Frank e Cindy ti guardano stralunati. Pesci fuor d’acqua. Con in mano un calice di vino. Vuoto. “We’re looking for american Barbera. We love american Barbera. Where is it?”. Vaglielo a spiegare, alla coppia agée d’americani in tour a Barolo, che alla rassegna di Vignaioli Corsari in programma a Castello Falletti non figurano aziende a stelle e strisce. Tradotto: scordatevi la vostra Barbera. Glielo fai capire con le buone. Mentre il discorso vira, lento come i fumi dell’alcol, verso altri lidi: “We love Barbera, and we love Donald Trump. He’s a good person. Hillary Clinton is fake. Believe in us!”. Lo faremo. Ma da domani. Oggi, piuttosto, è il giorno dei bilanci per la rassegna di vini europei organizzata dall’Associazione culturale Giulia Falletti al Castello di Barolo. Affluenza a tre zeri che soddisfa i promotori dell’evento, con i sotterranei del maniero letteralmente presi d’assalto da un pubblico eterogeneo, tra cui figurano tanti giovani.
“Siamo molto contenti di vedere volti nuovi rispetto alla scorsa edizione – commenta Marta Rinaldi – con ottocento persone ai nostri banchi d’assaggio, tra le giornate di domenica 4 e lunedì 5 dicembre. I produttori sono sempre 30, ma quest’anno abbiamo avuto il piacere di ospitarne di nuovi, rappresentando zone d’Europa prima non considerate. Lo spirito è rimasto lo stesso: prima di tutto l’amicizia. E poi lo scambio di esperienze tra diversi produttori. Vini Corsari non è solo un festival per un pubblico amante dei vini artigianali, ma anche un’occasione per i vignaioli di incontrarsi e scambiare parecchio, tra di loro e con il territorio del Barolo”. Una zona volutamente non rappresentata ai banchi d’assaggio, che non hanno visto intervenire nessuno dei grandi interpreti locali delle uve Nebbiolo e Barbera. “Però – sottolinea ancora Marta Rinaldi – sono molti i produttori delle Langhe che hanno partecipato alle degustazione e alle cene con i loro colleghi europei”. Una quarta edizione che ha visto la collaborazione di “amici” portoghesi e francesi, al fianco dell’Associazione culturale Giulia Falletti. E un risultato, a conti fatti, davvero prezioso per l’accuratezza della selezione di produttori intervenuti. Tutti capaci di esprimere un livello qualitativo altissimo, attraverso le loro opere: i loro vini.
LA DEGUSTAZIONE Con fatica, noi di vinialsuper proviamo a identificare qualche vino ‘sopra le righe’ degustato alla quarta edizione di Vini Corsari. Tra gli italiani, una menzione speciale per i vini rossi va di diritto a Cristiana Galasso di Feudo D’Ugni. Memorabile il suo Montepulciano d’Abruzzo 2013 “Rudero”, ottenuto da vendemmia tardiva. Vino rosso da tavola, di quelli che si scordano i Consorzi delle Doc. Troppo bello per essere vero il frutto rosso che si materializza al naso, sotto forma di sublime confettura. Una concentrazione e una carica gusto olfattiva di rara bellezza, per un vino capace di accompagnare piatti della tradizione abruzzese, tanto quanto non sfigurerebbe in un ristorante stellato di qualsiasi capitale del mondo.
Ma Cristiana Galasso di professione fa la “vignaiola fiammiferaia”. E se le fai i complimenti, arrossisce. Del Montepulciano d’Abruzzo 2013 ne ha prodotte solo 300 bottiglie. In ognuna deve averci lasciato un pezzo del cuore umile sfoggiato a Barolo. Bottiglia dal valore inestimabile. Da amare, sorso dopo sorso. Così come splendido è il Cerasuolo da uve Montepulciano rimaste poche ore a contatto con le bucce e vinificato in cemento e acciaio. Imbottigliamento dopo 15 mesi, con un pizzico di solforosa.
Un rosato indimenticabile, per struttura e intensità. Capace, al contempo, di assicurare la beva leggera, estiva, caratteristica delle vinificazioni in bianco. Tra gli altri rossi a Barolo, una menzione speciale va all’intera elegante produzione della Tenuta di Valgiano, Lucca, che con Moreno Petrini ha portato in degustazione gli ottimi “Tenuta di Valgiano Rosso” 2013 e 2011 e, soprattutto, “Palistorti” 2012.
Dall’altra parte della sala degustazioni allestita a Castello Falletti, ecco il nostro eroe dei vini bianchi italiani presenti in rassegna. E’ Patrick Uccelli di Tenuta Dornach, Salorno (Bolzano), Alto Adige. Uno capace di mettere il punto sul Gewurztraminer con il suo “G.”, vendemmia 2015. Nel senso che ti manda a capo, tanto è in grado di spiazzarti in un gioco quasi diabolico tra un naso più che convenzionale (ma curioso) dominato dal litchi e un palato dirompente, persistente, di sorprendente tannicità verde. Quel colore rosato, dovuto al contatto di un mese con le bucce dello splendido uvaggio autoctono altoatesino, non poteva che portare a tale conclusione. Ma te ne rendi conto troppo tardi. Proprio per colpa di quell’olfatto così convenzionale. Poi la bocca ti frega. E sono pernacchie che ti ricorderai a lungo.
Tre ettari e mezzo che nel 2017 diventeranno 4,5, per Tenuta Dornach. E una filosofia spiegata con chiarezza dal quell’eterno Peter Pan che sembra essere il 42enne Patrick Uccelli, vignaiolo giocoliere. “Io e la mia famiglia produciamo tutto in biodinamico dal 2009 e speriamo che un giorno tutto il mondo del vino operi in questo regime. Ma il cambiamento è assurdo pensarlo in tempo reale. Sarebbe arrogante. Ci vuole pazienza, è inutile forzare le tappe”.
A pari merito con Dornach, impossibile, tra i vini bianchi italiani, non citare l’intera produzione de La Castellada di Giorgio e Nicolò Bensa, realtà che opera in Friuli Venezia Giulia. Più esattamente a Oslavia, Gorizia. Tutti vini importanti, da aspettare, quelli presenti al banco degustazione corsaro. Il Collio Doc 2010 Bianco della Castellada è sublime. Ottenuto da un 50% Pinot Grigio, un 30% Chardonnay e un 20% Sauvignon da vigne di età compresa tra i 20 e 50 anni, pare una caramellina al palato. Per poi accendersi d’improvviso, come il fuoco su un terreno impregnato di benzina, svelandosi caldo, strutturato, poderoso. E dotato di un finale senza fine. Il Pinot Grigio, come spiega al banco di degustazione il preparatissimo Stefano Bensa, viene colto e subito pressato. Il mosto viene fatto dunque fermentare in barrique, con lieviti indigeni. Chardonnay e Sauvignon fermentano a contatto con le bucce per 4 giorni.
Poi vengono travasati in barrique per completare la fermentazione. Seguono 11 mesi in barrique e 12 mesi in vasca d’acciaio inox di affinamento, più ulteriori 12 mesi in bottiglia, senza filtrazione. Sontuoso il Collio Doc Bianco Riserva 2006 “Vrh”: un blend ottenuto al 75% da Chardonnay, cui viene sommato un 25% Sauvignon di vigne di 45 anni di marna Eocenica. I grappoli vengono diraspati e il pigiato posto a fermentare in tini aperti di rovere di Slavonia, per 2 mesi. Fermentazione alcoolica e malolattica a contatto con le bucce. Seguono 36 mesi in botte grande di rovere di Slavonia, 12 mesi in vasca d’acciaio inox. In bottiglia senza filtrazione, esprime un 14,5% di alcol in volume. Dieci ettari di vigneto per La Castellada nel goriziano, per un totale di 25-30 mila bottiglie prodotte annualmente. Azienda tutta da scoprire e da amare al primo sorso.
Rimaniamo in Italia per segnalare altri due bianchi coraggiosi. Il Liguria di Levante Igt “Poggi Alti” 2015 dell’Azienda Agricola Santa Caterina di Sarzana è un vino di grande prospettiva, capace di far tornare alla mente i grandi bianchi liguri di quel genio anarchico di Fausto De Andreis, one man company di Rocche del Gatto. “Fermentazione in tini aperti d’acciaio e maturazione in gres”, spiega Andrea Kihlgren, che così mira a preservare e valorizzare i varietali del Vermentino. “Facevo altro nella vita – continua il vignaiolo dal cognome svedese, tramandato dal padre – ma quando ho deciso di dedicarmi a tutto tondo al vino ho capito subito che una via ‘tiepida’ non faceva per me. Questo è un lavoro che bisogna sentire dentro e che fa fatto con coscienza, oppure bisognerebbe fare altro”. Un degno compagno di De Andreis, insomma. Dentro e fuori dal calice. Ad accomunarli, ovviamente, anche i problemi con il Consorzio per il riconoscimento di una Denominazione d’origine controllata a cui, entrambi, hanno ormai rinunciato su parte della produzione.
Merita un plauso, infine, il coraggio di Les Petits Riens di Regione Chabloz, Aosta, piccola realtà a metà tra Morgex e Saint Vincent. L’unica ad allevare, nell’intera Valle d’Aosta, l’Erbaluce di Caluso. Nasce così Petit Bout De Lun 2014, un bianco curioso, la cui vinificazione avviene all’80% in acciaio e al 20% in barrique, dove resterà a maturare 15 mesi, prima dell’imbottigliamento. Un vitigno, l’Erbaluce, scelto per conferire acidità a uno Chardonnay altrimenti stanco. Altra curiosità: i vini de Les Petits Riens sono tutti turati con il sughero, ricoperto da cera d’api. Un altro modo per sottolineare il profondo legame del vino con il territorio d’origine.
Tra le bollicine presenti a Vini Corsari 2016, non poteva che spuntarla il sontuoso Franciacorta Docg Pas Dosé 2011 “Il Contestatore” dell’Azienda Agricola Il Pendio di Michele Loda (Monticelli Brusati, Brescia). Un Metodo Classico ottenuto in purezza da uve Chardonnay, provenienti dai gradoni più alti della vigna. Capace di surclassare l’unica maison di Champagne presente ai banchi di degustazione, La Closerie, con il solo “Le Beguines” (prezzo tra gli 80 e i 90 euro) a discostarsi da una produzione fin troppo piaciona e commerciale, fondata sul Pinot Meunier.
GLI STRANIERI C’è una cantina che più delle altre ha saputo convincere tra i Corsari 2016. L’avreste mai immaginato? Proviene dalla Svizzera. Più esattamente dal Vallese. Quel Valais che, in estate, vi abbiamo raccontato in lungo e in largo (vedi qui). Dimenticandoci, però, di uno come Olivier Pittet di Fully (d’altronde, con centosessantadue vini degustati in diciotto differenti cantine, poste su un percorso di circa 250 chilometri, siamo sicuri potrete perdonarci). Il Fendant 2014 di Pittet è divino. Si scosta dalla semplicità intrinseca del vitigno Chasselas, per assumere al naso sentori complessi, che segnano tutta l’esperienza olfattiva con Pittet: quelli vegetali, erbacei, in bilico tra l’erba fresca e il fieno, tra i fiori e le aromatiche alpine, sino alla camomilla secca.
Note che nel Petit Arvine 2014 diventano quasi piccanti, con il peperone giallo a verde a spuntare nel mucchio composto di sentori delicati. Una caratteristica che, qui, ritroveremo anche in bocca. Chimere 2014 è il più gastronomico dei vini di Olivier Pittet, quello di più facile abbinamento in cucina. A.R.H. 2014 è invece il sorprendente blend tra Petite Arvine (50%) e un clone sconosciuto derivante da un incrocio di quattro vitigni, tra cui l’autoctono Rèze (Resi) e l’Humagne Blanc: un vino dal residuo zuccherino elevato (12 g/l).
Per completezza e qualità nella produzione non può essere dimenticato anche Aleks Klinec, vignaiolo bio del Collio sloveno, impiantato a Medana. Il fil rouge che lega i vini è quello di una consistente sapidità, quasi croccante, da mordere. Ma a convincere più di tutti – per presente e prospettive future – è Jakot 2012, ottenuto da fermentazione spontanea con quattro giorni di contatto con le bucce delle omonime uve, dimenticate per 3 anni in botti di acacia. Tipico colore aranciato e grande intensità e finezza olfattiva, che richiama fiori e frutta esotica matura. Un naso suadente, che al palato rompe gli indugi sfoderando muscoli d’acciaio: di alcolicità calda, almeno al percepito, controbilanciata alla perfezione da una freschezza e da una sapidità invidiabili. Vino che stupisce, appunto, per il suo grande equilibrio.
Ottima anche la Malvazia Istriana 2012 di Klinec, più profonda al palato rispetto a Jakot, per la presenza di un’acidità ancora più spinta e un tannino astringente. In Gardelin 2012 è ancora più marcata la vena sapida, evidentemente per l’assenza dei tannini in un uvaggio come il Pinot Grigio. La Ribolla 2012 (14 giorni di macerazione e 3 anni in botte per estrarre al meglio le proprietà di un’uva dalla buccia spessa come l’orgoglio del popolo sloveno) è un altro luminoso esempio della grandezza dei vini della vicina Slovenia. Infine, ma non ultima, la Riserva 2006 Klinec con base Verduzzo Friulano, in blend con Ribolla, Malvasia e Tocai. Un Barolo bianco, potremmo azzardare. Estratto secco che pesa come un macigno, sulla lingua. E 14,9% di alcol in volume a completare il quadro. Chapeau.
Segnaliamo, tra gli altri, anche la cantina portoghese Encosta da Quinta, 80 chilometri a nord di Lisbona. Vino di facile beva ma di cui non ci si dimentica affatto il bianco Humus 2015, proposto in degustazione dal timido Rodrigo Filipe. Un blend ottenuto dai vitigni autoctoni del Portogallo Arinto e Fernao Pires. A chiudere la rassegna dei migliori vini degustati tra i Corsari 2016 anche lo Chardonnay du Hasard, Vin de Voile di Domaine Labet, Jura, Francia. Un bianco unico, in cui alle note ossidative fanno da contraltare sorprendenti note fruttate fresche. Spazio anche per un vino a prezzi pazzi: il blend di Trebbiano e Trebbiano di Spagna di Vittorio Graziano (Castelvetro di Modena): 13 euro per un’esperienza sensoriale giocata sul filo sottile dell’equilibrio tra le note macerative e quelle fruttate mature.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Nero di Troia Grifo Cantina Cooperativa della Riforma Fondiaria di Ruvo di Puglia e1480754991680 scaled
(3 / 5) l Nero di Troia è il vitigno a bacca nera principale del centro-nord pugliese, capace di dare vini strutturati e molto longevi. Il produttore Grifo, la Cantina Cooperativa della Riforma Fondiaria di Ruvo di Puglia, in provincia di Bari, propone nei supermercati la vendemmia 2014 con denominazione Puglia Igp.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice il vino si presenta rosso rubino con riflessi porpora che denotano gioventù. Al naso si riconoscono note avvolgenti di ciliegia e lampone maturo, violetta, pepe rosa, timo e sullo sfondo sentori tipici dell’affidamento in legno.
In bocca però non rispecchia le aspettative create precedentemente. Il corpo non è del tutto pieno, il tannino è già evoluto e non molto presente, la persistenza è un po’ corta. Bottiglia che ha già raggiunto il suo equilibrio: fatto di per sé piacevole, ma deludente vista la sua giovane età.
Da prendere in considerazione se si cerca un vino immediato e non troppo impegnativo. Da degustare ad una temperatura di 16° gradi e da abbinare a un primo con ragù di carne.
LA VINIFICAZIONE
Prodotto da una selezione di uve Nero di Troia in purezza coltivate a Ruvo di Puglia, su terreni marnosi-argillosi a 400 metri sul livello del mare. La vendemmia è svolta manualmente e, dopo la vinificazione, il vino affina in botti di rovere per alcuni mesi.
La Cantina Cooperativa della Riforma Fondiaria di Ruvo di Puglia è nata nel 1960 e vanta ben 1020 soci conferitori, concentrati sulla “valorizzazione di vitigni autoctoni come il Nero di Troia, il Bombino Bianco, il Bombino Nero, il Moscatello Selvatico e il Pampanuto”.
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Metodo Classico Brut Rosé Casa Vinicola Aldo Rainoldi 644x1024 3
La Valtellina è una rinomata terra di vini rossi fermi, prodotti principalmente da uve Nebbiolo (localmente chiamato Chiavennasca), a partire da quelli da tavola – non complessi – fino ai grandi Sforzati, vini strutturati e di grande qualità. Cercando attentamente ci si può imbattere in produzioni davvero interessanti. Come questo spumante Metodo Classico Brut Rosé millesimo 2010 (sboccatura 2016) prodotto dalla Casa Vinicola Aldo Rainoldi, da un 92% Nebbiolo, un 4% di Pignola e un 4% Rossola (queste ultime uve assolutamente autoctone della lombarda Valtellina).
Il vino mostra una veste rosa con tonalità ramate vivaci e con bollicine discretamente fini. Il naso ha un’ottima intensità, con piacevoli profumi agrumati soprattutto di arancia rossa, di fragoline di bosco, note floreali dolci di fiori di arancio, con i classici sentori di crosta di pane da Metodo Classico e un intrigante sfondo di erbe aromatiche.
In bocca spicca la freschezza gustativa e una bella sapidità, con buona struttura e una morbidezza presente che da equilibrio, invogliando ad altri assaggi. Ottima persistenza, con aromi coerenti ai sentori olfattivi, soprattutto quelli agrumati.
LA VINIFICAZIONE Lo spumante Brut Rosé Rainoldi è prodotto da uve coltivate nei comuni di Ponte in Valtellina e Teglio, in vigneti situati tra i 600 e 730 metri sul livello del mare, esposti a sud e con terreno sabbioso-limoso derivato da rocce granitiche sfaldate. La vendemmia viene effettuata nella seconda metà di ottobre. Per ottenere il colore rosato sopra descritto, viene effettuata una veloce macerazione delle uve a freddo, con successiva pressatura. Il vino base rimane per qualche mese in acciaio a maturare e viene poi imbottigliato con i lieviti, con la quale ha inizio la seconda fermentazione e il seguente affinamento che si protrae per almeno 36 mesi.
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Vermentino Sardegna Don Giovanni Cantina Mogoro 768x1024 1
Avevamo un po’ dimenticato i vini sardi, per lasciarci conquistare da qualche bianco del nord-est o qualche rosso del sud-est. Ma siamo sempre pronti a scoprire nuove realtà enologiche come il Vermentino di Sardegna Doc Don Giovanni, prodotto dalla cantina sociale di Mogoro. Alla vista si presenta di un colore giallo intenso che richiama il dorato, con una limpidezza e una brillantezza molto apprezzabili. L’esame olfattivo è spiazzante, in positivo. Sentori di passion fruit e banana si mescolano a quelli di fiori di sambuco.
Quindi note di frutta e floreali che non ci saremmo aspettati in questo vermentino, che fa tornare alla mente qualche buon Sauvignon, dai profumi bilanciati e gradevoli. La prima sensazione che si avverte in ingresso, al palato, è il gran corpo del Vermentino di Sardegna Doc Don Giovanni. Naturalmente fa seguito una sapidità spiccata e molto percettibile, che sconfina nella mandorla e accompagna un pizzico di balsamicità, data da sentori di zenzero.
LA VINIFICAZIONE
Questo vino nasce nei vigneti del Don Giovanni del comune di Mogoro, in provincia di Oristano, che si sviluppano su una superficie sia collinare sia pianeggiante, su un suolo mediamente calcareo alternato a sabbie quaternarie. Il clima nel quale la vite si sviluppa è ovviamente mediterraneo, con inverni miti ed estati calde, mitigate da un vento salino di Maestrale. La raccolta delle uve avviene manualmente, con un ammostamento condotto entro poche ore dalla vendemmia. Dopo una breve macerazione pellicolare, la vinificazione prosegue evitando il contatto con l’ossigeno, per preservare le caratteristiche gusto-olfattive del vitigno. Continui battonage in serbatoi di acciaio accompagnano per 40 giorni la fermentazione.
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Lugana Doc 2015 Villa Borghetti Pasqua Vigneti e Cantine Verona
(4 / 5) Fa parte della linea “Pasqua Indipendents” la Lugana Doc 2015 Villa Borghetti. Sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it uno dei prodotti ‘base’ della nota cantina di Verona. Un vino che offre il meglio di sé nei primi 2-3 anni dall’imbottigliamento.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, la Lugana Doc 2015 Villa Borghetti si presenta di un giallo paglierino limpido, trasparente, di intensità chiara e consistenza scorrevole.
E’ al naso che offre il meglio di sè. Note floreali e fruttate fresche si confondono amabilmente con una profonda vena minerale, salina. Sullo sfondo, con l’ossigenazione, si elevano sentori di camomilla di campo che ben si abbinano alle iniziali percezioni di albicocca e fiori di mandorlo. Al palato la carica dello iodio, classico sale da cucina, mostra tutte le potenzialità del terreno dal quale è ottenuta questa Lugana. Un sapore secco ma avvolgente. E un’acidità che dona freschezza alla beva, chiamando il sorso successivo.
Non solo mineralità per questo prodotto targato Pasqua Vigneti e Cantine Spa che mostra correlazione tra olfatto e gusto, ripetendosi nelle note di frutta a polpa gialla. Il finale, sempre tendente al sapido, rivela un risvolto amarognolo, tipico della mandorla. La Lugana Doc 2015 Villa Borghetti, alternativo aperitivo, si abbina ad antipasti, primi piatti leggeri, secondi di pesce o carne bianca e alle verdure. La temperatura di servizio ideale è di 10-12 gradi.
LA VINIFICAZIONE I vigneti che danno vita a questa Lugana sono situati a sud del Lago di Garda, fra l’omonimo Comune di Lugana e Sirmione. Il terreno, di natura calcarea-argillosa, è prevalentemente pianeggiante verso il lago e collinare nella parte sud. Le uve utilizzate sono quelle autoctone di Trebbiano di Lugana, in purezza (100%). La vinificazione prevede, in seguito alla pigiatura, una macerazione a freddo per 6-8 ore. Il mosto che se ne ottiene viene poi decantato. Il prodotto, parzialmente illimpidito, viene fatto fermentare con lieviti selezionati alla temperatura controllata di 16-17 gradi. A fine fermentazione il vino decantato viene conservato in serbatoi di acciaio a 10-12 gradi. Segue, dopo la stabilizzazione, l’imbottigliamento.
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Ci avviciniamo a un vitigno che da sempre affascina i winelovers e che sta vivendo un periodo di grande interesse e studio: il Nebbiolo delle Langhe, uno dei grandi vitigni italiani, capace di regalare grandi bottiglie nelle sue migliori annate. In particolare, sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it finisce il Langhe Nebbiolo Doc 2013 Filari Corti dell’azienda Agricola Brandini di La Morra, Cuneo.
Nel calice il vino si presenta di un colore rosso rubino luminoso, con lievi riflessi granati. Archetti ben evidenti in seguito alla rotazione, non celano una buona scorrevolezza. Il naso è molto intrigante, con note di spezie e noce moscata.
L’amarena accompagna questo ricco bouquet, avvolto in sentori di salvia e pepe nero. Passiamo poi alla parte gustativa: una beva fresca colpisce il palato, assieme a una buona sapidità. Troviamo poi un tannino che ben si fa apprezzare, sulle note di ribes. Un palato di buona persistenza, che si arricchisce di alcuni sentori tendenti al fungino. Il retrogusto è quello tipico del vitigno, con confettura di frutti rossi che accompagnano la bella esperienza gustativa.
LA VINIFICAZIONE
L’azienda Agricola Brandini di La Morra ha sposato un progetto giovane e biologico per la produzione dei propri vini, tutti classici delle Langhe: dal Barolo al Nebbiolo, passando per Barbera e Dolcetto. Tutti aderent ai principi di “Vino libero”. In questo caso il Nebbiolo Filari Corti segue una vinificazione in vasche d’acciaio a temperatura controllata. Il vino matura per 12 mesi in grandi botti di rovere francese.
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(1,5 / 5)Nella giungla dei vini al supermercato è facile perdersi. E’ ancora più facile perdere la rotta quando ci si addentra nel tortuoso mondo dei vini francesi del supermercato. Ma la bussola impazzisce, letteralmente, sul Riesling Réserve 2014 Pierre Sparr. Doveroso sottolineare, in primis, che non si tratti di un prodotto “Aoc”, ovvero d’Appellations d’origine contrôlée, il corrispettivo transalpino della “Doc” italiana. Bensì di una semplice Appellation Alsace Contrôlée: formula con la quale viene genericamente identificato il vitigno alsaziano utilizzato per la produzione, in questo caso il Riesling. Un prodotto, dunque, che già di per sé rappresenta l’ombra dell’originale. E a questo punto, ad Esselunga, andrebbe chiesto perché inserire in assortimento un prodotto francese di “serie b”, peraltro a un prezzo non certo alla portata di tutti? Forse, la risposta sta sull’etichetta posteriore: in quell’analisi altisonante del Riesling Riserva Pierre Sparr, che a noi di vinialsuper pare…davvero nulla di che.
Quantomeno, raccomandiamo – per l’ennesima volta – agli addetti del supermercato di “girare le annate” e di trattare la corsia del vino come quella dei biscotti (già, perché anche il vino “scade” se è di bassa qualità, o se è prodotto con vitigni non adatti all’invecchiamento, o se è stato ‘turato’ con sugheri economici). Sul banco dove preleviamo questo Riesling, di fatto, sono presenti due annate. La 2014, che scegliamo per la nostra degustazione. E la 2013, dimenticata sul fondo dello scaffale: bottiglie piene di polvere e “liquido” visibilmente “ridotto” all’esame del collo della bottiglia, rispetto alla “sorella” 2014.
L’ANALISI DI VINIALSUPER
La domanda che continua a frullarci nella testa, mentre sorseggiamo questo…”Riesling Alsaziano Riserva”, è: perché? Perché? Dell’eleganza e della finezza dei Riesling d’Oltralpe, neppure l’ombra. Questo Pierre Sparr – a proposito: maison prestigiosa, la cui storia affonda le radici nell’anno 1680, a Beblenheim, in Alsazia per l’appunto – sembra piuttosto un vino di montagna, di quelli che servono in brocca nelle osterie.
Mancano, al naso, i caratteristici spunti di frutta a polpa bianca e di agrumi, mentre risaltano con una certa insistenza i soli fiori bianchi freschi. Sembra quasi un Gewurztraminer base, quando spunta invece, con l’ossigenazione, qualche richiamo olfattivo dolciastro, che ricorda il miele. Desaparecidos i sentori minerali, vera e propria “firma” della straordinaria Valle del Reno, di cui il Riesling alsaziano è simbolo. Al palato, struttura scarsa, monocorde, fruttata fresca. E, anche qui, nemmeno l’ombra della mineralità che si potrebbe (dovrebbe?) attendere dal vitigno. Consigliamo questo vino a tutto pasto. Degli altri.
LA VINIFICAZIONE
Apprendiamo dal sito web dell’importatore e distributore “esclusivo” del Riesling Riserva Pierre Sparr, la Boldrini Import Export di Roma, alcune informazioni sulla tecnica di vinificazione. Si tratta, come atteso, di un Riesling in purezza, ottenuto da vigne dell’età media di 26 anni. La vendemmia è condotta sul finire del mese di ottobre. La fermentazione avviene poi a temperatura controllata, con successivo riposo sulle fecce fini: un’operazione volta a favorire l’aromaticità del prodotto. Da apprezzare la schiettezza con la quale l’importatore descrive i sentori fruttati e minerali di questo Riesling Alsaziano, parlando di semplici “reminiscenze”. Chapeau.
Prezzo pieno: 7,19 euro
Acquistato presso: Esselunga
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Corvo Rosso Igt Terre Siciliane Duca di Salaparuta
(3,5 / 5) Nero d’Avola, Nerello Mascalese e Pignatello, noto anche come Perricone. Duca di Salaparuta, gruppo che riunisce tre marchi storici della “sicilianità” come Corvo, Florio e la stessa Duca di Salaparuta, produce con questi tre vitigni uno dei vini più noti dell’intera isola, commercializzati in grande distribuzione: il Corvo Rosso Igt Terre Siciliane. Sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it, la vendemmia 2014.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il vino si presenta di un rosso rubino brillante, di moderata trasparenza, con riflessi tendenti al granato. Al naso si rivela di buona complessità. Nuovi sentori fanno capolino col passare dei minuti, grazie all’ossigenazione. Si passa da subitanee percezioni di fiori di mandorlo e frutta rossa (marasca), a più profondi richiami a spezie leggere, sino a piacevoli tinte vegetali di carruba.
Al palato, il Corvo Rosso Igt Terre Siciliane Duca di Salaparuta gioca tutto sulle morbidezze e sulla facilità della beva. Da quello che viene definito dallo stesso produttore “un vino quotidiano”, non ci si può aspettare di meglio. E invece questo rosso siculo riesce ad andare oltre: il blend funziona, è ben equilibrato. La terra fa il resto.
Alle note semplici e avvolgenti di frutta rossa (di nuovo marasca) fa da contraltare una sapidità che chiama il sorso successivo: asciutto, moderatamente caldo, piacevolmente vinoso e, soprattutto, di sufficiente persistenza. Il Nero d’Avola che fa da base costituisce l’ossatura del vino, la sua struttura. A Nerello Mascalese e Pignatello-Perricone il compito di impreziosirla, assieme al legno della botte grande in cui matura il Corvo Rosso. Interessante vino a tutto pasto, tutt’altro che banale per la fascia prezzo in cui si posiziona, si presta ad accompagnare grigliate di carne, arrosti e formaggi di media stagionatura. A una temperatura di servizio di 16-18 gradi.
LA VINIFICAZIONE
E’ nei terreni più vocati alla viticoltura della Sicilia che affondano le radici i vitigni del Corvo Rosso, cullati da un microclima ideale. Siamo nella zona centro orientale, tra le province di Agrigento e Caltanissetta, a un’altezza che varia tra i 50 e i 350 metri sul livello del mare. La terra è di tipo misto, ma con percentuali considerevoli di calcare attivo. L’allevamento è condotto da Duca di Salaparuta col metodo della controspalliera e dell’alberello, con una densità di ceppi per ettaro medio-alta, pari a circa 4 mila piante. La vendemmia è manuale e, a seconda delle annate, avviene dalla seconda settimana di settembre alla prima settimana di ottobre.
La fermentazione del Corvo Rosso è affidata al metodo tradizionale, con macerazione sulle bucce per un periodo che può variare dai 6 agli 8 giorni. Seguono svinatura, pressatura soffice e fermentazione malolattica: un passaggio fondamentale, quest’ultimo, per garantire maggiore piacevolezza alla futura beva con la trasformazione dell’acido malico in acido lattico. Corvo rosso Terre Siciliane Igt Duca di Salaparuta matura poi per almeno 10 mesi in grandi botti di quercia e, successivamente, in tini di cemento vetrificato. Prima della commercializzazione, questo rosso di Sicilia affina in bottiglia per altri 2 mesi, a temperatura controllata. Viene prodotto dal 1824, anno di fondazione di un marchio di cui è divenuto il simbolo.
Prezzo pieno: 5,89 euro
Acquistato presso: Iper Coop
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Entri a Zymè. E le lancette dell’orologio sembrano impazzire. I vini che hanno fatto la storia della Valpolicella classica, ben ordinati nelle teche di vetro. Tutt’attorno, un contesto architettonico moderno. Al limite del futuristico. E’ il rendez vous della memoria col progresso. Dell’uomo, con la natura. Una scommessa piazzata quasi 15 anni fa da Celestino Gaspari, sul tavolo da gioco della Valpolicella classica. Oggi, Zymè rappresenta una delle migliori espressioni (di sempre) del vino veneto. Di certo la più eclettica. Un magnifico esemplare di husky precede Gaspari di qualche gradino, al piano ‘alto’ di Zymè, a forma di pentagono. Un saluto agli ospiti venuti dalla Russia, dalla Polonia e dall’Alto Adige per visitare la cantina. Poi, il silenzio del suo ufficio. “Zymè – spiega il viticoltore – nasce come aspirazione a vini di ricerca, di sperimentazione. Vini, se vogliamo, anche di provocazione. Sono partito da Harlequin, poi è arrivata l’Oseleta, poi Kairos. E i classici solo in secondo momento, in un’interpretazione che sappia di passato”. Una filosofia a metà tra l’istinto di conservazione e la voglia di ribellione.
Gaspari, oggi 53enne, sposa la figlia di Giuseppe Quintarelli, compianto re dell’Amarone a cui deve tanto, umanamente e professionalmente: “Undici anni da mio suocero nel segno del bando alle tecnologie, t’insegnano che ciò che vale davvero è l’esperienza da una parte, e la materia prima dall’altra, qualitativamente”. Per Celestino Gaspari anche due anni alle Cantine Bertani, come consulente: “L’occasione per fare un passo all’indietro nel tempo, nella storia, degustando vini fino al 1926. Ma anche per cogliere altre informazioni da quella che è l’azienda storica della Valpolicella, con 250 anni di vendemmie alle spalle, capace da sempre di dare un’interpretazione molto interessante all’Amarone: aristocratica”. Guai, dunque, a chiamare “innovativi” i vini di Zymè. “L’ho letto addirittura sul Decanter, ma non è vero niente”, chiosa Celestino Gaspari. “Chiamiamola piuttosto una rivisitazione del metodo e del blend storico in chiave moderna, attuale”. Perché a Zymè, tutto sommato, si parla ancora di uvaggio classico, di lievito indigeno, di temperatura naturale, di vinificazione in cemento. Di tempi di criomacerazione e fermentazione che vanno oltre i tre mesi. E di botti gradi di rovere di Slavonia. Di rendez vous tra passato e presente.
L’HARLEQUIN COME PROVOCAZIONE
Una cosa è certa. A Celestino Gaspari, l’appetito è venuto mangiando. Anzi, sorseggiando il primo ‘morso’ di Harlequin. L’Igp Veneto Rosso che ha sparigliato le carte, ottenuto dal blend di un minimo di 15 vitigni: Garganega, Trebbiano toscano, Sauvignon Blanc, Chardonnay, Corvina, Corvinone, Rondinella, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot, Syraz, Teroldego, Croatina, Oseleta, Sangiovese e Marzemino. “A me hanno insegnato a scuola che chi copia arriva secondo – commenta Gaspari – e quindi è molto più soddisfacente prendersi dei rischi ma cercare di percorrere una strada nuova. Così, se hai fortuna, crei un distinguo nel tempo. E rendi dura la vita, se non impossibile, a chi prova a copiarti. Ricordo che da Quintarelli, le uve che usavamo non erano tanto diverse da quelle di altri produttori. Quello che cambiava era ciò che avveniva dal momento in cui veniva staccato il grappolo, lavorato e messo in bottiglia: macerazione, metabolismo naturale, affinamenti lunghi che stabilizzano il prodotto e portano in bottiglia aromi diversi dagli altri”. Lasciare spazio a Madre Natura non solo in vigna, ma anche in cantina, è uno dei segreti di Zymè. “Ma devi avere certezza che la cosa funzioni”, precisa Gaspari. “Noi facciamo un solo passito bianco, solo nelle annate migliori. Pigiamo le uve a fine gennaio ed effettuiamo una decantazione statica, per effetto del freddo. Poi prendiamo il mosto, lo mettiamo in barrique da 100 litri di rovere di Slavonia, sigilliamo e per tre anni non lo apriamo più. Cosa succede nel frattempo? Per rispondere a questa domanda serve solo una cosa: l’esperienza. Il tempo fa tutto. Anche in un mondo dominato dalla fretta”.
E in effetti, la storia di Zymè è anche quella di una coscienziosa attesa del risultato migliore. Oggi il paradiso di Celestino Gaspari conta 30 ettari totali di terreno vitato, in gran parte in affitto, nella Valpolicella classica. Altri vigneti sono situati nelle zone limitrofe a Verona, nonché a Vicenza: più esattamente a Lonigo, Colli Berici, dove è in atto dal 2006 una partnership con la cantina Puntozero della famiglia De’ Besi, divenuta nel 2015 una realtà autonoma. Nel gioco perpetuo tra storia e presente sembrano lontani, eppure ancora così vicini, i tempi di “un ufficietto e 10 barrique”, che segnano l’inizio del sogno ad occhi aperti di Celestino Gaspari. Un aspetto che non dev’essere sfuggito a Moreno Zurlo, giovane architetto di Padova cui è stata affidata la realizzazione della cantina Zymè, così come la vediamo oggi. “Una felice alleanza tra natura e cultura”, come piace definirla al padrone di casa. L’edificio sorge su una cava di pietra calcarea risalente al 1400 d.C. Una cavità carsica domina la scena, accanto a decine di barrique, raggiungibili sotto il livello del terreno grazie a un ascensore a forma di tappo. Il suono di una piccola cascata e di un ruscello culla il prezioso nettare (nel video), a cui viene assicurata assenza di luce solare e una straordinaria stabilità termica naturale. Vista dall’alto, la struttura della cantina ricorda la forma a pentagono di una foglia di vite, il logo di Zýmē (dal greco “lievito”, vera genesi dell’enologia tutta). Natura, uomo, tempo. Coerenza. Quella del filosofo vignaiolo, Celestino Gaspari.
NO AL BIO. GDO, PERCHE’ NO? Una dottrina, quella del viticoltore di San Pietro in Cariano, scevra da qualsiasi formalismo e preconcetto. Perché chi guarda alla qualità, può fregarsene del puro marketing: quello di facciata. “Il biologico? Non mi interessa”, dichiara perentorio. “E’ una macchia nera nella viticoltura – precisa Gaspari – perché molti hanno iniziato a produrre in regime biologico solo per logiche di ‘moda’, di mercato e di marketing. Le scienze hanno regalato all’uomo la possibilità di curarsi dalle malattie: in nome di cosa non dovrei curare una vite malata, o meglio prevenire le potenziali malattie? Resta il fatto che a Zymè concimo con stallatico, uso solo minerali se devo intergrare (solfato di potassio o magnesio, ndr), rame di miniera, zolfo di miniera, bacillus thuringiensis per prevenire botrytis o tignoletta. Però, se mi capita un anno come il 2014 in cui hai delle fasi critiche per via di un meteo instabile, preferisco difendermi in vigna piuttosto che portare in cantina porcheria. Fa più male un frutto malsano o il fatto che abbia eseguito due trattamenti per prevenire eventuali malattie?”. Un altro motivo per cui Gaspari ammette di rinunciare al “vino biologico” è la burocrazia.
“Non nascondo che negli scorsi mi era passata per la testa l’idea di una certificazione green della produzione. Mi dicevano che sarebbe stato semplice. Ma quando ho approfondito la questione, mi sono reso conto che avrei avuto bisogno di assumere una persona da impegnare esclusivamente alla compilazione di scartoffie varie. Sono nato nell’epoca in cui non esisteva la chimica e tutte le operazioni, in vigna, venivano eseguite in base all’esperienza. Biologico e biodinamico, al giorno d’oggi, sono ancora in fase sperimentale: con tanti errori e passaggi generazionali, forse, un giorno, saremo tutti pronti a questa grande conversione”. Mentre Gaspari parla, l’occhio cade sull’orto realizzato alle sue spalle. Proprio sul tetto della “hole” della cantina. “Coltivo piselli, rapanelli, carciofi, patate, insalata. La terra in cui affondano le radici è stata prelevata a 1,40 metri di profondità, a Romagnano, per evitare contaminazioni”.
Non disdegna invece la Gdo, il vignaiolo Fivi Celestino Gaspari. “Siamo già presenti in alcune catene – evidenzia – come i supermercati Rossetto (8 province tra Veneto, Emilia e Lombardia, per un totale di 24 punti vendita, ndr) oltre a Famila ed Esselunga. Pur essendo i rapporti discreti, credo che a questi gruppi non interessi tanto vendere il mio vino, quanto averlo in assortimento, come una sorta di ‘specchietto per le allodole’. Ma un motivo per il quale sostengo la Gdo sono i ricarichi applicati dalla ristorazione e dall’horeca in generale, che arrivano fino al 2-300%. Tutto ciò è assurdo. Un ristorante che meriti di chiamarsi tale dovrebbe guadagnare sul piatto, al posto di speculare sul vino dei produttori. Anche perché, i ristoratori, mi pagano a 60 giorni. Ma al cliente del ristorante presentano il conto al termine esatto della cena”. Celestino Gaspari, schietto e senza peli sulla lingua, rivolge poi una richiesta al mondo dei buyer della gdo e all’e-commerce: “Seguite l’esempio di Signorvino, che nella sua catena di wine shop e ristoranti fa pagare il vino esattamente quanto lo si pagherebbe in cantina, andandolo a prendere direttamente dai produttori. E, per la cronaca, io non sono un loro fornitore”.
LA DEGUSTAZIONE Igp Veneto bianco From black to white (13%): Blend ottenuto da Rondinella Bianca (60%), Gold Traminer (15%), Kerner (15%) e Incrocio Manzoni (10%). Gaspari trova in una vigna in stato di abbandono quello che scoprirà essere un clone bianco del vitigno Rondinella, diverso tuttavia da quello utilizzato per la produzione dell’Amarone. Decide di allevarlo. Oggi può contare su circa 3 ettari vitati di Rondinella Bianca, inserita di recente nella lista delle varietà autoctone. E’ la base di questo blend, cui conferisce grande aromaticità, sia al naso sia al palato. Eccellente come aperitivo, From black to white accompagna tutto il pasto, in particolare piatti a base di asparagi.
Valpolicella Dop Reverie (11,5%): E’ il classico “vino rosso di tutti i giorni”, adatto in particolare al periodo estivo per la sua facilità di beva e per il basso tenore alcolico. Ottenuto al 40% da Corvina, 30% di Corvinone, 25% di Rondinella e 5% di Oseleta, vinificate in acciaio. Può essere conservato anche in frigorifero e accostato a primi leggeri di pasta.
Valpolicella Classico Superiore Dop (13,5%): Ennesimo blend di Corvina (40%), Corvinone (30%), Rondinella (25%) e Oseleta (5%). La fermentazione avviene a cavallo tra i mesi di settembre e ottobre a temperature naturali. A gennaio una seconda fermentazione sulle bucce dell’Amarone con il tradizionale metodo del “Ripasso”, per una durata di 14 giorni. L’affinamento avviene in botti grandi di rovere di Slavonia per almeno 3 anni. Sei mesi in bottiglia anticipano l’immissione in commercio. Vino che colpisce per la grande freschezza regalata da una spiccata acidità, per l’utilizzo di un “Ripasso” volto a conferire carattere e fragranza alla beva, al posto della classica morbizzezza e rotondità. Molto persistente. Un Valpolicella Classico Superiore perfetto con salumi, formaggi a media stagionatura, minestre e carni bianche.
Igp Veneto Rosso Cabernet 602020 (15%): Cabernet Sauvignon 60%, Cabernet Franc 20%, Merlot 20%. Ecco servito il taglio bordolese alla veneta di Zymé, ottenuto dai vigneti situati a Lonigo, Vicenza, Colli Berici. La vendemmia avviene in maniera manuale tra la terza decade di settembre e la prima di ottobre. Le uve atte alla produzione del 602020 sono le ultime a essere raccolte. Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon vengono pigiati in giornata, mentre gli acini di Merlot vengono riposti in piccole casse a riposare per circa 20-30 giorni, concentrando così gli zuccheri. La vinificazione avviene in vasche di cemento a temperatura naturale e lievito indigeno, per 40 giorni circa. L’affinamento è affidato a barriques nuove, per minimo 24 mesi. Un ulteriore anno in bottiglia prima della commercializzazione. Questo Igp Veneto è una delle sorprese più piacevoli di Zymè. Vino avvolgente, rotondo, eppure austero. La perfezione nei contrasti crea un equilibrio memorabile tra le note di confettura (prugna, lampone, more) e il tannino vivo, ma elegante. Nel finale una vena speziata, accompagnata dai classici sentori vegetali del Cabernet. Da abbinare a carne grigliata, arrosti e a formaggi a media stagionatura.
Igp Veneto Syrah Virgola (14,5%): Appassimento di un mese in cassetta per le uve 100% Syrah che costituiscono Virgola, più due anni in barrique nuove. Ne risulta un rosso potente, ma estremamente elegante. Dalle grandi potenzialità di invecchiamento. Particolare la mineralità che riesce a esprimere il vitigno nei Colli Berici. Ottimo con carni rosse, selvaggina e formaggi di grande personalità. O a fine pasto, con cioccolato e frutta secca.
Igp Provincia di Verona Oseleta 2009 (13,5): Mentre la 2010 affina ancora in vetro, prima della commercializzazione, degustiamo la vendemmia 2009 di questo straordinario autoctono riscoperto e valorizzato al meglio da Celestino Gaspari. Zymè, di fatto, è la prima azienda a produrlo in purezza. Perché? Occorre il raccolto di due piante per produrre una singola bottiglia. La resa, di fatto, si assesta dui 60 quintali per ettaro. Tre anni in barrique completano un quadro già di per sé idilliaco. L’Oseleta di Gaspari è un vino che oseremmo definire “tattile”, in cui il tannino è grande protagonista. Anche perché, prima ancora, ammalia al naso con i suoi richiami alla frutta rossa di sottobosco. Spezza gli induci in ingresso, al palato, mostrando i muscoli d’un gigante. Il vino perfetto da dimenticare in cantina. Sfoderandolo, poi, al cospetto di pesce grasso, bolliti, carni grigliate, arrosti e formaggi a media stagionatura.
Igp Veneto Rosso Kairos (15%): Vino ottenuto da un minimo quindici vitigni, 4 bianchi e 11 rossi: Garganega, Trebbiano toscano, Sauvignon Blanc, Chardonnay, Corvina, Corvinone, Rondinella, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot, Syraz, Teroldego, Croatina, Oseleta, Sangiovese e Marzemino. Per l’intera vendemmia possono occorrere fino a 40 giorni. Le uve, colte ognuna in epoche di diverse, a seconda della perfetta maturazione, riposano nel frattempo in plateaux, “per il solo tempo necessario a concludere l’intera raccolta”. E’ il rosso di Gaspari in cui risulta più ‘accentuata’ la percezione zuccherina (zuccheri residui 5 g/l, acidità totale 5,7 g/l, estratto secco 33 g/l, pH 3,50). Al naso confettura di frutta rossa, fiori e spezie: tutte note di grande pulizia. Al palato, attendibile, una grande morbidezza che conferma le attese.
L’etichetta, realizzata come tutte quelle di Zymè da Lucia, figlia maggiore di Celestino Gaspari, “mostra il legame col progetto dell’Harlequin: il vestito di Arlecchino è fatto di pezze di molti colori, così come il vino è fatto con 15 uve diverse, ciascuna con le proprie caratteristiche. In greco antico Kairos significa ‘conveniente, opportuno, per il momento giusto’. L’aggiunta della meridiana e dell’orologio esprimono il concetto del tempo esatto”. Tempo, appunto. Un elemento che torna sempre, prepotentemente, a Zymè. E il tempo di Kairos, in cucina, è quello dei piatti importanti ma delicati di carni bianche e rosse, con salse robuste e speziate. Ottimo con formaggi saporiti, stagionati, e cacciagione.
Amarone Classico della Valpolicella Dop Riserva “La Mattonara” (16%): Ottenuto da uve provenienti da vigneti di età compresa tra i 20 e i 50 anni, delle varietà Corvina (40%), Corvinone (30%), Rondinella (15%), Oseleta (10%) e Croatina (5%). L’annata in degustazione, in particolare, è la 2004. Nove anni in botte grande per questo straordinario Amarone, prodotto solo in annate “straordinarie”. La vinificazione prevede l’appassimento naturale (senza l’uso di deumidifi catori) per circa 3 mesi. Segue la pigiatura, nel mese di gennaio. Vinificato “rigorosamente secondo il metodo tradizionale in vasche di cemento”, per almeno 2 mesi a contatto con le bucce. La fermentazione avviene con lievito indigeno, a temperature naturali.
Dopo la svinatura, “La Mattonara” riposa come detto per circa 9 anni in botti grandi e tonneaux di rovere di Slavonia e viene imbottigliata al suo decimo anno di età. Il lungo invecchiamento favorisce un’ulteriore riduzione degli zuccheri residui. Segue l’affinamento in bottiglia per minimo 1 anno. Una Riserva in grado di assicurare, ancora, la piacevolezza delle note fruttate, unita a una straordinaria vena balsamica e speziata (cacao, liquirizia, pepe). Autentico vino da meditazione, accompagna egregiamente piatti importanti a base di carne (selvaggina, cacciagione) ma anche formaggi come Parmigiano Reggiano e Grana padano.
Igp Veneto Rosso Harlequin 2008 (15%): L’etichetta per Kairos, il nome per Harlequin, a indicare il mix tra un numero incredibile di uvaggi. Ben 15 quelli che compongono il blend: Garganega, Trebbiano toscano, Sauvignon Blanc, Chardonnay, Corvina, Corvinone, Rondinella, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot, Syraz, Teroldego, Croatina, Oseleta, Sangiovese e Marzemino. E’ il vino top di gamma di Gaspari. Raccolte a mano grappolo per grappolo, le uve vengono selezionate personalmente dall’enologo e riposte in plateaux da 0 a 40 giorni, secondo il momento della raccolta, in ambiente naturale, senza ausilio di macchine per la ventilazione forzata o per la deumidificazione.
Vengono dunque pigiate tutte insieme, senza diraspatura. Le uve fermentano in vasca di cemento con lievito indigeno per circa 30 giorni. Seguono follature, delestages “e soprattutto il controllo visivo, olfattivo e uditivo da parte dell’uomo”. Si procede poi alla svinatura e alla decantazione per circa 10 giorni. Segue un duplice processo di affinamento per un totale di 30 mesi utilizzando barriques nuove di rovere francese da 225 litri (200%), senza alcun travaso. Il vino viene imbottigliato senza effettuare chiarifica e subisce un ulteriore affinamento in bottiglia per almeno due anni.
Il risultato è un vino di unica avvolgenza, che inebria ancor prima d’essere condotto al naso: frutta rossa matura, spezie, liquirizia, cuoio. Una complessità straordinaria che si ritroverà poi al palato, dove Harlquin si conferma caldo, pieno, morbido, avvolgente. Il punto forte? La definizione di ogni singolo dettaglio. Una fotografia scattata alla massima risoluzione, ad ogni singola percezione. Una perla, nel mare luminoso dei migliori vini italiani ed internazionali.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Brunello di Montalcino Docg Riserva 2006 Villa Poggio dei Salvi
(5 / 5) E’ uno dei prodotti top di gamma di Villa Poggio Salvi, secondo solo al Brunello di Montalcino Docg Cru “Pomona”. E, in effetti, il Brunello di Montalcino Docg Riserva 2006 va annoverato tra i migliori vini rossi toscani da invecchiamento presenti nel panorama nazionale della grande distribuzione italiana.
Lo distribuisce, sui propri scaffali, la catena milanese di grandi magazzini e supermercati Il Gigante. Certo, a giocare a favore dell’esito di questa degustazione di vinialsuper c’è la straordinaria annata di questo vino.
Un 2006 che resterà tra le vendemmie da ricordare per il Sangiovese atto alla produzione del Brunello di Montalcino. Per favorire l’apertura degli aromi utilizziamo un decanter. dove il nettare riposa per quasi un’ora.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Riserva 2006 di Villa Poggio dei Salvi si presenta di un rosso rubino ancora intenso, con riflessi granati: il primo “sintomo” di un vino ancora vivo, con ampi margini di miglioramento in bottiglia negli anni, anzi nei decenni.
Al naso si svela pieno, ampio, complesso: note di frutta a bacca rossa, a metà tra la confettura e lo spirito, dominano la scena. Non manca uno spunto floreale di viola. Ma sono ben percettibili, come dalla attese, i richiami terziari (ovvero il bouquet conferito dal periodo di affinamento in legno) a caffé tostato, liquirizia e cacao dolce.
Profumi che evolveranno ulteriormente, col passare dei minuti, per effetto dell’ossigenazione nel calice. Al palato, grande freschezza unita a una sapidità invidiabile: due elementi che, uniti assieme, si mostrano in perfetto equilibrio con le note fruttate di sottobosco. Completa il quadro un tannino elegante, tutt’altro che pungente.
Grande persistenza per il Brunello di Montalcino Docg Riserva 2006 di Villa Poggio dei Salvi, tutta giocata sulle note fruttate, sull’acidità e sulla sapidità. Un quadro davvero perfetto, che può essere reso paradisiaco dal corretto abbinamento in cucina.
Un vino importante, questa riserva toscana, da accostare dunque a piatti dello stesso “peso”: dai primi a base di ragù di selvaggina (cinghiale, per esempio), ai secondi di carne grigliata o a base di cacciagione e selvaggina. Senza dimenticare i formaggi stagionati e il tartufo.
LA VINIFICAZIONE
“Vini tradizionali prodotti con sistemi moderni”: questa la filosofia di Villa Poggio Salvi, azienda agricola che nell’omonima località del Comune di Montalcino, in provincia di Siena, conta 21 ettari di vigneti, tutti impiantati con cloni di Sangiovese Grosso. L’età dei vigneti atti alla produzione del Brunello di Montalcino Riserva varia dai 15 ai 20 anni, situati tra i 300 e i 520 metri sul livello del mare.
L’esposizione è a Sud-Ovest e il terreno è ricco di galestro a larga tessitura. La forma di allevamento è quella del cordone speronato, con una densità di impianto di 5 mila piante per ettaro. La vendemmia avviene sul finire del mese di settembre, a mano, in piccole cassette.
La vinificazione in acciaio, in vasche a temperatura controllata tra i 28 e i 30 gradi, per un periodo che varia fra i 12 e i 14 giorni. Le follature del cappello sono automatizzate, con sistema a pistoni. Fondamentale, poi, la fase di maturazione in legno per il Brunello, come da disciplinare della Denominazione di origine controllata e garantita.
Quaranta mesi in botti di rovere di Slavonia da 50 a 100 ettolitri. Il vino affina poi in bottiglia per un minimo di 6 mesi, prima dell’immissione in commercio. La vendemmia 2006 ha dato vita a circa 7 mila bottiglia di Brunello Riserva.
Villa Poggio Salvi deve il suo nome alla felice posizione sul versante Sud di Montalcino che guarda il mare Tirreno. L’aria pulita, i profumi che arrivano dai folti boschi di lecci che circondano l’Azienda e dalla macchia mediterranea, hanno attirato qui, fin dall’antichità le genti che provenivano dalla Maremma.
Poggio Salvi, appunto, il “Poggio della Salute” in quanto considerato da sempre zona salubre e pura, dove già nei secoli scorsi la gente trovava rifugio per allontanarsi dalle zone più insalubri infestate da malattie. Villa Poggio Salvi per struttura e modernità è un’azienda che guarda al futuro condotta con passione e competenza da Pierluigi Tagliabue e dal nipote Enologo Luca Belingardi.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(5 / 5) La vendemmia 2015 si rivela splendida per uno dei vini simbolo delle Marche in vendita nei supermercati italiani. Il Verdicchio dei Castelli di Jesi “Titulus” Fazi Battaglia, già meritevole di lodi nelle annate precedenti, guadagna quel mezzo grado in più di titolo alcolimetrico che conferisce a questo vino bianco una straordinaria morbidezza al palato. Merito della calda estate 2015 e delle conseguenti escursioni termiche, tutte da assaporare nel calice. Non si lascino impressionare, insomma, quei consumatori di vini che, al supermercato, non osano superare la soglia fatidica dei 12,5%. I 13% della vendemmia 2015 del Verdicchio Fazi Battaglia sono ben compensati, al palato, da una sapidità rigogliosa, regalo – questa volta – del terroir marchigiano. Un vino, insomma, che conserva una facilità di beva invidiabile. Ma tutt’altro che banale.
Nel calice, il Verdicchio dei Castelli di Jesi Fazi Battaglia si mostra d’un giallo paglierino deciso, limpido e trasparente. La morbidezza al palato si presagisce già dagli “archetti” che il nettare crea, facendolo ruotare nel calice. Al naso, l’impronta minerale è decisa: altro indicatore di quella che sarà la sapidità, al palato. Completano l’elegante buquet sentori floreali freschi e note d’agrumi. Sullo sfondo, a conferire ulteriore freschezza, anche percezioni vegetali di macchia mediterranea.
Al palato, ecco svelata la corrispondenza gusto-olfattiva. E’ un vino che si raccolta, di fatto, già al naso questo Verdicchio dei Castelli di Jesi “Titulus”. Che in bocca, però, sfodera la già citata morbidezza: vero e proprio velluto che accarezza le papille gustative, mentre si rincorrono percezioni minerali e agrumate. Solo in chiusura la sapidità riesce ad avere la meglio sulla glicerina, mentre avanza deciso il gusto di mandorla amara: timbro definitivo sull’eleganza di questo vino bianco.
LA VINIFICAZIONE
Colpisce, in definitiva, Fazi Battaglia, per la continuità qualitativa che riesce a conferire al Verdicchio dei Castelli di Jesi “Titulus”, di anno in anno. Superando se stessa, con la vendemmia 2015. Prodotto nella zona Classica del Verdicchio dei Castelli di Jesi, Titulus nasce solo ed esclusivamente da uve Verdicchio selezionate e raccolte a mano nei vigneti della Fazi Battaglia. Come spiega la stessa casa vinicola, si tratta di circa 250 ettari adagiati nel cuore delle colline marchigiane, ad altitudini ed esposizioni diverse e complementari. Le uve vengono raccolte a mano nei dodici appezzamenti, in momenti differenti. Per ognuno viene accertata la data ottimale di vendemmia, che per questo può durare anche dai 20 ai 25 giorni.
Ad occuparsi della raccolta è una squadra di circa 200 persone. Dopo una spremitura soffice, il mosto ricavato viene fermentato in serbatoi di acciaio inox per 15-18 giorni. Prima dell’affinamento in bottiglia, dove rimane per circa 30 giorni, il Verdicchio dei Castelli di Jesi “Titulus” riposa in vasche di acciaio per diversi mesi, necessari al raggiungimento della giusta maturazione dei profumi e della complessità al palato. Sono circa 2 milioni le bottiglie, tutte dalla classica forma ad anfora, ottenute ogni anno dalla società agricola di Castelplanio.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Calice importante, quello del Toscana Igt Rosso Lucente 2010 dell’azienda Luce della Vite di Montalcino – Marchesi de’ Frescobaldi. Il vino si presenta di un rosso rubino con riflessi leggermente granati, limpido. La buona alcoolicità si percepisce dagli archi stretti, mentre le “lacrime” seguono una discesa lenta, data dalla concentrazione degli zuccheri. Aspetto che ci fa intuire una buona presenza di glicerolo. Al naso, una forte impronta di tabacco e cacao, appena avvicinato il calice. Seguono sentori di frutti rossi, tra cui è facilmente riconoscibile la prugna. E richiami speziati, di pepe e cannella.
La complessità di questo rosso toscano è “Lucente”. E aumenta con sentori balsamici, di menta. Vino ancora giovane e vigoroso, si esprime al palato in potenza e tannicità. Il corpo è medio, aspetto che ne conferma l’eleganza e una beva che non stanca. Lucente di Luce della Vite si rivela rotondo: un nettare che avvolge tutte le sensazioni gustative, con una buona intensità. Il retrogusto è di confetture e spezie, che ricordano il cacao. L’abbinamento perfetto? Quello con le carni rosse e i formaggi stagionati.
LA VINIFICAZIONE
Lucente è il secondo vino della gamma “Luce” della cantina Luce della Vite di Montalcino. Nasce dagli stessi vigneti dell’omonimo Luce, vino contemporaneo che cresce nella tenuta dei Frescobaldi a Montalcino. Un prodotto relativamente giovane, nato nel 2000 da un blend composto al 50% da Merlot, 35% Sangiovese e 15% da Cabernet Sauvignon. Il vigneto si sviluppa ad un’altitudine compresa tra i 250 e 400 metri sul livello del mare, su un terreno misto: galestro per le uve Sangiovese e ricco di calcio e argilla per il Merlot. La pigiatura è soffice e la fermentazione avviene in vasche in acciaio inox a circa 30°, per un periodo di 12 giorni. Segue un affinamento in barrique per 12 mesi: 55% legni nuovi di rovere francese, 5% nuovi di rovere americano, 40% di rovere francese di 2° passaggio. Prima della commercializzazione, Lucente di Luce della Vite affina in bottiglia per 8 mesi.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
(3,5 / 5)Cantina Calasetta, specialisti del Carignano del Sulcis. Sei versioni: da quella a “piede franco”, ottenuta da vite orginaria, non innestata con vite americana, passando alla Riserva, senza dimenticare il rosato. Sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it finisce però Calalonga, il Carignano del Sulcis di Cantina Calasetta distribuito nei supermercati Esselunga. Una versione realizzata appositamente per la notsa catena della gdo italian, che non tradisce le attese. Anzi, stupisce nel rapporto qualità prezzo.
Il vino si presenta nel calice di un rosso rubino poco trasparente, scorrevole. Al naso, chiari e tipici sentori di frutta rossa, uniti a una percezione vegetale che richiama il peperone verde. Di facile beva, nonostante il buon corpo e una struttura tutt’altro che esile, gioca col palato sulle note di frutta rossa, pulite, già avvertite al naso. Sfodera solo in un secondo momento anche una bella sapidità, che torna in un finale fruttato e di leggera spezia. Lasciato nel calice qualche minuto, il Carignano del Sulcis Calalonga di Cantina Calasetta muta, grazie all’ossigenazione: si fa più ‘austero’, mostrando in bocca tratti sino ad allora sconosciuti, tra il dattero disidratato e la carruba. Etichetta interessante questo vino rosso di Sardegna, da consumare a tutto pasto. Si sposa, in particolare, con primi ricchi al ragù o con secondi come l’agnello. Noto l’abbinamento con l’agnello con carciofi, ricetta tipica pasquale sarda.
LA VINIFICAZIONE
Cantina Calasetta, realtà che ha sede nell’omonimo comune della provincia di Carbonia-Iglesias, sulla punta settentrionale dell’isola di Sant’Antioco, arcipelago del Sulcis, è stata premiata negli anni scorsi dal Gambero Rosso con i “tre bicchieri”. Dalla sede assicurano che Calalonga sia un Carignano del Sulcis 100%, senza addizione di uve di altri vitigni, pur consentita dal disciplinare per un massimo del 15%. Ma la cantina sarda sceglie di non fornire a vinialsupermercato.it le specifiche richieste sulla tecnica di vinificazione, come sino ad oggi aveva fatto solo un’altra cantina dell’Oltrepò Pavese.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
LImpero Blanc de Pinot Noir di Fattoria Mancini Marche Pesaro fa incazzare Oltrepo Pavese scaled
Dici Pinot Nero e pensi all’Oltrepò Pavese. E invece no. Paradigma ribaltato ieri sera alla degustazione alla cieca organizzata in provincia di Pavia da Vinum Narrantes. Non un’associazione ma un “esperimento sociale”, come piace definirlo ai promotori Luca Bergamin e Cinzia Montagna (lui sommelier Ais, lei giornalista), volto a “promuovere la cultura del vino attraverso uno sguardo che consideri tanto il consumatore inesperto quanto i tecnici e i critici del settore, con un approccio professionale ma non per questo esclusivamente formale”. All’incontro “numero zero” c’eravamo anche noi di vinialsupermercato.it. Ospiti super partes a un tavolo che ha visto sedersi uno accanto all’altro imprenditori, artisti, degustatori, produttori vitivinicoli e neofiti del vino. Segni particolari: tutti residenti e operanti in Oltrepò Pavese. In batteria, una verticale di 6 annate diverse di quello che, tolta la stagnola, si è rilevato essere “L’Impero” Blanc de Pinot Noir di Fattoria Mancini (strada dei Colli 35, Pesaro). Un Pinot Nero vinificato in bianco, dunque. Prodotto nelle Marche. L’outsider. Anzi l’intruso. O, ancora meglio, il cavallo di Troia con cui la coppia Bergamin-Montagna ha voluto – letteralmente – provocare una discussione che, dal tavolo di Vinum Narrantes, aspira a raggiungere tutti i produttori della zona. Bussando anche alle porte del Consorzio di Tutela Vini dell’Oltrepò Pavese e del Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò: i due organismi ‘politici’ del vino oltrepadano, che vivono in uno stato di paradossale convivenza pacifica armata in quel di Pavia. “Se non siamo capaci di fare le cose in grande da soli – ha dichiarato Luca Bergamin – allora copiamo chi è riuscito e riesce a farle meglio di noi. Perché in Oltrepò Pavese, terra del Pinot Nero italiano, non siamo in grado di concentrare le forze su un prodotto che renda grande il nostro territorio? Perché Fattoria Mancini ci riesce nelle Marche, esportando anche all’estero migliaia di bottiglie di un vino come il ‘L’Impero’ Blanc de Pinot Noir, bagnando il naso a una terra storicamente vocata per la coltivazione del Pinot Nero come l’Oltrepò?”.
PAROLA AI PRODUTTORI Domande, anzi provocazioni, che non sono passate inosservate al tavolo di degustazione. Il parere di Fabio Marazzi di Cantine Scuropasso non lascia spazio a interpretazioni: “In Oltrepò stiamo producendo ormai da anni un Pinot Nero di altissimo livello. Il problema è che non lo stiamo comunicando efficacemente al pubblico. La verità è che l’Oltrepò è storicamente una terra di conquista: la mia azienda, per esempio, dal 1963 ai primi anni 2000 ha fornito a Berlucchi le basi per le cuvée che hanno contribuito al consolidamento di quello che oggi è un grande marchio della spumantistica italiana”. Secondo il titolare della cantina di Pietra dé Giorgi, “è mancata nella zona un’azienda leader che trascinasse tutte le altre sulla via di un successo di territorio”. “In Oltrepò – ha aggiunto Marazzi – abbiamo paura della sola idea di avere le cantine piene: siamo contadini un po’ ignoranti, che guardano con invidia allo spirito imprenditoriale di viticoltori come i vicini bresciani, che con il Franciacorta hanno dimostrato che l’unione fa la forza”. “E’ impossibile internazionalizzare facendo affidamento alle sole energie che riescono a esprimere i piccoli produttori – ha aggiunto Paolo Percivalle, vignaiolo bio a Borgo Priolo -. In una zona in cui il 70% delle uve viene venduto alle cantine sociali, quale voce in capitolo può avere, nella stanza dei bottoni, chi mira a innalzare il livello qualitativo?”. Amaro anche il commento di Ettore Cribellati dell’Azienda Agricola Anteo di Rocca de’ Giorgi: “Terre D’Oltrepò conta numericamente in Consorzio e detta legge. Noi piccoli produttori siamo relegati al ruolo di mezzadri. E un calcio in culo se reclami… Qualcuno, in passato, mi disse che in Oltrepò siamo come arabi con il petrolio sotto al sedere, ma incapaci di venderlo e, quindi, di distribuire ricchezza al territorio. Tutto il mondo sa cosa produciamo in Oltrepò Pavese e a che livello qualitativo siamo giunti. Il problema è che parliamo del mondo dei tecnici e non di quello della gran parte dei consumatori. Insomma: non siamo in grado di comunicare la grandezza di queste terre”.
IL VINO IN DEGUSTAZIONE La chiave di lettura dei produttori alla provocazione lanciata da Vinum Narrantes non lascia spazio, insomma, a interpretazioni. Per noi di vinialsupermercato.it è impensabile che un territorio come l’Oltrepò rinunci alle “bollicine” Metodo Classico per iniziare a produrre un Pinot Nero fermo, vinificato in bianco, come ‘L’Impero’ Blanc de Pinot Noir di Fattoria Mancini. Ottimo tuttavia lo spunto offerto da Luca Bergamin e da Cinzia Montagna a un Oltrepò del vino che potrebbe puntare alla produzione di un vino bianco fermo longevo, capace di evolversi in bottiglia negli anni, passando dalla grande freschezza e sapidità espressa in degustazione dal calice della vendemmia 2013 de “L’Impero” (22 euro in cantina!) alle tinte sempre più avvolgenti e ‘glicerinose’ delle annate 2012 (25 euro), 2011 (28 euro), 2008 (28 euro) e 2006 (30 euro). Purché – ma questo è un giudizio puramente soggettivo e purista – non si trasformi (anche) il Pinot Nero in un concentrato di vaniglia che piacerà pure al pubblico europeo e internazionale, ma che snaturerebbe, al posto di valorizzare, l’intero Oltrepò.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(5 / 5) Etichetta impegnativa per il pubblico non ‘germanofono’, quella del Blauburgunder Kurtatsch. Per chi mastica solo italiano, aiutano le scritte Pinot Nero (Blau burgunder, appunto) e Cortaccia (Kurtatsch), la cantina produttrice.
Disquisizioni linguistiche e di marketing del vino a parte, quel che conta è il contenuto. E il Blauburgunder Pinot Nero 2013 della cantina Kurtatsch, vale proprio la pena d’essere acquistato e stappato.
Si aggira tra gli 8 e i 9 euro, di fatto, il prezzo di questo prezioso nettare della Doc Sudtirol Alto Adige, sugli scaffali dei supermercati. E questo è il momento perfetto per assaporarne l’evoluzione in bottiglia, a tre anni dalla vendemmia e dall’immissione in vetro.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Pinot Nero Cortaccia 2013 si presenta del tipico rosso rubino. Meno trasparente, tuttavia, rispetto ad altri vini ottenuti dallo stesso vitigno. Al naso i richiami sono quelli attesi: sottobosco, piccoli frutti a bacca rossa e nera. Sentori intensi, fini, decisi ma delicati.
Un naso, dunque, che disegna un palato capace di confermare le attese: le note fruttate si mescolano a una sensazione di velluto che rende piacevole la beva. Alla delicatezza della frutta fa spazio un’acidità piacevole, rinfrescante. E una sapidità percettibile, ma dosata e pacata.
Una volta deglutito, il Pinot Nero 2013 di cantina Cortaccia si rivela lungo, su note che si fanno vagamente speziate, ad accompagnare i frutti di bosco. Buon vino da meditazione, accompagna al meglio ricchi primi piatti e secondi di carne rossa, alla griglia o arrosto, oltre alla selvaggina e ai formaggi stagionati. La temperatura di servizio deve aggirarsi fra i 16 e i 17 gradi.
LA VINIFICAZIONE
Tra i prodotto di punta della linea “Selection” di Cantina Cortaccia, questo Pinot Nero è ottenuto al 100% dalle omonime uve originarie dalle Borgogna francese, che da oltre un secolo hanno trovato una seconda, accogliente casa nei terreni del Sudtirolo.
In particolare, la zona produttiva si trova nel comune di Montagna, in località Gleno, provincia di Bolzano: uno splendido paesino situato a 500 metri sul livello del mare, ai piedi del Monte Cislon, il cui paesaggio è dominato da vigne e folti boschi. Il terreno è misto sabbioso e argilloso, caratteristiche che in bottiglia si traducono nel giusto compromesso tra una pronta bevibilità del prodotto e una complessità non banale.
La vinificazione del Pinot Nero Cortaccia prevede una fermentazione a temperatura controllata in vasche aperte e un successivo affinamento in legno grande, meno invasivo delle piccole barrique. Cantina Cortaccia conta oggi 190 soci, che coltivano 190 ettari di terreni, dislocati tra i 220 e i 900 metri di altitudine.
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Giallo paglierino con riflessi verdognoli, buona limpidezza. E’ ottimo il primo impatto con il Friulano Forchir 2015, uno dei vini di punta del Friuli Venezia Giulia, nel rapporto qualità prezzo, presenti sugli scaffali dei supermercati italiani. All’esame olfattivo, il vino conferma le buone, prime impressioni: anche se il Friulano non ha un bouquet complesso, la parte minerale e i sentori di mandorla e mela verde risultano in questo caso facilmente riconoscibili e apprezzabili. Al palato la mineralità la fa da padrona nel Friulano Forchir. Vino che evidenzia inoltre una discreta morbidezza, data dall’alcolicità, che ben si bilancia con l’acidità. Una volta deglutito, il ritorno di mandorla è persistente. Un sentore che, presto, si arricchisce con quello di melone giallo. L’abbinamento culinario perfetto è quello con gli antipasti, le minestre, in brodo o asciutte. Ma il Friulano Forchir offre il meglio di sé anche con altro prodotto che ha reso grande il nome del Friuli nel mondo: il prosciutto di San Daniele Dop. Rigorosa la temperatura di servizio, che deve assestarsi tra gli 8 e i 10 gradi.
LA VINIFICAZIONE
Le uve utilizzate sono al 100% quelle di Tocai Friulano. “Lusor” è di fatto il nome dei vigneti di proprietà di Forchir, situati nel Comune di Camino al Tagliamento, in provincia di Udine. Il terreno in questione è di tipo alluvionale e sassoso, ricco dunque di detriti. La vinificazione del Friulano Lusor Forchir prevede una pressatura soffice delle uve e una fermentazione a temperatura controllata di 18 gradi, in assenza di solfiti. La maturazione del vino avviene in vasche di acciaio inox. Come testimonia il registro di imbottigliamento n° 046, Forchir è uno dei primi imbottigliatori in Friuli. Oggi alla quarta generazione, l’azienda è impegnata “in un progetto enologico che alla tradizione unisce la moderna evoluzione della tecnica e del gusto”. Forchir Viticoltori in Friuli può contare su 230 ettari di vigneti collocati a Camino al Tagliamento, nell’udinese, e a Spilimbergo, nell’area pordenonese.
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(4,5 / 5) Un vero “affare” trovare in promozione al supermercato il Pinot Bianco Colterrae Alto Adige Doc 2015 di Cantina Colterenzio (Kellerei Schreckbichl).
Un vino straordinario, anche nel rapporto qualità prezzo pieno. Certamente uno dei migliori vini sotto i 10 euro presenti sugli scaffali dei supermercati italiani. Nel calice, il vino si presenta di un giallo paglierino tenue, con riflessi verdolini.
Al naso, intense e schiette note floreali, fruttate e minerali. Mela e pera sembrano diluirsi in una delicata soluzione salina, a esaltazione dello speciale terroir altoatesino in cui opera la Cantina Colterenzio. Ma è in bocca che il Pinot Bianco Colterrae Alto Adige Doc 2015 offre le emozioni più sincere. Un fil rouge sembra collegare ingresso e chiusura di una beva sapida, in crescendo verso il finale, e dall’acidità elegante.
Le note fruttate fresche, già avvertite al naso, fanno da splendido contorno. Ecco riaffiorare mela, pera, ma anche sentori di pesca e agrumi maturi. Una volta ingerito, il nettare rivela un retro olfattivo dalle tinte lievemente speziate, di pepe bianco. Delizioso aperitivo, il Pinot Bianco Colterenzio si abbina alla perfezione con gli antipasti, il pesce e le carni bianche di moderata elaborazione, anche speziate. Da servire, rigorosamente, a una temperatura di 10-12 gradi.
LA VINIFICAZIONE
I vigneti di Pinot Bianco sono allevati a un’altezza compresa tra i 450 e i 550 metri sul livello del mare. Una zona particolarmente vocate per il Pinot bianco quella in cui opera la Cantina Colterenzio, con terreni ghiaiosi e in parte dalla spiccata presenza di calcare. Il microclima fresco e le forti escursioni termiche tra giorno e notte assicurano un perfetto risultato in bottiglia e contribuiscono a rendere corposo (13,5%) questo Pinot Bianco.
La resa per ettaro si aggira attorno ai 70 ettolitri. Il mosto fermenta a una temperatura controllata di 18 gradi in acciaio e affina per alcuni mesi sui lieviti. Prima della commercializzazione è previsto un altro breve periodo di affinamento in bottiglia.
Cantina Colterenzio sorge in un territorio le cui radici affondano nella viticoltura. Le prime tracce risalgono già al 15 a.C., quando il colono romano Cornelius riconobbe la straordinaria fertilità di questa terra e decise di stabilirvisi, gettando le basi dell’attuale vocazione vitivinicola di Colterenzio. Il suo podere “Cornelianum” diede il nome al paese di Cornaiano.
L’antica tradizione fu rinnovata nel 1960, quando 28 vignaioli fondarono la Cantina Colterenzio. A questi se ne unirono altri nel corso degli anni. Ad oggi Colterenzio conta quasi 300 soci viticoltori che conferiscono le uve provenienti da circa 300 ettari di vigneto di loro proprietà.
Prezzo pieno: 9,36 euro
Acquistato presso: Esselunga
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(5 / 5)Ottimo Cabernet per qualità prezzo da Esselunga. Parliamo del Cabernet Friuli Colli Orientali Doc Volpe Pasini, imbottigliato all’origine dall’omonima società agricola di Emilio Rotolo e Figli di Torreano, Udine. La vendemmia sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it è la 2013, mentre l’ultima vendemmia in commercio è la 2015. Una degustazione dalla quale il Cabernet Volpe Pasini esce a pieni voti, dimostrando le sue buone potenzialità, anche in termini di ulteriore affinamento negli anni, in bottiglia. Nel calice, il vino si presenta di un rosso rubino intenso, poco trasparente. Intenso al naso, sprigiona sentori densi di sottobosco (ribes) e spezie, che con l’ossigenazione si arricchiscono di spunti erbacei tipici del Cabernet Franc (si tratta infatti di un blend tra Cabernet Sauvignon e Franc). Così come tipico è il richiamo (flebile) al peperone giallo. Al palato, il Cabernet Volpe Pasini si rivela caldo (13,5% gradi di alcol in volume, per nulla fastidiosi), pieno, di una rotondità di velluto. Tannino vivo, ma tutt’altro che allappante. E un’acidità ancora evidente, caratteristica che ha consentito la buona riuscita dell’affinamento in vetro di questo nettare friulano. Vino persistente anche nel retro olfattivo, chiude sulle note vegetali. L’abbinamento perfetto? Quello con le carni, specie se di selvaggina. A una temperatura di servizio di 18-20 gradi, quella dei grandi vini rossi.
LA VINIFICAZIONE Come anticipato, le uve che compongono il blend sono per l’85% quelle Cabernet Sauvignon e per il restante 15% Cabernet Franc. Dopo la raccolta, nei vigneti di proprietà della società agricola Volpe Pasini, tutti situati nel Comune di Togliano, si passa a una vinificazione tradizionale in rosso. Particolare attenzione viene data alla fase di macerazione, che si protrae a lungo per conferire intensità al colore del futuro vino e consentire, al contempo, il rilascio di tutte le sostanze che consentiranno al vino di durare a lungo nel tempo (oltre i 5 anni). La fermentazione avviene avviene in vasche di acciaio. Il vino affina per alcuni mesi in bottiglia, prima della commercializzazione. Volpe Pasini è una delle più antiche cantine del Nord Est italia, oggi proiettata sui mercati esteri, che concorrono per il 50% al bilancio aziendale.
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È entrato in funzione in questi giorni nella sede di Vado Ligure, in provincia di Savona, il nuovo impianto per la produzione di Clayver, l’innovativo contenitore di forma sferica in gres porcellanato per la vinificazione e l’affinamento del vino. Le dimensioni del forno per la cottura della ceramica e organizzazione del processo produttivo permetteranno una produzione quattro volte superiore a quella attuale. Giunto sul mercato nel 2014 dopo una lunga fase di studio e sperimentazione, Clayver si sta diffondendo rapidamente tra le aziende vitivinicole. Ad oggi viene utilizzato da 105 produttori, tra Italia ed estero. Nei primi mesi del 2016 gli ordinativi hanno segnato un +50% rispetto all’anno precedente, rendendo necessaria una nuova rete distributiva in grado di rispondere alle numerose richieste arrivate da Stati Uniti, Canada, Australia e Sud Africa. Il fattore chiave del successo di Clayver è da ricercare nel materiale con cui è costruito, un particolare gres lavorato secondo un procedimento ideato e messo a punto dall’azienda savonese. Il materiale che ne deriva risulta essere molto più performante della terracotta, resistente agli urti e impermeabile, senza i problemi di assorbimento e di perdita di prodotto tipici dell’argilla. Un materiale dotato di una microporosità che permette uno scambio gassoso con l’esterno, molto più ridotto rispetto al legno, ma che consente comunque un’evoluzione nel vino, con il vantaggio di non avere nessuna cessione di sostanze aromatiche. “Clayver è stata una scommessa che da amanti del vino abbiamo voluto lanciare – spiega Luca Risso (nella foto sotto), responsabile ricerca e sviluppo di Clayver – e che sentiamo già di aver vinto solo per il fatto che chi ha comprato i nostri contenitori ora ce ne chiede altri. All’assaggio i vini vinificati in Clayver rispetto a quelli che hanno fatto passaggio in barrique, per esempio, si distinguono perché i profumi e i sapori emergono in modo più netto, liberi dagli aromi tipici del legno. Il vino sembra tirar fuori una diversa personalità. Per noi non poteva esserci miglior risposta, ora ci stiamo strutturando per far fronte a una crescente richiesta da parte del mercato”.
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Complesso, armonico, eclettico. Gaudium Kerner Alto Adige Valle Isarco Doc 2015 Abbazia di Novacella è tutto questo. Un vino che nel calice si presenta di un giallo paglierino con chiari riflessi verdolini. Al naso note florali fresche, ma soprattutto fruttate di pesca, albicocca, frutta esotica (papaya), scorza d’arancia e una vena speziata di pepe bianco. Tutti sentori che è possibile ritrovare anche al sorso. Kerner 2015 Abbazia di Novacella è un vino fresco, che denota una certa sapidità abbinata a uno spunto minerale importante. Beverino, nonostante i 13,5% di alcol in volume, si fa apprezzare per il calore e la fluida morbidezza. Non si tratta del prodotto di punta della Stiftskellerei Neustift (Abbazia di Novacella, per l’appunto) di Varna, Alto Adige. Ma è certamente uno dei migliori vini bianchi altoatesini reperibili sugli scaffali della grande distribuzione italiana, nel rapporto qualità prezzo. In cucina accompagna alla perfezione gli aperitivi, le insalate, i primi piatti con condimenti saporiti. Non disdegna, ovviamente, il pesce, con i crostacei in pole position, e i formaggi a latte crudo di media stagionatura. Un consiglio? Provatelo con una vellutata di sedano e patate.
LA VINIFICAZIONE
Introdotto come vitigno in Alto Adige circa vent’anni fa, il Kerner dell’Abbazia di Novacella viene prodotto nei vigneti situati nei Comuni di Bressanone, Varna e Naz-Sciaves, tutti situati a un’altitudine variabile tra i 600 e i 750 metri sul livello del mare. Le viti affondano le radici in un terreno ricco di ghiaia limosabbiosa di origine morenica. L’esposizione è a sud, sud-ovest, con una pendenza del 25-40%. Il Kerner viene allevato a Guyot, con una densità di 6-7 mila piante per ettaro e una resa media di 65 ettolitri. Le uve vengono vendemmiate all’inizio del mese di ottobre. La vinificazione e la maturazione avvengono in acciaio inox, a una temperatura di fermentazione di 20 gradi circa. I lieviti utilizzati sono naturali e selezionati. Fondamentale l’affinamento di 6 mesi in acciaio inox, prima della commercializzazione. A oltre 850 anni dalla fondazione, l’Abbazia dei Canonici Agostiniani di Novacella conduce oggi 20 parrocchie attraverso l’opera pastorale. Ogni anno migliaia di visitatori vengono accolti nell’abbazia di Novacella, che si sostiene economicamente proprio grazie alla coltivazione e la vendita di prodotti agricoli come erbe aromatiche e frutta. E, ovviamente, attraverso l’attività della Cantina dell’Abbazia, capace di ottenere con i suoi vini grandi riconoscimenti, anche a livello internazionale.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Refosco dal Peduncolo Rosso Friuli Colli Orientali 2014 Jean Paul Roble
Frutto di un ‘concept’ raro da rinvenire tra i banchi della grande distribuzione organizzata italiana, i vini Jean Paul Roble 85 15 nascono “da un concetto di terroir ispirato ai territori della Borgogna, di Pomerol, di Bordeaux e della Loira”. Vini francesi destinati prevalentemente a un pubblico di “nicchia”, la cui filosofia, coniugata all’italiana, mira a rivolgersi “a un pubblico più vasto”. Non a caso Jean Paul Roble non è il nome del produttore, bensì lo ‘pseudonimo’ dietro al quale si ‘cela’ Effe. Ci Parma Srl: uno dei colossi del mercato italiano del vino. Tra le Doc commercializzate con questo marchio, prodotte esclusivamente nei Colli Orientali del Friuli, in un appezzamento di 16 ettari sulla collina di Ipplis, coltivata per 3 ettari a Pinot Grigio, 3 a Friulano, 3 a Sauvignon, 5,5 a Chardonnay, 1,5 a Refosco e 1 a Merlot, peschiamo proprio il Refosco dal Peduncolo Rosso. Per l’esattezza, la vendemmia che finisce sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it è la 2014, per la quale figura come imbottigliatore l’azienda agricola Ca’ Ronesca Sas di Dolegna del Collio, in provincia di Gorizia. Un vino che, all’esame visivo, si presenta d’un rosso rubino intenso. Al naso esprime note di buona intensità, che richiamano la viola e piccoli frutti a bacca rossa. Già all’olfatto uno spunto vinoso, classico del vitigno, che ritroviamo poco dopo al palato. Così come si ripresentano pure le note fruttate fresche di piccole bacche rosse, come ribes e lampone, cui si accosta piacevolmente la bacche nere della mora selvatica, dallo sprint acidulo finale. Un quadro che fa del Refosco dal Peduncolo Rosso Friuli Colli Orientali Doc 2014 Jean Paul Roble un vino rotondo, di facile beva, non impegnativo. Un vino pulito e leggero, ma capace di mostrare una certa trasversalità e versatilità negli abbinamenti con la cucina italiana. Un prodotto, insomma, che accompagna pietanze non eccessivamente complesse.
LA VINIFICAZIONE Il Refosco dal Peduncolo Rosso Jean Paul Roble, come anticipato, proviene da un appezzamento di 3 ettari, posto nel comune di Premariacco, in provincia di Udine. Più esattamente, nella piccola frazione di Ipplis. Il vigneto si trova in una zonacollinare, con altezza variabile tra i 400 e i 600 metri sul livello del mare. I suoli sono di tipo marnoso e calcareo, ricchi di elementi nutritivi come potassio, magnesio, calcio, ferro, manganese, zinco. Allevate con il sistema del guyot lineare, lasciando quattro gemme per ogni pianta, come in uso in questa zona di produzione del Refosco, le viti – di 4 anni – registrano una densità di 3.600 piante per ettaro. Le rese si assestano sui 70 quintali per ettaro: 1 Kg circa, per pianta. La vinificazione prevede, dopo la fermentazione a temperatura controllata tra i 25 e i 28 gradi, un affinamento in vasca di acciaio per alcuni mesi. il Refosco Jean Paul Roble 2014 ha riposato altri due mesi in bottiglia, prima di essere immesso in commercio. Ne sono state prodotte 30 mila bottiglie.
Prezzo pieno: 5,90 euro
Acquistato presso: Iper la Grande I (Finiper)
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Col di Bacche Vermentino Morellino Riserva Cupinero Passito 1
E’ una salita fra gli alti cipressi, tanto ripida quanto romantica, a condurre all’azienda agricola Col di Bacche. Siamo a Magliano in Toscana, piccolo comune in provincia di Grosseto. E quell’irto, faticoso cammino, che conduce al punto più alto di strada di Cupi, nella piccola frazione di Montiano, è il simbolo più fulgido dell’avventura di Alberto Carnasciali e Franca Buzzegoli. Marito e moglie, uniti anche nella cantina fondata nel 1998. Anno in cui Alberto Carnasciali si sfila di dosso l’abito da imprenditore edile e decide di sognare ad occhi aperti. Dando vita a Col di Bacche. La prima vendemmia, nel cuore delle terre del Morellino di Scansano, risale al 2001. Sono passati 15 anni, ormai. Quindici anni che hanno incoronato Col di Bacche tra le cantine dell’Olimpo Toscano del vino. Ne è consapevole Franca Buzzegoli, che ci accoglie in cantina con la fierezza di chi sa d’aver svoltato. Non solo nella vita. “Noi siamo di origine chiantigiana – spiega – nati e vissuti nel Chianti fino alla fine degli anni Novanta, quando abbiamo deciso di cominciare questa avventura in Maremma. Mio marito era titolare di un’impresa edile e, anche per questo, sapevamo che intraprendere un’attività nel settore vitivinicolo nella nostra zona era molto complicato. Ma abbiamo sempre bazzicato in Maremma. Quando siamo arrivati qui, non c’era niente. O meglio: c’era un poggio vuoto, che faceva parte di un podere. Ci piacque tantissimo questa location e così l’acquistammo. Nel ’98 impiantammo i primi vigneti. Poi – prosegue Franca Buzzegoli – costruimmo l’annesso agricolo che oggi ospita la prima cantina. Nel 2001 gli ultimi vigneti, che hanno subito reso troppo piccoli i locali per la vinificazione. Diciamo che ci siamo fatti prendere un po’ la mano! E così, tra il 2004 e il 2005, abbiamo realizzato la cantina attuale, trasformando la prima cantina in sala per le degustazioni e adattandola ad altre funzioni”. Sessantanni lui, cinquantadue lei. L’età giusta per sognare, ancora. Sin dagli albori, Col di Bacche si avvale dell’esperienza dell’enologo Lorenzo Landi, che assieme ad Alberto Carnasciali, sommelier Ais, impianta ad uno ad uno quattordici ettari totali di terreno. Si tratta principalmente di Sangiovese. Ma anche di Syrah e Cabernet Sauvignon. Nella parte bassa dell’azienda, dove il Sangiovese non maturerebbe bene, i coniugi Carnasciali decidono di allevare Merlot. Una scelta più che mai azzeccata. Il riscontro di critica e mercato di Cupinero, Merlot Igt Maremma Toscana, è sin da subito eccezionale. Il vero e proprio fiore all’occhiello dell’azienda agricola Col di Bacche. Un Merlot impiantato a cordone speronato alto, con sistema fogliario libero di crescere sulla ‘testa’ del grappolo. Accorgimenti che evitano a un vitigno precoce nella maturazione di assumere sentori di confettura che poco avrebbero a che fare con la ricerca di eleganza e finezza di Cupinero. Ma il vero segreto della ‘chicca’ di casa Col di Bacche è il ruscello che scorre a pochi metri dal Merlot. Garantendo un’efficace e benevola escursione termica.
LA FILOSOFIA Terreni ricchi di scheletro e sabbiosi, situati dai 120 ai 230 metri sul livello del mare, sono l’habitat dei vini di quest’azienda agricola toscana che fa della riduzione delle rese del vigneto un vero dogma. “Prendiamo ad esempio il Morellino di Scansano – commenta Franca Buzzegoli -. Il disciplinare ci consentirebbe una resa di 90 quintali per ettaro, mentre noi lo produciamo a 60-70. I nostri sono vini territoriali che aspirano a dimostrare come in Maremma si possano ottenere produzioni molto interessanti, pur non essendo la zona nota al grande pubblico, come quella del Chianti. In Toscana ci sono denominazioni più prestigiose rispetto a quelle maremmane, ma non è detto che tutte le aziende che operano in contesti prestigiosi lavorino secondo il principio della qualità. Quello che noi cerchiamo invece di fare quotidianamente”. Ogni anno, Col di Bacche sforna dai suoi 14 ettari di vigneti circa 60 mila bottiglie annue. Il Morellino ‘base’ costituisce il cuore della produzione, assestandosi sul 40%. Seguono Morellino Riserva, Merlot e, da quattro anni, Vermentino di Toscana. Prodotto inizialmente acquistando uve da terzi, Col di Bacche si è resa nel tempo autosufficiente, impiantando appositi vigneti: neppure un ettaro, che garantisce una produzione di circa 5.500 bottiglie l’anno. “Un bianco che sta andando molto bene – evidenzia Franca Buzzegoli – ottenuto da due particelle che non sono esattamente adiacenti al resto dell’azienda agricola, ma che si trovano in un’ottima posizione, con un’ottima esposizione”. Il mercato di Col di Bacche si svolge per il 65% in Italia. Il business funziona, ma Franca Buzzegoli non risparmia qualche stoccata al ‘sistema’. “In questa zona – evidenzia la ‘donna del vino’ – lottiamo con il fatto che quella del Morellino di Scansano è una denominazione che si è un po’ fermata negli ultimi anni. Grandi aziende sono venute qui a investire da tutta Italia, ma gli sforzi economici compiuti non sono affatto ricaduti sul territorio, o sulla valorizzazione della denominazione di origine controllata e garantita. I prezzi, anche a causa dell’arrivo di questi colossi, sono al ribasso. E non è facile competere. Fare vino in Toscana è un privilegio, pone in una situazione di intrinseca superiorità rispetto ad altre regioni italiane – ammette Franca Buzzegoli – soprattutto quando si va a proporre i propri vini nel mondo. Ma a livello di Consorzio si potrebbe fare ancora di più, soprattutto nelle politiche che riguardano gli imbottigliatori. Così come si potrebbe fare di più a livello di promozione del territorio, che è basata principalmente su pochi eventi, tutti molto costosi per le aziende e, per questo, sempre appannaggio dei soliti pochi noti”. Il futuro di Col di Bacche è comunque luminoso, con il figlio 24enne, laureando in Storia dell’Arte, pronto a rimboccarsi le maniche in un settore diverso da quello degli studi. Eppure così affine: un buon vino, non è forse un’opera d’arte?
LA PRODUZIONE COL DI BACCHE La degustazione, guidata da Franca Buzzegoli, inizia come si consueto bianco. In questo caso con il Vermentino Igt Toscana 2015. Le uve vengono vendemmiate nel corso della prima decade del mese di settembre. La vinificazione avviene in acciaio, a temperatura controllata. Il Vermentino Col di Bacche affina per 6 mesi, sempre in acciaio. Prima della commercializzazione, un ulteriore affinamento in bottiglia. Ottimo per l’aperitivo, il Vermentino Col di Bacche si abbina a piatti di pesce e carne bianca. Franca Buzzegoli propone poi l’assaggio del Morellino di Scansano 2014. La vendemmia del Sangiovese (90%) e degli altri vitigni a bacca nera (un 10% tra Syrah, Cabernet Sauvignon e Merlot) avviene tra la seconda metà di settembre e la prima settimana di ottobre: una vendemmia verde, in corrispondenza dell’invaiatura. La fermentazione si compie a temperatura controllata, per 20 giorni. L’affinamento è affidato all’acciaio per il 60% del vino; la parte restante matura in barriques di terzo e quarto anno. Un passaggio, questo, che rende il Morellino ‘base’ Col di Bacche apprezzabile con le sue caratteristiche peculiari anche a distanza di qualche anno dall’imbottigliamento. La grande centralità del frutto nella beva e la particolare attenzione alla pulizia negli esercizi di cantina sono palpabili e completano un quadro più che apprezzabile. Perfetto con i primi saporiti della cucina tradizionale toscana, si fa apprezzare a tutto pasto e con formaggi salati, di media stagionatura. Saliamo i gradini dell’eccellenza con Rovente 2012, il Morellino di Scansano Riserva Col di Bacche. Un prodotto ottenuto da un 90% di Sangiovese addizionato a un 10% di Syrah, vendemmiati tra la seconda metà di settembre e la prima settimana di ottobre da vigneti che registrano una resa di 55 quintali per ettaro, diradati sino al 50% in corrispondenza dell’invaiatura, ovvero nel periodo in cui gli acini iniziano ad assumere il colore tipico dell’uva. La vinificazione prevede una diraspapigiatura soffice e una fermentazione alcolica in serbatoi di acciaio inox a temperatura controllata, variabile tra i 28 e i 30 gradi. Continui rimontaggi e délestages precedono la macerazione sulle bucce, che si prolunga tra i 18 e i 21 giorni. L’affinamento del Rovente avviene in barriques di rovere francese, in parte nuove e in parte usate, per circa 12 mesi. Un ulteriore affinamento in bottiglia anticipa la commercializzazione. E sul mercato finisce un vino dall’ottimo rapporto qualità prezzo (13 euro all’horeca), con note fruttate fresche intense impreziosite da una delicata speziatura, un tannino elegante e rotondo e una capacità di invecchiamento medio lunga. In cucina ama piatti corposi, con cui mettere alla prova la un’ottima struttura: la cacciagione e i formaggi stagionati sono solo alcuni degli abbinamenti utili a valorizzare Rovente. Nella ‘verticale’ della produzione Col di Bacche, ecco arrivati a Cuponero, l’indicazione geografica tipica Maremma Toscana, vero fiore all’occhiello della vinicola di Magliano. La base (90%) è costituita come detto dal fortunato Merlot, cui viene aggiunto un 10% di Sauvignon: una percentuale variabile di anno in anno. La vendemmia proposta è la 2011, in grande forma già all’esame visivo col suo rosso rubino intenso. Al naso, alle note di frutta rossa fa eco un fresco sottobosco, invitante. Corrispondente al palato, regala un elegante e persistente finale. La vinificazione di Cupinero comincia dall’attenzione riservata agli acini durante il loro sviluppo. Le uve subiscono una diraspapigiatura soffice e una fermentazione alcolica in serbatoi di acciaio inox, a temperatura controllata variabile tra i 28 e i 30 gradi. Si cerca di favorire l’estrazione delle sostanze fenoliche con rimontaggi e délestages, prima di una macerazione sulle bucce della durata variabile tra i 18 e i 21 giorni. L’affinamento di Cupinero prevede l’utilizzo di barriques di rovere francese, in parte nuove ed in parte usate. Dura circa un anno. Alcuni mesi di ulteriore affinamento in bottiglia regalano agli amanti del Merlot (ma non solo) un’espressione unica del vitigno. L’espressione maremmana. Tutto da provare anche il Passito di Sangiovese Col di Bacche, ottenuto col classico metodo dell’appassimento delle uve al sole, cui viene fatto seguire l’affinamento in barrique. Ottima anche la grappa Riserva di Merlot, distillata dalle vinacce di Cupinero e affinata per 18 mesi in barrique.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Sentiamo spesso parlare di vini neozelandesi. Vini che, ormai, è facile reperire anche sul mercato italiano. Vinialsupermercato.it, come al solito, cerca di aiutarvi nelle scelte in campo enologico. E oggi racconta di un Sauvignon Blanc proveniente proprio dalla Nuova Zelanda. Si tratta del Sauvignon Blanc 2013 Insight, “single vineyard” Marlborough, prodotto dalla cantina Vinultra nella Waihopai Valley. Il vino si presenta di un colore giallo paglierino, di buona limpidezza. Al naso esprime un bouquet estremamente ampio e accattivante, molto “femminile” e floreale. Si passa dal passion fruit alla classica foglia di pomodoro, fino alle note di zenzero fresco. Un naso prezioso, che anticipa un sorso ancora più soddisfacente. La frutta esotica torna prepotentemente, il che potrebbe far risultare questo vino stucchevole. Ma immediatamente sopraggiungono note agrumate di pompelmo rosa, a bilanciare il tutto. Completano il quadro note speziate e minerali. Il ritorno, una volta deglutito il vino, è di quello di piacevoli e persistenti foglie di pomodoro, oltre agli onnipresenti agrumi e alle spezie.
LA VINIFICAZIONE L’azienda Vinultra è situata a Malborough, sulla East coast della Waihopai Valley, uno dei territori più conosciuti e vocati alla coltivazione della vite in Nuova Zelanda. Il vitigno scelto per la produzione di questa etichetta si sviluppa su due terrazze differenti: quella inferiore è estremamente ricca di sassi, un terreno limoso e argilloso. Quella superiore, invece, sempre composta di argilla e limo, presenta in abbondanza grandi blocchi di ghiaia, in questo caso friabile. Il sistema di allevamento è la controspalliera e la raccolta delle uve Sauvignon Blanc avviene tra la fine del mese di aprile e l’inizio di maggio. La diraspatura è seguita da una pressatura con pressa pneumatica. Le uve subiscono poi criomacerazione per 48 ore, processo utile alla conservazione degli aromi varietali dell’uva. La fermentazione avviene in vasche d’acciaio e il vino riposa sur lies, ovvero “sulle bucce”, per diversi mesi prima di essere imbottigliato.
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Arnolfo di Cambio Toscana Igt vino 2009 Fattoria il Palagio e1465333608239
(4,5 / 5) Figlio di Cambio e Perfetta, lo scultore e architetto Arnolfo di Cambio è senza dubbio una delle figure centrali dell’arte Medioevale.
A lui è dedicato l’omonimo Arnolfo di Cambio Sangiovese Toscana Igt della società agricola Fattoria Il Palagio, proprietà dei marchesi Tortoli Matteucci acquistata nel 1979 dalla nota famiglia del vino italiano Zonin, che la converte dall’indirizzo cerealicolo e olivicolo originale all’attuale viticolo e olivicolo.
Ci troviamo appunto in località Il Palagio a Castel San Gimignano, in provincia di Siena. Un vino con una storia da raccontare, insomma, questo Sangiovese in purezza che “scomoda” un nome altisonante della scuola cistercense. E un vino che, date le premesse, non delude affatto le attese. Anzi.
LA DEGUSTAZIONE
La vendemmia 2009, quella finita sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it, sorprende oltre le attese. Nel calice il Sangiovese Toscana Igt Arnolfo di Cambio si presenta di un rosso rubino tendente al granato. Scorre mediamente denso, colorando il vetro d’una tinta poco trasparente.
Al naso risulta di un balsamico intrigante. Tra le note di frutti rossi e quelle floreali di viola mammola si fa largo una speziatura decisa di liquirizia dolce, che domina la scena e mitiga sentori più duri, di cuoio. L’ossigenazione del prezioso nettare nel calice regala di lì a poco l’incedere, timido e delicato, del baccello di vaniglia.
Un lampo di femminile gentilezza, prima di un assaggio che risulta di primo acchito antitetico. In bocca, il Sangiovese Toscana Igt Arnolfo di Cambio entra – di fatto – piuttosto austero. Per aprirsi, poi, alle note fruttate (piccole bacche rosse) e speziate (liquirizia dolce), già avvertite al naso.
Il tannino, elegante e suadente, accompagna un sorso di facilità non comune tra vini di tale alcolicità (13,5%) ed evoluzione (vendemmia 2009, ricordiamolo). Così come non risulta comune quel rincorrersi, quasi giocoso, tra un’acidità ancora viva e una spiccata sapidità, figlie di uno dei territori italiani maggiormente vocati alla viticoltura. Intenso e fine anche una volta deglutito, l’Arnolfo di Cambio Sangiovese Toscana Igt della Fattoria Il Palagio è un vino di assoluto livello, da degustare anche in compagnia di un buon libro.
A tavola, l’abbinamento perfetto è quello con le portate “importanti” a base di carne, dalla selvaggina alle grigliate consistenti, pur non disdegnando i formaggi di media stagionatura. La temperatura di servizio? Tra i 16 e i 18 gradi, per apprezzarlo appieno, a sorsi pazienti e rispettosi.
LA VINIFICAZIONE
Il territorio da cui prende vita il Sangiovese Toscana Igt Arnolfo di Cambio è quello di Castel San Gimignano, Siena: più esattamente dal Poggio di Tollena. Il mosto di uve Sangiovese (in purezza) è ricavato da vendemmia manuale, che avviene nella prima decade del mese di ottobre.
Viene posto in fermentini verticali, dove ha luogo la fermentazione alcolica che si protrae per circa 10 giorni, alla temperatura di 28 gradi. Successivamente avviene la fermentazione malolattica, il processo che consente la trasformazione dell’acido malico in acido lattico. Il vino, dunque, viene posto in botti di rovere. Resta a maturare per i successivi 18 mesi.
Un ulteriore affinamento in bottiglia, per un periodo di circa 4 mesi, anticipa la commercializzazione. Fattoria Il Palagio, oggi proprietà di Gaetano Zonin, domina un tipico poggio toscano nella Val d’Elsa senese, nel comune di Colle di Val d’Elsa e per una piccola parte nel comune di San Gimignano. Le vigne, situate a un’altitudine di 350 metri sul livello del mare, hanno un’estensione di oltre cento ettari, di cui 95 coltivati a vite e 16 ad olivo.
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Oggi incontriamo la cantina tedesca Von Winning, con il suo Win Win Riesling, vendemmia 2013. Questa interessantissima etichetta, nata nella zona di Pfalz (Palatinato), si presenta nel calice di un giallo brillante, con dei riflessi verdognoli.
Un colore che lascia presumere come si tratti di un vino con moltissimi margini di evoluzione in bottiglia, col passare degli anni: una caratteristica intrinseca dei Riesling della Renania, vera e propria terra promessa della Germania, vocata alla produzione di vini di altissimo livello.
Nel calice, Win Win si presenta limpido e senza sospensioni. Al naso il vino esprime la sua territorialità con una presenza di idrocarburi, una pronunciata mineralità e sentori erbacei di fieno appena tagliato. Non mancano le percezioni floreali riconducibili ai fiori bianchi.
Al gusto, il Riesling Win Win Von Winning 2013 esprime un’accentuata potenza e vigorosità, un vino pieno che ben si sposa con l’eleganza della frutta esotica. Questo connubio potenza-eleganza regala un vino complesso, ma allo stesso tempo la perfetta acidità spinge alla ricerca del sorso successivo. Il retrogusto, delizioso e non invadente, vede frutta esotica e albicocche protagoniste. In cucina, il Riesling Win Win è abbinabile a primi come risotti a base di pesce e verdure, ma anche a crudi di mare.
LA VINIFICAZIONE La cantina Von Winning ha una storia antica, che inizia nel lontano 1849. Coltiva le uve nelle zone di Ruppertsberger, Deidesheime e Forst, nella parte sinistra del Reno. La filosofia dei suoi vini è abbastanza ‘retro’, intesa nell’accezione positiva del termine: la riscoperta di antiche tecniche di vinificazione, improntate sulla qualità, sono le chiavi vincenti di questa casa vinicola tedesca.
Le uve del Riesling Win Win crescono a un’altitudine compresa tra i 100 e i 200 metri sul livello del mare, con un età media dei vigneti di 20 anni. Il terreno sul quale crescono le uve è di composizione variegata. Si passa da suoli leggeri e sabbiosi a terreni argillosi, tutti a base arenaria.
La raccolta delle uve, nei vigneti allevati a guyot, avviene tra l’inizio e la metà settembre. La fermentazione di questo Riesling, spontanea, avviene in grandi botti di rovere francese. Segue un affinamento in bottiglia di 6 mesi, prima della commercializzazione. La cantina, importata in italia dalla azienda Winedow, garantisce una produzione di 15 mila bottiglie per questa etichetta.
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Alghero Doc Le Arenarie Sella e Mosca e1465140776274
(4 / 5)Sauvignon alla “sarda”. Ecco cos’è, in estrema sintesi, l’Alghero Doc Le Arenarie Sella e Mosca. E se a qualcuno suona strano, basti pensare che questa varietà autoctona francese è presente tra i vigneti sperimentali della casa vinicola sassarese da quasi vent’anni. Nel calice il vino si presenta di un giallo paglierino carico, quasi tendente al dorato, pur conservando riflessi verdolini. Leggermente velato. Al naso, se stappato alla corretta temperatura di servizio, si rivela intenso e continuo nelle percezioni tipiche del Sauvignon, dalla frutta fresca (pera, pesca) e tropicale (ananas) sino ai più complessi sentori minerali e vegetali. Ma è anche in grado di sorprendere, con richiami al cedro e alla macchia mediterranea che si rivelano in seguito a una moderata ossigenazione nel calice, disegnano distintamente rosmarino, peperone e foglia di pomodoro. Un naso elegante e ricco, che conduce la mente in un viaggio tra i paradisi marittimi della Sardegna. Merito dei richiami salmastri che ritroviamo anche al palato. In bocca, di fatto, acidità e sapidità sembrano sfidarsi ad armi pari in un confronto che – in definitiva – non vede né vincitori né vinti. Una beva resa “facile” da queste caratteristiche, ma tutt’altro che banale: ben rotonda e avvolgente. Le note vegetali di peperone dolce tornano a presentarsi prima di un finale leggermente astringente e “citrico”. Tutte caratteristiche che fanno dell’Alghero Doc Le Arenarie Sella e Mosca il compagno perfetto per accompagnare piatti a base di pesce, molluschi e crostacei. A una temperatura ideale di servizio di 12 gradi.
LA VINIFICAZIONE
Il Sauvignon in purezza è una delle varietà previste per la produzione di vini appartenenti alla Doc Alghero. Le uve, raccolte nelle ore più fresche della giornata, vengono macerate a freddo nelle cantine Sella e Mosca per circa 12 ore, dopo una soffice pigiatura. Il mosto ottenuto da leggera spremitura con presse pneumatiche viene illimpidito per decantazione a freddo e la fermentazione a bassa temperatura controllata, che non supera mai i 15 gradi, dura oltre due settimane. L’Alghero Doc Le Arenarie Sella e Mosca fa parte della linea “Cuore Mediterraneo” della cantina della provincia di Sassari, parzialmente reperibile sugli scaffali della grande distribuzione organizzata italiana, dove la cantina è molto attiva.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Ottimo vino, soprattutto nel rapporto qualità prezzo, il Rosso Riserva Colli Euganei Doc della Società Agricola Vignalta di Arquà Petrarca, Padova. Sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it, la vendemmia 2010. Nel calice si presenta di un rosso intenso con riflessi granati. Buona consistenza e intensità. Al naso questo rosso del Veneto si rivela vino molto intenso. Nonostante due anni in botte, conserva una certa freschezza e vinosità. Eppure riesce a essere molto armonico ed elegante, grazie a note marcate di sottobosco e bacche mature. Il Merlot, vitigno predominante, utilizzato nel blend con il Cabernet Sauvignon, conferisce all’olfatto il giusto spunto vegetale e speziato. Al palato, il Rosso Riserva Colli Euganei Doc Vignalta 2010 conferma le attese: buona struttura, vino avvolgente caldo. Il terreno si fa sentire prepotentemente: il suolo vulcanico dà la giusta mineralità, la botte lo rende rotondo, ma comunque conserva una certa ripetibilità nella bevuta. Un rosso importante, anche nell’alcolicità (14%) che tuttavia non stanca, né risulta pesante. La tannicità ben si lega comunque a una freschezza inaspettata e sorprendente per un vino Riserva. I ritorni di confettura di frutta e peperone verde, oltre alla buona persistenza, sono i tratti distintivi del quadro retro olfattivo. Un rosso che può addentrarsi sicuramente in un medio lungo invecchiamento. Questo importante rosso veneto si abbina a portate di carne, sia bianche sia rosse, servito a una temperatura ideale di 18 gradi.
LA VINIFICAZIONE
L’area di produzione del Rosso Riserva 2010 Vignalta è quella dei Colli Euganei, tra Arquà Petrarca, Baone, Cinto Euganeo e Teolo. Prende vita da vigneti di età media compresa tra i 13 e i 21 anni, con esposizione Sud Sud-Ovest. Il suolo è ricco di calcare e argilla calcarea, con sabbia di lava disgregata. La tecnica d’impianto è quella del cordone speronato e Sylvaz, con una densità di 2000-4000 piante e una resa di 70 quintali per ettaro. Come anticipato, le varietà che compongono il blend sono il Merlot per il 60% e il Cabernet Sauvignon per il 40%. La vinificazione prevede 14 giorni di fermentazione e macerazione in serbatoi d’acciaio con lieviti selezionati. Vengono dunque effettuati quattro rimontaggi al giorno, mentre la temperatura non si discosta dai 27 gradi. L’affinamento del Rosso Colli Euganei Vignalta ha luogo in botte di rovere (Allier e Slavonia) da 500 litri, per 24 mesi. Terminato questo periodo, il vino non subisce alcuna stabilizzazione. La filtrazione grossolana e gli ulteriori 6 mesi di affinamento in bottiglia, anticipano la commercializzazione. Ogni anno, ne vengono prodotte in media 100 mila bottiglie da 750 ml, ma la cantina produttrice lo rende disponibile anche nei formati da 0.375 e da 1.5 litri.
Acquistato presso: Alìper Ipermercati
Prezzo: 12.90 euro
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
L’estate è alle porte e porterà sulle nostre tavole piatti freschi e leggeri, anche in vista dell’agognata “prova costume”. Con l’aumentare delle temperature crescono, notoriamente, anche le vendite dei vini bianchi ed è per questo che oggi, a finire sotto la nostra lente di ingrandimento, è un Falerio Pecorino Dop, vendemmia 2015, prodotto ed imbottigliato dalle cantine Ciù Ciù della località Santa Maria in Carro ad Offida (Ap). Un vino marchigiano il Pecorino del quale abbiamo fatto altre degustazioni e che sta veramente diventando un “cult”: all’ Enoteca Regionale delle Marche di Offida è tra quelli più richiesti insieme alla Passerina, più del Verdicchio che pure è tanto amato dagli italiani. La vendemmia nel nostro calice è l’ultima, la 2015 ed infatti nel calice il Falerio Pecorino Dop prodotto dalle cantine Ciù Ciù si presenta giovane, giallo paglierino con riflessi verdolini, molto trasparente e cristallino. Un vino poco denso e non particolarmente sconvolgente come intensità di profumi, ma che comunque regala note fruttate e floreali di fiori d’acacia e gradevoli sentori minerali. Al palato è di discreta struttura, caldo, rotondo, secco ed apprezzabile per la freschezza e la chiusura leggermente sapida e fruttata che regala una beva davvero stuzzicante. Un rapporto qualità prezzo ottimo per un vino che si presta ad essere bevuto come aperitivo, in abbinamento a piatti di pesce non particolarmente strutturati, a carni bianche, ma anche da provare con il brodetto alla sanbenedettese, una zuppa di pesce con peperoni e pomodori, come consigliano al Consorzio di Tutela dei Vini Piceni. La gradazione è di 13% di alcol in volume, ma davvero si beve con estrema facilità. Un vino “easy to go”, fresco e beverino.
LA VINIFICAZIONE La zona geografica di produzione del Falerio Pecorino Dop prodotto dalla cantina Ciù Ciù sone le colline tra il comune di Offida e Acquaviva Picena in provincia di Ascoli Piceno. I vigneti si trovano ad un’altezza di 250/300 mt sul livello del mare, su terreni di medio impasto e sono allevati a cordone speronato. La vendemmia è manuale e viene effettuata a metà settembre. Prodotto con un blend di uve Pecorino e Trebbiano vinificate in bianco tradizionalmente e con un breve affinamento in bottiglia prima della messa in vendita è pronto al consumo dalla primavera successiva alla vendemmia. La cantina Ciù Ciù è stata fondata negli anni settanta da Natalino Bartolomei e sua moglie Anna a pochi chilometri dal meraviglioso borgo di Offida, uno tra i borghi più belli d’Italia. I poderi Ciù Ciù si estendono su 150 ettari dislocati sulle colline marchigiane che beneficiano della vicinanza del mare della costa adriatica. Attualmente l’azienda è gestita dai fratelli Massimiliano e Walter Bartolomei che sono riusciti a portare l’azienda a livelli di qualità che l’hanno resa famosa nel mondo.
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Ottimo rapporto qualità prezzo per Isaras Rosato Vigneti delle Dolomiti Igt 2014 della cantina Eisacktaler Kellerei, Cantina Valle Isarco. All’esame visivo si presenta di un rosa tenue ciliegia appena matura, di buona limpidezza.
Al naso evidenzia a primo impatto una nota persistente di idrocarburi, note di marzapane e fragole. In bocca, questo rosato è molto elegante, dotato di una sostenta freschezza e acidità, e sfodera la mineralità tipica dei vini del proprio territorio.
Il tutto bilanciato comunque dalla morbidezza conferita dal grado alcolico: un equilibrio non facile da trovare in un rosato. Una volta deglutito regala ritorni di frutti di bosco, molto piacevoli.
Pronta la vendemmia 2014, che è possibile degustare come ottimo aperitivo, oltre ad accompagnare alla perfezione piatti di pesce, crostacei e portate di verdura cotta.
LA VINIFICAZIONE
Isaras Rosato Vigneti delle Dolomiti Igt nasce dal bland tra gli uvaggi Zweigelt, Blauburgunder (Pinot Nero) e uva Portoghese. I vigneti della Cantina Valle Isarco sono collocati a un’altitudine che varia tra i 400 e i 650 metri sul livello del mare.
I terreni in cui affondano le radici le piante sono di ghiaiosi, contenenti diorite e quarzofillite, ricchi di scheletro. La vinificazione prevede lavorazione e pigiatura delicata, fermentazione a temperatura controllata e maturazione sulle fecce nobili in serbatoi in acciaio inox. Nessuna fermentazione malolattica.
Eisacktaler Kellerei è la più giovane cooperativa vitivinicola dell’Alto Adige, sorta in una zona tradizionalmente vocata alla viticoltura come la Valle Isarco e già affermatasi a livello internazionale per la qualità della sua produzione.
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(5 / 5) Tra le tante Doc e Docg della Toscana, una certa Gdo (quella che lavora bene) non dimentica la Denominazione di origine controllata Sant’Antimo: praticamente sconosciuta tra i clienti dei supermercati e (ammettiamolo) poco nota anche tra i professionisti del settore.
Parliamo di Ipercoop, che nei suoi ipermercati offre a poco più di 7 euro una vera e propria “chicca”: il Sant’Antimo Doc Focaia della Società agricola Centolani Srl di Montalcino, Siena.
Una di quelle bottiglie, insomma, che danno la “cifra” del lavoro di un buyer vini della grande distribuzione. Plausi (doverosi) a parte, veniamo al dunque.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Sant’Antimo Doc Focaia Centolani, vendemmia 2012, si presenta d’un rosso porpora, con sfumature e unghia violacea. Poco trasparente, scorrevole, si rivela complesso al naso. I sentori fruttati (frutti rossi) e floreali (viola) lasciano spazio a un’evoluzione vegetale che ricorda il rosmarino.
Non mancano le note boisé. E una speziatura che tende al cuoio, alla liquirizia e al tabacco dolce, delicato. Un naso ricco di emozioni, pronto a evolversi nel calice, tra un sorso e l’altro. Grandi, dunque, le attese nell’assaggio. Che non delude. Al palato, Focaia Sant’Antimo Doc Centolani premia le attese con un tannino suadente, una beva calda e fine, in cui le note fruttate rincorrono quelle speziate. Ma a colpire è l’ottima sapidità, che impreziosisce un quadro già praticamente perfetto.
E il retrogusto non è da meno, con la sua leggera vena amarognola in chiusura. Persistente il retro olfattivo, per una vendemmia – la 2012 – che è pronta a regalare le stesse emozioni ancora per qualche anno. Un vino, in definitiva, che si abbina a piatti di carne mediamente elaborati, come arrosti e cacciagione, a una temperatura di servizio di 18 gradi. Il rapporto qualità prezzo resta comunque il piatto forte di questa bottiglia.
LA VINIFICAZIONE
Il Sant’Antimo Doc della Società Agricola Centolani Srl è ottenuto dalla vinificazione di uve Cabernet Sauvignon (40%), Merlot (40%), Syrah (10%) e Petit Verdot (10%), prodotte sul versante sud ovest di Montalcino. I terreni sono di tipo galestroso e lievemente argilloso. I vigneti sono esposti al sole a un’altezza di 400 metri sul livello del mare. La vendemmia avviene nel corso della prima decade del mese di ottobre.
Le uve vengono diraspate e pigiate in maniera soffice, con successiva macerazione in acciaio Inox, per 20 giorni. In questo periodo sono frequenti i rimontaggi e le follature. Durante questa fase si completa la fermentazione alcolica, a una temperatura variabile tra i 28 e i 30 gradi. Il vino, dunque, riposa per 6 mesi in barrique francesi da 225 litri. L’affinamento prosegue per i successivi 4 mesi in botti grandi di rovere di Slavonia da 50 ettolitri. Infine, altri 6 mesi in bottiglia prima di essere messo in commercio.
La Società agricola Centolani Srl risponde alla famiglia Peluso Centolani, proprietaria dell’omonima azienda che comprende, a Montalcino, due grandi realtà produttive: la Tenuta Friggiali, dove ha sede anche la cantina e il centro amministrativo, e la Tenuta Pietranera, per un totale di 200 ettari circa, tra vigneti, oliveti, seminativo e bosco.
Prezzo pieno: 7,59 euro
Acquistato presso: Ipercoop
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