Il Miglior vino rosato italiano 2024 è il Terre Siciliane Igt Nerello Mascalese Rosato Biologico 2022 Rosa di Adele di Feudo Montoni. Il punteggio assegnato in occasione delle degustazioni alla cieca della Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024 di winemag.it (acquistabile a questo link) è di 95/100. La boutique winery guidata da Fabio Sireci in Contrada Montoni Vecchi a Cammarata, in provincia di Agrigento, si è aggiudicata anche il titolo di Cantina Bio dell’anno 2024, per l’impegno sincero nella viticoltura biologica e sostenibile che la contraddistingue sin dalla fondazione.
ROSA DI ADELE DI FEUDO MONTONI È IL MIGLIOR ROSATO ITALIANO 2024
Arriva dunque dalla Sicilia il Miglior vino rosato italiano dell’anno. Si tratta, in particolare, di un Nerello Mascalese vinificato in rosa. Alla vista, Rosa di Adele 2022 di Feudo Montoni si presenta di un rosa antico tenue, luminoso. Naso piuttosto ricco e intenso, che si apre su preziosi ricordi floreali di zagara e di viola. La frutta spazia da agrumi come il cedro al fico d’India maturo, sino ai piccoli frutti rossi e neri di bosco: ribes, lampone, mora.
Ingresso di bocca morbido, quasi setoso, su ritorni di frutta matura, di gran precisione. Centro bocca dominato da una buona freschezza e da un’acidità d’agrume, senza che questa prevarichi la setosità del sorso. Il miglior vino rosato italiano 2024 per la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024 di winemag.it nobilita il Nerello Mascalese, la Sicilia tutta, nonché l’Italia dei rosati, sempre più popolari nelle scelte dei consumatori.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
È finalmente disponibile la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 di winemag.it. Quinta edizione per il prodotto editoriale di punta della nostra testata giornalistica, quest’anno in vendita esclusivamente sul nostro portale (non più su Amazon Kindle, come nelle precedenti edizioni). La selezione delle etichette e il conseguente “ingresso” nella Guida 2023 è avvenuto tramite le consuete, rigorose sessioni di degustazione alla cieca. I campioni sono stati dapprima suddivisi per regione e/o denominazione e poi giudicati in due mesi di degustazioni, nel corso dell’estate 2022.
Passano gli anni, ma la linea editoriale della Guida Top 100 Migliori vini italiani di winemag.it resta fedele ai principi fondamentali che rendono così diversa la nostra quotidiana attività rispetto a quella di molte altre realtà. Guardandoci attorno, anzi, notiamo la decadenza senza fine di un settore aggrappato alla propria sopravvivenza più con le unghie e lo stomaco, che col cuore e l’anima.
Approcci superficiali, “marchette”, “compitini” e frasi fatte per compiacere questo o quel produttore, questo o quell’ufficio stampa, sono ormai la regola in un settore in cui ci presentiamo, ormai da anni, come mosche bianche. Un aspetto che ci viene sempre più riconosciuto dalle migliaia di lettori che ogni giorno leggono le nostre wine news, iscrivendosi alla nostra newsletter ed entrando, così, nel profondo della cronaca enologica italiana ed internazionale.
LA FILOSOFIA DELLA GUIDA TOP 100 MIGLIORI VINI ITALIANI 2023 – WINEMAG.IT
Non cambia, non passa, non sbiadisce, non appassisce la nostra voglia di raccontare, anche e soprattutto attraverso lo strumento originale di una Guida Vini, l’Italia del vino più autentica, trincerandoci (anzi, tutelando i produttori stessi) attraverso il blind tasting. Una modalità che premia ancor più l’espressione territoriale, la tipicità e il carattere di ogni singolo vino degustato, senza le distrazioni del “marketing” legato alla singola etichetta e del “rumore” generato da ciò che fa (sempre più, ahinoi) da contorno al calice.
Il nostro approccio alla degustazione è il medesimo riservato alle notizie che quotidianamente appaiono online, sul nostro wine magazine indipendente. Un focus sull’oggettività che mette al centro il lettore, nel nostro duplice ruolo di semplici “megafoni” del mondo del vino italiano (da un lato) e di degustatori appassionati, curiosi e critici (dall’altro).
Crediamo che questo sia il valore aggiunto della nostra Guida Vini, molto distante dal mondo delle Guide italiane ed internazionali che hanno finito per allontanare il pubblico per linguaggio, filosofia e metodologia di lavoro. E soprattutto, dobbiamo dirlo molto francamente, per oggettiva mancanza di fiducia nell’oggettività dei risultati.
Ecco dunque, tra le pagine della Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 di winemag.it, grandi nomi accanto a cantine che si affacciano da pochi anni sul panorama enologico italiano ed internazionale. A tutti viene assicurata la medesima dignità, garantita dal tasting alla cieca e dal nostro approccio caldo ma distaccato.
Vini prodotti da grandi cantine e piccoli vignaioli artigianali. Nomi storici e realtà desiderose di affermarsi, che meritano di essere scoperte. Nella Top 100 Migliori vini italiani 2023, così come nelle edizioni precedenti, trovano spazio vini di impronta tecnica e di “metodo” – in grado ovviamente di sfoggiare la propria identità territoriale – e altri che trasmettono l’emozione dell’artigianalità e della cura manuale, esenti da difetti di natura chimica o accidentale.
Sfumature che convivono perché accomunate dalla bontà e dalla capacità intrinseca di comunicare prima a sorsi e, poi, a parole. Pochi, semplici dettami, dicevamo. Bando, tra le altre cose, al cosiddetto “gusto internazionale” – ormai cambiato, anche grazie a consumatori sempre più attenti all’autenticità e alla territorialità – e a scelte commerciali che tendono a uniformare le diverse Denominazioni del vino italiano.
GUIDA TOP 100 WINEMAG.IT: TERRITORIO (E “TERROIR”) AL CENTRO
Snodo importante nella “costruzione” della nostra Guida, è il desiderio di sotterrare l’ascia dell’integralismo e di quello che ci piace definire “razzismo enologico“. Ciò che deve colpire è il vino nel calice, non la filosofia produttiva (“convenzionale”, “naturale”, “biologico”, etc).
L’altro focus della Top 100 di WineMag.it è su produttori e vignaioli che puntano sulla valorizzazione delle espressioni dei singoli “cru” del proprio “parco vigneti”. Alla parcellizzazione e alla valorizzazione della macro eccellenza nella micro selezione. Il tutto ricordando sempre che siamo sognatori, prima che commentatori e critici del nettare di Bacco. Amiamo le persone vere e i vini in grado di trasmettere personalità, nerbo, carattere. Gusto e passione. In una parola? Amiamo il coraggio e chi osa.
Come ogni anno, il nostro sogno, tradotto (anche) in Guida, è quello di essere riusciti a costruire l’ennesima “carta dei vini” alla portata di tutti (dal professionista al consumatore meno esperto, ma desideroso di bere bene). Una selezione in cui regioni e denominazioni perlopiù si mescolano, per mostrare il quadro delle bellezza dell’Italia, racchiuse in “bottiglie sparse” di vino. Tra queste, un’altra novità: i vini dell’anno della Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023:
Importante anche lo sguardo sulle quattro Cantine dell’anno 2023, di cui vi invitiamo a scoprire l’intera produzione: Rubinelli Vajol (Cantina italiana dell’anno 2023), Azienda Agricola Possa (Cantina dell’anno 2023 – Nord Italia), Terre del Marchesato (Cantina dell’anno 2023 – Centro Italia) e Tenuta Cerulli Spinozzi (Cantina dell’anno 2023 – Sud Italia). Più che cantine, famiglie del vino italiano. È proprio da loro che vogliamo iniziare il racconto di un anno che ci ha reso fieri del nostro lavoro e di una Guida che ci ha emozionato, non poco, prima, durante e dopo la sua pubblicazione. Buone bevute, con la nostra Top 100.
Davide Bortone Curatore della Guida Top 100 Migliori vini italiani
e direttore di winemag.it
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Sarà perché è nato in tempi oscuri. Quel 1942 segnato dalla Seconda Guerra Mondiale, ricordata dalla forma della bottiglia, simile alla borraccia di un soldato. Fatto sta che Mateus Rosé si mostra ancora al grande pubblico internazionale senza acciacchi. Nel 2021, l’eterno rosato portoghese compie 79 anni di gloriosa storia. Un “giovanotto” che neppure il Covid-19 è riuscito a fermare. Anzi.
«Ad oggi, vendiamo 21 milioni di bottiglie di Mateus Rosé all’anno», rivela a WineMag.it il brand management di Sogrape Vinhos. Di questi, «più di 1 milione di bottiglie in Italia». Il Bel paese figura in una sorprendente Top 10 delle vendite mondiali.
In testa Australia, Canada e Francia (chi avrebbe mai scommesso su un tale successo nella patria dei rosé?). A seguire Germania, Italia, Portogallo (la casa madre è solo sesta). A chiudere Russia, Spagna, Svizzera e Regno Unito.
Un vino che attraversa con leggerezza otto decenni. Ha saputo evolversi e reinventarsi, rimanendo sempre se stesso. «Le uve originariamente assemblate nel 1942 da Fernando van Zeller Guedes – spiega Sogrape Vinhos – sono sempre le stesse: Baga, Rufete, Tinta Barroca e Touriga Franca».
Ad essersi evolute sono le caratteristiche sensoriali, al passo delle tecniche di viticoltura ed enologia decisamente migliorate rispetto gli esordi, negli anni Quaranta. Oggi, i produttori di vino hanno a disposizione risorse che all’epoca erano inesistenti».
A rendere più semplice il compito, il fatto che Mateus Rosé è un vino prodotto senza indicazione di annata. Frutto, per l’appunto, di un’annuale selezione dei quattro vitigni rossi portoghesi, curata dall’enologo António Braga.
Uve vinificate sostanzialmente “in bianco” – dopo un breve contatto con le bucce utile ad ottenere il tipico “rosa” – provenienti da varie regioni vinicole del Portogallo in cui è presente Sogrape.
L’azienda della famiglia Guedes ha base ad Avintes – sponda sinistra del fiume Douro, a sud della città di Porto – e dispone di 830 ettari complessivi. Dimensioni paragonabili a quelle di realtà cooperative italiane come Cantina di Venosa, in Basilicata, o private come Ferrari Trento, in Trentino.
«Quello che conta – spiega il colosso del vinho portugues – è che il profilo leggero e rinfrescante di questo rosato sia sempre riconoscibile. Crediamo inoltre che il successo non si misuri solo a livello finanziario, ma anche nella capacità di mantenere tendenze sane, vive, attive».
Una lettura capace di risultare sempre accattivante e attraente per i consumatori, conquistandoli. Tutto questo accade mentre Mateus Rosé sta per compiere 80 anni. È arrivato fin qui e vuole restare sulla cresta dell’onda ancora più a lungo»
Uno dei fattori di maggiore successo è la versatilità in tavola, caratteristica imprescindibile per un vino pop. Come indica lo stesso produttore, Mateus Rosé Original è infatti «ideale come rinfrescante aperitivo». Ma si sposa piuttosto bene anche con pesce, frutti di mare, carni bianche, grigliate e insalate.
Sogrape Vinhos fa esplicito riferimento anche a «pasta e altri piatti della cucina italiana», oltre a suggerire il paring «magnifico con diversi stili di cucina orientale, come la cinese e la giapponese».
LA STORIA DI UN MITO
Eppure, tutto è iniziato con un vino che si presentava diverso dal rosé portoghese che oggi tutto il mondo conosce. Un “amber rosé“, per l’esattezza. Ovvero un rosé ambrato. Alcol in volume 11% e 20 g/l di residuo zuccherino (oggi scesi a 15 g/l, con 2,8 g/l di Co2 e un pH che si assesta su 3,2 / 3,3).
Era il 1942 quando il primo enologo di Mateus, il francese Eugene Hellis, iniziava a lavorare alla “formula magica” di un rosé che sarebbe entrato nella storia. Le uve a bacca rossa di quei tempi provenivano da diverse zone, ma di una sola regione: il Douro.
Alvarelhão, Rufete e Mourisco, le meno utilizzate nella produzione del Porto, finirono per essere valorizzate da Mateus. C’è della poesia anche attorno alla prima vinificazione, avvenuta in una cantina in affitto, a Vila Real.
Una cittadina della regione di Tras-os-Montes arroccata a 420 metri sul livello del mare, circondata dai vigneti della Valle del Douro e dalle montagne, non lontana dal punto di confluenza tra i fiumi Cabril e Corgo.
Da lì, il vino veniva trasportato a Porto, per essere poi imbottigliato nei magazzini di Monchique. «La cantina originale di Vila Real – rende noto Sogrape Vinhos – divenne troppo piccola per tenere il passo del trionfo globale di Mateus. Così, nel 1960, Sogrape acquistò la Quinta do Cavernelho, nel quartiere San Mateus di Vila Real».
È l’anno della svolta per il rosato portoghese, che due anni più tardi, nel 1962, può contare anche sul primo impianto di vinificazione, con una capacità di 9 milioni di litri. Ciò significa che a inizio anni Sessanta, la produzione si Mateus poteva assestarsi sui 12 milioni di bottiglie. Già un’enormità.
Era però un vino diverso. Le uve venivano pigiate dopo la decantazione statica senza alcun controllo della temperatura o tempo prestabilito di macerazione. La chiarifica dei mosti, dopo la pressatura, avveniva a temperatura ambiente, con l’utilizzo di alte dosi di anidride solforosa.
Non c’era controllo della temperatura in fermentazione. I lieviti? Non certo quelli “selezionati”, moderni. In questo senso, Mateus Rosé può dirsi uno dei primi “vini naturali rosa” divenuti famosi nel mondo.
Condizioni difficili anche quelle dei magazzini di Monchique. «I dipendenti di Sogrape che vi lavoravano – riferisce il brand management – ricordano con un senso di nostalgia quei giorni di lavoro ininterrotto, quando la maggior parte delle mansioni veniva ancora svolta manualmente».
Le casse di vino arrivavano dal Douro, su camion stracarichi, privi del refrigeratore. Una volta all’interno, gli scatoloni venivano trasportati sulla testa delle donne. Mateus Rosé veniva filtrato su piastre ancestrali e gassato manualmente, prima di essere imbottigliato.
Anche l’intero lavoro di imbottigliamento, etichettatura e confezionamento era svolto a mano. I tappi erano fissati con lo spago, prima di essere sigillati. Le bottiglie avvolte in tessuto, rivestite con la paglia e imballate in scatole di legno.
È sotto la direzione di Fernando Guedes che si compie un altro passo avanti verso la modernità, con la costruzione delle due strutture ad Avintes, ancora oggi centro di imbottigliamento di Mateus.
Nel 1968, la capacità di produzione assicurata da Sogrape arriva a 23 milioni di litri. Ingrana la quinta anche l’imbottigliamento, con tre linee da 240 mila bottiglie al giorno.
LA SVOLTA SUL FRONTE DELLE UVE
Intanto, nel Douro, la prosperità commerciale del Porto aveva portato a un aumento dei costi delle uve locali. Viste le difficoltà di approvvigionamento e la crescente domanda, Sogrape Vinho decise così, a inizio anni Settanta, di trasferire gran parte della produzione in una nuova cantina.
Lo stabilimento è quello di Anadia, nella regione di Bairrada. Un luogo in cui l’azienda investì cifre galattiche, per la costruzione di uno degli impianti di vinificazione più avanzati d’Europa. Le chiavi del nuovo progetto furono affidate al terzo enologo della storia del rosé più famoso del mondo: João Tavares de Pina. Con il trasferimento della produzione, il vitigno Baga entra nel blend di Mateus.
Questa si è rivelata un’ottima varietà per produrre rosato – rivela Sogrape Vinho – complici anche le caratteristiche pedoclimatiche della regione di Bairrada, influenzata dalle correnti fresche dell’Atlantico e dunque in grado di produrre uve con acidità naturale e amplificare gli aromi primari di frutti rossi. Due fattori che hanno contribuito a migliorare ulteriormente Mateus».
Nel frattempo vengono conclusi i lavori di realizzazione di un’altra cantina, sull’altopiano di Trás-os-Montes, nel nord-est del Portogallo. Già negli anni Settanta, l’azienda sembra aver compreso l’importanza dell’altitudine delle vigne per preservare la freschezza del rosato. Una tematica divenuta oggi attuale, in tutto il mondo, per via dei cambiamenti climatici.
La corsa alle “vette” si materializza non a caso in una regione che ha il suo segreto nel nome: “Tra i Monti”. Situata a un’altitudine di 500 metri sul livello del mare, è l’habitat perfetto per varietà come Tinta Roriz, Touriga Franca e Rufete. Ottime per l’uvaggio di Mateus anche per la loro attitudine a garantire moderate gradazioni alcoliche.
Grandi progressi arrivano negli stessi anni sul fronte enologico. Il team di winemaker Sogrape inizia a chiarificare i mosti mediante centrifuga e a condurre le fermentazioni a temperatura controllata di 16-18º.
Al via anche le prime sperimentazioni di inoculo di lieviti selezionati. «Queste nuove tecniche – rivela la cantina portoghese – hanno ulteriormente aumentato la qualità. Ma la più grande innovazione nella vinificazione di Mateus Rosé è stata la capacità di fermare il processo di fermentazione subito dopo la pressatura delle uve».
Questo ha permesso ai mosti di fermentare tutto l’anno, a seconda della richiesta, consentendo l’imbottigliamento dei vini ancora freschi e giovani. Progressi pionieristici guidati dall’enologo João Tavares de Pina, che hanno dato a Mateus un netto vantaggio sulla concorrenza, in termini di qualità».
Si arriva così al rosato che oggi tutti conoscono, caratterizzato da pétillance e acidità, amalgamate ai frutti rossi. Uno dei mostri sacri dell’enologia industriale internazionale. Più forte del tempo e della pandemia, distribuito in 120 mercati del mondo. Chissà dove saprà ancora arrivare e come sarà in grado di restare al passo coi tempi.
Il primo indizio arriva dai packing innovativi, che collocano la referenza (divenuta nel frattempo una linea di vini a marchio Mateus) nel segmento dei “party wines“, perfetta per giovani (che lo bevono com la cannuccia, in formato mini) e consumatori spensierati. Del resto, tutta la storia di questo vino, pare una festa infinita, intervallata da 79 candeline. Prosit.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Un vino rosato fuori dagli schemi per numero di vitigni assemblati, ben 7, che regala un sorso di grande freschezza, ampio e persistente, nonostante i quattro anni trascorsi dal suo imbottigliamento. Sotto la lente di ingrandimento di WineMag.it l’annata 2016 del Colline Pescaresi Igp Rosato “Plenus Rosa Rosae” prodotto dall’azienda Marina Palusci.
Una tipologia di vino, quella dei rosati, che negli ultimi anni sta vivendo un trend positivo di crescita, che incontra sempre più il favore dei consumatori grazie alla facilità di abbinamento e alla fresca beva. Caratteristiche ritrovate anche in questo calice.
LA DEGUSTAZIONE Dall’assemblaggio dei 7 vitigni nasce un vino di un colore rosa piuttosto scarico, ma di buona consistenza. Il naso è dominato al primo impatto da chiari sentori fruttati di fragoline di bosco e ciliegie, per poi virare su sentori più floreali, intensi e nitidi, con un filo di fumè in sottofondo.
In bocca è ampio, avvolgente, fresco e in perfetto equilibrio grazie all’ottima struttura e alla buona acidità. A tratti al palato ricorda la tessitura e l’austerità del Montepulciano d’Abruzzo ma mantiene una sua identità, con un finale che ricorda la rosa.
Davvero versatile negli abbinamenti in cucina. Plenus Rosa Rosae si accosta bene a fritture di pesce o a pizze gourmet. Si tratta infatti di un rosato che ben sostiene piatti anche mediamente strutturati, grazie alla sua ampiezza e alla sua persistenza.
LA VINIFICAZIONE Questo particolare rosato di Marina Palusci è prodotto con uve Montepulciano d’Abruzzo, Sangiovese, Malvasia, Pecorino, Lambrusco Salamino, Trebbiano e Moscato Rosa. La fermentazione avviene in maniera spontanea, con lieviti indigeni presenti naturalmente sulle bucce.
Le uve raccolte, diraspate e pressate, vengono messe in serbatoi di acciaio dove sostano fermentando per circa 18 giorni. Segue un periodo sulle proprie fecce di circa 10 mesi. Prima dell’immissione in commercio, il Colline Pescaresi Igp “Plenus Rosa Rosae” affina 6 mesi in bottiglia, imbottigliato con tappo a vite.
L’azienda Marina Palusci si trova a Pianella sulle dolci colline dell’entroterra pescarese ed è capitanata da Massimiliano D’Addario, un giovane dalle idee chiare e vincenti. Produce principalmente olio extravergine di oliva di grande qualità (12 tipi) in regime di agricoltura biologica e biodinamica.
Dal 2008 l’azienda ha avviato anche la produzione di vini, in un raggio di vigneti che si estendono complessivamente per circa 2 chilometri. Otto appezzamenti allevati principalmente a Montepulciano, Passerina e Pecorino dai quali nascono vini non filtrati, non stabilizzati e senza nessun additivo chimico in cantina.
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“Libertà” di mescolare uve bianche e rosse. “Libertà” di berlo quando ne hai voglia. “Libertà” di metterci il tappo a vite. E “Libertà” di usare il vetro scuro per la bottiglia, contro la moda dilagante del rosato provenzale: perché il vino, come i libri, andrebbe sempre giudicato dal contenuto, non dalla “copertina”. L’ultimo vino rosato del genio-vignaiolo piemontese Walter Massa è un inno all’anarchia enologica.
Ma è anche – e forse soprattutto – un trionfo del bere “quando cazzo ti pare, senza troppe seghe mentali”. Nonché l’apoteosi del “tappo a vite, da sdoganare tra i consumatori, mica solo per il vino rosato”.
“Terra Libertà” è il rosato che fa arrossire tutti quei produttori italiani (spesso improvvisati) di rosé, dal colore volutamente scarico. Un pugno in fronte a quella forsennata rincorsa a una Provenza che risulta ancora più lontana, dopo l’assaggio. Alla faccia del carbone.
Il rosato – commenta Walter Massa – è un vino che non è gratificato dal mercato, come tipologia. Un vino spesso relegato a seconda scelta qui in Italia e accompagnato da immeritati stereotipi. Si dice sia un vino da donne, da bere d’estate e ghiacciato, un vino che non sa invecchiare. Un’ingiusta fama, da addebitarsi in gran parte a pratiche diffuse e appartenenti al passato”.
LA DEGUSTAZIONE
Rosa salmone intenso, trasparente. Al naso, il bouquet di fiori di rosa si allarga alla frutta: lampone, fragolina di bosco, accenni di buccia d’agrume. Non mancano ricordi di erba appena sfalciata.
Al palato, il rosato “Terra Libertà” 2018 di Walter Massa entra fresco e chiude salino, su un leggero accenno di tannino che contribuisce a rendere il sorso asciutto e a chiamare quello successivo.
Centro bocca sulle note fruttate già avvertite al naso, con accenni minerali. In definitiva, un rosato più “bianco” che “rosso”. Gli abbinamenti? Quattro amici, un caminetto, le castagne. Ma anche del buon pesce di lago o quattro fette di salame. Di sicuro perfetto con le zuppe di Pigi, la “badante” di Walter: provare per credere.
LA VINIFICAZIONE
Il rosato “Terra Libertà” è ottenuto dall’unione dei mosti di Barbera (50%), Cortese (30%) e Freisa (20%). Le uve sono state raccolte nella prima metà di settembre. Per la pigiatura è stata utilizzata una pressa a polmone, capace di garantire una spremitura soffice.
La vinificazione delle tre varietà è avvenuta in vasche di acciaio da 35 a 50 ettolitri. Fermentazione spontanea a temperatura controllata e imbottigliamento con azoto, in assenza di ossigeno, hanno preceduto la commercializzazione.
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“Un’annata che già si preannuncia ottima, con un aumento della produzione stimata tra il 3 e il 5% e una crescita a due cifre su produzione inedite per la Toscana, come i rosati“. Queste le previsioni di ConfagricolturaToscana in merito alla vendemmia 2019.
La produzione complessiva regionale dovrebbe assestarsi sui 2,2 milioni di ettolitri. Ma la novità del 2019 è la crescita riscontrata nei rosé: un aumento consistente, pari a circa il 10%.
“Bene anche i vini spumanti – evidenzia Francesco Colpizzi, presidente della federazione Vitivinicoltura di Confagricoltura Toscana – grazie ai continui investimenti delle nostre aziende. Riscontriamo innovazioni nelle cantine sul processo e sul prodotto, azioni che consentono di competere sotto il profilo qualitativo con altre regione dalla tradizione più lunga”.
Sul fronte dei prezzi, il livello si mantiene pressoché stabile. “Alcune Denominazioni – rileva Colpizzi – hanno ritenuto opportuno fare delle politiche di contenimento della produzione. La vera incognita si gioca sui mercati internazionali“.
Vedremo cosa accadrà con la Brexit – aggiunge il numero uno di Confagricoltura Toscana – il Regno Unito è un mercato rilevante e di certo ci saranno ripercussioni sulle nostre esportazioni”.
Incerto anche il futuro Oltreoceano: “Abbiamo gli occhi puntati sulle politiche statunitensi. Bisognerà vedere cosa accadrà in termini di dazi, se è una decisione seria o solo minacce”.
LA RICHIESTA ALLA REGIONE
Da qui la richiesta alla Regione Toscana. “Dobbiamo lavorare a nuove politiche di promozione – è l’appello del presidente della federazione Vitivinicoltura di Confagricoltura Toscana – non bastano solo investimenti sulle innovazioni, azioni che le nostre aziende stanno svolgendo con sacrificio e sforzo e i risultati sono sotto gli occhi di tutti”.
“Serve anche un’attività armoniosa, analitica, compiuta e coerente sulle politiche di promozione – conclude Colpizzi – rivolta sia ai mercati internazionali che a quello nazionale. Chiediamo una maggiore attenzione alle politiche promozionali, l’Amministrazione regionale è molto sensibile e siamo certi che riusciremo a costruire un percorso efficace”.
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LAZISE – Quarantatré Chiaretto di Bardolino e 27 Valtènesi Chiaretto in degustazione a Lazise (VR), all’Anteprima della vendemmia 2018 del vino più “rosa” d’Italia, come vuole la nuova linea di comunicazione pensata per i due vini. In mattinata, nello splendido borgo affacciato sul Lago di Garda, i 63 produttori di Chiaretto hanno messo a disposizione della stampa i campioni dell’ultima vendemmia, in commercio da poche settimane.
Vi raccontiamo i migliori assaggi all’evento organizzato dal Consorzio di Tutela del Chiaretto e del Bardolino, mentre alla Dogana Veneta di Lazise è ancora in corso l’Anteprima 2018. Per degustare un totale di 120 vini rosati prodotti nell’area a cavallo tra le province di Verona e di Brescia c’è ancora tempo domani, dalle 14 alle 20.
L’ingresso sarà tuttavia consentito solo agli operatori del settore, che oltre al Chiaretto di Bardolino e della Valtènesi 2018 potranno degustare le annate precedenti, oltre al Bardolino Chiaretto Spumante e al Garda Rosé Brut.
UNA DENOMINAZIONE IN CRESCITA
“Il clima è decisamente improntato al bello per il Chiaretto – spiega Franco Cristoforetti, presidente del Consorzio di Tutela Chiaretto e Bardolino (nella foto) – che si è conquistato una solida leadership nel mondo dei vini rosa italiani e che vede incrementare continuamente l’interesse da parte dei consumatori italiani ed esteri, aprendo prospettive interessanti negli Stati Uniti, in Canada e in Scandinavia”.
Sono 10 i milioni di bottiglie dell’area aggregata, con la quota dell’export che si aggira al 60%. “Mi preme sottolineare proprio questa definizione di ‘vini rosa’ – aggiunge Cristoforetti – perché come esistono i vini rossi e i vini bianchi, non vedo perché non si debba parlare di ‘vino rosa’ anziché di ‘rosato’, un termine che ha invece un senso compiuto solo in alcune denominazioni, come quelle della Puglia e della Calabria, o di rosè che invece riguarda la Francia e lo spumante”.
La degustazione dei vini dell’area gardesana è infatti iniziata a Parigi con Wine Paris ed è proseguita con un tour in cinque città degli Stati Uniti. Un viaggio che conferma la collaborazione tra il Chiaretto di Bardolino e l’area della Valtènesi, suggellata appunto dall’Anteprima congiunta della vendemmia 2018.
Il tour proseguirà in Germania, al Prowein di Düsseldorf, dove il Chiaretto sarà protagonista insieme agli altri cinque “vini rosa” italiani, con i quali il Consorzio di Tutela ha sottoscritto un patto di collaborazione per la promozione congiunta.
I MIGLIORI ASSAGGI DI CHIARETTO 2018
CHIARETTO DI BARDOLINO 2018
1) Bardolino Chiaretto 2018 “Granara”, Tommasi: 87/100 Un “vino rosa” che sorprende per la sua capacità di essere pronto, ma con ampi margini di miglioramento. Macchia mediterranea al naso, origano. In bocca un bel frutto, impreziosito da ricordi di cera d’api.
2) Bardolino Chiaretto 2018, Cavalchina: 86/100 Naso complesso su agrumi e accenno di speziatura, In bocca grasso e al contempo verticale, bel frutto e bella mineralità, in equilibrio.
3) Bardolino Chiaretto 2018, Corte Gardoni: 86/100
Un rosato giocato sulle durezze, in particolare sulla salinità, senza rinunciare al frutto. Bella chiusura su liquirizia e sale e frutto, lungo e addirittura con filo di tannino.
4) Bardolino Chiaretto Classico 2018 “Villa Cordevigo” Bio, Villabella: 85/100
Bell’espressione, tipica e non ruffiana, di un godibilissimo Chiaretto. Su durezze, insomma, senza perdere di vista il frutto. Bello il retro olfattivo, lungo.
5) Bardolino Chiaretto 2018, Albino Piona: 85/100
Giovanissimo, ma già in grado di mostrare un gran carattere e, soprattutto, distintività.
5+) Bardolino Chiaretto Castelnuovo 2018, Cantina Castelnuovo del Garda: 84/100 La sorpresa assoluta. Bellissima figura nella nostra degustazione alla cieca per il Chiaretto della Cantina Sociale Veronese del Garda, in vendita a soli 2,20 euro nella Grande distribuzione organizzata: i supermercati della zona del Garda.
VALTÈNESI CHIARETTO 2018
1) Valtènesi Chiaretto 2018, Cantrina: 88/100 Teso, verticale, fine, elegante. Un 100% Groppello da assaggiare, anzi da non perdere assolutamente.
2) Riviera del Garda Classico Chiaretto 2018 “Sinìgol”, La Torre: 87/100 Viti tra i 40 e i 60 anni per questa “chicca” gardesana. Il terreno, ricco di scheletro, si riflette in un calice che marca sulla verticalità, senza perdere di vista la “materia”. Blend ottimamente riuscito di Groppello gentile, Marzemimo, Barbera e Sangiovese.
3) Riviera del Garda Classico Chiaretto 2018, Cà dei Frati: 86/100 Foglia di pomodoro, idrocarburo leggero. Bel frutto anche in bocca, compensato da una vena leggera di tannino e dalla mineralità già avvertita al naso.
4) Riviera del Garda Classico Chiaretto 2018, Selva Capuzza: 86/100 Tra i Chiaretto più equilibrati dell’intera batteria, al momento, eppure con buoni margini di ulteriore affinamento nel tempo. Bella chiusura su note saline, leggera spezia e radice di liquirizia.
5) Riviera del Garda Classico Chiaretto 2018, Conti Thun: 85/100 Cantina giovane della Denominazione, con ottimi margini per fare un buon lavoro. Un’ottima “base” di partenza.
LO SPUMANTE
La sorpresa è il Metodo Classico “Ceppo 326 Rosé” della cantina Pasini San Giovanni. Un Pas Dosé da uve Groppello (70%) con un 30% di Chardonnay. Cinquanta mesi sui lieviti, sboccatura ottobre 2018. In vendita in cantina a soli 20 euro, regala un palato verticale, unito ai caratteristici sentori fruttati del Groppello. Della stessa cantina, da provare l’ottimo il Valtènesi 2018 “Rosagreen”, sempre da uve Groppello.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Sei rosati del Sud Italia da provare a tutti i costi, ma mica per caso. Il concetto è semplice, ma occorre impegnarsi per metterlo in pratica: “usare” l’estate per scoprire il vino rosato. E berlo, poi, tutto l’anno.
Già. Perché il rosato come “vino dell’estate” è un retaggio che, ormai, possiamo metterci alle spalle. Anche se la tendenza è quella di scimmiottare i francesi, soprattutto a livello cromatico, molti produttori del Bel Paese riescono a mettere nel calice dei rosé dotati di grande personalità
Meritevoli di accompagnare la tavola degli italiani, e non solo, trecentosessantacinque giorni l’anno. Il suggerimento è quello di giocare con gli abbinamenti. Sbagliate pure. Al massimo, un buon rosato, sarà buono anche il giorno dopo, per accompagnare l’aperitivo. E allora ecco il viaggio ideale nord-sud, dalla Basilicata alla Sicilia dell’Etna.
Sei etichette presenti a Radici del Sud 2018, in passerella giovedì 28 giugno all’Osteria del Pisello di Fano (PU), nelle Marche. Sei vini diversi tra loro. Ma ognuno in grado di dire la sua, come rosé in quanto tale. Né un rosso sciacquato, né un bianco carico. Semplicemente vini dotati di un’anima propria. Rosata.
Puglia Igt Primitivo 2017 “Teres”, Fatalone (Gioia del Colle, Bari)
“Autentico. Biologico. Sostenibile”. I tre aggettivi scelti dalla famiglia Petrera-Orfino per sintetizzare la filosofia aziendale si riflettono alla perfezione sul Primitivo rosato “Teres”. Un rosato di spessore, luminoso sia al naso sia al palato. Perfetta materializzazione nel calice del colore carico, che non lascia spazio a interpretazioni commerciali o sconfinamenti d’Oltralpe.
Salento Igp Susumaniello 2017 “Elfo”, Apollonio Vini (Monteroni di Lecce, Lecce)
Tutta la grassa voracità che sa regalare in Puglia il Susumaniello, unita all’eleganza tipica dei vini Apollonio. Mettici pure una buona vena sapida, a giocare con la freschezza. E nel calice ti rendi conto d’avere un rosato perfetto.
Igp Murgia Rosato Nero di Troia 2017 “Dandy”, Mazzone (Ruvo di Puglia, Bari) “Dandy” fa parte della linea “Trendy” di Mazzone, assieme a “Trousse”. Bello constatare che oltre al marketing, ci sia di più. Ovvero tutto quello che serve a un rosato degno di tale nome, anche se qui col colore si strizza l’occhio al mercato. Un rosato che gioca sull’equilibrio perfetto tra un’acidità spiccata e una morbidezza glicerica setosa.
Basilicata Rosato Igt 2017 “Angelina”, Tenuta Le Querce (Barile, Potenza)
Non ne sbaglia una, Tenuta Le Querce. Siamo nello splendido Vulture, terra d’elezione dell’Aglianico, qui in versione rosé con riflessi “cipollé”. Il bello è che la sostanza organolettica rimane quella del vitigno. Un rosato tattile, da masticare, croccante. Al contempo succoso e sapido. Il vino prende il nome da Angelina Pietrafesa, figlia dei proprietari di Tenuta Le Querce.
Matera Doc Rosato 2017 “Akratos”, Battifarano (Nova Siri, Matera) Il Primitivo in Basilicata? Ebbene sì. E pure Doc. La lunga macerazione sulle bucce (24 ore) conferisce al nettare il peso specifico dei rosati con gli attributi. Frutta rossa al naso e al palato, unita a puliti richiami vegetali e a una leggera speziatura. Solo 3.500 bottiglie, per una vera e propria chicca qualità prezzo.
Etna Doc Rosato 2017 “Millimetri”, Feudo Cavaliere (Santa Maria di Licodia, Catania) Chiudiamo questo viaggio sull’Etna, terra a noi cara e oggetto di un recente tour. Siamo sul versante Sud. Nerello Mascalese in purezza, allevato a quasi mille metri d’altezza, sulle pendici della Montagna. A un naso piacevole, di frutta matura, risponde un sorso serio, minerale, di scheletrica essenzialità. Un rosé che colpisce per la precisione e pulizia del frutto rosso tipico del Mascalese.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Sette Cerasuolo d’Abruzzo per l’estate. E’ l’esito della nostra degustazione alla cieca, alla scoperta delle caratteristiche di uno dei vini rosati più noti e bevuti in Italia, senza i condizionamenti dell’etichetta.
Scegliamo la blind (chi ci segue sa quanto siamo appassionati alle degustazioni alla cieca!) per goderci le sfumature che questa denominazione è in grado di offrire, in base alla zona in cui si trovano i vigneti. Più o meno vicini al mare, in zona collinare, “montana” o nell’entroterra.
Sette etichette che, a vario titolo, si sposano perfettamente con la bella stagione, ormai cominciata. Tutte acquistabili in enoteca, o reperibili nella ristorazione. Ecco come è andata.
Cerasuolo 2016, Cataldi Madonna. Siamo nell’entroterra abruzzese, nell’Aquilano, in località Macerone, a 380 metri sul livello del mare. Il colore è quello più classico, un rosa quasi lampone, limpido.
Vino ottenuto da uve che subiscono una parziale criomacerazione, per estrarre al massimo la componente fruttata classica dell’uva Montepulciano.
Al naso infatti spiccano frutti rossi piccoli, di sottobosco, fragolina, lampone. Finale più sul floreale. Poca persistenza aromatica in bocca, ma spicca la freschezza. Un Cerasuolo didattico.
Cerasuolo 2015 “Apollo”, Ausonia. Entroterra Teramano. Siamo ad Atri, vicino alla riserva WWF dei Calanchi. Una zona collinare, tra il massiccio del Gran Sasso e l’Adriatico. Il microclima è perfetto per la viticultura.
Il colore di questo Cerasuolo è quasi un rosa mattone, tendente al buccia di cipolla. Macerazione di una notte, pressatura soffice e veloce, poi in acciaio per circa 10/12 mesi.
Fermentazione spontanea e niente filtrazioni. Naso complesso e sfaccettato, lampone e fragola, amarena, quasi una nota di violetta.
Sorso corposo, pieno, con ottima mineralità e un accenno di sapidità. Lungo. Per molti degustatori un vino appagante, che richiama la territorialità e la tradizione.
Vino Rosato “Tauma” 2015, Az. Agr. Pettinella. Questa bottiglia è il frutto della ricerca sul territorio e delle soffiate di ottimi scout. Azienda microscopica, solo 1.800 bottiglie all’anno, di solo Cerasuolo, o meglio di Rosato, come l’etichetta dichiara.
Uve Montepulciano provenienti da due vigneti posti uno in prossimità dell’Adriatico, a Silvi Marina (TE), e uno più all’interno, in collina, nel comune di Tocco da Cesauria (PE). Quarantacinque anni l’età delle viti nell’entroterra e 25 quelle che si affacciano sul mare. Una pergola e un cordone speronato. Un mix affascinante.
Vinificazione in bianco. Fermentazione spontanea in barrique ultradecennali a temperature non controllate. Il vino affina in legno per 6 mesi con frequenti battonage, permane sulle fecce fini e poi riposa in acciaio per un ulteriore mese.
Rosato carico, con riflessi quasi cupi. Al momento il meno Cerasuolo dei 3. Il naso non è ruffiano, è carico, robusto. Le note fruttate sono accompagnate da sentori di spezia, cannella, salvia, timo, quasi un accenno di china leggera.
In bocca è caldo, il legno si percepisce appena, non è invadente. Sorso ampio, buona persistenza. Si sente tanta materia nel bicchiere. Forse il nome “Rosato” gli si addice di più… Non è certo uno di quei Cerasuoli fighetti, tutta Big Babol!
Cerasuolo 2015, Emidio Pepe. Non ha certo bisogno di presentazione questo Artigiano del Vino, ma la cieca ci permette di avere occhi, naso e bocca solo per il bicchiere. Risalta un colore rosso. Il Cerasuolo di Pepe è ottenuto da uve Montepulciano vinificate “in bianco”.
Le uve vengono pigiate con i piedi in vasche di legno e il mosto viene fatto fermentare senza le bucce in cemento vetrificato. Affinamento in bottiglia senza filtrazioni. Un chiaro richiamo alla tradizione contadina.
Naso intenso, sincero ed espressivo.Marasca, fragola, melograno. Ma anche balsamicità. In bocca tannino, sapidità e mineralità. Forse troppo il calore alcolico che ne appesantisce un po’ il sorso.
Vino Rosato 2014 “Lusignolo” , Az. Agr Feudo D’Ugni. Anche qui siamo di fronte ad una chicca, se non per numero esiguo di bottiglie prodotte dalla piccola (ma grande) artigiana che è Cristiana Galasso.
Lei che se la vedi sembra un’eremita scesa dalla sua montagna, per portarti in dono le sue bottiglie.
Colore Cerasuolo velato. Cristiana lavora in naturale, niente filtrazioni e stabilizzazioni. Il naso è un po’ chiuso , accenni di frutta rossa bacca piccola e spezie leggere.
In bocca esplosiva l’acidità ma la percezione è di poca sostanza, al limite della soglia di percezione degli aromi e sapori tipici. Comunque un sorso snello, facile, non stancante.
Cerasuolo d’Abruzzo superiore 2014, Az. Agr. Praesidium. Entroterra Aquilano, comune di Prezza, vigneti a 400 metri sul livello del mare.
Azienda a conduzione famigliare. Dalle uve Montepulciano, con macerazione di quasi 2 giorni, si ottiene questo Cerasuolo dal colore rosato intenso e carico, quasi rubino.
Affinamento di circa 5 mesi in acciaio. Naso espressivo, netto, tutta la gamma dei frutti rossi a bacca piccola, lampone, ciliegia, fragola, poi melograno, rose selvatiche.
Sorso denso ma snello, agile, più salino che acido. Sottofondo minerale, con retro olfattivo che rimanda ancora alla ciliegia. Finale “alcolico” ma non stancante. Il migliore per tipicità e godubilità.
Cerasuolo 2016, Az. Agr Valentini. Qui siamo di fronte al Gota dell’Abruzzo, il non plus ultra. Bottiglia che da sola può valere una serata, che ti rimane impressa nella mente e nella pancia. Lascia segni indelebili.
Nel bicchiere un rosa tenue, quasi una leggera buccia di cipolla. Naso espressivo come un marchio di fabbrica per Francesco Paolo Valentini. Iniziale riduzione che via, via si attenua. Note erbacee affiancano l’espressività del piccolo frutto rosso classico del Montepulciano.
E’ delicato il Cerasuolo 2016, quasi timido. Come a invogliare ancor prima della bocca il naso. Non smetteresti mai di buttarcelo dentro. Sprigiona note quasi minerali. Ciliegia, geranio, fiori selvatici, sottobosco. In bocca elegante, suadente, avvolgente, ti copre ogni papilla e non smette mai di mostrarsi.
Complesso. Mutevole. Sapidità e mineralità ben bilanciate, alcol non preponderante. Un vino che racconta tutto l’Abruzzo. Austero e delicato allo stesso tempo.
Medico per vocazione e sommelier per passione. Mi sono poi riscoperto medico per passione e sommelier per vocazione. Sostieni il nostro progetto editoriale con una donazione a questo link.
E’ il rosato controcorrente. Quello che sfida le mode, i gusti. Ma soprattutto le tradizioni e la logica. Girofle, il rosato da uve Negroamaro di Severino Garofano, più che un vino è una rivoluzione culturale allo stato liquido.
Un calice che mostra tutte le potenzialità del rosé come vino “da invecchiamento”, al di là del consumo entro pochi mesi dalla vendemmia. E fa pensare alla cucina – ovvero al vasto ventaglio di abbinamenti che si apre per le annate meno recenti – come alla miglior alleata per valorizzare il rosato brizzolato.
La cantina di Copertino (LE) non ha perso l’occasione offerta nei giorni scorsi da Radici del Sud 2018. Organizzando una verticale di 6 annate per la stampa italiana ed estera. Sei Girofle, dal 2017 al 2011 (ad eccezione della 2012), capaci di ribadire un concetto che a casa Garofano è chiaro da un pezzo: il rosé va aspettato, come un vino rosso.
LA DEGUSTAZIONE
Ogni calice un Cubo di Rubik. Già, perché tutto si può dire di Girofle, tranne che sia un vino di immediata comprensione. L’ennesima riprova di una complessità comunemente accostata ai vini rossi, o ai grandi bianchi da lungo affinamento.
La verticale condotta da Stefano e Renata Garofano, assieme alla sommelier Jlenia Gigante, prende il via da una 2017 più che mai in linea con l’idea di rosé da Negroamaro. A cui però si somma una finezza rara.
Si tratta del campione più “moderno” della batteria, in tutti i sensi: un rosato che strizza l’occhio al mercato estero, senza perdere originalità o dimenticarsi della tradizione.
Con Girofle 2016 si volta pagina. Il rosa carico inizia ad affievolirsi, assumendo tinte tendenti all’aranciato. Il naso è ricco e ricorda chiaramente la versione rossa. Un calice che segna la cifra della verticale di casa Garofano, definendo la regola assoluta: allo scaricarsi cromatico del Negroamaro corrisponde l’ispessimento della caratura gusto olfattiva. Una trama che ha del romantico.
Così come romantico è il susseguirsi dei descrittori delle vendemmie successive. La 2015 sembra giunta al momento di un sussulto d’orgoglio, tanto nel colore (che tiene ed è luminosissimo) quanto nell’ampiezza di un naso e di un palato quasi “grassi”, ben sostenuti dalla consueta verticalità scheletrica che caratterizza Girofle.
E’ un cuore che batte, la vendemmia 2014. A quattro anni di distanza, il nettare si mostra in netta evoluzione. I battiti di questo rosé sono scanditi al momento da rintocchi salini e sincopi di arancio e lavanda. Non certo un amore a prima vista, immediato: il calice va aspettato, ossigenato, alimentato di speranze. E infine capito.
Eros puro, invece, Girofle 2013. Un vino magico quello che Severino Garofano e i suoi figli sono riusciti a racchiudere in bottiglia. Una pozione che gioca sui contrasti e sugli ossimori, dando un senso tanto concreto quanto poetico a tutto il lavoro che la famiglia di Copertino sta facendo da anni, in Puglia, col vitigno Negroamaro vinificato in rosa.
Strepitosa intensità al naso e al palato, che allo stesso tempo si mantiene sulle tinte delicate e fini già avvertite nelle annate precedenti. Perché si può essere forti anche senza perdere eleganza. Un rosé che ti prende per mano in punta di piedi, prima di salutarti in un sottofondo musicale: sul pentagramma, note di buccia di lime e una leggera speziatura anticipano la fine di un lungo spartito.
Girofle 2011 è il lottatore stanco, che tuttavia non rinuncia al ring. E ne ha ben donde. Gancio e dritto del boxeur si materializzano in un’acidità ancora viva. Il Negroamaro mostre qui la sua faccia più grezza, anzi sfumata.
Ecco che alla cifra delle note agrumate e dei piccoli frutti a bacca rossa fanno eco richiami fumé e di pietra bagnata. L’evoluzione naturale di un vino che ancora combatte, nel nome di un ideale e di una filosofia. Nel nome della rivoluzione.
IL ROSATO AL BIVIO, DA NORD A SUD ITALIA Angelo Peretti è direttore di The Internet Gourmet e consulente del Consorzio di tutela del Bardolino per il quale ha scritto nel 2008 il piano strategico. Nel Chiaretto, Peretti vedeva – già 10 anni fa – la leva per la crescita del territorio.
Da allora, il rosé gardesano è salito da 4 a 10 milioni di bottiglie vendute annualmente, diventando leader assoluto tra i rosati italiani a menzione geografica. Abbiamo dunque chiesto ad Angelo Peretti un commento sulle potenzialità del rosato italiano come “vino da invecchiamento”.
“Da appassionato di rosé – evidenzia Peretti – ho due sogni. Il primo potrebbe anche realizzarsi, ed è quello di vedere finalmente una sezione dedicata ai vini rosati nelle liste dei ristoranti italiani. Il secondo temo sia un’utopia, ed è vedere in lista più annate dello stesso rosato, come accade invece nella grande ristorazione francese”.
“Eppure – continua Angelo Peretti – i vini delle aree storiche del rosato italiano, come il lago di Garda con il suo Chiaretto di sponda veneta e di sponda lombarda, l’Abruzzo con il Cerasuolo, la Puglia con i rosati a base di Bombino Nero a Castel del Monte o di Negroamaro nel Salento, quando sono rispettosi del vitigno autoctono e del territorio hanno ottimi potenziali di affinamento in bottiglia e col passare del tempo diventano anzi più complessi, assumendo e accrescendo quelle note speziate che in gioventù sono molto attenuate”.
Caratteristiche che rendono questi rosati perfetti in cucina. “Quando d’estate voglio un rosato per l’aperitivo o per una cucina leggera – commenta Peretti – ne stapperò uno dell’ultima annata. Ma se per esempio in autunno ho un coniglio al forno o un tacchino con le castagne, diventa perfetto lo stesso vino di due, tre, quattro, cinque annate prima”.
Altro trucco da seguire, per apprezzare al meglio il rosato “brizzolato”, è quello della temperatura di servizio. “Per un rosato giovane sarà più bassa – consiglia Angelo Peretti – mentre per un rosé affinato dovrà alzarsi magari fino alla temperatura di cantina, sui 14 gradi”.
“Con questo – precisa – non voglio dire che un rosato debba per forza essere fatto invecchiare, perché la sua versione più golosa, immediata e godibile è quella della giovinezza, anche in spiaggia o in piscina. Ma suggerisco di mettere da parte una bottiglia o due del rosato preferito, per apprezzarne l’evoluzione nel tempo: c’è un mondo intero da scoprire dentro ai vini in rosa”. Chi vuole provarci?
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
LAZISE – Le sponde del Garda si colorano di rosa in occasione di Lake Garda in Love. Sabato 10 e domenica 11 febbraio 2018 le cittadine di Lazise, Bardolino, Garda e Torri del Benaco ospiteranno l’evento dedicato agli innamorati, che brinderanno al loro amore con il Chiaretto di Bardolino.
Il rosé gardesano sarà protagonista durante le due inaugurazioni della giornata di sabato: alle 10.30 il brindisi davanti alla Passeggiata d’Amore, il percorso pedonale sul lungolago che collega Bardolino a Garda, e alle 18.30 l’accensione del Castello Scaligero di Torri del Benaco, che per l’occasione si tinge di rosa diventando il Castello degli Innamorati.
Lake Garda in Love si concluderà a Garda, sul Lungolago Regina Adelaide, con l’esplosione dei Soffi d’Amore: una cascata di coriandoli rossi cadrà sui partecipanti, che potranno vincere ricchi premi. I fortunati che troveranno i cuori rosa riceveranno in regalo una bottiglia di Chiaretto offerto dal Consorzio Tutela del Chiaretto e del Bardolino, mentre con i coriandoli gialli si avrà diritto a dei dolcetti marchiati Lidl.
Durante le due giornate, inoltre, non mancheranno i momenti dedicati a show cooking e degustazioni: nella Vela del Cuore, in Piazza del Municipio di Garda, si potranno assaggiare il risotto con il Radicchio di Verona IGP e i Nodini nel Pastificio Avesani abbinati ad un calice di Chiaretto.
“Siamo felici – spiega Franco Cristoforetti, Presidente del Consorzio Tutela del Chiaretto e del Bardolino – che il nostro rosé sia uno dei protagonisti di Lake Garda in Love. È un vino leggero, adatto ad accompagnare giornate di festa sul lago di Garda, e il suo colore lo rende particolarmente adatto a questa occasione. Senza dimenticare che le quattro cittadine in cui si svolge l’evento fanno parte della zona di produzione di questo vino”. Tutte le informazioni su www.lakegardainlove.it
INFO IN BREVE | Lake Garda in Love
Data: sabato 10 e domenica 11 febbraio 2018.
Luogo: Lazise, Bardolino, Garda e Torri del Benaco
Biglietto: Ingresso gratuito. Biglietto €5 per la degustazione di risotto al Radicchio di Verona IGP, Nodini nel Pastificio Avesani e calice di Chiaretto
Info: www.lakegardainlove.it
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Estate in forte ascesa per il Bardolino Chiaretto. I dati ufficiali degli imbottigliamenti indicano a fine luglio vendite di Chiaretto pari a 48.976 ettolitri, che corrispondono a più di 6 milioni e mezzo di bottiglie collocate sul mercato, con un incremento del 12,7% su luglio 2016.
Con questa performance il Chiaretto ha raggiunto un peso del 40% sul totale dei vini prodotti nella denominazione del Bardolino (era intorno al 25% dieci anni fa).
Quella che andrà ad iniziare a settembre sarà l’ultima vendemmia che vede il Chiaretto dentro alla denominazione di origine del Bardolino, in quanto con la vendemmia del 2018 il rosé gardesano disporrà della propria doc autonoma Chiaretto di Bardolino.
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Un sistema facile e intuitivo per comprendere, ancor prima di leggere la recensione, se siamo di fronte a un vino valido o, piuttosto, al cospetto di una sola.
Vinialsuper presenta oggi il nuovo metodo di valutazione dei vini recensiti nella categoria “supermercato”, dedicata alle bottiglie reperibili sugli scaffali delle maggiori insegne della grande distribuzione organizzata (Gdo) che operano in Italia. Una classifica che va da 1 a 5 “cestelli” della spesa, in grado di indicare il valore della bottiglia degustata.
Il punteggio, che prevede anche l’utilizzo di decimali (es: 3.5, 4.5) apparirà all’inizio di ogni recensione. Prima della descrizione del prodotto finito sotto la nostra lente di ingrandimento, troverete l’immagine stilizzata di cinque cestelli, che si coloreranno interamente o parzialmente, in base al giudizio assegnato.
Il nuovo sistema di classificazione grafica dei vini in vendita al supermercato riguarderà in primis le recensioni pubblicate a partire dal 2017. Col trascorrere delle settimane, il sistema sarà integrato anche sulle schede dei vini degustati lo scorso anno.
A fine anno, come già accaduto nel 2015 e nel 2016, pubblicheremo la classifica dei migliori vini in vendita al supermercato degustati nell’anno solare. E consegneremo un attestato di merito alle cantine produttrici dei vini che saliranno sul “podio” per le categorie “vino rosso”, “vino bianco”, “vino rosato”, “vino spumante” e “miglior cantina Gdo”.
A curare quella che è solo una delle novità che attendono i lettori di #vinialsuper nel 2017, è stato il nostro staff tecnico, a cui rivolgiamo un personale ringraziamento. Ai lettori, nuovamente un sincero augurio di buon anno dalla redazione di vinialsupermercato.it
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
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