Puglia nuovo ceppo di Xylella fa paura alla vite prime eradicazioni chirurgiche Allarme Efsa interessate 339 piante di cui 212 mandorli 119 viti e 7 ciliegi
Xylella vite puglia Dopo gli ulivi, la vite. Non c’è pace per la Puglia, alle prese con la conferma di un’emorragia dell’emergenza causata dal batterio Xylella, che ha già causato lo sradicamento di oltre 15 mila alberi, per la maggior parte ulivi secolari e spesso monumentali. L’Efsa, l’European Food Safety Authority, organizzazione europea che si occupa di sicurezza alimentare, ha confermato che 452 specie di piante appartenenti a 70 famiglie diverse possono essere colpite da questo batterio. Tra queste c’è anche la vite. La preoccupazione è crescente in Puglia e viene confermata dagli ultimi dati resi noti da Coldiretti, the Italian national organization of farmers.https://www.efsa.europa.eu/it
XYLELLA: ERADICAZIONI CHIRURGICHE SULLA VITE IN PUGLIA
La notizia è che sono state effettuate le prime «eradicazioni chirurgiche», ovvero il taglio dei ceppi infetti entro un raggio di 50 metri attorno a quelle trovate positive all’’infezione, anche nei vigneti. Questa azione preventiva, utile a impedire che il batterio contagi superfici agricole ben più vaste, si è svolta nelle zone dove è stata scoperta la presenza di un nuovo tipo di Xylella, chiamato Xylella fastidiosa fastidiosa. L’Efsa lo definisce un «nuovo ceppo particolarmente pericoloso, perché attacca vigneti, mandorli e alberi da frutto come i ciliegi», colture molto diffuse in Puglia, dove spesso risultano addirittura piantate in modo promiscuo, a simboleggiare la biodiversità della splendida regione del Sud Italia.https://www.winemag.it/salento-consorzi-del-vino-pronti-alle-barricate-contro-il-fotovoltaico/
IL NUOVO CEPPO DEL BATTERIO KILLER XYLELLA
I numeri iniziano a fare paura. Sono state già portate a termine le eradicazioni da infezione del nuovo ceppo del batterio killer su 339 piante, di cui 212 mandorli, 119 viti e 7 ciliegi. Il tutto, nell’area simbolo della viticoltura pugliese, ovvero il basso Salento, terra del Primitivo di Manduria. Per la prima volta sono state anche riscontrate nelle uve, nelle mandorle e in altre piante della Puglia infezioni naturali del ceppo della cosiddetta “malattia di Pierce”, un altro ceppo di Xylella fastidiosa che causa malattie nei vigneti del Nord America. Non è solo l’Italia a doversi preoccupare. Tra le nuove “piante ospite” del batterio individuate dall’Efsa, c’è anche la quercia di montagna della Cantabria (Quercus orocantabrica) trovata infettata in Portogallo.https://www.consorziotutelaprimitivo.com/
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Il vino Fragolino e legale Cosa ci vendono i supermercati. Sveliamo come viene prodotta la nota bevanda in commercio anche in Gdo
Il vino Fragolino è legaleo illegale? Cosa ci vendono i supermercati? Il Fragolino, vino aromatico e dolce a base di uva fragola – nota anche come uva americana o Vitis labrusca – è soggetto a restrizioni in molti paesi dell’Unione Europea, inclusa l’Italia. Queste restrizioni non derivano tanto dalla pericolosità del prodotto, quanto da normative specifiche sulla vinificazione e l’uso di certe varietà di vite.
PERCHÈ IL FRAGOLINO È CONSIDERATO ILLEGALE?
Tipologia di uva: L’uva fragola appartiene alla specie Vitis labrusca, diversa dalla Vitis vinifera, che è la specie più comunemente usata per la produzione di vini in Europa. Le normative dell’UE vietano la produzione di vino da Vitis labrusca per motivi legati alla tradizione enologica europea e alla protezione delle varietà autoctone.
Produzione di metanolo: L’uva fragola produce una quantità leggermente più alta di metanolo durante il processo di fermentazione rispetto alla Vitis vinifera. Sebbene le quantità siano generalmente sicure per il consumo umano, questo aspetto è stato utilizzato come giustificazione per limitarne la produzione commerciale.
Denominazioni protette: Le normative UE vietano la vendita di prodotti etichettati come “vino” se non provengono da varietà di vite autorizzate. Questo significa che il Fragolino non può essere commercializzato legalmente come vino, anche se è possibile produrlo e consumarlo a livello privato.
DOVE È LEGALE IL FRAGOLINO E COME SI CONSUMA
Produzione casalinga: In Italia, è legale produrre il Fragolino per uso personale, ma non è permessa la vendita commerciale.
Versioni commerciali: Alcuni prodotti chiamati “Fragolino” sono in realtà bevande aromatizzate che imitano il sapore del Fragolino ma non sono ottenuti dalla fermentazione dell’uva fragola.
Fuori dall’UE: In alcuni paesi extraeuropei, come gli Stati Uniti, l’uva fragola è usata senza restrizioni nella vinificazione.
Dunque, il vino Fragolino è legale o illegale? La risposta, in sintesi, è che il Fragolino non è propriamente “illegale”. Ma la sua produzione e commercializzazione (con questo nome, anche nei supermercati) sono fortemente limitate da normative vinicole specifiche. La prima regola, se lo si acquista in Gdo, è dunque quella di non aspettarsi propriamente un vino, bensì una bevanda aromatizzata che imita il sapore dell’originale, non vendibile al pubblico nella grande distribuzione. Un esempio su tutti? Il Fragolino Duchessa Lia distribuito, tra gli altri, nei supermercati Carrefour a 4,65 euro a bottiglia.Luca Maroni 92 punti al Fragolino di Aldi (che non è un vino)
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Ritorno al piede franco per sostenibilita viticoltura la proposta enologo Donato Lanati
«Si parla spesso di sostenibilità ambientale, di clima e di siccità. Ma oggi, per produrre un litro di vino, occorrono circa 600 litri di acqua. Con le piante a piede franco ne basterebbe meno della metà». Così Donato Lanati nel suo intervento sulla sostenibilità della viticoltura del futuro, in occasione del 310° Capitolo della Selezione Grandi Vini dell’Albese 2023 andato in scena sabato 16 settembre, al Castello di Grinzane Cavour, nelle Langhe. «La ricerca – ha aggiunto Lanati – deve andare in questa direzione, trovando soluzioni che contrastino quelle malattie che, da oltre un secolo, impongono l’utilizzo dei portinnesti americani».
Le soluzioni non sono facili – ha precisato il noto enologo, insignito nell’occasione del titolo di Cavaliere Onorario dell’Ordine dei Cavalieri del Tartufo e dei Vini d’Alba – ma neppure impossibili. Vanno ricercate attraverso la conoscenza, lo studio, la ricerca, la sperimentazione e il rinnovamento continuo. Alzando lo sguardo oltre i consueti orizzonti. Poi, ci vogliono passione, curiosità, intuizioni e un pizzico di genialità».
Vanno proprio in questa direzione gli studi, le sperimentazioni e le ricerche che Lanati e la sua squadra di scienziati biologici, chimici ed enologi stanno portando avanti al al Centro di Ricerca Applicata all’Enologia Enosis Meraviglia di Fubine Monferrato, in provincia di Alessandria, in Piemonte. «Tornare a produrre con piante a piede franco – ha concluso Donato Lanati – significa apportare un grande valore aggiunto alla nostra enologia, in termini di sostenibilità, oltre che di qualità e di longevità del vino, nonché di difesa della pianta dalle malattie e dai cambiamenti climatici. Basta guardare all’esperienza georgiana, dove tutto ebbe inizio».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Peronospora della vite emergenza nazionale Italia situazione regione per regione
Sempre più pesanti gli effetti della peronospora in vista della vendemmia 2023 in Italia. A causa delle forti piogge, la malattia della vite di primavera sta diventando un’emergenza nazionale. Le perdite previste in diverse regioni italiane sono stimate fino al 40%. Lo rileva l’Osservatorio di Unione italiana vini (Uiv) attraverso le interviste alle imprese del vino compiute sui territori. Maggiormente colpita, in generale, la viticultura biologica che, in alcune aree, risulta fortemente compromessa. Le regioni più danneggiate sono quelle della dorsale adriatica, a partire da Abruzzo e Molise, con perdite fino al 40%. Molti areali di Marche, Basilicata e Puglia si affacciano alla vendemmia 2023 con cali previsti nell’ordine del 25-30%.
Complicata la situazione anche in Umbria, Lazio e Sicilia, specie nel trapanese, mentre in Romagna sono ancora da valutare gli effetti dell’alluvione, in particolare del fango nei vigneti. «In generale – ha detto il presidente Uiv, Lamberto Frescobaldi – la stagione pre-vendemmiale era partita bene un po’ ovunque, poi da maggio in avanti la situazione si è guastata. Siamo passati repentinamente dal problema degli stock in eccesso, attualmente confermato con le Dop in eccedenza a +9% sullo scorso anno, a uno scenario di probabile importante riduzione dei volumi di raccolta previsti in diverse regioni». Per le altre aree poco colpite dalla peronospora si prevede una buona vendemmia.
PERONOSPORA – LA SITUAZIONE NELLE PRINCIPALI REGIONI
Piemonte: la situazione appare sotto controllo: siccità fra marzo e aprile, piogge nella norma, più oidio che peronospora.
Lombardia: in Valtellina si registrano problematiche di peronospora su una produzione tendenzialmente abbondante. Pressione su foglia e su grappolo, con cali mediamente del 5%.
Veneto: pochi e localizzati attacchi grandinigeni, con perdite anche al 50%. La produzione attesa in regione per ora è molto abbondante.
Friuli-Venezia Giulia: bene Collio, qualche problema a macchia di leopardo nel resto della regione. I vigneti rimangono comunque carichi.
Emilia e Romagna: la situazione appare per ora sotto controllo per quanto riguarda la peronospora. Resta problematico il post-alluvione, sia, soprattutto in collina, per l’accesso ai vigneti, sia per il fango in pianura.
Toscana: a causa delle forti piogge a maggio, la peronospora è presente e si registrano difficoltà di accesso ai vigneti per i trattamenti. Per ora si prevede una riduzione su una produzione che si annunciava comunque abbondante (in media 10% di infezioni). Riportati problemi anche di botrite e grandinate locali.
Umbria: la pressione è molto forte, con cali dal 10 al 15%, con punte fino al 30%. La produzione iniziale prevista era abbondante, quindi si dovrebbe arrivare a una raccolta nella norma.
Abruzzo e Molise: è piovuto costantemente dal 4 aprile. A causa della conformazione del terreno (colline e vallate) è stato difficile accedere agli appezzamenti per poter eseguire i trattamenti fitosanitari. La peronospora ha attaccato in forma abbastanza importante entrambe le regioni e si stima un calo di produzione del 30-40 % sulle uve convenzionali (50-60% in Molise), mentre si arriva anche al 70-80% sulle uve biologiche. Il danno maggiore sembra comunque subìto dalle varietà a bacca rossa, non trattate perché al momento dell’attacco erano ancora in fase primordiale, nelle zone collinari. Per tutta questa serie di situazioni, oggi le aziende produttrici hanno rallentato le vendite e qualcuna le ha addirittura fermate.
Marche: situazione non omogenea. In linea di massima è stata colpita di più la zona più prossima alla costa, ma le infezioni sono un po’ ovunque. È difficile quantificare la perdita ma sicuramente si profila un’annata di scarsa produzione (-20%), su una stagione ancora in ritardo nello sviluppo della fase fenologica rispetto al 2022.
Lazio: la stagione era partita bene, ma la pioggia di maggio ha innescato forti focolai, attorno al -25% di produzione prevista (su una partenza abbondante).
Basilicata: la peronospora ha avuto un forte impatto sul Vulture e anche sui bianchi, in alcuni areali le previsioni sono a -60%.
Puglia: la peronospora si è diffusa sia a Nord (tendoni tasso a 50%) sia a sud, su Malvasia, Negroamaro e Primitivo, con cali attesi del 25%.
Sicilia: la peronospora è diffusa, soprattutto nel Trapanese: quelli che non hanno trattato a ciclo completo per questioni di costi avranno forti perdite, le aziende strutturate avranno una buona vendemmia. Siamo attorno a un’incidenza del 10-15%.
Calabria: secondo fonti di winemag.it, la situazione in Calabria è disastrosa in alcune zone. Sino a 20 giorni fa era impossibile entrare in vigna in alcune zone, come la provincia di Cosenza, per la presenza di fango. Le piogge hanno poi causato attacchi di peronospora. Una situazione che viene definita «apocalittica», tanto da compromettere l’intera annata.
Campania: sempre secondo fonti di winemag.it, situazione molto difficile anche in Campania. La vendemmia 2023 risulta fortemente compromessa in tutte le zone. Alcuni produttori parlano senza mezzi termini di «disastro». Si stimano perdite intorno al 40%. Ancora una volta, i danni maggiori sono dovuti dall’impossibilità di entrare in vigna a causa del fango. Incomberebbe anche l’ombra della larvata, che sta attaccando in maniera importante anche le piante a valle. Le uve rosse sono quella più compromesse. Molto meglio i bianchi, soprattutto la Falanghina che conferma la naturale rusticità e una certa resistenza.
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Fondazione italiana sommelier porta il vino nello spazio con Agenzia Spaziale Italiana
Fondazione Italiana Sommelier porta il vino nello spazio, (per ora) grazie a un convegno in programma durante il 15° Forum Internazionale della Cultura del Vino. L’evento è frutto di una partnership di Fis con l’Agenzia Spaziale Italiana, che darà vita a una «nuova sperimentazione avanzata».
L’appuntamento è per lunedì 4 luglio dalle ore 10 presso il Salone dei Cavalieri dell’Hotel Rome Cavalieri (via Alberto Cadlolo 101, Roma) sede della Fondazione. Tra i momenti clou, la «cerimonia di affidamento dei Vini e delle Barbatelle destinati alla Stazione Spaziale».
La Coltivazione della Vite – anticipa Federazione italiana sommelier – racchiude tutti gli elementi del viaggio dell’Umanità sul nostro Pianeta. Dalla prima scoperta degli effetti di una sperimentazione spontanea di frutti maturi, allo studio del Dns dei singoli vitigni e delle caratteristiche del terreno, dove quelle Viti crescono per avere il migliore risultato».
«Sono passati millenni di sperimentazioni – continua Fis, ponendo alcuni interrogativi sul tema del vino nello spazio – prima spontanee e non elaborate fino alle tecniche più sofisticate di oggi. È un incredibile percorso che ritroviamo in tutti i campi del progresso. Bene, e allora qual è il collegamento con quanto l’Uomo, in modo via via più profondo, convinto, sfidante, sta facendo nello Spazio? Come l’Uomo lo sperimenterà in via definitiva?».
IL CONVENGO DI FIS CON L’AGENZIA SPAZIALE ITALIANA
Tra gli ospiti del convegno in programma durante il 15° Forum Internazionale della Cultura del Vino, Franco Maria Ricci, presidente di Fondazione italiana sommelier. Nel suo intervento, «il vino come elemento primario di territorio, i vitigni che rendono l’Italia il primo Paese al mondo nella produzione, ora anche nello spazio, per una sperimentazione in orbita».
Interverrà poi Giorgio Saccoccia, presidente dell’Agenzia spaziale italiana. Illustrerà, in analogia con quanto avviene nel mondo del vino, «come le attività spaziali siano un patrimonio unico del nostro Paese, un’area di eccellenza che fa distinguere l’Italia, i suoi ricercatori e le sue imprese nel mondo».
Seguirà l’intervento di Massimo Claudio Comparini, ad di Thales Alenia Space Italia. Partendo dal ruolo dell’Italia, sin dall’inizio dell’avventura spaziale, illustrerà «il percorso dell’esplorazione e dell’utilizzo delle tecnologie spaziali, per conoscere e proteggere il nostro pianeta rendendolo un luogo sostenibile». In evidenza alcuni «elementi significativi della sperimentazione in orbita della coltivazione delle piante e della vite».
BARBATELLE NELLO SPAZIO
Dopo Nicolas Gaume, founder di Space Cargo Unlimited, e Walter Cugno, vice presidente Esplorazione e Scienza Thales Alenia Space Italia, illustreranno l’esperimento attualmente in corso sulla stazione spaziale e l’importanza di proseguire «sulla base dei risultati con una nuova e più completa sperimentazione in orbita della quale illustrano gli elementi significativi». Saranno infatti presentati «i possibili esperimenti in orbita per la crescita delle piante e delle barbatelle nello spazio».
Tra gli ospiti anche Franco Malerba, primo astronauta italiano e fondatore di Space V, e l’enologo Donato Lanati (Enosis sperimentazioni) che presenteranno «i possibili esperimenti in orbita per la crescita delle barbatelle e il volo nello spazio di vini dell’eccellenza vinicola italiana». L’ingresso al convegno è gratuito ma è obbligatoria la prenotazione sul sito Fis.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Luigi Moio nuovo presidente Oiv guidera la rivoluzione della biodiversita in vigna
Luigi Moio eletto nuovo presidente Oiv in occasione di una delle più accese riunione dell’assemblea generale dell’Organizzazione internazionale della vite e del vino. Proposta Digione come nuova città ospitante dell’Oiv, ma non solo. La biodiversità è stata inclusa nelle risoluzioni dell’Organisation Internationale de la vigne et du vin. È stata poi aggiunta la lingua russa alle cinque già ufficiali. Dato infine il via libera al prossimo Congresso Mondiale della Vite e del Vino.
Per l’Italia, una presidenza che era nell’aria da diversi mesi. Quella di Luigi Moio, dal 1998 consulente scientifico per il Ministero delle Politiche Agricole. Nel 2001, Moio ha fondato la cantina Quintodecimo, una delle realtà vitivinicole più fulgide della Campania.
Succede a Regina Vanderlinde (eletta primo vicepresidente) e resterà in carica per 3 anni. Il secondo vicepresidente e direttore generale è Pau Roca. In occasione della 19a Assemblea Generale, l’Oiv ha eletto anche i presidenti degli organi scientifici. Per la Commissione I Viticoltura, Ahmed Altindisli (Turchia) succede a Vittorino Novello (Italia).
Per la Commissione II Enologia, Fernando Zamora (Spagna) succede a Dominique Tusseau (Francia). Per la Commissione III Diritto ed Economia, Yvette van der Merwe (Sud Africa) succede a Dimitar Andreevski (Bulgaria).
E ancora per la Commissione IV Sicurezza e Salute, Pierre-Louis Teissedre (Francia) succede a Gheorghe Arpentin (Moldavia). Nella Sottocommissione Metodi di analisi, Manuel Humberto Manzano (Argentina) succede a Markus Hrderich (Australia). Infine, Luís Carlos Ferreira Peres de Sousa (Portogallo) succede ad Alejandro Marianetti (Argentina) nella Sottocommissione Prodotti non fermentati, uva da tavola e uva passa.
BIODIVERSITÀ INCLUSA NELLE RISOLUZIONI ADOTTATE
Come di consueto, nella sua assemblea annuale l’Organizzazione vota nuove risoluzioni. Biodiversità, pratiche enologiche, indicazioni geografiche e buone pratiche per i consumatori negli eventi legati al vino sono al centro delle 19 nuove risoluzioni votate all’unanimità.
Per quanto riguarda la biodiversità, gli Stati membri dell’Oiv hanno riconosciuto che «i microrganismi sono potenzialmente indicatori precoci dell’influenza di fattori esterni sulla biodiversità complessiva del vigneto». D’altra parte, l’impegno è quello di «promuovere e incoraggiare lo sviluppo di politiche per la valutazione qualitativa e dell’abbondanza microbica in vigna».
ADOZIONE DELLA LINGUA RUSSA
Dopo diversi mesi di negoziati, il russo è stato adottato dagli Stati membri dell’Oiv. Sarà la sesta lingua ufficiale adottata dall’Oiv. Questa nuova misura «consentirà alla comunità di lingua russa di comprendere meglio e appropriarsi degli standard e delle pratiche internazionali che l’Oiv ha adottato per migliorare le condizioni di produzione e commercializzazione della vite e dei prodotti del vino».
VIA LIBERA AL PROSSIMO CONGRESSO MONDIALE DELLA VITE E DEL VINO
Diversi i temi importanti in agenda. Il Messico ha confermato l’intenzione di organizzare il 43° Congresso mondiale della vigna e del vino, nel novembre 2022. Una proposta accolta con grande favore dagli Stati membri dell’Oiv, accompagnata dal logo ufficiale dell’evento. Segnerà il ritorno del Congresso dell’Oiv dal 2019, dopo una pausa forzata a causa della pandemia Covid-19 e delle misure volte ad arginare la sua diffusione.
DECISIONI IN MATERIA DI SICUREZZA E SALUTE
Infine, l’Oiv ha adottato linee guida per la prevenzione dei rischi legati al consumo di alcol. L’obiettivo dell’Organizzazione internazionale della vite e del vino è «standardizzare la metodologia per offrire test dell’etilometro ai consumatori che partecipano a eventi enologici».
Il tutto nell’ambito di un «programma educativo promosso per incoraggiare la moderazione e la responsabilità del consumo di vino a questi eventi». L’Oiv incoraggia gli organizzatori delle fiere del vino rivolte ai consumatori «a includere questa attività come parte della loro responsabilità sociale».
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La Fillossera della vite e tornata complotto dei vivaisti. Tutta la verita dai ricercatori del Crea Ve di Conegliano 1
“La fillossera delle vite è tornata“, si legge in rete. Sono i ricercatori del Crea Ve di Conegliano a chiarire i contorni di una “voce di corridoio” che sta generando il panico tra i viticoltori meno esperti. Tra le ipotesi più curiose, quella di un “complotto dei vivaisti“, accusati di immettere sul mercato barbatelle non più non in grado di combattere la fillossera della vite, l’insetto fitofago della famiglia Phylloxeridae responsabile – nell’Ottocento – della moria dell’80% delle viti presenti in Europa.
L’intervista esclusiva di WineMag.it a Riccardo Velasco (nella foto), direttore del Centro di Ricerca Viticoltura ed Enologia – Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria di Conegliano e alla ricercatrice Crea Ve Vally Forte (nella foto, sotto) dissipa una volta per tutte le nubi sull’argomento.
Il “ritorno” della fillossera: è mai sparita davvero, almeno per quanto riguarda gli attacchi all’apparato fogliare? Oggi, infatti, pare manifestarsi con particolare recrudescenza che le caratteristiche “bolle” o “borse” di colore giallo sulle foglie, in cui l’insetto depone le uova
La fillossera è stata sconfitta con interventi di tipo agronomico, grazie a portainnesti di origine americana che permettono l’interruzione del ciclo vitale dell’insetto nella radice, tuttavia nelle foglie dei portainnesti non sono rare le galle di filllossera. Su foglia di Vitis vinifera le galle sono comparse già negli anni ’80 e si sono sempre sporadicamente manifestate, ma segnalazioni recenti consigliano di seguire con interesse l’evoluzione di questo patogeno.
Il Crea Ve sta studiando il fenomeno?
Non è stato fatto alcuno studio approfondito su fillossera dal Crea negli ultimi 15 anni, ma segnalazioni frequenti (soprattutto negli ultimi 5-7 anni) arrivano da viticoltori che in estate rinvengono i sintomi su vigneti in provincia di Treviso, pur non rilevando danni alla produzione, danni che invece si sono presentati sporadicamente in provincia di Vicenza.
Qual è la reale pericolosità degli attacchi sull’apparato fogliare: cosa causano alla pianta?
Su alcuni vitigni (Merlot e Sangiovese, studi condotti in Toscana, Nencioni et al., 2018) è stato riscontrato un abbassamento della fotosintesi e conseguente riduzione di grado zuccherino, antociani e polifenoli. In questo studio viene osservato che tali danni sono correlabili ad una maggiore diffusione della fillossera
Zone/tipologie di vigneto più colpite. L’idea è che attacchi i vigneti a condizione biologica e gli areali in cui le temperature medie risultano più alte, così come i livelli di umidità: commento
Le tipologie di vigneto colpite sono in relazione ai ‘fattori di rischio’ finora individuati:
Cambiamento climatico: temperature invernali miti e estive fresche favoriscono una maggiore sopravvivenza invernale e maggior numero di generazioni estive
Presenza di viti americane in vigneti abbandonati, fossati, siepi, che si trovano ai bordi di vigneti coltivati
Uso di insetticidi più selettivi, non più ad ampio spettro
Gestione meno attenta dei ricacci dei portinnesti
Uso di portinnesti più sensibili
Selezione di ibridi derivanti da viti americane sensibili
Non riteniamo che ci sia maggiore rischio di diffusione in vigneti biologici, ma piuttosto che la gestione sia probabilmente più complessa e richieda maggiore attenzione, come peraltro si constata anche per altri patogeni
La nuova ‘esplosione’ del fenomeno, documentata dalla preoccupazione dilagante tra i viticoltori italiani, può essere dovuta ai cambiamenti climatici?
In parte, è possibile.
Le cause della recrudescenza vengono spiegate con una sorta di “complotto dei vivaisti”. Un commento a tale affermazione
Escludiamo e aborriamo teorie complottiste. Anzi, a ben vedere, ci sono problematiche legate a patogeni che sono spesso più gravi in vivaio, dove si hanno le prime segnalazioni e le prime ricerche di nuovi metodi di difesa.
Qualcun altro sostiene che la fillossera sia “diventata resistente”
“Resistente” non è il termine esatto. La difesa dalla fillossera è stata una intuizione del prof. Jules Emile Planchon, che intorno al 1880 rilevò la resistenza alla fillossera di alcune viti americane. Da lì partì la campagna di innesti che salvò la vite europea.
Dopo 140 anni, in parte l’evoluzione del patogeno, in parte le condizioni ambientali che sono cambiate (climatiche, agronomiche, ecc) hanno favorito la diffusione di nuovi ceppi (si tratta di evoluzione naturale), che forse sono più aggressivi.
Come prevenirla? Ci sono antagonisti naturali?
Ci sono studi in corso sull’uso di batteri, funghi, nematodi che richiedono un affinamento prima di essere proposti. Attualmente sono state osservate in America alcune specie di insetti (ditteri e coccinellidi) antagonisti della fillossera su galle fogliari.
Ci sono anche studi specifici sull’uso di nematodi (una specie in particolare ha dato buoni risultati su piastra, ma ci sono problematiche da risolvere per il suo utilizzo in pieno campo), oppure di funghi (sono in fase di sperimentazione tre specie da distribuire a terra). Una lotta biologica che richiede tempo per essere dimostrata nella sua validità.
Esistono portainnesti più o meno resistenti? Il dibattito sembra aperto anche su questo fronte, su cui regna una gran confusione
La convivenza del patogeno con le viti americane ha promosso una elevata tolleranza dei portainnesti che hanno condotto alla soluzione del problema, alla fine del 1800. Per quanto riguarda studi più recenti, già negli anni ’60 è stato individuato un certo grado di maggiore tolleranza (più tollerante la V. Labrusca rispetto alla V. Riparia)
Più recentemente il dibattito si è riaperto perché è stata considerata anche l’aggressività dei diversi biotipi di fillossera. La relazione fra i due fattori potrebbe aiutarci a capire meglio la situazione che riscontriamo attualmente in certi vigneti e a migliorare anche la ricerca di nuovi ibridi.
Esistono programmi di studio specifici in Italia? Nel resto d’Europa e del mondo?
Non siamo a conoscenza di veri e propri programmi di studio. Singole ricerche di piccoli gruppi sono verosimilmente in corso, ma non a nostra conoscenza.
La preoccupazione crescente sul tema “fillossera” ha un senso o è immotivata?
Riteniamo che, allo stato attuale, in Italia non siano diffusi seri danni causati da fillossera, o comunque non siano documentati. Ma è altresì importante approfondire la situazione e incentivare gli studi in questo ambito, al fine di non ritrovarsi impreparati in caso di annate difficili, in cui il problema potrebbe risultare un’emergenza, come spesso accade.
Danni particolarmente gravi sono stati segnalati intorno al 2015, con vigneti nella provincia di Vicenza in cui la produzione stessa è notevolmente diminuita a causa delle galle presenti sulle foglie.
Mancano però studi esaustivi su queste manifestazioni, anche gravi, che si evidenziano soltanto in certe annate e solo in certi vigneti. Nella nostra collezione di Susegana si può osservare una certa sensibilità varietale legata alla Vitis vinifera, ma sono tuttavia rilevamenti recenti e non abbiamo ancora approfondito le analisi.
La posizione della nota ricercatrice Astrid Forneck è chiara: stiamo davvero sottovalutando il fenomeno?
Non conosciamo una “posizione” di Astrid Forneck in proposito, ma da brava studiosa qual è e dai suoi lavori più recenti, compreso il sequenziamento del genoma dell’insetto da cui si è perfino capita l’origine geografica da cui poi la fillossera si è espansa in America e in tutto il mondo – lungo le rive del fiume Mississipi – si intuisce l’allarme che la scienziata vuole trasmettere al mondo vitivinicolo, perché non si trovi impreparato a fronte di un inasprimento della patogenicità, legata anche all’evoluzione genetica del patogeno.
Il principio è sacrosanto. La scienza deve provare a prevenire i problemi oltre ad aiutare a risolverli, per cui ben vengano studi approfonditi in proposito. Tuttavia non allarmiamoci eccessivamente: giusto mantenere elevata l’attenzione e sviluppare anche nuovi ibridi più tolleranti all’insetto, sfruttando ed esaltando le difese già presenti nel genoma della vite selvatica.
Secondo recenti studi, il biotipo G sarebbe in grado di compiere l’intero olociclo su vite europea: è corretto? Esistono studi e rilevazioni sulla sua presenza ed effettiva diffusione di questo specifico aggruppamento?
Ci sono osservazioni riportate dalla stessa Forneck relative alla presenza di foglie con galle in piante infestate da fillossera biotipo G, ma studi in proposito sono ancora in corso. Ripetiamo il concetto: non è corretto fare allarmismo, ma è giusto mantenere alta l’attenzione. Astrid è una buona amica, non mancheranno certo le possibili interazioni in sviluppi futuri.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Covid 19 Vite in Riviera Caro governo ecco come salvare vino e olio della Liguria 1
Liquidità, voucher, proroghe e promozione. Questi gli ingredienti principali della ricetta “anti Covid-19” di Vite in Riviera, la rete che raggruppa 27 aziende agricole della Liguria, dedite alla produzione di vino e olio di qualità. Il presidente Massimo Enrico ha inviato alle istituzioni nazionali e locali un documento con le proposte e richieste delle imprese, tutte ubicate tra le province di Savona e Imperia.
La posta in palio è alta. La produzione complessiva annua dei soci di Vite in Riviera è di circa 1.300.000 bottiglie, su 146 ettari complessivi. Tra le 27 aziende figurano due Cooperative Agricole, che annoverano 200 conferitori ciascuna. Due terzi delle realtà di Vite in Riviera è molto attiva nell’export, soprattutto in Danimarca, Finlandia, Svezia, Norvegia, Usa, Germania, Regno Unito, Svizzera e Giappone.
La crisi causata da Covid-19, del resto, rischia di trasformarsi in un’occasione per i predatori del mercato. “Le 27 aziende della rete d’impresa – assicura Massimo Enrico – s’impegnano a non svendere i loro prodotti, mantenendo i listini e le condizioni in essere già stabiliti da ciascuno per l’annata commerciale 2020″.
“D’altro canto – continua Enrico – l’attuale situazione ha imposto a Vite in Riviera di esprimere diverse considerazioni relative al comparto vitivinicolo e olivicolo ligure, sia per quanto riguarda l’aspetto economico sia per l’esigenza di una forte spinta promozionale legata al territorio e ai prodotti liguri, a livello locale ed extra-territoriale”.
Tra le misure richieste figurano “i fondi di rotazione, che permettano un rapido ottenimento di liquidità; la reintroduzione, in maniera maggiormente fruibile, dello strumento dei voucher; la proroga dei termini dei diritti d’impianto“.
Vite in Riviera domanda inoltre “il prolungamento dei termini per l’esecuzione e realizzazione dei progetti inseriti nelle varie misure del Psr e la velocizzazione per la liquidazione dei Psr già rendicontati e/o di prossima rendicontazione; l’emissione immediata di nuovi bandi per tutte le misure attivabili dei PSR per sostenere gli investimenti aziendali”.
Alcune misure chieste da Vite in Riviera riguardano anche la burocrazia per le aziende. Tra queste, “la non sanzionabilità per la mancata e tempestiva annotazione sui registri telematici delle operazioni in cantina; la possibilità, limitatamente alla campagna vendemmiale 2020, di ampliare la percentuale del taglio di annata tra annate diverse della stessa tipologia di vino”.
La rete di imprese liguri chiede poi “il credito d’imposta per la locazione dei terreni e degli immobili a uso strumentale delle imprese vitivinicole e olivicole; la rimodulazione di quanto contenuto nel decreto Cura Italia in riferimento alla sospensione della riscossione coattiva delle cartelle e/o del pagamento rateale delle stesse, passando dall’attuale formulazione alla sospensione integrale fino a giugno 2020 e la ripresa dei pagamenti rateali, singolarmente, mese per mese, da luglio 2020″.
Vite in Riviera chiede inoltre “l’adozione della formula del credito d’imposta per le accise pagate nelle fatture delle utenze dal mese di marzo 2020 sino al termine del periodo di chiusura delle attività; l’emissione immediata della Rottamazione Quater e Saldo e Stralcio Bis per tutti i ruoli consegnati alla concessionaria per la riscossione, alla data del 31/12/2019″.
Riguardo alla promozione, si richiede il finanziamento diretto delle Istituzioni per la campagna di comunicazione del comparto vino/olio, abbinato al settore della pesca e della ricettività, da condividere con gli attori del territorio ligure.
La garanzia è quella che Vite in Riviera continuerà a lavorare per il territorio, accanto ad altri importanti attori come l’enoteca regionale della Liguria. A tal fine, ,a domanda Regione è quella di “riunire a un Tavolo gli Assessori e i dirigenti dei settori interessati (Sviluppo Economico, Agricoltura, Turismo) le Associazioni di Categoria, accompagnate da realtà come Vite in Riviera, i Consorzi dell’Olio, del Basilico e del Levante”.
In particolare, sono interessati dall’iniziativa di Vite in Riviera i vini Doc e Igt della Riviera Ligure Di Ponente Pigato, Vermentino, Moscato, Rossese, Granaccia, Rossese Di Dolceacqua, Pornassio o Ormeasco di Pornassio, Terrazze dell’Imperiese Igt e Colline Savonesi Igt. Gli oli sono invece Dop Riviera Ligure Di Ponente e Riviera Del Ponente Savonese.
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Tappo a vite intelligente sui vini di Walter Massa basta appoggiare lo smartphone 1
Walter Massa aggiunge un nuovo tassello alla battaglia per la diffusione in Italia del tappo a vite, che da oggi diventa intelligente oltre che funzionale. Basta appoggiare lo smartphone sulle bottiglie di Derthona 2018 per essere catapultatati nell’universo di informazioni riguardanti la cantina, il vigneto e i migliori abbinamenti cibo-vino. Merito della tecnologia Nfc (Near-field communication) e-WAK® – Tap on Cap sviluppata da Guala Closures Group. Un’azienda con sede a Spinetta Marengo, frazione del comune di Alessandria.
L’esordio dei nuovi tappi è avvenuto ieri a Lazise, in occasione della presentazione del catalogo 2020 di Proposta Vini, selezionatore e distributore – tra gli altri – dei vini di Massa. Il tappo a vite intelligente è destinato a parte delle 30 mila bottiglie di Derthona 2018 “Montecitorio“, “Sterpi” e “Costa del Vento“.
Si tratta di un sistema di comunicazione mediante ricetrasmissione a corto raggio per la connettività senza fili, che ha lo scopo di fornire informazioni utili al consumatore, ma anche al produttore. Un tappo anti-contraffazione, che garantisce la tracciabilità del vino, dal vigneto al calice, ancor prima di acquistarlo.
Una rivoluzione che, secondo Walter Massa, “potrebbe contribuire a snellire la burocrazia che attanaglia il lavoro di tanti piccoli produttori, convincendo i Ministeri competenti a eliminare tanti chili di carta”.
“Ho piacere che i miei pensieri si sviluppino in tempo reale – spiega Walter Massa a WineMag.it – e per questo, appena ho avuto l’opportunità di utilizzare il tappo a vite, non ho avuto esitazioni. L’unica problematica è legata alla difficile accettazione del mercato di questa grande fortuna”.
“Il vino – continua il vignaiolo protagonista del miracolo Timorasso – va protetto in maniera scientifica e il tappo a vite è una di queste. La tecnologia Nfc, assieme al fatto che lo smartphone è ormai nelle tasche di tutti, aiuterà a diffondere questo tipo di chiusura, che dà certezze anche sulla shelf-life del nettare”.
“Ci sono troppi grandi vini contraffatti, come ha evidenziato qualche anno fa il caso del Romanée-Conti imbottigliato nel Novarese: con questo sistema anti-contraffazione riusciamo a garantire al consumatore tutta la tracciabilità del vino, che è tra i prodotti più contraffatti al mondo e tra i più burocratizzati”.
Ancor più nel concreto, il primo tappo in alluminio dedicato con Nfc integrato consente alle aziende vinicole di “avviare una relazione a 1 a 1 con i consumatori finali”. Il tag NFC è protetto nella parte superiore del tappo e fornisce vantaggi per i proprietari del brand, come l’acquisizione di dati marketing e la tracciabilità per la logistica.
Viene garantita la certificazione di autenticità della bottiglia, oltre al consumer engagement del brand. Il tappo a vite utilizzato da Massa fa contenta pure Greta Thunberg. L’alluminio è riciclabile all’infinito, grazie alla raccolta differenziata dei rifiuti. Chi è pronto a seguire il vignaiolo di Monleale nella sua ultima avventura?
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Oltre 2 mila pagine e 18 capitoli per il nuovo “Codice della Vite e del Vino”, giunto alla quattordicesima edizione e curato da Antonio Rossi, responsabile del Servizio giuridico di Unione italiana vini (Uiv).
La legislazione vitivinicola è in continua evoluzione e, per seguire la dinamicità dei mercati, necessita di ritocchi e profonde innovazioni, per rispondere in modo puntuale e preciso alle esigenze del mondo produttivo. Questo il senso del “Codice”.
Uno strumento per gli addetti ai lavori, utile a facilitare la consultazione dell’elevato numero di norme nazionali ed europee che regolano il settore della “Vite e del Vino”.
Il volume contiene la rielaborazione e l’aggiornamento dell’intero panorama legislativo nazionale, significativamente mutato dopo l’emanazione del Testo Unico del Vino (legge n. 238 del 12 dicembre 2016) e l’approvazione di gran parte dei corrispettivi decreti attuativi.
Sono altresì presenti le disposizioni nazionali che disciplinano l’attività di produzione e commercializzazione delle bevande, anch’esse parte della complessa realtà legislativa nella quale si inserisce il lavoro quotidiano degli operatori vitivinicoli.
Nelle sezioni dedicate alle normative europee, sono riportati anche i nuovi regolamenti Ue di esecuzione n. 273 del 2018 e delegato n. 274 del 2018, che hanno sostituito e aggiornando le precedenti norme del sistema autorizzativo degli impianti viticoli, dello schedario viticolo, dei documenti di accompagnamento e della certificazione, del registro delle entrate e delle uscite e delle dichiarazioni obbligatorie.
Inoltre, sono illustrati i regolamenti comunitari collegati all’OCM Vino (reg. 1149/16 e 1150/16) e tutte le disposizioni statali applicative collegate alle misure di sostegno.
Nel testo viene poi dato ampio spazio alla disciplina italiana e comunitaria in materia di sistema autorizzativo degli impianti vitati, in particolare ai recenti aggiornamenti al decreto attuativo nazionale e le relative circolari interpretative.
Il “Codice della Vite e del Vino” è frutto di un notevole sforzo editoriale che Unione Italiana Vini porta avanti dal 1977, attraverso il proprio Servizio giuridico-normativo, con l’obiettivo di raccogliere tutte le leggi europee e nazionali di settore, comprese anche le circolari inedite e poco conosciute che, spesso, forniscono indispensabili elementi interpretativi.
Accanto al volume, UIV mette a disposizione il servizio di consultazione legislativo online e la newsletter legislativa, strumenti forniti all’operatore professionale per ricevere tempestivamente le ultime news sulla pubblicazione di nuovi provvedimenti nazionali ed europei.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
TRENTO – La Fondazione Edmund Mach ha decifrato il codice genetico del patogeno che provoca la peronospora della vite, malattia responsabile ogni anno di gravi danni in Italia e nel mondo.
Si tratta della Plasmopara viticola, il cui genoma è stato appena pubblicato sulla rivista Scientific reports (gruppo Nature).
I ricercatori hanno scoperto, nell’ambito di un progetto finanziato dalla Provincia autonoma di Trento, che la peronospora passa piccoli RNA e microRNA alla pianta ospite, i quali regolano l’espressione di geni dell’ospite in modo molto diretto. Inoltre è stata identificata una proteina della peronospora che interagisce direttamente con un gene di resistenza di vite.
Il genoma pubblicato riguarda uno specifico isolato di P. viticola che infetta la vite in Trentino e tramite l’uso di sofisticati approcci genomici ha prodotto una serie di risultati che potranno avere ricadute importanti nella lotta contro questo patogeno riducendo così l’uso di fungicidi di sintesi.
“Questa pubblicazione – sottolinea il presidente FEM, Andrea Segrè – ci sprona a continuare a lavorare in attacco, ovvero nella ricerca più avanzata sul miglioramento genetico, per avere piante più resistenti. Nei nostri laboratori di San Michele stiamo anche investendo nella difesa, cioè nella protezione dalle principali patologie vegetali. In sostanza, il nostro è un lavoro a tutto campo per vincere la partita della sostenibilità”.
I ricercatori hanno scoperto una nuova comunicazione bi-direzionale fra P.viticola e il suo ospite che coinvolge i piccoli RNA. Questo scambio di piccoli RNA porta ad una regolazione genica inter-specie che coinvolge geni che contribuiscono alla difesa dell’ospite contro patogeni e fornirà ai ricercatori degli importanti strumenti per utilizzare nuovi fungicidi basati sull’RNA per la lotta contro la peronospora.
“P.viticola è un patogeno obbligato, il che significa che non può vivere autonomamente -spiega Azeddine Si Ammour il principale autore dell’articolo-. P.viticola ricava energia sottraendo i nutrienti dalle cellule della vite ospite connettendosi alle cellule di quest’ultima mediante delle strutture chiamate austori”
“Con i miei collaboratori abbiamo mostrato che P.viticola passa piccoli RNA e microRNA alla pianta ospite i quali regolano l’espressione di geni dell’ospite in modo molto diretto. Per controbattere all’attacco la vite usa esattamente lo stesso processo per silenziare geni che sono coinvolti nella patogenicità”.
Gli autori spiegano che piccoli RNA e microRNA sono acidi nucleici di piccole dimensioni in termini di lunghezza che possono legarsi a RNA messaggeri che codificano per proteine. Questo legame di piccoli RNA all’RNA messaggero previene la sintesi della proteina corrispondente.
Oltre ad Azeddine Si Ammour, il gruppo di ricerca alla Fondazione Edmund Mach include Matteo Brilli, Elisa Asquini, Mirko Moser e Michele Perazzolli afferenti al Centro di Ricerca ed Innovazione e Pier Luigi Bianchedi afferente al Centro di Trasferimento Tecnologico.
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“La nuova edizione 2017 del ‘Codice della Vite e del Vino’, rafforza il progetto della collana editoriale sui temi giuridici avviata lo scorso anno da UIV. Iniziativa, questa, che sta accompagnando la riorganizzazione e il potenziamento del nostro Servizio Giuridico Normativo, tesa a valorizzarne la lunga esperienza maturata in decenni di lavoro a fianco delle imprese vitivinicole italiane. Un ottimo strumento per stimolare dibattito e confronto culturale sui grandi temi della legislazione del comparto”.
Con queste parole, Ernesto Abbona, Presidente di Unione Italiana Vini, commenta la pubblicazione della tredicesima edizione del “Codice della Vite e del Vino”, edito da UIV a cura di Antonio Rossi, responsabile del Servizio giuridico normativo, che raccoglie la rielaborazione e l’aggiornamento dell’intero panorama normativo nazionale, inclusi la legge n. 238 del 12 dicembre 2016 e i decreti attuativi fino ad ora approvati.
“La nuova edizione del ‘Codice della Vite del Vino’ – prosegue Abbona – costituisce un prezioso mezzo di promozione di una moderna cultura giuridica della vitivinicoltura, presentando, insieme agli aggiornamenti della legislazione italiana ed europea, un focus sul ‘Testo Unico’, la più importante ‘riforma’ del nostro settore che sta diventando una ‘best practice’ anche per altri ambiti dell’agroalimentare, insieme ai primi recentissimi decreti attuativi approvati dal Ministero delle Politiche Agricole”.
Il volume raccoglie, inoltre, gli ultimi regolamenti comunitari collegati all’OCM vino (regg 1149/16 e 1150/16), riportando tutte le disposizioni nazionali applicative collegate alle misure di sostegno, la normativa Ue e nazionale sul sistema autorizzativo degli impianti vitati con i recenti aggiornamenti al decreto attuativo nazionale e le relative circolari interpretative.
“La nostra nuova collana editoriale, coordinata da un comitato scientifico composto da esperti di legislazione e professionisti, comprenderà sia pubblicazioni storiche che nuovi titoli, attraverso i quali vogliamo fare della nostra casa editrice un punto di riferimento culturale per il settore – conclude Paolo Castelletti, Segretario Generale di Unione Italiana Vini. Un’ambizione alla quale stiamo lavorando da tempo, ampliando gli strumenti a disposizione del comparto con una newsletter periodica di informazione e aggiornamento normativo ma anche di dibattito e confronto di cultura giuridica. Un impegno editoriale che la nostra Associazione sta portando avanti da 50 anni, dal Codice Comunitario vitivinicolo del 1977, e che prosegue ininterrottamente fino ad oggi”.
L’emanazione del Testo unico del Vino rappresenta un passo fondamentale per la regolamentazione del settore vitivinicolo, gettando le basi per una normativa più aderente alle concrete necessità del comparto e apportando al contempo un’ampia semplificazione normativa e di burocrazia in tutte le fasi di produzione, commercializzazione, tutela delle denominazioni, fino al sistema di controllo e promozione. Il volume si pone al centro di tale contesto, mettendo a disposizione degli operatori uno strumento sempre aggiornato e completo.
Titolo: Codice della Vite e del Vino
Editore: Unione Italiana Vini – Confederazione Italiana della Vite e del Vino
Autore: Antonio Rossi
Costo: 290,00 euro (IVA inclusa)
Il volume può essere richiesto a Unione Italiana Vini – Confederazione Italiana della Vite e del Vino, www.uiv.it – tel. 06 44 23 58 18 – email: serviziogiuridico@uiv.it
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(3,5 / 5) Il Trentino Doc Marzemino Storie di Vite prodotto da La Vis è l’ennesima conferma di come le cooperative del Trentino siano in grado di garantire sempre un ottimo livello di qualità e prezzo al supermercato (e non solo) e di come si possa bere bene, spendendo il giusto.
Sotto la nostra lente di ingrandimento il rosso simbolo di Isera, in Vallagarina, vendemmia 2015. Una zona in cui, grazie alla presenza di rocce basaltiche nel sottosuolo raggiunge punte di vera eccellenza. “Eccellenza” decantata anche nell’opera “Don Giovanni” di Mozart che gli ha conferito l’appellativo di “vino di sinfonia”.
LA DEGUSTAZIONE Il Trentino Doc Marzemino di La Vis fa parte della linea “Storie di Vite”, già recensita con il Nosiola. Di colore rosso rubino intenso con riflessi violacei ha un bouquet semplice e fruttato nel quale si distinguono un profumo intenso di ciliegia, mirtilli e fragoline di bosco, su un delicato sottofondo di violetta. Approfondendo l’analisi, tra i frutti e i fiori giunge anche una leggera nota pepata (pepe bianco).
Molto fruttato anche al palato, ha un sapore acidulo al limite del vivace. Il sorso lascia la bocca pulita, fresca ed asciutta. Sufficientemente equilibrato per questo leggero sbilanciamento sulla freschezza è comunque un prodotto di ottima bevibilità.
Il Trentino Doc Marzemino Storie di Vite in cucina si abbina a secondi di carne come manzo o maiale arrosto, pollo allo spiedo e con formaggi stagionati. Con la polenta di mais o con il baccalà è il classico abbinamento regionale.
LA VINIFICAZIONE Prodotto con uve Marzemino in purezza provenienti da vigneti siti tra i comuni di Isera e Rovereto esposti a sud-est, sud-ovest ad un’altezza di circa 200-250 mt s.l.m. La forma di allevamento adottata è quella del guyot e della pergola semplice trentina con una densità di impianto di 5000 ceppi/ha. La vendemmia è effettuata manualmente nella prima decade di ottobre.
Segue fermentazione a temperatura controllata in serbatoi d’acciaio inox, fermentazione malolattica in serbatoi di cemento armato vetrificato, affinamento sulle lisi per 5/6 mesi circa in parte in serbatoi di cemento armato vetrificato e in parte in barrique di secondo passaggio prima dell’imbottigliamento.
La cantina La Vis è stata fondata e nel 1948 e si trova nell’omonimo borgo, nel cuore delle Colline Avisiane. Oggi riunisce 800 soci impegnati a lavorare oltre 800 ettari dislocati dalle colline di Lavis, Sorni e Meano, ai caratteristici terrazzamenti della Valle di Cembra per arrivare sino ad Isera in Vallagarina e ad alcuni appezzamenti in territorio altoatesino.
La scelta dei vitigni e degli appezzamenti in cui coltivarli è il risultato del “progetto zonazione” avviato a metà degli anni ottanta che costituisce il caposaldo della qualità dei vini La Vis. Questo progetto zonazione chiamato il “il vitigno giusto al posto giusto” ha reso possibile individuare il vitigno più adatto per ogni terreno, attraverso lo studio approfondito delle caratteristiche e della morfologia del suolo.
Prezzo: 5,85 euro
Acquistato presso : A&O / Despar / Eurospar / Il Gigante
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Sarà il ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali Maurizio Martina ad aprire il 72° Congresso nazionale dell’Associazione enologi enotecnici italiani (Assoenologi), in programma dal 17 al 19 novembre alla Leopolda di Firenze.
Sarà il congresso della “sostenibilità a tutto tondo”. Un tema unico, affrontato da diversi punti di vista, per fare chiarezza su una parola sulla bocca di tutti, ma di cui spesso non si comprende appieno il significato.
Dopo il ministro e la prolusione del presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella, alla cerimonia inaugurale interverranno numerosi rappresentanti di istituzioni locali, nazionali e internazionali. Ai saluti del sindaco di Firenze, Dario Nardella, dell’assessore regionale all’Agricoltura Marco Remaschi, del coordinatore degli assessori regionali Leonardo Di Gioia, e dell’assessore al turismo, fiere e congressi, Anna Paola Concia, faranno seguito gli interventi dei vertici delle più importanti organizzazioni di filiera.
Ovvero Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti, Secondo Scanavino, presidente della Cia. Sandro Boscaini, presidente di Federvini, annuncerà il recente accordo fatto con Assoenologi per migliorare i servizi alle Imprese attraverso la professionalità degli Enologi.
Sarà quindi la volta di Gaetano Marzotto e Claudio Marenzi, rispettivamente past president e presidente di Pitti Immagine, e del presidente della Camera di Commercio di Firenze Leonardo Bassilichi. Seguirà l’intervento del presidente della locale sede di Assoenologi Ivangiorgio Tarzariol. Saranno presenti inoltre Alessandra Ricci, amministratore delegato della Simest e Donatella Carmi Bartolozzi, vicepresidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, quali partner istituzionali del congresso, insieme a Banca Cr Firenze e Federvini.
Nell’ambito della serata la consegna del Premio Assoenologi Versini del valore di 7.500 euro a Daniela Fracassetti, dell’Università di Milano per il lavoro “Il gusto di luce nel vino bianco: meccanismi di formazione e prevenzione” e la consegna degli attestati di “Soci Onorari” di Assoenologi a Maurizio Martina, Dario Nardella, Marco Remaschi, Anna Paola Concia e Gaetano Marzotto, “per la professionalità, la passione e l’impegno profusi in azioni e progetti dedicati alla valorizzazione del settore vitivinicolo” e quale “segno di riconoscimento per la concreta e personale attenzione data alla associazione nazionale di categoria dei tecnici vitivinicoli”.
TEMA UNICO: LA SOSTENIBILITA’ Tra il pomeriggio di venerdì 17 e le mattine di sabato 18 e domenica 19 novembre, si alterneranno sul palco undici relatori. “Fra carbon footprint, riduzione degli input e tutela del paesaggio e della biodiversità – dice Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi (nella foto) – il tema della sostenibilità alimenta pareri discordi. Per cui è un argomento sul quale si avverte la necessità di fare chiarezza. Essere ‘sostenibili’ significa lavorare per sottrazione, riducendo l’emissione del gas serra e, unitamente, razionalizzare il consumo d’acqua e di agrofarmaci”.
“Il termine si coniuga perfettamente all’ecosistema e all’ambiente – continua Cotarella – ma è anche un modus operandi che si estende, in senso più globale, anche all’ambito economico, sociale e soprattutto culturale, essendo tutti questi elementi strettamente correlati e interdipendenti”.
A dipanare questa aggrovigliata matassa, sulla quale c’è poca uniformità di vedute, sono stati chiamati, per la parte viticola, Ruggero Mazzilli, fondatore di Spevis, Stazione sperimentale per la viticoltura sostenibile, il francese Nicolas Joly, della Coullè de Serrant, che segue i principi steineriani della biodinamica e Steve Matthiasson, enologo della Napa Valley, coautore del “Codice di condotta sostenibile”, il manuale standard per la viticoltura sostenibile in California.
Raffaele Borriello, direttore di Ismea, indicherà la via della sostenibilità economica attraverso la conoscenza dei dati del mercato. Alla coordinatrice del Settore vitivinicolo di Alleanza Cooperative Italiane Agroalimentare, Ruenza Santandrea si è chiesto invece di parlare di sostenibilità della cooperazione, mentre all’editore Andrea Zanfi, autore di numerosi libri sul vino e i suoi territori, di comunicazione, fra la sostenibilità della cultura e del sociale.
Oscar Farinetti, presidente di Eataly, racconterà la propria esperienza imprenditoriale, mentre Renzo Cotarella, enologo amministratore delegato di Marchesi Antinori, ci parlerà della scelta sostenibile in cantina e dei relativi costi. Attilio Scienza affronterà poi il tema della genetica e del suo contributo sostenibile, parlando dei nuovi portinnesti resistenti alle malattie e alla siccità, in particolare l’M4, che si è rivelato nettamente superiore ai portinnesti noti da tempo, confermando le sperimentazioni preliminari fatte negli anni precedenti.
L’ANTEPRIMA In anteprima assoluta al 72° Congresso di Assoenologi, Stefano Vaccari, capo Dipartimento dell’Icqrf del Mipaaf, presenterà i primi dati della Cantina Italia forniti dai registri telematici, con lo scopo di “offrire agli operatori una prima, sommaria serie di dati da valutare più nella prospettiva delle potenzialità del registro in termini conoscitivi”.
Nella prima sessione dei lavori che anticipa la cerimonia inaugurale di venerdì 17 novembre il presidente di Equitalia, Riccardo Ricci Curbastro presenterà il progetto di Certificazione della filiera vitivinicola quali soggetti sostenibili.
Alterneranno i lavori congressuali alcune degustazioni dei vini più rappresentativi del territorio, con un focus particolare su Sassicaia e Tignanello, alla presenza dei marchesi Piero Antinori e Nicolò Incisa della Rocchetta, che nell’occasione riceveranno l’attestato di Soci Onorari di Assoenologi.
Paese ospite di questa edizione congressuale il Portogallo, a cui sarà dedicata una specifica sessione, con analisi sensoriali di alcuni dei vini più blasonati. Presenti due gradi enologi portoghesi: Jose Maria Soares Franco, di Portugal Ramos, e David Guimaraens, della Taylor’s Fladgate.
In programma anche un concerto “Omaggio al Vino”, di cantanti e pianisti dell’Accademia del Maggio Fiorentino, nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio e una ricca serata di gala condotta da Bruno Vespa, con la straordinaria partecipazione di Carlo Conti e Peppino di Capri.
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Si è tenuto in mattinata, ad Alba, il convegno dal titolo: “Le novità del Testo Unico del Vino”, organizzato dall’Unione Italiana Vini. E non poteva che riferirsi al Piemonte il presidente di Uiv, Ernesto Abbona, nell’indicare come modello le Langhe, dove “grazie ad un sistema di norme che vengono fatte scrupolosamente rispettare, la competizione è basata sul merito e, in ogni occasione, vince il migliore. Creando valore condiviso da tutta la filiera”.
La giornata è stata moderata da Valentina Sellaroli, sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Torino, formatrice decentrata della Scuola Superiore della Magistratura, Struttura Territoriale di Torino, e dal professor Vito Rubino, aggregato di Diritto dell’Unione Europea, Università degli Studi del Piemonte Orientale e ha visto la partecipazione, tra i relatori, di Oreste Gerini, Direttore generale della prevenzione e del contrasto alle frodi agro-alimentari dell’ICQRF.
“Il rapporto che lega il vino italiano al sistema legislativo – ha dichiarato Ernesto Abbona, presidente di Uiv – è molto articolato e per certi versi ambivalente. Da un lato tutela e garantisce, nella qualità e trasparenza del prodotto, sia il mondo produttivo sia il consumatore secondo un modello di certificazione e protezione delle indicazioni geografiche senza eguali”.
“Dall’altro invece – ha continuato Abbona – questo sistema di regolamenti che interviene nelle fasi produttive del vino, complica il nostro lavoro implicando un impegno notevole in termini di tempo e risorse economiche nell’affrontare questioni di carattere giuridico amministrativo non sempre chiare e trasparenti. Da qui ne deriva la necessità di semplificazione”.
Sempre secondo Abbona, “in Italia abbiamo un caso esemplare di semplificazione normativa che sta facendo scuola a livello internazionale: il Testo Unico, dove siamo riusciti in un grande sforzo corale a coniugare rigore, certificazione, trasparenza verso il consumatore con la semplicità nella gestione amministrativa delle imprese”.
IL MODELLO LANGA “L’augurio – ha aggiunto Abbona (nella foto) – è quello di realizzare in tutta Italia la stessa situazione ideale che abbiamo voluto e saputo realizzare in Langa. E’ importante costruire un sistema di norme chiaro, preciso ma semplice da applicare, che faciliti un sistema di controlli efficace”.
“Il Testo Unico del vino – ha commentato Andrea Olivero, viceministro delle Politiche agricole alimentari e forestali – rappresenta la colonna vertebrale della legislazione vitivinicola del nostro Paese. È indicativo che il primo articolo sancisce il riconoscimento della vite e del vino come patrimonio culturale del Paese, un patrimonio da tutelare e valorizzare nella sostenibilità sociale, economica, produttiva ambientale e culturale”.
“È chiaro che tutelare questo patrimonio è un impegno quotidiano – ha precisato Olivero – che ci vede in prima linea nell’attività di contrasto alle frodi alimentari e al falso Made in Italy e oggi possiamo dire con orgoglio che anche sul web siamo arrivati a garantire livelli rilevanti di sicurezza e tutela dei nostri prodotti. Proprio in occasione del recente G7 di Bergamo abbiamo avuto un confronto sul tema del commercio online, sul grado di tutela e i meccanismi di salvaguardia delle nostro eccellenze consci che il web costituisce un importante canale di vendita ma che, al tempo stesso, può nascondere rischi non secondari di contraffazione”.
“Il prezioso impegno personale del viceministro Olivero nel portare avanti un testo giuridico che oggi pone il nostro Paese all’avanguardia internazionale”, ha dichiarato Paolo Castelletti, Segretario Generale di Unione Italiana Vini, nel ripercorrere il lungo lavoro tra filiera istituzioni e mondo politico che ha portato al Testo Unico.
“La filiera – ha aggiunto – ha mostrato grande senso di responsabilità nel cercare una linea comune che alla fine è stata vincente. Adesso la sfida si sposta sui decreti attuativi dove dobbiamo procedere con lo stesso metodo per vedere approvati entro la fine della legislatura i decreti che renderanno pienamente operativo il TU. In gioco ci sono temi cruciali tra cui la gestione dei controlli, il sistema di tracciabilità, l’organizzazione dei consorzi di tutela”.
IL SOSTEGNO ALLE IMPRESE
“Nel lavoro di assistenza alle imprese – ha concluso Paolo Castelletti – da oltre 10 anni l’Unione Italiana Vini ha costituito al proprio interno un “servizio giuridico” specializzato sulle tematiche del settore che rappresenta un unicum a livello nazionale, un’esperienza fino ad oggi insuperata in termini di credibilità e competenze tecniche, diventato anche punto di riferimento delle istituzioni”.
“In questa occasione, attraverso la quale vogliamo aprire un dialogo nuovo tra il comparto vitivinicolo e il vasto mondo giuridico italiano – ha annunciato Castelletti – desideriamo valorizzare la nostra lunga esperienza e stimolare un salto di qualità del nostro servizio giuridico. Da Centro di assistenza alle imprese a nuovo luogo e motore di dibattito e confronto culturale sui grandi temi della legislazione vitivinicola”. Dall’inizio dell’anno sono quattro i convegni sul Testo Unico e sui decreti attuativi organizzati da Unione italiana vini in Italia.
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Federico Gordini di Lievita e Ruenza Santandrea di Allenza delle Cooperative preview 1
Raccontare il vino attraverso le storie di quanti ne hanno fatto una ragione di vita, oltre a un’attività di lavoro. Il progetto, presentato questa mattina a Milano, si chiama “Vi.Vite – Vino di Vite Cooperative”. Obiettivo: sdoganare il concetto di “cooperativa” legato ai volumi e alle masse, tout court. Attraverso il volto di chi ci mette l’anima quotidianamente, in vigna.
La prima edizione si svolgerà il 25 e 26 novembre alle Cavallerizze del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano. Vi.Vite vuole far “incontrare le persone tramite il vino, offrendo un’esperienza a tutto campo che non si limiti ad una degustazione ma conduca tutti, esperti di vino e neofiti, curiosi e appassionati, alla scoperta del mondo delle cantine cooperative, non solo per mezzo dei loro eccellenti prodotti che coniugano qualità e fruibilità, ma anche attraverso la conoscenza diretta di chi il vino lo fa, con passione e dedizione, conseguendo importanti risultati”.
“In Italia – ha dichiarato Ruenza Santandrea, coordinatrice del settore vitivinicolo dell’Alleanza delle cooperative agroalimentari – un racconto della vigna cooperativa non è mai stato fatto. Nessuno ha mai raccontato come sia stato possibile che aziende agricole che posseggono in media due ettari abbiano potuto, associandosi, arrivare sui mercati di tutto il mondo. E sono queste piccole aziende che, col loro lavoro, punteggiano di vigneti tutto il territorio italiano”.
“Questo è accaduto perché nel tempo ciò che sembrava un limite è diventato una grande forza – ha aggiunto Santandrea -. Essere piccoli nella gestione accurata della vigna e grandi nel dotarsi di professionalità quali agronomi, enologi, commerciali, per riuscire a produrre ottimi vini che conquistano ogni anno un numero crescente di riconoscimenti e premi nei più prestigiosi concorsi nazionali e internazionali”.
“Vi.vite – ha aggiunto Ruenza Santandrea – si propone proprio di far conoscere l’incredibile varietà dei vitigni autoctoni che con grande cura la cooperazione del vino ha tutelato e cercato di far conoscere, anche quando era più facile piantare vitigni internazionali, nella convinzione che alla fine questa biodiversità sarebbe stata la forza del vino italiano”.
I NUMERI La cooperazione vitivinicola italiana, che fa capo all’Alleanza Cooperative Agroalimentari, conta 498 cantine, 148mila soci, 9 mila occupati, una produzione pari al 58% dell’intera produzione vinicola nazionale, un giro d’affari di 4,3 miliardi di euro (pari al 40% del totale del fatturato vino nazionale) e 8 cooperative con fatturati superiori a 100 milioni di euro. Un export di 1,8 miliardi di euro, pari al 42% del fatturato delle cooperative vitivinicole, e a 1/3 di tutto il vino italiano esportato.
Alleanza delle Cooperative agroalimentari ha chiesto il supporto di Lievita, Format House Milanese specializzata nella creazione e nella produzione di format di grandi manifestazioni dedicate al mondo Food & Wine, fondata e diretta da Federico Gordini, giovane manager milanese, già ideatore di Bottiglie Aperte e della Milano Food Week.
“Sono molto onorato – ha dichiarato Gordini – di essere stato scelto con il mio team di Lievita da Alleanza delle Cooperative per pensare, realizzare e curare il primo evento focalizzato sul racconto della vigna e del vino cooperativo. Dal primo momento in cui abbiamo iniziato a parlare della costruzione di questa manifestazione abbiamo compreso la portata davvero storica dell’operazione, da un lato per l’obiettivo di raccontare, a partire dalle storie della vita degli oltre 100 mila soci delle cooperative, un sistema che produce oltre la metà dei vini Doc italiani, dall’altro per il punto di vista economico e sociale sotto il profilo della tutela del paesaggio e della difesa del patrimonio viticolo autoctono”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Da venerdì 1 settembre Riccardo Velasco (nella foto), fino ad oggi responsabile del Dipartimento genomica e biologia delle piante da frutto alla Fondazione Edmund Mach, assumerà l’incarico di direttore del Centro di viticoltura ed enologia del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA).
Inoltre, nelle scorse settimane, il presidente della Fondazione Mach, Andrea Segrè, è stato nominato dal ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Maurizio Martina, nel consiglio scientifico dello stesso ente di ricerca.
Nella seduta del 10 agosto Riccardo Velasco ha salutato il Consiglio di amministrazione della Fondazione Mach in vista del suo passaggio al centro di ricerca con sedi a Conegliano Veneto (TV), Asti, Gorizia e Turi (BA).
Il ricercatore aveva iniziato a lavorare a San Michele all’Adige nel 1999. Come responsabile del Dipartimento genomica ha coordinato, tra le altre cose, i progetti di sequenziamento della vite e del melo. “Ringrazio la Fondazione per le opportunità di crescita professionale che mi sono state fornite con questi e molti altri progetti. Insieme abbiamo costruito un percorso importante”, spiega Velasco.
“Gli ottimi rapporti con i colleghi e con la Fondazione stessa – continua – sono il punto di partenza per una forte sinergia che può essere incrementata soprattutto nel settore strategico della viti-enologia. Questo anche in funzione del nascente corso di laurea ospitato nel Centro Agricoltura Alimenti Ambienti (C3A) con il quale ho intenzione di mantenere stretti rapporti, anche di insegnamento”.
Il presidente della Fondazione Mach, Andrea Segrè, auspica così una rinnovata collaborazione tra FEM e CREA.
Un rapporto che potrà giovare anche della recente nomina di Segrè, da parte del ministro delle politiche agricole Maurizio Martina, come membro del primo consiglio scientifico dell’ente di ricerca.
“Ci tengo particolarmente a ringraziare il ministro per questo importante incarico in uno degli enti vigilati dal Mipaaf – commenta il presidente FEM, Andrea Segrè – sono sicuro che questa nomina non potrà che dare ulteriore slancio al rapporto tra le due istituzioni”.
Un auspicio condiviso anche dal presidente del CREA, Salvatore Parlato: “Il rilancio della ricerca che il CREA sta portando avanti – evidenzia – dipende anche dal coinvolgimento dei migliori protagonisti che si sono distinti nel settore agroalimentare. Con l’arrivo di Riccardo Velasco e il coinvolgimento di Andrea Segrè, si realizza un salto di qualità nell’attività di ricerca di questi due prestigiosi enti”.
IL CREA CREA è il più importante ente di ricerca italiano nell’agroalimentare, vigilato dal Mipaaf. Affronta con competenze multidisciplinari le grandi sfide del ventunesimo secolo legate alla sostenibilità dei sistemi produttivi agricoli, forestali e ittici, alla produzione di alimenti che soddisfino le esigenze nutrizionali di una popolazione mondiale in crescita, all’utilizzazione di biomasse e scarti per la produzione di materiali e di energia.
Alle dipendenze del CREA lavorano circa 1600 persone, di cui quasi 600 ricercatori e tecnologi e più che altrettanti tecnici. Il Centro di viticoltura ed enologia è uno dei 12 centri di ricerca del CREA, specializzato nella conservazione, caratterizzazione e valorizzazione del germoplasma delle varietà di uva da vino e da tavola, attraverso studi sul miglioramento genetico, fisiologia, genomica e metabolomica della vite.
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Una nuova varietà a bacca rossa è stata scoperta da Cantina Valpantena Verona in un piccolo vigneto della Valdonega, area collinare che sovrasta il centro cittadino della città scaligera.
Un’uva dai grappoli spargoli ed acini scuri, ricchi di polifenoli ed antociani: l’analisi molecolare ha dimostrato che non ha nessuna associazione con varietà finora conosciute. Le è stato quindi dato il nome di Elmo.
Un’uva che, dalle prime analisi, si presta all’appassimento. Risulterebbe dunque adatta alla tecnica di produzione del vino simbolo del veneto, l’Amarone.
Il ritrovamento risale al 2009, ma solo in questi giorni si è conclusa l’attività di identificazione. Contemporaneamente il vitigno è stato individuato anche a Valgatara, nel comune di Marano di Valpolicella, nella proprietà del viticoltore Guglielmo Ferrari.
L’ITER
L’attività di identificazione è stata affidata da entrambi al CREA (Centro di ricerca Viticoltura ed Enologia) di Conegliano, che, in collaborazione con l’ex Centro per la Sperimentazione in Vitivinicoltura della Provincia di Verona, ha avviato uno studio di approfondimento sulle caratteristiche viticole ed enologiche. L’analisi molecolare dei due vigneti ha dimostrato che si tratta della stessa cultivar e che questa era diversa da qualsiasi altra varietà conosciuta finora.
L’attività di identificazione ha comportato ben sette anni di ricerca e di rilievi sul campo per individuare i principali caratteri fenotipici e produttivi di quest’uva, una sorta di stesura della sua carta di identità, in cui vengono descritti la forma e la dimensione di tronco, tralci, grappolo, acini e foglie.
Sono state inoltre realizzate diverse microvinificazioni, sottoposte a panel di degustazione, per comprovare le caratteristiche qualitative dell’uva, da cui sono emersi sentori di frutta rossa e spezia, che la rendono adatta anche all’appassimento.
L’analisi genetica ha dimostrato che non esiste nessun rapporto di parentela con altre varietà coltivate in loco e solo una lontana somiglianza con il vitigno Wilbacher, originario della regione austriaca della Stiria e coltivato in minima parte anche nel trevigiano.
Lo studio è avvenuto all’interno di un progetto finanziato dal MiPAAF (denominato RGV-FAO) finalizzato alla raccolta, conservazione, documentazione ed utilizzazione di specie vegetali di grande rilevanza, tra cui la vite. Si è formalmente concluso la scorsa settimana con la scelta concordata da Cantina Valpantenae Guglielmo Ferrari del nome “Elmo” con cui procedere all’iscrizione del vitigno al Registro Nazionale delle Varietà di Vite.
IL FUTURO DEL VITIGNO ELMO “Le viti di Elmo – spiega Stefano Casali, agronomo di Cantina Valpantena Verona – hanno dimostrato un’ottima resistenza ai parassiti. La pianta è molto produttiva, genera grappoli spargoli ed acini scuri, ricchi di polifenoli ed antociani, capaci di donare un colore intenso e vivo al vino. Si sposa benissimo con le più note varietà veronesi utilizzate normalmente nell’uvaggio del Valpolicella”.
“La biodiversità – commenta Luigi Turco, presidente di Cantina Valpantena Verona – è da sempre un valore irrinunciabile per la nostra cantina cooperativa, che ogni anno investe molte risorse per la preservazione e il miglioramento del territorio che viene coltivato. Tra le varie attività di tutela che la Cantina intraprende c’è l’identificazione di vitigni rari e autoctoni che vengono riscoperti negli oltre 750 ettari coltivati dai soci conferitori”.
L’iscrizione di Elmo al RNVV e la successiva classificazione in ambito Regionale ne permetterà la possibilità di coltivazione e diffusione. Appena l’iter di iscrizione sarà concluso, l’intenzione di Cantina Valpantena è di riprodurre il vitigno per ricavarne un vigneto sperimentale.
La valorizzazione di questo vitigno permetterà di dare un importante contributo alla diversificazione della piattaforma ampelografica e tipicizzare alcune produzioni enologiche dell’areale viticolo veronese.
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Medaglie di argento e bronzo per gli studenti del corso per enotecnici della Fondazione Edmund Mach nell’ambito della dodicesima edizione del campionato europeo della vite e del vino che ha visto sfidarsi nei giorni scorsi, in Francia, 74 alunni provenienti da 37 scuole di 12 nazioni europee.
La scorsa settimana il Centro Istruzione e Formazione si è aggiudicato anche il terzo posto nel concorso nazionale “Bacco e Minerva” che ha visto concorrere ad Avellino una trentina di scuole produttrici di vino. La scuola di San Michele ha vinto la medaglia di bronzo con i vini dell’azienda agricola Pinot bianco 2016 e Trentino rosso Castel San Michele 2015.
Nell’ambito del campionato europeo della vite e del vino, Valentino Pedrotti e Luca Balboni (nella foto), studenti del corso per enotecnici del Centro Istruzione e Formazione, si sono classificati rispettivamente al secondo e al terzo posto nella classifica generale. La competizione “European Wine Championship” si è svolta presso l’istituto agrario di Avize, nella rinomata regione viticola della Champagne in Francia.
Erano coinvolte Italia, Austria, Belgio, Francia, Germania, Inghilterra, Ungheria, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svizzera, per un totale di 37 scuole enologiche, con due studenti dell’età compresa tra i 17 e i 25 anni. L’Italia era rappresentata da cinque scuole: Ascoli Piceno, Conegliano, Laimburg, Ora e San Michele all’Adige. Quest’ultima con i due studenti Valentino Pedrotti e Luca Balboni, accompagnati dal docente Luca Russo.
I giovani si sono sfidati, in lingua inglese, sulle conoscenze tecniche, dall’enologia alla viticoltura, dalla potatura alle malattie della vite, dalle analisi chimiche alla degustazione. Lo scorso anno la Fondazione Mach si era classificata al terzo posto con la studentessa Ada Fellin.
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Uva e stress idrico tesi di dottorato Mach premiata dalla Societa italiana di viticoltura ed enologia popup 2
Dopo i premi per le ricerche sulla difesa sostenibile delle colture arriva un altro importante riconoscimento per la Fondazione Edmund Mach. La SIVE, Società Italiana di Viticoltura ed Enologia, ha premiato la ricercatrice trentina Stefania Savoi per la migliore tesi di dottorato nel campo della viticoltura per l’anno 2016.
Il concorso SIVE per il conferimento di due premi per tesi di dottorato di ricerca intende valorizzare le attività di ricerca che abbiano portato un valido contributo, sul piano scientifico, applicativo e divulgativo, nel settore vitivinicolo. La cerimonia di premiazione, giunta alla sua seconda edizione, si è svolta nei giorni scorsi, a Foiano della Chiana ed è stata intitolata alla memoria del compianto professore Roberto Ferrarini.
La ricercatrice trentina ha studiato nel suo lavoro di tesi gli effetti di un moderato stress idrico sulla fisiologia dello sviluppo e maturazione dell’acino d’uva in varietà a bacca bianca e rossa usando un approccio multidisciplinare che ha incluso due anni di sperimentazione in campo, l’analisi dei trascritti mediante la tecnica dell’RNA sequencing e l’analisi dei metaboliti su larga scala.
Questo lavoro, che sarà presentato nel mese di maggio a Enoforum di Vicenza, è stato svolto presso la Fondazione Edmund Mach, l’Università degli Studi di Udine, e il Wine Research Centre of the University of British Columbia (Vancouver, Canada) sotto la supervisione di Fulvio Mattivi, Enrico Peterlunger e Simone Diego Castellarin. Attualmente Stefania Savoi sta svolgendo il suo post-dottorato a Vienna, presso l’University of Natural Resources and Life Sciences e precisamente nel gruppo di Viticoltura e Pomologia.
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Entri a Zymè. E le lancette dell’orologio sembrano impazzire. I vini che hanno fatto la storia della Valpolicella classica, ben ordinati nelle teche di vetro. Tutt’attorno, un contesto architettonico moderno. Al limite del futuristico. E’ il rendez vous della memoria col progresso. Dell’uomo, con la natura. Una scommessa piazzata quasi 15 anni fa da Celestino Gaspari, sul tavolo da gioco della Valpolicella classica. Oggi, Zymè rappresenta una delle migliori espressioni (di sempre) del vino veneto. Di certo la più eclettica. Un magnifico esemplare di husky precede Gaspari di qualche gradino, al piano ‘alto’ di Zymè, a forma di pentagono. Un saluto agli ospiti venuti dalla Russia, dalla Polonia e dall’Alto Adige per visitare la cantina. Poi, il silenzio del suo ufficio. “Zymè – spiega il viticoltore – nasce come aspirazione a vini di ricerca, di sperimentazione. Vini, se vogliamo, anche di provocazione. Sono partito da Harlequin, poi è arrivata l’Oseleta, poi Kairos. E i classici solo in secondo momento, in un’interpretazione che sappia di passato”. Una filosofia a metà tra l’istinto di conservazione e la voglia di ribellione.
Gaspari, oggi 53enne, sposa la figlia di Giuseppe Quintarelli, compianto re dell’Amarone a cui deve tanto, umanamente e professionalmente: “Undici anni da mio suocero nel segno del bando alle tecnologie, t’insegnano che ciò che vale davvero è l’esperienza da una parte, e la materia prima dall’altra, qualitativamente”. Per Celestino Gaspari anche due anni alle Cantine Bertani, come consulente: “L’occasione per fare un passo all’indietro nel tempo, nella storia, degustando vini fino al 1926. Ma anche per cogliere altre informazioni da quella che è l’azienda storica della Valpolicella, con 250 anni di vendemmie alle spalle, capace da sempre di dare un’interpretazione molto interessante all’Amarone: aristocratica”. Guai, dunque, a chiamare “innovativi” i vini di Zymè. “L’ho letto addirittura sul Decanter, ma non è vero niente”, chiosa Celestino Gaspari. “Chiamiamola piuttosto una rivisitazione del metodo e del blend storico in chiave moderna, attuale”. Perché a Zymè, tutto sommato, si parla ancora di uvaggio classico, di lievito indigeno, di temperatura naturale, di vinificazione in cemento. Di tempi di criomacerazione e fermentazione che vanno oltre i tre mesi. E di botti gradi di rovere di Slavonia. Di rendez vous tra passato e presente.
L’HARLEQUIN COME PROVOCAZIONE
Una cosa è certa. A Celestino Gaspari, l’appetito è venuto mangiando. Anzi, sorseggiando il primo ‘morso’ di Harlequin. L’Igp Veneto Rosso che ha sparigliato le carte, ottenuto dal blend di un minimo di 15 vitigni: Garganega, Trebbiano toscano, Sauvignon Blanc, Chardonnay, Corvina, Corvinone, Rondinella, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot, Syraz, Teroldego, Croatina, Oseleta, Sangiovese e Marzemino. “A me hanno insegnato a scuola che chi copia arriva secondo – commenta Gaspari – e quindi è molto più soddisfacente prendersi dei rischi ma cercare di percorrere una strada nuova. Così, se hai fortuna, crei un distinguo nel tempo. E rendi dura la vita, se non impossibile, a chi prova a copiarti. Ricordo che da Quintarelli, le uve che usavamo non erano tanto diverse da quelle di altri produttori. Quello che cambiava era ciò che avveniva dal momento in cui veniva staccato il grappolo, lavorato e messo in bottiglia: macerazione, metabolismo naturale, affinamenti lunghi che stabilizzano il prodotto e portano in bottiglia aromi diversi dagli altri”. Lasciare spazio a Madre Natura non solo in vigna, ma anche in cantina, è uno dei segreti di Zymè. “Ma devi avere certezza che la cosa funzioni”, precisa Gaspari. “Noi facciamo un solo passito bianco, solo nelle annate migliori. Pigiamo le uve a fine gennaio ed effettuiamo una decantazione statica, per effetto del freddo. Poi prendiamo il mosto, lo mettiamo in barrique da 100 litri di rovere di Slavonia, sigilliamo e per tre anni non lo apriamo più. Cosa succede nel frattempo? Per rispondere a questa domanda serve solo una cosa: l’esperienza. Il tempo fa tutto. Anche in un mondo dominato dalla fretta”.
E in effetti, la storia di Zymè è anche quella di una coscienziosa attesa del risultato migliore. Oggi il paradiso di Celestino Gaspari conta 30 ettari totali di terreno vitato, in gran parte in affitto, nella Valpolicella classica. Altri vigneti sono situati nelle zone limitrofe a Verona, nonché a Vicenza: più esattamente a Lonigo, Colli Berici, dove è in atto dal 2006 una partnership con la cantina Puntozero della famiglia De’ Besi, divenuta nel 2015 una realtà autonoma. Nel gioco perpetuo tra storia e presente sembrano lontani, eppure ancora così vicini, i tempi di “un ufficietto e 10 barrique”, che segnano l’inizio del sogno ad occhi aperti di Celestino Gaspari. Un aspetto che non dev’essere sfuggito a Moreno Zurlo, giovane architetto di Padova cui è stata affidata la realizzazione della cantina Zymè, così come la vediamo oggi. “Una felice alleanza tra natura e cultura”, come piace definirla al padrone di casa. L’edificio sorge su una cava di pietra calcarea risalente al 1400 d.C. Una cavità carsica domina la scena, accanto a decine di barrique, raggiungibili sotto il livello del terreno grazie a un ascensore a forma di tappo. Il suono di una piccola cascata e di un ruscello culla il prezioso nettare (nel video), a cui viene assicurata assenza di luce solare e una straordinaria stabilità termica naturale. Vista dall’alto, la struttura della cantina ricorda la forma a pentagono di una foglia di vite, il logo di Zýmē (dal greco “lievito”, vera genesi dell’enologia tutta). Natura, uomo, tempo. Coerenza. Quella del filosofo vignaiolo, Celestino Gaspari.
NO AL BIO. GDO, PERCHE’ NO? Una dottrina, quella del viticoltore di San Pietro in Cariano, scevra da qualsiasi formalismo e preconcetto. Perché chi guarda alla qualità, può fregarsene del puro marketing: quello di facciata. “Il biologico? Non mi interessa”, dichiara perentorio. “E’ una macchia nera nella viticoltura – precisa Gaspari – perché molti hanno iniziato a produrre in regime biologico solo per logiche di ‘moda’, di mercato e di marketing. Le scienze hanno regalato all’uomo la possibilità di curarsi dalle malattie: in nome di cosa non dovrei curare una vite malata, o meglio prevenire le potenziali malattie? Resta il fatto che a Zymè concimo con stallatico, uso solo minerali se devo intergrare (solfato di potassio o magnesio, ndr), rame di miniera, zolfo di miniera, bacillus thuringiensis per prevenire botrytis o tignoletta. Però, se mi capita un anno come il 2014 in cui hai delle fasi critiche per via di un meteo instabile, preferisco difendermi in vigna piuttosto che portare in cantina porcheria. Fa più male un frutto malsano o il fatto che abbia eseguito due trattamenti per prevenire eventuali malattie?”. Un altro motivo per cui Gaspari ammette di rinunciare al “vino biologico” è la burocrazia.
“Non nascondo che negli scorsi mi era passata per la testa l’idea di una certificazione green della produzione. Mi dicevano che sarebbe stato semplice. Ma quando ho approfondito la questione, mi sono reso conto che avrei avuto bisogno di assumere una persona da impegnare esclusivamente alla compilazione di scartoffie varie. Sono nato nell’epoca in cui non esisteva la chimica e tutte le operazioni, in vigna, venivano eseguite in base all’esperienza. Biologico e biodinamico, al giorno d’oggi, sono ancora in fase sperimentale: con tanti errori e passaggi generazionali, forse, un giorno, saremo tutti pronti a questa grande conversione”. Mentre Gaspari parla, l’occhio cade sull’orto realizzato alle sue spalle. Proprio sul tetto della “hole” della cantina. “Coltivo piselli, rapanelli, carciofi, patate, insalata. La terra in cui affondano le radici è stata prelevata a 1,40 metri di profondità, a Romagnano, per evitare contaminazioni”.
Non disdegna invece la Gdo, il vignaiolo Fivi Celestino Gaspari. “Siamo già presenti in alcune catene – evidenzia – come i supermercati Rossetto (8 province tra Veneto, Emilia e Lombardia, per un totale di 24 punti vendita, ndr) oltre a Famila ed Esselunga. Pur essendo i rapporti discreti, credo che a questi gruppi non interessi tanto vendere il mio vino, quanto averlo in assortimento, come una sorta di ‘specchietto per le allodole’. Ma un motivo per il quale sostengo la Gdo sono i ricarichi applicati dalla ristorazione e dall’horeca in generale, che arrivano fino al 2-300%. Tutto ciò è assurdo. Un ristorante che meriti di chiamarsi tale dovrebbe guadagnare sul piatto, al posto di speculare sul vino dei produttori. Anche perché, i ristoratori, mi pagano a 60 giorni. Ma al cliente del ristorante presentano il conto al termine esatto della cena”. Celestino Gaspari, schietto e senza peli sulla lingua, rivolge poi una richiesta al mondo dei buyer della gdo e all’e-commerce: “Seguite l’esempio di Signorvino, che nella sua catena di wine shop e ristoranti fa pagare il vino esattamente quanto lo si pagherebbe in cantina, andandolo a prendere direttamente dai produttori. E, per la cronaca, io non sono un loro fornitore”.
LA DEGUSTAZIONE Igp Veneto bianco From black to white (13%): Blend ottenuto da Rondinella Bianca (60%), Gold Traminer (15%), Kerner (15%) e Incrocio Manzoni (10%). Gaspari trova in una vigna in stato di abbandono quello che scoprirà essere un clone bianco del vitigno Rondinella, diverso tuttavia da quello utilizzato per la produzione dell’Amarone. Decide di allevarlo. Oggi può contare su circa 3 ettari vitati di Rondinella Bianca, inserita di recente nella lista delle varietà autoctone. E’ la base di questo blend, cui conferisce grande aromaticità, sia al naso sia al palato. Eccellente come aperitivo, From black to white accompagna tutto il pasto, in particolare piatti a base di asparagi.
Valpolicella Dop Reverie (11,5%): E’ il classico “vino rosso di tutti i giorni”, adatto in particolare al periodo estivo per la sua facilità di beva e per il basso tenore alcolico. Ottenuto al 40% da Corvina, 30% di Corvinone, 25% di Rondinella e 5% di Oseleta, vinificate in acciaio. Può essere conservato anche in frigorifero e accostato a primi leggeri di pasta.
Valpolicella Classico Superiore Dop (13,5%): Ennesimo blend di Corvina (40%), Corvinone (30%), Rondinella (25%) e Oseleta (5%). La fermentazione avviene a cavallo tra i mesi di settembre e ottobre a temperature naturali. A gennaio una seconda fermentazione sulle bucce dell’Amarone con il tradizionale metodo del “Ripasso”, per una durata di 14 giorni. L’affinamento avviene in botti grandi di rovere di Slavonia per almeno 3 anni. Sei mesi in bottiglia anticipano l’immissione in commercio. Vino che colpisce per la grande freschezza regalata da una spiccata acidità, per l’utilizzo di un “Ripasso” volto a conferire carattere e fragranza alla beva, al posto della classica morbizzezza e rotondità. Molto persistente. Un Valpolicella Classico Superiore perfetto con salumi, formaggi a media stagionatura, minestre e carni bianche.
Igp Veneto Rosso Cabernet 602020 (15%): Cabernet Sauvignon 60%, Cabernet Franc 20%, Merlot 20%. Ecco servito il taglio bordolese alla veneta di Zymé, ottenuto dai vigneti situati a Lonigo, Vicenza, Colli Berici. La vendemmia avviene in maniera manuale tra la terza decade di settembre e la prima di ottobre. Le uve atte alla produzione del 602020 sono le ultime a essere raccolte. Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon vengono pigiati in giornata, mentre gli acini di Merlot vengono riposti in piccole casse a riposare per circa 20-30 giorni, concentrando così gli zuccheri. La vinificazione avviene in vasche di cemento a temperatura naturale e lievito indigeno, per 40 giorni circa. L’affinamento è affidato a barriques nuove, per minimo 24 mesi. Un ulteriore anno in bottiglia prima della commercializzazione. Questo Igp Veneto è una delle sorprese più piacevoli di Zymè. Vino avvolgente, rotondo, eppure austero. La perfezione nei contrasti crea un equilibrio memorabile tra le note di confettura (prugna, lampone, more) e il tannino vivo, ma elegante. Nel finale una vena speziata, accompagnata dai classici sentori vegetali del Cabernet. Da abbinare a carne grigliata, arrosti e a formaggi a media stagionatura.
Igp Veneto Syrah Virgola (14,5%): Appassimento di un mese in cassetta per le uve 100% Syrah che costituiscono Virgola, più due anni in barrique nuove. Ne risulta un rosso potente, ma estremamente elegante. Dalle grandi potenzialità di invecchiamento. Particolare la mineralità che riesce a esprimere il vitigno nei Colli Berici. Ottimo con carni rosse, selvaggina e formaggi di grande personalità. O a fine pasto, con cioccolato e frutta secca.
Igp Provincia di Verona Oseleta 2009 (13,5): Mentre la 2010 affina ancora in vetro, prima della commercializzazione, degustiamo la vendemmia 2009 di questo straordinario autoctono riscoperto e valorizzato al meglio da Celestino Gaspari. Zymè, di fatto, è la prima azienda a produrlo in purezza. Perché? Occorre il raccolto di due piante per produrre una singola bottiglia. La resa, di fatto, si assesta dui 60 quintali per ettaro. Tre anni in barrique completano un quadro già di per sé idilliaco. L’Oseleta di Gaspari è un vino che oseremmo definire “tattile”, in cui il tannino è grande protagonista. Anche perché, prima ancora, ammalia al naso con i suoi richiami alla frutta rossa di sottobosco. Spezza gli induci in ingresso, al palato, mostrando i muscoli d’un gigante. Il vino perfetto da dimenticare in cantina. Sfoderandolo, poi, al cospetto di pesce grasso, bolliti, carni grigliate, arrosti e formaggi a media stagionatura.
Igp Veneto Rosso Kairos (15%): Vino ottenuto da un minimo quindici vitigni, 4 bianchi e 11 rossi: Garganega, Trebbiano toscano, Sauvignon Blanc, Chardonnay, Corvina, Corvinone, Rondinella, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot, Syraz, Teroldego, Croatina, Oseleta, Sangiovese e Marzemino. Per l’intera vendemmia possono occorrere fino a 40 giorni. Le uve, colte ognuna in epoche di diverse, a seconda della perfetta maturazione, riposano nel frattempo in plateaux, “per il solo tempo necessario a concludere l’intera raccolta”. E’ il rosso di Gaspari in cui risulta più ‘accentuata’ la percezione zuccherina (zuccheri residui 5 g/l, acidità totale 5,7 g/l, estratto secco 33 g/l, pH 3,50). Al naso confettura di frutta rossa, fiori e spezie: tutte note di grande pulizia. Al palato, attendibile, una grande morbidezza che conferma le attese.
L’etichetta, realizzata come tutte quelle di Zymè da Lucia, figlia maggiore di Celestino Gaspari, “mostra il legame col progetto dell’Harlequin: il vestito di Arlecchino è fatto di pezze di molti colori, così come il vino è fatto con 15 uve diverse, ciascuna con le proprie caratteristiche. In greco antico Kairos significa ‘conveniente, opportuno, per il momento giusto’. L’aggiunta della meridiana e dell’orologio esprimono il concetto del tempo esatto”. Tempo, appunto. Un elemento che torna sempre, prepotentemente, a Zymè. E il tempo di Kairos, in cucina, è quello dei piatti importanti ma delicati di carni bianche e rosse, con salse robuste e speziate. Ottimo con formaggi saporiti, stagionati, e cacciagione.
Amarone Classico della Valpolicella Dop Riserva “La Mattonara” (16%): Ottenuto da uve provenienti da vigneti di età compresa tra i 20 e i 50 anni, delle varietà Corvina (40%), Corvinone (30%), Rondinella (15%), Oseleta (10%) e Croatina (5%). L’annata in degustazione, in particolare, è la 2004. Nove anni in botte grande per questo straordinario Amarone, prodotto solo in annate “straordinarie”. La vinificazione prevede l’appassimento naturale (senza l’uso di deumidifi catori) per circa 3 mesi. Segue la pigiatura, nel mese di gennaio. Vinificato “rigorosamente secondo il metodo tradizionale in vasche di cemento”, per almeno 2 mesi a contatto con le bucce. La fermentazione avviene con lievito indigeno, a temperature naturali.
Dopo la svinatura, “La Mattonara” riposa come detto per circa 9 anni in botti grandi e tonneaux di rovere di Slavonia e viene imbottigliata al suo decimo anno di età. Il lungo invecchiamento favorisce un’ulteriore riduzione degli zuccheri residui. Segue l’affinamento in bottiglia per minimo 1 anno. Una Riserva in grado di assicurare, ancora, la piacevolezza delle note fruttate, unita a una straordinaria vena balsamica e speziata (cacao, liquirizia, pepe). Autentico vino da meditazione, accompagna egregiamente piatti importanti a base di carne (selvaggina, cacciagione) ma anche formaggi come Parmigiano Reggiano e Grana padano.
Igp Veneto Rosso Harlequin 2008 (15%): L’etichetta per Kairos, il nome per Harlequin, a indicare il mix tra un numero incredibile di uvaggi. Ben 15 quelli che compongono il blend: Garganega, Trebbiano toscano, Sauvignon Blanc, Chardonnay, Corvina, Corvinone, Rondinella, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot, Syraz, Teroldego, Croatina, Oseleta, Sangiovese e Marzemino. E’ il vino top di gamma di Gaspari. Raccolte a mano grappolo per grappolo, le uve vengono selezionate personalmente dall’enologo e riposte in plateaux da 0 a 40 giorni, secondo il momento della raccolta, in ambiente naturale, senza ausilio di macchine per la ventilazione forzata o per la deumidificazione.
Vengono dunque pigiate tutte insieme, senza diraspatura. Le uve fermentano in vasca di cemento con lievito indigeno per circa 30 giorni. Seguono follature, delestages “e soprattutto il controllo visivo, olfattivo e uditivo da parte dell’uomo”. Si procede poi alla svinatura e alla decantazione per circa 10 giorni. Segue un duplice processo di affinamento per un totale di 30 mesi utilizzando barriques nuove di rovere francese da 225 litri (200%), senza alcun travaso. Il vino viene imbottigliato senza effettuare chiarifica e subisce un ulteriore affinamento in bottiglia per almeno due anni.
Il risultato è un vino di unica avvolgenza, che inebria ancor prima d’essere condotto al naso: frutta rossa matura, spezie, liquirizia, cuoio. Una complessità straordinaria che si ritroverà poi al palato, dove Harlquin si conferma caldo, pieno, morbido, avvolgente. Il punto forte? La definizione di ogni singolo dettaglio. Una fotografia scattata alla massima risoluzione, ad ogni singola percezione. Una perla, nel mare luminoso dei migliori vini italiani ed internazionali.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Al via la vendemmia 2016 per i 450 soci dei Viticoltori Friulani La Delizia di Casarsa, la più grande cantina del Friuli Venezia Giulia e una delle maggiori d’Italia. Si partirà il 1° settembre con le uve di Pinot Grigio, per poi proseguire con le altre uve bianche e concludere con quelle rosse. In oltre 2 mila ettari di vigneti saranno raccolti più di 300 mila quintali di uva. “Le condizioni climatiche di questi giorni – ha dichiarato il presidente de La Delizia, Flavio Bellomo – sono ideali per le qualità organolettiche dell’uva: caldo di giorno, per grappoli sani anche grazie all’assenza di piogge. E fresco la sera, elemento che favorisce il raggiungimento del grado zuccherino ottimale degli acini. Sarà una vendemmia di qualità”. Una vendemmia, quella di quest’anno, che sarà anche ricca di novità dal punto di vista produttivo per la cantina casarsese: dal rilancio del marchio Friulvini attraverso la nuova Doc Friuli fino all’avvio della nuova sede di Zoppola dove avverrà la vinificazione e stoccaggio di 90 mila ettolitri di Pinot Grigio e Prosecco (Glera). “Nuovi traguardi – ha concluso Bellomo – che raggiungiamo in questo che è l’85° anno dalla nostra fondazione: abbiamo lo sguardo rivolto al futuro, puntando a svilupparci in maniera razionale e organica consolidando la nostra presenza sia sul mercato italiano che su quello estero, dove siamo presenti con i nostri vini in 30 Paesi”.
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Bruno Vespa vigne Primitivo di Manduria taglio mafia vandali
Una cosa è certa: non ci farà un “plastico” da mostrare a Porta a Porta. Ma solo perché la dinamica dell’accaduto non è ancora chiara. Bruno Vespa vittima dei vandali. O dei mafiosi, come sostiene lo stesso giornalista e conduttore Rai. Settanta ceppi delle vigne di Primitivo di Manduria di sua proprietà sono state tagliate di netto a Lizzano, in provincia di Taranto. E’ successo nella notte tra il 26 e il 27 agosto. Ieri la stesura della denuncia contro ignoti, avanzata da Vespa nella caserma carabinieri del capoluogo di provincia pugliese. “La Puglia – sottolinea Bruno Vespa sulle colonne di Repubblica – ha dato il benvenuto alla mia prima vendemmia nella vigna di Lizzano, acquistata lo scorso anno”. “Abbiamo tranquillamente vendemmiato il Fiano – continua – e poi sono stati tagliati 70 ceppi delle vigne di Primitivo. Si tratta evidentemente di opera di piccoli mafiosi locali. Ma stiano pur sicuri che non mi lascio intimidire”.
Solidarietà a Bruno Vespa è stata espressa ieri da Luca Lazzaro, presidente di Confagricoltura Taranto. Assieme a un “no fermo nei confronti di chi vuol taglieggiare un intero settore”. “Il gesto – continua Lazzaro – desta rammarico e preoccupazione perché colpire lui significa voler mandare un sinistro messaggio a un settore produttivo importante, vera punta di diamante dell’economia agricola tarantina. Per questo siamo al fianco di Vespa, al quale chiediamo di non mollare e di continuare a restare attaccato alle sue terre a produrre vino, come uno di noi. E chiediamo, a maggior ragione, che le forze dell’ordine e la magistratura accendano una luce su quel territorio e sui produttori che in questi giorni hanno appena cominciato una vendemmia che si preannuncia di grande qualità. Se si sia trattato di un avvertimento o di chissà cosa sta agli inquirenti accertarlo”.
LA PUGLIA DI VESPA Per Bruno Vespa, la Puglia, è questione di cuore. “Una regione baciata da Dio per le meraviglie che la natura riesce ad offrire”, così la descrive il giornalista. “E ho scelto proprio Manduria, in provincia di Taranto, vicinissima al mare Jonio – spiega Vespa – perché l’amico Riccardo Cotarella, enologo di fama internazionale che mi accompagna con la sua straordinaria sensibilità in quest’avventura nel mondo del vino, ha deciso di condividere la scommessa di fare un grande Primitivo”. Nasce così la Masseria Li Reni, convento di suore sino alla fine del Cinquecento, a tre chilometri dalla città di Manduria, sulla strada per Avetrana. Dopo lo scioglimento degli ordini religiosi, la tenuta passò a un gentiluomo italo-inglese che a metà dell’800 la vendette alla famiglia Selvaggi, titolare di uno storico palazzo a Manduria. I Selvaggi, nel 2015 l’hanno ceduta alla famiglia Vespa insieme a una tenuta in cui sono stati impiantati dodici ettari di Primitivo di Manduria. “Un vino adatto a un pranzo importante e a una serata spensierata con gli amici”, commenta Bruno Vespa. Un vino che il giornalista continuerà a produrre.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Come sarà la vendemmia di Pinot Nero in Oltrepò Pavese? La risposta sta nelle foglie. Lo assicura l’agronomo ed enologo di fama nazionale Giulio Vecchio, in occasione di un sopralluogo tra i vigneti lombardi. Buone, anzi buonissime notizie quelle che arrivano dalle terre di uno dei Metodo Classico migliori d’Italia. La vendemmia 2016, per il Pinot Noir, sarà da ricordare. Per qualità.
“Quest’anno – spiega Vecchio – il Pinot Nero ha avito delle condizioni di maturazione vantaggiosissime. Non si sono mai superati, se non per qualche ora, i 35 gradi di temperatura durante la fase di maturazione. Questo ha consentito alle foglie di svilupparsi in modo ideale, accumulando zuccheri e mantenendo sopratutto l’acidità, che è uno dei fattori fondamentali per la realizzazione di un Metodo Classico di qualità, soprattutto nell’ottica di una sua preservazione nel tempo”.
Il meteo, del resto, è stato clemente in provincia di Pavia. “Si sono registrate grandi piovosità a ridosso dell’arco alpino – evidenzia ancora Giulio Vecchio – ma la zona appenninica, che riguarda maggiormente l’Oltrepò Pavese, è stata risparmiata. Grazie anche alle temperature medio basse, le piante oggi registrano una maturazione perfetta e foglie perfettamente verdi. Una condizione che difficilmente si realizza. Foglia verde significa una fabbrica che sta lavorando a pieno ritmo per garantire tutti gli elementi di qualità nel nostro grappolo di Pinot Nero”.
IL CONSORZIO: “QUALITA’ ASSICURATA”
La vendemmia, insomma, entra nel vivo in Oltrepò Pavese: 13.500 ettari a vigneto, patria del Pinot nero Metodo Classico italiano dal 1865 e primo terroir viticolo di Lombardia. Sono impegnate 1700 aziende e un totale di circa 8 mila addetti tra imprenditori agricoli, agronomi, enologi, consulenti, operatori addetti alla raccolta e dipendenti delle cantine. Oltre al Pinot Nero, sulle colline oltrepadane si allevano Croatina, Barbera, Riesling e Moscato.
Il presidente del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese, Michele Rossetti, enologo della scuola di Alba, conferma le previsioni di Giulio Vecchio. E preannuncia che sarà “una campagna vendemmiale qualitativa, con rese in linea o leggermente inferiori sul 2015”.
“Abbiamo iniziato la raccolta delle basi spumante – annuncia Rossetti – per l’Oltrepò Pavese Metodo Classico Docg. L’annata è contraddistinta da un’eccezionale salubrità delle uve e un andamento climatico nel complesso positivo. Dai primi campionamenti si prevede, sulla carta e sulla base delle analisi, un’annata molto buona. Le uve denotano buone acidità e buon grado zuccherino. In merito alle rese una prima stima lascia supporre quantità in linea con quelle dello scorso anno o in leggero calo”.
In sintesi per le uve da Metodo Classico il quadro del Consorzio è positivo per l’Oltrepò Pavese. “Si prevede una vendemmia eccellente per nostre basi spumante”, riassume Rossetti. In merito alle uve bianche, il presidente chiarisce: “Gli ultimi giorni si sono contraddistinti per un’escursione termica tra giorno e notte particolarmente accentuata, foriera di una differenziazione degli aromi delle uve bianche che ci daranno vini particolarmente profumati”. L’ultima vendemmia in Oltrepò sarà quella delle uve rosse.
“Qui è prematuro fare delle previsioni su base scientifica – spiega Rossetti – ma al momento i grappoli si presentano sani e hanno beneficiato di un andamento climatico favorevole. Sarà un anno particolarmente importante per le uve Croatina, da cui in particolare nascono ogni anno 20 milioni di bottiglie di Bonarda dell’Oltrepò Pavese DOC. Per le altre uve rosse siamo in attesa dei primi dati che ci diranno cosa ci dovremo aspettare ma si parte anche qui da ottime premesse”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Centosessantadue vini degustati in diciotto differenti cantine, poste su un percorso di circa 250 chilometri. Sono i numeri più significativi del wine tour di vinialsupermercato.it in Svizzera, dal 24 al 30 luglio. Una settimana di peregrinazioni tra le splendide vie del “vino eroico” dei cantoni Valais (Vallese), Vaud e Geneve (Ginevra). Vigne a picco sul nulla, divise da cascate, costrette a fare i conti con il gelo invernale così come con il caldo torrido estivo. Vigne che costringono alla raccolta manuale delle uve. Vigne nelle quali i viticoltori locali vivono e, come successo a luglio a Fully, nei pressi di Sion, muoiono di lavoro. In due parole: viticoltura eroica. Ci hanno aperto le porte piccole realtà a conduzione famigliare, così come grandi gruppi cooperativi attenti più alla qualità che alla quantità del vino imbottigliato. E minuscole cantine, la cui produzione finisce – pressoché interamente – sulle tavole di lusso dei ristoranti stellati Michelin. Un tuffo in una realtà, quella del vino svizzero, a noi tanto vicina eppure ancora praticamente sconosciuta. Un wine tour che ci ha portato a toccare con mano la decrescita registrata per il secondo anno consecutivo, nel 2015, dai vini svizzeri nella Gdo (Coop Schweiz, Spar Handels, Volg per citarne alcuni, mentre Migros non vende alcolici). Una tendenza inversa al consumo di vini locali, in crescita dello 0,8%, come evidenzia una ricerca condotta da Philippe Delaquis per l’Osservatorio svizzero del mercato del vino (Osmv). Con i vini bianchi che restano i più venduti nei supermercati elvetici, mentre le vendite dei rossi Aoc (l’Appellation d’origine contrôlée che equivale alla Doc italiana) calano del 13%, a fronte di un aumento dell’1,8% del consumo di vino rosso svizzero. Sta pagando, insomma, il tentativo di recupero dei vitigni autoctoni svizzeri condotto da diverse cantine visitate. Oltre alla valorizzazione di uvaggi prima destinati alla sola produzione di vino sfuso o da “da tavola”.
“Visto le scarse riserve a disposizione e le incertezze legate al franco forte – evidenzia Philippe Delaquis in una nota dell’Osmv – il vino svizzero oggi cerca un’alternativa alla grande distribuzione. Per questa ragione l’Osmv, dal primo aprile 2016 ha deciso di raccogliere anche i dati presso i produttori, le cantine e di stimare ogni tre mesi, anche attraverso la Mercuriale, le tendenze di consumo. Questi dati esistono dal 2012 per i vini del cantone Vaud, ma l’Osservatorio intende ora estendere questa raccolta a tutte e 6 le regioni vitivinicole svizzere”. In generale, i vini importati provengono dall’Italia (71 milioni di litri), seguita dalla Francia (circa 40 milioni di litri) e dalla Spagna (circa 37 milioni di litri). Dal Portogallo sono stati importati circa 11 milioni di litri di vino. Se paragonate alle importazioni, le esportazioni risultano modeste: 227.500 litri in meno rispetto al 2014. Complessivamente, nel 2015 il volume d’esportazione è stato a 1,3 milioni di litri, cifra che comprende anche i vini esteri importati e riesportati, come evidenzia in una nota l’Ufag, Ufficio Federale dell’Agricoltura Svizzera. Una vendemmia non eccezionale in termini di quantità, quella del 2015: 85 i milioni di litri prodotti. Ma ottima dal punto di vista qualitativo. I giorni di sole sono stati molti. Ed è così che, tra le cantine, abbiamo potuto degustare uno straordinario vino bianco biologico senza solfiti a 15,5%. Proprio sul grado zuccherino, in particolare sulla possibilità di estendere ai vini Aoc l’autorizzazione di introdurre artificialmente zucchero, è in corso in Svizzera una battaglia tra piccoli viticoltori e grandi gruppi, a colpi di carte bollate presso i rispettivi governi federali.
ST JODERN KELLEREI, VISPERTERMINEN (VALAIS) Quale posto migliore per iniziare il wine tour se non i vigneti della St Jodern Kellerei, considerati tra i più alti d’Europa? Siamo a Visperterminen, piccolo Comune di 1.500 anime arroccato sui monti a sud del Rodano (Rhone). La zona meridionale dell’imponente corso d’acqua – che nasce in Svizzera e si spegne nel Mediterraneo, dopo aver attraversato il Sud della Francia – è considerata quella sfavorevole per la viticoltura vallese (5.100 ettari totali). Ma l’esposizione a Sud dei circa 50 ettari di vigneti della St Jodern Kellerei – cifra che si raggiunge sommando una miriade di piccoli appezzamenti di terreno, appartenenti ad appassionati abitanti del posto – costituisce un miracolo della natura che, assieme allo straordinario terroir, contribuisce a rendere magici i vini. Un’area vitivinicola che, di per sé, meriterebbe il riconoscimento di quella che in Italia è la Docg. I terreni, composti prevalentemente da sabbia, ardesia e argilla, sottendono al clima secco di una vallata che è la meno piovosa dell’intera Svizzera. Fendant, Johannisberg (Sylvaner), Gewurztraminer, Resi (Rèze), Pinot Nero, Gamay, Gamare e Syrah i vitigni allevati. Ma a farla da padrona, con circa un terzo delle bottiglie prodotte (100 delle 450 mila totali) è certamente l’Heida (Savagnin Blanc), il “vino delle Alpi”. All’enologo di formazione italiana Michael Hock (nella foto), 34 anni, il compito di fare gli onori di casa. “St Jodern Kellerei – spiega – è una cooperativa completamente differente rispetto al concetto di cooperativa italiana nel ramo del vino. Quando sono venuto via dall’Italia, dove in seguito agli studi presso l’Università di Torino ho lavorato per la Vignaioli Piemontesi, ho portato qui l’expertise acquisita. Ma sono rimasto sconvolto, positivamente, dall’attaccamento alla terra di ognuna delle famiglie che conferiscono le proprie uve a questa cantina. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone che svolgono prevalentemente altri lavori, ma che comunque amano a tal punto le loro viti da trattarle come figlie. Il 99% di quello che conferiscono al momento della vendemmia, che qui si svolge manualmente, approssimativamente dal 25 settembre al 7 novembre, è letteralmente perfetto dal punto di vista fitosanitario: un sinonimo della gioia della tradizione e della voglia di portare avanti con successo il frutto delle terre ereditate di generazione in generazione”.
L’enologo Michael Hock ci ha messo comunque del suo, trasformando la St Jodern Kellerei in una cantina vocata alla produzione di vini veri, originali, tradizionali. Vini che parlano del terroir, del microclima di Visperterminen. E che esprimono al meglio l’unicità del vitigno, non solo nel caso di autoctoni superlativi come il Resi, da cui St Jodern ottiene meno di 2 mila bottiglie l’anno, di cui tre quarti già venduti prima della vendemmia. Il giro d’affari della cooperativa si aggira sui 4,5 milioni di euro, con una fetta del 40% proveniente dal canale Horeca (ristorazione) e dalle enoteche. Quarantamila bottiglie all’anno finiscono poi sugli scaffali della Gdo, in cui è Coop a farla da padrona con la sua linea “Pro montagna” (4 i vini St Jodern presenti in assortimento). Numeri raggiunti “nel rispetto totale delle famiglie conferitrici – spiega Hock -. Basti pensare che paghiamo un quintale di Heida più di quanto venga pagato un quintale di Nebbiolo destinato alla produzione del Barolo, assicurando circa 7,50 franchi al Kg, ovvero più di 6 euro”.
ST JODERN KELLEREI – BEST WINES Heida Veritas 2013, 14,5% – Vino bianco ottenuto da vite a piede franco centenaria, che genera acini e grappoli minuscoli. Garantita così la letterale esplosione della tipicità del vitigno. St Jodern affina in giare di terracotta questo vino, per mantenere ulteriormente intatte le caratteristiche dell’uva. Di un bel giallo carico, al naso evidenzia note floreali fresche e fruttate (albicocca). Annuncia già all’olfatto una mineralità che ritroveremo anche al palato, sotto forma di una sapidità di rara pregevolezza. Vino di grande persistenza. Fuori dalle righe, un fuoriclasse.
Pinot Nero 2015, 13,8% – Affina in acciaio questo Pinot Nero St Jodern, cui viene aggiunta una percettibile quantità di Gamay, che solitamente si aggira attorno all’8-10%. Bel rosso rubino brillante, regala un naso tutta frutta e mineralità. E’ questo, insomma, il filo conduttore dei vini St Jodern. La centralità del frutto (bacche rosse, canoniche) anche al palato gioca sinuosamente con una pregevole sapidità. Tannino piuttosto leggero, ma non siamo certo nell’area dei Pinot Nero di Salgesh. Un vino di montagna, naturale, non costruito. Da apprezzare per la verità territoriale che racconta. E per la sfida che rappresenta per St Jodern, nel futuro: migliorare ulteriormente la produzione dei rossi, portandoli ai livelli straordinari dei bianchi di casa Visperterminen.
ALBERT MATHIER ET FILS, SALGESCH (VALAIS) Abbiamo nominato prima i Pinot Nero della zona più vocata, Salgesch. Ed eccoci dunque alla Albert Mathier et Fils, casa vinicola di grande tradizione nel Vallese, oggi guidata da Amédée Mathier, nipote del fondatore. A condurci nella visita della cantina e nella degustazione è Patrick Jost (nella foto). In un territorio dove il Pinot Nero è la “specialità della casa”, Mathier è riuscita a distinguersi con uno straordinario progetto: quello della vinificazione in anfore di terracotta interrate. Sul retro della cantina, infatti, si possono scorgere le cinque postazioni in cui si trova il vino. Ogni “kvevri” – questo il nome georgiano delle anfore, localmente ridefinite con l’onomatopea “tschatscha” – può contenere fino a 1800 litri. Si tratta di un blend tra Resi (Rèze) ed Ermitage (Marsanne) per il bianco (che in realtà assume il colore tipico degli orange wine dei nostri friulani Josko Gravner e Sasa Radikon), e di Syrah in purezza per il Vin D’Amphore Noir. Dopo la vinificazione in anfora, momento in cui risultano fondamentali i ripetuti batonnage, il vino affina in botti di acacia e ciliegio. Regalando agli intenditori dei nettari unici e rari, di grandissima complessità (64 euro il prezzo di una bottiglia). Vini ossidativi, dunque, di cui vengono prodotte solamente 800 “pezzi” per tipologia, ognuno dei quali ha contribuito a rendere famosa nel mondo questa cantina vallese. Trenta gli ettari di terreni vitati su cui può contare la Albert Mathier et Fils, con un potenziale annuo che si aggira attorno alle 500 mila bottiglie. Tutti vini di grande pulizia e perfezione enologica quelli di questa cantina di Salgesch, che tuttavia non lasciano l’impronta territoriale sperata. Il “plus” di questa winery è proprio quello offerto dalle giare, vero colpo di genio di Amédée Marhier, assieme al tentativo di sviluppare l’enoturismo realizzando un salotto esterno alla cantina, abbellito dalle opere di alcuni artisti locali, dove presto sarà possibile consumare al calice la produzione della cantina. Segnaliamo a questo proposito due vini.
ALBERT MATHIER ET FILS – BEST WINES Malvoisie Flétrie 2014, 14,2% – Pinot Grigio, vendemmia tardiva. Buon vino da dessert, in grado di accompagnare anche formaggi a pasta semidura. Bel corpo e persistenza, esprime una dolcezza pacata, non invadente. Gradevoli le note di albicocca e miele che accompagnano prima l’olfatto e poi il palato verso una buona persistenza retro olfattiva. Rhoneblut 2013 Vinum Lignum, 13,5% – Fa parte della gamma di vini affinati in legno questo Pinot Noir in purezza di casa Mathier. Fratello maggiore della versione base, per complessità ed eleganza. Pregevole tannino, note fruttate chiare e distinte. E una freschezza espressa da un’acidità spiccata: ottime le potenzialità di una lunga vita in bottiglia, in ascesa. Il fondatore della cantina ha voluto chiamare questa linea “Rhone-blut” per sottolineare il suo attaccamento alla terra d’origine: “Rhone” è il fiume Rosano, “blut” il sangue. “Scorre come un fiume il sangue in questo vino”.
CAVE DU RHODAN, SALGESCH (VALAIS) Il titolare della Cave du Rhodan è assente al momento del nostro arrivo e il personale presente non parla inglese. Veniamo comunque invitati alla degustazione dei vini di questa premiatissima cantina vallese, capace di aggiudicarsi riconoscimenti a livello internazionale. Semplice ed efficace la filosofia da queste parti: Sandra e Olivier Mounir producono “vino sostenibile da agricoltura sostenibile”. La produzione infatti si fregia della certificazione biodinamica.
CAVE DU RHODAN – BEST WINES Petite Arvine 2015, 13,5% – Medaglia d’argento al Decanter 2016, non a caso. Profumato di fiori e frutta fresca al naso, morbido e rotondo al palato, sfodera come d’improvviso, accendendosi d’un tratto, un corpo e una struttura inimmaginabili in precedenza. Note fruttate eleganti anche nel retro olfattivo, ottima la persistenza.
Merlot Barrique 2014, 14% – Naso di liquirizia che colpisce ancor prima d’averne scorto il colore nel calice, che si tinge d’un bel rosso rubino con riflessi granati. Ritroviamo la medesima piacevolezza e concentrazione delle tinte fruttate riscontrato in tutto il resto della produzione Cave Du Rhodan, evidentemente a premiare l’ottimo lavoro in vigna e una padronanza totale delle difficoltà intrinseche alla viticoltura biodinamica. Barrique presente, distinta nei sentori terziari conferiti al nettare. Ma utilizzata, anche questa, con grande garbo. Tannino elegante e ottima persistenza. Gran bel rosso. Da degustare, magari, anche tra qualche anno.
KREUZRITTER KELLEREI, SALGESCH (VALAIS) E’ il giovane Jonas Leo Cina (nella foto), quarta generazione di una famiglia di viticoltori dal cognome diffusissimo a Salgesch e nel Vallese, a condurci alla scoperta dei vini della Kreuzritter Kellerei di Unterdorfstrasse, 32. Duecentomila bottiglia prodotte annualmente, per una realtà che è sulla cresta dell’onda dal 1917. Che oggi può contare anche su un hotel, l’Arkanum, in cui è possibile dormire in letti ricavati da tonneau dismesse. L’hotel sorge proprio sulla vecchia cantina, che nel 1985 è stata abbandonata per far spazio all’innovativo progetto di accoglienza dei turisti. La produzione della Kreuzritter Kellerei è tutta interessante e Jonas non teme il confronto con gli altri 49 viticoltori del paese. Ma ha un sogno. “Vorrei che tutto il Vallese fosse più unito – commenta – come lo siamo noi qui a Salgesch: un paese di 1500 abitanti, con 50 cantine attive sul territorio! Nel villaggio accanto, dove si inizia a parlare francese al posto del tedesco, c’è molta gente gelosa del nostro terroir e del nostro clima. Vorrei che si capisse che abbiamo tutti gli stessi problemi, tutti le stesse difficoltà. Confido molto nel lavoro delle nuove generazioni in questo senso”. Due i vini della cantina Kreuzritter che ci sentiamo di consigliare: non a caso sono entrambi vini rossi.
KREUZRITTER KELLEREI – BEST WINES Salquenen Cuvée d’Amitié 2014, 13% – Il giovane Jonas Leo ha introdotto questa deliziosa Cuvée da qualche anno nell’assortimento della propria cantina. Un successo lampante: le 1.500 bottiglie prodotte annualmente finiscono subito sold out. Prenotate ancor prima di essere imbottigliate. Si tratta di un Cabernet Sauvignon affinato 6 mesi in barrique, dove trova compimento la stessa vinificazione. Lampone, ribes, cioccolato, tabacco dolce al naso. Una vena vegetale che richiama la foglia del pomodoro e il peperone. In bocca la frutta a bacca rossa. Ad anticipare una chiusura elegantemente speziata. Vino di grande longevità.
Pinot Noir Le Refuge 2014 – Nessun affinamento in barrique, invece, per questo pregevole Pinot Nero tutto frutta ed eleganza del tannino. Ci sorprende il colore, veramente troppo carico per un Pinot Noir. Finché Jonas Leo non dichiara la presenza di un 5% di Diolinoir, varietà autoctona spesso utilizzata nei blend vallesi per la massiccia presenza di antociani, composti responsabili del colore rosso del vino. Le Refuge rispecchia le caratteristiche peculiari del terroir, guadagnandosi un posto d’onore tra i Pinot Noir di Salgesch.
DOMAINES ROUVINEZ, SIERRE (VALAIS) “La passione per l’eccellenza”. Questo lo slogan della famiglia Rouvinez, capace di abbracciare 12 domini dislocati nel Vallese, per un totale di 87 ettari. Un’avventura che affonda le radici nel 1947 per volere del fondatore, Bernard Rouvinez, che oggi può contare sui figli Dominique e Jean-Bernard, entrambi enologi. “Ad ogni vino la sua terra migliore per esprimersi”, sintetizza l’ottima Yannick Poujol (nella foto), responsabile Accoglienza della cantina di Chemin des Bernadienes 45, Sierre. “Single grape from single domain“. E una blend line a completare l’offerta, tra cui spicca a livello di notorietà conquistata in Svizzera l’assemblaggio di Cornalin, Humane Rouge, Syrah e Pinot Noir: il corposo Le Tourmentin, che ha visto la luce nel 1983. Il tour si svolge in quella che è la cantina storica della famiglia Rouvinez, oggi casa eletta dei vini da affinamento in legno. Una nuova struttura è stata realizzata negli anni Novanta a Martigny, uno dei centri di interscambio commerciale principali per la sua posizione strategica tra il Vallese e il cantone Vaud. Seicentomila le bottiglie prodotte annualmente da Rouvinez. “Ognuna, a suo modo – evidenzia Yannick Poujol – è in grado di esprimere al meglio le peculiarità dei vitigni. Non a caso in Vallese, pur essendoci solo 500 ettari vitati, possiamo contare ben 10 terroir diversi. Ed è lì che coltiviamo le nostre uve, a un’altezza variabile tra i 400 e i 1000 metri d’altezza”. Di assoluta perfezione e pulizia enologica, ai Rouinez va riconosciuto il grande merito di portare nel calice le caratteristiche intrinseche del Vallese.
DOMAINES ROUVINEZ – BEST WINES Coeur de Domaine, 14,5% – Strepitoso blend ottenuto dall’assemblaggio di un 70% di Petite Arvine, un 20% di Heida e un 10% di Hermitage (Marsanne), provenienti da tre differenti domaine, tra i quali è stato selezionato accuratamente, acino per acino, il meglio della produzione. Lo suggerisce lo stesso nome di fantasia dato a questo bianco poderoso per struttura, ma tutt’altro che invadente nonostante l’alcolicità sostenuta. Sfodera sia al naso sia al palato note elegantissime di limone e frutta a polpa bianca, che impreziosiscono una beva di persistenza infinita: vino sinuoso, di grande complessità, robusto e allo stesso tempo delicato come una nuvola che ti s’infila nel palato. Compagno perfetto per una cena a base di pesce.
Merlot Bio 2014, 14% – Tra gli ottimi rossi di Rouvinez (avremmo potuto citare per esempio l’Humane Rouge 2014 o il Cornalin 2014, o lo stesso, ottimo, Le Tourmentin Valais Aoc 2013) scegliamo di premiare a pieni voti il Merlot biologico, vendemmia 2014: letteralmente da applausi. Per la perfezione delle distinte note fruttate. Per la pulizia dell’olfatto tutto. Per la perfetta armonia ed equilibrio tra il corpo “grasso” e l’alcolicità. Per il semplice fatto che fa sognare d’aver di fronte un piatto di carne succulenta. Da divorare tra un sorso e l’altro.
CHATEAU CONSTELLATION, SION (VALAIS) C’è anche spazio per un curioso tuffo nella cronaca giudiziaria elvetica in occasione del wine tour di vinialsupermercato.it in Svizzera. Ci imbattiamo casualmente in Chateau Constellation, cantina che non avevamo in programma di visitare. Impossibile non notare l’imponente struttura, costruita con le sembianze di un castello, che domina il panorama in direzione Nendaz. Scopriamo così che Chateau Constellation è il nome scelto dal principale azionista, Dominique Giroud, per la sua “riconsacrazione” nel mondo del vino elvetico, dopo le accuse per frode, falsificazione di merci e contraffazione che lo hanno visto al centro di uno scandalo senza pari, per presunti reati commessi a cavallo tra il 1997 e il 2013. La stampa svizzera ha rinominato la vicenda Affaire Giroud. Tra le accuse, anche quelle di aver tagliato del St Saphorine del Vaud (vino bianco pregiato, ricavato da una sottozona della Aoc Lavaux) con del Fendant del Vallese. All’epoca, l’imprenditore era titolare della Giroud Vin SA, che ha dichiarato la bancarotta. Tra i dipendenti in forza a Chateau Constellation, almeno un paio sono italiani. E dall’Italia provengono molti vini oggi in vendita nel sontuoso “salotto” borghese allestito a Sion da Dominique Giroud: perché è così che andrebbe definito il piano terra del “castello”, dove è sorta una vera e propria enoteca con spazio ristorazione (tavola fredda). E ai piani alti, sale per ricevimenti, matrimoni, occasioni speciali. Ovviamente all’insegna del lusso. Cordialissimo il personale che ci guida nella visita delle cantine e dell’immensa struttura. Nonché nella degustazione dei vini. Un po’ meno memorabile la preparazione enologica degli addetti, che forse da queste parti non deve contare più di tanto. Vini di puro commercio, di fatto, quelli che degustiamo a Constellation. Destinati ad accontentare – immaginiamo – palati internazionali radical chic, alla ricerca di curiosi “pezzi svizzeri” da aggiungere a una spocchiosa collezione di “vini dal mondo”. Vini, quelli di Chateau Constellation, che la catena di supermercati svizzeri Denner ha tolto dall’assortimento dei propri punti vendita, in seguito all’Affaire Giroud. Modalità Svizzera: on.
SELECTION EXCELSUS JEAN CLAUDE FAVRE, CHAMOSON (VALAIS) Dal vino come business, al vino come ragione di vita. Eccoci a Chamoson, nel nostro incedere dal Vallese verso il canton Vaud. Tappa imprescindibile del nostro wine tour, la cantina Selection Excelsus di Jean Claude Favre (nella foto). Personaggio istrionico, Jean Claude ha organizzato in ogni minimo dettaglio il nostro incontro. Con tanto di traduttori per colloquiare in lingua inglese. “I vini Selection Excelsus sono l’espressione fedele d’un terroir d’eccezione”. Così Jean Claude ci introduce idealmente nel suo regno di Chamoson, il Comune con la maggiore superficie vitata del Valais. Un territorio fortemente frammentato. I proprietari di vigneti sono circa 1200. E diversi appezzamenti sono di soli 100 metri quadrati. Un affare di cuore la viticoltura, da queste parti più che altrove. Una situazione simile solo a quella di Visperterminen. In questo puzzle, Selection Excelsus può contare su circa 6 ettari vitati (45 mila bottiglie). Tutti situati sulla conoide alluvionale che rende speciale – in termini di terroir – questo villaggio svizzero. Solo il 10% delle vigne di Chamoson si trovano infatti su terrazzamenti eroici. Eroica è stata invece l’impresa di Jean Claude Favre, che è riuscito a trasformare la cantina fondata nel 1980 dal padre (conferitore d’uve) in una delle più rinomate della Svizzera. Allargando il business a Paesi come Germania e Italia. Come? “La produzione – spiega l’eclettico vigneron – si basa principalmente sulla valorizzazione dei singoli vitigni. Solo due i blend: un bianco e un rosso, entrambi indicati col nome di fantasia ‘1955’, codice postale di Chamoson. Fondamentalmente faccio vini che piacciono a me. E’ questa la mia filosofia. E infatti, tra le varietà, è possibile riscontrare, oltre a quelle tipiche come il Johannisberg e il Fendant, anche il Pinot Blanc e il Pinot Gris: semplicemente perché li amo!”.
SELECTION EXCELSUS – BEST WINES Humagne Blanche 2014, 12,5% – Mineralità, frutto, utilizzo non invasivo della barrique. Che cosa manca a questo Humagne Blanche per essere definito perfetto? Niente. Ottenuto dalla più antica varietà di cui si abbia notizia Nel Vallese (“Registre d’Anniviers”, 1313), contiene molto più ferro rispetto agli altri vini. Tanto da essere soprannominato “vino della nascita”. Alle giovani donne che partoriscono negli ospedali vallesi ne viene tradizionalmente offerto un calice a scopo ricostituente. Riti e usanze a parte, quello di Selection Excelsus è un Humane Blanche eclettico, impreziosito dalla barrique e capace di accompagnare aperitivi, pesce e crostacei, dall’antipasto ai primi. Perfetto anche con i piatti a base di formaggi locali. La spiccata acidità fa sì che l’Humagne Blanche Selection Excelsus possa essere conservato in cantina per anni, prima di essere degustato su note più evolute. In gioventù si mostra aromatico, ma di un’aromaticità estremamente fine. “Eccelsa”, per restare in tema.
Cornalin 2015, 13% – La pazienza è la virtù dei saggi. E di chi ama il vino, aggiungiamo noi. Dare tempo al Cornalin 2015 di Selection Excelsus è quasi un obbligo morale. Se non altro per rispetto delle viti storiche, impiantate nel 1978, su cui può contare Jean Claude Favre per la produzione di questo straordinario rosso di prospettiva. Piante capricciose, difficili da coltivare. Quattromilacinquecento le bottiglie prodotte in media ogni anno, con rese di 30-35 quintali. Dire Cornalin a Chamoson è come dire Nebbiolo a Barolo. Ma quello di casa Favre ha una marcia in più rispetto a quello dei vicini. Un naso di ciliegie e note floreali di sambuco precedono un palato di struttura, buona acidità e tannini pregevolissimi. Già apprezzabile con piatti importanti a base di carne, va – come anticipato – dimenticato in cantina e riscoperto tra almeno 4-5 anni. Come minimo, ovviamente.
DOMAINE DE BEUDON, FULLY (VALAIS) Appena travolta da una tragedia immane, come quella della scomparsa di Jacques Granges – deceduto in seguito a un incidente avvenuto proprio tra le vigne – veniamo accolti a Beudon dalla moglie del vigneron, Marion Granges-Faiss (nella foto). Quella tra le “vigne del cielo” di Fully, per noi di vinialsupermercato.it, è stata di fatto un’esperienza umana straordinaria, oltre che professionale. Dell’incontro con Marion abbiamo già trattato nel nostro ampio reportage. Ricordiamo qui che la produzione del Domaine de Beudon, certificata biodinamica, rientra nel circuito dei viticoltori Triple A. Le vigne, tutte situate a un’altezza compresa tra i 600 e i 900 metri, con pendenze da scalatore, danno vita a vini dagli eccezionali profumi e aromi. Vini estremamente longevi, capaci di scardinare di netto certe leggi non scritte del vino svizzero, secondo le quali – per esempio – un Fendant “va bevuto giovane”.
DOMAINE DE BEUDON – BEST WINES Fendant 2004– Nel calice si presenta ancora d’un bel giallo paglia, con riflessi verdolini. Al naso l’impagabile freschezza delle note fruttate (albicocca) e uno spunto vegetale che costituirà ilfil rouge, preziosissimo, di tutta la produzione del Domaine de Beudon. Un contrasto solo apparente, in quadro in cui anche la mineralità gioca un ruolo fondamentale. Un vino d’agricoltura, d’artigianato. D’arte.
Riesling Sylvaner 2004 – Ottenuto da un appezzamento di 1,6 ettari situato interamente a 800 metri d’altezza, risulta aromatico come un giovane Moscato al naso, nonostante i 12 anni, con un tocco di miele delicato e fine. Lunghissimo in bocca, chiude su note amarognole che ricordano vagamente il rabarbaro.
Petite Arvine 2014– Premiato come miglior vino bianco bio della Svizzera. Lo degustiamo leggermente fuori temperatura. Ma ne apprezziamo comunque la freschezza. Bel naso, a cui risponde in bocca una portentosa struttura e calore: verbena, timo, limone. La sensazione è quasi balsamica.
Constellation 2007 – E’ il riuscitissimo blend tra Pinot Noir, Gamay e Diolinoir, varietà autoctona del Vallese. Un vino sensualissimo. Dai profumi vellutati di frutta (piccole bacche rosse) al riconoscibilissimo sentore di rosa. Un vino sinuoso, del fascino della discretezza. Anche al palato. Dove chiude con le canoniche note di erbe officinali, persistenti, lunghe.
LA CAVE DES CHAMPS CLAUDY CLAVIEN, MIEGE (VALAIS) Ormai pronta a prendere le redini della cantina al fianco del padre, Shadia Clavien (nella foto) ci accoglie nella sala degustazioni de La Cave des Champs, a Miege nel Vallese, da vera padrona di casa. La giovane, 23 anni, sta completando gli studi nella prestigiosa Alta Scuola di Viticoltura ed Enologia di Changins, a Nyon, canton Vaud. Il polo universitario più accreditato dell’intera Svizzera in materia enologica. E tra un paio d’anni sarà pronta a seguire le orme di quello che, in terra elvetica e non solo, è considerato un guru del vino: Claudy Clavien. Abbiamo ormai abbandonato da una decina di minuti il rettilineo che taglia in due il cantone, correndo parallelo al reno. Avventurandoci nelle tortuose stradine che conducono da Sierre a Crans Montana. Fino a giungere a Miege. Pittoresco paesino di 1.500 anime, a 700 metri sul livello del mare. Anche qui, quella che ormai è una consuetudine: più vigne che campanelli delle abitazioni. Dei 130 ettari vitati del paese, La Cave des Champs può contare su 10. Con una capacità produttiva annua che si assesta, in media, sulle 700 mila bottiglia. “Grazie a un attento lavoro in vigna – spiega Shadia Clavien – cerchiamo di tradurre in bottiglia sia le caratteristiche di struttura sia quelle di freschezza del vino, a seconda dell’uvaggio. Mio padre ama i vini sottili e strutturati ed è per questo che lavoriamo con botti di alta qualità, cercando di conferire al vino ulteriore complessità e un lento e promettente invecchiamento”. In effetti è vasta la produzione de La Cave des Champs che si avvale dell’utilizzo di barrique. E ad ogni sorso è evidente il grande potenziale dei vini firmati da Claudy Clavien. Vini territoriali, da aspettare in cantina per anni. Vini che, bevuti oggi, esprimono un tannino di grande potenzialità e sentori terziari vanigliati un po’ troppo aggressivi, almeno per il gusto italiano. Una gamma che, dall’anno prossimo, si arricchirà del frutto della prima vendemmia di Merlot, impiantato per la prima volta tre anni fa.
LA CAVE DES CHAMPS, BEST WINES Fendant 2015, 11,5% – Per finezza, il miglior vino da uve Chasselas degustato in Svizzera in occasione del nostro wine tour. E parliamo della “finezza” della semplicità, non della complessità. Si tratta infatti del vino bianco più diffuso in questa regione. Un vino leggero, da pasto. Che in casi come questo, rarissimi, si eleva all’ennesima potenza. Naso tutta frutta e fiori freschi. E facilità di beva straordinaria, resa tutt’altro che banale dalla ‘grassezza’ delle note fruttate, che conferisco grande morbidezza a un palato di velluto. Ottimo come aperitivo, il Fendant 2015 La Cave Des Champes può aspirare ad accompagnare addirittura piatti di pesce. Da provare.
Cornalin 2015, 13% – Vitigno difficile da coltivare, è una delle sfide più interessanti per Claudy Clavien la produzione in purezza del Cornalin. Molti altri lo hanno estirpato. Tanta frutta nel naso e in bocca, per un vino che vale di degustare per giungere – idealmente – all’esatto compresso tra la freschezza di un Pinot Nero e la complessità e struttura d’un Syrah. Tannino straordinario per finezza.
Diolinoir 2014, 13% – Ha bisogno di qualche minuto nel calice per aprirsi completamente e sprigionare le proprie potenzialità il Diolinoir di Claudy Clavien. Si tratta di un ‘incrocio’ ottenuto dalle varietà Diolly e Pinot Noir, introdotto nel Vallese negli anni Settanta. Naso interessante dominato dai piccoli frutti a bacca rossa, sfodera l’ennesimo tannino elegante di casa La Cave, mostrando ampi margini di potenziale invecchiamento. Già oggi piacevolissimo, regala una bocca ricca e piena e un retro olfattivo degno di nota.
Carminoir 2014, 13% – Se avete da giocarvi una sola fiche, bene: puntate tutto sul Carminoir di Claudy Clavien, delizioso incrocio tra Pinot Noir e – questa volta – Cabernet Sauvignon. Quantomeno per la sua unicità. Bel naso elegante su note fruttate che, presto, rivelano d’essere in ottima compagnia di sentori speziati di liquirizia e aromi di caffè (12 mesi di affinamento in barrique). In bocca è suadente, morbido, rotondo nonostante la buona struttura. Svela, solo nel finale, uno spunto leggero di liquirizia dolce. Grande persistenza. Perfetto per accompagnare piatti anche strutturati a base di carne, è un altro vino capace di invecchiare bene negli anni.
CLOS DE TSAMPÉHRO, FLANTHEY (VALAIS) Sono vini in giacca e cravatta, quelli di Clos de Tsampéhro. La penna è quella di Emmanuel Charpin (nella foto), artefice con i suoi tre soci Joel Briguet, Christian Gellerstad e Vincent Tenud, di un vero e proprio miracolo enologico. La cantina di Flanthey, che divide i locali con la consociata Cave La Romaine di Joel Briguet, apre ufficialmente i battenti nel 2013. Si brinda con le bottiglie della prima vendemmia, la 2011. Il target è subito evidente. Alta gamma. La produzione Clos de Tsampérho, ben presto, cattura le attenzioni dei ristoranti svizzeri più accreditati. Non passa inosservata agli stellati Michelin. Che fanno a gara, uno dopo l’altro, per aggiudicarsi i vini della nuova casa vinicola di Flanthey. Un successo arrivato presto, prestissimo. Ai nastri di partenza. Non a caso condividiamo la degustazione dei vini Clos de Tsampéhro con Pierre Edouard Coullomb, head sommelier dell’Hotel Les Sources des Alpes, cinque stelle di Leukerbad. Che presto avrà in carta queste “chicche”, ottenute da 2,5 ettari vitati complessivi, per un totale di 9500 bottiglie prodotte nel 2015. E’ Emmanuel Charpin a guidarci alla scoperta del cuore pulsante della cantina: la barricaia. Centoventi piccole botti, in cui riposano per un minimo di due anni i nettari in seguito alla vinificazione, avvenuta rigorosamente in legno (botti grandi di rovere). “Tsampérho – spiega Charpin – ha come unico obiettivo la qualità assoluta, senza il minimo compromesso. Ciò si traduce in basse rese in vigna, nella migliore selezione delle uve ma, ancor prima, in trattamenti di tipo biologico per prevenire le malattie della vite, al posto di combatterle”. Clos de Tsampéhro è infatti una delle dieci cantine della Svizzera che si avvalgono di elicotteri per i trattamenti agricoli. Alla giovane cantina di Flanthey va anche riconosciuto il grande merito d’aver promosso il recupero del Completer, vitigno autoctono del Vallese a bacca bianca, ormai sparito. Le barbatelle provengono dal canton Grigioni, dove invece è ancora allevato. Di seguito i migliori vini degustati, tenendo presente, però, che l’assaggio è avvenuto direttamente dalle barrique. I vini 2016 di Clos de Tsampéhro, tutti eccellenti, devono ancora essere imbottigliati.
CLOS DE TSAMPÉHRO, BEST WINES Tsampérho blanc 2015, ?% – Le premesse in barrique sono ottime per questo straordinario assemblaggio delle varietà Heida (70%) e Reze (30%). Vinificazione totale – 15/18 mesi – in botte, dopo la raccolta manuale dei grappoli e la pressatura soffice. Alla complessità e alla finezza degli aromi del primo uvaggio si sommano i muscoli e le caratteristiche più ruvide del secondo, sopratutto in termini d’acidità. Il risultato, al naso, è pressoché aromatico: frutta a polpa bianca, albicocca, fiori d’acacia. In bocca regna un perfetto equilibrio, con prevedibile predominanza delle note morbide e vellutate dell’Heida. L’acidità del Reze dona ulteriore freschezza e complessità alla beva. E ne fa un vino atto all’invecchiamento, che immaginiamo verterà su tinte – ancora più spiccate – di idrocarburo. Chapeau.
Completer 2014, ?% – Suadente e vellutato al naso, si conferma tale anche al palato. Le note di idrocarburo, qui già ben distinte, fanno spazio anche a sentori di pietra focaia. L’alcolicità è spiccata, assestandosi oltre i 15% in volume. Ma l’equilibrio è letteralmente perfetto. Un vino che fa vibrare il palato per le note evolute che parlano d’agrumi, per l’acidità piacevolmente citrica, per lo spunto gassoso percettibile anche nel retro olfattivo. Un capolavoro. Da aspettare ancora qualche mese, prima dell’imbottigliamento dalla barrique. E poi per anni, in cantina. Se si è capaci.
Tsampéhro III 2014, 14,2% – Il numero III indica la terza vendemmia della casa vinicola, che ha scelto di incartare la bottiglia con una carta velina fine, su cui è stampata la mappa dei vigneti. Una prima impressione che deve far pensare alla territorialità di questo blend rosso, che in una degustazione alla cieca potrebbe essere scambiato – senza vergogna – per un Super Tuscan. A comporre l’assemblaggio sono Cornalin (che fa la parte del leone), Merlot, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon. “Vogliamo vini perfetti – evidenzia Emmanuel Charpin mentre versa il prezioso nettare nel calice – ma che siano anche piacevoli da bere”. Missione compiuta, Emmanuel. Perché Tsampéhro III 2014 lo puoi accostare a piatti saporiti a base di carne. Ma si presta alla perfezione anche come vino da meditazione, dopo pasto. Il compagno perfetto di un buon libro. Un vino rosso dominato dal fil rouge delle note fruttate grasse e dalla struttura del Cornalin, cui si sommano le note speziate del Merlot e quelle vegetali e fresche dei due Cab. Un vino che racconta – al naso e al palato – sentori di confettura di amarene e prugna, impreziositi da varietali speziati al pepe nero e terziari come liquirizia e cuoio. Evidente la propensione di questo blend all’ulteriore affinamento in bottiglia, fino a 15 anni.
NEYROUD FONJALLAZ, CHARDONNE (VAUD) Jean Francoise e Anne Neyroud, marito e moglie, sono i titolari di questa storica cantina di Chardonne, prima tappa di vinialsupermercato.it nel cantone Vaud. Fondata nel 1901, l’attuale struttura è stata acquistata dalla famiglia dalla famiglia Neyroud nel 1938. La vera svolta nel 1962, quando il padre di Jean Francoise abbandona le attività collaterali legate al bestiame per dedicarsi anima e cuore alla sola viticoltura. Ci troviamo nel cuore delle terrazze di Lavaux, che dominano la parte centro-orientale del Lago di Ginevra, ai piedi del Monte Pèlerin. Un luogo unico, patrimonio mondiale dell’Unesco. I terreni vitati della Neyroud Fonjallaz, che ammontano a circa 7,5 ettari, si trovano tutti in sottozone elette alla viticoltura del Lavaux, come Saint-Sephorine, Calamin e Dézeley.
NEYROUD FONJALLAZ, BEST WINES Dézeley 2015, 12,5% – Dopo i primi bianchi a base Chasselas, più destinati all’aperitivo che ad accompagnare un pasto completo, ecco un Dézeley di buona finezza, sia al naso sia al palato. Dominano la scena note fruttate di buona eleganza, che richiamano il melone e i frutti esotici. Buona anche la persistenza.
Saint-Sephorine Pinot Noir 2015, 12,8% – Un Pinot Noir in purezza che, al naso, regala le classiche note di sottobosco, con predominanza dei piccoli frutti a bacca nera su quelli a bacca rossa (più mora che lampone e fragolina). Un bel tannino elegante segue il valzer della frutta, prima di una piacevole chiusura su tinte minerali e sapide. Bella esaltazione del terroir di Lavaux in questo rosso di casa Neyroud-Fonjallaz. Semplice e genuino come la famiglia che lo produce.
JACQUES & AURELIA JOLY, GRANDVAUX (VAUD) Ad accoglierci, nella “casa-cantina” di Grandvaux, a pochi passi dal pittoresco centro storico del villaggio elvetico che s’affaccia su un lago di Ginevra mozzafiato, è un ragazzetto in pantaloncini corti, a petto nudo. Buon inglese. E la maturità d’un adulto: “Mi metto una maglietta e chiamo papà. Solo un momento”. Jacques Joly è in vigna quando suoniamo al campanello. Ci mette poco ad arrivare, seguito poi dalla moglie. Nel frattempo Gerome, il figlio 15enne, ci fa accomodare nella sala degustazione. Una bella famiglia del vino svizzero, i Joly. “Our wine, our life“, si legge sulla brochure di presentazione. E in effetti è questa la prima impressione. Tre ettari di terreni, per una produzione di circa 25 mila bottiglie l’anno. Terreni che non sono di proprietà di Jacques e Aurelia. Ma che, forse, un giorno lo diventeranno. La cantina, sorta nel 2008, ha già saputo imporsi nel panorama nazionale, aggiudicandosi diversi premi enologici (Lauriers d’Or Terravin). Inoltre, il governo cantonale ha premiato i Joly per il loro impegno nella promozione dell’enoturismo locale, che dallo scorso anno ha subito un’impennata nel Lavaux. La produzione dei Joly, del resto, è in grado di offrire una valida fotografia delle sfaccettature che assume il vitigno Chasselas (chiamato Fendant nel Vallese) nelle 8 diverse sottozone di produzione del Lavaux (830 ettari ripartiti su 6 Comuni rivieraschi). Qualche esempio? Il cru Dézaley dà vita a Chasselas che assumono sentori spiccatamente minerali, che sfociano nella pietra focaia. A Calamin, l’altro cru, la massiccia presenza d’argilla nel suolo regala vini complessi, soprattutto dal punto di vista olfattivo. E a Villette, l’area più estesa con i suoi 175 ettari, la sabbia compie l’esatto opposto: vini di facile e pronta beva, poco atti all’invecchiamento, ma molto fruttati.
JACQUES & AURELIA JOLY, BEST WINES Epesses Lavaux Aoc La Destinée 2015, 12% – Un gran bell’esempio della complessità offerta allo Chasselas dai terreni argillosi della sottozona Epesses. Al naso note fruttate eleganti e mineralità spiccata. Le stesse che si ritrovano in un palato di grande equilibrio. Pregevole anche il finale: La Destinée chiude, lungo e persistente, su note di melone maturo. L’ennesimo vino bianco svizzero che può aspirare a qualcosa di più del semplice abbinamento in occasione dell’aperitivo. L’Arpent 2014, 13,5% – Riuscitissimo blend tra Garanoir (80%) e Syrah (20%), L’Arpent è un rosso poderoso, ottenuto da seconda rifermentazione in barrique. La vinificazione delle uve avviene separatamente e il mix del Syrah con la varietà locale Garanoir viene effettuato solo in seguito a una selezione accurata della barrique nella quale le uve del vitigno francese esprimono il tannino e la morbidezza desiderata. Ne scaturisce un vino dall’imponente impronta olfattiva: alle note di confettura di more fanno eco intensi richiami al cuoio, alla liquirizia e al cioccolato. Con l’ossigenazione, L’Arpent si apre anche a sfumature fumé. Buona morbidezza al palato, dove il tannino risulta effettivamente equilibrato. L’utilizzo della barrique è perfetto: le note vanigliate fanno solo da contornom nel finale e nel retro olfattivo, al ritorno delle note fruttate di mora.
CAVE PHILIPPE BOVET, GIVRINS (VAUD) Vale proprio la pena di percorrere ogni singolo chilometro delle strade anguste che tagliano in due il distretto di Nyon, staccandosi dalla E62, fino a giungere alla cantina di Philippe Bovet. Siamo a Givrins, cuore pulsante del vino del Vaud, lontano dai terrazzamenti tipici del lago di Ginevra (Lavaux). E quella di Philippe Bovet (nella foto) non è una cantina. Non è un’azienda. E’ un sogno ad occhi aperti. E quello che sta combinando da queste parti Bovet, è qualcosa a metà tra l’opera d’arte d’un visionario. E la follia. Philippe Bovet, il Maradona del vino svizzero: lo rinominiamo così al termine della nostra visita in cantina. Un soprannome che va ben oltre la leggera somiglianza tra il vigneron – ex maestro di sci e tuttora grande amico del campione olimpico Didier Défago – e il Pibe de Oro. Ma andiamo con ordine. Sono le 10.30 quando giungiamo a Givrins. Ad occuparsi di noi è Baptiste Moreau (nella foto, sotto), bischero di 21 anni che ha mollato la cantina del padre, produttore di Chablis in Francia, per andare a studiare a Changins. “Troppa teoria e poca pratica”: un fardello, quello della scuola d’alta formazione in Viticoltura ed Enologia, che Baptiste ha liquidato in pochi mesi. Trovando comunque un posto d’onore nella cantina di Bovet. Del resto, il vino ce l’ha nel sangue, Baptiste. Che con destrezza ed estrema preparazione ci guida nella visita della cantina. Grande importanza per il progetto di Bovet rivestono le barrique in cui affinano vini che fino a pochi anni fa erano praticamente sconosciuti in Svizzera. Parliamo del Malbec, su tutti. “Sono un grande amante dell’Argentina e del suo vino principe – spiega Bovet – così ho deciso di tentare di allevarlo qui, a partire dal 2009”. Tra gli 8 ettari di terreni della Cave (5 in conversione biologica), in grado di assicurare una produzione annua di 80 mila bottiglie (numero che sale a 200 mila considerando le vinificazioni effettuate per conto di altri viticoltori della zona), Bovet può contare su 5 differenti cloni di Malbec. Quattro dei quali provengono direttamente dall’Argentina, o meglio dalla cantina Tempus Alba di Mendoza.
Quello piantato nel 2009 arriva invece dalla Francia (Montpellier). Il Malbec di Bovet affina tre anni in barrique. E finisce sold out ancor prima di essere riversato in bottiglia. Una fortuna poter degustare da una delle piccole botti la vendemmia 2014, che sarà “pronta” nel 2017. Ottimo, sempre dalla barrique, anche il Viognier 2015, ottenuto da una particella costituita da viti di 20 anni posta sotto la chiesa di Givrins. Ma in realtà, Bovet ha reso famosa la Svizzera del vino per un altra produzione: quella del Gamay. Avete capito bene. Proprio per il Gamay, considerato il ‘vino rosso da tavola’ degli svizzeri. “Quando ho iniziato a produrre Gamay affinato in barrique, riducendo di molto le rese in vigna – spiega Philippe Bovet – in molti in Svizzera pensavano fossi diventato pazzo. Ho proposto il mio Gamay ad alcune degustazioni professionali: pensavano si trattasse di Syrah. Invece era proprio Gamay”. Il Gamay è la sintesi della filosofia produttiva della Cave Bovet, che punta a valorizzare al massimo il singolo vitigno, “che deve parlare di sé, della terra da cui nasce, ed esprimere nel calice tutto il suo potenziale”. “E’ così che ho vinto un sacco di premi, parlando della purezza di ogni vitigno prodotto”, commenta col sorriso stampato sul viso il viticoltore. La Cave Philippe Bovet produce assieme ad altri tre produttori svizzeri due vini – un bianco e un rosso – frutto di un assemblaggio segreto: “Les 4 Elements”. Si tratta del tentativo di unire lo spirito d’innovazione, il savoir faire e l’expertise in materia enologica di Bovet e degli altri produttori svizzeri Guy Cousin (Vignoble Cousin, Concise – canton Vaud), Stéphane Gros (Dardagny, canton Geneve) e Cave Christophe Jacquod (Bramois – canton Valais) che condividono la medesima filosofia. Sono loro i “quattro elementi”: acqua (Bovet), terra (Cousin), fuoco (Gros) e aria (Jacquod). L’unico vino capace di unire il meglio delle produzioni di quattro distinti cantoni. Molto più di una semplice operazione di marketing. “Nei mesi che precedono la vendemmia – spiega Bovet – osservo le uve e i loro mutamenti e stilo una lista di cose che vorrei sperimentare. A fine vendemmia mi rendo conto d’aver realizzato neppure la metà delle cose che mi ero prefissato. Per chi vuole innovare e sperimentare, soprattutto in Paesi come la Svizzera, dove il clima è particolare e spesso avverso, ogni vendemmia passata è una vendemmia persa. Perché? Perché siamo viticoltori e non cuochi: noi non possiamo rifare una ricetta venuta male, cambiando semplicemente gli ingredienti”. Goal. Palla di nuovo al centro.
CAVE PHILIPPE BOVET, BEST WINES Chenin Blanc 2015, 13,9% – Imbottigliato da circa tre mesi, lo Chenin Blanc 2015 di Philippe Bovet esprime già bene il suo potenziale, che non potrà che esplodere ulteriormente con l’ulteriore affinamento. Il vitigno, originario della Valle della Loira, si racconta nel calice sotto una delle sue poliedriche forme: quello della complessità e della qualità assoluta, a dispetto di chi bistratta i nettari ottenuti da questa nobile bacca bianca. Bovet attende sino all’ultimo minuto la maturazione in vigna, spingendola sino al limite. La vendemmia 2015, del resto, è stata molto favorevole. Giallo paglierino, con riflessi dorati. A un naso complesso di frutta esotica, con il melone che spicca sulle altri frutti come il mango, fa eco una mineralità che segna uno stacco con altri Chenin Blanc degustati in Svizzera, oltre a un corpo di tutto rispetto. La buona acidità lo rende vino atto a un degno invecchiamento, superiore anche ai 5 anni.
Verticale di Gamay, 2010 / 2015 – Viaggio nelle ultime cinque annate della varietà che ha reso famoso Bovet – a buona ragione – in Svizzera e nel mondo. Si comincia dal frutto spinto all’ennesima potenza del Gamay 2015 Pacifique (14%). La vinificazione in acciaio regala un naso e una bocca a base di frutti rossi: consistenti, pieni, ricchi, persistenti. Elegante il tannino, come mamma l’ha fatto. Il Gamay 2014 Atlantique (13,4%) affina invece in barrique. Stessa pulizia delle note fruttate, che sfociano sia al naso sia al palato in terziari di speziati. Botte per nulla invadente nel conferimento di leggere note vanigliate. Si tocca il cielo con un dito con il Gamay 2011 di Bovet: mix perfetto di eleganza e finezza, espressione del magnifico terroir locale. E’ la vittoria di Davide su Golia. La vittoria della qualità sulla quantità. La scommessa vinta da Bovet. Ottimo anche il Gamay 2010, che si fa grasso con le sue note intense di marmellata di prugna e datteri. Unica pecca, quello svanire un po’ frettolosamente nel retro olfattivo: un sogno a bocca piena, che svanisce troppo presto.
DOMAINE MERMETUS, ARAN VILLETTE (VAUD) Il sole luccica sul lago di Ginevra e lo spettacolo che offre la natura, tra le vigne del Domaine Mermetus, è degno d’un quadro impressionista. In mezzo alla cornice si muove una figura piccola, composta. Ci viene incontro. E’ Claire (nella foto), la padrona di casa. Che ci accoglie col sorriso, pronta a guidare con grande professionalità la degustazione. Una fortuna, per il marito Henry Chollet e per il figlio Vincent, poter contare sull’apporto di questa dama del vino svizzero, che conosce bene come le sue tasche la terra e le mille sfumature del vino del Lavaux. Siamo ad Aran Villette, poco lontano da uno svincolo autostradale della E62. Eppure regna il silenzio. Delle auto, neppure l’ombra. Il tetto di Domaine Mermetus e le sue pareti bianche spuntano come per magia tra le vigne della “maison”, poco prima che la collina, scoscesa ma non ripidissima, baci l’acqua del lago di Ginevra. Siamo a casa di un produttore che, grazie al suo profondo attaccamento alla terra d’origine, è tra i fondatori dell’Association Plant Robert – Robez – Robaz. Henry Chollet, marito della splendida Claire, è tra i pionieri che nell’aprile 2002, a Cully, sottoscrivono l’impegno formale nella riscoperta di un vitigno autoctono ormai quasi scomparso: il Plant Robert – Robez -Robaz, per l’appunto. Un vitigno a bacca rossa, della famiglia del Gamay, coltivato nel Lavaux tra il 18° e il 19° Secolo e salvato dall’oblio, in extremis, nel 1966 dal vigneron Robert Monnier. Densità d’impianto minima di 7.500 piante per ettaro, con resa massima di 0.7 litri per metro quadrato e densità del mosto minima di 85° Oechsle: queste le regole del ‘gioco’ dell’associazione, che per garantire l’autenticità del prodotto si rifà all’Organisme Intercantonal de Certification (Oic), a sua volta rispondente al Service d’Accréditation Suisse (Sas). Una speciale “fascetta”, simile al contrassegno di Stato apposto sui vini Docg in Italia, viene apposta sulle bottiglie di Plant Robert autentico. Una missione, quella di Domaine Mermetus, che oggi viene portata avanti con entusiasmo dal figlio di Henry e Claire Chollet, Vincent, in collaborazione con la moglie. Sette ettari totali, suddivisi in 35 particelle. Capaci di trasformarsi in 33 diverse cuvée interamente elaborate, dalla vigna alla bottiglia, dalla famiglia Chollet.
DOMAINE MERMETUS, BEST WINES Vase n° 10 2015,12,8% – E’ lo Chasselas in purezza che, da queste parti, definiscono “gastronomico”. Ovvero il più complesso. Quello che, per caratteristiche, è adatto ad accompagnare un pranzo o una cena, al di là dell’aperitivo. Dopo aver degustato l’ottimo Les Terrasses de Valérie 2015 (Chasselas d’Epesses intenso, grasso, minerale), passiamo con curiosità a Vase n° 10 e ce ne innamoriamo. Di un bel giallo paglierino carico, risulta intenso al naso, ma con la classica nota esotica (melone) che si fa attendere rispetto ad altri Chasselas, piacevolmente sovrastata dalla spiccata mineralità, che poi troveremo anche al palato. Chiude fruttato, con note che ricordano la banana matura. Vase n° 10 è ottenuto senza malolattica, per garantirne la purezza e la struttura ideale per l’accompagnamento gastronomico. La terra ricca di argilla e limo, in cui affondano le radici le viti, è il segreto di questo ottimo bianco svizzero.
Viognier Essence lémanique 2015, 14,9% – Avete letto bene. Un Viognier dall’accentuata alcolicità, eppure così bevibile, per nulla stucchevole o da capogiro. A nostro parere, assieme al recupero del Plant Robert, è questo il vero capolavoro di Domaine Marmetus. Un vitigno, il Viognier, che i Chollet allevano da oltre 20 anni. E un nome, Essence lémanique, scelto non a caso: Lemano è il nome originario del lago di Ginevra, di cui questo vino sembra esprimere l’essenza. La sintesi perfetta. Un po’ come se i Chollet fossero riusciti a condensare, in un’unica bottiglia, tutte le caratteristiche dei terroir del Lavaux. In questo Viognier troviamo la freschezza delle note fruttate riscontrabili nei bianchi della sottozona Villette. Ma anche la complessità dei vini d’Epesses e Calamin. E infine la mineralità e le note evolute dei migliori Dézalay. D’un giallo dorato già di per sé invitante, si presenta al naso con più albicocca che pesca. In bocca morbido, intenso. Con l’alcolicità a fare da cornice, calda ma equilibrata, alle note fruttate. Lungo finale, con spruzzata leggera di pepe bianco. Il compagno perfetto per gustare piatti speziati della cucina indiana.
Plant Robert Le Chant de la terre 2014, 13% – Il “Canto della terra”. Altro nome azzeccato per un vino – questa volta rosso – che parla della tradizione più profonda e dell’amore e dell’attaccamento alle origini della viticoltura del Lavaux. Per comprendere appieno le caratteristiche di questo Plant Robert bisogna conoscere il Gamay, di cui è la versione “esplosa”: più frutta, più spezie. E uno spunto animale, rustico, tradizionale, tipico dei vini veri, sinceri. Non artificiali, autentici. In una parola: naturali. Di un rosso rubino profondo, poco trasparente, Le Chant de la terre si presenta al naso col megafono: piccoli frutti a bacca rossa e nera (lampone, more) accompagnano una speziatura accentuata di pepe e chiodi di garofano. Caratteristiche che ritroviamo anche al palato, dove si comprende come il Plant Robert sia un vino d’attendere qualche anno, prima che esprima appieno tutto il suo potenziale. Col passare dei minuti, l’ossigenazione del nettare nel calice contribuisce a esaltare note più morbide e grasse al naso, che sfociano addirittura nel balsamico delle resine d’abete. Un vino rustico, ma elegante. Un ossimoro con cui accompagnare portate di carne importanti, come per esempio la selvaggina d’agnello.
DOMAINE HENRI CRUCHON, ECHICHENS (VAUD) Ultima tappa prevista tra le cantine del Vaud, prima di spostarci e chiudere il wine tour nel cantone Ginevra, è il Domaine Henri Cruchon di Echichens. Siamo nel distretto di Morges, a casa di una famiglia di viticoltori appassionati, giunta ormai alla terza generazione. Un vero e proprio riferimento nella zona. Ai 12 ettari del Domaine vanno a sommarsi infatti altri 42 ettari vitati di proprietà di altre famiglie, unite in una sorta di cooperativa Il fondatore, Henri Cruchon, può contare sull’apporto dei due figli Michel (viticoltore) e Raoul (enologo), su quello delle loro mogli Anne e Lisa (impiegate amministrative) e, dal 2010, anche sull’apporto della nipote Catherine Cruchon, enologa con esperienze formative anche in Italia, nel Piacentino. Tutti e 12 gli ettari di proprietà sono certificati biodinamici, così come 32 dei 42 ulteriori ettari delle famiglie conferitrici. “La terra non ci appartiene – spiega Catherine – noi siamo i suoi custodi. La coltiviamo, dunque, con l’idea che dobbiamo garantirne la longevità, con pratiche di totale rispetto nei confronti della natura”. Il contesto è quello dell’Aoc Morges, compresa tra la città di Losanna e il fiume Aubonne. La denominazione più estesa del canton Vaud. E’ qui che i viticoltori hanno riscoperto e valorizzato il Servagnin, varietà autentica di Pinot Nero, introdotto in Svizzera proprio a partire da Morges.
DOMAINE HENRI CRUCHON, BEST WINES Altesse 2015, 15,5% (senza solfiti, non filtrato) – Rimaniamo letteralmente folgorati di fronte a questo bianco senza solfiti di casa Cruchon. Altesse è il nome del vino ma anche quello della rarissima varietà Altesse, coltivata solamente nella Savoia francese, luogo dal quale proviene. I grappoli maturi prendono le sembianze del Gewurztraminer una volta maturi: quel bruno rossastro che è gli ha fatto guadagnare il soprannome “La Roussette” da parte dei locali. In realtà la traduzione corretta sarebbe “Sua Altezza”. Un appellativo più che azzecato. Nel calice l’Altesse 2015 del Domanine Henri Cruchon si presenta d’un giallo dorato carico. Al naso l’acqua del mare: una percezione salmastro-minerale di rara pregevolezza, unita a richiami esotici, agrumati (limone) ed erbacei (fieno). Al palato l’alcolicità calda non disturba una beva morbida, straordinariamente rotonda e avvolgente. Anzi, esalta le note di miele e cedro, di eleganza sublime, che sembrano disciogliersi nel sale di cui è ricco anche il palato, oltre al naso. Straordinario il lavoro effettuato in vigna dai Cruchon con questo rarissimo uvaggio, sin dal 1998, anno della prima produzione. Un’attenzione che poi si trasferisce in cantina, dove gli acini vengono pressati interi e vinificati in serbatoi da 500 litri. Lunga fermentazione, che comprende la malolattica.
Pinot Noir Champanel 2014, 13% – Fa parte dei Gran Cru della casa vinicola di Echichens, questo Pinot Nero che reca appunto il nome della vigna Champanel, divisa a metà tra la varietà a bacca rossa e il locale Chasselas. Il terroir Champanel è caratterizato da un profondo terreno argilloso-calcareo, che si trova su una morena formatasi 10 mila anni fa per l’attività dei ghiacciai. Non a caso, da questa posizione si può ammirare il Monte Bianco, al di là del Lago di Ginevra. “Al fine di mettere in evidenza il carattere pieno di questo Grand Cru – spiega Catherine Cruchon – le viti, tutte di 30 anni, sono coltivate nel rispetto dei ritmi lunari, ovviamente senza utilizzo di prodotti chimici”. La vendemmia viene compiuta a mano, su rese molto basse. In seguito alla vinificazione tradizionale, il vino matura per 18 mesi, di cui 12 in botti di rovere. Ne scaturisce un Pinot Nero validissimo: imbottigliato solo da due mesi, quello che degustiamo mostra grandi margini di miglioramento nel medio-lungo periodo (6 anni) evidenziando carattere e finezza rappresentati benissimo da un tannino da ricordare.
DOMAINE DU CENTAURE, DARDAGNY (GENEVE) Per raggiungere Dardagny, il navigatore ci conduce al confine con la Francia, per poi farci rientrare in territorio elvetico in seguito a un brevissimo tratto di superstrada. Stranezze della tecnologia a parte, Dardagny è una tappa imprescindibile del nostro wine tour: l’ennesimo Comune con più vigne che campanelli, designato a rappresentare l’altissimo livello qualitativo dei vini del cantone di Ginevra. La prima delle due cantine visitate è Domaine du Centaure, il regno di Claude Ramu e dei suoi figli Nicolas e Julien (nella foto). A guidarci nel tour della winery è proprio quest’ultimo. Una cantina moderna, realizzata nel 1980 e sempre in continua evoluzione dal punto di vista tecnologico. Oggi i Ramu, famiglia storica, presente a Dardagny sin dal 1400, arrivano a produrre circa 200 mila bottiglie dai 20 ettari di proprietà, cui vanno a sommarsi gli 8 in locazione. “In tutti questi anni – tiene a sottolineare Julien Ramu – siamo sempre stati indipendenti, senza mai aderire a nessuna cooperativa. Fummo noi a introdurre il metodo Guyot in Svizzera, nel 1925 con Edmond Ramu, nostro capostipite. E fu sempre lui a piantare il primo Gamay e Pinot Nero, nel 1936”. Una storia curiosa quella dei Ramu, che negli anni Cinquanta trova in Charles Ramu un altro innovatore: pilota di auto da corsa in Italia con Alfa Romeo, rifiutò la chiamata in Formula 1 per tornare tra le sue vigne di Dardagny. Introdusse così Aligoté, Pinot Grigio, Gewurztraminer e Moscato, ottenendo diverse medaglie d’oro. Ma fu Claude Ramu a cambiare il nome dell’azienda in Domaine du Centaure, nel 1982. Assegnando al pittore Serge Diakonoff il compito di realizzare le caratteristiche etichette dei suoi nuovi vini.
DOMAINE DU CENTAURE, BEST WINES Pinot Gris Les Chant des Sirènes, vins doux – Vino dolce ottenuto grazie all’appassimento delle uve per due mesi su graticci. Una volta raggiunto il grado zuccherino desiderato, mediante disidratazione, gli acini di Pinot Grigio vengono pressati e, in seguito alla fermentazione, posti ad affinare in barrique per 20 mesi. Bel giallo dorato, al naso sprigiona la freschezza delle note di brutta a polpa bianca (pera, banana) e d’albicocca. Lo apprezziamo per la grande pulizia al palato e per la scelta maestrale di un grado zuccherino non stucchevole: un’operazione non riuscita ad altri viticoltori svizzeri.
Garanoir-Gamaret barrique Légende 2014 – More, pepe, spezie. Il blend tra le varietà locali Garanoir e Gamaret è riuscitissimo al Domaine Du Centaure. Un vino tannico, di corpo, capace di sfoderare un grande carattere. Uno di quei vini da aspettare, anche se già in grado di accompagnare più che bene piatti saporiti a base di carne, come la selvaggina.
DOMAINE LES HUTINS, DARDAGNY (GENEVE) Si conclude qui il nostro wine tour in Svizzera. E non poteva che terminare in una delle cantine svizzere che fanno della qualità il proprio baluardo. Seconda ed ultima tappa a Dardagny è Domaine Les Hutins, cantina storica che oggi è retta dall’ingegnere Jean Hutin e dalla figlia enologa Emilienne Hutin Zumbach (nella foto). Ormai la quinta generazione di una famiglia di viticoltori. L’anno della svolta, da queste parti, è il 1982. Quando Jean inizia a impiantare Sauvignon Blanc. Molti altri seguono poi il suo esempio in Svizzera, dal Ticino alla Svizzera tedesca. “La nostra filosofia produttiva – spiega Emilienne – prevede la massima attenzione in vigna, nel rispetto dell’ambiente. Stiamo portando avanti la produzione integrata, con 3,5 ettari sui 20 totali coltivati in biodinamica, pur senza certificazione. Il nostro vino deve parlare della terra e dell’andamento dell’annata, senza artifici. E’ un vino vero, insomma”. Quindici le varietà allevate, che danno vita a 27 differenti etichette, equamente suddivise tra bianchi e rossi. I terreni si trovano a un’altezza di 430 metri sul livello del mare. Tutti in piano, a esclusione dei 2 ettari in pendenza suddivisi tra Sauvignon, Syrah, Merlot e Viognier, nei pressi del fiume Rodano.
DOMAINE LES HUTINS, BEST WINES Sauvignon Blanc 2014, 13,5% – Ottenuto dalle vigne vecchie, questo Sauvignon Blanc affina in barrique per 12 mesi. Vino molto più diretto e schietto del suo parente non affinato in barrique (di cui però abbiamo degustato la vendemmia 2015, 14,5%), esprime sentori fruttati meno esuberanti, ponendosi di diritto come vino gastronomico. Pregevole la chiusura su note di limone, che lo rende ancora più interessante. L’affinamento viene compiuto in barrique da 500 litri, senza aver prima svolto malolattica. Legni che sono stati selezionati con cura da Emilianne e reperiti dopo una lunga ricerca atta a esaltare le caratteristiche del vitigno internazionale e le peculiarità del terroir di Dardagny.
Chasselas Bertholier 2015 13 % – E’ lo Chasselas top di gamma di Hutins. E si sente. Non il solito vino “leggero”, da aperitivo, bensì un nettare che mostra buona struttura e consistenza. L’erba in campo non viene diradata, ad esclusione della base della pianta, con dosi minime d’erbicida. Fermentazione lunga, che si aggira attorno ai due mesi per questo Chasselas gastronomico. Naso floreale (tiglio) con richiami minerali che poi si riscontrano nuovamente al palato, dove la salinità precede una chiusura fruttata, ma di sostanza.
Bertholier Rouge 2014, 13,5 – Altro top di gamma di Hutins. Si tratta dell’assemblaggio tra Gamaret (70%), Merlot (15%) e Cabernet Sauvignon (15%) vinificati in barrique. Le tre varietà che compongono il blend effettuano assieme la fermentazione. Nel calice, Bertholier Rouge si presenta d’un rosso intenso, poco trasparente. Intenso è anche il naso, che da un principio fruttato (bacche rosse) si evolve con l’ossigenazione verso tinte balsamiche, mentolate. Si sprigiona a quel punto anche la caratteristica nota vegetale del Sauvignon, che apprezziamo particolarmente. Al palato si conferma vino di sostanza e di corpo, capace di accompagnare degnamente piatti complessi a base di carne e selvaggina. La verticale compiuta da Hutins ne dimostra la longevità, con l’annata 2005 ancora straordinariamente viva nel calice.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Al via la vendemmia in Italia che si prevede nel 2016 con una produzione complessivamente in aumento di almeno il 5% rispetto ai 47,5 milioni di ettolitri dello scorso anno anche se con un andamento fortemente differenziato tra le diverse regioni, che varia dalla previsione di crescita del 15% in Puglia al calo del 10% in Lombardia, per effetto del bizzarro andamento climatico. Comunque meglio della Francia, in termini di quantità. E’ quanto stima la Coldiretti nel sottolineare che la vendemmia del 2016 è iniziata quest’anno con un ritardo di quasi una settimana rispetto allo scorso anno quando pero’ era stata condizionata dal grande caldo e siccità con la raccolta più precoce dell’ultimo decennio. Il distacco del primo grappolo di uva quest’anno è avvenuto nell’azienda agricola Faccoli in via Cava a Coccaglio, nella provincia di Brescia in Franciacorta con il distacco delle uve Chardonnay per la produzione di spumanti che tradizionalmente sono le prime ad essere raccolte in tutta Italia. Molto dipenderà dai mesi di agosto e settembre ma, come evidenzia la Coldiretti, le escursioni termiche degli ultimi giorni con gli abbassamenti di temperature specie quelle minime fanno ben sperare per una annata di buona qualità, dopo un inverno particolarmente mite e un germogliamento anticipato. La primavera ha fatto segnare temperature spesso sotto la media e anche fenomeni di gelate tardive e tempo umido un po’ in tutta Italia ma specie nel nord est mettendo a dura prova il lavoro dei viticoltori per garantire la sanità delle uve. In Italia la vendemmia parte con le uve Pinot e Chardonnay in un percorso che, precisa la Coldiretti, proseguirà a settembre ed ottobre con la raccolta delle grandi uve rosse autoctone Sangiovese, Montepulciano, Nebbiolo e che si concluderà addirittura a novembre con le uve di Aglianico e Nebbiolo e Nerello. Le stime della Coldiretti dunque saranno progressivamente definite perché molto dipenderà dall’andamento climatico delle settimane precedenti la raccolta.
“PROMUOVERE E TUTELARE IL MADE IN ITALY”
Dal punto di vista quantitativo è probabile che l’Italia conquisterà anche quest’anno il primato produttivo rispetto alla Francia dove – sottolinea la Coldiretti – le prime stime per il 2016 danno una produzione in leggero calo sul 2015, a causa delle gelate tardive e della forte pressione delle malattie fungine. In Italia se non ci saranno sconvolgimenti si prevede che la produzione Made in Italy sarà destinata per oltre il 40 per cento – precisa la Coldiretti – ai 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc) e ai 73 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), il 30 per cento ai 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) riconosciuti in Italia e il restante 30 per cento a vini da tavola. Nel primo quadrimestre del 2016 le esportazioni di vino Made in Italy sono ulteriormente aumentate del 2 per cento in valore rispetto al record storico fatto segnare lo scorso anno, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat, con il risultato che oltre la metà del fatturato realizzato dal vino quest’anno sarà ottenuto dalle vendite sul mercato estero.
Con l’inizio della vendemmia in Italia si attiva un motore economico che genera quasi 10 miliardi di fatturato solo dalla vendita del vino e che da opportunità di lavoro nella filiera a 1,3 milioni di persone. La vendemmia 2016, ricorda la Coldiretti, coinvolgerà 650mila ettari di vigne, dei quali ben 480mila Docg, Doc e Igt e oltre 200mila aziende vitivinicole. La ricaduta occupazionale riguarda sia per le persone impegnate direttamente in vigne, cantine e nella distribuzione commerciale, sia per quelle impiegate in attività connesse e di servizio. Secondo una ricerca di Coldiretti, per ogni grappolo di uva raccolta si attivano ben diciotto settori di lavoro dall’industria di trasformazione al commercio, dal vetro per bicchieri e bottiglie alla lavorazione del sughero per tappi, continuando con trasporti, accessori, enoturismo, cosmetica, bioenergie e molto altro.
“Il futuro del Made in Italy – commenta Roberto Moncalvo, presidente Coldiretti – dipende dalla capacità di promuovere e tutelare le distintività che è stata la chiave del successo nel settore del vino dove ha trovato la massima esaltazione la valorizzazione delle specificità territoriali che rappresentano la vera ricchezza del Paese. Il vino italiano è cresciuto scommettendo sulla sua identità con una decisa svolta verso la qualità che ha permesso di conquistare primati nel mondo dove oggi 1 bottiglia esportata su 5 è Made in Italy”.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Franciacorta Solive enologo Paolo Turra vendemmia 3
Non “la migliore delle annate”, ma certamente una “buona annata”. E’ già tempo di bilanci per la Franciacorta, in occasione dell’inizio della vendemmia 2016. A dare il via alle operazioni, il 12 agosto, sono state le aziende agricole del versante sud del Monte Orfano, che godono di un microclima favorevole alla maturazione delle uve. La raccolta di Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Bianco è sempre anticipata rispetto alle zone più centrali. “La situazione in Franciacorta è molto disomogenea quest’anno – evidenzia dal quartier generale di Erbusco Silvano Brescianini, vicepresidente del Consorzio Franciacorta – per via delle numerose variabili che contraddistinguono le aree del nostro territorio. Ci sono delle zone, per esempio quelle più a nord, dove serviranno ancora almeno un paio di settimane prima di iniziare la raccolta”. Il 2016, infatti, ha visto un clima altalenante nel Bresciano. A consistenti precipitazioni si sono alternate giornate molto calde e umide. “Fin dal principio della stagione – continua Brescianini – apertasi con un regolare germogliamento nei primi giorni di aprile, l’annata è parsa piuttosto precoce, grazie a condizioni climatiche molto favorevoli. Durante le fasi della fioritura e dell’allegagione, però, le frequenti piogge e i bruschi abbassamenti della temperatura hanno rallentato il processo di maturazione e in alcuni casi favorito la peronospora. Questo patogeno fungino, che influisce fortunatamente solo sulla quantità prodotta, compromette infatti il passaggio da fiore a frutto, con il mancato sviluppo di alcuni acini all’interno dei singoli grappoli”.
I PRODUTTORI: “QUALITA’ ASSICURATA” Il maltempo del mese di maggio e inizio giugno, con frequenti rovesci e alcune grandinate, ha poi influenzato negativamente la formazione dei grappoli. In Franciacorta si registreranno dunque “perdite di produzione in termine di volumi, anche se non consistenti”. “Un’annata – continua Brescianini – con delle rese ridotte rispetto al 2015, con una previsione di calo del 10-15 % dei volumi sul totale degli ettari, ma sicuramente di grande qualità. Il clima è stato infatti nel complesso favorevole, poiché l’escursione termica ha permesso una buona maturazione delle uve e un buon bilanciamento tra zuccheri ed acidità”. A confermare questa previsione, anche Paolo Turra (nella foto),enologo della Cantina Solive: “Sì prospetta non una delle migliori annate che ci siano mai state ma complessivamente una buona annata per la Franciacorta tutta. Tra i quaranta e i cinquanta giorni fa, proprio in occasione della fioritura delle viti, nel Bresciano si riscontrava un temporale ogni sera. Precipitazioni cospicue, con gocce di grosse dimensioni”.
“Questo – continua Turra – ha reso faticosa la fecondazione di tutti gli acini. Inevitabile dunque le perdite in termini quantitativi, rispetto alla scorsa vendemmia. Inoltre, i continui temporali e la mancanza di un caldo asciutto hanno portato un mese e mezzo fa all’instaurarsi di malattie come la Peronospora, con qualche accenno di Oidio, fortunatamente entrambi circoscritti in tempo e fermati, evitando l’espandersi dei danni. Da metà luglio, fortunatamente, la situazione meteorologica si è stabilizzata portando l’annata sulla retta via e ad un’ottima allegagione. Siamo però in ritardo sulla tempistica media: esattamente il 13 agosto del 2015 a Solive iniziavamo la vendemmia. Quest’anno, complice gli ultimi 2 o 3 temporali dei giorni scorsi e la caduta delle temperature, registriamo la presenza di uve in stallo con un alcol probabile intorno ai 7-8%”. “Non ci rimane dunque che aspettare e monitorare la situazione – conclude l’enologo Paolo Turra -. Siamo fiduciosi di ottenere una buona annata. La sanità è buona, grazie soprattutto al tanto e minuzioso lavoro fatto con passione, caratteristica indispensabile per ottenere un ottimo prodotto”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Le Regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia , accogliendo la richiesta del Consorzio di Tutela del Prosecco Doc, hanno autorizzato l’estensione della superficie coltivabile per altri 3 mila ettari, 2.444 dei quali sul territorio regionale veneto e 560 ettari in Friuli Venezia Giulia. In questo modo il potenziale produttivo del Consorzio sale a 23.250 ettari. Il provvedimento è stato approvato il 29 giugno e le domande di interesse dovranno essere presentate entro 15 giorni dalla pubblicazione della misura nei bollettini ufficiali delle due Regioni. Per quanto riguarda il Friuli Venezia Giulia, metà degli ettari assegnati sarà distribuita tra le aziende che alla data del 29 aprile 2016 erano già inserite nel sistema di controllo della DOC Prosecco e non soggette al blocco della rivendicazione del marchio. La restante parte è invece riservata alle aziende in possesso di determinate caratteristiche, tra le quali sono prioritarie l’adesione ai canoni dell’agricoltura biologica e l’appartenenza alla gestione previdenziale quale giovane agricoltore. Anche in Veneto la distribuzione dei nuovi ettari avverrà in maniera diversa che in passato riservando, in 1.222 ettari a chi abbia già coltivazioni di Glera.
I PUNTEGGI
I criteri di scelta sono articolati riconoscendo punteggi più alti a chi adotterà tecniche sostenibili con l’uso di criteri biologici. Un ulteriore incentivo nel punteggio è dedicato ai giovani fra i 18 e i 40 anni non iscritti ad oggi nel registro della Doc. Le nuove piante dovranno essere messe a dimora entro il 31 luglio 2017 in superfici comprese fra i 3 mila metri quadrati ed i 3 ettari. Il potenziale produttivo previsto per la vendemmia del 2016 in Veneto è valutato in 3,13 milioni di ettolitri, corrispondenti a 417 milioni di bottiglie (498 milioni tenendo conto la riserva vendemmiale). Gli stessi dati, grazie all’estensione della superficie autorizzata, dovrebbero passare, rispettivamente, a 3,78 e 603 milioni. Fra il 2009 ed il 2015 la produzione di uva nei territori della Doc è aumentata del 236% e gli ettolitri del 260%. Contestualmente il valore dell’uva al quintale è salito dai 55 euro del 2009 ai 110 attuali.
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Il dottore di ricerca della Fondazione Edmund Mach, Alberto Maria Cattaneo, si è aggiudicato il 31° premio Giovanni Binaghi della Società italiana di entomologia con la tesisui meccanismi olfattivi di alcuni insetti infestanti per l’agricoltura trentina come la Carpocapsa del melo e la Tignoletta della vite. Obiettivo della ricerca è “la messa a punto di sistemi innovativi basati sull’interferenza della comunicazione fra gli insetti per difendere la vite e il melo”. La tesi di dottorato dal titolo “Alla scoperta dei meccanismi sensoriali per il controllo di due insetti infestanti: dal comportamento alle interazioni molecolari” è svolta in collaborazione tra la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige e l’Università degli Studi di Milano. Si tratta di uno studio innovativo sui sistemi di percezione sensoriale realizzato alternando esperimenti molecolari e studi elettrofisiologici condotti direttamente sulle antenne degli insetti.
IL PREMIO
“Conoscere questi meccanismi – spiega Alberto Maria Cattaneo (nella foto) – permette di individuare dei target biologici su cui agire e quindi di trovare nuovi sistemi di difesa delle piante e di controllo dei parassiti basati su sostanze naturali e che siano sempre più specifici e a basso impatto ambientale”. Laureato in Biotecnologie Agrarie a Milano, ha svolto la sua ricerca di dottorato all’interno di un progetto intitolato “controllo degli infestanti della frutta attraverso l’interazione con i canali TRP, una nuova classe di recettori sensoriali degli insetti”. Il premio bandito dalla Società Entomologica Italiana è dedicato alla memoria di Giovanni Binaghi, famoso entomologo Italiano scomparso che ha dedicato la sua vita alla diffusione dell’interesse di questa disciplina tra i giovani.
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La linea di difesa parte da Golasecca, poco sopra l’aeroporto di Malpensa e scende fino a Bernate, seguendo il Ticino, passando anche da Magnago, Inveruno, Robecchetto, Castano, Lonate Pozzolo, Somma Lombardo e Mesero. Sono circa 4 mila – spiega Coldiretti Lombardia – le trappole posizionate dal Servizio Fitosanitario dell’Ersaf in collaborazione con gli agricoltori per fermare l’avanzata della Popillia Japonica, il parassita asiatico in grado di colpire tutte le specie vegetali: dai prati alle piante ornamentali, dagli alberi da frutto ai vigneti. I rischi maggiori li corrono il mais, il pesco, il melo , la vite e la soia. La Popillia – spiega Coldiretti Lombardia – è uno dei parassiti più pericolosi che siano arrivati di recente sui nostri territori: il primo ritrovamento risale all’estate del 2014 a Turbigo. Negli Stati Uniti ogni anno vengono spesi oltre 600 milioni di dollari per combatterla, mentre da qualche giorno il confine occidentale della Lombardia è stato disseminato di trappole, sia floreali che sessuali, ognuna con un cartellino identificativo e con una gittata che supera il chilometro. “Se una popolazione di questi insetti finisce in un campo di soia, ti fa fuori tutto come un’ondata di cavallette – spiega Cristian Capoferri, imprenditore agricolo di Coldiretti a Turbigo – per questo è importante monitorare la situazione e fare prevenzione”. Ma la Popillia non è l’unico “alieno” arrivato nei nostri territori, secondo un monitoraggio della Coldiretti regionale sono dieci tra insetti, rettili e pesci le minacce straniere più gravi alla biodiversità in Lombardia. La “top ten” degli invasori comprende: Popillia Japonica, tarlo asiatico, vespa del castagno, pesce siluro, testuggine dalle orecchie rosse, scoiattolo grigio nordamericano, gambero della Louisiana, minilepre, diabrotica e nutria.
“La Lombardia vanta un tesoro di oltre 23 mila specie animali e vegetali messo a repentaglio dalla progressiva avanzata di parassiti che arrivano dall’Asia e dall’America, soppiantando la flora e la fauna autoctone e provocando danni e perdite alle produzioni agricole” spiega Ettore Prandini, Presidente di Coldiretti Lombardia. Basti pensare, ad esempio – ricorda la Coldiretti Lombardia – alle centinaia di migliaia di euro di danni provocati ogni anno su terreni e canali irrigui dalla nutria, un animale di origine sudamericana ormai diffuso in tutta la Pianura Padana. L’America ci ha “regalato” anche la diabrotica che attacca il mais (produzione cardine per il sistema zootecnico lombardo), lo scoiattolo grigio che sta sfrattando il più pacifico e piccolo cugino italiano e il gambero rosso della Louisiana che ha colonizzato canali e aree umide di mezza Italia, Lombardia compresa. Nei nostri fiumi, in particolare nel Po, è sempre più frequente trovare anche il pesce siluro, una specie ittica di grandi dimensioni originaria dell’Est Europa che si nutre di pesci vivi e morti, di vermi e girini, desertificando fondali e sponde. Non possiamo dimenticare l’americana testuggine dalle orecchie rosse, inserita tra le cento specie aliene più aggressive al mondo. In totale – spiega la Coldiretti Lombardia – secondo la Banca dati mondiale delle specie invasive sono oltre 200 quelle presenti nel nostro Paese.
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