i riscontri in Ungheria, con 738 visitatori registrati in due giorni all’Holdudvar della Margitsziget, l’isola Margherita sul fiume Danubio, tra Buda e Pest. “Siamo entusiasti di aver generato l’interesse internazionale per questo evento – commenta l’organizzatrice Eva Cartwright – e speriamo di aver ispirato il pubblico a visitare di persona gli incredibili paesaggi da cui provengono questi vini vulcanici”.

La macchina organizzativa dell’edizione 2020 è già in moto: “La location sarà più grande – annuncia Cartwright – e accoglierà nello stesso edificio, oltre ai produttori di vino, anche quelli di alcune eccellenze gastronomiche locali. L’intento sarà sempre quello di giocare sul trinomio Vino-Cibo-Esperienza“.

I MIGLIORI ASSAGGI A GOVOLCANIC 2019

SPUMANTI
Lessini Durello spumante Brut “Vulcano”, Zambon: 90/100
La temperatura di servizio non aiuta al momento dell’assaggio, ma l’etichetta in questione è una vecchia conoscenza di WineMag.it. Un Metodo classico che sa abbinare al frutto polposo della Durella la verticalità ed essenzialità tipica dei vini vulcanici.

VINI BIANCHI
Tokaj 2017, Sanzon Rány: 94/100
Furmint, single cru: 6 grammi litro ammortizzati a dovere dall’impronta vulcanica del terreno. Naso che si presenta timido, su note di buccia d’agrumi, per poi esplodere (letteralmente) su frutta esotica, mandarino e macchia mediterranea. Leggera percezione talcata. Spettacolo puro al palato, nel gioco tra larghezza e verticalità, polpa e “vulcano”. Chiusura salina elegantissima, con ritorni leggeri di liquirizia.

Tokaji 2017, Homonna Attila: 93/100
Furmint e Hárslevelű. Minerale da vendere, sia al naso sia la palato. Le note di pietra bagnata si avvicendano col frutto. In bocca una gran verticalità, senza rinunciare ancora al frutto, in un quadro di perfetta corrispondenza gusto olfattiva che si arricchisce di accenni di macchia mediterranea. Splendido.

Soave Doc 2017 “Le Cervare”, Zambon: 92/100
Vino bocciato tre volte dalla commissione di degustazione della Doc, forse per l’utilizzo di lieviti indigeni poco standardizzanti. Eppure “Le Cervare” è uno dei Soave più tipici in circolazione, con le sue note agrumate e l’impronta vulcanica che si manifesta su pietra focaia e polvere da sparo, prima di una chiusura sulla mandorla amara.N

Nagy-Somlói Juhfark 2017, Somlói Apátsági Pince: 92/100

Juhfark è il nome del vitigno che corrisponde al Coda di pecora, autoctono della Campania. Evidente la matrice del terroir, affiancata da note di fiori secchi, agrumi e tè nero. Al palato ricordi di frutta secca e gran sapidità, che accompagna verso un finale lungo e corposo.

Rhine Riesling 2017 “Shop Stop”, Villa Sandahl: 91/100
Un Riesling renano prodotto nella zona del Balaton, in cui i 6 grammi litro di residuo aiutano a riequilibrare la gran verticalità e freschezza del vitigno. Tra i vini più “gastronomici” in degustazione a GoVolcanic 2019.

Olaszrizling Single vineyard 2017, Sabar: 90/100
Naso ampio, talcato, mentolato, agrumato. In bocca verticale, molto salato, in un quadro di apprezzabilissimo equilibrio. Gran bevibilità, tipica del vino semplice ma non banale, e ottima persistenza.

Vinho Branco Verdelho Ig Açores 2017 “Magma”, Adega Cooperativa dos Biscoitos: 90/100
La mano degli enologi Anselmo Mendes e Diogo Lopes è leggerissima in questo vino delle Canarie che rispetta al 100% il terroir vulcanico, senza alcun compromesso “di cantina”. Vino verticale e diretto, dalla gran beva.

VINI ROSSI

Cabernet Sauvignon Red Hills Lake Country 2017, Obsidian Ridge Vineyards: 95/100
Uno dei capolavori della viticoltura americana. Al 96% di Cabernet Sauvignon la cantina accosta un 2% di Petit Verdot e un 2% di Malbec. Il gioco fra terra, frutto e terziari incolla il naso al calice.

Dal muschio al sottobosco bagnato, passando per richiami minerali (la classica pietra bagnata), si passa ai frutti rossi e alla mora, prima di sfociare nella spezia. In bocca pieno, elegantissimo, verticale ma equilibrato, tra frutto, terziari. Il tannino è vivo e di prospettiva, ma non disturba. Il rosso che sbanca l’evento di Budapest.

Etna Doc Rosso 2012 “Millemetri”, Feudo Cavaliere: 93/100
Frutto rosso, agrume, mineralità, pietra bagnata e ricordi goudron. In bocca buona verticalità e gran eleganza. Ritorni di agrumi e frutta rossa anticipano una chiusura salina, lunga e precisa. Da provare anche il rosato di questa nobile cantina siciliana.

Do La Palma Vijariego negro, Viñarda: 92/100
Siamo alle Canarie, per un vino manifesto del terroir. Con questo Vijariego negro metti il naso sul vulcano e inspiri a pieni polmoni il “concetto”. Sintesi per il naso di questa etichetta che gioca su sentori di brace, minerali e di erbe, con buon apporto di polpa. In bocca dritto, stretto, fa salvare la parte minerale. Gran bevibilità.

Etna Rosso 2016 “Scalunera”, Torre Mora: 91/100
Frutto rosso croccante, erbe, liquirizia, radice, bella profondità e pulizia. Corrispondente e lungo. Bella prova sull’Etna quella di Torre Mora, la tenuta etnea del colosso toscano Piccini.

Bükki Zweigelt Mályi – Zúgó – dűló 2018 Organikus Szőlőbirtok és Pincészet, Sándor Zsolt: 89/100
Vino semplice, beverino, tutto frutto e terroir vulcanico. Gran facilità di beva e rispetto della tipicità dello Zweigelt.

VINI DOLCI
Recioto di Soave Docg Classico 2013, El Vegro: 94/100
Naso su goudron ed erbe aromatiche. Bocca dolce e tagliente. Un Recioto di Soave da incorniciare.

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GoVolcanic: a Budapest il summit europeo dei vini vulcanici. C’è anche l’Italia

BUDAPEST – Per la prima volta in Europa, gli appassionati di vini vulcanici, geologia, rocce, minerali e gastronomia possono unirsi sotto lo stesso tetto. GoVolcanic, in programma dal 29 novembre all’1 dicembre a Budapest, in Ungheria – più esattamente all’Holdudvar della Margitsziget, l’isola Margherita sul fiume Danubio, tra Buda e Pest – è uno degli eventi più singolari del panorama europeo del 2019, giocato sul trinomio “Vino – Cibo – Esperienza”. WineMag.it seguirà l’evento in presa diretta, nella capitale ungherese.

Il concept dell’evento è del tutto nuovo e si basa su fasce orarie assegnate. Il biglietto di ingresso offre ai partecipanti cinque ore di degustazione, il tempo di passeggiare o partecipare ai seminari (maggiori dettagli sul sito web dell’evento).

Il sistema mira a garantire una distribuzione uniforme delle persone, evitando folle e code e offrendo ai partecipanti un’esperienza, in cui possono concentrarsi sulla degustazione anziché sul bere, mangiare del buon cibo, imparare e divertirsi in un ambiente rilassato.

Oltre alla degustazione di vini, i partecipanti possono incontrare alcuni dei più acclamati esperti europei e ungheresi durante i seminari di geologia. E assistere a un’esibizione accademica su rocce e minerali.

L’obiettivo del team GoVolcanic è quello di “creare un evento che rompesse il circolo infinito delle feste del vino e dei mercati gastronomici prima delle festività natalizie e di fornire una piattaforma di due giorni per coloro che non solo desiderano assaggiare vini o cibi deliziosi, ma anche conoscere i magici paesaggi vulcanici“.

Ci saranno oltre 40 produttori ungheresi presenti all’evento da Mátra, Tokaj, Somló, Bükk, Balaton, Ménes e Szerémség, oltre a un numero di cantine che l’organizzazione descrive come “sconosciute” e “straordinarie”.

Tra queste Obsidian Ridge Wines, nota azienda vinicola dalla California. Spazio anche all’Italia con i vini dell’Etna, del Vulture, di Soave e dei Monti Lessini. Per l’estero: Isole Canarie, Azzorre, Slovenia e Francia. Ampio spazio anche ai vini del Tekov della Slovacchia.

Tra i relatori di GoVolcanic ci saranno alcuni tra i più acclamati esperti di vino mondiali, produttori, ristoratori, scrittori, geologi e scienziati. GoVolcanic si propone come evento di caratura internazionale, con programmi disponibili sia in inglese che in ungherese.

Si potrà assistere ai seminari di John Szabo, Elizabeth Gabay MW, Ágnes Herczeg, David Moore, Sue Tolson, Alder Yarrow, Adam Gollner, Roland Velich, Janos Arvay, Lajos Takacs e Zoltan Balogh. Ospite d’onore sarà Imre Gyorgykovacs, enologo di Somlo.

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Vini al supermercato

Aglianico del Vulture Dop 2013 Balì, Cantina Di Venosa

(4 / 5) “A fianco all’Italia che tutto il mondo conosce, esiste, quando ci si inoltra nell’estremo meridionale, una seconda Italia, sconosciuta, che non è meno interessante dell’altra, né inferiore per bellezza di paesaggi e grandezza di ricordi storici […]. Parole sulla Basilicata di François Lenormant che così la descrisse dopo il suo viaggio in Italia del 1858.

Descrizione che sembra ancora così attuale: una regione fuori dal tempo, oggi un po’ più conosciuta grazie al cinema o a Matera che sarà capitale europea della cultura nel 2019.

Un territorio aspro, prevalentemente montuoso dove la coltivazione della vite è a dir poco difficoltosa, una delle ragioni per cui conta solo circa 4500 ettari vitati.

Eppure, in questo piccolo areale vinicolo, nel comprensorio del Vulture, antico vulcano spento, ha trovato il suo habitat naturale una perla ben conosciuta agli appassionati di vino, l’Aglianico, vitigno oggi sotto la nostra lente di ingrandimento con un prodotto della Cantina di Venosa: Aglianico del Vulture Dop 2013 Balì.

LA DEGUSTAZIONE
Rosso rubino intenso, poco trasparente e denso ha un impatto olfattivo dominato da note fruttate di prugna ed amarena. Seguono note composte di spezie dolci come vaniglia e cannella che non soverchiano assolutamente il frutto. Al palato è un vino dallo stile moderno, molto piacevole e facile da bere.

Il sorso caldo è caldo con una buona componente acida e salina in un contesto tannico ben bilanciato nel quale anche l’alcolicità è perfettamente amalgamata. Come l’Aglianico del Vulture Dop Baliaggio, già degustato nel 2016 si conferma un prodotto ottimo per fascia di prezzo.

In cucina è il classico vino da arrosti, primi piatti saporiti, cacciagione e formaggi a pasta dura. Da servire a 16°- 18° C in calici ampi per gustarlo al meglio.

LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve Aglianico 100% allevate a spalliera con una densità di 3500 piante per ha. I vigneti hanno un età compresa tra i 10 e i 30 anni e si trovano ad una altitudine i 450-500 mt s.l.m nella parte nord orientale della provincia di Potenza delimitata dal disciplinare di produzione che comprende il territorio di 15 Comuni.

La vendemmia viene effettuata tra il 15 ottobre ed il 10 novembre. L’uva  raccolta a mano  nelle prime ore del mattino, viene trasportata in casse da 12/15 kg in cantina dove viene pigiata e diraspata quindi trasferita in piccoli fermentini e macerazione pellicolare con inoculo di lieviti selezionati a temperatura controllata da 23° a 26° C. per circa 8 giorni.

Il completamento della fermentazione alcolica e malo-lattica dell’Aglianico Balì avviene in serbatoi isotermici inox. Successivamente il vino viene affinato in botti di rovere di slavonia per circa 12 mesi, quindi filtrato ed imbottigliato a freddo.

La Cantina di Venosa si trova nell’omonima città lucana. Costituita nel 1957 oggi vanta una base di 400 soci per 800 ettari vitati ed è il maggior produttore di Aglianico nella zona del Vulture.

Prezzo: 3,99 euro
Acquistato presso: Conad

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vini#1

Aglianico del Vulture Doc 2009 Bauccio, Madonna delle Grazie

L’Aglianico del Vulture. Vino di lunga ed antica tradizione se si pensa che già il poeta latino Orazio, originario di Venosa alle pendici del Vulture, ne parla nei suoi scritti esaltando le bellezze della sua terra e la bontà del suo vino. E proprio a Venosa ha sede cantina Madonna delle Grazie di cui oggi degustiamo l’Aglianico del Vulture Doc Bauccio, vendemmia 2009.

LA DEGUSTAZIONE
Rosso rubino intenso, per nulla trasparente, con riflessi granati. Al naso si svela subito una nota fruttata, di frutti neri e rossi maturi, seguita da vicino dai sentori speziati. Mirtillo, mora e prugna molto maturi che si alternano elegantemente a pepe nero, liquirizia ed un accenno di fieno.

In bocca è pieno, strutturato. L’alcolicità elevata (14,5%) non infastidisce e ben si integra con la buona acidità ed i tannini, fini e vellutati, creando una sensazione di grande equilibrio. Lungo ed elegante il finale.

LA VINIFICAZIONE
Aglianico in purezza (100%) da vigneto sulle pendici del Vulture. Viti di età media di 50 anni. Raccolta manuale e cernita in pianta per garantire la miglior qualità delle uve. Vinificazione in piccoli contenitori con frequenti follature. Dopo la maturazione sulle fecce fini Bauccio riposa un minino di 12 mesi in tonneaux di rovere francese.

LA CANTINA
Tecniche non invasive, niente pesticidi e insetticidi, e rispetto del ciclo naturale della vite. Era il 2003 quando per la prima volta Giuseppe Latorraca decise di coltivare e vinificare le antiche vigne di famiglia e di farlo nel rispetto e nella valorizzazione del territorio: il monte Vulture.

Antico vulcano spento sulle cui pendici l’Aglianico ha trovato l’habitat adatto, fatto di mineralità e di un clima particolare. Madonna delle Grazie coltiva solo uve Aglianico, poste in diverse contrade di Venosa, tutte fra i 400 ed i 550 metri sul livello del mare, vinificando per singole parcelle per raccontare le diverse personalità delle viti e dei vini.

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news visite in cantina

Alla corte di Camerlengo: la faccia naturale del Vulture

Da architetto a vignaiolo, il passo è breve. Chiedere per credere ad Antonio Cascarano, l’istrionico patron di Camerlengo. Siamo a Rapolla, in provincia di Potenza. Una corte eretta su pilastri solidi e profondi. Messi in bolla da uno che di “disegni”, evidentemente, se ne intende.

Rame e zolfo in piccole dosi per la vigna storica di Aglianico, ereditata dal nonno, a 600 metri sul livello del mare: niente inerbimento tra gli alti filari che affondano le radici nella terra vulcanica. Le varietà a bacca bianca Ciungoli, Malvasia e Santa Sofia più in basso, a 250 metri, assieme a un impianto più giovane d’Aglianico: pendenza molto accentuata e terreno più argilloso rendono necessario l’inerbimento, per evitare cedimenti dello strato limoso. Una ricetta, quella di Cascarano, raccontata con la semplicità di chi mastica vigna e ne conosce ogni millimetro.

La cantina si trova nel centro del paese di Rapolla, borgo di 4 mila anime, nel cuore enologico della Basilicata. Un edificio storico di proprietà della famiglia, recuperato da Cascarano e trasformato in una culla per i frutti dei vigneti, che qui sembrano diventare eterni.

E’ qui che il vigneron si dedica alla vinificazione, con una prima fermentazione in legno in tini troncoconici. Segue un passaggio in acciaio per almeno 2 anni, che precede la permanenza in barrique.

Una cantina d’altri tempi, semplice e silenziosa. Ben isolata dall’esterno, con un equilibrio climatico ideale per la conservazione dei nettari. Un ponte di pietra la divide come un vascello. Il trono dal quale capitan Antonio dirige la sua avventura enoica.

LA DEGUSTAZIONE
Memorabile la verticale che è in grado di offrire Camerlengo, direttamente dalla botte. Si inizia da un 2016: una di quelle etichette capaci di sbugiardare i miti sull’Aglianico del Vulture, ritenuto da molti “imbevibile” nei suoi primi due anni di vita.

Invece no. Un vino caldo, con un tannino sì molto rustico, ma già molto ben addomesticato. La vendemmia 2015 mostra un’evoluzione diversa dell’Anthelio, l’Aglianico prodotto dalla vigna più giovane di Camerlengo.

Chiudiamo con un 2014, in un crescendo della percezione delle caratteristiche del suolo, unita a una percezione sulfurea e minerale. Un vino complesso, con richiami di pietra focaia.

Sul “ponte della nave”, Antonio Cascarano sfodera il jolly Accamilla, un bianco 2014 con macerazione sulle bucce di 18 giorni: blend di Malvasia, Ciunguli (varietà di Trebbiano toscano) e Santa Sofia. Tutte le varietà vendemmiate insieme, con la Malvasia a fare da indicatore per il periodo di miglior raccolta.

“Quando questa risulta pronta per la raccolta – spiega il produttore – il Ciungoli è ancora quasi acerbo, e la Santa Sofia e sovramatura. In questo vino si raggiunge un equilibrio eccellente di acidità e sentori caldi”. Una scelta enologica questa volta non sua, ma ereditata dal nonno.

Passiamo al rosato d’Agrlianico Juiell, molto piacevole. Un naso finissimo e una struttura da rosè importante. Poche bottiglie di questo prodotto unico, ottenuto dalla vigna più giovane del reame. Chiudiamo con un Aglianico Camerlengo 2001: un vino eterno, giovanissimo, nessun segno di cedimento visivo, nessun accenno al mattonato, ancora vivo e porpora.

E’ alla prova di calici come questo che l’Aglianico si attesta tra i vitigni più longevi d’italia. Un naso suadente che esprime caratteristiche vulcaniche. E una beva piacevole, asciutta, emozionale. Quella che sanno regalare solo i grandi vini.

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Radici del Sud 2017: i migliori vini degustati

Riflettori accesi sul vino del Meridione d’Italia a Radici del Sud. Alla XII edizione del Salone dei vini e degli oli meridionali, in scena il 4 e 5 giugno al Castello di Sannicandro di Bari, in passerella la viticoltura delle regioni Puglia, Basilicata, Campania, Calabria e Sicilia.

Un livello medio alto quello riscontrato ai banchi di degustazione, allestiti dall’associazione ProPapilla, capitanata da Nicola Campanile, in tre sale dello splendido maniero Normanno-Svevo.

Novantaquattro aziende rappresentate, capaci presentare in concorso 350 vini, settanta dei quali approdati alle finalissime di fine mese. Questi, invece, i migliori vini degustati a Radici del Sud dalla redazione di vinialsuper

SPUMANTI
1)
Un assortimento completo, profondo, pregiato, fa di Colli della Murgia – realtà da 200 mila bottiglie l’anno certificata biologica con base a Gravina in Puglia (BA) – la cantina più interessante dell’intera costellazione di Radici del Sud 2017. Sbaraglia a mani basse la concorrenza nella sezione spumanti, con lo statuario Metodo Classico Brut 2012 “Amore Protetto”.

“Si tratta dell’evoluzione della scommessa della nostra azienda – spiega Saverio Pepe – dai risvolti ‘sociali’: produrre una bollicina che contrastasse il proliferare del Prosecco, ormai divenuto anche in Puglia sinonimo di ‘bollicina’. Siamo partiti così da uno Charmat, per poi evolverci nella direzione di questo Metodo Classico, a completamento del nostro percorso”.

Una manovra più che riuscita, con la marcia della qualità ingranata. “Amore Protetto” è una chicca da conservare per le migliori occasioni. Prodotto con uve Fiano Minutolo raccolte a mano e pressate direttamente, svela nel calice un perlage finissimo, in un tripudio giallo paglierino brillante, con riflessi verdolini.

Naso marcato di miele millefiori, con richiami a metà tra l’agrumato, l’esotico e la frutta candita, in un quadro di grande finezza che si ritrova anche al palato. Qui, a sorprendere, è la freschezza quasi balsamica della beva, unita a una buona sapidità. Ciliegina sulla torta? Una persistenza pressoché infinita.

VINI BIANCHI
1) Il Basilicata Bianco Igt 2016 “Accamilla” di Camerlengo è l’unico vino bianco dell’azienda agricola di Antonio Cascarano a Rapolla, in provincia di Potenza. Un mix di tre uve a bacca bianca trattate in vinificazione alla stregua dei rossi, alla maniera degli “Orange wine”.

L’apporto predominante (60%) è quello della Malvasia, raccolta in vigna una volta raggiunta una leggera surmaturazione. Completano il blend un antico clone di Fiano, il Santa Sofia, e il Cinguli, altro clone di Trebbiano Toscano. Tini di castagno per la macerazione, con le prime ore di follature che interessano anche i raspi delle tre uve.

Che dire? Il Castello di Sannicandro di Bari sembra sparire tra i profumi di questo calice che porta idealmente al Collio friulano e alla Slovenia. Un apporto, dunque, di tipo aromatico e tannico ben costruito, per un vino messo in bottiglia da circa cinque mesi. Non manca, anzi è ben marcata, la firma del terroir vulcanico in cui opera la cantina Camerlengo. Un sorso di eccezionale rarità.

2) Secondo gradino del podio per il Fiano di Avellino Docg 2014 “Numero Primo” di VentitréFilari, preziosa realtà di “artigiani del vino” di Montefredane, in provincia di Avellino. “Ventitré come l’anno 1923 – spiega Rosa Puorro – in cui nonno Alfonso nasceva. E ventitré come il numero di filari del nostro vigneto”. Un marketing efficace, che regge.

Anche (e soprattutto) in un calice che mostra un’evoluzione sostanziale rispetto al primo vino proposto: la stessa etichetta di Fiano, vendemmia 2015 (appena messa in commercio, ma con altrettante potenzialità d’affinamento). Il giallo dorato di cui si tinge il vetro è un inno al buon bere in Campania.

L’equilibrio tra acidità e sapidità fa il resto, in un contesto tutto sommato rotondo, morbido. Il segreto di questo Fiano? Nove mesi sulle fecce, che ne fanno un vero e proprio concentrato dell’essenza del grande vitigno irpino.

3) Sul bigliettino da visita di Mario Notaroberto c’è scritto in chiare lettere: “Contadino”. Un marchio di fabbrica genuino, che si ritrova anche nel Fiano Cilento Dop Valmezzana 2015 della sua cantina, Albamarina. Siamo in località Badia nel Comune di Centola, una sessantina di chilometri a Sud di Agropoli, in provincia di Salerno. Un progetto “contadino”, quello di Mario Notaroberto, che mira al rilancio del Cilento nel nome di un’enogastronomia fondata sul valore della “terra”.

E di “terra” ne troviamo tanta nel suo Fiano. Due le annate in degustazione, con la 2015 che – rispetto alla 2016 – evidenzia un’evoluzione già netta, tutt’altro che completa. Note floreali e fruttate si mescolano a richiami erbacei decisi, naturali. Sembra d’essere in piena campagna quando al naso giungono richiami d’idrocarburo, spiazzanti. In bocca gran calore e pienezza: l’acidità rinfrescante ben si calibra con una mineralità degna di nota. Un vino da aspettare, il Fiano Cilento Dop Valmezzana di Albamarina, come dimostrerebbe – secondo Notaroberto – il vendemmia 2012, “ancora in progressione in bottiglia”.

VINI ROSSI
1) E’ di Elda Cantine il miglior rosso di Radici del Sud 2017: si tratta del Nero di Troia Puglia Igp 2014 “Ettore”. Lo premiamo per la grande rappresentatività del vitigno che sa offrire nel calice e per l’utilizzo moderato di un legno che, in altri assaggi, ha distolto l’attenzione dalla vera potenzialità del Nero di Troia: il binomio tra frutta e spezia.

Giova a Elda Cantine la scommessa pressoché totale su questo uvaggio, con il claim aziendale “dalle radici al suo profumo” che, in realtà, è la sintesi della scoperta della “vocazione innata” di Marcello Salvatori. Un progetto del 2000 dedicato alla madre Elda.

Siamo sui Monti Dauni, più precisamente a Troia, in provincia di Foggia. Qui Elda Cantine ha recuperato ed alleva uno dei vigneti più alti dell’intera regione Puglia, situato a 400 metri sul livello del mare. Il Nero di Troia Puglia Igp 2014 “Ettore” è vinificato in acciaio, prima di passare in botti di rovere per 12 mesi.

2) Riscomodiamo Antonio Cascarano per il racconto dell’Aglianico del Vulture Doc 2012 Camerlengo, vino simbolo della sua cantina di Rapolla, in Basilicata. Una sintesi perfetta tra potenza ed eleganza: forse tra le più belle espressioni del vitigno attualmente in commercio in Italia. La corrispondenza gusto-olfattiva è pressoché perfetta: naso e bocca assistono a un rincorrersi tra note marasca, ribes, lamponi, prima di una chiusura delicata di vaniglia, che nel retrolfattivo vira su terziari di cacao e tabacco dolce.

Al palato l’impronta del terroir più evidente: una spiccata mineralità che allarga lo spettro dei sentori, chiamando il sorso successivo e accompagnando verso un finale lunghissimo, tra il fruttato e il sapido. Dodici mesi in barrique di primo, secondo e terzo passaggio, più un affinamento di 8 mesi in bottiglia. Nessuna chiarifica e nessuna filtrazione. Da provare.

3) Per la piacevolezza della beva ecco il Syrah Vino Rosso Doc Sicilia 2014 di Fondo Antico, azienda agricola di proprietà della famiglia Polizzotti Scuderi situata in frazione Rilievo, a Trapani. Un vino dall’interessantissimo rapporto qualità prezzo, che dimostra come il Sud del vino possa concedersi anche prodotti non troppo elaborati, “quotidiani”, ma di qualità. Gran bel naso di frutti rossi puliti, con richiami caratteristici di pepe e macchia mediterranea. In bocca una piacevole morbidezza giocata di nuovo sui frutti rossi, unita a una grande freschezza che chiama il sorso successivo.

VINI ROSATI
Altra menzione per Colli della Murgia, tra i vini rosati. E non solo per il coraggio di mettere in bottiglia, in Puglia, un rosè dallo stile provenzale. Profumi intensi, acidità, freschezza. Questi i tratti distintivi del Rosato Igp Puglia 2016 Sellaia, ottenuto al 100% da uve Primitivo. Colore cerasuolo didattico, colpisce al naso per la pulizia delle note di frutta rossa e floreali di rosa. Una finissima delicatezza che ritroviamo anche al palato, in perfetto equilibrio tra durezze e morbidezze. Buona la persistenza. Uno schiaffo alla Puglia dei rosati ruffiani, che stancano al secondo sorso.

IL FUTURO DI RADICI DEL SUD
Già si conoscono le date della prossima edizione di Radici del Sud, che dal 5 all’11 giugno 2018 tornerà ad occupare le sale del Castello Normanno Svevo della cittadina barese. Già confermato l’impianto, con i consueti incontri BtoB dedicati alle aziende, il concorso dei vini e la due giorni dedicata al pubblico.

La vera novità riguarderà il panel di degustazione, che si amplierà anche all’olio con tre diverse giurie: una composta da tecnici olivicoli, una da massaie e l’ultima da studenti delle scuole alberghiere. “Un modo nuovo di avere a disposizione punti di vista diversi su un mondo, quello dell’olio, con un potenziale ancora fortemente inespresso”, commentano gli organizzatori del Salone.

Altra novità riguarda la due giorni dedicata al pubblico. Il Salone si trasformerà in un vero e proprio mercato del vino e dell’olio, durante il quale i visitatori, oltre ad assaggiare, potranno anche comprare i prodotti delle aziende.

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Vini al supermercato

Aglianico del Vulture Doc 2013 I due cavalieri di Terra Lucis, Cantine del Notaio (CdN)

(3,5 / 5) E’ il prodotto “base” di una delle migliori cantine italiane, certamente tra le più rinomate del Sud Italia. Parliamo dell’Aglianico del Vulture Doc I due cavalieri di Terra Lucis, delle Cantine del Notaio (CdN). Un vino che strizza l’occhio alla personalità del resto della produzione della casa vinicola fondata nel 1998 dall’agronomo Gerardo Giuratrabocchetti, ormai nota nel mondo per vini a base Aglianico come “L’Atto”, “Il Sigillo”, “La firma” e “Il Repertorio”. Non aspettiamoci le stesse emozioni da I due cavalieri, vino col quale Cantine del Notaio ha deciso di farsi conoscere nel mondo della grande distribuzione organizzata. Si tratta comunque di una bottiglia di tutto rispetto, capace di regalare più di un’idea su quelle che sono le enormi potenzialità di un vitigno, l’Aglianico, considerato il “Barolo del Sud” Italia. In particolare, sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it finisce oggi la vendemmia 2013. Nel calice, I due cavalieri di Terra Lucis si presenta d’un rosso rubino impenetrabile con unghia violacea, limpido, carico e di densa consistenza. Al naso colpisce per quanto risulti letteralmente caldo: l’intensità delle note di confettura di frutti a bacca rossa, assieme ai sentori speziati che richiamano zafferano e cuoio, risulta molto spiccata. Tanto da conferire una percezione “tattile” del profumo. Al palato, l’Aglianico del Vulture Doc I due cavalieri di Terra Lucis si conferma vino di corpo, caldo rotondo, secco. L’acidità è ben vestita, fresca. E si sposa alla perfezione con una sapidità che aggiunge freschezza alla beva. Il tannino è elegante, pronto, contribuendo così a un quadro di complessivo equilibrio. Il finale è intenso e conduce verso percezioni di caffè e cioccolato amaro, in un fin di bocca che avremmo sperato risultasse ancora più persistente. Bottiglia validissima, insomma, soprattutto nel rapporto qualità prezzo. Abbinabile a piatti importanti a base di carne, come la selvaggina, l’Aglianico del Vulture Doc I due cavalieri di Terra Lucis è ottenuto mediante utilizzo in purezza dell’omonimo uvaggio, allevato nei vigneti della casa vinicola di Rionero, nel pieno della Lucania. La vendemmia avviene verso la seconda o terza settimana del mese di ottobre, con vinificazione in acciaio. La macerazione dura circa 7 giorni, in base all’annata. Alla fermentazione alcolica e malolattica viene fatto seguire un passaggio in legni di barrique e tonneaux di rovere francese non nuovi, per un periodo di circa dodici mesi.

Prezzo pieno: 8,99 euro
Acquistato presso: Esselunga

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