EDITORIALE – Con una selezione che supera le 100 etichette, l’e-commerce vinoungherese.it punta a far conoscere a winelovers e professionisti del settore Wine&Food una terra del vino che pare ormai giunta alla piena maturità e consapevolezza dei propri mezzi, ben oltre i vini dolci di Tokaj: l’Ungheria.
WineMag.it gioca in casa, dal momento che la selezione è stata da me compiuta negli ultimi 6 mesi con ripetuti viaggi dall’Italia e lunghe permanenze in tutte le regioni vinicole ungheresi.
L’obiettivo di vinoungherese.it è quello di ampliare il bagaglio di conoscenze degli amanti del nettare di bacco in Italia, mostrando la bellezza assoluta dei vini vulcanici ungheresi, ben oltre il mainstream (meritatissimo, per carità) dei vini Aszú, delle nuove espressioni di Furmint “dry” e delle etichette commerciali di vini rossi delle regioni Villány ed Eger.
Ho percorso in auto più di 2 mila chilometri, conoscendo personalmente ognuno dei produttori entrati in catalogo e assaggiando tutta la linea di vini (comprese, ove possibile e degno di nota, le vecchie annate). Altre realtà entreranno in catalogo nei prossimi mesi.
Al centro della selezione ci sono decine di varietà autoctone ungheresi di cui posso dirmi ormai “innamorato”. Su tutti lo Juhfark (letteralmente “Coda di Pecora”) originario di Somló: vitigno e regione che meritano un’attenzione assoluta nel panorama internazionale, in qualità di principale, nuova e vera “frontiera” del vino ungherese.
Assieme, Juhfark e Somló costituiscono una coppia inimitabile per mostrare il terroir vulcanico della collina di Somló, situata a nord del lago Balaton, nella zona orientale dell’Ungheria (a sole due ore di auto da Budapest).
Poi ci sono Budai Zöld, Csókaszőlő, Ezerjó, Hárslevelű, Irsai Olivér, Kabar, Kadarka, Kéknyelű, Királyleányka, Kövérszőlő, Leányka, Kékfrankos, Portugieser, Nektár, Olaszrizling, Turan, Zengö, Zéta e Zeus.
Nomi pressoché impronunciabili, in alcuni casi, che meritano un posto d’onore accanto a internazionali come Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Grüner Veltliner, Merlot, Moscato Bianco, Moscato Giallo (Sargamuskotály).
E ancora: Muscat Ottonel, Pinot Grigio, Pinot Nero, Riesling renano, Müller-Thurgau (Rizlingszilváni), Sauvignon Blanc, Syrah, Gewürztraminer (Tramini) e Zweigelt. Infine, ma non ultimi nel vasto catalogo dell’e-commerce – udite, udite – Sagrantino (l’uva di Montefalco) e Sangiovese (il vitigno che ha reso grande la Toscana, nel mondo).
Due le etichette che vedono l’Italia “protagonista”, con altrettante varietà simbolo. Il Sagrantino è allevato in Ungheria da un solo produttore, innamorato dell’Umbria: Heimann di Szekszárd, che lo utilizza in uvaggio nel portentoso “Franciscus” e nel giovane, dinamico e freschissimo “Sxrd” (a proposito di potenziali nuove frontiere per il Sagrantino di Montefalco).
Il Sangiovese è invece quello della cantina 2HA, finita nei guai con il Consorzio del Brunello (episodio raccontato qui da WineMag.it) per un sito web un po’ troppo “brunellofilo” per avere il dominio “.hu”, utilizzato per promuovere l’etichetta “Tabunello“, tuttora in vendita senza alcuna commistione con il re dei vini rossi della Toscana.
Tra le particolarità dell’e-commerce vinoungherese.it, anche la presenza del più popolare e apprezzato tra i produttori del cosiddetto vino naturale ungherese: si tratta di Hummel, vignaiolo tedesco che ha sparigliato le carte in una zona piuttosto “seduta sugli allori” e abituata all’auto-incensazione come Villány.
Non poteva mancare la cantina che, meglio di altre, sta cercando di raccogliere l’eredità di Hummel nel sud dell’Ungheria: Wassmann, il sogno divenuto realtà di un’altra coppia tedesca, Ralf Wassmann e Susann Hanauer, che opera in regime biodinamico. Chi ci segue nella scoperta? Cin, cin.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Con le vendite dei pregiati vini dolci di Tokaj in ripresa sui mercati internazionali, in prossimità di Natale 2020, la regione vinicola più famosa d’Ungheria si prepara a una doppia rivoluzione.
Da un lato una riduzione della superficie rivendicabile per la Denominazione. Dall’altro una pioggia di denaro dal governo guidato da Viktor Orban: circa mezzo miliardo di euro per potenziare infrastrutture, trasporti, servizi. E creare, in ambito vitivinicolo e turistico, una rete di piste ciclabili tra i vigneti. In una parola: enoturismo.
Se i 150 miliardi di fiorini messi a disposizione da Budapest fanno felici un po’ tutti, non si può dire lo stesso della nuova Legge sul Vino dell’Ungheria, che vede proprio la regione settentrionale del Paese al centro di un importante cambio di passo.
Secondo rumors provenienti dall’Országház, il parlamento ungherese potrebbe varare un taglio delle superfici vitate in cui sarà possibile produrre i vini a marchio Tokaj, oggi pari a 5.500 ettari (all’incirca quanto l’Alto Adige) con altimetrie tra i 400 e i 600 metri sul livello del mare.
La bozza del provvedimento contiene un solo accenno a tale provvedimento, che ha scatenato la preoccupazione di molti produttori e associazioni di settore. L’oltalom alatt álló, omologo della Denominazione di origine controllata italiana (Doc) o dell’Appellation d’origine contrôlée francese (Aoc), dovrebbe essere così relegata alle zone di “montagna”.
Tutte le altre si fregerebbero invece della dicitura “Zemplén“, termine che fa riferimento ai Monti situati al confine con la Slovacchia, che in questo caso assumerebbero il significato di “Collina“. Qui entrerebbe in vigore il divieto di apporre in etichetta il nome Tokaj.
Un modo per favorire i migliori appezzamenti e le migliori esposizioni per gli attacchi della Botrytis cinerea, la “muffa nobile” che rende tanto unici e speciali i vini di Tokaj, assieme ai terreni di matrice vulcanica.
“Una prima semplificazione delle leggi che regolano i nostri vini – spiega a WineMag.it il presidente del Consorzio di Tokaj, Péter Molnár (nella foto) – c’è stata nel 2014, con la suddivisione tra i vini Eszencia, Aszù, e i vari Szamorodni e vendemmia tardiva divenuta ancora più marcata”.
“L’anima della nostra denominazione, anche a fronte della crisi internazionale dei consumi di vini dolci, sarà sempre la medesima. La vera sfida è ampliare il ventaglio delle occasioni di consumo: siamo convinti che il nostro Tokaj, grazie alla sua eccezionale freschezza e mineralità, che garantisce un perfetto equilibrio con la componente dolce naturale, sia un ottimo vino da pasto, abbinabile a una vasta gamma di piatti, ben oltre il dessert o i formaggi”.
A dare ragione a Molnár, che ricopre anche il ruolo di direttore generale della cantina Patricius Borház a Bodrogkisfalud, è la ripresa dei consumi in Asia: “Al di là del periodo natalizio, stiamo registrando da diverse settimane un’impennata degli ordini in Oriente, soprattutto in Paesi come Cina, Giappone, Corea, Taiwan“.
“L’Occidente fatica ancora per via delle chiusure dell’Horeca – spiega ancora Molnár – ma siamo incoraggiati dall’apprezzamento dimostrato sempre più spesso dalle nuove generazioni nei confronti dei nostri vini dolci: costituiscono una nicchia minuscola nel panorama internazionale, con soli 2 milioni di bottiglie all’anno, ma sanno essere moderni come pochi al mondo, grazie alle caratteristiche uniche conferite dal nostro terroir”.
I produttori locali hanno iniziato a promuovere l’unicità di Tokaj già nel 1.700, 155 anni prima della celeberrima Bordeaux. Quella magiara è stata la prima regione vinicola a darsi un codice qualitativo basato sulla prodizione di 173 vigneti, riconosciuti sino all’avvento del Comunismo.
“Abbiamo accolto molto positivamente la notizia dello stanziamento di 150 miliardi di fiorini per lo sviluppo della zona – conclude Péter Molnár – e siamo già in contatto con il commissario governativo per lo sviluppo della regione Tokaj-Zemplén, György Wáberer, per studiare le soluzioni migliori per lanciare Tokaj nell’olimpo dell’enoturismo, una volta messa alle spalle la pandemia. Certo bisognerebbe anche rivedere le norme sulla tolleranza zero per chi si mette alla guida, uniformando l’Ungheria ai tassi di tolleranza di tante altre nazioni produttrici, come per esempio l’Italia”. Su questo capitolo, il Governo Orban rifiuta di rilasciare dichiarazioni.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Se c’è un vino e vitignodell’Ungheria pressoché sconosciuto, quello è lo Juhfark. La traduzione letterale, dalla complicata lingua ungherese, aiuta a comprendere solo le caratteristiche del grappolo, a forma di “Coda di pecora“: “juh” significa “pecora” e “fark” – contrazione di “farok” – è appunto la “coda”.
Lo Juhfark, finito sotto la lente di ingrandimento di WineMag.it attraverso una rara degustazione di 26 etichette, trova la sua zona più vocata nei terreni vulcanici di Nagy-Somló. Siamo nella parte nord occidentale dell’Ungheria, su un’area di appena 768 ettari.
Un numero che tiene conto dei 326 ettari della “sottozona” di Somló, la denominazione più piccola del Paese (Tokaij, per restare in Ungheria, conta ben 5.100 ettari). Gli sconfinamenti dello Juhafark a est, nell’Etyek-Buda, regalano vini con caratteristiche meno interessanti.
All’analisi del calice, lo Juhfark colpisce per l’eccezionale capacità di farsi portavoce del terroir vulcanico di Somló. Una carta unica a disposizione di questo autoctono ungherese, per imporsi sempre più nel panorama internazionale.
Oltre alle caratteristiche pedologiche e microclimatiche, il “Coda di Pecora” risente molto dell’andamento meteorologico dell’annata. Al netto delle scelte dei singoli viticoltori, non è difficile trovare – una accanto all’altra -etichette diverse tra loro, a partire da una percentuale d’alcol in volume che può variare dai 10,5 ai 15%.
Lo Juhfark si prende tutto il tempo necessario per esprimere al meglio le peculiarità del terreno vulcanico. Lo fa in vigna, germogliando precocemente, ma maturando relativamente tardi. E lo fa in bottiglia, regalando vini capaci di diventare sempre più complessi col passare degli anni, più che mai degni dei lunghi affinamenti.
Pgi Dunántúli Juhfark 2019, Szent István Korona (11,5%): 82/100
Giallo paglierino limpido, luminoso. Al naso fiori bianchi e frutta matura, esotica: pesca gialla, banana. Un tocco minerale, ma è il frutto il vero marcatore. In bocca buona corrispondenza. Ingresso morbido e allungo fresco, ma soprattutto salino. Poi torna la frutta. Un vino dignitoso per il prezzo contenuto, tuttavia non del tutto capace di esprimere al meglio le caratteristiche uniche della varietà. 82/100
Etyek-Budai Pdo Juhfark 2018, Szent István Korona (11%): 80/100 Bel giallo paglierino. Naso meno esplosivo del precedente. Oltre alla frutta, un tocco vegetale e una percezione iodica, minerale, più in evidenza rispetto all’altro campione della stessa cantina. In bocca il vino risulta però squilibrato sulla salinità, in mancanza del frutto. Un nettare pensato per un consumo che non vada oltre all’anno successivo alla vendemmia.
Nagy-Somlói Juhfark 2017, Kreinbacher (12,5%): 87/100
Bel giallo paglierino, riflessi dorati. Naso ampio, elegante. Fiori bianchi e frutta esotica matura, ananas, papaja, polpa di mandarino. Ma anche una parte minerale importante (pietra bagnata) con rintocchi di buccia d’arancio e un leggero apporto di spezia. In bocca il vino presenta una certa struttura e complessità.
L’ingresso è sul frutto e sul sale, pronti ad allargare la platea a una freschezza dilagante, che anticipa una chiusura minerale. Sorso molto invitante ed equilibrato, tra i ritorni di frutta esotica matura e lo iodio. Un vino con potenziale ulteriore di affinamento in bottiglia.
Somlói Juhfark Selection 2017, Kreinbacher (13%): 89/100 Alla vista giallo paglierino con riflessi dorati e una densità maggiore rispetto al precedente. Al naso una mineralità ancora più accennata (iodio, pietra focaia) accostata a un frutto di gran precisione: pesca gialla, albicocca. Una componente fruttata che fa perfettamente da spalla alla matrice vulcanica del nettare.
Il sorso rispecchia le anticipazioni olfattive: a una gran mineralità risponde un frutto pieno, materico. Durezze e morbidezze risultano in grande equilibrio, in un gioco prezioso ai fini dell’abbinamento a tavola. Purché si faccia grande attenzione al finale, con la chiusura assoluta di sipario su un agrume tendenzialmente amaricante.
Nagy-Somlói Juhfark 2015, Kancellár birtok (13,5%): 88/100
Bel giallo dorato. Naso timido ma prezioso, pronto ad esprimersi grazie all’ossigenazione. Ancora una volta mineralità in gran evidenza e una componente di frutta esotica, pienamente matura. La parte minerale si fa polvere da sparo, su note di fiori gialli, pesca a polpa gialla e melone.
Leggera percezione alcolica sin dal naso, che poi si tramuta in una “potente” avvolgenza al palato. In bocca il nettare entra morbido e poi si irrigidisce sulla freschezza e la sapidità, in un sorso che guadagna – rispetto al naso – le note agrumate. Buona gastronomicità. Vino che si trasforma nelle ore successive all’apertura, migliorando ancora.
Nagy-Somlói Juhfark Selection 2017, Csordás Fodor Pincészet (12%): 87/100
Giallo paglierino luminoso. Frutta matura, esotica. Accenno aromatico che ricorda il litchi del Gewurztraminer. Albicocca sotto sciroppo, ananas. Si concede con semplicità, su queste note, unite a una vena minerale.
Al palato tornano le note mature, ma con una spinta salina e fresca capace di riequilibrarle. Vino che chiude su una nota vagamente amarognola e speziata, accostata a una buona freschezza. Persistenza sufficiente.
Nagy-Somlói Prémium Juhfark 2019, Tornai Pincészet (13%): 90/100
Giallo paglierino, riflessi verdolini. Gran precisione e intensità del frutto, pesca a polpa bianca e gialla, richiami esotici perfettamente maturi, mentuccia freschissima e ricordi (vaghi) di liquirizia. Più lo lasci nel calice più si apre, splendidamente. Note di limone, agrumi, verbena. Fiori di glicine e un accento speziato.
In bocca mostra invece tutta la sua gioventù, su una freschezza dirompente, tirata come una corda di violino su note (rieccole qui) di agrumi e limone. Accentuata anche la vena minerale e salina, preponderante. Un’etichetta bambina, pronta a esplodere e diventare grande, longeva, di carattere. Tipica.
Nagy-Somlói Juhfark 2018, Csetvei Pincészet (11%): 85/100
Giallo paglierino. Vino piuttosto esile, connotato da una beva agilissima. Ha bisogno di aprirsi per raccontare la vena minerale, che domina il frutto. Pesca e ricordi di pera matura. Poi accenti d’agrume e di fiori, un tocco di cipria. Corpo leggero, sulla scorta dei pochi gradi. Solo note agrumate e un allungo salino. Chiude leggermente astringente.
Nagy-Somlói Juhfark 2017, Csetvei Pincészet (12%): 88/100 Giallo paglierino. Naso intenso, su fiori freschi bianchi, mineralità particolarmente accentuata, assieme a una vena talcata e agrumata e a ricordi di foglie di te grigio. Perfetta corrispondenza col palato. Struttura non particolarmente esibita, ma una certa eleganza al sorso.
La venatura minerale fa da spina dorsale assieme alla freschezza, prima di una chiusura fruttata, agrumata e in grado di riflettere la matrice vulcanica del terreno, con la pietra focaia. Un giovanotto, cui farà benissimo qualche anno di evoluzione.
Nagy-Somlói Juhfark 2017, Szalai Antal Pince (13,5%): 89/100
Giallo paglierino tendente al bianco carta. Naso timido all’inizio, si apre poi su note di fiori freschi, frutta esotica matura, zucchero filato, mentuccia e mineralità tipica del vulcano. Un accento speziato arriva con l’ossigenazione, in un olfatto che guadagna precise note agrumate.
In bocca gran pienezza e buona struttura, sorso fresco e largo al contempo. Pure salino. Non manca nulla, insomma. Persistenza molto più che sufficiente, per un vino che mostra un’ottima gastronomicità, giocata sull’equilibrio tra durezze e morbidezze.
Nagy-Somlói Juhfark 2017, Apátsági Pince (11%): 93/100
Giallo dorato. Gran naso, largo, frutta esotica matura, al limite del candito, agrumi, ananas in grandissima evidenza, fiori di campo, tra il secco e il fresco. Non manca la venatura minerale, vulcanica. Al palato è morbido e al contempo teso, in un gioco d’equilibrio che invoglia la beva. Esempio fulgido delle punte di qualità raggiungibili dal vitigno.
Juhfark 2018, Tornai Pincészet (11,5%): 87/100
Giallo paglierino, riflessi verdolini. Frutto in evidenza al naso, di perfetta maturità: pesca a polpa bianca, esotico, nespola, un tocco d’agrume, fiori bianchi freschi. La mineralità c’è, ma è più in evidenza al palato. Salinità su cui gioca un frutto elegante, prima di una chiusura tra la mandorla e l’agrume. Vino lineare, piuttosto semplice ma molto ben realizzato e rispettoso del vitigno.
Juhfark 2018, Canter Borház (10,5%): 84/100
Giallo dorato. Naso particolarmente intenso, su note di agrumi canditi, zenzero, erbe di campo, filtro di camomilla. La nota vulcanica è a metà tra la polvere da sparo e lo iodio e fa da compagna a una vena ossidativa. La nota erbacea, sulla buccia d’agrume, invece, è la prima che si ripresenta anche al palato.
Il sorso è leggero e leggiadro, ben equilibrato tra salinità e un frutto di bella presenza, giocato tra gli agrumi e la nota principale di ritorno, quella della camomilla (riecco l’ossidazione). Complessità non eccelsa del retro olfattivo, che piuttosto sorprende per la lunghezza e la freschezza, con una chiusura di sipario leggermente speziata.
Juhfark 2018, Zsirai Pincészet (12,5%): 89/100
Giallo paglierino. Il naso, riconoscibile tra mille, dello Juhafark di Somló: sbuffi talcati e minerali sul frutto pieno, maturo, a polpa bianca (pesca). La nota erbacea (stecco di liquirizia) a fare da contorno, impreziosendo un quadro già di per sé ammaliante.
Il tocco del legno vira sulla vaniglia bourbon e sulla leggera caramella mou, ad amalgamare e incomplessire. Il sorso è pieno, rotondo, morbido, col legno qui ancor più in evidenza, pur senza rischiare di soffocare il varietale. Uno Juhfark con le radici ben salde a Somlo e l’occhio strizzato all’internazionalità. Interessante in prospettiva.
Juhfark 2018, Kis Tamás Somlói Vándor Pince (12%): 92/100 Giallo paglierino, riflessi dorati. Frutta piena (pesca a polpa bianca, agrumi), giustamente matura, tocco di legno (mou, un tocco prezioso di fumè). Al palato – in ingresso – una gran pienezza, avvolgenza, senza rinunciare alla tipica verticalità e salinità dei vini di Somló, che vien fuori nel centro bocca e accompagna fino alla chiusura, lunghissima.
Materia, polpa. Poi il sale. Un altro vino di gran carattere e gastronomicità, che sfodera una struttura e un “peso” non comune, al palato. La chiusura è elegante, sapida, fresca, con un tocco fumè che invita al sorso successivo. Giovane, già ottimo, ma perfetto per una lunga conservazione. Ancora un esempio di tipicità e internazionalità coniugate divinamente.
Juhfark 2018 Teraszok, Kis Tamás Somlói Vándor Pince (11%): 90/100 Sorprende la pesantezza della bottiglia, in contrapposizione – a livello puramente estetico e concettuale – alla “leggerezza” della percentuale d’alcol in volume (appena 11%). Colore giallo paglierino con bei riflessi dorati.
Al naso complesso, col frutto sotto la coltre di un fumè spinto, di una roccia vulcanica e di richiami agrumati ed erbacei, uniti a rintocchi freschi, talcati. Non manca l’apporto del legno: mou, vaniglia bourbon. Il sorso è teso in ingresso, fresco e salino, prima di allargarsi sul frutto in centro bocca.
Torna poi nuovamente su un invitante venatura di iodio finale, arrotondata dal legno. Vino che rivela la sua estrema gioventù soprattutto nel retrolfattivo, su note di pietra bagnata, fumè e, nuovamente, vaniglia bourbon. Un nettare da aspettare, non certo nella sua fase di piena compiutezza.
Juhfark 2018, Apátsági Pince: 94/100 Colore bellissimo, un giallo paglierino pieno, con intensi riflessi dorati. Naso straordinariamente espressivo. Il frutto è pieno, di gran maturità, polposo. Pesca gialla più che bianca, esotico che ricorda la papaja e l’ananas, un accento di zenzero candito e di fico maturo.
Tocco del legno evidente, così come evidenti sono (ancor più) i richiami floreali freschi e quelli di buccia d’agrume, per una componente “verde” che incomplessisce il quadro (verbena, liquirizia, zenzero).
Al palato la consueta pienezza ed espressività di uno Juhfark unico: alla morbidezza delle note fruttate mature (ancora una volta esotico, agrume) abbina una freschezza dirompente, con le durezze tipiche dei vini vulcanici a fare loro da spina dorsale. Da bere oggi e conservare in cantina per un futuro luminoso.
Dunántúli Juhfark 2019, Törley (11%): 82/100 Giallo paglierino acceso. Bel giallo paglierino. Naso ampio, fruttato, agrumato, tocco talcato, vegetale con nuance da macchia mediterranea. In bocca più verticale del previsto, tutto giocato sugli agrumi. Un vino semplice, corretto, ben fatto.
Grófi Juhfark 2017 “Top Selection”, Tornai Pincészet (15%): 93/100
Qui lo Juhafark perde un po’ della sua proverbiale leggerezza e mineralità, per diventare grazie all’apporto del legno un vino di struttura (senza rinunciare all’eleganza), capace di accompagnare anche piatti importanti, a base di carne. Alla vista si presenta di un giallo dorato invitante, luminosissimo.
Idrocarburo netto al naso, assieme alla mentuccia elle note di frutta secca. Seguono a ruota accenni di macchia mediterranea, finocchietto, anice, in un sottofondo conferito dal legno: si vira dunque sul fondo di caffè e la caramellina mou.
Ingresso di bocca fruttato, sulla pesca disidratata. Sul pentagramma, tra la chiave di violino e l’ultima nota, una freschezza dirompente, giocata su note di mandorla amara, agrumi, frutta esotica (albicocca, papaja, ananas) accenti iodici caratteristici della zona e vaniglia.
Vino come pochi altri di caratura internazionale, dotato di gastronomicità assoluta, tenendo però conto della chiusura sulla mandorla amara. Un nettare peraltro ancora giovane, all’inizio di un lungo percorso.
Somló Juhfark 2017 Barrel Selection, Barcza Bálint (13,5%): 92/100
Solo 1.333 bottiglie per questa etichetta di vino naturale ungherese. Giallo paglierino pieno, di buona luminosità. Naso che si stacca completamente da molti altri assaggi, con i suoi ricordi di pera, pesca bianca matura e mentuccia.
L’apporto del legno è evidente, ma non disturba il varietale. Anzi, lo impreziosisce e incomplessisce. In bocca una freschezza straordinaria, ben bilanciata dalle note fruttate. Ben chiara e scandita anche la vena minerale, che assieme all’acidità costituisce la spina dorsale dell’etichetta.
La frutta matura e la vena glicerica si scoprono non solo ben integrate, ma anche necessarie a sostenere mineralità e freschezza. La precisione del sorso è esemplare, soprattutto per concentrazione del frutto ed equilibrio con le durezze. Un vino naturale coi fiocchi, tra i migliori assaggi assoluti della vendemmia 2017.
Nagy Somlói Juhfark 2017, Spiegelberg (12,5%): 90/100 Giallo dorato pieno. Naso lineare, pulito, frutta matura tipica del vitigno e venatura minerale, su note di zenzero candito. Non mancano gli agrumi e un ricordo di vaniglia, molto delicato. Molto più netto lo “spirito” del vulcano, sulla polvere da sparo.
Il sorso è elegante, verticale, sapido e preciso, pur senza rinunciare a una certa “materia” e “polposità”, nella componente fruttata. Chiusura altrettanto precisa ed equilibrata. Vino che non primeggia in complessità, ma che può dare immense soddisfazioni a tavola e nell’ulteriore affinamento in bottiglia: il tempo non potrà che fargli bene.
Juhfark 2011, Royal Somló Vineyards (Prolingo Bt): 92/100 Bel giallo dorato, luminoso. Naso fresco e iodico, con componente frutatta perfettamente matura. Venatura mentolata e talcata, netta. Vino che ha bisogno di tempo per aprirsi, su note che virano anche su una speziatura delicata (pepe bianco, cumino). Non manca una componente vegetale, sulla verbena e l’alloro, ma anche sulla radice di liquirizia.
Netto il ricordo della cera d’api, che sarà poi presente nel retro olfattivo. In bocca svela una freschezza dirompente, riequilibrata da note mielose e di frutta matura. Componente “dura” costituita anche da una salinità ben scandita, che marca il territorio di appartenenza del nettare. In chiusura riecco la nota mielata. Quasi 10 anni e non sentirli: bingo.
Juhfark bio 2016, Dobosi (13,5%): 89/100
Bel giallo paglierino, riflessi dorati. Al naso camomilla, scorza d’agrumi, pesca bianca molto matura. Il tutto ammantato da un bella vena iodica (molto diversa da quella di Somlo). Ingresso verticale e sapido, strepitosamente affilato, col sorso che piano piano si allarga sulla frutta matura, pur conservando la vena salina. Chiusura sull’agrume, piacevole, lunga. Bel vino con una sua linearità, ancora più che mai in piedi e in grado di regalare emozioni. 90/100
24) Juhfark bio 2017, Dobosi (13,5%): 90/100 Bel giallo paglierino carico, riflessi dorati. Naso più timido del precedente, ma molto elegante e preciso. Frutta matura più in vista del precedente, più matura. Siamo sulla pesca, netta. Non manca l’agrume, in scorza, oltre a una punta di spezia bianca, leggerissima. In bocca la frutta si trova a battersi con sale, l’agrume amaro e una percezione dell’alcol non perfettamente integrata. Bella freschezza. Vino certamente non seduto, un puledro da allungo. 91/100
25) Juhfark bio 2018, Dobosi (14%): 88/100 Giallo dorato luminoso. Bel frutto maturo, pieno, molto preciso, che tende al sovramaturo. Palato pieno, rotondo, ravvivato da una bella freschezza. Accenno di tostatura al naso, di frutta secca, che poi si troverà anche al palato. Vino che rispetto agli altri ha una marcia in meno, in termini di allungo, pienezza e, forse, capacità di raccontarsi nel tempo, in futuro.
26) Juhfark bio 2019, Dobosi (13,5%): 89/100 (anteprima / preview) Il giovanotto. Giallo paglierino non particolarmente carico, ma limpido e luminoso. Frutta perfettamente matura, pesca, albicocca, fiori freschi, nota talcata. Sorso tutto giocato sul frutto e sulla freschezza, che si scapigliano a vicenda, ricordando a tutti quanto bene farebbe aspettare ancora un po’ per godersi il nettare. Invitante la chiusura, ancora una volta sulla buccia agrume e su un accenno di spezia bianca, oltre all’accenno salino. Aspettami che arrivo.
*photo credits dei paesaggi: Somlo Wine Shop, dove sono reperibili gran parte delle etichette degustate
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Szekszárd, Ungheria meridionale: 160 chilometri a sud di Budapest, giù in linea retta. Meno di un’ora di strada dal confine con Serbia e Croazia. È qui che Zoltán Heimann ha deciso di piantare un ettaro di Sagrantino. L’uva che ha reso noto in tutto il mondo il borgo medievale umbro di Montefalco si è adattata bene al microclima e al terreno ricco di loess della regione vitivinicola ungherese di Tolna, di cui Szekszárd è capoluogo.
Un groviglio di valli soleggiate, che si distende a mano aperta lungo il 46° parallelo. Lo stesso di Egna e Montagna, in Alto Adige. Della Borgogna, in Francia. O della Willamette Valley, nell’Oregon. Una delle zone più vocate alla produzione dei vini rossi ungheresi, che qui risultano eleganti, speziati, generalmente agili e “pronti”.
Il tannino del Sagrantino, unito alla sua capacità di dare vita a vini da lungo affinamento, fa da spalla alle varietà Cabernet Franc e Kékfrankos in “Franciscus” e in “Grand“, due delle etichette top di gamma di Heimann Családi Birtok.
Ma si trova anche in “Sxrd“, vino fresco e moderno che suggella il cambio generazionale in corso tra i coniugi fondatori della cantina, Zoltán e Ágnes, e il figlio enologo Zoltán Jr, artefice della nuova e accattivante linea “Heimann & Fiai” (vini in vendita anche in Italia dal 2021, sull’e-commerce vinoungherese.it, di cui WineMag.it è Media partner).
Il tutto grazie al consiglio del consulente francese della cantina ungherese, che agli esordi del progetto – nel 1998 – suggerì a Zoltán Heimann di piantare a Szekszárd anche mezzo ettaro del vitigno tipico dell’Umbria, oltre a qualche filare di Tannat.
A distanza di 18 anni dal primo impianto, avvenuto nel 2002 grazie alle barbatelle giunte dall’Alto Adige tramite i vivai ungheresi Teleki-Kober, entrerà in produzione un altro mezzo ettaro di Sagrantino, che andrà addirittura a sostituire una porzione di Syrah.
“Ho imparato a conoscere nel tempo questa varietà – racconta Mr. Heimann a WineMag.it – e l’occasione di assaggiare per la prima volta il vino di Montefalco è capitata a Lucca, all’inizio del Duemila. Entrai in una wine boutique del centro e chiesi una bottiglia di Sagrantino. Ricordo ancora lo stupore dell’uomo che si trovava dall’altra parte del bancone. Faticò non poco a trovare una, ma alla fine riuscì a soddisfarmi”.
Nel 2012, dopo aver prodotto diverse edizioni di “Franciscus” e la prima di “Grand”, Zoltán Heimann torna in Italia e fa tappa in Umbria. Sempre a caccia di nuovi assaggi di Sagrantino, sceglie due cantine dalle filosofie diametralmente opposte.
“La Arnaldo Caprai – spiega il produttore ungherese – dall’impronta moderna e internazionale, e quella più artigianale di Paolo Bea. Mi trovai molto più a mio agio con la versione meno opulenta del Sagrantino di Bea, che ancora oggi cerchiamo di proporre a Szekszárd, nell’uvaggio con Cabernet Franc e Kékfrankos. Con Marco Caprai ho avuto modo di confrontarmi ancora a ProWein, negli anni scorsi”.
Assaggi che hanno aiutato a trovare ben presto la quadra per la vinificazione del Sagrantino alla Heimann Családi Birtok. La raccolta avviene generalmente a metà ottobre. La fermentazione avviene senza raspi, in acciaio. I rimontaggi, due volte al giorno, aiutano l’estrazione ottimale dei polifenoli.
Il mosto riposa a contatto con le bucce per un periodo compreso fra 20 e 30 giorni. La malolattica, svolta in acciaio, anticipa il trasferimento in botti da 1000 litri. Dopo un anno di riposo viene effettuato il taglio con Cabernet Franc e Kékfrankos. Il nettare, dopo un ulteriore affinamento in legno di circa un anno, viene imbottigliato e messo in commercio.
LA DEGUSTAZIONE
Védett eredetű száraz vörösbor Szekszárd Pdo 2017 “Franciscus”: 92/100 Etichetta che sarà in commercio a partire dalla fine del 2020. Siamo di fronte alla migliore espressione assoluta di Sagrantino di Heimann Winery, in attesa di un’ancor più promettente vendemmia 2018 (94/100) e da una buona 2019 (entrambe degustate da botte, la prima a taglio già effettuato).
Il vino si presenta di un rosso rubino carico, luminoso. Prezioso il gioco tra fiori, frutto e spezia, al naso. Le note fruttate, molto precise e scandite, risultano ben amalgamate ai ricordi vegetali del Franc, con virata netta sullo stecco di liquirizia.
Il tannino del Sagrantino è vivo, ma elegante e integrato, pronto evidentemente ad addolcirsi ulteriormente, negli anni. Un bel modo di raccontare il terroir di Szekszárd tra potenza, eleganza e attitudine al lungo affinamento.
Védett eredetű száraz vörösbor Szekszárd Pdo 2016 “Franciscus” (13,5%): 88/100
Un rosso che abbina potenza e morbidezza, rispecchiando perfettamente il carattere di una vendemmia caratterizzata dalla pioggia, nel periodo della raccolta delle uve.
Manca un po’ di struttura e un po’ di materia nella componente fruttata, come rivelano i richiami verdi leggermente preponderanti del Franc. Nel complesso, un vino che si fa bere con sufficiente agilità, orfano del nerbo riscontrabile nelle altre annate.
Oltalom allat álló eredetmegjelölésű száraz vörösbor Szekszárdi Borvidék 2012 “Grand” (15%): 90/100 Nel 2012, l’uvaggio di “Franciscus” entra nel progetto di costruzione di un’etichetta in collaborazione con altri quattro produttori della zona: un blend in grado di elevare l’immagine dei rossi di Szekszárd. Il risultato è eccellente.
Un vino ungherese dall’anima internazionale, con la potenza del Sagrantino che si fonde con le note profonde del Cabernet Franc e il frutto elegante, preciso e croccante del Kékfrankos.
Oltalom allat álló eredet-megjelölésű vörösbor Szekszárdi Borvidék 2008 “Franciscus” (14,5%): 91/100 È la prova del nove per il Sagrantino di Szekszárd: quella della longevità. Il vitigno umbro dà carattere a un vino che risulta perfettamente intatto, uscito vittorioso dalla battaglia con le lancette, sin dal colore. Il risvolto più “selvatico” del Sagrantino fa capolino per la prima volta al naso, contribuendo ad allargare lo spettro di sensazioni.
Si passa dalla viola appassita a un frutto di bosco di gran precisione, attraverso preziosi richiami di liquirizia e accenti goudron. Perfetta la corrispondenza gusto olfattiva. Tannino perfettamente integrato e sorso piuttosto agile, ma tutt’altro che banale. Buono anche l’allungo, su una preziosa venatura salina che chiama il sorso successivo.
Cuvée 2017 “Sxrd” (13%): 85/100
Il Sagrantino figura in piccola misura nell’uvaggio di “sXRd”, modernissimo vino rosso ottenuto in prevalenza da Cabernet Franc, Merlot e Kékfrankos . Un “moderno”, anello di congiunzione tra lo stile tradizionale di Zoltán senior e consorte e quello nuovo di Zoltán Jr.
Siamo di fronte al classico rosso “da frigo”, di quelli da bere anche d’estate. A canna. È in questa dimensione che dà il meglio di sé, anche a tavola. Un vino che fa facilità di beva uno stile, a prescindere dal vitigno e dalla zona di produzione.
Etichette come questa, capaci come poche di incontrare il gusto dei Millennials internazionali e di introdurli piacevolmente al complesso mondo del vino, meriterebbero una “categoria” a sé, a livello internazionale.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
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