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Consorzi del vino toscano e delle Venezie: bilancio positivo a Wine Paris 2022

È un bilancio positivo quello tratteggiato dai Consorzi del vino toscano e dal Consorzio Vini Doc delle Venezie sulla partecipazione a Wine Paris 2022. Mentre già si pensa alla prossima edizione, in programma a Parigi dal 13 al 15 febbraio 2023, il bicchiere dell’Italia del vino risulta, a detta di tutti, mezzo pieno.

Wine Paris & Vinexpo Paris 2022 ha accolto un totale di 2.864 espositori, a cui hanno fatto visita 25.739 professionisti del settore, tra cui il 28% provenienti da 109 nazioni mondiali. Tra le più rappresentate c’è proprio il Bel paese, che si colloca al terzo posto, preceduto solo da Belgio e Regno Unito e seguito da Paesi Bassi e Stati Uniti. La fetta maggiore di pubblico è risultata quella francese.

Tra i Consorzi italiani, qualcuno ha fatto il suo esordio assoluto. «È la prima volta che partecipiamo – commenta a winemag.it Alessio Durazzi (nella foto, sotto), direttore del Consorzio di Tutela del Morellino di Scansano – e abbiamo scelto di farlo assieme al Chianti, sotto il cappello dell’Ascot, felice unione formale dei nostri Consorzi».

MORELLINO E CHIANTI ASSIEME A WINE PARIS 2022

La fiera, pur essendo in gran parte dedicata al vino francese, offre ottime opportunità anche all’Italia. Abbiamo fatto degli incontri importanti, soprattutto con buyer francesi e dei olandesi, che speriamo diano i frutti sperati alle aziende che ci hanno affiancato. Un bel modo per esordire all’estero».

Conferma le impressioni il Consorzio del Chianti. «Avevamo già preso parte a Wine Paris nel 2020 – ricorda l’Event manager Luca Alves (nella foto, sotto) – e ripartire da qui, a distanza di due anni, ha molto più di un valore simbolico. La Francia è un Paese di riferimento sia come stile sia come trend commerciale».

Il Chianti è una denominazione così fondamentale e cardine per il vino italiano che non può mancare eventi di questa portata internazionale. Non è un’edizione di numeri, ma di conferme: è giusto che si ricominci a fare quello che abbiamo sempre fatto.

Siamo confortati dai risultati di questa edizione, che ha visto i buyer francesi ed europei sopperire almeno in parte alla mancanza di quelli orientali e del Sudamerica, piazze importanti per la nostra Denominazione».

SODDISFATTO IL GALLO NERO

Buona affluenza anche ai “wine bar” del Consorzio del Chianti e del Morellino di Scansano, con decine di etichette in assaggio. Lo stesso vale per l’altra sponda del vino toscano: quella Consorzio Chianti Classico, presente a Wine Paris 2022 con 33 aziende e 62 etichette in degustazione. Un’edizione che bissa quella del 2020, ultima fiera pre-pandemia a cui ha preso parte l’ente di Barberino Tavernelle (FI).

Il mercato francese è uno dei target del Gallo Nero, che in Oltralpe può contare su un pubblico di professionisti e appassionati in grado di riconoscere e apprezzare le varie sfumature del territorio. L’edizione 2022 di Wine Paris ha confermato l’interesse per la Denominazione dei buyer francesi, che hanno sopperito all’assenza di operatori provenienti dai Paesi orientali.

A Parigi un’esperienza positiva per il Chianti Classico, spinto dagli ultimi dati confortanti del mercato. Il 2021 si è infatti chiuso con il +21% di marcature. E il nuovo anno vedrà l’importante introduzione delle unità geografiche aggiuntive (Uga).

PAROLA AL CONSORZIO VINI DOC DELLE VENEZIE

Poco lontano dagli stand consortili toscani, sempre all’interno della Hall 5 dedicata al vino italiano, un’altra icona del bere tricolore: i vini delle Venezie. Nazareno Vicenzi (nella foto, sopra), responsabile Area tecnica Consorzio Vini Doc delle Venezie, esprime a winemag.it la soddisfazione per l’edizione di Wine Paris conclusasi in settimana.

«Al di là del tema della ripartenza, importantissima per tutti – commenta il tecnico dell’ente veronese – abbiamo confermato la nostra presenza a Parigi forti della crescita della denominazione (+5% sul 2020) e del recente rebranding consortile. In termini di numeri siamo secondi solo al Prosecco, con circa 250 milioni di bottiglie».

La Francia è un Paese che conta per le Venezie, nel computo dei 190 mila ettolitri imbottigliati all’estero. Nel futuro prossimo, la Denominazione punta alla tenuta delle controcifre del 2021 e al mantenimento dei livelli di giacenze, migliorati parecchio rispetto al passato.

LE SFIDE: RINNOVO DEL DIRETTIVO E COLORE DEL PINOT GRIGIO DELLE VENEZIE

Ed è tra i Consorzi al cambio di guardia, con la figura di Albino Armani che, secondo indiscrezioni di winemag.it, sarebbe stata messa in discussione nelle ultime settimane da alcune cantine di riferimento del Pinot Grigio.

«Mi piacerebbe avere la palla di vetro – chiosa a tal proposito Nazareno Vicenzi -. La priorità è mantenere la credibilità della Denominazione. Chiaramente ci sono zone del territorio che lavorano più attentamente sulla viticoltura e altre sull’imbottigliamento. È ancor più importante, in questo senso, avere sempre una figura che sia rappresentativa di tutti».

Sembra incredibile ma, oltre alle dinamiche interne, c’è una sfida internazionale che attende il Pinot Grigio delle Venezie: «Spiegare il colore dell’uva e del vino – commenta il tecnico del Consorzio – non è stata una questione banale, anche qui a Wine Paris 2022».

«Ci sono vini bianchi e vini rosa ottenuti dallo stesso vitigno – conclude Vicenzi – e non tutti sanno quali siano i vitigni da taglio. Stiamo dedicando molto tempo alla formazione, per raccontare al meglio il nostro Pinot Grigio nel mondo, anche attraverso al nuovo payoff Sigillo di Meraviglia“».

LEGGI ANCHE LE INTERVISTE A CONSORZIO PROSECCO DOC ED ERSA FRIULI VENEZIA GIULIA
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Il Prosecco conquista Wine Paris 2022: «Attenzione mai così alta». E il rosé spaventa la Francia

Mondo del vino italiano a raccolta a Wine Paris & Vinexpo Paris 2022. Un’edizione, quella che si è chiusa ieri, che ha messo in luce il coraggio degli organizzatori, a cui è andato il plauso dell’Eliseo. Spazio anche per alcune gioie italiane. È il caso del Prosecco Doc, che ha ormai conquistato la Francia e i francesi. A confermarlo in esclusiva a winemag.it, unica testata italiana accreditata in Oltralpe per la copertura dell’evento, è Luca Giavi, direttore del Consorzio di Tutela del Prosecco Doc.

«Per noi la Francia rappresenta il quarto mercato di esportazione – commenta – e il quinto considerando l’Italia. Un Paese in cui abbiamo registrato crescite oltre il 25% nei primi 10 mesi del 2021, ultimi dati a nostra disposizione. I francesi, del resto, hanno storicamente una grande attenzione per il mondo delle bollicine. Le conoscono e apprezzano gli spumanti di qualità».

I dati più recenti dicono che il successo del Prosecco in Francia va a erodere le vendite delle loro bollicine nazionali. Non è una questione di prezzo, anche perché contrazioni maggiori arrivano dagli spumanti spagnoli e tedeschi, che hanno prezzi medi più bassi del nostro. La scelta, dunque, riguarda il prodotto: i francesi scelgono di bere Prosecco».

IL PROSECCO E LA LEVA DELLA MIXOLOGY

«Gli amici francesi ci scherzano su – continua Luca Giavi – reputando che almeno una parte di questo successo dipende dal “bere miscelato”. Premesso che non reputo la miscelazione sminuente, va ricordato che se oggi produciamo grandi distillati e li esportiamo in giro per il mondo, questo è dovuto anche ai miscelati. Lo stesso vale per i grandi Vermouth italiani, di cui sono grandissimo sostenitore. Pensare che il Prosecco venga impiegato anche nella miscelazione non è una cosa che mi fa, di per sé, dispiacere».

Del resto, tutti i migliori bartender sostengono che un grande cocktail parte da una grande materia prima. Conti alla mano, è evidente che i numeri che la Francia esprime siano condizionati dall’impiego del Prosecco nella miscelazione. E la cosa ci fa solo piacere. Così come ci soddisfa il posizionamento prezzo nella ristorazione, davvero interessante».

I NUMERI DEL PROSECCO DOC IN FRANCIA

Nel periodo gennaio-ottobre 2021, le esportazioni di Prosecco Doc sono volate in Francia. «Abbiamo registrato un +27,9% – riferisce il direttore del Consorzio a winemag.it – rispetto al 2020. Nei primi 10 mesi dello scorso sono stati vendute in Francia oltre 23 milioni di bottiglie. Plausibile, dunque, che si siano raggiunti i 30 milioni a fine anno. Numeri che rappresentano il 5,7% dell’export complessivo. Ad ottobre 2021 il Prosecco aveva già superato l’ammontare dell’intero 2020».

Una tre giorni più che mai positiva quella del Prosecco Doc a Parigi. «Quest’anno abbiamo notato anche l’interesse delle più importanti testate francesi, a dimostrazione del nostro successo. Wine Paris e Vinexpo Paris 2022 ha generato occasioni interessanti per gli operatori che si sono mossi con il Consorzio».

«C’è una voglia del mondo del vino di tornare a viaggiare – conferma Luca Giavi – e dei consumatori di tornare alla normalità che manca da ormai due anni. In generale ho notato un bell’entusiasmo e una gran vitalità. Girando per i padiglioni ho trovato vini di ottima qualità per tutte le tasche, altro aspetto a cui tengo molto».

«IL PROSECCO ROSÉ PREOCCUPA I FRANCESI»

«La cosa che mi dispiace – rivela ancora l’esponente del Consorzio di Treviso – è la crescente preoccupazione del mondo dei produttori degli ottimi rosati francesi nei confronti del Prosecco Rosé. Una preoccupazione che ritengo non abbia ragion d’essere, nella misura in cui gli ottimi rosé francesi sono tutti tranquilli».

Sempre secondo il direttore, «ciò che dovrebbe preoccupare i francesi è piuttosto lo scatto dei rosati fermi italiani, sulla scia del successo del Prosecco Rosé. Ci sono denominazioni, da Bardolino al Salento, che avendo i riflettori puntati potranno recuperare il gap all’estero nei confronti delle produzioni francesi».

Le date di Wine Paris & Vinexpo Paris 2022 hanno coinciso, tra l’altro, con l’atteso responso del parlamento europeo sul Cancer Plan, che rappresentava una vera e propria minaccia per il mondo del vino italiano, assimilato alle sigarette.

Abbiamo festeggiato le modifiche che riguardano il vino nell’ambito del Cancer Plan. Tutti siamo consapevoli delle peculiarità del prodotto che rappresentiamo e siamo fortemente impegnati nel comunicarlo correttamente. Al contempo, siamo tra i primi sostenitori del “bere meno e bere meglio“».

«CANCER PLAN, PERICOLO SCAMPATO. MA SERVE MENO TESTA E PIÙ PALATO»

Un aspetto che sta a cuore a Giavi. «Tutta la cultura occidentale si basa su due elementi – sottolinea il direttore del Consorzio a winemag.it – che sono il pane e il vino. Non dimentichiamoci che, altrimenti, il buon Dio avrebbe trasformato l’acqua in tisana. Come ha ricordato a tutti il Santo Padre, “nessuno festeggia con una tazza di tè”. Penso e mi auguro ci sia ancora occasione di festeggiare».

Si respira un ottimismo contagioso in casa Prosecco. «L’Italia sta lavorando bene ma dobbiamo tornate a vini destinati ad essere bevuti: meno testa e più palato. Questo riguarda un po’ tutti. In particolare i vini rossi, che dovrebbero essere più alla portata della gente che li beve. Non sono più i tempi della parkerizzazione, in quel di Bordeaux».

«Non sono più neppure i tempi in cui si misura la bontà di un vino in alcol e in estratto. Il consumo dei vini va, fortunatamente, in un’altra direzione: premia la finezza, il frutto, la freschezza. Io credo molto nei primari – conclude Giavi – ed è stata questa la chiave del successo della nostra Denominazione».

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Valtènesi 2021 sul mercato dal 14 febbraio

FOTONOTIZIA – Nel 2021 il rosato Valtènesi ha superato la soglia dei 2 milioni di bottiglie, con un aumento del 17%. Il bilancio arriva a pochi giorni dall’uscita sul mercato della nuova annata, il Valtènesi 2021, prevista per il 14 febbraio.

«Le prospettive per il nuovo anno e per il Valtènesi 2021 sono altrettanto positive – riferisce il Consorzio presieduto da Alessandro Luzzago – e puntano a confermare un trend di crescita che negli ultimi 8 anni è marciato a ritmi medi del +10%».

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25 milioni di euro alla filiera vitivinicola: raggiunto l’accordo Stato-Regioni

Raggiunta in Conferenza Stato Regioni l’intesa sul decreto che assegna 25 milioni di euro alla filiera vitivinicola. Lo stanziamento è previsto all’interno del Fondo per lo Sviluppo e il Sostegno delle Filiere Agricole, della Pesca e dell’Acquacoltura.

I fondi dovranno essere impiegati per la realizzazione di campagne divulgative, formative e informative con il canale Horeca e della distribuzione. Potranno essere destinati anche al finanziamento di campagne di informazione, azioni in materia di promozione e pubblicità.

IL RUOLO DEI CONSORZI DELLE DOP E IG

Il decreto – spiega il Mipaaf – è volto a sostenere e incrementare le esportazioni dei prodotti vitivinicoli all’estero e, nel contempo, attrarre verso i prodotti vitivinicoli un sempre maggiore numero di consumatori extra-Ue. E accrescere la consapevolezza di un consumo di qualità dei prodotti Dop e Ig, ancora in contrazione a causa della pandemia da Covid-19».

Nell’ambito della filiera vitivinicola, i Consorzi di tutela delle Dop e Ig sono stati individuati come «i soggetti che attueranno le campagne di divulgazione e informazione, per le loro specifiche funzioni di tutela, di promozione, di valorizzazione, di informazione del consumatore e di cura generale degli interessi relativi alle denominazioni».

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Cancer Plan: depositati gli emendamenti in difesa del vino italiano

Depositati oggi gli emendamenti di modifica legati al vino nel report della Commissione Beca (Beating cancer), al voto del Parlamento europeo in sessione plenaria a Strasburgo il prossimo 15 febbraio.

Le proposte di modifica riguardano in particolare la differenza tra consumo moderato e abuso di alcol quale fattore di rischio, la revisione del concetto di “no-safe level” (nessun livello sicuro di consumo) per il vino e della proposta sugli avvisi salutistici, modello sigarette.

«Supportiamo le proposte migliorative presentate dagli eurodeputati. Il primo obiettivo – commenta Sandro Sartor, vicepresidente Unione italiana vini e presidente dell’Associazione europea Wine in moderation – è quello di evitare che il 15 febbraio diventi una data spartiacque per il futuro del vino italiano ed europeo. Gli emendamenti proposti, prioritari ma decisivi, vanno in questa direzione».

«Senza la fondamentale distinzione tra consumo e abuso, tra diversi contesti e modelli di consumo – conclude Sartor – lo scenario che si delineerebbe per il settore sarebbe disastroso sul piano socio-economico».

Secondo Uiv, senza gli emendamenti al testo il vino subirebbe nel medio-lungo termine un effetto tsunami solo in parte calcolabile. La contrazione dei consumi stimata è attorno al 25/30% ma ancora maggiore sarebbe quella del fatturato del settore, che calerebbe del 35% per un equivalente di quasi 5 miliardi di euro l’anno.

CANCER PLAN: I RISCHI PER IL VINO ITALIANO E MONDIALE

Senza considerare – continua Uiv – i danni agli asset investiti, dalle cantine ai vigneti alle stesse aziende, che si svaluteranno di pari passo e i danni all’indotto. Ma il gioco a perdere si rifletterà molto anche sui consumatori, costretti a pagare di più a fronte di una minore qualità».

La riduzione dei contributi porterà infatti all’aumento dei costi di produzione. Al contempo, però, si assisterà «a un appiattimento della qualità, a una riduzione del valore medio del vino alla cantina ma paradossalmente a un aumento allo scaffale, a causa delle maggiori accise».

Inoltre, la difficoltà a lavorare sui brand, anche a causa dei veti alla promozione, porterà progressivamente a un «proliferare di etichette prive di marchi». Il riferimento è a «private label che deprimeranno la diversificazione dell’offerta data in particolare dai piccoli produttori artigianali, con minori economie di scala. Ma anche dalle imprese medie, che fondano su qualità e politiche di branding l’attuale fortuna del vino tricolore».

Complessivamente si stima una contrazione del margine lordo alla produzione del 50%, con migliaia di aziende agricole che scompariranno. Uno scenario, secondo Uiv, che si farà grigio anche in chiave turistica nelle campagne italiane (con l’enoturismo che da solo vale 2,5 miliardi l’anno).

Ma soprattutto, sempre secondo Uiv, «lo svilimento del vino, simbolo dello stile di vita “Made in Italy” e ingrediente irrinunciabile nella Dieta mediterranea, sarà un danno d’immagine incalcolabile per il Belpaese».

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«Piwi subito nelle Igt come “palestra”, poi nelle Doc»: Italia svegliati, la Francia corre

Continua il dibattito sui Piwi, i vitigni resistenti alle principali malattie fungine della vite. Dopo la modifica del Regolamento Ue 2021/2117 pubblicata in Gazzetta ufficiale il 6 dicembre dello scorso anno, l’Unione europea ha dato il via libera al loro inserimento nelle Dop.

Ora, secondo il professor Attilio Scienza, a capo del Comitato nazionale vini, è il momento di sfruttare le Igt del vino italiano «come palestra per i Piwi, procedendo poi al loro inserimento graduale nei disciplinari dei vini a Denominazione di origine (Doc e Docg, ndr)». Anche perché la Francia, diretta competitor dell’Italia sui principali mercati internazionali, corre.

«L’Institut national de la recherche agronomique – ha spiegato Scienza – ha già autorizzato l’utilizzo di 4 varietà di vitigni resistenti per la produzione dei vini a denominazione di Bordeaux e Champagne. Si tratta di Artaban N., Vidoc N., Floreal B. e Voltis B., addirittura catalogati come specie di vitis vinifera. In Italia uno dei casi riguarda l’Alto Adige, con il Bronner nell’Igt Mitterberg».

«NUOVI PIWI INCROCIANDO I VITIGNI AUTOCTONI»

Sempre secondo Scienza, occorre lavorare per la creazione di vitigni resistenti a partire da incroci con vitigni autoctoni italiani, «sull’esempio di quanto già fatto con in Friuli Venezia Giulia con l’ex Tocai (oggi Friulano), e in Trentino con Nosiola e Teroldego». Su questo fronte sarebbe già al lavoro il Crea – Centro di Ricerca per la viticoltura di Conegliano.

«Un aspetto importante – ha proseguito il numero uno del Comitato nazionale vini – riguarda la comunicazione di questi vitigni, che devono essere considerati, anche dal punto di vista organolettico, delle realtà a sé stanti, non paragonabili ai loro “genitori”».

Andrebbe inoltre creato «un Club con un marchio nazionale», in sostituzione a quello dei Piwi di origine germanica, utile a mettere in rete expertise, favorire la zonazione e l’individuazione dei migliori terroir per ogni singolo vitigno resistente.

INSERIMENTO GRADUALE DEI RESISTENTI NELLE DOP DEL VINO ITALIANO

Quanto al loro inserimento nelle Denominazione di origine dopo la «palestra» dell’Igt, si procederebbe per via graduale. «Su richiesta dei Consorzi – ha spiegato il prof. Scienza – il Comitato nazionale vini potrebbe inserire i Piwi nei disciplinari per un massimo del 15%. Per i successivi tre anni verrebbero vagliati per quantità e qualità, sino ad aumentarne la quota all’interno delle Doc».

Tutti argomenti, quelli Scienza, arrivati durante il convegno digitale organizzato in mattinata dal Settore Vitivinicolo di Alleanza Cooperative Agroalimentari. “Nuovi modelli di viticoltura alla luce delle moderne tecnologie genetiche e delle politiche europee”, ha deciso di titolarlo il gruppo di lavoro del coordinatore Luca Rigotti.

«Si tratta di un tema particolarmente importante ed attuale – ha dichiarato l’esponente dell’Alleanza coop in apertura – anche alla luce degli obiettivi posti dalla strategia Farm to Fork e della più recente proposta di legge n. 3310 presentata l’8 ottobre scorso alla Camera dei Deputati. È un obbligo morale dell’agricoltura porsi favorevolmente nei confronti di tecnologie volte alla sostenibilità e al rispetto dell’ambiente e delle persone».

I NUMERI DEI PIWI IN ITALIA: QUANTI ETTARI VITATI?

Durante il convegno, al quale sono intervenuti anche l’onorevole Paolo De Castro (Commissione per l’Agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento Europeo), il professor Michele Morgante (Istituto di Genomica Applicata Università di Udine) e il professor Mario Pezzotti (Centro ricerca innovazione della Fondazione E. Mach), sono emersi anche i numeri attuali dei Piwi in Italia.

In testa, per superficie vitata di vitigni resistenti, c’è il Veneto, con 256 ettari. Segue il Friuli Venezia Giulia, con 230 ettari. Sul terzo gradino del podio il Trentino, con 67 ettari. A seguire Alto Adige (51), Lombardia (12) e Abruzzo (10).

Il totale è di 626 ettari, con una stima per fine 2021 che doveva raggiungere quota 1.050. Una cifra ancora irrisoria se paragonata all’intero vigneto Italia, pari a 666.400 ettari. Da qui l’opportunità di sfruttare le tante Igt come banco di prova e sviluppo dei vitigni resistenti italiani.

Moio e Scienza: «Futuro Piwi nelle Dop Ue passa da ricerca, terroir ed enologia leggera»

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Piemonte, vignaiolo viola la zona rossa: «Sfiniti da gelate, cinghiali e ordinanze»

«Mi sono rotto i co*****i, venitemi a prendere». Durissima presa di posizione del vignaiolo del Piemonte Gianluigi Mignacco, che nel primo primo pomeriggio odierno ha violato la zona rossa disposta contro la peste suina e si è avventurato nei boschi della Val Borbera, in provincia di Alessandria, «per un’escursione».

Durante la camminata ha registrato un video, postato sui social, in cui spiega le ragioni del gesto. Dal 2017 ad oggi, la cantina non avrebbe ricevuto alcun sussidio, né per i danni da gelate, né per il raccolto mangiato dai cinghiali, né per il Covid-19.

«Nel 2017 – spiega Gianluigi Mignacco – a causa di una devastante gelata abbiamo perso tutto il raccolto: più di 100 quintali d’uva e circa 3 mila piante. Nonostante le promesse di assessori e varie figure non abbiamo ricevuto nessun tipo di aiuto. Nemmeno una pacca sulle spalle. Abbiamo cercato di rimetterci in piedi a nostre spese, nel silenzio»

In tutti questi anni abbuiamo subito danni da cinghiali, continuamente. In occasione della scorsa vendemmia abbiamo perso il 30% raccolto, ovvero il 30% del nostro potenziale utile. Qualunque azienda non riuscirebbe a stare in piedi. Un danno da nessuno riconosciuto. Sempre a nostre spese abbiamo appena intentato una causa civile».

Gianluigi Mignacco affronta poi il capitolo Covid-19 e ristori mancati: «Con la mia famiglia abbiamo seguito tutte le indicazioni di isolamento, vaccino, terza dose. Siamo stati sempre ligi alle normative. La nostra azienda agricola non ha ricevuto nessun tipo di aiuto. Neanche la sospensione di contribuiti. Lo stesso vale per il mio ufficio, dove svolgo attività da libero professionista».

«Dopo questa scellerata ordinanza che, a mio avviso, è priva di ogni fondamento scientifico e che cala in zona rossa tutto il nostro territorio, mentre si stava a fatica risollevando da una situazione devastante, posso dire con estrema pacatezza che mi sono rotto i co*****i, venitemi a prendere», prosegue Mignacco riferendosi all’ordinanza anti peste suina diramata nelle scorse ore.

Oggi, 14 gennaio 2022, sono le ore 14.30, sto violando l’ordinanza. Sarà un gesto che ai più apparirà ridicolo. Lungi da me chiedere a chi mi sta guardando di fare altrettanto e attenzione perché questo è un reato. Sono in un comune nel quale è vietata ogni forma di escursionismo e sono a camminare. E sapete cosa vi dico? Venitemi a prendere»

Raggiunto telefonicamente da WineMag.it, il vignaiolo Gianluigi Mignacco aggiunge rammarico al suo sfogo: «Non ho altro da dire, se non che fare viticoltura nel nostro territorio è già di per sé complicato, visto che in val Borbera la viticoltura era praticamente estinta fino ai primi anni 2000». Oggi, uno sparuto gruppo di produttori sta tentando di risollevarla (qui la notizia). Tra mille difficoltà.

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Il Solaris 2020 di Weingut Plonerhof è il miglior vino italiano da vitigni resistenti Piwi

Sono stati resi noti questa mattina i risultati della prima rassegna nazionale dei vini Piwi, ottenuti da varietà resistenti alle malattie fungine. Il vincitore assoluto, ovvero il miglior vino italiano da Piwi, è risultato il Solaris 2020 di Weingut Plonerhof, cantina di Marlengo (BZ), in Alto Adige.

Di seguito i primi tre classificati nelle categorie Vini Frizzanti, Vini Spumanti, Vini Bianchi, Vini Orange e Vini Rossi, oltre ai vini che si sono aggiudicati la menzione. Alla prima rassegna vini Piwi sono stati iscritti un totale di 95 vini prodotti da 55 cantine italiane.

  VINI FRIZZANTI
classificato Nome azienda Nome vino
3 Cantina Pizzolato Hoppa 2020
2 Sartori Organic Farm Diadema 2020
1 Azienda Agricola Dellafiore Achille Johanniter 2020
  VINI SPUMANTI
classificato Nome azienda Nome vino
Menzione Azienda Agricola Filanda de Boron Lauro 2020
Menzione Cantina Montelliana “4.07”
Menzione Lieselehof Brut 2017
Menzione Tenuta Crodarossa Derù 2020
3 Cantine Umberto Bortolotti Oltre 2018
3 Cantina Sociale di Trento Santacolomba 2019
2 Le Carezze Iris 2020
1 Le Carline Resiliens

 

  VINI BIANCHI
classificato Nome azienda Nome vino
Menzione Azienda Agricola Ceste Franco Ratio 2018
Menzione Terre di Ger Feltro Bianco 2020
Menzione Il Brolo Società Agricola I Cavalieri della seta
Menzione Cantina Kurtatsch Bronner 2020
3 Lieselehof Vino del Passo 2020
3 Villa Persani Aromatta 2019
2 Terre di Ger Arconi Bianco 2020
1 Weingut Plonerhof Solaris 2020

 

  VINI ORANGE
classificato Nome azienda Nome vino
Menzione Azienda Agricola Doladino Sbreg 2020
Menzione Azienda Agricola Filanda de Boron Tre 2019
Menzione Casa Vinicola la Torre Vagabondo Bianco le Anfore 2018
3 Azienda St. Quirinus Planties Amphora 2017
2 Giannitessari Società Agricola Rebellis 2019
1 Lieselehof Julian Orange 2019

 

  VINI ROSSI
classificato Nome azienda Nome vino
Menzione Parco del Venda Cigno nero 2019
Menzione Terre di Ger Caliere rosso 2019
3 Cantina Pizzolato Novello 2021
2 Le Carezze Urano 2019
1 Terre di Ger El Masut 2019

 

  VINCITORE ASSOLUTO
  Nome azienda Nome vino
  Weingut Plonerhof Solaris 2020

Moio e Scienza: «Futuro Piwi nelle Dop Ue passa da ricerca, terroir ed enologia leggera»

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Riaperture e revenge spending spingono le vendite di vino italiano

Riaperture e revenge spending determinano un nuovo record storico per le vendite di vino italiano. L’Italia figura tra i top 12 Paesi buyer esteri nel primo semestre 2021. Con le importazioni segnalate in crescita a valore del 7,1% sul pari periodo 2020. Cifra che sale al + 6,8% rispetto al 2019, in regime pre-Covid. Lo rileva l’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor.

Si tratta degli ultimi dati doganali sulle importazioni dei 12 principali mercati mondiali della domanda di vino, che assieme valgono circa i 3/4 del totale export made in Italy. Per il vino del Belpaese, lo scatto di questo primo semestre rappresenta il trend di incremento più netto degli ultimi anni. Ma soprattutto controbilancia lo stop forzato del 2020. Con gli interessi.

Tra i 12 Paesi buyer di riferimento bene anche la domanda globale di vino, in crescita nell’ultimo anno dell’8,1%. La Francia vola a +26,2%. Ma, rispetto all’ultimo periodo pre-Covid (primo semestre 2019), è l’Italia che vince sulle principali piazze: +6,8%, a quasi 2,6 miliardi di euro, contro la Francia a +2% (oltre 3,3 miliardi di euro). Importazioni totali di vino, invece, ancora in terreno negativo: -1,7%, pari a quasi 10 miliardi di euro.

MANTOVANI (VERONAFIERE): «MERITO AGLI OPERATORI»

«Il settore è uscito, si spera definitivamente, da una crisi senza precedenti – evidenzia il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani – grazie ai fondamentali dei suoi operatori, alla loro organizzazione commerciale e alla forza del brand tricolore».

Oggi, in particolare con i nostri vini simbolo, siamo al centro del fenomeno legato ai ‘consumi di rivalsa’ post-Covid: un effetto traino da intercettare e da cui ripartire consolidando ancora di più le quote di mercato».

PANTINI (NOMISMA WINE MONITOR):«REVENGE SPENDING SU FASCIA MEDIO-ALTA»

«Dall’analisi dei dati – ha detto il responsabile di Nomisma-Wine Monitor, Denis Pantini – emerge una sorta di ‘revenge spending’ che sta trainando il commercio mondiale di vino e che interessa i vini di fascia medio-alta, come desumibile anche dai prezzi medi all’import».

Una conferma a questa tesi arriva analizzando l’export dei Dop italiani e francesi, con i rossi Dop del Piemonte a +24% o i rossi Dop toscani a +20%. Tendenza ancora più evidente per i rossi a denominazione francesi, con il Bordeaux a +61% e il Borgogna a +59%, ma anche per gli sparkling d’Oltralpe, Champagne in primis, che volano a +56% nel mondo e a +70% negli Usa».

Quanto alle importazioni di vini tricolori nelle 12 principali piazze, sul 2020 l’Italia sovraperforma rispetto al mercato in Cina (+36,8%), in Germania (+9,3%) e in Russia (+29,4%), mentre è sotto la media negli Usa (+1%, ma sul 2019 l’incremento è di quasi il 6%), Uk (-0,4%) e Canada (+2,5%). Crescono le importazioni dei vini fermi (+6,9%, con il prezzo medio salito a +5,9%), mentre gli sparkling incrementano le vendite dell’11,1%, con una riduzione del prezzo medio del 4,8%.

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Vino e Spirits italiani: 2021 in recupero del 3,5%

Il vino italiano è in recupero del 3,5% nel 2021, a fronte del calo del 4,1% registrato nel 2020. Il risultato grazie alla spinta dell’export (+3,8%) che vede il migliore potenziale di crescita in Cina (+6,3%), Canada e Giappone (+5,9% annuo).

È quanto emerge dal primo report congiunto di Area Studi Mediobanca, Ufficio Studi di Sace e Ipsos sul settore vino & spirits italiano. Studio dedicato all’analisi dei mercati domestici e internazionali e alle dinamiche socio-culturali di consumo.

Boom dell’e-commerce (+74,9% le vendite sui siti aziendali) e degli investimenti nel digital (+55,8%) nel 2020. Crescita record per il bio (+10,8%) con un bevitore italiano su quattro si dichiara bio-fan e per i i formati alternativi al vetro (+5,8%).

Aumenta la ricerca di qualità ed esperienza insieme alla voglia degli italiani di frequentare le enoteche con i “non frequentatori” in calo dal 48% pre-pandemia al 42% post-pandemia. Spirits in calo nel 2020 dell’1,7%, ma con un rimbalzo del 5,4% atteso per il 2021.

L’ANDAMENTO 2020 E ATTESE PER IL 2021

Il 2020 dei maggiori produttori italiani di vino ha chiuso con un calo di fatturato del 4,1% (-6,3% il mercato interno, -1,9% l’estero). L’ebit margin ha riportato una lieve contrazione arretrando al 5,8%, rispetto al 6,2% del 2019.

L’incidenza del risultato netto sul fatturato ha performato bene, con una leggera variazione dal 4,2% al 4,1%. I vini frizzanti hanno perso più terreno (-6,7%) dei vini fermi (-3,5%). Le cooperative hanno contenuto la flessione al 2%.

Il canale Gdo ha visto la propria incidenza salire al 38% rispetto al 35,3% del 2019 (a valore è cresciuto del +2,3%). Quello Horeca si contrae dal 17,9% al 13,4% (-32,7%), mentre wine bar ed enoteche passano dal 7% al 6,7% (-21,5%).

L’online è esploso durante la pandemia: +74,9% le vendite sui portali web di proprietà, +435% per le piattaforme online specializzate, +747% i marketplace generalisti. Nel 2020 gli investimenti nel digital dei maggiori produttori di vino sono aumentati del 55,8%, a fronte di un calo del 14,3% degli investimenti complessivi e del 13,4% della spesa pubblicitaria.

Le imprese con fatturato 2020 in aumento hanno venduto vino base (meno di 5 euro) per il 70,8% del loro fatturato. quota che scende al 52,6% all’interno del gruppo di imprese con vendite in calo. Ma lo spostamento verso segmenti più alti appare solo rinviato a quando si assesteranno gli stili di consumo post pandemici.

Sugli scudi il bio, con vendite 2020 in aumento del 10,8%, per una quota di mercato del 2,3%. Tiene il vino vegan (+0,5%, anch’esso al 2,3% del totale). Non fanno ancora presa i vini biodinamici, in caduta del 21,9% e confinati allo 0,1% del mercato.

Infine, il 2020 ha portato uno sviluppo del 5,8% per i vini confezionati in contenitori alternativi al vetro (brick, lattine, bag in box), leggeri, ecosostenibili, adatti all’online e in linea con l’interesse per le novità delle giovani generazioni.

I maggiori produttori di vino si attendono per il 2021 una crescita del 3,5%, che arriverebbe al 4,6% per la sola componente export. Per le maggiori società di spirits, si prevede un anno con vendite in crescita del 5,4% e del 4% per le esportazioni.

VINO E SPIRITS: PROPENSIONE AL CONSUMO INTERNAZIONALE

La mappa mondiale della propensione al consumo di vino e di spirits rivela che il rapporto maggiormente emancipato con il rito del bere è appannaggio dei Paesi di matrice anglofona (Australia, Gran Bretagna e Usa), con sporadiche incursioni di alcuni Paesi dell’Est europeo (Serbia e Polonia, con la Russia più arretrata) e del Nord del mondo (Canada e Svezia).

La Cina emerge come un mercato aperto e tollerante. La core Europe appare ben allineata in posizione intermedia con Germania, Francia e Italia che mostrano livelli simili di accettazione. Più problematico l’atteggiamento nel Sud e Sud Est del mondo, con la sola importante eccezione del Sud Africa. In generale la propensione al consumo di vino è superiore a quello degli spirits.

L’EXPORT ITALIANO

Nel biennio 21-22 si attende un aumento dei consumi di vino del 3,8% l’anno per molti tra i principali mercati. Per i due grandi importatori di vino italiano la crescita media annua è del 2% per gli Usa e del 3,1% per la Germania. In Svizzera i consumi di vino sono attesi stabili.

Discorso a parte per il Regno Unito. Crescita del 2,4% l’anno, ma prospettive complicate dagli sviluppi post Brexit. Opportunità possono arrivare da mercati già noti al vino italiano. Canada e Giappone segnano un consumo atteso in forte crescita (+5,9% annuo per entrambi). ma è la Cina a mostrare uno dei maggiori potenziali con un +6,3% annuo nel biennio 2021-22.

Una curiosità: il Vietnam, mercato ancora molto piccolo, ma che annovera una rilevante crescita dei consumi (+9,6%), anche grazie agli accordi commerciali con l’Ue che proteggono le indicazioni geografiche e riducono le tariffe e i dazi.

Le esportazioni italiane di vini e spirits valgono il 30% delle nostre vendite di alimenti e bevande oltreconfine e ammontano a 7,8 miliardi di euro nel 2020. Il comparto proviene da una crescita pluriennale: +6,3% medio annuo per i vini nel periodo 2010-19, che sale addirittura al +9,7% per gli spirits.

Il 2020 ha segnato una frenata: l’export di vini si è contratto del 2,3%, quello di spirits del 6,8%. Nel 2020 l’export di vino italiano vale 6,3 miliardi di euro e si stappa in prevalenza sulle tavole statunitensi (23,1%), tedesche (17,1%) e britanniche (11,4%).

Il 2020 ha consegnato variazioni differenziate: le nostre vendite sono in flessione negli Stati Uniti (-5,6%) e in Uk (-6,4%), mentre si è mossa in controtendenza la Germania (+3,9%). La pandemia ha colpito pesantemente gli spumanti (-6,9%).

Più modesto l’export italiano generato dal comparto degli spirits, che vale 1,5 miliardi di euro e ha nell’Europa la destinazione privilegiata (60,4%). Due i mercati di sbocco preferenziali, Stati Uniti e Germania, che fanno il 40% del totale.

Nel 2020 lo sviluppo del mercato statunitense (+21,5%) ne ha fatto il primo approdo per le vendite oltreconfine di spirits italiane, scalzando dal primo gradino del podio la Germania (+3,5%).

AD OGNI REGIONE I SUOI VINI

Nel 2019 il Veneto detiene il primato di vino prodotto, sia a volume che a valore, con il 20% del totale nazionale. Segue la Puglia con il 19,6% a volume e il 13,3% a valore. Toscana e Piemonte hanno il 5% circa dei volumi, ma raddoppiano il peso se si guarda al valore.

Le caratteristiche regionali si notano anche nelle dinamiche di esportazione. La principale regione esportatrice, nel 2020, di vini è il Veneto con il 35,5% del totale delle vendite oltreconfine, più del doppio della seconda, il Piemonte con il 17,2%. La Toscana, terza regione, rappresenta il 15,5% dell’export nazionale di vino.

Nell’anno della pandemia il Veneto ha subito un calo dell’export del 3,3%, ma sono diminuite le vendite all’estero anche dei vini di Toscana e Lombardia. Fra le altre regioni il calo più consistente è dell‘Umbria (-24,2%), seguita dalla Valle d’Aosta (-21,9%), dalla Sardegna (-18,8%) e dalle Marche (-14,5%).

In controtendenza i vini del Trentino-Alto Adige, dell’Emilia-Romagna e del Piemonte con aumento delle vendite al di fuori del territorio nazionale. Anche sui conti delle aziende i tratti regionali lasciano la propria impronta.

Il maggior Roi tocca agli abruzzesi (9,7%), piemontesi (8,6%) e veneti (7,8%). Best in class per solidità finanziaria i produttori toscani, con debiti finanziari pari ad appena il 26,8% del capitale investito. Grandi esportatori i produttori piemontesi (66,9%) e toscani (61,7%) che superano il 60% di export sul fatturato.

L’EVOLUZIONE DEI CONSUMI POST-PANDEMIA

La pandemia ha inciso su alcune abitudini di consumo, anche in maniera sorprendente. La propensione dei consumatori ad acquistare bottiglie di vino nei supermercati è calata di 6 punti. Il 58% degli italiani che in epoca pre-Covid si approvvigionava nella Gdo si è ridotto al 52%.

La Gdo rimane il canale preferito per l’acquisto di vino, ma mostra dinamiche in evoluzione con una sempre maggiore ricerca di qualità, specificità e unicità. Un trend confermato dalla percentuale di persone che ha iniziato a frequentare enoteche, cantine e negozi specializzati.

Gli italiani che non si sono mai rivolti a un’enoteca per comprare una bottiglia di vino è in calo dal 48% prepandemico, al 42% attuale. L’aumento degli acquisti in enoteca ha coinvolto, in primis, l’universo femminile con un decremento delle non frequentatrici dell’8% (dal 52% ante Covid al 44% del 2021), ed ha toccato tutti i segmenti della società.

Si ha infatti una riduzione del 5% tra i Millennials, del 6% nella Generazione X e tra i Baby Boomers. Sono in aumento anche gli acquirenti di vino nelle cantine dei produttori: nel periodo pre-Covid gli italiani che non si erano mai recati in una cantina di un produttore erano il 46%, oggi scesi al 39%.

L’acquisto online è la stella dell’ultimo anno con l’e-commerce di proprietà consente alle persone di accedere direttamente al viticoltore. Prima del lockdown il 71% degli italiani non aveva mai fatto un acquisto online dai siti di una cantina, quota scesa oggi di sette punti (64%).

Inoltre, la percentuale di persone che prima del Covid non aveva mai fatto ricorso al sito e-commerce o all’offerta online di una enoteca era del 74%, oggi la percentuale è scesa al 69%. Alcuni tratti accomunano i nuovi comportamenti di acquisto dei consumatori come la ricerca di qualità e il valore del locale, dei suoi prodotti e delle imprese.

In termini di costo della bottiglia, la tendenza, anche se con scostamenti minimi, sembra essere orientata verso due fenomeni. Da un lato una crescente polarizzazione della fascia di prezzo, con l’accentuarsi della forbice tra bottiglie di livello basso e alto. Dall’altro un conseguente indebolimento della fascia di prezzo intermedia, con uno scivolamento verso quella inferiore.

Infine, il tema bio fa registrare tre distinti livelli di interesse. I bio-attratti, altamente interessati ai vini biologici e che rappresentano il 36% dei bevitori I bio-light, caratterizzati da un approccio non convinto e un po’ modaiolo ai prodotti biologici che arrivano al 33%. Infine i bio-refrattari che formano il residuo 31%.

Tra i bio-attratti si possono trovare dei veri e propri bio-fan, che sono in parte anche high-spender, e valgono il 24% dei consumatori di vino.

LE MIGLIORI IMPRESE ITALIANE

La leadership di vendite nel 2020 è appannaggio del gruppo Cantine Riunite-Giv, con fatturato a 581 milioni di euro (-4,4% sul 2019), nettamente distanziato dalla seconda posizione ricoperta da un’altra cooperativa, la romagnola Caviro, il cui fatturato è cresciuto del 10%, avvicinandosi ai 362 milioni di euro. Completa il podio la veneta Casa Vinicola Botter (230 milioni, +6,4%).

Seguono altre cinque aziende con ricavi superiori a 200 milioni di euro: la toscana Antinori, il cui fatturato 2020 pari a 215 milioni di euro ha subito un calo del 12,5%, la trentina Cavit (fatturato 2020 pari a 210 milioni di euro, +9,6% sul 2019), le piemontesi Fratelli Martini (208 milioni di euro, +1,1% sul 2019), Iwb (204 milioni, +29,7%) e la veneta Enoitalia che ha realizzato una crescita del +0,8%, portandosi a 201 milioni di euro.

In merito ai maggiori incrementi di fatturato nel 2020, Iwb domina la scena con un +29,7% che la colloca davanti alla Contri Spumanti con un +13,8%, a Caviro e Mondodelvino, appaiate a +10%, a Cavit (+9,6%) e La Marca (+8,7%), per chiudere con il +6,4% di Botter e il +5,7% di Schenk Italia.

Osservando la redditività (rapporto tra risultato netto e fatturato), il 2020 vede in testa le società toscane e venete. Antinori (26%), Frescobaldi (24,5%) e Santa Margherita (24,2%). La recente acquisizione di Iwb su Enoitalia forma un player da circa 405 milioni di euro che sarebbe secondo in Italia nel 2020.

Le attività del fondo Clessidra (Botter e Mondodelvino) ammontano a circa 353 milioni e ne farebbero il quarto produttore italiano nel 2020, dietro Caviro.

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Dazi Usa sul vino Ue, tregua di 5 anni

Cambio di marcia nelle relazioni Ue-Usa, sul fronte dei dazi sul vino. Europa e Stati Uniti hanno trovato l’accordo per la rimozione di tutte le tariffs, vero e proprio spauracchio dell’epoca Trump.

La risoluzione riconosce «l’impatto dannoso dei dazi». Usa e Ue si impegnano inoltre a «lavorare per un ambiente commerciale del vino esente da dazi zero for zero». Il tutto in occasione del vertice tra i presidenti Biden, Von der Leyen e Michel.

“Il vino è un prodotto davvero unico e il commercio esente da dazi avvantaggia le nostre cantine familiari, nonché agricoltori, rivenditori, attività ricettive che compongono il settore, nonché i consumatori su entrambe le sponde dell’Atlantico”, ha affermato Bobby Koch, presidente e Ceo del Wine Institute Usa.

Apprezziamo il Congressional Wine Caucus – continua – e le loro controparti europee per aver guidato questo sforzo per raggiungere zero per zero. Questo, più di ogni altra cosa, contribuirà a migliorare l’impatto positivo delle nostre relazioni commerciali».

LE REAZIONI

«Un ambiente di libero commercio del vino è essenziale per preservare gli sforzi e gli investimenti di lunga data delle nostre aziende vinicole e la sostenibilità dei nostri vigneti”, ha affermato Jean Marie Barillère, presidente del Comité Européen des Entreprises Vins.

Non mancano le reazioni positive dall’Italia. «Apprendiamo con soddisfazione dell’intesa Ue e Usa sulla sospensione per 5 anni dei dazi sull’affaire Boeing e Airbus. Una notizia che è di buon auspicio per le future relazioni commerciali tra due storici partner commerciali», ha detto Ernesto Abbona, presidente di Unione italiana vini (Uiv).

Gli Stati Uniti sono il principale buyer di vino al mondo e i prodotti europei sono i più richiesti con una quota di mercato pari al 74% delle importazioni globali. Il valore medio delle esportazioni di vino Ue verso gli Usa è di quasi 3,5 miliardi di euro l’anno.

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Tignanello e Sassicaia falsi in Svizzera senza Iva: pizzicato esportatore italiano

Società italiana ma con sede fittizia in Svizzera, per abbattere i costi e presentarsi sul mercato dell’esportazione del vino con prezzi molto competitivi. Uno stratagemma che non è passato inosservata al Nucleo Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Asti.

La società dovrà rispondere di un milione di euro di imposte non versate e dell’evasione dell’Iva pari a 1,5 milioni di euro. I fatti oggi accertati risalgono al periodo 2018 – 2020.

Si inseriscono nel più ampio sistema di aziende dedite alla falsificazione di vini pregiati italiani come Sassicaia e Tignanello, scoperto nel dicembre scorso in provincia di Asti.

Tra Nizza Monferrato e Canelli era stata individuato il laboratorio-cantina per la falsificazione dei vini di marchi italiani pregiati. Le analisi hanno dimostrato che i vini toscani e della Valpolicella (Amarone), nonché della zona di Barolo, in Piemonte, erano stati sofisticati con dell’uva Barbera.

Vino Gaja, Antinori, Ornellaia e Masseto contraffatto: sgominata la banda

I NUOVI SVILUPPI

La società di commercio all’ingrosso era gestita da due imprenditori italiani. Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Asti, hanno portato all’esecuzione della misura degli arresti domiciliari nei confronti di 5 indagati.

Obbligo di dimora per ulteriori quattro persone, accusate a vario titolo di falso e frode in commercio in ambito nazionale e internazionale nel settore vitivinicolo. Contestati anche reati tributari, per riciclaggio ed autoriciclaggio.

Con i dati acquisiti durante le perquisizioni, a fine 2020, è stato possibile accertare la residenza fiscale sul territorio nazionale di una delle società coinvolte nell’esportazione del vino. Aveva sede fittizia in Svizzera, ma sede direttiva, amministrativa e operativa sul territorio italiano.

Con questa operazione, la Guardia di Finanza ha messo fine a una vera e propria forma di concorrenza sleale. Proprio grazie all’indebito risparmio fiscale, le aziende coinvolte potevano permettersi di praticare prezzi fuori mercato. Danneggiando, soprattutto nel momento della pandemia, gli imprenditori che rispettano le regole.

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Prosecco Doc Rosé, successo oltre le aspettative: vale il 10% della Denominazione

Il Prosecco Doc Rosé vale già il 10% di tutto il Prosecco Doc. Una percentuale che sale al 50% di tutto lo Charmat rosé italiano. A rivelarlo è Mirko Baggio, esponente di Federvini e Responsabile Vendite Gdo Italia di Villa Sandi Spa. Dati snocciolati durante l’incontro odierno di Vinitaly sul vino nella Grande distribuzione organizzata.

«Dopo un anno di crescita importante – ha dichiarato Baggio – registrare un ulteriore aumento, vicino al 60%, è sicuramente un aspetto che colpisce molto. Ormai il Prosecco Doc è una referenza che vale più del 50% di tutti gli spumanti Charmat a scaffale».

https://www.vinialsupermercato.it/migliori-prosecco-rose-al-supermercato-sorpresa-colli-euganei/

A contribuire all’exploit, proprio la nuova tipologia varata dal Consorzio di Tutela. «La crescita nei primi 4 mesi del 2021 – ha sottolineato Mirko Baggio – è stata aiutata proprio dalla novità del Prosecco Doc Rosé. Ha iniziato l’anno molto bene e sta facendo numeri interessanti. Di fatto, oggi vale il 10% di tutto il Prosecco Doc, a livello di consumi. E più del 50% dello Charmat rosé».

Sempre secondo Baggio, Il Prosecco Rosé «ha aiutato la crescita di tutto il comparto del Prosecco e degli spumanti». Un po’ come il Prosecco Doc, l’exploit degli spumanti rosé – e dei rosé italiani, in generale – non è mai stata così tangibile.

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Sì alle bevande a base di vino, no all’acqua nelle Dop: le Cooperative sfidano l’Ue

Sì alle “bevande a base di vino“, perché non le si consideri “vini”, tout court. Dopo Coldiretti, anche le Cooperative del vino italiano prendono posizione (contraria) sulla proposta dell’Ue di consentire la dealcolazione del vino per la produzione di vini a Denominazione (Dop) o Indicazione geografica (Ig) parzialmente o totalmente senza alcol.

Quella dei “Vini senza alcol“, del resto, è una tipologia ormai diffusa nel mondo, specie in america e nel Nord Europa, nota come “Non-Alcoholic Wines” o “Dealcoholized wines / De-alcoholized wines”.

«Non si può chiamare vino – avverte Luca Rigotti, coordinatore del settore per Alleanza Cooperative Agroalimentari – un prodotto assai lontano da quello originale in cui è prevista l’aggiunta di acqua. Si tratta di un errore che andrebbe a snaturare completamente le caratteristiche di un prodotto dalla tradizione millenaria, oltre a costituire anche una mancanza di trasparenza nei confronti del consumatore».

Siamo molto preoccupati dal nuovo approccio – prosegue Rigotti – che sembra emergere nei testi che stanno circolando. Nella proposta iniziale della Commissione, vino dealcolizzato e parzialmente dealcolizzato dovevano andare a costituire due nuove categorie di vino.

Nel nuovo testo, essi diventano invece il mero risultato di una pratica enologica che andrebbe ad applicarsi alle categorie di vino già esistenti (fermo, frizzante, spumante, eccetera)».

Pur «concordando sulla opportunità che tali regole trovino spazio in Regolamenti del settore vitivinicolo» e «pur non essendo a priori contrari ai vini a bassa gradazione alcolica, considerando che essi rappresentino un’opportunità commerciale, specie in alcuni paesi», Rigotti ribadisce con fermezza che «debbano essere chiamati diversamente, ad esempio “bevande a base di vino”».

Europa verso l’autorizzazione dei vini senza alcol a Denominazione di Origine e Igp

I DISCIPLINARI

Se la proposta di regolamento non verrà modificata, non ci sarà nemmeno bisogno di apportare modifiche ai disciplinari per poter produrre un vino a denominazione parzialmente dealcolizzato.

E, cosa ancor più grave – spiega l’esponente dell’Allaeanza Cooperative Agroalimentari – i produttori di vino e i loro Consorzi non avranno più la possibilità di decidere autonomamente se accettare o meno tale pratica».

Sul mercato, senza che la filiera produttiva abbia effettuato alcuna scelta in tal senso, si potrebbe così trovare un prodotto denominato “vino”, che vino non è.

«NON CHIAMATELI VINI»

«Per esempio un Montepulciano d’Abruzzo Doc – riferisce Rigotti – con una gradazione alcolica di 2% vol. È vero che per le Dop e le Igp nella bozza di testo si parla solo di dealcolizzazione parziale, ma ciò non è in alcun modo sufficiente per tutelare i vini di qualità».

Secondo le Cooperative «sarebbe ancora più grave l’inserimento nel nuovo testo della possibilità di “consentire l’aggiunta di acqua dopo la dealcolizzazione ai prodotti vitivinicoli, pratica che è attualmente vietata in tutta l’Ue».

In Italia il Testo unico del vino ha introdotto il divieto anche solo di detenere acqua in cantina. È compresa anche quella ottenuta dai processi di concentrazione dei mosti e dei vini, riconosciuta a tutti gli effetti come sostanza idonea alla sofisticazione.

I COLOSSI ITALIANI ALLA FINESTRA

Intanto, la Cooperativa italiana leader del settore, Caviro, conferma a WineMag.it l’interesse crescente del mercato nelle bevande senza alcol, anche a base di vino.

Per il colosso di Forlì, sempre attento ai nuovi trend, la tipologia “alcohol free” costituirebbe un nuovo segmento di mercato, dopo l’entrata in gamba tesa nel mondo dei vini senza solfiti aggiunti, con i brick della linea Sunlight.

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Il grido d’allarme di Fivi: «Consorzi del vino in mano a pochi grandi gruppi e coop»

Nuovo «appello alla tutela dei piccoli produttori» di Fivi per cambiare i meccanismi di rappresentatività dei Consorzi del vino italiano. La Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti riaccende l’annosa questione attraverso una lettera inviata al Sottosegretario Gian Marco Centinaio, ex ministro all’Agricoltura da sempre sensibile ai temi legati al mondo del vino.

«Tale meccanismo – scrive la presidente Fivi, Matilde Poggi – ha delle conseguenze inevitabili sull’effettiva rappresentanza all’interno dei Consorzi. Il voto è nelle mani di pochi grandi gruppi e cooperative, che decidono in solitudine le scelte di indirizzo strategico di gestione della denominazione».

L’invito è quindi quello di «creare un tavolo di lavoro per riconsiderare il criterio di rappresentanza attualmente in vigore, con l’obiettivo di rafforzare la vitalità dei Consorzi di tutela dando voce a tutte le parti».

A innescare la miccia, come chiariscono gli indipendenti, sono le «problematiche relative all’elezione del Cda del Consorzio di tutela Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg».

«In questa sede – fa notare la Federazione – è emersa l’intenzione di concentrare la gestione della denominazione nelle mani di alcuni grandi gruppi, in particolare afferenti al sistema cooperativo, con la conseguente esclusione degli interessi dei piccoli produttori».

IL CASO VENETO
Il caso Conegliano Valdobbiadene, sempre secondo Fivi, «non è che un esempio di una situazione ampiamente diffusa sul territorio nazionale». Per questo motivo la Federazione ritiene sia «necessario intervenire».

L’attuale normativa infatti, e in particolare l’art. 8 del DM 232/2018 – sottolineano i vignaioli – stabilisce che i voti siano attribuiti in funzione della produzione vitivinicola dell’anno precedente, valutando quindi esclusivamente la quantità prodotta, senza considerare minimamente né il numero dei produttori, né quanto questi contribuiscano alla tutela della qualità e del paesaggio della denominazione».

Un’ulteriore questione è l’istituto delle deleghe espresse dai soci viticoltori al momento dell’adesione, che «dà grande potere alle Cooperative che partecipano al lavoro dei Consorzi, rendendo gli altri partecipanti quasi inesistenti».

L’obiettivo della Fivi, in qualità di portavoce dei piccoli produttori italiani, è quello di «modificare questa procedura iniqua, per consentire l’effettiva rappresentanza di tutti gli attori della filiera per una reale tutela delle denominazioni».

«I piccoli produttori – aggiunge la Federazione italiana vignaioli indipendenti – rappresentano un sistema che orienta la propria produzione verso la più alta qualità ed è giusto che ogni Consorzio li tuteli riconoscendo loro una pari dignità».

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Esteri - News & Wine news news ed eventi

Systembolaget, il vino italiano è il più venduto in Svezia: +6% nel 2020

Il vino italiano è il più venduto dal Systembolaget. «Nel 2020 – conferma a WineMag.it Sofia Brännborn, referente del monopolio della Svezia – abbiamo venduto 59.469.583 litri di vino prodotto in Italia, con un aumento del 6% rispetto al 2019».

Più in generale, il bilancio gennaio – dicembre 2020 del Monopolio svedese segna un volume di vendite pari a 569,1 milioni di litri. L’incremento rispetto ai 511,9 milioni del 2019 è dovuto principalmente alla chiusura di altri canali di acquisto, fortemente limitati dalla pandemia Covid-19, in particolare l’Horeca.

In crescita anche le vendite nette, giunte a quota 36.737 milioni di corone svedesi, circa 3,6 milioni di euro. Quattro in più rispetto ai 32.211 milioni di corone del 2019. L’utile operativo registrato dal Systembolaget è schizzato a 542 milioni di corone (circa 53 milioni di euro), rispetto ai 229 della precedente gestione.

Interessante anche il dato di gradimento del sistema monopolistico svedese, che convince il 74% degli intervistati, decisi a mantenerlo. Lieve flessione dell’indice di “clientela soddisfatta” negli store, pari all’82% rispetto all’85% del 2019.

«L’anno passato – commenta Magdalena Gerger, amministratore delegato di Systembolaget – ha portato con sé parecchie sfide, nuove e difficili da affrontare. I nostri dipendenti, dal deposito ai negozi, hanno compiuto uno sforzo eccezionale per la clientela, salvaguardando la nostra importante missione: ridurre gli effetti nocivi dell’alcol».

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Vini al supermercato

Il Pinot Grigio Santa Margherita compie 60 anni: storia di un’icona

Compie 60 anni il Pinot Grigio Santa Margherita prodotto in Valdadige, vera e propria icona del Gruppo vinicolo di Fossalta di Portogruaro (VE) fondato nel 1935 dal conte Gaetano Marzotto. Un vino nuovo, elegante e moderno, che rivoluzionò il gusto e la percezione del vino bianco italiano nel mondo. Oggi è reperibile al supermercato, ma anche sugli scaffali di enoteche e carte dei vini di ristoranti di mezzo mondo.

Era la fine degli anni Cinquanta quando, in anticipo sulle future tendenze, il conte Gaetano Marzotto si mise alla ricerca di una nuova tipologia di vino che uscisse dal cliché, «capace di distinguersi per originalità, peculiarità sensoriali e forte richiamo al binomio vitigno-territorio».

Un vino, insomma, capace al contempo di favorire un approccio diverso al vino, diventando vero protagonista del convivio moderno. Il Conte e il suo team di enologi finirono così in Trentino Alto Adige, zona ritenuta ideale per la produzione di uve che contenessero il carattere fresco e fruttato con cui si desiderava caratterizzarne il profilo.

In particolare, l’attenzione ricadde in Valdadige, la Valle del fiume Adige. Un’areale che, ancora oggi, gode di una totale autonomia rispetto al più noto Pinot Grigio delle Venezie, certificata da una Doc “ad hoc”.

La vinificazione in bianco delle delicate uve Pinot Grigio, eliminando ogni contatto tra mosto e bucce, trasformò un vino dal colore ramato in un vino bianco brillante, elegante ed intenso, unico nel suo genere.

Così, nel 1961, il Pinot Grigio Santa Margherita faceva il suo debutto sul mercato italiano. Il favore del pubblico fu sorprendente quanto immediato. Abituata fino a quel momento a fare una semplice distinzione tra vini bianchi, rossi e rosati, l’Italia apprezzò fin da subito la straordinaria bevibilità e la fragranza di questo vino-novità, che si distingueva per un nuovo modo di interpretare non solo le uve Pinot Grigio ma anche il vino bianco in genere.

«Grazie al Pinot Grigio – evidenzia Santa Margherita in una nota – si diede avvio a un cambiamento radicale nelle abitudini di consumo, dal vino-alimento al vino-piacere. Il processo favorì la democratizzazione del vino, permettendo a nuovi consumatori, come le donne, di avvicinarsi a questo mondo, scommettendo su un pubblico che nelle decadi a seguire avrebbe giocato un ruolo sempre più determinante nelle scelte di acquisto».

In questo senso il Pinot Grigio Santa Margherita è una vera e propria icona: il primo, originale apripista che ha saputo conquistare il favore dei consumatori, parlando di futuro e innovazione.

Lo strepitoso successo lasciava intravedere ottime opportunità anche oltreconfine, dove venne sapientemente esportato a partire dagli anni ’70. Il nuovo bianco dimostrò al mondo intero che l’Italia poteva offrire vini appetitosi, perfettamente coerenti con l’evoluzione delle società e del gusto moderno.

Un’evoluzione che prosegue anche oggi, con la particolare attenzione del Gruppo Santa Margherita al “chilometro zero“. La produzione di oltre il 90% delle bottiglie nella vetreria a pochi passi dalla cantina si affianca al programma di “carbon neutrality” che certifica da sette anni l’azzeramento dell’impronta di carbonio di quasi 2 milioni di bottiglie di Pinot Grigio prodotte annualmente.

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Lotta al cancro: per l’Europa vino, sigarette e Coca Cola sono la stessa cosa

Il nuovo spauracchio del vino italiano (ed europeo) ha nome e cognome e non arriva dall’altra parte dell’Oceano, come i dazi di Trump. Si chiama Europe’s Beating Cancer Plan e prevede, tra le altre misure volte appunto alla lotta al cancro, l’intensificazione del «sostegno dell’Ue agli Stati membri e agli stakeholders nel rafforzamento delle capacità di ridurre il danno correlato all’alcol». Nulla di preoccupante, solo a prima vista.

Per comprendere la preoccupazione del settore vitivinicolo occorre consultare agli allegati del documento presentato oggi dalla Commissione europea, alla vigilia del World Cancer Day. Tra le “list of action”, l’attenzione si concentra sul punto 3.3, “Reducing harmful alcohol consumption”.

Tra le misure previste, la «revisione della legislazione dell’Ue relativa alla tassazione dell’alcol e all’acquisto transfrontaliero di prodotti alcolici; la proposta di etichettatura obbligatoria dell’elenco degli ingredienti, della dichiarazione nutrizionale sull’etichetta delle bevande alcoliche (leggasi Kcal, ndr) e delle avvertenze per la salute».

Inoltre, l’Ue prevede di «ridurre l’esposizione dei giovani al marketing online di alcolici bevande attraverso il monitoraggio dell’attuazione dell’Audiovisual Media Service Directive», ovvero la Direttiva sui servizi dei media audiovisivi.

Al punto 3.4 dell’allegato, l’altra potenziale stangata per il settore vitivinicolo e degli Spirits, nell’ambito delle iniziative volte alla promozione della salute attraverso l’accesso a la dieta e l’attività fisica.

Sempre tra il 2021 e il 2025 è infatti prevista la «pubblicazione di uno studio di mappatura delle misure fiscali e delle politiche di prezzo su bevande zuccherate, bibite e bevande alcoliche».

Nello stesso calderone, per intenderci, potrebbero finire Coca Coca e pregiate denominazioni del vino italiano ed europeo, con conseguenze fiscali anche sulla libera circolazione delle merci all’interno dell’Unione europea.

Eppure, nel testo ufficiale del documento presentato oggi in Commissione europea, l’unico riferimento agli alcolici è vago. Forse strategicamente. Il team guidato da Ursula von der Leyen, che ha tra gli obiettivi strategici nel campo della salute proprio la lotta al cancro, parla esclusivamente di «harmful alcohol consumption», tra gli ambiti di prevenzione.

L’alcol viene infatti chiamato in causa tra le ragioni che giustificano l’esorbitante impatto economico complessivo del cancro in Europa, superiore ai 100 miliardi di euro all’anno.

«Senza un’azione conclusiva – sottolinea la Commissione europea – si stima che entro il 2035 i casi di cancro aumenteranno di quasi il 25%, diventando la principale causa di morte nell’Ue. Inoltre, la pandemia Covid-19 ha avuto un grave effetto sulla cura del cancro, interrompendo il trattamento, ritardando la diagnosi e la vaccinazione e influenzando l’accesso ai farmaci».

Sul piede di battaglia le maggiori associazioni agricole e della filiera vitivinicola italiana. La prima a lanciare l’allarme è stata Coldiretti: «L’Unione Europea vuole cancellare i fondi per la promozione di carne, salumi e vino – evidenzia il presidente della Confederazione, Ettore Prandini – prevedendo addirittura etichette allarmistiche sulle bottiglie come per i pacchetti di sigarette».

Con la scusa di tutelare la salute, che va invece salvaguardata promuovendo una dieta equilibrata e varia senza criminalizzare singoli alimenti, si propone di introdurre allarmi per la salute nelle etichette delle bevande alcoliche prima del 2023, eliminando altresì dai programmi di promozione i prodotti agroalimentari, come specificatamente le carni rosse e quelle trasformate, che vengono associati ai rischi di tumore».

Sempre secondo Ettore Prandini, quella dell’Ue è una vera e propria «provocazione nei confronti dell’Italia a dieci anni dal riconoscimento Unesco della dieta mediterranea, fondata proprio su una alimentazione diversificata che con pasta, frutta, verdura, carne, extravergine e il tradizionale bicchiere di vino consumati a tavola in pasti regolari, che hanno consentito fino ad ora agli italiani di conquistare il primato europeo di longevità».

È di oggi la reazione stizzita di Confagricoltura Toscana. Così Francesco Colpizzi, presidente regionale della Federazione Vitivinicola: «Sulla Toscana rischia di abbattersi una stangata epocale, l’Europe’s Beating Cancer Plan intende cancellare i fondi destinati alla promozione di vino, carni e salumi e introdurre etichette dissuasive su questi prodotti, segnalati come cancerogeni».

Confagricoltura chiede immediatamente un intervento di tutela da parte del Governo e della Regione: il presidente Eugenio Giani e i vertici di Stato si facciano sentire. Questo è un colpo diretto alla nostra economia, all’identità gastronomica e produttiva del Paese. Non possiamo accettare alcuna etichetta allarmistica.

Davvero stiamo paragonando un panino al prosciutto o un bicchiere di vino – continua Colpizzi – spesso indicato anzi come salutare, al consumo delle sigarette? Un piano di azione, quello europeo, che si spaccia a tutela della salute senza avere solide basi medico-scientifiche. L’unica conseguenza certa sarebbero le ripercussioni devastanti sulla nostra economia”.

Dura anche Unione Italiana Vini. «La comunicazione del Piano di azione della Commissione europea per combattere il cancro – commenta Sandro Sartor, responsabile tavolo vino e salute di Uiv – è preoccupante. Troviamo forviante il principio per il quale il consumo di alcol sia considerato dannoso a prescindere da quantità e tipologia della bevanda».

«Ancora più inique di questa premessa – conclude – sono le proposte del piano che vedono assimilare il consumo di vino al fumo, con la conseguenza di azzerare un settore che solo in Italia conta su 1,3 milioni di addetti e una leadership mondiale delle esportazioni a volume».

Intanto, proprio negli ultimi minuti, arriva dall’Ue aria di disgelo. La Vicepresidente della Commissione europea Margaritīs Schinas riconosce che è «del tutto improprio assimilare l’eccessivo consumo di superalcolici tipico dei Paesi nordici al consumo moderato e consapevole di prodotti di qualità ed a più bassa gradazione come la birra e il vino in Italia».

Schinas va oltre e sottolinea che nel Bel paese «il consumo consapevole è diventato l’emblema di uno stile di vita “lento”, attento all’equilibrio psico-fisico che aiuta a stare bene con se stessi, da contrapporre all’assunzione sregolata di alcol». Il dibattito, insomma, è aperto. Anche all’interno dell’Ue.

Ma l’ultimo intervento, in ordine temporale, è del Segretario generale del Comité Européen des Entreprises Vins (Ceev), Ignacio Sánchez Recarte: «Rimarremo attenti allo sviluppo delle azioni proposte nel campo della tassazione e dell’informazione dei consumatori per garantire che la riduzione del consumo dannoso di alcol rimanga veramente l’obiettivo e la priorità principale».

Quanto alla promozione, «consente ai produttori di vino di trasmettere al meglio l’immagine qualitativa dei propri prodotti e il legame con un determinato territorio e l’idea di ridurre i danni alcol correlati riducendo il consumo di alcol di per sé è semplicistica, particolarmente pericolosa e incoerente con la politica di qualità dell’Ue».

Fa eco a Ceev Sandro Boscaini, in qualità di presidente di Federvini: «L’informazione e l’educazione sono i principali strumenti a disposizione per contrastare abusi ed eccessi, anche in un contesto nel quale il consumo di alcol già risulta in costante declino in Europa e in Italia».

«Sono invece da respingere – aggiunge – misure fiscali e regolamentari che tendono a demonizzare la nostra cultura del bere e della socialità e che, lungi dal contrastare efficacemente l’abuso, colpiscono, oltre che l’intera filiera vitivinicola, la stragrande maggioranza dei consumatori che si rapportano in maniera corretta e responsabile al mondo dei vini, degli aperitivi, degli amari, dei liquori e dei distillati».

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Dazi Usa, conferma a febbraio? Marilena Barbera: «Vino italiano rafforzato»

A due settimane esatte dal carosello di metà febbraio sale la tensione attorno alla revisione dei dazi Usa su vino ed agroalimentare europeo. L’impressione è che l’amministrazione Biden, appena insediatasi e ancora priva di un referente politico all’interno dell’Ufficio per il Commercio degli Stati Uniti, possa decidere di non decidere. Ovvero confermare, per altri 6 mesi, il pacchetto di tariffs ereditato da Donald Trump.

Non solo. Secondo fonti di WineMag.it negli States, l’Ustr potrebbe non aprire il consueto spazio per la ricezione dei commenti pubblici, sin ora utilizzato per raccogliere critiche e proposte di revisione dei dazi.

Per questo l’Us Wine Trade Alliance, l’associazione che riunisce gli operatori del settore vitivinicolo degli States, ha deciso di raccogliere autonomamente le testimonianze, in collaborazione con la Coalizione “Stop Restaurant Tariffs“. Come? Attraverso un modulo Google compilabile entro il 5 febbraio dai professionisti americani del Wine & Food, che sarà recapitato all’Ustr.

«Vorremmo raccogliere brevi testimonianze – spiega il referente dell’Uswta, Ben Aneff – che utilizzeremo per dimostrare i danni causati dalle tariffe aggiuntive. L’obiettivo è mantenere alta la pressione sull’amministrazione».

In un periodo come questo, pieno di turbolenze, questioni come la nostra rischiano di passare in secondo piano a Washington, finendo nel dimenticatoio. Con l’aiuto dei professionisti del settore possiamo assicurarci che l’amministrazione Biden sappia quanto sia urgente la soluzione del problema, aiutandola a provvedere per tempo a una saggia soluzione».

La conferma dei dazi attuali, d’altro canto, potrebbe essere una “buona notizia” per l’Italia. «Per onestà intellettuale – dichiara a WineMag.it la vignaiola siciliana Marilena Barbera, tra le più attente all’evolversi della situazione, sin dallo scorso anno – bisogna ammettere che il vino italiano è l’unico settore che sta uscendo non solo indenne da questa guerra commerciale, ma sostanzialmente rafforzato».

Lo dimostra il fatto che nel 2020 le esportazioni delle nostre etichette hanno superato in valore quelle delle concorrenti francesi – continua – proprio “grazie” ai dazi da cui siamo stati esentati.

Non è bello né corretto gioire delle disgrazie altrui, ma non possiamo non riconoscere che aver schivato quella pericolosa pallottola sta consentendo ai nostri vini di godere di un vantaggio competitivo, provvidenziale in un momento in cui il crollo del mercato interno sta mettendo in seria crisi i bilanci delle aziende vinicole italiane».

Marilena Barbera sottolinea quanto sia «molto probabile che il destino dei dazi sul vino ed altri prodotti alimentari europei non si decida nel carosello di febbraio».

In primis la nomina di Katherine Tai, l’avvocata esperta in diritto commerciale chiamata da Biden a sostituire Robert Lighthizer alla direzione dell’Ustr, non è ancora stata confermata dal Senato: Questo le impedirà, ancora per diversi giorni, di prendere effettivamente servizio e di occuparsi direttamente dell’attuazione della politica presidenziale, in materia di commercio estero.

La seconda ragione riguarda le priorità dichiarate dall’Amministrazione Biden, che in questo momento si concentrano su altri tavoli. Tra questi il rapporto con la Cina, percepito come molto più urgente rispetto alla questione Boeing-Airbus, o l’attuazione del recente accordo commerciale Usmca, sottoscritto con Messico e Canada.

D’altro canto – sottolinea Marilena Barbera – nelle sue dichiarazioni pubbliche Biden ha chiaramente annunciato lo stop immediato alla politica isolazionistica del suo predecessore: la riadesione degli Usa agli Accordi di Parigi ed alla Who vanno chiaramente in questa direzione.

Ma risolvere il problema dei dazi significherà rimettere mano, prioritariamente, al funzionamento dell’Appellate Body, ossia l’organismo “giudicante” della World Trade Organization bloccato proprio da Trump, che ha generato l’escalation che ha portato, come abbiamo visto, all’imposizione dei dazi».

Sempre secondo la vignaiola di Menfi «la questione è molto più complessa di quello che appare a prima vista»: «Probabilmente servirà più tempo di quanto le aziende esportatrici europee e gli importatori americani siano in grado di attendere, soprattutto in un periodo in cui la pandemia da Covid-19 ne ha messo a dura prova la resilienza commerciale».

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Digital tax, Unione italiana vini: «Saggio rinvio del Governo»

Lo stop temporaneo alla Digital tax da parte del Governo è una decisione «tanto saggia quanto importante per il mondo del vino italiano». Parole del segretario generale di Unione italiana vini, Paolo Castelletti, sul rinvio del termine per i versamenti relativi all’imposta sui servizi digitali per il 2020 dal 16 febbraio al 16 marzo 2021 e il rinvio del termine per la presentazione della relativa dichiarazione dal 31 marzo 2021 al 30 aprile 2021.

«Il rischio di vedere, ancora una volta, i prodotti vitivinicoli travolti da una disputa internazionale e da potenziali misure penalizzanti in un momento di estrema indecisione per il contesto economico internazionale era alto», ha aggiunto Castelletti.

La tassa sui servizi digitali (Dst) era destinata ad avere definitivamente i suoi effetti in Italia a partire dal 16 febbraio. Sul tema ha fatto seguito il report del Rappresentante per il Commercio Usa (Ustr) che ha ritenuto discriminatoria l’imposizione italiana nei confronti delle imprese digitali americane, che rappresentano i 2/3 delle aziende da tassare.

Niente dazi Usa su vino italiano, esultano Uiv e Coldiretti. Ora spettro Digital tax

Secondo Unione italiana vini (Uiv), tale impostazione sarebbe stata a forte rischio di azioni ritorsive già arrecate (e poi sospese) ai danni della Francia, anch’essa promotrice della stessa imposta.

Con la tassa sui servizi digitali l’Italia prevede di concretizzare un corrispettivo di circa 700 milioni di euro; il vino italiano, che negli Stati Uniti vende il 30% del proprio export a valore (circa 1,7 miliardi di euro), sarebbe uno dei maggiori indiziati tra i prodotti tricolore a rischio ritorsione.

Secondo l’Osservatorio di Unione italiana vini (base dogane), le importazioni di vini fermi italiani hanno chiuso i primi 11 mesi del 2020 in sostanziale pareggio (-0,1%) sul pari periodo 2019, per un corrispettivo di quasi 1,35 miliardi di dollari.

Un risultato che ha permesso al Belpaese di allungare su Francia (-31,3% a valore), Spagna (-12,3%) e Germania (-33,4%), su cui gravano i dazi aggiuntivi del 25% sui vini disposti dall’Ustr per la vicenda Airbus.

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Esteri - News & Wine

Aboliti i dazi sui vini italiani ed europei in Ucraina

Ha effetto dal primo gennaio 2021 l’abolizione dei dazi sui vini italiani ed europei in Ucraina. L’annuncio arriva dal Dipartimento per il commercio internazionale e la cooperazione economica e l’integrazione europea, organismo che risponde al Ministero per lo Sviluppo economico, del Commercio e dell’Agricoltura guidato da Igor Rostislavovich Petrashko.

Lo scorso anno, l’ex Repubblica sovietica ha importato vino per un valore di circa 147 milioni di dollari dall’Unione europea. I dazi all’importazione erano compresi tra 0,3 e 0,4 euro al litro.

La loro eliminazione è la ciliegina sulla torta – in ambito vitivinicolo – degli accordi politici e commerciali dell’Ucraina con l’Ue. Un percorso avviato a tutto tondo nel 2014 e divenuto effettivo nel 2017, non senza ostacoli. Di fatto, Kiev ha così segnato in maniera ancora più profonda il solco con la Russia.

L’agreement con Bruxelles liberalizza gradualmente il commercio, consentendo l’accesso illimitato ai 500 milioni di consumatori del blocco, il mercato unico più grande e ricco del mondo.

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Analisi e Tendenze Vino

Nuovi dazi Usa, Confagricoltura: «Cogliamo flessibilità per chiudere contenzioso»

«I prodotti agroalimentari italiani non sono toccati dalla nuova decisione Usa riguardante i dazi importazioni dalla Ue. Tariffe aggiuntive saranno invece applicate su alcuni vini fermi e liquori in arrivo da Francia e Germania». È quanto precisa Confagricoltura in riferimento all’annuncio, da parte dell’Ufficio del Rappresentante per il commercio internazionale (Ustr) dell’ulteriore sviluppo del contenzioso sugli aiuti pubblici ai gruppi Airbus e Boeing.

Secondo l’amministrazione statunitense, l’Unione europea ha scelto un “metodo ingiusto” per calcolare i dazi sull’import dagli USA in vigore dallo scorso novembre per un ammontare di 4 miliardi di dollari in linea con l’autorizzazione accordata a settembre dall’Organizzazione mondiale del commercio (Wto).

In sostanza, sono stati utilizzati i dati commerciali più recenti che hanno risentito delle conseguenze economiche della pandemia. In questo modo, i dazi aggiuntivi UE sono stati applicati su un numero maggiore di prodotti in arrivo dagli Stati Uniti.

Duemila chef e ristoratori scrivono a Biden per rimuovere i dazi sul vino europeo

La Commissione europea si è rifiutata di rivedere il metodo di calcolo. Pertanto gli Usa hanno deciso di rivedere i dazi doganali in vigore, utilizzando gli stessi riferimenti temporali scelti dalla Ue.

«Vanno eliminate le tariffe doganali che incidono sulle nostre esportazioni di formaggi, tra cui Parmigiano Reggiano e Grana Padano, salumi, agrumi e liquori per un controvalore di circa 500 milioni di euro», sottolinea il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti.

La nuova fase politica che sta per partire negli Usa – prosegue – offre anche l’occasione per far ripartire il dialogo bilaterale sul rilancio del sistema multilaterale di gestione del commercio internazionale.

Dalle prime indicazioni programmatiche risulta che il presidente eletto Biden intenda ridare un ruolo centrale al commercio internazionale delle materie prime agricole».

Dall’ottobre 2019 gli Stati Uniti applicano una tariffa aggiuntiva del 25% sulle importazioni agroalimentari dalla UE. Anche a seguito dei dazi aggiuntivi, da gennaio ad agosto di quest’anno le esportazioni della UE hanno fatto registrare un calo di oltre 690 milioni di euro sullo stesso periodo del 2019.

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Enoturismo

Duemila chef e ristoratori scrivono a Biden per rimuovere i dazi sul vino europeo

Bruxelles non è sola nella battaglia alle tariffs aggiuntive imposte dagli Stati Uniti, in risposta alla controversia Airbus-Boeing. E gli alleati sono proprio all’ombra della Casa Bianca. Attraverso una lettera inviata al neo presidente Joe Biden, duemila chef e ristoratori di tutti gli Stati americani chiedono al Governo Usa di «eliminare i dazi sul vino europeo».

Si tratta della prima delle azioni della neonata Coalition to Stop Restaurant Tariffs, che si batte non solo per il vino ma tutti i prodotti agroalimentari sottoposti a dazi doganali dall’ormai ex presidente Donald Trump.

A capo della “coalizione” ci sono nomi noti della ristorazione americana come Daniel Boulud, Chris Bianco, Nina Compton, Mark Firth, Andrew Fortgang, Thomas Keller, Cheetie Kumar, Mike Lata, Neal mccarthy, Danny Meyer, Kwame Onwuachi, Steven Satterfield, Chris Shepherd, Alice Waters, nonché Mashama Bailey & Johno Morisano. Una battaglia sostenuta dall’Us Wine Trade Alliance (Uswta).

L’associazione guidata da Benjamin Aneff (nella foto sotto) raccoglie importatori, grossisti, agenti di vendita, ristoranti e produttori di vino americani e ha già ottenuto l’appoggio del Washington Post, che attraverso due editoriali ha esortato il presidente eletto Biden a «rimuovere i dazi sul vino europeo nell’ambito di uno sforzo complessivo volto a portare un rapido sollievo all’industria della ristorazione».

Al contempo, l’Us Wine Trade Alliance lavora già ai “commenti” da sottoporre all’attenzione dell’Ustr all’apertura della discussione delle tariffs di febbraio 2021. Un altro appuntamento fondamentale per migliaia di produttori di vino europei, in cui i dazi potrebbero essere rivisti – al rialzo o al ribasso – eliminati, o confermati senza modifiche.

L’obiettivo dell’Alleanza è fare in modo che il team di Joe Biden faccia il suo ingresso all’agenzia del Commercio degli Stati Uniti (Ustr) accompagnato da un largo movimento di protesta contro le tariffs, sostenuto da più fronti.

Una battaglia contro il tempo, dal momento che l’ufficializzazione della candidatura dell’esponente favorito da Biden e dai Democratici per i vertici dell’Ustr, Katherine Tai, non avverrà in tempo per supervisionare il carosello dei dazi di metà febbraio 2021. Attendere agosto 2021, data successiva per la discussione delle tariffs, sarebbe un azzardo.

Dobbiamo convincere il presidente eletto Biden che lo sgravio tariffario dovrebbe essere una delle principali priorità delle sue prime settimane in carica, e questo non è un compito da poco», ammette Benjamin Aneff per conto dell’United State Wine Trade Alliance».

Dazi Usa sul vino, Coldiretti: “Italia graziata, ora Ue dialoghi con Biden”

Nel frattempo, il 31 dicembre, l’Ustr ha annunciato la revisione dei dazi a carico di Francia e Germania. Nelle modifiche, che vedono ancora una volta graziato il vino italiano, sono incluse le nuove categorie di vini fermi e distillati come il Cognac, provenienti dai due Paesi.

In precedenza venivano calcolate tariffs del 25% sui vini fermi non oltre i 14% di alcol in volume e con formati non superiori ai 2 litri, provenienti da Francia, Germania, Spagna e Regno Unito.

Nell’elenco sono stati inclusi anche i vini fermi di Francia e Germania con una percentuale di alcol superiore ai 14% in volume, oltre a quelli di imbottigliati in contenitori superiori ai 2 litri.

Tra i codici doganali inseriti anche quello che riguarda il “vino frizzante” – dunque non lo spumante – non particolarmente in voga nelle importazioni Usa dall’Ue. I vini provenienti dalla Spagna o dal Regno Unito con una percentuale di alcol superiore al 14% o di dimensioni superiori a 2 litri rimangono esenti da dazi. Lo stesso vale per gli sparkling, compreso lo Champagne.

«Questa non è la notizia che volevamo sentire – commenta Benjamin Aneff – ma sottolinea la necessità per l’amministrazione di Joe Biden di apportare modifiche alle politiche tariffarie ricevute in eredità dal suo predecessore, in particolare quelle che arrecano danni sproporzionati alle imprese statunitensi, in questo momento di crisi».

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Dazi Usa sul vino, Coldiretti: “Italia graziata, ora Ue dialoghi con Biden”

“Con l’elezione del nuovo presidente Usa Biden occorre avviare un dialogo costruttivo ed evitare uno scontro dagli scenari inediti e preoccupanti, che rischia di determinare un pericoloso effetto valanga sull’economia e sulle relazioni tra Paesi alleati, in un momento drammatico per gli effetti della pandemia”.

Lo afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini sui nuovi dazi Usa nei confronti di Francia Germania, che entreranno in vigore dal 12 gennaio 2021. Nella lista, oltre componenti degli aeromobili, anche vino e cognac.

“Gli Stati Uniti – aggiunge Prandini – sono il primo mercato extraeuropeo per i prodotti agroalimentari tricolori per un valore che nel 2019 è risultato pari a 4,7 miliardi, con un ulteriore aumento del 2,8% nei primi nove mesi del 2020″.

Airbus-Boeing, 52 giorni in più di dazi Usa su vino e cognac di Francia e Germania

L’Italia è il principale esportatore di vino negli Stati Uniti, per un valore di oltre 1,5 miliardi di euro nel 2019, in leggero calo del 5% quest’anno per effetto della pandemia Covid-19, secondo l’analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi ai primi nove mesi dell’anno.

L’annuncio delle nuove tariffs a carico dei prodotti di Francia e Germania avviene proprio in occasione dell’accordo tra Ue e Cina sugli investimenti. Un patto non gradito agli Usa, che ha visto protagonisti i leader dei due Paesi europei, Angela Merkel e Emmanuel Macron.

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Analisi e Tendenze Vino

Consorzi di Tutela Vini in Italia: funzioni, ruoli e responsabilità su Dop e Igp

Per ciascuna Denominazione di origine protetta (Dop) o Indicazione geografica protetta (Igp) può essere riconosciuto dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali un Consorzio di tutela costituito fra tutti i soggetti inseriti nel sistema di controllo della Denominazione.

Le finalità dei Consorzi di Tutela del Vino italiano sono chiarite dall’articolo 17 del Decreto Legislativo 8 aprile 2010 n. 61, “Tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei vini, in attuazione dell’articolo 15 della legge 7 luglio 2009, n. 88”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 26 aprile 2010.

  • Avanzare proposte di disciplina regolamentare e svolgere compiti consultivi relativi al prodotto interessato, nonché collaborativi nell’applicazione della presente legge.
  • Espletare attività di assistenza tecnica, di proposta, di studio, di valutazione economico-congiunturale della DOP o IGP, nonché ogni altra attività finalizzata alla valorizzazione del prodotto sotto il profilo tecnico dell’immagine.
  • Collaborare, secondo le direttive impartite dal Ministero, alla tutela e alla salvaguardia della DOP o della IGP da abusi, atti di concorrenza sleale, contraffazioni, uso improprio delle denominazioni tutelate e comportamenti comunque vietati dalla legge.
  • Collaborare altresì con le regioni e province autonome per lo svolgimento delle attività di competenza delle stesse.
  • Svolgere, nei confronti dei soli associati, le funzioni di tutela, di promozione, di valorizzazione, di informazione del consumatore e di cura generale degli interessi della relativa denominazione, nonché azioni di vigilanza da espletare prevalentemente alla fase del commercio, in collaborazione con l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agro-alimentari e in raccordo con le regioni e province autonome.

È consentita la costituzione di Consorzi di Tutela per più denominazioni di origine ed indicazioni geografiche, “purché le zone di produzione dei vini interessati, così come individuate dal disciplinare di produzione, ricadano nello stesso ambito territoriale provinciale, regionale o interregionale” e “purché per ciascuna denominazione di origine o indicazione geografica sia assicurata l’autonomia decisionale in tutte le istanze consortili”.

Il riconoscimento da parte del Ministero delle Politiche Agricole alimentari e forestali è attribuito al Consorzio di tutela che ne faccia richiesta solo ad alcune condizioni.

  • Sia rappresentativo, tramite verifica effettuata dal Ministero sui dati inseriti nel sistema di controllo ai sensi dell’articolo 13, di almeno il 35 per cento dei viticoltori e di almeno il 51 per cento della produzione certificata dei vigneti iscritti allo schedario viticolo della relativa DO o IG riferita agli ultimi due anni.
  • Sia retto da uno statuto che rispetti i requisiti individuati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e consenta l’ammissione, senza discriminazione, di viticoltori singoli o associati, vinificatori e imbottigliatori autorizzati, e che ne garantisca una equilibrata rappresentanza negli organi sociali.
  • Disponga di strutture e risorse adeguate ai compiti.

Il Consorzio riconosciuto che intende esercitare nei confronti di tutti i soggetti inseriti nel sistema dei controlli della DOP o IGP, le funzioni di tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e cura generale degli interessi relativi alla denominazione è tenuto a dimostrare, tramite verifica effettuata dal Ministero sui dati inseriti nel sistema di controllo, la rappresentatività nella compagine sociale del consorzio di almeno il 40 per cento dei viticoltori e di almeno il 66 per cento della produzione certificata, di competenza dei vigneti dichiarati a DO o IG negli ultimi 2 anni.

Il Consorzio così autorizzato, nell’interesse di tutti i produttori anche non aderenti, può:

  • Definire, previa consultazione dei rappresentanti di categoria della denominazione interessata, l’attuazione delle politiche di Governo dell’offerta, al fine di salvaguardare e tutelare la qualità del prodotto DOP e IGP, e contribuire ad un miglior coordinamento dell’immissione sul mercato della denominazione tutelata, nonché definire piani di miglioramento della qualità del prodotto.
  • Organizzare e coordinare le attività delle categorie interessate alla produzione e alla commercializzazione della DOP o IGP;
  • Agire, in tutte le sedi giudiziarie ed amministrative, per la tutela e la salvaguardia della DOP o della IGP e per la tutela degli interessi e diritti dei produttori.
  • Svolgere azioni di vigilanza, tutela e salvaguardia della denominazione da espletare prevalentemente alla fase del commercio.

Queste ulte attività sono distinte dalle attività di controllo e sono svolte nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria e sono svolte sotto il coordinamento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agro-alimentari e in raccordo con le regioni e province autonome.

L’attività di vigilanza, come recita ancora l’articolo 17 del Decreto Legislativo 8 aprile 2010, è “esplicata prevalentemente nella fase del commercio” e consiste nella verifica che le produzioni certificate rispondano ai requisiti previsti dai disciplinari, e che prodotti similari non ingenerino confusione nei consumatori e non rechino danni alle produzioni DOP e IGP.

Agli agenti vigilatori incaricati dai Consorzi, nell’esercizio di tali funzioni, può essere attribuita la qualifica di agente di pubblica sicurezza nelle forme di legge ad opera dell’autorità competente ed i consorzi possono richiedere al Ministero il rilascio degli appositi tesserini di riconoscimento, sulla base della normativa vigente.

Gli agenti vigilatori già in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza mantengono la qualifica stessa, salvo che intervenga espresso provvedimento di revoca. Gli agenti vigilatori in nessun modo possono effettuare attività di vigilanza sugli organismi di controllo ne’ possono svolgere attività di autocontrollo sulle produzioni.

Il Consorzio è autorizzato ad accedere al Sian per acquisire le informazioni strettamente necessarie ai fini dell’espletamento di tali attività per la denominazione di competenza.

I costi derivanti dalle attività sono a carico di tutti i soci del Consorzio, nonché di tutti i soggetti inseriti nel sistema di controllo, anche se non aderenti al Consorzio, secondo criteri stabiliti dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali.

I consorzi di tutela incaricati di svolgere le funzioni in favore delle DOP o delle IGP possono inoltre chiedere ai nuovi soggetti utilizzatori della Denominazione, al momento della immissione nel sistema di controllo, il contributo di avviamento di cui al decreto-legge 23 ottobre 2008, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2008, n. 201, secondo i criteri e le modalità che saranno stabilite dal Mipaaf.

Il Consorzio di Tutela Vini può proporre l’inserimento, nel disciplinare di produzione, come logo della DOP o della IGP, il marchio consortile precedentemente in uso o un logo di nuova elaborazione.

Il logo che identifica i prodotti DOP e IGP è detenuto dai Consorzi di tutela per l’esercizio delle attività loro affidate ed è utilizzato come segno distintivo delle produzioni conformi ai disciplinari delle rispettive DOP o IGP.

È fatta salva la possibilità per i consorzi di detenere ed utilizzare un marchio consortile, a favore degli associati, da sottoporre ad approvazione ministeriale e previo inserimento dello stesso nello statuto.

L’articolo 27 del Decreto Legislativo 8 aprile 2010 identifica invece le possibili “Inadempienze dei Consorzi di tutela” e ne determina le sanzioni di carattere pecuniario:

  • Al Consorzio di tutela autorizzato che non adempie alle prescrizioni o agli obblighi derivanti dal decreto di riconoscimento o ad eventuali successive disposizioni impartite dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, ovvero svolge attività che risulta incompatibile con il mantenimento del provvedimento di riconoscimento, qualora non ottemperi, entro il termine di quindici giorni, alla specifica intimazione ad adempiere e fatta salva la facoltà del Ministero di procedere alla sospensione o alla revoca del provvedimento stesso, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da cinquemila euro a cinquantamila euro.

È sottoposto alla sanzione amministrativa pecuniaria da seimila euro a sessantamila euro il Consorzio che, nell’espletamento delle sue attività, pone in essere comportamenti che hanno l’effetto di:

  • discriminare tra i soggetti associati appartenenti ad uno stesso segmento della filiera, ovvero appartenenti a segmenti diversi, quando la diversità di trattamento non e’ contemplata dallo statuto del consorzio stesso.
  • Porre ostacoli all’esercizio del diritto all’accesso al consorzio.
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“Le wine influencer? Dovrebbero limitarsi ad allietare gli astanti con la mercanzia”

Nell’Italia dei lupi travestiti da agnelli, passeranno in sordina le dichiarazioni sessiste di un produttore di Erbaluce di Caluso, Camillo Favaro, che si è scagliato in maniera veemente contro le cosiddette “wine influencer“?

“Non sapendone di vino e, molto spesso, non conoscendo la lingua italiana scritta, dovrebbero limitarsi ad allietare gli astanti, esclusivamente con la mercanzia di cui dispongono e di cui, evidentemente, vanno particolarmente orgogliose”.

Così il produttore piemontese, socio Fivi, in un commento affidato al social Facebook, che ci è stato segnalato da una lettrice. Timida ma decisa la reazione di una sola utente, una produttrice veneta con la quale Favaro si scusa, senza però cancellare la sparata, o riuscire a rimediare con parole davvero sentite.

Del resto, quel commento, aveva già raccolto 12 reazioni positive: sarà mica che “like” e “cuoricini” piacciono anche a certi produttori (vanitosi) di vino, e non solo alle “wine influencer”? Cin, cin.

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Consumo di vino giù del 70%, allarme Chianti. Preoccupa lockdown Germania

Un tracollo del 70% del consumo di vino è il costo stimato dell’ultimo decreto del Governo che chiude i locali alle 18. L’allarme arriva dal del Consorzio Vino Chianti, ma anche da Coldiretti, che sottolinea oggi i timori per il lockdown in Germania, una delle piazze privilegiate del Made in Italy enologico.

Tremila produttori per 15.500 ettari di vigneto e una produzione di 800 mila ettolitri. Questi i numeri del Chianti, che lancia la carica contro il decreto 24 ottobre, a poche ore dalle nuove misure del governo Conte.

“Il 70 per cento del vino si consuma dall’aperitivo in poi – spiega il presidente del Consorzio, Giovanni Busi – è un colpo durissimo al settore.  Tutto questo senza considerare che i ristoratori, i locali e  le enoteche si sono adattati puntualmente ad ogni disposizione, accogliendo i clienti in totale sicurezza. Hanno fatto sacrifici economici importanti, anche indebitandosi ulteriormente, pur di restare aperti”.

Nella situazione attuale, continua il presidente, “era necessario adattare le restrizioni alle realtà locali e alle condizioni di lavoro delle attività, per garantire i lavoratori e le aziende. Invece si è preferito agire in maniera dura, anche confusa, per tamponare un oggettivo problema di organizzazione che questo Governo continua a manifestare”.

Di fronte a una situazione critica, “il Governo si è mostrato assente e sordo – aggiunge Busi – Continua questa brutta abitudine di annunciare ristori e misure di sostegno senza poi concretizzare in tempi brevi. Ci sono ancora lavoratori che aspettano la cassa integrazione dei mesi estivi, c’è sempre troppo burocrazia che soffoca le imprese, soprattutto le più piccole”.

Altri paesi europei hanno garantito almeno il 75% dell’incasso, noi ancora siamo troppo indietro.  Sarebbe necessario anche garantire un accesso al credito più facile, oggi completamente assente, eliminando temporaneamente gli accordi di Basilea”.

Molta preoccupazione anche per le previsione sul Natale, problema che riguarda anche il settore della birra, come evidenziato dall’intervista esclusiva pubblicata ieri da WineMag.it. “Con il virus dobbiamo convivere ancora per diverso tempo – conclude Busi – ora il Governo deve prendere provvedimenti concreti altrimenti il fallimento di interi settori economici sarà inevitabile”.

COLDIRETTI: “NECESSARIA UN’AGENZIA UNICA”

Con il lockdown in Germania e la chiusura di bar e ristoranti sono a rischio 7,2 miliardi di export agroalimentare Made in Italy, con il Paese di Angela Merkel che è quello che nel mondo apprezza di più la cucina italiana, anche per il record in Europa di locali e pizzerie che si richiamano alla tradizione enogastronomica tricolore.

È quanto emerge da una analisi della Coldiretti in occasione dell’inizio del lockdown in Germania, dove la chiusura di bar e ristoranti durerà almeno un mese. Una misura destinata ad avere un impatto sulle esportazioni di cibo e vino Made in Italy con il rischio concreto “di una inversione di tendenza dopo che le spedizioni avevano fatto registrare un aumento del 7% nei primi sette mesi del 2020 nonostante le difficoltà”.

“A preoccupare – continua la Coldiretti – sono in realtà le misure restrittive annunciate per la ristorazione in tutta Europa, dalla Francia dove le nuove chiusura di bar e ristoranti in tutto il Paese sono in vigore dal weekend ma anche in Svizzera, Austria, Grecia e Inghilterra che è il quarto mercato di sbocco dell’italian food nel mondo dopo Germania, Francia e Usa”.

Le esportazioni agroalimentari nazionali avevano raggiunto nel 2029 il valore record di 44,6 miliardi di euro con un aumento del 3,5% nei primi sette mesi del 2020 che difficilmente sarà mantenuto a causa delle misure restrittive rese necessarie in molti Paesi per contenere il contagio.

Un elemento di difficoltà che si aggiunge alla contrazione dei consumi interni con le vendite di cibi e bevande nel settore della ristorazione in Italia che sono praticamente dimezzate (-48%) nel corso dell’anno con un impatto drammatico a valanga sull’intera filiera, dai tavoli dei locali fino alle aziende agricole e alimentari nazionali.

“Per fronteggiare gli effetti della pandemia sull’export – sottolinea il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – vanno aiutate le imprese a superare questo difficile momento e  va preparata la ripresa con un piano straordinario di internazionalizzazione con la creazione di nuovi canali e una massiccia campagna di comunicazione per le produzioni 100% Made in Italy”.

“Occorre superare l’attuale frammentazione e dispersione delle risorse puntando, in primo luogo, ad una regia nazionale attraverso un’Agenzia unica che accompagni le imprese in giro nel mondo con il sostegno delle Ambasciate dove vanno introdotti anche adeguati principi di valutazione delle attività legati, per esempio, al numero dei contratti commerciali”.

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Nuovo Dpcm, ristorazione in ginocchio: Fipe scende in piazza il 28 ottobre

A nulla sono valsi gli appelli del settore della ristorazione e del vino italiano. In base al nuovo Dpcm del 24 ottobre, gli esercizi commerciali dovranno chiudere alle ore 18. Sul nuovo provvedimento interviene anche la presidenza Fipe-Confcommercio, riunitasi d’urgenza ieri.

Il 28 ottobre, la Federazione sarà presente in 21 piazze d’Italia “per ribadire i veri valori del settore (economici, sociali, culturali ed antropologici) messi in seria discussione dagli effetti della pandemia da Covid-19, che sta mettendo a repentaglio la tenuta economica del settore, l’occupazione (a rischio oltre 350 mila posti di lavoro) e il futuro di oltre 50 mila imprese“.

“Fipe – si legge in una nota – esprime nuovamente perplessità e contrarietà alla chiusura dei pubblici esercizi alle ore 18. Per la ristorazione è impedita l’attività del servizio principale della giornata, mentre per i bar si tratta di un’ulteriore forte contrazione dell’operatività“.

La contrarietà si aggiunge alla consapevolezza che non esiste connessione tra la frequentazione dei Pubblici Esercizi e la diffusione dei contagi, come dimostrato da fonti scientifiche, che attribuiscono piuttosto ad altri fattori -mobilità, sistema scolastico e mondo del lavoro- le principali fonti di contagio”.

La Federazione ha preso atto delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio Conte relativi ad interventi urgenti e specifici a favore del settore. “Pur apprezzando l’impegno dal Governo”, continua la presidenza Fipe, la Federazione si è “immediatamente attivata affinché gli stessi siano economicamente significativi, certi e immediatamente esigibili per tutte le imprese del settore”.

Anche Coldiretti chiede interventi mirati. “Le limitazioni alle attività di impresa – sottolinea il presidente della Ettore Prandini – devono dunque prevedere un adeguato sostegno economico lungo tutta la filiera e misure come la decontribuzione protratte anche per le prossime scadenze superando il limite degli aiuti di Stato”.

Era stato lo stesso premiaer Giuseppe Conte, il 18 ottobre, a confermare l’intenzione del Governo agli aiuti ai settori più colpiti dall’emergenza Covid-19, come turismo e ristorazione. In particolare, Conte ha annunciato “strumenti di tutela dagli effetti economici della crisi”, nella Legge di Bilancio 2021.

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Oiv, bilaterale con Bellanova: focus su export e internazionalizzazione vino italiano

Il piano strategico 2020-2024 dell’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (Oiv), il possibile ruolo dell’Italia, in considerazione del peso che il nostro Paese ha nel settore vitivinicolo e le strategie da attuare per sostenere il comparto, tra i più economicamente colpiti dalla crisi generata dal Coronavirus.

Sono stati questi alcuni dei temi trattati nel corso del bilaterale svoltosi ieri, 22 ottobre, al Mipaaf tra la Ministra Teresa Bellanova e il Direttore Generale dell’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino, Pau Roca. Un confronto cordiale che ha toccato a 360 gradi le questioni relative al settore e si è voluto soffermare anche sul futuro, a partire da export e internazionalizzazione.

L’Italia mantiene un forte interesse nelle attività dell’Oiv e in quanto primo produttore mondiale di vino ha interesse ad un rafforzamento dell’Organizzazione, in termini di membri e di capacità di indurre il rispetto di standard comuni”, ha affermato Bellanova nel corso del colloquio.

E ancora: “Stiamo attraversando tutti un momento molto difficile e delicato a causa della pandemia e in questo contesto l’intero settore del vino, dai produttori alle aziende, sta vivendo una fase di seria difficoltà che ci preoccupa molto. Oggi più che mai ritengo quindi che l’Oiv abbia una grande responsabilità nel fornire il supporto tecnico e scientifico necessario ad aiutare il settore e confermo la volontà italiana di contribuire al meglio”.

Per ottenere risultati soddisfacenti – ha proseguito – è necessario un reciproco supporto. Siamo disponibili a continuare a sostenere le iniziative dell’organizzazione e nel contempo auspichiamo che le nostre richieste in ambito OIV ricevano la massima considerazione”.

Per quanto riguarda i mercati esteri, la Ministra ha sottolineato l’apprezzamento italiano per gli sforzi volti ad avvicinare la Cina, un attore sempre più importante sui mercati mondiali, e ha espresso preoccupazione per la recente norma russa sull’etichettatura dei vini, “che sta danneggiando il nostro export ed appare lontana dagli standard Oiv”.

In particolare, tra gli altri aspetti, nella normativa 468 FZ del Cremlino è assente la protezione delle indicazioni geografiche, oltre a prevedere la facoltà delle Autorità russe ad effettuare ispezioni ed azioni di controllo negli stabilimenti europei.

In materia di promozione, Bellanova ha convenuto sull’opportunità di vagliare nuove iniziative, tra cui la possibilità di un padiglione Oiv all’Expo di Osaka 2025, pur con attenzione alla sostenibilità finanziaria.

Nel confronto è stato anche affrontato il tema della trasformazione digitale del settore vitivinicolo, su cui il Direttore Generale dell’Oiv ha riconosciuto la leadership italiana e le possibilità di un’accresciuta cooperazione.

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Amazon Prime Day, vino protagonista: da Amarone a Champagne piovono sconti

Vino protagonista di Amazon Prime Day. Anche nel 2020, la due giorni di super offerte del colosso americano – programmata per il 13 e 14 ottobre – ha visto interessate alcune etichette di vino italiano e internazionale. Si va dall’Amarone (Santa Sofia, per citarne uno) allo Champagne (Laurier e Taittinger), passando per cantinette frigo, stopper, calici, decanter e libri di enologia.

Tanti i brand del Made in Italy vinoso interessati dalle offerte Amazon Prime. In promozione si può trovare vini come il Cannonau della sarda Argiolas, il Nobile di Montepulciano e il Toscana Igt di Rocca delle Macìe e Jacopo Biondi Santi.

C’è anche il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro di Giacobazzi, il Pinot Nero di St. Michael-Eppan, il Collio Doc Sauvignon di Ronco del Frassino e il Traminer-Sauvignon Blanc di Cantine Fina. Super scontati anche Hofstatter, Santero, Tommasi, Notte Rossa.

Tra i “vini più venduti”, risulta già la Vernaccia di San Gimignano Docg 2019 “Villa Cusona” di Guicciardini Strozzi, cantina guidata dalla presidente del Consorzio di Tutela del bianco toscano, Irina Guicciardini Strozzi: 38,70 euro al posto di 77,40 euro, per un cartone da 6 bottiglie. Dall’estero, oltre a Champagne e Crémant, anche Sherry, Porto, Whisky, Rum, amari e birre. Ancora poche ore per approfittare delle offerte Amazon Prime Day.

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