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E’ online winemag.it


MILANO –
La seconda testata giornalistica del nostro network, winemag.it, è online da ieri sera. Stessa squadra, stesso spirito, stessa voglia di raccontare in un modo nuovo il mondo del vino italiano, dando spazio anche a Spirit, birra e food.

L’ossatura resta la medesima, con la possibilità di abbracciare nuovi collaboratori, motivati dall’ambizioso progetto di fare cronaca e informazione nel mondo dell’enogastronomia italiana: Davide Bortone alla direzione, con Viviana Borriello, Giacomo Merlotti e Gabriele Rocchi in redazione.

In soldoni, WineMag.it ha assorbito le sezioni di “Wine News” (“Notizie ed Eventi”), “Birra e distillati“, “Approfondimenti” e “Wine Tour” Italia ed Estero di Vinialsupermercato.it, in maniera totale o parziale.

L’obiettivo è quello di offrire al pubblico di “naviganti” due wine magazine di informazione caratterizzata sui diversi canali di distribuzione del vino: la Grande distribuzione organizzata (Gdo, il canale moderno) e l’Horeca (ovvero il mondo delle enoteche e della ristorazione, il canale tradizionale).

DUE TESTATE, UN NETWORK
Per via di retaggi (s)culturali (la “s” tra parentesi intende svolgere funzione privativa) molte cantine italiane che operano lautamente nella Grande distribuzione, attraverso linee dedicate ai supermercati, preferiscono non raccontarsi sui giornali parlando di questi vini “di massa”, prediligendo le nicchie destinate all’Horeca, foriere di un’immagine di maggior prestigio (almeno nell’anacronistico immaginario collettivo).

Continueremo dunque a raccontare su Vinialsuper i vini reperibili nelle maggiori catene di supermercati italiani. Mentre su winemag.it sarà trattato e valutato il vino reperibile in enoteca e al ristorante. Una scelta che non vuol essere una resa alle logiche della distribuzione, bensì un ulteriore passo verso la specializzazione del nostro network di testate giornalistiche.

NON SOLO WINE
La vera novità di winemag è la rubrica “A tutto volume“, dedicata al mondo dei distillati. Cercheremo di raccontarvi gli “Spirit” a 360 gradi. Lo faremo con la schiettezza che ha contraddistinto il nostro lavoro in Vinialsuper e che sarà il marchio di fabbrica anche di WineMag.

“A tutto volume” non tratterà solo le bottiglie più interessanti, rare o costose ma anche i prodotti che più facilmente passano dalle mani di tutti noi consumatori.

Parleremo di grandi produttori così come di piccole realtà. Del resto è inutile negarlo: winelover ed amanti di spirit e mixology non sono due realtà separate. Chi beve vino non necessariamente detesta i superalcolici, anzi spesso è vero proprio il contrario.

Su winemag, dunque, alziamo il tenore alcolico! Alziamo il volume % fin dove si può. Perché gli spirit sono come la musica. A volte dritta, sincera e potente come un brano degli Stones o degli Iron Maiden, che ascolti a tutto volume senza pensare a niente.

Altre volte complessa e coinvolgente come una sinfonia di Beethoven o un’opera di Mozart, che ascolti ad alto volume per non perdere nemmeno una sfumatura. Ci auguriamo di trovarvi in questo viaggio. Slàinte!

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Roberto Gatti, professione genio (o quasi): la replica a vinialsuper


Roberto Gatti esiste. Non è uno pseudonimo. Anzi. Gatti è il geniale ideatore di un portale a tema enogastronomico che frutta al suo “conduttore” campionatura gratuita di vino da parte delle cantine. Pubblichiamo integralmente la replica dell’esimio esponente del giornalismo enologico italiano, giunta alla nostra redazione in seguito all’articolo pubblicato in mattinata:

Generalmente quando trovo articoli interessanti, in alcuni casi li ripubblico sul mio portale, citando sempre la fonte. Ho interpellato le aziende interessate per avere alcune campionature e poterne scrivere gratuitamente in internet,  non dichiarando di aver preso parte alla degustazione in oggetto; dopo solo due giorni ho chiarito espressamente e chiaramente , anche al Padroggi, di non avervi preso parte. Questa mattina lo stesso Padroggi, al telefono, mi ha comunicato di avere frainteso e probabilmente di non avere letto la mia seconda email a chiarimento”.

LA STRATEGIA
Adesso vi spieghiamo perché Roberto Gatti mente di nuovo. Sapendo di mentire. Per non passare per “scroccone” o per uno che millanta partecipazioni a degustazioni in giro per l’Italia, Gatti ha pensato bene di scrivere a Padroggi una “seconda mail”. Era il giorno 26 settembre.

“In riferimento a mia precedente email – scrive Gatti a Padroggi – tengo a precisare che io non ho preso parte alla degustazione citata nell’articolo. Per questo ho chiesto alcune campionature. Cordiali saluti”.

Nel frattempo, evidentemente, i campioni erano già partiti. Il giovane produttore dell’Oltrepò Pavese, di fatto, era convinto di parlare con la redazione di vinialsuper. Gatti, però, non si è limitato a scrivere al solo Padroggi. Ha contattato anche altre cantine premiate alla cieca da vinialsupermercato.it. La mail con la richiesta di invio della campionatura (stesso testo, stesso giorno e ora di invio) è arrivata, per esempio, alla cantina di Alessio Brandolini e a Scuropasso di Fabio Marazzi.

Come nel caso di Padroggi, alla prima mail ha fatto seguito l’invio della seconda. Stesso testo: “In riferimento alla precedente email tengo a precisare che io non ho preso parte alla degustazione citata nell’articolo. Per questo ho chiesto alcune campionature. Cordiali saluti”.

Problema: Gatti scrive la seconda mail di precisazione ai vari produttori in giorni diversi. A Padroggi, come detto, martedì 26 settembre. A Brandolini giovedì 28 settembre. A Marazzi il 26 settembre. Come mai? Immaginatelo voi.

Si tratta, a nostro avviso, di una strategia pianificata ad hoc – nulla di illegale, per carità, qui si parla d’etica, mica di reati! – nella speranza di ricevere campioni da ignari produttori, attraverso l’invio della prima email.

Con la sicurezza (a posteriori) di sciacquarsi la coscienza con la seconda mail (inviata però in momenti diversi).

Lo schema è così sintetizzabile, almeno per quanto avvenuto in Oltrepò pavese.

1) Gatti gestisce un sito web che aggrega contenuti di carattere enogastronomico raccolti da altre testate
2) Copia testi e foto, senza citare la fonte con gli accorgimenti previsti dalla legge in tutela del diritto d’autore
3) I contenuti copiati generano traffico sul portale di Gatti, che utilizza i propri link per far credere, almeno in una prima fase, d’aver partecipato a degustazioni alle quali non è mai stato invitato
4) Gatti scrive ai produttori la prima mail, indicando il link al proprio portale al posto dei link originali, chiedendo di ricevere la campionatura gratuita e allegando in calce alla missiva il proprio smisurato curriculum
5) Attende qualche giorno, nella speranza che i campioni partano
6) Gatti scrive ai produttori, precisando di non aver partecipato alla degustazione in oggetto. Un genio, appunto. O quasi.

IL COINVOLGIMENTO DI AIS
Alla nostra redazione, di fatto, stanno arrivando da questa mattina decine di segnalazioni da tutta Italia. A inviarcele sono cantine contattate da Gatti. Stesso schema, da anni.

Ci scrive una nota e prestigiosa cantina veneta: “Ho letto l’articolo che avete scritto sul ‘signor’ Roberto Gatti, che chiede alle cantine vino gratis. Siccome il nome non mi era nuovo, ho fatto una ricerca fra le nostre mail e ne ho trovata una risalente al giugno 2015 (di cui ti allego immagine) in cui si spacciava appunto per tutto quello che anche tu hai descritto. Noi, all’epoca, non gli avevamo neppure risposto! Tutto questo però per farvi capire che è proprio anni che continua con lo stesso sistema indisturbato”.

Nella mail citata, Roberto Gatti, oltre a chiedere “6-8 bottiglie di Amarone, annata che sceglierai tu” per l’organizzazione (questa volta) di una degustazione a Palermo “con Ais”, presentava alla cantina un conto salato: “Rimborso spese e competenze a mio favore fissate in euro 150“.

Per di più, Gatti si offre di “presentare” il vino del produttore in questione “insieme al collega ed amico delegato Ais (di Palermo, ndr)“. “Ma se vorrai essere presente personalmente all’evento – precisa il ‘giornalista free lance’, rivolgendosi al titolare della cantina veronese – ne sarò lieto”. Roberto Gatti. Quasi genio. Di professione.

Invitiamo chiunque abbia ulteriori segnalazioni a inviarcele all’indirizzo d.bortone@vinialsupermercato.it o redazione@vinialsupermercato.it.

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Come ricevere a casa vini gratis dalle cantine: chiedere a Roberto Gatti


Roberto Gatti: chi è davvero? Momento verità
. Consentiteci una parentesi che non avremmo mai voluto aprire. E che speriamo di chiudere in fretta, con questo articolo.
Ci tocca dedicare qualche riga a un fatto increscioso, che vede come malaugurata protagonista la nostra testata – un milione di letture in un anno non potevano che esporci (anche) ad inconvenienti come questo – e un produttore dell’Oltrepò pavese, caduto nella trappola di un sedicente “giornalista Free Lance, socio FLIP, presidente di Commissione Concours Mondial de Bruxelles, gestore di rubriche di degustazione vino/olio” e “collaboratore” di due portali online a tema enogastronomico: [omissis].

IL CASO ROBERTO GATTI
Un curriculum da brividi quello di un tale che, sul web, si presenta come Roberto Gatti (sopra, probabilmente, una fotografia che lo ritrae). Brividi spessi come il pelo sullo stomaco di cui sembra essere dotato. Ecco il testo della mail ricevuta da Luca Padroggi dell’Azienda Agricola La Piotta, una delle realtà più giovani e promettenti della viticoltura dell’Oltrepò Pavese.

Gentile produttore – scrive il sedicente Roberto Gatti a Luca Padroggi – ho pubblicato un articolo che vi riguarda e mi complimento per gli esiti della degustazione, consultabile al link: [omissis]. Mi farebbe piacere ricevere alcune campionature di questo spumante ed altre tipologie che lascio alla Vostra libera scelta. Ne scriverò gratuitamente in internet nel corso dei prossimi mesi. In calce il recapito per la spedizione. Grazie della collaborazione ed a presto”.

Il sedicente Roberto Gatti abita in provincia di Ferrara. Il suo indirizzo è in bella evidenza, assieme al suo presunto numero di cellulare (320/273XXXX), in calce alla mail inviata alla cantina La Piotta di Montalto Pavese. Qual è il problema? Ve lo spieghiamo subito.

Gatti ha pensato bene di copiare e incollare sul sito di cui dichiara di essere “conduttore” (non lo citiamo per non offrire ulteriore visibilità a questo personaggio dalla discutibilissima deontologia professionale) l’articolo di vinialsupermercato.it relativo alla degustazione alla cieca organizzata in esclusiva per la nostra testata dal Consorzio di Tutela Vini Oltrepò Pavese, lunedì 18 settembre (qui l’articolo).

Nella mail inviata alla cantina La Piotta dice di aver “pubblicato un articolo” che la riguarda, spacciandosi in qualche modo per l’autore e “complimentandosi per l’esito della degustazione”, al solo scopo di ricevere gratis, a casa sua, altri campioni dello spumante premiato in realtà da vinialsuper. E chiedendo, come se non bastasse, “altre tipologie che lascio a Vostra libera scelta”.

In calce viene indicata la fonte, “vinialsupermercato”, ma senza alcun link che rimandi alla nostra testata. Siamo venuti a conoscenza di questo “magheggio” grazie allo stesso Luca Padroggi, incontrato quest’oggi tra i produttori presenti al Giro d’Italia in 80 vini, all’Iper Portello di Milano. Dallo stesso Padroggi abbiamo appreso che la campionatura è ormai giunta a casa del furbissimo destinatario, scambiato per l’autore dell’articolo quale protagonista della degustazione alla cieca.

La redazione di vinialsuper, nel dichiararsi pronta ad azioni legali nei confronti del sedicente giornalista, augura a Roberto Gatti una lunga e contorta digestione intestinale delle bottiglie omaggiate dal produttore oltrepadano. Auguri, ovviamente, gratuiti.

Leggi anche: Roberto Gatti, professione genio (o quasi): la replica a vinialsuper

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Vini al supermercato

Bardolino Classico Chiaretto Dop 2016, Azienda Agricola Conti Guerrieri Rizzardi

(3 / 5) Rosato un po’ (troppo) salato. Una sintesi che racchiude bene l’assaggio del Bardolino Classico Chiaretto Dop 2016 dell’Azienda Agricola Conti Guerrieri Rizzardi, in vendita nei supermercati Esselunga.

Un calice che non soddisfa appieno, proprio per la preponderanza, al palato, di una nota salina che disturba la beva. Rendendo peraltro difficile l’abbinamento di questo vino rosato veneto con la cucina. Eppure le premesse sono ottime.

Il Chiaretto Guerrieri Rizzardi si presenta di un apprezzabilissimo rosato brillante, tipico della denominazione. Gli fa eco un naso elegante, altrettanto caratteristico, tra il floreale di violetta e il fruttato di fragola, lampone e ribes. Prestando ancora più attenzione, ecco la nota di “soluzione salina” che ritroveremo di lì a poco al palato.

In bocca, le percezioni fruttate che contraddistinguono il vino in ingresso vengono poi sovrastate dal sale. Quello che è uno dei tratti distintivi del Bardolino – descritto sin dalle cronache del 1935 come vino “grazioso e lieve”, ma soprattutto “salatino” – risulta la nota stonata nel calice del Chiaretto Guerrieri Rizzardi. Per eccessiva amplificazione. Una durezza che neppure la buona acidità riesce a controbilanciare.

LA VINIFICAZIONE
Sono diversi i vigneti dai quali la cantina Guerrieri Rizzardi ottiene il Chiaretto in vendita nei supermercati Esselunga. Due sono situati a Bardolino (località Campagnole e vigneto Vegro). Altri due nel Comune di Cavaion Veronese (vigneto Vignai, vigneto Cà dell’Ara). Sono 75 mila, in totale, le bottiglie prodotte.

Le viti, allevate a pergola semplice e doppia e guyot con una densità d’impianto variabile tra i 1.720 e i 5 mila ceppi per ettaro, affondano le radici in terreni di tipo ciottoloso, argilloso e calcareo di origine morenico glaciale. Il blend del Bardolino Classico Chiaretto Guerrieri Rizzardi è ottenuto prevalentemente dai vitigni Corvina (65%) e Rondinella (20%), a cui viene aggiunto un 15% tra Molinara e Negrara. Piante di età variabile tra i 5 e i 30 anni, con una produzione media per ettaro di 130 quintali (12.100 bottiglie).

La vinificazione prevede l’iniziale diraspataura e pigiatura delle uve. Segue il riempimento delle vasche di fermentazione e la svinatura, dopo circa 12 ore. La vinificazione in bianco avviene in ambiente ridotto, per preservare le caratteristiche delle uve ed evitare ossidazioni.

Prezzo: 4,89 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Gerry Scotti compra vigne in Oltrepò: Cantine Giorgi partner del conduttore

Sessantuno anni, pavese Doc. E più di una macchia (di vino) sulla carta d’identità. Il noto conduttore televisivo Gerry Scotti si appresta a trasformare in realtà il sogno di una vita: produrre una propria linea di vini nel suo Oltrepò Pavese. Dagli studi Mediaset alla vigna, insomma. Seguendo le orme del nonno. Un ritorno alle origini meditato da tempo. Che ora sarebbe sul punto di concretizzarsi. Lo “Zio Gerry” avrebbe già individuato un partner più che affidabile nelle Cantine Giorgi di Canneto Pavese.

Sempre secondo indiscrezioni, l’accordo tra Scotti e la famiglia Giorgi prevederebbe l’affitto di una porzione di vigna e la successiva gestione dell’imbottigliamento di una linea di vini ad hoc. Non sarebbe casuale, dunque, la visita di Scotti alle Cantine Giorgi, avvenuta lo scorso 2 febbraio. “È sempre un piacere quando un amico viene a trovarti a casa! Grande Gerry!”, il commento sulla pagina Facebook ufficiale della storica cantina pavese. Un amico, Scotti, che presto potrebbe diventare un vero e proprio testimonial. Per Giorgi. E per l’intero Oltrepò Pavese, bisognoso di personaggi e personalità positive per il suo definitivo (meritato) rilancio sul panorama enologico italiano e internazionale.

“Se son rose fioriranno”, commenta Fabiano Giorgi, 44 anni, che nell’azienda di famiglia si occupa di promozione e commercializzazione. “Gerry Scotti è un amico – continua – e una persona molto appassionata di vini, che ha questa grande ambizione di produrre una sua linea. E’ venuto a trovarci e ha voluto degustare i nostri vini. La nostra, del resto, è un’azienda importante, che ha i suoi punti di forza nella spumantizzazione del Pinot Nero e nella volontà di rilanciare un vino quotidiano di qualità”. La stessa qualità con cui Gerry Scotti, da degno erede di Mike Bongiorno, entra nelle case degli italiani, attraverso la tv.

Cantine Giorgi, fondata nel 1875, conta oggi 60 ettari di terreni vitati tra i più vocati in Oltrepò Pavese. Anche grazie agli storici conferitori, la produzione annua arriva al milione di bottiglie. Il canale di distribuzione privilegiato è quello dell’horeca, pari a circa il 70%. Ma i vini Giorgi sono reperibili anche al supermercato, dove figura un’ampia scelta di prodotti a Denominazione di origine controllata. Numerosi i riconoscimenti ottenuti negli anni, come i Tre Bicchieri del Gambero Rosso conseguiti ormai ininterrottamente da 8. Il quarto bicchiere, c’è da scommetterci, potrebbe essere proprio quello di Gerry Scotti. L’ufficialità potrebbe arrivare addirittura prima di Vinitaly 2017, in programma a Verona dal 9 al 12 aprile. L’occasione perfetta, per Scotti e per Cantine Giorgi, per sancire un matrimonio che s’ha da fare.

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Testo Unico e Dematerializzazione dei Registri di Cantina: tutti i “no” di Marilena Barbera e dei piccoli produttori (lettera)

Per Coldiretti “taglia del 50% il tempo dedicato alla burocrazia, con cento giornate di lavoro che oggi ogni impresa vitivinicola è costretta a effettuare per soddisfare le 4 mila pagine di normativa che regolamentano il settore”. Per il vice ministro all’Agricoltura Andrea Olivero “una legge corretta e completa”. Per Antonio Rallo, presidente di Unione italiana vini (Uiv), “un successo”, anche prima della stesura dei regolamenti attuativi”. Per Fivi, Federazione italiana vignaioli indipendenti, “c’è ancora molto da fare sulla rappresentatività all’interno dei Consorzi”.

Se non fosse chiaro, parliamo del Testo Unico sul Vino, che è legge da fine novembre 2016. L’entrata in vigore della “Disciplina organica della coltivazione della vite e della produzione e del commercio del vino” è prevista per domani, 12 gennaio. Ma non mette d’accordo tutti.

Riceviamo e pubblichiamo integralmente la lettera che ci ha inviato Marilena Barbera, produttrice siciliana titolare delle omonime Cantine Barbera di Menfi (nella foto sopra) provincia di Agrigento. Parole dure, che non lasciano spazio a equivoci, pronunciate a nome di “tanti piccoli produttori italiani” “pienamente insoddisfatti” dal Testo Unico sul Vino e dalla Dematerializzazione dei Registri vitivinicoli.

La dematerializzazione dei registri vitivinicoli è, in questi giorni, tema caldo per i produttori di vino italiani. In parole semplici, si tratta dell’introduzione di un sistema telematico di comunicazione di tutti i dati relativi alla produzione ed alla commercializzazione dei prodotti vitivinicoli (uva, mosto, vino e sottoprodotti) da parte di ogni produttore vinicolo che effettui produzione diretta o intervenga – come trasformatore o imbottigliatore – in qualunque fase del processo produttivo del vino.

Il sistema di trasmissione dei dati, che fa parte di un più ampio disegno di razionalizzazione del sistema italiano del vino, prevede dunque l’invio (con cadenza mensile) ad un sistema informatico nazionale chiamato SIAN di tutti i dati aziendali relativi alla produzione, agli acquisti, alle vendite ed a ogni movimento di prodotti vitivinicoli.

Un sistema che prevede, per il suo funzionamento, la totale informatizzazione di ogni processo produttivo e commerciale all’interno delle aziende agricole e vinicole italiane.

Molte sono state le critiche al sistema, sia da parte degli sviluppatori di sistemi informatici che da parte delle aziende che dal 1° gennaio 2017 dovranno obbligatoriamente sostituirlo ad altri sistemi di comunicazione utilizzati fino ad ora. Le critiche principali si appuntano sull’instabilità del sistema (e questo sono gli sviluppatori a dirlo) e sulla difficoltà di accesso a idonee reti telematiche (questo lo dice la FIVI – Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti) che consentano la trasmissione. Nulla, o poco più di nulla, hanno obiettato le Associazioni di Categoria, comprese quelle che avrebbero il compito di rappresentare le istanze che provengono dal mondo della produzione di vino, composto in prevalenza da piccoli produttori.Il settore del vino in Italia è costituito da poco meno di 48.000 aziende (fonte: Coldiretti: http://tinyurl.com/hkq24ke). Di queste, circa 45.000 sono di piccola dimensione, ossia hanno una produzione media annua inferiore a 1.000 ettolitri (133.000 bottiglie). Il sistema produttivo italiano è, infatti, molto frammentato e composto in prevalenza da aziende piccole e piccolissime: questo appare evidente se si guarda alla dimensione media delle superfici vitate aziendali, che oscillano fra i tre ettari del Friuli Venezia Giulia e i 0,3 ettari della Valle d’Aosta (fonte: I numeri del vino: http://tinyurl.com/hou7j33). Le aziende grandi e grandissime, quelle che producono più di 1000 ettolitri l’anno, sempre secondo Coldiretti, sono circa 2.500.

Il valore dell’intero sistema-vino in Italia si aggira intorno ai 10,5 miliardi di euro (dati 2014). Ma solo le 136 aziende più grandi (quelle che fatturano oltre 25 milioni di euro ciascuna) generano oltre il 59% del valore dell’intero settore vinicolo: il resto viene diviso in 48.000: grandi – ma non grandissime – aziende comprese (fonte: Mediobanca: http://tinyurl.com/jexkzkc).

Una grande o grandissima azienda vitivinicola è composta da molte persone, ciascuna delle quali ha ruoli differenti: c’è chi va in campagna e chi sta in cantina, c’è chi va a vendere il vino e chi coordina i venditori, c’è chi fa la promozione e chi sta in ufficio. In una grande azienda ci sono interi reparti dedicati solo all’amministrazione, alla contabilità, ai rapporti con le banche e gli Enti di controllo. Una piccola azienda, invece, è composta prevalentemente da lavoratori della terra e dai loro familiari e collaboratori, persone che fanno il mestiere del vignaiolo: persone che sanno come si pota una vite e riconoscono con un’occhiata i sintomi di una malattia, sanno quando è arrivato il tempo di raccogliere l’uva solo masticando un acino, sanno fare il travaso di una botte, sanno ascoltare e rispettare la terra. Una piccola azienda vitivinicola magari ha una segretaria che compila le fatture e forse un magazziniere che si occupa delle spedizioni, ma certamente non genera il volume di affari che le permetterebbe di organizzare un ufficio dedicato esclusivamente alla comunicazione dei propri dati ad una serie di enti diversi.

La struttura e l’organizzazione del lavoro tra una piccola azienda e una grande azienda è molto differente. Ed è per questo motivo che nel 1995 questa differenza è stata riconosciuta dalla legge, che con il D.Lgs. N. 504/95 art. 37 ha istituito la figura del “piccolo produttore di vino”, un soggetto giuridico distinto dai grandi produttori di vino: è piccolo produttore di vino colui che produce in media meno di 1.000 ettolitri di vino all’anno, con riferimento all’ultimo quinquennio. Questa norma ha avuto il merito di comprendere, valorizzare e difendere le specificità del lavoro dei piccoli vignaioli italiani, garantendo loro nel tempo alcune semplificazioni di tipo documentale. Ad esempio, sollevandoli dagli obblighi connessi all’istituzione di un deposito fiscale. Ad esempio, esimendoli dalla redazione del DAA telematico, assumendo il fatto che gli stessi dati vengano comunque trasmessi agli organi di controllo tramite altri sistemi informatici. Ad esempio, consentendo loro di tenere i registri di cantina in formato cartaceo.

Queste semplificazioni di tipo documentale hanno sempre e comunque garantito la possibilità di controllo e la trasparenza nella tracciabilità di tutte le operazioni – sia produttive che commerciali, in quanto fanno parte di un sistema che incrocia i dati della produzione tramite il fascicolo aziendale (che va aggiornato ogni anno e contiene la descrizione di ogni superficie coltivata e i dati dell’iscrizione di ogni vigneto al registro nazionale dei vigneti) e le dichiarazioni vitivinicole annuali relative sia alla produzione di uva e vino sia alle giacenze di prodotti vitivinicoli.

A queste comunicazioni si aggiungono quelle del sistema fiscale e doganale, e quelle che vanno trasmesse ai differenti organi di controllo: Camere di Commercio, Ufficio Repressione Frodi (ICQRF), Enti di controllo sulle Denominazioni di Origine (Valoritalia, IRVOS, etc), Enti di controllo sul biologico per coloro che hanno scelto di assoggettarsi. Una pletora di comunicazioni e una sovrabbondanza di burocrazia che il nuovo testo Unico sul vino e il decreto “Campolibero” hanno tentato di ridurre e semplificare, almeno nelle intenzioni.

Buone intenzioni, dunque. Che, a mio avviso, finiscono col generare una gravissima disparità di trattamento e una situazione di iniquità sostanziale perché equiparano le piccole e piccolissime aziende agricole alle grandi e grandissime senza tener in nessun conto le differenze di struttura, di organizzazione, di consistenza economica e patrimoniale, di solidità finanziaria.

Buone intenzioni di semplificazione che non semplificano affatto, ma aggiungono ulteriore complessità al lavoro quotidiano di 45.000 aziende agricole di piccola dimensione, generando da un lato una situazione di estrema difficoltà e di reale ingestibilità del sistema (che ricordo è obbligatorio e immediatamente applicabile dal 01/01/17), dall’altro contribuiscono non a diminuire e a semplificare le comunicazioni, ma a moltiplicarle ulteriormente.

Facciamo un paio di esempi facili, in cui il SIAN non sostituisce affatto, ma si aggiunge alle comunicazioni che già dovevano essere fatte in precedenza.

  • Ho imbottigliato 10 ettolitri di vino DOC dopo essere già stato autorizzato a farlo? Lo comunico al mio Ente di controllo e poi lo ricomunico al SIAN.
  • Ho spedito 300 bottiglie di vino in Francia? Lo comunico prima ai vigili con il documento MVV, poi all’Agenzia delle Entrate con l’Intrastat, poi all’Agenzia delle Dogane con raccomandata, poi di nuovo all’Agenzia delle Entrate con la dichiarazione IVA trimestrale e infine al SIAN. E poi, a fine anno, ovviamente, di nuovo all’Agenzia delle Entrate con la dichiarazione IVA

Cosa accadeva prima? In qualità di piccolo produttore dovevo inviare due (2) comunicazioni all’anno, una per la produzione e una per la giacenza. Da oggi dovrò inviare ALMENO dodici (12) comunicazioni mensili. Almeno, perché un piccolo produttore che svolge anche attività di trasformazione per conto di terzi le comunicazioni dovrà effettuarle quotidianamente, quindi da dodici potrebbero diventare quindici, venti o di più. Una pressione costante, un impegno quotidiano, una complessità gravata anche da potenziali rischi di errore che le grandi aziende risolvono con facilità dedicando un ufficio – fra i tanti – al sistema SIAN.

E i piccoli produttori?

Durante i mesi di relativa tranquillità apparirebbe pure gestibile, anche se ogni mese ti dovrai ricontrollare daccapo tutte le giacenze e tutte le bolle e tutti i rientri di merce per fare questa benedetta comunicazione mensile sul Registro Unico.

Quello che è impossibile è gestire questo sistema IN VENDEMMIA.

Chi non è vignaiolo non sempre capisce cos’è veramente la vendemmia. In vendemmia non si dorme, non si mangia, non si esce con gli amici, non si festeggiano i compleanni, non si va in viaggio di nozze, non ci si riposa il fine settimana, non si va alle fiere né alle cene e spesso nemmeno a consegnare il vino. In vendemmia si vendemmia. E basta.

In vendemmia ci si gioca il futuro dell’azienda. E non solo per l’anno prossimo, ma per molti anni a venire. In vendemmia si pensa a fare il vino, non a comunicare la sfecciatura. In vendemmia si cerca di capire quanti rimontaggi sono necessari per fare il vino più buono di sempre, non se il magazzino del confezionato che devi comunicare corrisponde allo scarico del numero di etichette che hai in giacenza. In vendemmia, chi non ha un bilico in cantina e non ha accesso ad una pesa pubblica nelle vicinanze, il carico dell’uva lo fa ad occhio. L’occhio che dopo tante vendemmie sa quanto tiene il rimorchio, o quanto pesano le cassette. L’occhio che poi si aggiusta sul riempimento delle vasche perché sono graduate, o sul numero delle botti perché il fornitore ti ha detto quanto vino possono contenere.

Io non ho mai avuto paura della vendemmia. E’ pesante, è difficile, è stressante, ma non mi ha mai fatto paura. Quest’anno non lo so. Sto iniziando ad avere paura adesso.

E mi fa paura questo mondo del vino nel quale l’esigenza di controllo sovrasta le umane capacità del vignaiolo di portare a termine un buon lavoro. Un mondo in cui si vogliono applicare le stesse regole a realtà economiche e produttive così differenti che il risultato è di generare ingiustizia e iniquità. Un mondo in cui si fa passare per semplificazione un evidente sovraccarico di adempimenti, molti dei quali sono mere duplicazioni di altri adempimenti. Un mondo in cui al piccolo vignaiolo non si riconosce più la specificità – e dunque la bellezza e l’importanza – del suo lavoro.

Io sono sicura che i vignaioli italiani non abbiano alcuna intenzione di commettere frodi o sofisticazioni, né alcuna volontà di sottrarsi a giusti ed equi sistemi di controllo. Perché, al netto del fatto che questa dematerializzazione ce l’abbiano venduta come un sistema che semplifica gli adempimenti, nella realtà il sistema nasce solo ed esclusivamente per esigenze – giuste e condivisibili esigenze – di controllo.

Come ha detto Stefano Vaccari, Capo Dipartimento dell’ICQRF, durante il suo intervento all’assemblea dell’Unione Italiana Vini del giugno scorso, si tratta di un “cambiamento epocale che porterà l’Italia ad essere il primo paese al mondo ad avere on-line la giacenza e la movimentazione del vino: un elemento di tracciabilità e di controllo delle produzioni che nessun altro sistema produttivo può vantare e che permetterà vantaggi evidenti anche sotto il profilo del contrasto alle frodi, sia per gli organi di controllo, che per gli operatori.” (fonte: Unione Italiana Vini: http://tinyurl.com/h78ct5p).

Non voglio nemmeno soffermarmi a pensare a cosa ne penserebbero i vignerons francesi di un sistema del genere: per molto meno sono scesi in piazza con i rimorchi carichi di letame. E quelli della California e della Nuova Zelanda o dell’Australia o del Cile sono ancora lì che ridono, grandi e piccoli.

Ed è quindi ingiusto e miope non considerare quale prezzo saranno obbligati a pagare i piccoli produttori di vino italiani (45.000 aziende sotto ai 1.000 ettolitri) per permettere che un sistema dominato economicamente da grandi e grandissime aziende non commetta né frodi né sofisticazioni. Ed è un problema politico che né le Associazioni di Categoria, né i partiti, né le istituzioni hanno accettato di sollevare, o di prendere in considerazione.

Perché, se si guarda a chi ha frodato, negli ultimi 50 anni, se si guarda a chi ha generato lo scandalo del metanolo, se si guarda a chi trasforma la “carta” del Nero d’Avola in carta di altre denominazioni più famose non sono i piccoli produttori. Sono i grandi imbottigliatori, sono alcune grandi cooperative, sono i grandi gruppi che hanno investimenti in tutta Italia e all’estero. Il prezzo che 45.000 piccoli produttori pagheranno per consentire a 2.500 aziende che rappresentano oltre i due terzi del valore complessivo del vino italiano di tutelare la rispettabilità del sistema del vino italiano è troppo alto.

Benvenuta semplificazione, dunque, ma non questa. Questa non è una semplificazione, è (come ho detto altrove) una mostruosità che non ci permette di fare il nostro lavoro: che è quello di fare il vino.

Marilena Barbera

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Vini al supermercato

Quanto vale il vino al supermercato? Da uno a 5 cestelli della spesa!

Un sistema facile e intuitivo per comprendere, ancor prima di leggere la recensione, se siamo di fronte a un vino valido o, piuttosto, al cospetto di una sola.

Vinialsuper presenta oggi il nuovo metodo di valutazione dei vini recensiti nella categoria “supermercato”, dedicata alle bottiglie reperibili sugli scaffali delle maggiori insegne della grande distribuzione organizzata (Gdo) che operano in Italia. Una classifica che va da 1 a 5 “cestelli” della spesa, in grado di indicare il valore della bottiglia degustata.

Il punteggio, che prevede anche l’utilizzo di decimali (es: 3.5, 4.5) apparirà all’inizio di ogni recensione. Prima della descrizione del prodotto finito sotto la nostra lente di ingrandimento, troverete l’immagine stilizzata di cinque cestelli, che si coloreranno interamente o parzialmente, in base al giudizio assegnato.

Il nuovo sistema di classificazione grafica dei vini in vendita al supermercato riguarderà in primis le recensioni pubblicate a partire dal 2017. Col trascorrere delle settimane, il sistema sarà integrato anche sulle schede dei vini degustati lo scorso anno.

A fine anno, come già accaduto nel 2015 e nel 2016, pubblicheremo la classifica dei migliori vini in vendita al supermercato degustati nell’anno solare. E consegneremo un attestato di merito alle cantine produttrici dei vini che saliranno sul “podio” per le categorie “vino rosso”, “vino bianco”, “vino rosato”, “vino spumante” e “miglior cantina Gdo”.

A curare quella che è solo una delle novità che attendono i lettori di #vinialsuper nel 2017, è stato il nostro staff tecnico, a cui rivolgiamo un personale ringraziamento. Ai lettori, nuovamente un sincero augurio di buon anno dalla redazione di vinialsupermercato.it

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Approfondimenti

Il Sangue di Giuda dell’Oltrepò a Salerno? Tranquilli. Lo porta Enoitalia

E alla fine dei conti, quello che ti fa più incazzare, è che gliel’hanno proposto in abbinamento a una frittura di paranza. Eppure, la controetichetta parla chiaro. “Questo vino dolce e leggendario dell’Oltrepò Pavese ha un ruolo chiave nei pranzi festivi della tradizione in Lombardia, ove la sua vivacità conferisce importanza al fine pasto. Un vino che trova il suo adatto abbinamento (…) con dolci quali crostate, pasta di mandorle e sfogliatine”. Sfogliatine? Sfogliatine, sì. Quelle campane? Forse. Sembra un’etichetta studiata ad hoc. Ma lo avete capito? Parliamo del Sangue di Giuda. Il vino dolce dell’Oltrepò Pavese.

Sono le 23.30 di sabato quando un lettore di vinialsuper ci contatta attraverso la nostra pagina Facebook. E’ al ristorante. A Salerno, dove vive. Gli hanno appena proposto un vino che non conosce, in abbinamento alla frittura di pesce che ha ordinato al cameriere. E’ un vino rosso. Qualcosa non torna. La domanda che ci rivolge è perentoria. “Non è che gli devo fare un assegno? Rispondente, prima che arriva il conto”.

Allega al messaggio la foto della bottiglia. Panico. Si tratta del Sangue di Giuda Doc “Il Pozzo”, vino frizzante dolce. Vendemmia 2015. Ammettiamo l’ignoranza. Non lo conosciamo. Il nome di fantasia non ci dice nulla. Chiediamo una foto dell’etichetta posteriore. Che arriva, di lì a qualche minuto. E’ tutto chiaro. L’azienda indicata è Enoitalia, gigante imbottigliatore di Bardolino, Verona, che serve i supermercati Lidl. Quelli, per intenderci, del Montepulciano Biologico Passo dell’Orso decantato da Luca Maroni. Boom. Questa bottiglia costerà 6 euro al lettore. Un ricarico notevole, quello del ristoratore salernitano, rispetto alle potenzialità della bottiglia.

E’ la legge dei grandi numeri. Quelli che in Italia vincono sempre, a prescindere dal valore che rappresentano realmente. Basti calcolare che una delle aziende leader del Sangue di Giuda, in Oltrepò, fissa il prezzo del proprio “base” – comprensivo di trasporto, ma con pagamento anticipato – a 4,30 euro a bottiglia. E a 6.90 euro per il “cru”. Troppo? Fin troppo poco, assicuriamo noi che quei due Sangue di Giuda (il base e il cru) li conosciamo bene. E allora vada per il Sangue di Giuda di Enoitalia. Pure al ristorante. Con la paranza. Ma si sappia: l’Oltrepò pavese è un’altra cosa. Quando imparerà a promuoversi a dovere in Italia? Ai posteri l’ardua sentenza.

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Vini al supermercato

Gutturnio Superiore Doc 2011 La Gobba, Testa

E’ il “Cru” di Casa Testa, il vino più “esclusivo”. Quello nato da vigneti che godono della migliore esposizione. Parliamo del Gutturnio Superiore Doc la Gobba, prodotto e imbottigliato all’origine dalla Casa Vinicola Cav. Italo Testa Snc di Castell’Arquato, in provincia Piacenza. Abituati dai supermercati – specie nel Nord Italia – a vini Gutturnio mossi, spesso venduti a prezzi risicati che ne denotano la scarsissima qualità, il passaggio a un Gutturnio Superiore, senza “effervescenza”, può costituire un’esperienza unica per i winelovers meno esperti. Una sorta di scoperta delle potenzialità di uvaggi spesso bistrattati, per logiche di commercio, come Croatina e Barbera. Chiariamo, innanzitutto, che al contrario dei “cugini effervescenti”, il Gutturnio Superiore Doc si presta a diversi anni di invecchiamento, proprio perché vinificato alla maniera dei grandi rossi italiani.

Sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it finisce, di fatto, la vendemmia 2011. Tredici gradi e mezzo il titolo alcolometrico. Vino importante, dunque. Che si presenta nel calice di un rosso tra il rubino e il porpora, con riflessi granati. Al naso è schietto, mediamente fine: gli uvaggi si distinguono chiaramente, attraverso note che risultano pulite, nonostante il tempo trascorso in bottiglia. E’ il primo segnale della sublimazione di un prodotto storicamente “contadino” come il Gutturnio, vino della tradizione piacentina, che con il Superiore La Gobba si toglie di dosso le vesti polverose. E indossa la cravatta della domenica.

Al naso fa eco un palato di grande energia. Buona struttura, buon corpo. Con i profumi di ciliegia e prugna che si tramutano in gusto, giocando testa a testa con i fiori di viola e le note evolute di sottobosco (mirtillo, lampone maturo). Spazio, con l’ossigenazione, anche per terziari raffinati di vaniglia e cioccolato, avvolti al palato in tannini morbidi ma tutt’altro che spenti, uniti alla grande freschezza (e chi se l’aspettava, ancora?) conferita da un’acidità autorevole. L’idillio piacentino, da affiancare a importanti portate di carne rossa, dall’arrosto alla cacciagione, passando per la griglia. Alla temperatura dei grandi rossi: 18-20 gradi.

LA VINIFICAZIONE
Non è un caso se il Gutturnio Superiore Doc La Gobba della Casa Vinicola Testa viene prodotto solo nelle annate climaticamente fortunate. Quelle in cui il blend ottenuto al 70% da uve Barbera e al 30% da uve Croatina (Bonarda), garantisce i risultati migliori in bottiglia. I vigneti sono di tipo argilloso e calcareo, con esposizione privilegiata a Sud. L’allevamento a Guyot semplice. La tecnica di vinificazione prevede una pigiadiraspatura delle uve, accuratamente raccolte a mano, la fermentazione con lieviti selezionati in tini di acciaio a temperatura controllata e la macerazione per circa 20 giorni.

L’estrazione di colore, aromi e struttura tannica sono garantiti da rimontaggi giornalieri che evitano la creazione di sgradevoli sentori. L’affinamento si protrae per almeno 38 mesi, con passaggio di 4-6 mesi in botti di rovere di Slavonia, prima di un ulteriore affinamento in bottiglia che precede la commercializzazione. Ottimo vino, il Gutturnio Superiore La Gobba, dopo i 4-5 anni dalla vendemmia.

Prezzo: 6,95 euro
Acquistato presso: Auchan

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Auchan, Amarone contraffatto. Siquria: “La Gdo faccia ammenda”

Nuovi clamorosi sviluppi sul caso Amarone Argento 2008 ritirato dai supermercati Auchan. Il vino, sequestrato dalla Forestale veneta venerdì 25 novembre in occasione del Black Friday, risulta “completamente contraffatto”. A rivelarlo a vinialsupermercato.it è Guido Giacometti, direttore di Siquria, Società italiana per la qualità e la rintracciabilità degli alimenti. “Le indagini sono tuttora in corso e vincolate dal segreto istruttorio – evidenzia Giacometti – ma le ipotesi di reato afferiscono agli articoli 468, contraffazione del sigillo di Stato, oltre al 515, 517 bis e 517 quater, relative alle frodi in commercio e vendita di prodotti industriali con segni mendaci, aggravati dall’utilizzo di una Denominazione di Origine protetta”. “Una contraffazione totale del prodotto – continua Giacometti – nel senso che non si tratta affatto di Amarone della Valpolicella, come accertato dal Corpo Forestale, né per natura né per provenienza. Che cos’è? Non posso rispondere. Piuttosto posso dire con certezza ciò che non è, ovvero Amarone”.

I reati sarebbero stati ipotizzati contro ignoti. Ma le forze dell’ordine avrebbero già nel mirino i possibili autori della frode. “Si tratta di indagini complesse – sottolinea Guido Giacometti – perché chi ha architettato il tutto è stato bravo, sicuramente. Ma io credo che il Corpo Forestale arriverà in tempi rapidi all’individuazione dei responsabili”. A guidare le operazioni è il Comando Provinciale di Verona, che ha avviato sin da subito “una vasta operazione di intelligence” che mira a sgominare “una vasta rete criminale estesa sul territorio nazionale, in collaborazione con i Comandi provinciali di Venezia, Padova, Brescia, Modena, Vicenza, Roma e Taranto”. Che sia pugliese, dunque, il vino contenuto nelle bottiglie di finto Amarone?

Intanto, da un controllo effettuato su una banca dati ufficiale, la fascetta contraffatta richiamava l’azienda Vini Scic, controllata da una nota realtà veronese, la Bixio Poderi di Veronella. “Vorrei esprimere la totale estraneità della Bixio Poderi nella vicenda narrata – scrive in una nota indirizzata a vinialsupermercato.it Elisa Bixio, direttore dell’omonima cantina veneta -. Bixio Poderi è un’azienda agricola che tratta prevalentemente uve e pochi vini di alta qualità. L’azienda Vini Scic è un’azienda non più operativa dal 2011, da quando è stata posta in liquidazione e non più sotto il controllo di alcun membro della mia famiglia”. Falso, in etichetta, pure il riferimento all’imbottigliatore. “Vini Val di Verona” non esiste, ma è un chiaro riferimento (fraudolento) alla “Vini Valli Verona Srl”, società controllata da un’altra prestigiosa cantina veneta, quella di Negrar, che con questo nome commercializza vini nei supermercati Lidl.

http://www.vinialsupermercato.it/black-friday-flop-amarone-maxi-sequestro-auchan/

“VINO FALSO, MA NON PERICOLOSO”
Vino contraffatto, sì. Ma “assolutamente non pericoloso per la salute”. Lo assicurano il Corpo Forestale e la stessa Siquria. “Come sia finita in Auchan questo vino è un altro aspetto che chiariranno le indagini – dichiara il direttore Giacometti – ma quello che mi sento di dire è che la grande distribuzione dovrebbe stare veramente più attenta ai criteri di selezione e di qualifica dei suoi fornitori. E anche al prezzo. Basta un minimo di buonsenso per capire che certi prezzi da un lato sminuiscono il lavoro di chi lavora la terra producendo vino e, dall’altro, risultano addirittura sotto i costi di produzione: chiaro che, così facendo ci si infili in un vicolo cieco”. Un monito anche ai consumatori: “Devono crescere dal punto di vista culturale – striglia Giacometti – per capire che un prodotto di un certo tipo non può essere commercializzato a dei prezzi troppo bassi. Questo è uno sforzo che va fatto da chi acquista, ma anche da chi ha gli strumenti per indirizzare i consumatori a scelte più consapevoli, come sta facendo certamente vinialsupermercato.it, a cui vanno i miei complimenti, non solo per essere stati i primi ad aver dato la notizia”.

LA GAFFE DELLA CORVINA
Eppure, non si pensi che siano sempre i vini del Nord Italia a finire sotto accusa. Clamorosa la gaffe denunciata nei mesi scorsi dal nostro portale (leggi qui), relativo all’utilizzo di Corvina, uva veneta, per la produzione di un vino pugliese, il Primitivo di Manduria. In quel caso si trattò di una “svista”, corretta in pochi giorni dall’imbottigliatore – una nota azienda di spumanti con sede a Cazzano di Tramiglia, in provincia di Verona – e non di una frode.

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degustati da noi vini#02

Pinot Nero Metodo Classico Pas Dosé Roccapietra Zero, Cantina Scuropasso

Ci sono bottiglie di cui t’innamori al primo sorso. E ce sono altre di cui, poi, non faresti più a meno. Questa è la storia di un vino da avere sempre in cantina. Magari a partire dalle prossime feste di Natale. E’ la storia del Pinot Nero Metodo Classico Pas Dosé Roccapietra Zero, di Cantina Scuropasso (Scorzoletta di Pietra dè Giorgi, Pavia). Quarantotto mesi sui lieviti per questo spumante dell’Oltrepò Pavese, privo di dosaggio zuccherino. Una di quelle etichette che, calice tra sorso e olfatto, ti portano con la mente altrove. Magari ai banchi di una degustazione alla cieca, dove – ne siamo certi – si mimetizzerebbe al cospetto di una batteria di Champagne. Già, lo Champagne. Quel prodotto che ci fanno pagare caro, tanto in enoteca quanto al supermercato. Ma che, in realtà, in Francia, si porta a casa con poche decine di euro.

Piccole produzioni di piccoli vigneron, capaci di assicurare (ma solo al consumatore più attento e, soprattutto, curioso) “poca spesa e tanta resa”. Non a caso l’Oltrepò e l’area dello Champagne si trovano tra il 40° e il 50° parallelo, l’area più prolifica al mondo per la viticoltura, in termini di qualità. E allora è impossibile non accostare seriamente questo Metodo Classico di Pinot Nero oltrepadano alle produzioni francesi. Anche perché – udite, udite – questa bottiglia si mette in frigorifero (quello di casa propria) per soli 10-12 euro. Come lo Champagne dei vigneron.

Di francese, il produttore Fabio Marazzi – un omone tanto grande quanto buono – ha l’eleganza e l’educazione, che poi trasferisce al proprio vino. Un vino, lo immaginiamo, coccolato grappolo per grappolo, in vigna, prima e durante la vendemmia. E pupitre dopo pupitre, in cantina. Coccole e parole: Marazzi deve proprio essere uno di quei viticoltori che parlano alle bottiglie. Amore e umiltà. Due vitamine che sembrano trasferite in purezza nel Pinot Nero Metodo Classico Pas Dosé Roccapietra Zero di Cantina Scuropasso.

Il colore, nel calice, è quello della paglia d’un fienile, su cui una nobile lussuriosa deve aver smarrito polvere d’oro, distratta dal mugnaio. Il perlage è meravigliosamente fine e persistente. Le catenelle riluccicano come gli ornamenti natalizi delle città del Nord Europa: ordinate, precise. In un contorno di limpidezza brillante.

Al naso la schiettezza del Pinot Nero, spiccata, penetrante. Capace di assumere tinte balsamiche, con l’aiuto dell’ossigeno. Al palato una freschezza invidiabile (sboccatura 6/14), lunga, che accompagna un finale al contempo minerale e (nuovamente) velatamente balsamico. Il compagno perfetto, a tavola: quello che riesce ad essere formale, se gli viene richiesta la compostezza, la struttura e la complessità degna di portate sublimi. Ma allo stesso tempo – poliedrico Metodo Classico come pochi – la capacità di scendere in gola facile, semplice, tutto sommato beverino (merito della straordinaria freschezza). La bollicina di Natale. La bollicina dell’Oltrepò della qualità.

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Franciacorta Docg Saten Brut, Castel Faglia

(4 / 5)Da Esselunga, un buon Franciacorta Saten Brut. Lo produce l’azienda agricola Castel Faglia di Cazzago San Martino, in provincia di Brescia. Ottenuto esclusivamente da uve Chardonnay, reca sull’etichetta la scritta “Saten”, che indica la presenza di una bollicina non “aggressiva” (pressione in bottiglia inferiore ai 5 bar) e di una spuma “cremosa”. Nel calice, il Franciacorta Docg Saten Brut Castel Faglia si presenta d’un bel giallo paglierino con riflessi dorati. Il perlage è fine e persistente. Al naso, buona intensità e schiettezza. Flebili note di crosta di pane lasciano spazio a più concreti sentori fruttati, che richiamano soprattutto la pesca bianca e la scorza del lime. Quest’ultima risulta sempre più presente nel calice, col passare dei minuti. La ritroviamo anche al palato, assieme alla pesca bianca matura, in un contorno del tutto secco (Brut) e lievemente astringente, Buona freschezza, accostata da una leggera sapidità. Il perlage, come nelle attese, risulta delicato sul palato e si dissolve in bocca regalando una percezione setosa. Un Franciacorta Docg Saten Brut equilibrato, intenso e fine anche nel retro olfattivo, dove risulta sufficientemente persistente. Spumante da bere giovane questo Castel Faglia, pur prestandosi per caratteristiche a un minimo affinamento ulteriore in bottiglia (leggere sulla contro etichetta la data della sboccatura, in questo caso ottobre 2015). Perfetto come aperitivo, può accompagnare degnamente piatti di pesce o di carne bianca. Da provare con il pollo ruspante al limone. Temperatura di servizio rigorosa: dai 4 ai 6 gradi per assaporarlo al meglio.

LA VINIFICAZIONE
Il Franciacorta Docg Saten Brut Castel Faglia è ottenuto dalla vinificazione dello Chardonnay allevato sul territorio di Calino di Cazzago San Marino, nel cuore della Franciacorta, tra i Comuni di Borgonato ed Erbusco. Un terroir di origine morenica recente. La raccolta delle uve avviene a partire dalla seconda metà del mese di agosto. Gli acini, come vuole la tradizione spumantistica, vengono colti a maturazione non ancora ultimata. Una raccolta che, all’azienda agricola Castel Faglia avviene manualmente, in piccole cassette. Segue una pressatura soffice dello Chardonnay, una fermentazione primaria a temperatura controllata in acciaio e una seconda fermentazione (Metodo Classico) in bottiglia. Prima di essere commercializzato, il Franciacorta Docg Saten Brut Castel Faglia affina per ulteriori 24 mesi. L’azienda prende nome dal castello dell’antico proprietario Faglia, situato su una collina di origine morenica a 300 metri sul livello del mare, dalle cui pendici si distendono vigneti in parte a gradoni.

Prezzo: 12,85 euro
Acquistato presso: Esselunga

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news ed eventi

Calici di Stelle, a Lucera brilla la Puglia del vino

Tra tutte le “piazze” d’Italia che nel weekend scorso hanno ospitato Calici di Stelle, abbiamo scelto Lucera (Foggia) per raccontare una delle manifestazioni dell’enogastronomia più importanti a livello nazionale, com’è l’evento promosso dall’Associazione Nazionale Città del Vino e dal Movimento del Turismo del Vino. Una scelta non casuale, considerando che in tutta la Puglia, per il 2016, sono state solamente due le tappe della manifestazione: oltre alla Daunia solo il Salento, al termine di una vera e propria “gara” tra Comuni per ospitare l’edizione 2016 di Calici di Stelle. Lucera non apriva le porte all’evento da 8 anni. E forse ne sarebbero passati altrettanti se il maltempo non avesse concesso una tregua di 4-5 ore, senza il fastidio della pioggia. I banchi di assaggio, tutti ben orchestrati, erano dislocati su un perimetro molto vasto, dalle spalle della Cattedrale angioina fino all’Anfiteatro augusteo. Lungo questo percorso, diviso per le tre zone di produzione vinicola della Puglia (Nero di Troia, Primitivo e Negramaro) venivano offerti i prodotti di circa 60 cantine pugliesi.

Partendo da uno dei tre ingressi, quello del Nero di Troia, situato alle spalle di piazza Duomo, abbiamo avuto la possibilità di degustare le varie cantine Daune. Sempre più netto il miglioramento nelle pratiche enologiche in quest’angolo del Meridione italiano. Abbiamo trovato Rivera, con il suo nero di Nero di Troia Castel del Monte Doc Violante, Del Sordo, Paglione. Fino ad arrivare a Passalacqua, con i suoi bianchi naturali. Pregiato il “Terra minuta”,  blend Minutolo-Greco. Proseguendo per via Scassa, i quasi 10 mila winelovers presenti hanno avuto anche la possibilità di divertirsi con una prova sensoriale, in uno dei palazzi storici più belli della Capitanata, Palazzo Petrilli. All’interno del quale i partecipanti dovevano indovinare in quale dei 6 calici presenti vi era una maggiore persistenza olfattiva di uno degli elementi prescelti, come per esempio la ciliegia. Un gioco semplice, utile ad avvicinare anche i neofiti allo straordinario mondo del vino.

Naturalmente prima di uscire dalla zona Dauna, era d’obbligo una visita al museo civico Fiorelli, per un saluto al padrone di casa: il Cacc’e Mmitte. Qui, l’Associazione italiana sommelier (Ais) aveva organizzato una mini degustazione di Cacc’e Mmitte delle aziende lucerine. Arriviamo dunque nelle terre del Primitivo, in piazza San Giacomo. Uno dei vanti della Puglia in Italia e nel mondo: un vino pieno, vigoroso. Che ha confermato anche a Calici di Stelle la tradizione di un’alcolicità elevata, intorno ai 15% gradi. Il pubblico ha potuto degustare diversi Primitivo, ottenuti con le vinificazioni più disparate. Dal rosato della cantina Ognissole, al Primitivo di Trullo di Pezza, fino ad arrivare a una delle migliori espressioni di questo vino, il Soltema della cantina Jorche.

Ultima tappa le terre del Negramaro. Dislocate lungo viale Augusteo, le cantine Salentine proponevano i loro Negramaro e Salice Salentino. Tra le più rinomate Due Palme, Paolo Leo, Mottura. Meritano di essere citate anche altre realtà, come Menhir, Vallone con il suo Salice Salentino Riserva 2012. Senza dimenticare Carvinea. Tirando le somme, una manifestazione riuscita alla perfezione a Lucera. Passeggiare in questa magnifica città e avere la possibilità di soffermarsi anche sulle bellezze storiche, oltre che sull’enogastronomia locale, è stata una scelta vincente. Una scelta capace, per una volta, di valorizzare un Meridione che ha bisogno di iniziative come queste per alzare la testa. Promuovere e diffondere il verbo del vino in maniera semplice e far apprezzare le ormai sempre più emergenti realtà pugliesi: obiettivi centrati, per una ricandidatura ad honorem di Lucera per l’edizione 2017 di Calici di Stelle.

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Il Salice Salentino Riserva 2012 Selvarossa e il miracolo della lievitazione del prezzo

(3 / 5)Un’operazione commerciale di proporzioni “globali”, nel mondo della critica del vino “che conta”. O che dovrebbe contare. Giustifichiamo così, noi modestissimi commentatori di vinialsupermercato.it, la lievitazione del prezzo che sta subendo, nei supermercati italiani, il Salice Salentino Dop Riserva Selvarossa di Cantine Due Palme. Il prezzo del vino rosso pugliese della società cooperativa agricola di Cellino San Marco (Brindisi), supervalutato da tutte le più prestigiose “guide” del vino del Belpaese, cresce assieme al consenso ottenuto da parte dei “big” della critica enologica. E in Esselunga, che lo distribuisce sugli scaffali della propria fitta rete di supermercati, passa da 13 a quasi 17 euro. Nel giro di tre mesi scarsi. Per carità, non stiamo parlando certo di un caso clamoroso. Selvarossa Riserva è un buon vino. Ma a dirla tutta: per quasi 17 euro, in Gdo, si può bere decisamente di meglio. Per sdrammatizzare, basti pensare a quanto sta combinando l’e-commerce Tannico.it. Che sul proprio sito di vendita di vini online mette in bella mostra i “Tre bicchieri” affibbiati a Selvarossa dal Gambero più famoso d’Italia (vedi immagine sotto). E, magicamente, “sconta” ai propri clienti un 35% sul prezzo pieno, che sale – però – a ben 23 euro. Portando Selvarossa a un prezzo finale, sconto incluso, di 14,90 euro: spese di spedizione escluse, of course. Chapeau. Eppure sarebbe forse questa la “dimensione prezzo” corretta, al netto delle super valutazioni, di questo rosso di Puglia della coop brindisina.

LA NOSTRA DEGUSTAZIONE
Per giudicare bisogna assaggiare, lo abbiamo sempre sostenuto. E allora ecco qui le nostre note degustative del Salice Salentino Dop Riserva Selvarossa Cantine Due Palme. Sotto la nostra lente di ingrandimento, la vendemmia 2012. Precisiamo innanzitutto che si tratta di un rosso riserva ottenuto per l’85% dalla varietà Negroamaro, completata da un 15% di Malvasia Nera. Nel calice, il vino si presenta d’un rosso rubino intenso, poco trasparente, profondo, con riflessi amaranto. Al naso un gran calore alcolico, che solo in parte si giustifica con i 14,5% di alcol in volume. Con l’ossigenazione emergono interessanti note fruttate di ciliegia (sotto spirito, più che in confettura) e decisi spunti terziari di vaniglia e liquirizia. Un vino che, al palato, si presenta caldo. Il tannino è avvolgente e il retrogusto richiama le note di frutta a bacca rossa (ciliegia) già avvertite al naso, che si arricchiscono di una nota amarognola tipica della carruba. Un vino che, tuttavia, pare “sfuggire” via veloce, senza lasciare una firma inconfondibile in bocca, tale da giustificarne il prezzo. E non si capisce neppure – ma sarà sicuramente un nostro limite – come possa evolvere ulteriormente negli anni questo tanto decantato Salice Salentino da 17 euro in Gdo.

Del resto, a Vinitaly 2016, lo scorso aprile, era stato lo stesso direttore commerciale di Cantine Due Palme, Giacomo Di Feo, ad annunciare chiaramente ai lettori di vinialsupermercato.it l’ormai imminente lievitazione dei prezzi di Selvarossa: “Stiamo riposizionando verso l’alto il prezzo del nostro vino top di gamma presente nei supermercati Esselunga – ammetteva Di Feo – a fronte di un prezzo iniziale di circa 13 euro. Una catena che ben lo espone non può che essere per noi un valore aggiunto”. Coerenza e onestà che meritano un riconoscimento, al di là delle grandi recensioni che negli ultimi mesi hanno favorito il processo di lievitazione di Selvarossa Due Palme in Gdo e, per certi versi, anche in Horeca. E con altrettanta coerenza e onestà, noi di vinialsupermercato.it vi consigliamo di provare un altro vino rosso di Puglia di Cantine Due Palme, dal rapporto prezzo-qualità davvero eccezionale: parliamo del Susumaniello Serre (9/11 euro in Esselunga o nei supermercati Il Gigante, i primi ad averlo in assortimento, anche nel nord Italia). Un vino, questo sì, di cui innamorarsi. Per davvero.

Prezzo pieno: 16,90
Acquistato presso: Esselunga

 

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Quatar Pass per Timurass: i migliori vini degustati tra i Colli Tortonesi

Slow Food Piemonte e Valle D’Aosta fa centro, un’altra volta. Si è conclusa con un successo la grande domenica tra le cantine della Doc Colli Tortonesi, lo scorso 19 giugno. Quatar Pass per Timurass, quarto appuntamento del ricco programma di Cantine a Nord Ovest, ha visto la partecipazione di 210 persone. E mentre la macchina organizzativa di Slow Food è già all’opera per il prossimo appuntamento (il 23 luglio per “Scopri il Canelli”, incentrato sull’Oro Giallo, il Moscato d’Asti) Leo Rieser, responsabile eventi della banda piemontese della chiocciola, gongola per il risultato raggiunto. “E’ stata l’edizione di Quatar Pass per Timurass di maggiore successo – evidenzia – pur essendo questo appuntamento uno dei meno storici dell’intero candelario. Abbiamo incontrato persone che erano già state qui nelle edizioni precedenti, a dimostrazione della grande attrattività di questo territorio, che oltre al Timorasso offre grandi vini rossi e specialità gastronomiche eccezionali, come il formaggio Montebore e il salame Nobile del Giarolo”. Un ‘microclima’ particolare, dunque, anche per i rapporti tra viticoltori. “La peculiarità dei Colli Tortonesi – sottolinea Rieser – è che l’esponente d’eccellenza Walter Massa ha saputo recuperare un vitigno autoctono come il Timorasso e creare, assieme ad altri grandi pionieri della zona, un sistema di sincera collaborazione tra viticoltori. Una collaborazione fattiva, tutt’altro che di facciata. Non so quanto sia sincera o puramente provocatoria la dichiarazione che nel 2018 smetterà di fare vino, a voi rilasciata. Quello che mi sento di dire – conclude l’esponente Slow Food – è che qualsiasi cosa farà, la saprà fare benissimo. Walter Massa è un grande, non hai mai sbagliato un colpo. Ma è anche l’uomo dei grandi annunci, dunque staremo a vedere”.

CLAUDIO MARIOTTO

Non è iniziato da Walter Massa il tour di vinialsupermercato.it tra le cantine dei Colli Tortonesi. Bensì da un altro grande riferimento della zona: Claudio Mariotto. Lo abbiamo raggiunto nella cantina di strada per Sarezzano 29, proprio a Tortona, dopo aver ritirato il nostro calice al banchetto Slow Food allestito presso “Il Dì Cafè” di corso Leoniero, angolo piazza Duomo. Grande ressa già alle 11 alla cantina di Mariotto. “Il Timorasso – dichiara il viticoltore – ha fatto sì che un territorio pressoché sconosciuto avesse visibilità. Oggi il Timorasso è a New York, Tokyo, Londra e in tutto il mondo. in vigna l’attività viene portata avanti nel rispetto dell’ambiente, senza entrare però nella partitocrazia del mondo del vino di oggi: mi riferisco alle bandierine del ‘biologico’ o del ‘vino etico’. Facendo vino buono, senza avere soldi per fare pubblicità, si diventa dei riferimenti: il marketing nel vino si fa con le bottiglie buone, bicchiere dopo bicchiere. In una parola, il mio vino è vero”. Oltre a uno splendido Derthona 2010, vino delizioso che promette ancora parecchi anni di evoluzione in bottiglia, degustiamo Pitasso 2004: ottenuto dalla vigna storica di Timorasso, esposta a sud est sul territorio di Vho, colpisce per la potenza espressa dalla struttura, ma anche per le note fruttate che esaltano una beva lenta e voluttuosa, in un sorso che pare di glicerina pura. Le radici profonde della vecchia vecchia pescano gli elementi nutritivi da un suolo che regala un’espressione fantastica di Timorasso, da provare. Ottimi anche i rossi di Mariotto. La Freisa 2014 Braghé è un esempio di quanto questo antico vitigno autoctono piemontese possa essere (anzi debba essere) ulteriormente valorizzato in Italia e nel mondo. Un naso elegante e fine di rosa e piccole bacche rosse, precede un palato in cui le note fruttate di marasca e lampone – chiare, distinte, pulite – chiudono un sorso di grande corpo e sapidità. Chiudono il cerchio i vini Barbera di Mariotto, vero trait d’union di un terroir capace di regalare grandi bianchi, ma anche eccellenti rossi. Non a caso Poggio del Rosso è il vino preferito del viticoltore tortonese, quello che considera la migliore espressione della sua intera produzione. E non solo per una questione di cuore, dal momento che “Il Rosso” è il soprannome col quale veniva chiamato il padre Oreste. Il Poggio del Rosso affina 3 anni in cantina, per la maggior parte in rovere. Risulta così un vino dal tannino morbido ma vivace, impreziosito da note di ciliegia e cioccolato. Sentori terziari di grande pregevolezza già percepibili al naso: dalla cannella al tabacco dolce, dal caffè alla liquirizia.

LA COLOMBERA

Non è dello stesso impatto “emotivo” la visita all’azienda Agricola Semino Piercarlo “La Colombera” di strada comunale per Vho, 7, a Vho per l’appunto. Degustiamo Derthona e Il Montino, entrambi ottenuti da uve Timorasso. Viene proposta una mini verticale che mette in luce le grandi capacità di invecchiamento del vitigno, anche se i prodotti de La Colombera paiono meno ‘pronti’ in gioventù rispetto ad altri degustati domenica 19 in zona Tortona. Le annate 2014 e 2013 suggeriscono di bere Cortese piuttosto che Timorasso, per trovare soddisfazioni immediate sia al naso sia al palato. Merita invece una menzione il Derthona 2009: caldo, complesso, finalmente corposo e strutturato. Capace di regalare i tipici idrocarburi e sentori minerali del vitigno. Lascia perplesso il prezzo di vendita della vendemmia 2009 Derthona: soli 9 euro, a dispetto degli 8 euro delle vendemmie ‘giovani’. In una zona vinicola capace di fare squadra come in poche altre in Italia, una tale disparità di prezzi tra le stesse annate di diversi produttori rischia di sconcertare il consumatore. E deviarlo verso la ricerca del prezzo, più che della qualità. Un punto, questo, su cui devono lavorare in concerto i produttori di Timorasso, pur nell’autonomia delle singole aziende vitivinicole. Alla Colombera apprezziamo anche il naso di Suciaja, rosso ottenuto da uve Nibiò, vitigno autoctono dei colli tortonesi, ‘parente’ del Dolcetto. Ottimo invece nel complesso Arché 2011, altro vino rosso de La Colombera, ottenuto questa volta da uve Croatina. Dopo un breve appassimento sulla pianta, i grappoli vengono raccolti e vinificati. Il vino matura 14 mesi in tonneaux, regalando un naso speziato (pepe) e di piccoli frutti a bacca rossa. Al palato buona la struttura e il corpo: tannino piuttosto elegante e alcolicità sostenuta (14,5%) ma tutt’altro che fastidiosa, impreziosita da una sapidità non banale.

WALTER MASSA
Il filosofo del vino, il pioniere e marinaio che ha condotto Tortona a Hong Kong, passando per Londra, New York e Tokyo. Dire Timorasso senza citare Walter Massa è come parlare di calcio senza aver mai toccato un pallone. Lo raggiungiamo all’ora di pranzo nel suo quartier generale di piazza Capsoni 10, a Monleale. Quando arriviamo, Massa sta dicendo messa. E’ al centro di una lunga tavolata, affollata di ospiti che lo ascoltano come se stesse parlando il Messia. Perché Walter Massa è il verbo del Timorasso e il Timorasso è il verbo di Walter Massa. Per questo, chi non c’era, provi a portarsi a casa un Costa del Vento (dalla vendemmia 2014 in giù, finché il portafogli lo consente); o uno Sterpi 2013, un Timorasso che pare per certi versi Vermentino di Gallura. “Io prendo quello che la natura mi dà e cerco di portarlo in bottiglia”, dice Walter Massa mentre invita Pigi, la sua graziosa “badante”, a smettere di riempire i piatti di cassoeula e brodo con i ceci: “Sono qui per il vino, mica per mangiare!”. “Qui abbiamo l’acqua ligure, il vento piacentino, ma ci troviamo in Piemonte: siamo bastardi pieni”, scherza (ma non troppo) Massa, sollevando l’ilarità generale. E tra un sorriso e l’altro spuntano i vini rossi. E che rossi. Pertichetta 2010, 14,5%, ottenuto da uve Croatina, e soprattutto Bigolla 2001, 14,5% di Barbera granata, da definire con una sola parola: eccezionale.

OLTRETORRENTE
Dal mito alla new entry. Il passo è breve tra i Colli Tortonesi. Approdiamo così in via Cinque Martiri, a Paderna, dove Chiara Penati e Michele Conoscente, marito e moglie di 35 e 38 anni, sono espatriati da Milano per inseguire il loro sogno, dopo la laurea in Agronomia e diverse esperienze in aziende del settore. Tutto inizia nel 2010, con l’acquisto dell’attuale cantina su tre piani, un edificio storico nel centro del paese, parzialmente ristrutturato. Vengono condotte qui nei primi anni, per la vinificazione, le uve provenienti dal primo ettaro e mezzo di Oltretorrente, che prende il nome “da un romantico episodio di resistenza nell’omonimo quartiere di Parma – spiega Chiara – durante il ventennio fascista: alcuni abitanti, grazie a fantasiosi espedienti, fecero credere di essere armati fino ai denti, barricandosi in un palazzo e scacciando così le milizie. Un episodio che dimostra come, a volte, basta poco per fare le cose in grande e raggiungere grandi obiettivi”. In effetti la produzione di Oltretorrente è degna di nota. Oggi l’azienda può contare su un’altra struttura, sempre a Paderna, in grado di sostenere la lavorazione dei 3,5 ettari complessivi sin ora acquistati. “Si tratta di vigne vecchie – spiega Chiara – dai 20 anni ai 100 anni, con una media di 60”. Un aspetto fondamentale per comprendere la maturità di questa piccola ,e interessantissima realtà. In degustazione non troviamo (purtroppo) una grande varietà di prodotti. L’antipasto è il Cortese 2015, ottenuto dalla pressatura soffice delle uve intere, seguita da un affinamento di 8 mesi in acciaio sui propri lieviti, senza malolattica. Un’attenzione che offre un ottimo naso, fragrante, floreale e fruttato. Al palato vince invece lo spunto minerale, apprezzabilissimo. Sorprendente il Timorasso 2014, che regala note eleganti di fiori bianchi (camomilla). Al palato grande acidità e bel corpo, sorretto anche da una sapidità e da una mineralità che fanno presagire le grandi potenzialità del prodotto. Sulla via di una buona evoluzione anche il Timorasso 2013, l’unico in occasione di Quatar Pass a mostrare venature di uva passa e frutta candita. Buoni prodotti anche i due Barbera dei Colli Tortonesi, con quella Superiore (vendemmia 2012) che si eleva nettamente sulla prima per la grande pulizia delle note fruttate, sia al naso sia in bocca, impreziosite dalle spezie (liquirizia) e da un tannino levigato. “Accorpando vigne di anno in anno – annuncia Chiara – non siamo ancora riusciti a certificarci come produttori biologici, ma questo è il progetto per il futuro”.

POGGIO AZIENDA VINICOLA
Un capitolo a parte merita l’azienda vincola Poggio di Vignole Borbera, sempre in provincia di Alessandria ma all’estremo confine con la Liguria: per intenderci, siamo a pochi chilometri dall’outlet dell’abbigliamento di Serravalle Scrivia (buon motivo per combinare le due visite). Ci troviamo nella preziosa sottozona delle “Terre di Libarna”. Ezio e Mary Poggio, fratello e sorella, lui enologo, lei farmacista, rappresentano la terza generazione di una famiglia che vive nel mondo del vino da 50 anni, che da circa 15 anni ha iniziato a produrre in proprio, appoggiandosi anche su una filiera di piccole aziende agricole limitrofe, alcune delle quali condotte da giovani viticoltori. “Il Timorasso nasce qui come vitigno, in Val Borbera – sottolinea Mary – poi è stato portato nel Tortonese. A un certo punto scomparve per via delle malattie della vite e dello spopolamento delle valli, con gli abitanti della zona attirati dalle industrie, nelle grandi città come Genova, nel dopoguerra. Negli anni 90 Walter Massa ha avuto il merito di cominciare la riscoperta di questo autoctono. Noi siamo arrivati un po’ più tardi, nel 2002, avviando la produzione”. Nella Valle Borbera e nella limitrofa Valle Spinti, negli anni 40, c’erano 275 ettari di vigneto, tutti persi. Oggi in produzione ce ne sono una decina, tutti inseriti nella sottozona Terre di Libarna della Doc Colli Tortonesi. Quella della famiglia Poggio è stata una scommessa: “Abbiamo iniziato a impiantare Timorasso nella speranza che di lì a pochi anni fosse riconosciuta la Doc, altrimenti avremmo dovuto estirpare – sottolinea Mary -. Fortunatamente l’abbiamo ottenuta e abbiamo deciso di chiamare questa sottozona ‘Terre di Libarna’ in onore del sito archeologico di Libarna, che si trova a 4 Km da noi: un’antica cittadella romana, del II secolo avanti Cristo, che godeva di una fiorente viticoltura in Val Borbera e Spinti”.

I vigneti del Poggio si trovano tutti a un’altezza compresa tra i 450 ai 550 metri sul livello del mare. Le viti, come nel Tortonese, affondano le radici in un terreno argilloso e calcareo. Ma le grandi escursioni termiche permettono di produrre un Timorasso da degustare a tutti i costi. Diverso da quello di Tortona e Vho: un Timorasso dall’acidità ancora più spiccata. Con una gradazione alcolica inferiore anche di due gradi rispetto alla media tortonese, che si aggira sui 14 – 14,5%, compensata però da una balsamicità magicamente avvolgente. I risultati ottenuti dal Poggio dalla prima vendemmia del 2008, fa pensare ai coraggiosi Ezio e Mary che avrebbero potuto produrre con successo anche una versione spumantizzata. Ed è così che nel 2010 nasce Lusarein, ottenuto in purezza da uve Timorasso, raccolte precocemente, ottenendo una “base” da 11,5 gradi. Uno charmat d’autoclave lunga (6 mesi), imbottigliato a 12,5 gradi. Di colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, Lusarein sfodera una spuma leggera con perlage fine e persistente. Al naso note minerali e agrumate. In bocca una sapidità piuttosto spiccata, cui fa eco un’acidità notevole: caratteristiche che invitano al sorso successivo, che si chiude con un retrogusto amarognolo. Ottimo come aperitivo, può essere abbinato a primi e secondi di pesce, ma anche alle carni bianche. Di Lusarein 2014 sono state prodotte 4 mila bottiglie. Ottimi, del Poggio, anche L’Archetipo e il Caespes, ottenuti sempre da uve Timorasso 100%. Caespes è il base, di cui degustiamo l’annata 2014, già pronta a sorprendere per la grande acidità che regala una beva facile, ma tutt’altro che banale. Si sale ulteriormente di livello con L’Archetipo 2013, dalla notevole vena balsamica, che diventa ancora più profonda e fresca nella vendemmia 2011, davvero degna di nota. Tutti vini ottenuti da rese per ettaro basse, sotto i 50 quintali. Un numero che, per la vendemmia 2015, è sceso addirittura a 35 quintali. Diciottomila le bottiglie prodotte complessivamente dal Poggio, tutte all’insegna di una grande qualità.

AZIENDA AGRICOLA RICCI
Di grande pregio anche la produzione dell’azienda Azienda Agricola Ricci, situata in via Montale Celli 9, Costa Vescovato. Una realtà alla quale ci siamo avvicinati in occasione del Vinitaly 2015. Carlo Daniele Ricci, il titolare, si è ormai specializzato nella produzione di un Timorasso senza pari. Il viaggio tra i sapori (e i colori) di questo uvaggio inizia con Terre del Timorasso 2013, vinificato in acciaio. Vino di un giallo dorato, sfodera un naso non particolarmente intenso, preludio tuttavia di un palato caldo e persistente. Si passa dunque a San Leto 2009, ottenuto mediante fermentazione e affinamento in acacio. San Leto 2006 stupisce per l’intensità olfattiva, che sfiora le tinte balsamiche. Giallo di Costa 2011 scorre nel calice tingendolo di un ambra allettante, che in bocca diventa piacere puro, tanto risulta morbido e rotondo il nettare, nonostante il calore dei suoi 14 gradi di alcol in volume. Giallo di Costa 2007, è l’eleganza fatta vino. E San Leto 2004 la ciliegina su una torta di una produzione di altissimo livello. “Lavorare bene in vigna – commenta il produttore Carlo Daniele Ricci – è il primo passo per ottenere vini di grande equilibrio. Conosco ogni singolo componente dei terreni che coltivo, avendo effettuato per anni delle ricerche accuratissime che mi permettono di capire come sarà il vino ancor prima di produrlo. Nell’area di produzione del Timorasso c’è grande rispetto per l’ambiente e unità tra produttori. Siamo partiti come carbonari, contro tutti i commercianti di vino e le cantine sociali. Dopo 20 anni di fatiche e battaglie, possiamo finalmente affermare che il territorio ce l’abbiamo in mano noi, produttori attenti alla terra e all’ambiente”. Quale immagine migliore per la Doc Colli Tortonesi?

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Timorasso, Walter Massa shock: “Nel 2018 smetto di fare vino”

Si scrive “Walter Massa”, si legge “Timorasso”. Anzi: oggi, più che mai, “Derthona”. Ma cosa succederebbe se il re del vino dei Colli Tortonesi decidesse di gettare la spugna?

La notizia shock in esclusiva al microfono di vinialsupermercato.it: “Non ci sto più dentro e nel 2018 cambio lavoro. Faccio ancora due vendemmie. Poi la mia azienda andrà avanti coi miei nipoti o con qualcun altro. Ma non vi dico che lavoro farò! Dico solo che devo prendere tanti voti per cambiare lavoro”.

Fermi tutti. Seduti. Un sorso d’acqua. Fatto? Bene. Flashback. Sulla terrazza di piazza Casponi 10, a Monleale, quartier generale alessandrino del vignaiolo che ha avuto il merito di rilanciare il Timorasso in Piemonte e nel mondo, sono da poco passate le 17.30 di domenica 19 giugno.

Un pubblico di appassionati di vino affolla la casa del guru in occasione di Quatar Pass per Timurass, la (riuscitissima) quarta tappa del tour organizzato da Slow Food Piemonte – Cantine a Nord Ovest. Strappiamo letteralmente Massa dalla ressa. E ci facciamo concedere un’intervista. Parliamo del rapporto tra vino e grande distribuzione. Un argomento su cui il re dei Colli Tortonesi mostra un’inaspettata apertura.

“Il mio è un progetto ambizioso e quindi cerco di stare sui canoni, come li definiscono quelli che hanno studiato, dell’horeca. Però il vino è un prodotto per il quotidiano, da sempre. E quindi va messo alla portata di tutti: va distribuito in maniera diligente e rispettosa. Ci sono dei supermercati che hanno fatto investimenti diligenti sul vino e io li rispetto tantissimo. Poi, finché riesco e se riesco, cerco di starne fuori. Ma apprezzo davvero chi ha fatto grandi sforzi per rendere alla portata di tutti i vini agricoli e i vini di qualità”.

“Siamo tutti uguali, la carne è debole. Quando vendi, quando tiri, quando sei di moda – ammette Massa – fai il fenomeno e magari ti permetti di dare il vino solo a chi te lo paga anticipato, alle grandi enoteche, ai ristoranti stellati. Poi, appena comincia a mancarti qualcosa o a entrarti in società qualcuno che preme per il fatturato e per il business, paventando la possibilità che l’azienda possa altrimenti chiudere, ti fermi un attimo e ti rendi conto che forse bisogna dire basta alla filosofia. E di filosofi siamo tanti, nel vino, in Italia”.

“Il vino – prosegue Walter Massa – deve essere sempre il seguito di un pensiero. Un pensiero che va sostenuto. Questo si ottiene solo con delle scelte e io ho fatto le mie: cerco di differenziare i prodotti, di tenerli sotto controllo… Poi sarà sempre la legge della domanda e dell’offerta, la legge degli uomini, la legge della fortuna a prevalere su tutto. Io penso di essere più che la mia fortuna, la fortuna di un territorio. Qui ho trovato tanti colleghi con cui ho un bel feeling e con cui sto cercando di recuperare un gap storico. A Savona, dieci anni fa, pensavano che a Tortona neppure si facesse il vino. Oggi, che si fa il vino a Tortona, lo sanno i salotti buoni che ci sono a Hong Kong, piuttosto che a Tokio, piuttosto che a New York o nel nord Europa”.

LA SVOLTA
Proprio per questo, secondo Massa, è arrivato il momento di svoltare. Di cambiare prospettiva. “Adesso – evidenzia – dobbiamo anche pensare a un Timorasso, anzi meglio a un Derthona, per tutti. Io ho fatto il Petit Derthona copiando dal Petit Chablis, perché voglio difendere al massimo il Timorasso”.

“Non voglio che il Timorasso sfuso sia alla mercé di gente che col vino centra come io centro con gli aeroplani. Come? Imbottigliandolo io, fino all’ultima goccia. Pensate che un Lugana sfuso vale 4,50 euro al litro, quando una Barbera del mio vicino di casa un euro al litro: questa è pazzia, è una cosa vergognosa. Non per il Lugana, ma per il Barbera”.

“Il Gavi sfuso – sottolinea Massa – vale 3 euro al litro! E io non voglio che il Derthona sfuso esista! Perché noi del Derthona siamo tutte aziende con un know how  in cantina per imbottigliare il vino e vogliamo far sì che, se il Derthona a casa mia esce a 10 euro, il Petit Derthona esca dalla mia cantina a 6 euro. E il consumatore, sugli scaffali, trovi il Petit a 7-8 euro, e il Derthona a 15-16 euro”.

Un’apertura alla Gdo? “Non nel mio caso – precisa Massa – perché il Petit Derthona è l’ultimo prodotto a cui io penso. Quando ho fatto tutte le selezioni per i cru e per il Derthona, quello che avanza diventa Petit Derthona. Lo dichiaro al mio distributore e mi auguro che lo gestisca come tale. Dobbiamo smetterla di fare i commercianti falsi, noi del vino”.

“Se finisco il mio vino e lo vado a comprare dal mio vicino – aggiunge Massa – finisce la filosofia, la poesia del vignaiolo indipendente. Il vignaiolo è indipendente quando può mandare tutti a cagare e andare al mare, la terza domenica di giugno. Non star qui a mendicare o a dare a retta a tutti. Lo faccio volentieri, ma il vignaoiolo indipendente è tale quando dice che va nella vigna e ci va davvero! Io vado in cantina, vado in vigna, vado in giro a raccontare fiabe ma, soprattutto, sono sempre in prima linea come uomo. La cosa è semplice: o siamo contadini, o siamo commercianti. Questo è quello che detesto del pianeta vino in Italia. La mia partita è fare il versus: versus Borgogna, versus Reno, versus Sancerre, versus Verdicchio, versus San Gimignano, versus Collio, versus Gavi. Io voglio che il Derthona entri nell’olimpo dei grandi bianchi del mondo”.

IN VINO POLITICA
Massa ha voglia di parlare e ci incalza con risposte sempre più piccate. Risposte che fanno solo lontanamente presagire un finale shock. “Come fondatore della Fivi (Federazione italiana vignaioli indipendenti, ndr) – continua il re dei Colli Tortonesi – assieme ad altri 300 grandi uomini italiani, alcuni grandi vignaioli e alcuni grandi del vino, ho dovuto fare esattamente come De Gasperi e Togliatti: per tenerci lontana la Russia abbiamo dovuto parlarci e inventare una Democrazia Cristiana che avesse dentro tutti. Dai latifondisti agli operai, dai cattolici ai partigiani. Dagli ex partigiani, ai fumatori e agli astemi! Quindi nella Fivi, per adesso, troviamo tutto quello che in Italia si chiama ‘Azienda agricola’, che comprende anche chi può fatturare il 49% del totale. E’ una cosa che, col cuore, definirei vergognosa. Ma con il cervello non posso che giudicare quale passaggio indispensabile. Adesso metteremo delle regole un po’ più rigide”.

“Io sono al quarto mandato – continua Massa – e al secondo da vice presidente. Il patto è quello di stringere le maglie. Perché io voglio lavorare per i grandi, non per i grossi. E i grandi sono anche quelli che hanno due ettari di vigna e fanno mangiare una famiglia intera, la loro. Facendo al contempo grande l’Italia intera nel mondo. Perché l’Italia la fa bella Salvatore Ferrandes, a Pantelleria, come la fa bella Anselmet o Lo Triolet, o Zidarich, o Dirupi. In Valle D’Aosta, nel Carso o in Valtellina. Ho messo in croce l’Italia, come piace a me metterla in croce”.

Ma è quando si parla di e-commerce che Walter Massa non ci vede più: “Se ti cercano, ti comprano, ti vogliono, perché nascondersi? Io, intanto, sto con chi, in Inghilterra, vuole uscire dalla Ue. Perché mandare il vino nella Ue è un lavoro, mandare il vino a Singapore, in Giappone, in Russia, in Norvegia è un gioco? Ti vessano, dicendoti che devi fare una bolla solo per far mangiare qualche essere dannoso all’economia e al Pil italiano. Per me il lavoro non è solo un diritto, ma soprattutto un’opportunità. E, quindi, noi dobbiamo far sì che il vino in Europa giri liberamente”.

“Disfiamo questa Europa – attacca Walter Massa – è ora di dire basta. O, piuttosto, rimettiamola a posto. Tutte queste barriere, tutta questa burocrazia, non è altro che una presa per il culo per mandare i D’Alema della situazione a prendere uno stipendio”. Fine del flashback. A questo punto Massa vuota il sacco. E fa presagire come Montecitorio (nome di un vigneto Massa) e Anarchia Costituzionale (nome di un suo vino), possano essere molto più di un messaggio subliminale.

“Di certo dico subito che non andrò con i Cinque Stelle – precisa il vignaiolo – anche se per Roma faccio il tifo per Virginia Raggi e non certo per Orfini. I partiti istituzionali vanno messi al loro posto, lasciando i bastardi, i falliti e quelli in via di fallimento a casa, al posto di farsi salvare come sempre dalla politica”. Il mondo del vino trema. E forse, da oggi, anche quello della politica. Situazione meteo: uragani su Roma, provenienza Piemonte.

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Approfondimenti news

Radici del Sud: vini del Meridione al top. Ma la location sta “stretta”

Vinialsupermercato.it non poteva mancare, quest’oggi, a Torre a Mare. La frazione del Comune di Bari ha ospitato una delle più importanti rassegne sui vini del Sud. Parliamo ovviamente di Radici del Sud, manifestazione internazionale dedicata ai soli vini meridionali. Alle loro mille facce e sfaccettature. Dall’Aglianico della Basilicata al Primitivo della Puglia, passando per la Falanghina della Campania e al Nero d’Avola della Sicilia, per citarne solo alcuni (qui i vini 2016 premiati dalla giuria). Un’iniziativa lodevole, che vede finalmente i produttori meridionali – ormai affermatissimi nel panorama mondiale per la qualità dei loro vini – riunirsi sotto lo stesso “tetto” per un evento comune, in cui sfoggiare le proprie perle. Tutto bellissimo. Se non fosse che la location, una delle sale dell’Una hotel Regina, sia parsa piuttosto “ristretta” per una manifestazione di tale portata. Vero è che i 15 euro previsti per l’ingresso, con degustazioni illimitate, sono risultati ai più un prezzo ‘onesto’ per accedere alla stupenda sala da cerimonie in pietra. All’interno, ecco i vari banchi d’assaggio, sistemati in maniera un po’ confusa: poca la chiarezza nella distinzione tra i produttori delle varie regioni. Con un po’ d’impegno, abbiamo avuto comunque la possibilità di scoprire interessantissime realtà. A conferma che i produttori del Sud abbiano ormai intrapreso la strada della qualità, dimostrando di essere bravi vinificatori, nonostante mille difficoltà.

I MIGLIORI ASSAGGI
E non ci riferiamo soltanto ai ‘grandi nomi’ quali Feudi di San Gregorio, con le cantine vassalle Basilisco e Ognissole, o a marchi importanti pugliesi come Antica Masseria Jorche, una delle regine del Primitivo di Manduria, o ancora a Colli della Murgia, cantina biologica di Gravina in Puglia che presentava due spumanti metodo Charmat e un rosato pugliese ‘atipico’, di un eccellente rosa tenue, oltre ai vari bianchi di Minutolo. Grandi conferme anche quelle riservate dai vini lucani, con la nota Cantine del Notaio a sfoggiare – otre ovviamente ai vari Aglianico del Vulture – un metodo classico di Aglianico vinificato in bianco, molto interessante. Tra i vini che meritano una menzione particolare, ecco un bianco vinificato come un vino rosso, in otri di terra cotta: quello dell’azienda Lunarossa di Giffoni Valle Piana, provincia di Salerno, Campania. Quartara è il nome di questo gioiello, che prende il nome dal recipiente che lo culla sino a diventare un nettare così prelibato: un Fiano dei colli Salernitani che rimane a contatto con le bucce per 2 mesi. Abbastanza per regalare un bianco fresco e brillante, non trattato, nel rispetto della filosofia dei più famosi vignaioli friulani. Insomma: sono ormai tante le realtà vitivinicole meridionali che meritano di essere raccontate su palcoscenici di tutto rispetto. Anche – e soprattutto – fuori dai confini di un Sud Italia che sta sempre più ‘stretto’ al cuore e alla passione di questi produttori. Un cuore che, il più delle volte, batte al ritmo della qualità assoluta.

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news ed eventi

vinialsupermercato.it a Radio Deejay

Ci hanno scritto in tanti dopo la diretta radio del 25 maggio a Tropical Pizza, uno dei programmi di punta di Radio Deejay, condotto da Fabrizio Lavoro, in arte Nikki, con Fosca Donati e Aldino di Chiano dj Aladyn.

Questa è l’occasione per ringraziarvi tutti! E a grande richiesta pubblichiamo di seguito il link ai vini citati durante l’intervista: il vino rosso Villa Antinori Toscana Igt, in vendita nei supermercati Esselunga, lo spumante Franciacorta Brut Brolo dei Cavalieri e il vino bianco Soave Doc Classico “Terre del Vulcano” in vendita da Lidl. Nikki ci ha chiesto di citare alcuni vini “strepitosi” nel rapporto qualità-prezzo.

Una domanda a bruciapelo, alla quale abbiamo risposto volentieri. Ovviamente avremmo potuto citare molti altri esempi. Per scoprire tutte le “chicche” in vendita al supermercato, dunque, non vi resta che seguirci! Per chi si fosse perso l’intervista, ecco qui il podcast.

Qui invece l’intervista di noi di vinialsupermercato.it a Francesco Quarna, caporedattore e social manager di Radio Deejay, nonché grande appassionato di quel meraviglioso vitigno chiamato Nebbiolo.

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Food Lifestyle & Travel

Risotto con astice e carote: e i vostri ospiti si leccheranno i baffi


Chi non ama l’astice? Un “ingrediente” nobile, col quale poter realizzare ricette piuttosto facili e veloci da preparare. Come per esempio il risotto con astice e carote “In cucina con Fede”. Ecco tutti i dettagli.

Quantità per: 4 persone
Realizzazione: abbastanza facile
Vino in abbinamento: Vermentino di Sardegna

TI SERVE

  • 20 cucchiai di carnaroli (5 cucchiai a testa per avere un piatto abbondante)
  • 2 astici
  • 3 carote grandi (o 5 piccole)
  • 1 cipolla bianca
  • 1 porro piccolo
  • Una noce di burro
  • Un bicchiere di vino bianco
  • Olio evo
  • 6 foglie d’alloro
  • Sale rosa dell’Himalaya
  • Pepe bianco
  • Brodo

PREPARAZIONE

1. Fai bollire un litro d’acqua con una manciata di sale, una carota, mezza cipolla e un porro piccolo. Taglia a metà gli astici, spolpali, taglia a pezzetti la carne e lascia da parte. Aggiungi i carapaci dei due astici all’acqua e lascia cuocere finché le verdure saranno morbide. Hai ottenuto il brodo con il quale cuocerai il riso.

2. In una casseruola fai dorare la cipolla con un filo d’olio, aggiungi le foglie d’alloro e i pezzetti di astici che saranno pronti dopo cinque minuti. Toglili e mettili in un piatto (li aggiungerai alla fine). Togli anche le foglie d’alloro e tosta il riso per qualche secondo. Sfuma con il vino bianco e fai evaporare l’alcol.

3. Nel frattempo riduci le carote a julienne (con una grattugia o con un robot da cucina) e versale nella casseruola. Una volta evaporato l’alcol aggiungi poco per volta il brodo, 1.5 cucchiaini di sale rosa, il pepe bianco e porta a cottura il risotto continuando a mescolare e ad aggiungere il brodo se necessario.

4. Dopo 15/18 minuti il riso dovrebbe essere pronto (assaggialo, non deve essere troppo croccante ma neanche sfaldarsi). Spegni il fuoco, aggiungi la polpa degli astici e manteca con una noce di burro. Guarnisci con una foglia di alloro.

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Vini al supermercato

Sant’Antimo Doc Focaia 2012, Società agricola Centolani

(5 / 5) Tra le tante Doc e Docg della Toscana, una certa Gdo (quella che lavora bene) non dimentica la Denominazione di origine controllata Sant’Antimo: praticamente sconosciuta tra i clienti dei supermercati e (ammettiamolo) poco nota anche tra i professionisti del settore.

Parliamo di Ipercoop, che nei suoi ipermercati offre a poco più di 7 euro una vera e propria “chicca”: il Sant’Antimo Doc Focaia della Società agricola Centolani Srl di Montalcino, Siena.

Una di quelle bottiglie, insomma, che danno la “cifra” del lavoro di un buyer vini della grande distribuzione. Plausi (doverosi) a parte, veniamo al dunque.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Sant’Antimo Doc Focaia Centolani, vendemmia 2012, si presenta d’un rosso porpora, con sfumature e unghia violacea. Poco trasparente, scorrevole, si rivela complesso al naso. I sentori fruttati (frutti rossi) e floreali (viola) lasciano spazio a un’evoluzione vegetale che ricorda il rosmarino.

Non mancano le note boisé. E una speziatura che tende al cuoio, alla liquirizia e al tabacco dolce, delicato. Un naso ricco di emozioni, pronto a evolversi nel calice, tra un sorso e l’altro. Grandi, dunque, le attese nell’assaggio. Che non delude. Al palato, Focaia Sant’Antimo Doc Centolani premia le attese con un tannino suadente, una beva calda e fine, in cui le note fruttate rincorrono quelle speziate. Ma a colpire è l’ottima sapidità, che impreziosisce un quadro già praticamente perfetto.

E il retrogusto non è da meno, con la sua leggera vena amarognola in chiusura. Persistente il retro olfattivo, per una vendemmia – la 2012 – che è pronta a regalare le stesse emozioni ancora per qualche anno. Un vino, in definitiva, che si abbina a piatti di carne mediamente elaborati, come arrosti e cacciagione, a una temperatura di servizio di 18 gradi. Il rapporto qualità prezzo resta comunque il piatto forte di questa bottiglia.

LA VINIFICAZIONE
Il Sant’Antimo Doc della Società Agricola Centolani Srl è ottenuto dalla vinificazione di uve Cabernet Sauvignon (40%), Merlot (40%), Syrah (10%) e Petit Verdot (10%), prodotte sul versante sud ovest di Montalcino. I terreni sono di tipo galestroso e lievemente argilloso. I vigneti sono esposti al sole a un’altezza di 400 metri sul livello del mare. La vendemmia avviene nel corso della prima decade del mese di ottobre.

Le uve vengono diraspate e pigiate in maniera soffice, con successiva macerazione in acciaio Inox, per 20 giorni. In questo periodo sono frequenti i rimontaggi e le follature. Durante questa fase si completa la fermentazione alcolica, a una temperatura variabile tra i 28 e i 30 gradi. Il vino, dunque, riposa per 6 mesi in barrique francesi da 225 litri. L’affinamento prosegue per i successivi 4 mesi in botti grandi di rovere di Slavonia da 50 ettolitri. Infine, altri 6 mesi in bottiglia prima di essere messo in commercio.

La Società agricola Centolani Srl risponde alla famiglia Peluso Centolani, proprietaria dell’omonima azienda che comprende, a Montalcino, due grandi realtà produttive: la Tenuta Friggiali, dove ha sede anche la cantina e il centro amministrativo, e la Tenuta Pietranera, per un totale di 200 ettari circa, tra vigneti, oliveti, seminativo e bosco.

Prezzo pieno: 7,59 euro
Acquistato presso: Ipercoop

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Vini al supermercato

Barbaresco Docg Sette Cascine, Dfr Spa Batasiolo Vini Spa

(1 / 5)Partiamo da una premessa: il Barbaresco Sette Cascine in vendita nei supermercati Esselunga, è proprio il caso di dirlo, ci ha fatto letteralmente ‘penare’. Dopo diversi giorni, in cui si sono susseguite email e telefonate a vuoto in Piemonte, tra La Morra (Cuneo), Canelli (Asti) e Torino, siamo riusciti a dare un volto al ‘misterioso’ acronimo del produttore indicato in etichetta: Dfr Spa di La Morra. Vuoi che nessuno conosca una “Società per azioni” che commercializza vino nei supermercati di Caprotti? Tant’è. Siamo in Italia. E anche al Nord, checché se ne dica, in molti preferiscono farsi gli affari loro. La telefonata giusta risale alla mattinata di mercoledì 16 marzo. Al telefono della Batasiolo Vini Spa risponde un’impiegata, che passa la cornetta a un responsabile. “Siamo noi quelli del Barbaresco 7 Cascine – conferma -. Abbiamo fatto tanto per nasconderci!”. Il sarcasmo è di quelli che gelerebbero il sangue anche al più “caliente” dei consumatori, in un’epoca in cui la politica e le associazioni di settore si sciacquano la bocca quotidianamente con gli appelli per rendere più “trasparenti” le etichette dei beni in vendita nella grande distribuzione organizzata. Ma al telefono non facciamo polemiche. E chiediamo di inviarci la scheda tecnica del prodotto. A proposito. Le bottiglie su cui puntiamo la lente di ingrandimento, questa volta, sono due. La prima bottiglia di Barbaresco Sette Cascine è della vendemmia 2011. La seconda della vendemmia 2008. E qui apriamo una parentesi: bottiglia impolverata, catturata sul fondo dello scaffale. Praticamente dimenticata, accanto a un’altra della vendemmia 2009. Tre i facing, ovvero le file a banco, dedicati al Barbaresco Sette Cascine in questo punto vendita Esselunga, sul ripiano più alto della scaffalatura.

La presenza di annate più recenti davanti alle due bottiglie dimenticate, racconta quanto lavoro ci sia ancora da fare nella Gdo per convincere gli addetti al caricamento – e, ancor prima, i loro responsabili! – che anche al vino va “dato il giro” delle scadenze: come fossero mozzarelle, o brioches, o latte per neonati. Non perché il vino propriamente ‘scada’. Ma perché i clienti, spesso ignari di queste dinamiche, finiscono per acquistare bottiglie ‘vecchie’, giudicandole male tout court: e chi ci rimette, in questo caso, è innanzitutto il produttore di quel determinato vino, oltre alla stessa catena della Gdo. Per la cronaca, la bottiglia di Barbaresco Sette Cascine 2008 è finita nel lavandino: imbevibile. Sia per l’imperizia nella conservazione, sia perché… Perché è la stessa annata 2011 a lasciare a desiderare. Tuffiamoci dunque nell’analisi di un Barbaresco 2011, il 7 Cascine, che nel calice si presenta di un rosso ancora più rubino che granato, con unghia tendente all’aranciato. Il primo impatto col calice lascia negli occhi una vampata d’alcol. Lasciamo ossigenare il nettare, prima di riavvicinarci. Ecco che si apre in un naso speziato e vegetale, di zafferano e rosmarino, cui fanno eco sentori di piccoli frutti a bacca rossa. Al palato, il Barbaresco Sette Cascine è tutt’altro che equilibrato. L’alcolicità sfiora la soglia del bruciante ed è l’unico descrittore a restare in bocca, una volta deglutito il vino. Una percezione che fa sembrare ‘sotto spirito’ la frutta già avvertita al naso, che ritroviamo anche al palato. La disarmonia generale, dovuta all’alcolicità eccessiva, guasta una morbidezza, un’acidità e una sapidità altrimenti sufficienti. Lo stato evolutivo della vendemmia 2011? Vorremmo poterlo definire pronto, anche se temiamo si tratti piuttosto di una maturità destinata al viale del tramonto, a braccetto con la sola alcolicità. E l’abbinamento culinario? Preferiamo non suggerirlo, per questa volta.

LA VINIFICAZIONE
Riportiamo letteralmente dalla scheda tecnica fornita dalla casa produttrice, la Batasiolo Vini Spa (Dfr Spa, La Morra): “Vinificazione in rosso con lunga macerazione delle bucce, seguita da un oculato invecchiamento in botti di rovere per circa un anno ed un successivo affinamento in bottiglia di ugual durata”. Le uve Nebbiolo (100%) vengono raccolte sulle “colline situate sulla riva destra del fiume Tanaro che circondano Comune omonimo (Barbaresco, ndr), in provincia di Cuneo” e vendemmiate “dal 10 al 20 ottobre”. Sorprende la qualità di questo prodotto, non certo all’altezza della fama della Batasiolo Vini Spa, cantina situata nel cuore delle Langhe e attiva nel mondo del vino da più generazioni. “I fratelli Dogliani – si evince dal sito web aziendale – acquistarono nel 1978 la storica cantina Kiola in La Morra, fondata negli anni ’50 e costituita da sette cascine con vigneti situati nei più pregiati territori di vinificazione del Nebbiolo da Barolo. Acquistando questa importante cantina e aggiungendovi i terreni di famiglia, i Dogliani divennero proprietari di un’azienda vinicola che attualmente conta nove cascine e una superficie vitata di centosette ettari, di cui circa sessantuno coltivati a Nebbiolo da Barolo”. Il Barbaresco Sette Cascine è in vendita in Esselunga a un prezzo di sell-out tra i più bassi per questa tipologia di vino nell’intero panorama della Gdo italiana che ‘conta’. Ma quello che sorprende sono i soli 3-4 euro di “scarto” tra il Barbaresco e il Barolo della stessa casa vinicola. Un aspetto che, forse, i produttori vorranno approfondire prossimamente sulle pagine di vinialsupermercato.it.

Prezzo pieno: 12,70
Acquistato presso: Esselunga

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news ed eventi

Caramelle al Prosecco: la bufala del sequestro di Scotland Yard

Non si arresta la vendita delle Prosecco Gummies, nonostante le rassicurazioni del Consorzio Prosecco Doc. Le caramelle a forma di orsetto al gusto Prosecco sono tuttora in vendita nel Regno Unito, in una catena di grandi magazzini con base a Londra. Ma c’è di più. La casa produttrice, il negozio di dolciumi londinese SugarSin, letteralmente “Peccato di zucchero”, assicura che “entro primavera sarà in grado di spedirle in tutta Europa”. Per far luce sull’ennesimo scandalo che riguarda le bollicine venete è bastata un’email, inviata da vinialsupermercato.it a SugarSin, fingendoci un ingenuo cliente interessato all’acquisto delle Prosecco Gummies (vedi foto sotto). “Buongiorno – scriviamo – vorremmo sapere quanto Prosecco c’è nelle vostre caramelle? E’ il vero Prosecco italiano o è inglese? Perché le caramelle non sono alcoliche, se contengono Prosecco? Grazie molte”. Sugar Sin abbocca all’amo. E ci risponde così, pochi minuti fa: “Ciao Davide, grazie per l’email. Le caramelle sono fatte con vero Prosecco italiano, però l’alcol evapora durante la fase di produzione. Produciamo queste caramelle in Germania. Cordiali saluti, Josefin”. Le caramelle in questione risultano tuttavia attualmente out of stock, ovvero terminate, sul sito Internet SugarSin. Un effetto del sequestro effettuato da parte di Scotland Yard? Forse. Le forze dell’ordine inglesi si sarebbero mosse, secondo quanto riferisce l’ufficio stampa del Consorzio Prosecco Doc, già sul finire dello scorso anno, “in seguito alla segnalazione dei tre consorzi del Prosecco, in concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico italiano, Interpol, Europol e Agenzia Internazionale delle Dogane”. Eppure, la risposta di SugarSin è di tutt’altro tenore. “We are aiming to have new stock – assicura sempre la diligente Josefin – in within the next two weeks”. Ovvero: “La merce sarà nuovamente a disposizione entro le prossime due settimane”. “At the moment we only ship within the Uk but are hoping to include the rest of Europe later this spring. Would you like me to email you once this is in place?”. Tradotto: “Al momento le spediamo solo nel Regno Unito, ma speriamo di includere il resto dell’Europa entro la prossima primavera”. Che dire? Il mercato del Made in Italy tarocco, funziona. Eccome. A suon di 6,50 sterline a pacchetto. Spedizione esclusa.
 
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Approfondimenti

Torino, delude “In vino veritas”: più food che wine. Bollicine calde, Brunello esaurito

C’eravamo anche noi alla manifestazione “In vino veritas”, andata in scena a Torino lo scorso weekend. Arriviamo a metà pomeriggio, l’ambiente è molto grande e c’è poca gente.

La prima cosa che notiamo è che effettivamente, come lamentano in molti commentando sul web le edizioni precedenti, il vino ha poco spazio, a dispetto della parte food truck che occupa quasi la totalità dell’area.

Alla cassa è possibile acquistare una “promo” di 6 ticket, che comprende calice e borsina per soli 10 euro, oppure singoli ticket a due euro con il vino servito in bicchieri di plastica.

Notiamo curiosamente molti avventori muniti di bicchiere in plastica, con le narici affondate all’interno, alla ricerca di chissà quale profumo: divertente risvolto, che forse la dice già lunga sul target della manifestazione torinese.

Più in là un bel tabellone in stile “Sagra di paese”, con l’elenco dei vini e il loro codice: sembrano 95, ma in realtà alcuni numeri non esistono. Probabilmente il foglio è un filtro maldestro dell’elenco totale dei vini gestiti dagli organizzatori, che variano a seconda della città ospitante.

I CONTI CHE NON TORNANO

Morale: i vini serviti sono 64, la metà di quelli indicati e pubblicizzati, non ultimo sulla pagina Facebook dell’evento. Le cantine sono solo 33 e non 45, le regioni rappresentate 13, più la Francia. Tra le regioni la padrona, giustamente, è il Piemonte con 19 etichette, seguita da Lombardia e Trentino con 8 etichette, 5 per la Toscana, 4 per il Veneto, 3 per Friuli, Marche, Campania e Sicilia, 2 etichette della Sardegna, Francia e Valle d’Aosta.

Un solo rappresentante per Emilia Romagna e Puglia. Chiediamo un po’ in giro alle persone cosa stanno bevendo. Una coppia ha scelto il Cannonau Sella & Mosca: sono piemontesi e le cantine presenti non sono le migliori per loro, per questo – dicono – si sono “buttati sul sicuro”. E come dargli torto? Incrociamo qualche Syrah.

Tanti Dolcetto e Nebbiolo. I rossi piemontesi vanno per la maggiore tra i nostri intervistati. Ci muniamo di ticket e andiamo a saggiare le doti dei sommelier. I vini in fila come soldatini, con il loro numerino sembrano un misto tra premi della pesca di beneficienza e bersagli da gioco delle giostre. Ma siamo qui per degustare.

Quattro ticket per provare una bollicina: scegliamo un metodo classico Pinot Nero Monsupello. Tragedia. Il vino è aperto da chissà quanto, caldo. E per il perlage bisogna rivolgersi a “Chi l’ha visto”. Insomma, tanto per cambiare l’Oltrepò Pavese massacrato, senza colpa (stavolta). Chiediamo al giovane dietro al bancone cosa va per la maggiore, tra le bollicine.

Ci risponde che Prosecco di Valdobbiadene e Chardonnay del Piemonte vanno alla grande, costano entrambi due ticket. A Milano, ci dice, “il Franciacorta era molto richiesto, qui non lo vuole nessuno, anche i rosè non vanno, ma nemmeno a Milano”. Aggiungiamo noi, a posteriori, che probabilmente non vuole nessuno nemmeno il Pinot dell’Oltrepò a giudicare dal suo stato decrepito. Ci buttiamo sui rossi.

DEGUSTAZIONI SHOCK

Quattro ticket per un Amarone “novello” del 2012 appena presentato: davvero uno spreco. Altri 4 ticket per un Taurasi che avrebbe avuto qualcosa da dire, servito meglio. Tre ticket per un rosso di Montepulciano senza infamia e senza lode.

Non ci siamo, nessun vino è servito a temperatura, nessun aroma, sensazioni tattili completamente stravolte. Chiediamo anche qui che aria tiri tra i rossi. Il Brunello è finito, era tra i più richiesti dopo i piemontesi. Mediamente vanno a ruba i vini serviti in cambio di due ticket. Effettivamente, usufruendo della “promo” era possibile bere tre calici con sei ticket e le proposte “economiche” sono la metà.

Continuiamo con le interviste, qualche anziano sta degustando un Sangue di Giuda, qualcuno una Malvasia. Ci dicono che nel pomeriggio preferiscono questo tipo di prodotto. Due ragazzi hanno provato il Pinot Nero, ma ne sono rimasti “un po’ delusi”.

Aggiungono che “nei paraggi ci sono eventi migliori dedicati al vino, ci invitano anzi provare una birra artigianale che merita”. Decidiamo di accettare l’invito, anche perché, forse, una birra ghiacciata è quello che ci vuole con lo street food che la fa da padrone, nel piatto. Si è fatto tardi, ci sediamo con la nostra birra e il nostro hamburger di cinta senese. Di fianco a noi una coppia non giovanissima, con due birre medie. “Niente vino?”, chiediamo loro. “No no”. Sono sommelier Ais.

“Nessun vino merita – ci dicono – siamo qui giusto per passare qualche ora diversa”. “Si salvano giusto due o tre vini – aggiungono – che non prendiamo perché li conosciamo già”. Non servono altre conferme. Effettivamente il vino sembra più uno specchietto per le allodole, ben presente nel nome stesso della manifestazione. Nessun produttore presente, poche informazioni. La festa è gradevole, i prezzi un po’ cari, ma in linea con eventi del genere. Diciamocelo, insomma: le degustazioni del vino sono tutt’altro.

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Vini al supermercato

Divagazioni (semiserie) sul Morellino di Scansano Docg 2014 La Torre Frescobaldi

(2 / 5) L’Italia del vino al supermercato è di fronte a un paradosso. Una delle sue regioni simbolo, la Toscana, finisce sempre più spesso per deludere quei clienti alla ricerca di un prodotto non standardizzato, fuori dalle righe. Ma a un prezzo giusto, accessibile a tutti. Dal pensionato all’impiegato, per intenderci. Un prezzo che, comunemente, potremmo stabilire attorno alla cifra di 6-7 euro. E’ la riflessione che sorge spontanea dopo l’ennesima degustazione “flop” di un vino rosso che di Toscano ha tutto, a partire dalla Denominazione di Origine controllata
e Garantita, ma che tuttavia non riesce a lasciare il segno sperato. Parliamo del Morellino di Scansano La Torre della nota casa vitivinicola Marchesi de’ Frescobaldi. Un vino che in etichetta viene presentato come “potente” e “intenso”, che di potente e intenso ha tuttavia davvero ben poco. Nel calice si presenta d’un rubino acceso, dal quale provengono scarichi sentori “vinosi” tendenti all’etereo, cui fanno eco piccoli frutti rossi. Al palato, il Morellino di Scansano La Torre Frescobaldi è asciutto, moderatamente fruttato (di nuovo piccoli frutti a bacca rossa), dotato di un finale sufficientemente persistente e tendente all’amarognolo. Buono l’abbinamento con carni rosse e formaggi stagionati.

LA NOSTRA PROPOSTA
In definitiva, un vino che non lascia l’impronta auspicata per la fascia prezzo in cui è inserita. A parziale ‘discolpa’ dei produttori, un’annata, la 2014, che non è stata certo felice per la vendemmia. Ma non basta. E allora noi di vinialsupermercato.it lanciamo una provocazione: perché non introdurre in etichettatura obbligatoria un indice di valutazione relativo alle condizioni meteorologiche che hanno preceduto la vendemmia? In questo modo, il consumatore “medio” avrebbero un parametro in più per giudicare il vino che sta acquistando. E le case produttrici un po’ meno coraggio di immettere sul mercato prodotti sulla cui qualità non si discute, ma che non possono essere venduti allo stesso prezzo di vendemmie fortunate solo per il “nome”. Se è il “Dio Denaro” che deve vincere, insomma, almeno si avverta prima, e chiaramente, il consumatore.

Prezzo pieno: 7,99 euro
Acquistato presso: Il Gigante

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