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Il Primitivo di Morella: la vigna nel calice


“Quando vi porgo i vini di Morella, in realtà vi sto mostrando le mie vigne di Manduria“. Dopo tante peregrinazioni, e soprattutto dopo un lungo viaggio che l’ha portata dall’Australia all’Italia, più di vent’anni fa, Lisa Gilbee ha imparato l’arte del pragmatismo.

Mentre nei calici respirano quattro annate di Primitivo “La Signora“, “Old Vines” e “Mondo Nuovo“, lei se ne esce con una frase tanto semplice, quanto diretta. Un manifesto ideologico del vitigno pugliese più famoso al mondo. La sua celebrazione più intima. E, al contempo, la sua decostruzione sintattica, grammaticale.

Del resto, non ci si può aspettare che la rivoluzione da una capace di sentirsi a casa a Manduria, pur arrivando dall’altra parte del globo. Quello di Morella, la cantina fondata dall’enologa Lisa Gilbee e dal marito Gaetano Morella nel 2000, è un Primitivo (di Manduria) senza Doc: in etichetta recita “Salento Igp”. Per molti versi una outsider-insider della Denominazione.

La cantina non fa parte del Consorzio di Tutela, del quale non condivide le scelte strategiche, a partire dal disciplinare di produzione “dalle maglie larghe”. Senza contare che si tratta di un Primitivo (di Manduria) “Gioioso”: assimilabile cioè – per caratteristiche di finezza, freschezza ed eleganza – più ai “parenti” baresi di Gioia del Colle, che ai conterranei tarantini.

La nostra è un’azienda che si muove da sola – sintetizza la pragmatica Lisa Gilbee – per scelta. Abbiamo le nostre idee e per quelle mettiamo la faccia e il nome. Siamo biodinamici, ma ormai una decina di anni fa, dopo aver capito che avevamo a che fare con troppi ‘talebani’, siamo usciti pure dal mondo dei vini naturali, che ci sembrava il più affine alla nostra idea produttiva”.

“Una nicchia – continua la fondatrice di Morella – in cui si parla troppo di pratiche di cantina, piuttosto che di vigna. Di solforosa, di puzze spacciate per pregi e di macerazioni, piuttosto che di vigneto. È lì che nascono i nostri vini. Ed è di vigna che vorremmo sempre parlare con chi li assaggia”.

L’occasione a Radici del Sud 2019, l’evento giunto quest’anno alla 14a edizione. In Puglia, fino al prossimo 10 giugno, un folto gruppo di giornalisti e buyer italiani e internazionali, alla scoperta delle bellezze enogastronomiche della regione.

LA DEGUSTAZIONE E I PUNTEGGI


Salento Igp Primitivo 2015 “La Signora”: 89/100

Rosso rubino carico. Naso intenso, tipico, frutto rosso compostissimo (ciliegia senza accenno di surmaturazione). Richiami balsamici, di mentuccia e chiodo di garofano. In bocca potente, altrettanto tipico. Speziatura molto elegante. Alcol presente non disturbante. Accenni di cioccolato nel retro olfattivo. Vino scultoreo e al contempo ammaliante.

Salento Igp Primitivo 2015 “Old Vines”: 92/100
Rosso rubino carico. Vino connotato da una gran concentrazione, in tutte le sue sfaccettature. In bocca si rivela molto consistente, tattile. Note di arancia candita, sulla ciliegia matura. In bocca è fresco, l’alcol ben integrato. Il frutto rosso è di gran croccantezza, impreziosito da ricordi di radice di zenzero. Lunghissimo. Chapeau.

Salento Igp Primitivo 2015 “Mondonuovo”: 90/100
Rosso rubino carico per questo vino di terroir che, al naso, proprio per la magrezza del terreno, lascia spazio ai terziari conferiti dal legno (tostato più che vaniglia). In bocca un bel gioco tra verticalità e polpa. Il succo rotola su un tannino ruvido, senza sminuire un nettare che ha trova nella facilità di beva e nella freschezza il suo valore aggiunto. Un Primitivo immediato, diretto: straight to the point.

Salento Igp Primitivo 2011 “Old Vines”: 89/100
Rosso rubino carico, primi riflessi granati. Al naso è il campione della batteria dai risvolti salini e minerali più marcati, accanto a ricordi di cioccolato. In bocca il tannino è ancora una volta vivo e di prospettiva, ma elegante e ben integrato. Chiusura sulla macchia mediterranea, con sbuffi di spezia e pepe.

Salento Igp Primitivo 2005 “Old Vines”: 97/100
Rosso tendente al granato. Primo naso che regala leggerissimi sentori selvatici tipici del vitigno, ma anche una macchia mediterranea netta. Frutto rosso tra il polposo e il croccante, di grandissima precisione. In bocca la corrispondenza è perfetta. Il frutto è succosissimo, i tannini sono distesi, la freschezza straordinaria. Un vino emozionante.

Salento Igp Rosato 2018 “Mezzarosa”: 85/100
La novità di casa Morella, che dopo le resistenze di Lisa Gilbee ha deciso di mettere sul mercato la prima etichetta di rosato salentino. Negroamaro e Primitivo si dividono il blend, con leggera predominanza del primo. Color rosa antico. Naso di frutto di bosco e ciliegia, con accenni agrumati.

Richiami minerali e freschi, che ricordano la brezza marina. In bocca salato, forse troppo. Sicuramente un rosato giocato sulle durezze, a caccia di una veste elegante ed essenziale non centrata appieno. Accenni di polpa solo in chiusura, “coperta” da sale e alcol.

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eventi vini#02 visite in cantina

Anche il Nero di Troia tra i “Barolo del Sud”: provare per credere quello di Giancarlo Ceci


ANDRIA –
Quando si pensa al Sud Italia e ai suoi vini più longevi, spesso si cita l’Aglianico del Vulture, o il Gaglioppo di Cirò. Vitigni che trovano un degno alleato in uno dei territori della Puglia meno conosciuti dal grande pubblico, fagocitato dalla popolarità del Primitivo e del Negroamaro.

Quel vitigno è il Nero di Troia. E quel territorio è la provincia di Barletta-Andria-Trani, stretta tra Bari e Foggia. La terra della giovane Docg Castel del Monte Rosso Riserva e della Doc che porta il nome del maniero ottagonale fatto erigere nel XIII secolo da Federico II di Svevia.

È Radici del Sud 2019 a regalare l’emozionante degustazione di quattro annate di “Parco Marano” (2006) e Felice Ceci (2007, 2008, 2009) della cantina Giancarlo Ceci di Andria, tutte ottenute da Nero di Troia in purezza.

Un approfondimento pensato per la stampa e i buyer nazionali e internazionali da Nicola Campanile, promotore del Salone dei vini e degli oli del Mezzogiorno, giunto quest’anno all’edizione numero 14. Il tasting consente di annoverare il Nero di Troia tra i vini-varietà più longevi d’Italia.

LA DEGUSTAZIONE E I PUNTEGGI


Castel del Monte Doc Rosso 2006, “Parco Marano”: 94/100

Colore che tiene ancora alla perfezione, nonostante i 13 anni sulle spalle. Naso complesso, armonico, più che mai vivo e in continua evoluzione nel calice. Arancia rossa netta, che traghetta note ferrose e sanguigne. Macchia mediterranea. Miele leggero.

Al contempo note profonde, balsamiche, ed eteree: mentuccia e cuoio, fumo di sigaro. In bocca freschissimo e speziato, su descrittori corrispondenti al naso. Annata con poche pioggia, che ha favorito la corretta maturazione fenolica. Prezzo in enoteca da non credere: solo 14 euro. Vino da compare a cartoni, da dimenticare in cantina.

Castel del Monte Rosso Riserva Doc 2007, Felice Ceci: 92/100
Primo anno di produzione, il 2007. Nel 2006 scompare il padre dell’attuale titolare della cantina, Giancarlo Ceci, che dedica a papà Felice l’etichetta del migliore cru aziendale. Un vino ottenuto da un biotipo particolare di Nero di Troia, connotato da un acino piccolo. Colore perfetto, tinte granate intense. Il naso regala un frutto più maturo della precedente annata.

Al contempo il tannino marca il sorso in maniera più netta. Buona freschezza e succosità. Chiusura leggermente piccante, speziata, su richiami di salamoia di olive nere. Altro vino più che mai vivo e dinamico. La pioggia di luglio e agosto, nel 2009, ha generato un ritardo leggero nella maturazione polifenolica, giunta comunque a perfetto compimento.

Castel del Monte Rosso Riserva Doc 2008 “Felice Ceci”: 90/100
Il colore tiene, eccome. Naso ancora una volta intenso, sul frutto di bosco, sul ribes. Di nuovo l’arancia sanguinella e quella percezione sanguigna e ferrosa. Al palato meno freschezza degli altri, ma più sapidità.

Tannino che scandisce un sorso sabbioso, fruttato e cioccolatoso. Vino tutt’altro che seduto, assimilabile all’etichetta 2006, se non altro per l’andamento climatico simile tra le due annate. Lo dimostra, in chiusura di sipario, una balsamica freschezza, unita a spolverate di spezia nera.

Castel del Monte Rosso Riserva Doc 2009 “Felice Ceci”: 89/100
E’ il più cupo dei vini in batteria. Il più timido. Si fa aspettare come una bella donna sotto casa, la sera del primo appuntamento. I richiami di radice di liquirizia e rabarbaro portano il naso su un profilo terroso.

La freschezza, in centro bocca, solleva il sorso dopo l’ampia boccata di frutto, ancora nascosto sotto la coltre di un tannino vivo, che sta familiarizzando col resto delle componenti, tentando di integrarvisi. Si riconferma ancora una volta speziata e intrigante la chiusura. Vino da aspettare.

LA CANTINA GIANCARLO CECI


E’ un mix di tradizione e innovazione quello che sta alla base della filosofia della cantina Giancarlo Ceci di Andria. Strenuo sostenitore della biodinamica e dei suoi “principi scientifici”, Ceci litiga col padre per trasformare l’azienda di famiglia in un baluardo dell’agricoltura “sostenibile”. La certificazione Demeter arriva nel 2011.

Nel team, oltre alla figlia Clara, l’enologo “resident” Michele Paolicelli, motivatissimo (e preparatissimo) 29enne del posto, coadiuvato dal consulente enologo esterno, Lorenzo Landi. Una nave rema tutta nella direzione del capitano.

Sono nato e vissuto in questa azienda che si tramanda da otto generazioni – dice Giancarlo Ceci – e la mia infanzia e adolescenza a contatto con la natura hanno creato un legame indissolubile con essa. Auguro a tutti i ragazzi lo sviluppo di questo legame che servirà loro per tutta la vita”.

Tra i progetti per il futuro, il consolidamento delle linee senza solfiti aggiunti. Mentre nel cuore della famiglia Ceci continua a battere il Nero di Troia. “Un vitigno noto nell’800 come Rosso di Barletta – ricorda ancora il patron della cantina di Andria – da dove partiva via nave per la Francia”.

Sulle pareti della cantina museo, le bolle di accompagnamento testimoniano i rapporti degli antenati di Giancarlo Ceci con diverse compagnie d’Oltralpe, ma anche del Nord Italia, tra cui diverse piemontesi.

“Il successo delle uve di Nero di Troia fuori regione, dove veniva usato per dare struttura tannica ai vini – ammette il produttore – è l’unica ragione per la quale questo vitigno è arrivato ai giorni nostri. Si tratta infatti di una varietà che produce poco ed è facilmente soggetta a malattie”.

Caratteristiche che ancora oggi contraddistinguono questo “Barolo del Sud”, dalle rese che difficilmente si discostano dai 90-110 quintali per ettaro, in casa Ceci. Un tesoro da continuare a preservare, nel tempo e per il tempo.

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I vini cileni biodinamici di Rodrigo Soto: Ritual, Primus e Neyen

Si parla spesso del Cile come di un Paese che aggredisce le economie internazionali, proponendo etichette di vino di scarsa qualità, a prezzi ridicoli.

Un Cile che inonda d’uva da taglio il Sudamerica (e non solo) dove sta invece crescendo il consumo consapevole di vino. I vini cileni di Rodrigo Soto, produttore incontrato all’ultima edizione del ProWein di Dusseldorf, in Germania, costituiscono l’altra faccia della medaglia.

A labor of love“. Una questione d’amore, per questo appassionato enologo e winemaker, produrre vino secondo i principi della viticoltura biologica e biodinamica. Una missione “strettamente legata alla terra coltivata, alla salubrità del suolo e ai rituali artigianali del vino”.

Seguendo i ritmi della natura. Un modo “nuovo” di fare viticoltura in uno dei Paesi, il Cile, spesso citato quando si parla di New World wines, i “Vini del Nuovo Mondo“.

Per il suo progetto biodinamico, Rodrigo Soto ha scelto in particolare tre zone, convertendole a una produzione attenta e di assoluta qualità, riunite sotto il tetto di González Byass, uno dei marchi storici del Cile del vino

  • Veramonte, la parte più a Est della Casablanca Valley, sferzata dalle fresche correnti del Pacifico (Ritual Estate)
  • Apalta, un’area influenzata dalla presenza del fiume Tinguiririca, nella Colchagua Valley (Primus Estate)
  • I terrazzamenti a mezzaluna di Apalta, un microclima unico all’incontro tra la catena montuosa delle Ande e la parallela Coastal Range, la Catena Costiera (Neyen Estate)

I MIGLIORI ASSAGGI

Sauvignon Blanc 2016, Ritual. Fermentazione in legno per questo Sauvignon che svela i tratti internazionali del vitigno, con una spinta aromatica intrigante. Il gioco tra l’acidità esplosiva e la morbidezza è parte integrante di un sorso difficile da dimenticare.

Chardonnay Supertuga 2016, Ritual. Giallo dorato che “tradisce” l’utilizzo di un legno forse ancora troppo invasivo, al naso. Una punta “piccante”, però, incuriosisce e invita a proseguire con entusiasmo l’analisi. In bocca l’ingresso è dritto, verticale, ma destinato ad ammorbidirsi.

Bello il contrasto tra la vaniglia – nota predominante del retro olfattivo – e il cesto di agrumi (pompelmo e buccia di lime) che sembrano spremuti nel momento centrale del sorso. Il nettare mostra solo in un secondo momento i suoi tratti più mansueti, disegnati appunto dal sapiente utilizzo del legno. Vino di prospettiva.

Pinot Noir 2016, Ritual. Una varietà relativamente nuova, piantata qui negli anni Novanta, nei primi anni della denominazione di Casablanca. Anche in questo calice la presenza al naso di richiami erbacei netti, che smorzano la finezza del frutto, rivelando però la territorialità del calice. La rivincita assoluta è al palato: una vera e propria rivincita per le note di melograno, lampone e mora che dominano il sorso, anche in un finale lungo.

Neyen 2013. Blend ottenuto per il 55% da Carmenere, completato da un 45% di un antico clone di Cabernet Sauvignon. Un vino da provare almeno una volta nella vita per la “misura” con cui riesce ad esprimere la propria ampiezza. Un nettare complesso, che evolve nel calice di minuto in minuto.

Naso e bocca non risentono particolarmente dei 18 mesi di affinamento in legno francese, per il 50% nuovo. La frutta di libera preziosa, accarezzata da un tannino di seta e da terziari composti che richiamano, in particolare, la liquirizia. Un vino decisamente gastronomico.

Carmenere 2016, Primus. Paprica, peperone e pepe per il naso di un Carmenere che si rivela verde, ma senza sbavature. Non mancano richiami balsamici mentolati, che completano il bouquet assieme alla frutta rossa.

In bocca sorprende per equilibrio e finezza, con una rotondità inaspettata. Il vino più facile da bere di quelli proposti in degustazione da Rodrigo Soto, pur evidenziando ulteriori margini di affinamento.

Syrah Alcaparral 2015, Ritual. Un Syrah col cappotto, che cresce (e bene) anche lontano dai climi caldi che sembra preferire a livello internazionale. La nota di pietra focaia è la cifra dell’assaggio: quella che ne connota l’unicità.

In bocca è rotondo in ingresso, prima di lasciar spazio a un’acidità vibrante. Chiusura su note vegetali e speziate che riportano a una dimensione mondiale questo tipicissimo Syrah cileno.

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I migliori assaggi al Merano Wine Festival 2017

Due giorni di degustazioni al Merano Wine Festival 2017. E l’imbarazzo della scelta nello stilare una “classifica” dei migliori assaggi. Si è chiusa martedì pomeriggio in grande stile, al Kurhaus, con Catwalk Champagne (100 etichette di 40 aziende francesi tra le più note e prestigiose) l’edizione 2017 del “salotto bene” del vino italiano.

Organizzazione pressoché impeccabile nelle varie location che hanno ospitato il ricco calendario di eventi. Tanti professionisti, pochi curiosi. Biglietti da visita che finiscono in poche ore, tra un assaggio e l’altro.

Perché il Wine Festival di Helmuth Köcher, per il vino italiano, sta al business quasi quanto il Prowein di Dusseldorf. Per le sale, a caccia di “chicche”, tanto importatori, distributori ed enotecari quanto buyer della Gdo (segnalata la presenza, tra gli altri, dell’attento buyer di Coop).

Peraltro, con un occhio alla sostenibilità delle pratiche agricole in vigna, visto l’ampio spazio dedicato ai vini naturali, biologici, biodinamici e Piwi dall’evento d’apertura “Bio&Dynamica”. Una classifica, quella dei migliori vini degustati al Merano Wine Festival 2017 da vinialsuper, che tiene conto anche di questo aspetto.

I MIGLIORI SPUMANTI
1) Riserva Extra Brut Alto Adige Doc 2011 “1919”, Kettmeir. Sul podio una bollicina altoatesina da vertigini. A produrla è Kettmeir, azienda del gruppo vinicolo Santa Margherita di stanza in via Cantine 4, a Caldaro.

Sessanta ettari complessivi, per una produzione che si aggira attorno alle 400 mila bottiglie: 120 mila sono di spumante, di cui 70 mila metodo classico. Il progetto, come spiega l’enologo Josef Romen, è quello di incrementare ulteriormente gli sparkling nei prossimi anni, “senza perdere territorialità”.

Naso fine ed elegante per la Riserva Extra Brut 2011 “1919”, tra il candito d’arancia e l’arnica. Il blend di Chardonnay (60%) e Pinot Nero (40%) funziona, al palato, al ritmo di una bollicina che esalta nuovamente note d’agrumi, questa volta in grado di ricordare la buccia del lime. E una balsamicità tendente alla spezia.

Il Pinot Nero, raccolto in un vigneto circondato dai boschi, a 700 metri sul livello del mare, ci mette i muscoli e la “zappa” sulla lingua. Lo Chardonnay la cravatta e il savoir-faire. Immaginate una Ricola buttata in un bicchiere d’acqua e sale: eccolo lì, questo tagliente Extra Brut. Sul gradino più alto del podio. “E’ una prova – chiosa Romen – per capire fino a dove possiamo arrivare”. Di questa cantina se ne sentirà parlare bene e a lungo. Purché si decida a cambiare colore alla Riserva in questione: sembra quella di uno spumante rosè.

2) Blanc de Blanc Extra Brut Franciacorta Docg 2011 “Elite”, Mirabella. Interessante realtà della Franciacorta “alternativa”, la cantina Mirabella. Si presenta ai banchi di Merano con un “Senza Solfiti” che ti sfida sin dall’etichetta, essenziale ma pretenziosa, con quel nome di fantasia che chiama i tempi dei cavalieri. Ma è una dama dalla chioma bionda, l’export manager Marta Poli, a servire la sfida nel calice.

Sboccatura 2016, 48 mesi sui lieviti per questo Chardonnay in purezza. “Elite” si presenta di un giallo invitante. Al naso crema pasticcera, burro, arancia candita, liquirizia. Palato pieno, secco, corrispondente nei sentori. Chiusura di gran pulizia su una bocca di pompelmo, prima del nuovo capolino della crema pasticcera. A colpire è l’evoluzione di questo spumante nel calice, sensibilissimo alle temperature di servizio.

Gioca col termometro questo figlio della Franciacorta che avanza, giovane e dinamica. Scaldandosi, libera note di erbe aromatiche e di macchia mediterranea. E la crema pasticcera, mista a quella speziatura dolce di liquirizia, diventa crème brûlée: la parte alta, quella col caramello elegantemente bruciacchiato. Chapeau.

Aggiungi al curriculum che si tratta di un “Senza Solfiti” (fra 3 e 6 mg/l). Che è il frutto di 10 anni di sperimentazioni da cui sono scaturite quatto tesi universitarie. Che è il “primo metodo classico italiano Docg senza solfiti e senza allergeni”. E il quadro è davvero completo.

3) Alto Adige Doc Extra Brut 2012 “Cuvée Marianna”, Arunda. Sessanta mesi sui lieviti per questo metodo classico altoatesino della nota casa di Molten (Meltina, BZ), 4 g/l di dosaggio: 80% Chardonnay elaborato al 100% in barrique (dal primo al quinto passaggio), più un 20% di Pinot Nero vinificato in bianco, che fa solo acciaio.

Vini base da Terlano e Salorno, vendemmie 2009, 2010 e 2011. E’ lo sparkling dedicato a “Marianna”, moglie di Joseph Reiterer: i due decidono assieme come bilanciare la cuvée, prima di metterla in commercio. Cinque, massimo 6 mila bottiglia totali.

Giallo dorato nel calice, naso di frutta a polpa gialla (albicocca non matura), lime, bergamotto. Non manca una vena balsamica, che porta il naso tra le montagne: in particolare ai sentori mentolati tipici dei semi dell’angelica. Una gran freschezza, insomma, che al palato si tramuta in un gran carattere: buccia di arancia, ricordi di menta, una punta di liquirizia.

Piacevolmente tagliente il gioco tra l’acidità e la sapidità spinta. Poi, d’un tratto, “Cuvée Marianna” sembra ammorbidirsi: siamo tra il finale e il retro olfattivo, che assume tinte di vaniglia bourbon. Un signor spumante, dal rapporto qualità prezzo eccezionale.

Segnalazioni
Bianco dell’Emilia Igt Frizzante Secco 2016 “L’Ancestrale nativo”, Terraquila:
Sboccatura à la volée per questo frizzante di Terraquila. Siamo in Emilia Romagna, per un blend di Pignoletto e Trebbiano che non può mancare nella cantina degli amanti dei vini dritti, diretti, “salati”.

Moscato Giallo Igt Veneto 2016, Maeli: Vino frizzante dei Colli Euganei, più esattamente ottenuto sui Colli di Luvigliano, tra le Dolomiti e Venezia. Una realtà, Maeli, che punta tutto sul Fior d’Arancio, nome locale del Moscato Giallo che, nell’occasione, si presenta in un calice capace di sfoderare note sulfuree, di grafite e fruttate di nettarina matura. Corrispondente al palato, tra il sale e la frutta.

VINI BIANCHI
1) Vigneti delle Dolomiti Igt 2008 “Julian”, Weingut Lieselehof. E’ l’edizione del Merano Wine Festival che segnerà la definitiva consacrazione sul mercato di molti vini Piwi, acronimo di Pilzwiderstandfähig, riferito alle “viti resistenti” a malattie come oidio, peronospora e botrite, tutte originate da funghi.

Weingut Lieselehof, cantina della famiglia Werner Morandell situata a Caldaro, in Alto Adige, è all’avanguardia da questo punto di vista. E sul podio dei vini bianchi di viniasuper finisce proprio “Julian”, vendemmia 2008: un blend tra due varietà Piwi qualità hyperbio: Bronner (60%) e Johanniter (40%).

Se il Bronner, per certi versi, ricorda lo Chardonnay, è il Johanniter a dare l’impronta (soprattutto olfattiva, ma anche gustativa) del Riesling. Un sinonimo di longevità che ritroviamo appunto anche nella degustazione del blend Julian, straordinariamente vivo. A partire dal colore: un giallo dorato stupendo.

Alle note di idrocarburo fanno eco richiami di erbe di montagna, camomilla e miele. Di primo acchito, al naso, questo bianco di casa Lieselehof sembra aver fatto barrique. In realtà è solo chiuso e necessita tempo per aprirsi, scaldandosi un poco tra le mani.

Acidità ancora viva (rinvigorita da ricordi di agrumi come il pompelmo, ingentiliti da quelli della pesca matura) per un vino destinato a durare ancora a lungo nel tempo. Lungo il retro olfattivo, tutto giocato sul rincorrersi di freschi sentori di erbe mediche.

2) Secondo posto nella nostra speciale classifica per due vini, pari merito. Li elenchiamo in ordine di assaggio. Il primo è il Grillo Terre Siciliane Igt Canaddunaschi 2016, della Società agricola Le sette Aje di Cannata Rosalia e S.lle. Biodinamico non certificato per questa piccola cantina di Santa Margherita di Belice, in provincia di Agrigento, che utilizza i principi dell’omeopatia in vigna, sottoponendo le piante a veri e propri “vaccini” contro le malattie.

Una realtà tutta al femminile, presa sotto l’ala “protettiva” da una delle donne del vino simbolo della regione: Marilena Barbera, presso la quale avviene la vinificazione delle uve Grillo de Le Sette Aje, in vasche d’acciaio di proprietà. Il risultato è eccezionale. Tremilacinquecento bottiglie in totale per l’annata 2016. Qualcuna di più per la 2017.

Giallo dorato ammaliante e naso intrigante, tutto giocato sulle erbe aromatiche. Macchia mediterranea in primo piano, ma anche mentuccia. In bocca è una vera e propria esplosione: un Grillo pieno, ricco, carico, caldo: corrispondente al naso per le sensazioni che conferiscono una freschezza e un corpo da campione, assieme a una bilanciata sapidità.

Chiude lungo, riuscendo a sorprendere ancora nello sfoderare inattese note di burro e crema pasticcera. Un contrasto interessantissimo tra le durezze e le morbidezze, che regala un sorso unico. A 15 euro circa (al consumatore) uno dei migliori bianchi in circolazione in Italia, per l’annata 2016.

Gli mettiamo accanto un altro vino difficile da dimenticare. Per farlo saliamo dalla Sicilia alla Campania. Raggiungiamo il beneventano per il racconto della Falanghina 2016 “Donnalaura” di Masseria Frattasi. Siamo nella terra d’elezione della Falangina, a Montesarchio, dove la cantina coltiva il biotipo campano e un altro clone, ancora più raro, dotato di una vena acida ulteriormente accentuata. Siamo poco sotto i 920 metri sul livello del mare, per un vino estremo, di “montagna”.

Donna Laura è la nonna di Pasquale Clemente, patron di Masseria Frattasi a cui è dedicato questo bianco dalle caratteristiche uniche. Si tratta infatti di una Falanghina da vendemmia tardiva. Le uve restano sulla pianta fino al 15 novembre, concentrando così zuccheri e aromi. Vengono poi vinificate in acciaio e, prima dell’imbottigliamento, passano 6 mesi in barrique nuove di rovere francese.

Una scommessa perfettamente riuscita quella di compensare con la concentrazione su pianta la vena tipicamente acida della Falanghina. Il risultato è un vino che si presenta di un giallo paglierino molto carico. Naso eccezionalmente fine e “montano”: arnica, resina di pino, liquirizia, una lieve nota dolciastra che ricorda per certi versi quelle della veneta Glera e un richiamo sottile di vaniglia, assimilabile al legno della barrique.

In bocca, l’ingresso è di quelli tipici dell’uvaggio: caldo, acido, quasi tagliente. Una sensazione accentuata dal sollevarsi delle note balsamiche già percepite al naso, che rinfrescano ulteriormente il sorso. Grande lunghezza per un retro olfattivo che fa emergere note delicate di surmaturazione, con ricordi di miele d’eucalipto.

3) Frühroter Veltliner 2015, Schmelzer Weingut. Ci spostiamo in Austria per questo “orange” capace di regalare vere e proprie emozioni. Più esattamente a Gols, piccolo Comune a sud est di Vienna, non lontano dai confini con Slovacchia e Ungheria.

Il vitigno in considerazione è il Frühroter Veltliner, autoctono austriaco nato dall’incrocio spontaneo tra Grüner Sylvaner (Silvaner verde) e Roter Veltliner (Veltliner Rosso). Solo una delle ottime etichette prodotte da Georg ed Elisabeth Schmelzer, in stretto regime biodinamico.

Cinque settimane di fermentazione in barrique di rovere aperte, con batonnage due volte al giorno. Il succo viene poi trasferito in altre barrique, a riposare per un anno. Quindi, il Frühroter Veltliner di Schmelzer viene imbottigliato. Ne risulta un orange velato, che sprigiona sentori pieni, intensi, di zenzero e arancia candita, ma anche di frutta tropicale matura: ananas, papaya.

Bocca corrispondente, ma con bella vena sapida: le note agrumate dominano il palato, ben bilanciate da quelle dolci, esotiche. Un vino gastronomico di grande interesse. Rimanendo tra i “bianchi” di casa Schmelzer, ottimo anche il Gruner 2016, con le sue note di fiori secchi e una vena sapida, rude.

4) Trentino Doc Gewurztraminer 2016, Cantina Endrizzi. Medaglia di “legno” per il coraggio di questa cantina di San Michele all’Adige. Capace di andare controcorrente, proponendo sul mercato un Gewurztraminer dal taglio serio, senza la stucchevolezza “piaciona” in voga tra i tanti competitor (grandi nomi compresi). Per di più, il rapporto qualità prezzo è eccezionale.

E’ ottenuto dai vigneti Masetto e Maso Kinderleit, situati in zona collinare, attorno alla cittadina della provincia di Trento. Un Gewurz, quello di Endrizzi, che conserva tutta l’aromaticità tipica del vitigno, svestita di qualsiasi risvolto pacchiano. Gran pienezza in un sorso che risulta caldo, visti i 14 gradi, tutti di “sostanza”, quasi di “materia tattile”, e non della morbida lascivia dello zucchero. Un bianco che non stanca mai.

Segnalazioni
Langhe Doc Nascetta 2013 “Se'” e 2016, Poderi Cellario: le potenzialità di “invecchiamento” dell’autoctono piemontese sono evidenti nella mini verticale proposta da Fausto Cellario, appassionato vignaiolo che sa trasmettere entusiasmo e amore per la propria terra;

Bianco fermo 2016 “89-90”, La Piotta: si discosta in maniera elegante dalla media dei vini bianchi passati in barrique questo vino bio e vegan dell’Azienda Agricola La Piotta. Utilizzo ineccepibile del legno sullo Chardonnay, a smorzare le asperità del Riesling. Luca Padroggi è un giovane che farà parlare (bene) dell’Oltrepò pavese, a lungo.

Lugana Dop Bio 2016, Perla del Garda: “Cru” di 4 ettari per dare vita a una Lugana potente, tanto piena e intensa quanto fine, con fresche note di mentuccia ad accostare la vena tipicamente sapida.

Vernaccia di San Gimignano Docg 2016, Fattoria di Pancole: Come molte delle aziende presenti al Merano Wine Festival 2017, Fattoria di Pancole fa Gdo (per l’esattezza con Conad in Toscana, 25 mila bottiglie l’anno). Si presenta al banco con la Vernaccia top di gamma, capace di esaltare appieno le caratteristiche del vitigno, presentando ottimi margini di affinamento futuro.

Igt Marche Bianco 2016 “Corniale”, Conventino: Non poteva mancare la segnalazione di un vino bianco quotidiano. Per farlo voliamo nella zona Nord delle Marche, da Conventino. Siamo a Monteciccardo, in provincia di Pesaro e Urbino. Semplice ma tutt’altro che banale il suo Corniale 2016. Acidità al rintocco di sentori di kiwi, mela verde, lime e pompelmo, ben calibrati con una bocca beverina, giustamente sapida. Davvero un bell’Incrocio Bruni 54.


VINI ROSSI
1) Beneventano Igt Aglianico 2015 “Kapnios”, Masseria Frattasi. Di nuovo questa straordinaria cantina campana sul podio del Merano Wine Festiaval 2017 di vinialsuper. Il miglior rosso è ottenuto da uve Aglianico amaro del Taburno in purezza, allevate nella zona di Montesarchio, Tocco e Bonea, a un’altitudine compresa tra i 500 e i 600 metri sul livello del mare.

Le uve, raccolte a metà novembre, vengono appassite in due modi: in parte appese e in parte su graticci, all’interno di un piccolo caseggiato coperto da tegole di terracotta. Passaggio in rovere nuovo, prima dell’ulteriore affinamento in bottiglia, per un anno.

Ne scaturisce un vino dal rosso rubino intrigante, sgargiante. Il naso è di quelli che ti fanno innamorare del bordo del calice: piccoli frutti a bacca rossa e nera, erbe di montagna, ginepro, miele d’eucalipto. Un’infinità di sentori, pronti a spuntare di minuto in minuto. E il palato non delude: caldo, esageratamente pieno, di frutta fragrante e liquirizia dolce, ma anche di caffé tostato. Un vino di cui innamorarsi.

Straordinario – ancor di più in ottica futura – anche il Cabernet Sauvignon 2015 “Kylyx” di Masseria Frattasi. Viti appositamente innestate su portinnesto debole: se ne portano in cantina solo 2 grappoli. Mille bottiglie in totale per la vendemmia 2015 (2016 non prodotto).

Acciaio prima e barrique di rovere francese poi (14 mesi) per questo Cab ottenuto dal recupero di un terreno abbandonato, circondato dal bosco. Naso che esalta appieno le caratteristiche del vitigno, con la sua vena sia vegetale sia piccante. Tannini e acidità di immensa prospettiva, ben corroborati da una mineralità unica.

2) Alto Adige Doc Pinot Nero 2007 “Villa Nigra”, Colterenzio Schreckbichl. Cornell è la linea dei “cru” di cantina Colterenzio, dalla quale peschiamo l’argento della nostra speciale classifica dei migliori vini degustati al Merano Wine Festival. In particolare, a colpire, è il Pinot Nero vendemmia 2007 ottenuto – come tutti i vini della “Selezione” Schreckbichl (Colterenzio) – da vigneti che godono di particolari condizioni d’eccellenza: altitudine di 400 metri, esposizione a sud ovest su terreni ghiaiosi e calcarei di origine morenica, con microclima fresco. Resa di 35 ettolitri per ettaro.

Nel calice, il Pinot Nero 2007 di Colterenzio di presenta ancora come un giovincello: il classico rubino di buona trasparenza, tipico del re degli uvaggi altoatesini a bacca rossa. Un naso finissimo di mirtillo e fragolina di bosco, ma anche di ciliegia, con una punta leggerissima di pepe, anticipa sentori più evoluti tendenti al dolce (miele d’acacia), senza mai trascinare il quadro olfattivo in disomogenee percezioni di marmellata.

Nel calice c’è il bosco. E lo si capisce anche dai richiami “vegetali” al muschio e alla menta. In bocca, questo Pinot Nero è più che corrispondente: la spalla acida è ancora muscolosa, il tannino levigato ma ancora in grado di dire la sua. A completare il quadro, richiami minerali salini che contribuiscono a chiamare il sorso successivo. Beva eccezionale per questo vino che ha ancora davanti diversi anni sulla cresta dell’onda.

3) Vigneti delle Dolomiti Igt Teroldego 2012 “Gran Masetto”, Cantina Endrizzi. Conquista il podio, dopo la medaglia di “legno” tra i vini bianchi, Cantina Endrizzi con il suo prodotto di punta: un Teroldego fatto alla maniera dell’Amarone, col 50% delle uve diraspate e sottoposte per circa tre mesi ad appassimento in celle refrigerate, alla temperatura di 10 gradi.

Uve raccolte nello storico vigneto di Masetto, tra i Comuni di Mezzolombardo e Mezzocorona, in provincia di Trento. Il risultato è un vero e proprio Teroldego alla seconda. Colore rosso purpureo, impenetrabile. Naso tipico, rinvigorito dai sentori affascinanti del parziale appassimento, che non coprono la fragranza della ciliegia e della prugna per il quale si fa apprezzare il re dei vini rossi trentini.

Grande pulizia ed eleganza anche in un palato corrispondente, arricchito da preziosi richiami di polvere di cacao. Un vino che fa venir voglia d’aver davanti un piatto di selvaggina. O, perché no? Un buon libro.

Segnalazioni
Toscana Igt “Argena”, Orlandini Aziende Agricole Forestali (verticale). In degustazione le annate 2000, 2001, 2003, 2004, 2005 e 2006. Un vino unico, prodotto dalla famiglia Orlandini da un vecchio vigneto di Sangiovese con piccole quantità di Cabernet Sauvignon. Un microclima particolare, circondato da boschi, sulle colline situate tra il Castello di Gargonza ed il Castello del Calcione, a metà tra Arezzo e Siena.

Tutte le annate di Argena conservano le caratteristiche dell’annata, a riprova del metodo col quale opera la famiglia Orlandini, che non ama “uniformare” al gusto comune i propri gioielli. Anzi. Tra tutte le etichette, segnaliamo quelle di Argena 2004 e 2005: “nasi” pregevoli, tra la frutta (ciliegia) e la macchia mediterranea (rosmarino) e sapore armonico, corroborato da tannini tutt’altro che mansueti.

Barbera d’Alba Doc Superiore 2015 Vigna Serraboella, Rivetti Massimo. Siamo a Neive, in provincia di Cuneo, Piemonte. L’azienda agricola Massimo Rivetti sfodera due Barbaresco 2013 diversi ma ugualmente meritevoli di attenzione: il primo, Froi, è di “easy” e di “pronta beva”; il secondo, “Serraboella”, ottenuto da un cru sulla stessa collina di “Froi”, è incredibilmente fine e presenta tannino e acidità di gran prospettiva.

Ma è l’outsider Barbera d’Alba Superiore 2015 “Serraboella” a fare davvero centro nel cuore. Si tratta di una selezione ottenuta da una singola vigna di 75 anni, la più vecchia dell’azienda, nel cru “Serraboella”. Due anni in barrique di rovere francese 1/3 nuove e 2/3 di secondo passaggio. Naso da campione, tra il frutto rosso e la liquirizia dolce, con un accenno di cuoio e un sottofondo di erbe di montagna. Corrispondente al palato, dove si conferma una Barbera destinata ad essere molto longeva.

Zweigelt 2015, Schmelzer Weingut. Abbiamo già incontrato questa cantina austriaca tra i migliori vini bianchi. Tra tutti i vini proposti in degustazione, a colpire c’è anche un rosso: lo Zweigelt. Si tratta di un incrocio tra St. Laurent con il Blaufränkisch, noto anche con il nome di Blauer Zweigelt, Rotburger e Zweigeltrebe.

In sintesi? Un vino da provare, destinato al pubblico (sempre più vasto) degli amanti dei vini naturali. Colore rosso rubino poco trasparente, ovviamente velato, trattandosi di un non filtrato. Alle note di piccoli frutti a bacca rossa, risponde al naso una vena di iodio che ritroveremo al palato: more mature, ribes nero maturo, una nota amarognola tipica di erbe come il rabarbaro. Tannino vigoroso, sapidità straordinariamente bilanciata col resto dei descrittori. Un “vino wow”.

Nebbiolo d’Alba “Il Donato”, La Torricella di Diego Pressenda. Vino di grande prospettiva questo Nebbiolo prodotto a Monforte d’Alba da La Torricella. Frutti rossi, frutta secca, pepe, tabacco dolce. Tannino equlibrato, ma in chiara evoluzione. Ottimo anche il Barolo 2013.

PASSITI E VINO COTTO
1) Bronner “Sweet Claire”, Weingut Lieselehof. Si tratta di un passito da Bronner, vitigno Piwi di qualità hyperbio. E siamo sempre in casa Lieselehof, già premiata tra i bianchi per lo strepitoso “Julian 2008”.

In questo caso, uve Bronner in purezza essiccate in inverno e pressate a febbraio. Giallo oro luccicante, note di agrumi (lime e limone), pesca e albicocca sciroppata, una punta di idrocarburo. In bocca c’è corrispondenza, arricchita ulteriormente dalla freschezza di note di menta piperita pressata, quasi concentrata. Stra-or-di-na-rio.

2) Erbaluce di Caluso Doc Passito 2009 “Alladium”, Cieck. Cieck è sinonimo di Erbaluce di Caluso, uno dei grandi vini bianchi piemontesi, capaci di prestarsi a un ottimo invecchiamento. Sul podio di vinialsuper finisce nella categoria passiti con “Alladium”. Deliziosamente avvolgente al naso, con le sue note agrumate e candite. Caldo e freddo allo stesso tempo, come quando si mette il naso nel talco. Corrispondente al palato, con un finale fresco.

3) Vino Cotto Stravecchio “Occhio di Gallo”, Cantina Tiberi David. Vera e propria “chicca” al Merano Wine Festival 2017, prossimamente tra i banchi del Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi 2017. Parliamo della cantina Tiberi David di Loro Piceno (MC), patria del “vino cotto”, localmente chiamato “lu vi cottu”.

Un vino dalle origini nobili, che questa bella realtà a conduzione famigliare (nella foto sopra Emanuela Tiberi con il figlio Daniele Fortuna) è riuscita a far apprezzare nei salotti del Kurahus, con la stessa genuinità del prodotto. Tipico colore “occhio di gallo” (ambra) nel calice per le annate 2003 e 2005, ottenute dalla “cottura” di uve Verdicchio, Trebbiano, Montepulciano e Sangiovese.

Grande complessità in un naso e in un palato corrispondenti, con note di frutta passita e spezie calde. Perfetto accompagnamento per una vasta gamma di dessert, ma anche per i formaggi.

Fotogallery dei migliori assaggi al Merano Wine Festival 2017, compresi fuori classifica

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Assalto al castello di Barolo: tornano i Vini Corsari

Trenta vignaioli europei. Un solo denominatore comune: producono, tutti, vini non convenzionali. Vini anti omologazione. Vini unici, bottiglia per bottiglia.

Si terrà il prossimo 3 e 4 dicembre l’edizione 2017 di Vini Corsari, manifestazione promossa dall’Associazione Culturale Giulia Falletti, in collaborazione con la Cantina Giuseppe Rinaldi e Os Goliardos, associazione portoghese nota per Vinho ao Vivo.

Splendida cornice dell’evento, il Castello di Barolo, dove sarà possibile degustare i vini dei vignaioli presenti e acquistare i preferiti. Venti euro il costo del ticket di ingresso giornaliero, valido dalle ore 11 alle 18.

Biglietti in prevendita a 15 euro sino al 15 novembre (via email all’indirizzo: vinicorsari@gmail.com). Tante le chicche presenti, alcune delle quali raccontate da vinialsuper in occasione dell’edizione 2016 di Vini Corsari (qui l’articolo).

PAROLA D’ORDINE “ARTIGIANI”
“Per la quinta volta – spiega la corsara Marta Rinaldi – il paese di Barolo ospiterà una degustazione di vini non originari della sua appellazione, permettendo al pubblico di scoprire vini di altri territori, con l’ambizione di stimolare il dialogo interculturale tra produttori e con il pubblico. Si tratta di vignaioli che condividono un approccio artigianale al vino, con l’intento di restituire nelle loro produzioni il terroir, tutelato e valorizzato, attraverso una viticoltura rispettosa dell’ambiente e volta ad esercitare e approfondire i saperi e le pratiche pazientemente forgiate dalle generazioni precedenti”.

“Il fatto che Barolo accolga un incontro di vignaioli di altri luoghi – continua la massima rappresentante dell’Associazione Giulia Falletti – rappresenta un’apertura allo scambio, alla dialettica e alla condivisione tra vignaioli di diverse regioni europee che sono militanti senza proclami, per una causa comune attraverso l’etica di produzione dei loro vini”.

Il successo della prima edizione ha stimolato gli organizzatori a presentare nuovi vignaioli alla kermesse 2017. “L’entusiasmo espresso l’anno scorso sia dei vignaioli sia del pubblico presente – continua Marta Rinaldi – ci dà la voglia di consolidare e approfondire questa manifestazione, che nasce da forti legami tra di noi e prende slancio da sogni e ambizioni che incontrano così uno spazio collettivo, grazie al quale uscire del confine privato delle discussioni bilaterali, acquistando valore ed eco”.

PERCHE’ VINI CORSARI?
Il nome Vini Corsari, come spiegano gli organizzatori, rimanda all’opera di Pier Paolo Pasolini “Scritti Corsari”. Omaggio allo scrittore, artista e anche polemista, che in questo lavoro raccoglie una serie di articoli tematici, condannando, già 40 anni fa, l’omologazione culturale, la perdita di diversità e di individualità culturali locali italiane. 
E incoraggiando atteggiamenti di dissenso nei confronti di una società consumistica e schiava delle mode.

“Pasolini – spiega Rinaldi – è difensore di un’autenticità senza artifici: amante del vino perché vicino alla rustica semplicità del mondo contadino. L’ambizione pasoliniana di un approccio ancorato ai territori, complesso, carnale e ricco di sfumature, è lo stesso che si rivendica quando ci si accosta al tema del vino”.

“Lontano dalle etichette biologiche, biodinamiche e naturali – continua Marta Rinaldi – la nostra esperienza vinicola ci esorta a scoprire i vini alla loro sorgente, perché ci sia restituita un’idea concreta del luogo, del territorio e della loro storia; per poter infine apprezzare quei vignaioli che ci introducono nella loro dimensione fisica e temporale, al di là delle loro certificazioni o etichette”.

Inoltre, il tema dei “Vini Corsari” rimanda alla dimensione del viaggio e della scoperta: un navigare in un’epoca turbata dalle crisi culturali e dalla scomparsa dei saperi artigianali. “Il viaggio continua nel vino – assicurano gli organizzatori – che, in questa degustazione, ci farà navigare dal Portogallo all’Italia, tra profumi, gusti e strutture ben distinti. Infine, dell’aspetto corsaro, noi esaltiamo lo spirito filibustiere, provocatore nonché goliardico”.

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