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Vini al supermercato

Vallée d’Aoste Doc Torrette 2014, Cave des Onze Communes

E’ il vino rosso valdostano prodotto in maggiori quantità il Vallee D’Aoste Doc Torrette, eppure in molte parti di Italia è introvabile e sconosciuto. Noi di vinialsupermercato non abbiamo creduto ai nostri occhi quando ne abbiamo visto una fila sullo scaffale del reparto. A dispetto del nome del vitigno con il quale viene vinificato, Petit rouge, che ha un nomignolo delicato, il vino Torrette Doc 2014 prodotto da Cave des Onze Communes di Aymavilles in Val D’Aosta si presenta con un carattere imponente, tutt’altro che petit. Mai consiglio fu più apprezzato in etichetta di aprirlo almeno un’ora prima di servirlo, perché i sentori inzialmente sono soprattutto alcolici e vinosi. E’ giovane, rosso porpora che sporca il bicchiere. Dopo un po’ si apre, ma non troppo, lasciando spazio anche alla frutta rossa e a note erbacee di fieno, ma l’alcol è preponderante. La caratteristica principale del Torrette Doc è certamente il suo retrogusto amarognolo. Ha una bella acidità, sembra vivace ed è al limite del brusco: fa quasi strizzare gli occhi mentre si beve. Non è un vino leggero,  13% di alcol in volume, secco, nel complesso armonico nonostante un tannino verde che non può maturare. Per apprezzarlo l’abbinamento è fondamentale: un vino che sembra proprio l’espressione del territorio dal quale proviene, aspro come le vette valdostane, sicuramente un gusto particolare che non può piacere a tutti. Si abbina a salumi tipici, carni bianche e rosse, formaggi locali di media stagionatura come toma e fontina e alla cottura in civet, come indicato in etichetta, che abbiamo scoperto è una cottura stufata tipica della Valle D’Aosta e del Piemonte.

LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve Petit rouge 75%, Vien de Nus, Cornalin, Premetta 25%. Sono tutti vitigni tradizionali valdostani. Il Torrette Doc fermenta e riposa per circa 6 mesi in acciaio, viene imbottigliato nella tarda primavera successiva alla vendemmia. Nelle fasi di preimbottigliamento vengono effettuati dei piccoli tagli (5/10%) con partite dello stesso Torrette affìnate in legno per esaltarne i sentori. La Cave des Onze Communes, è una cantina che raccoglie e trasforma uve provenienti da vigneti di undici comuni del centro Valle d’Aosta, situati sulla destra e sulla sinistra orografica della Dora Baltea: Quart, Saint-Christophe, Aosta, Sarre, Saint-Pierre, Villeneuve, Introd, Aymavilles, Jovençan, Gressan, Charvensod, compresi tra i 550 ed 900 metri sul livello del mare. Nata nel 1990 oggi vanta ben 220 soci, una viticultura eroica condotta da artigiani della terra che lavorano manualmente e con passione una sessantina di ettari disposti su pendii difficili da meccanizzare.Prezzo pieno: 7,90 euro
Acquistato presso: U2
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news ed eventi

Svolta estera per la Strada del Vino Soave: il turismo agricolo è la nuova frontiera

L’Italia offre da nord a sud tanti itinerari artistici, storici ed enogastronomici che attirano da sempre numerosi visitatori. Il territorio di Soave, nella provincia di Verona, con le sue colline e la sua posizione strategica, facilmente raggiungibile grazie ai collegamenti autostradali e su rotaia è una destinazione sempre più ambita da turisti
italiani, ma soprattutto da tedeschi e nord europei. Ed è proprio nell’ottica di portare sul territorio più stranieri che Paolo Menapace, presidente dell’Associazione Strada del vino Soave, ha incaricato l’agenzia veneziana Acquaforte Travel di realizzare pacchetti turistici ad hoc nelle terre del Soave. La zona è conosciuta all’estero soprattutto per il vino, ma vanta anche produzioni agricole eccellenti e di nicchia che possono essere un importante strumento di promozione. ”Desideriamo rendere sempre più variegata e qualificata la nostra offerta turistica, aumentare la visibilità delle nostre aziende agricole nei mercati esteri, promuovere i nostri prodotti a denominazione, scambiare conoscenze e informazioni tra professionisti del settore” ha affermato Paolo MenapaceAcquaforte Travel è un’azienda giovane, ma con una pluriennale esperienza nel settore dell’incoming in Italia. ”Chi viene in Italia vuole conoscere la storia, l’arte e la cultura, ma anche entrare in contatto con il territorio e le tradizioni gastronomiche del nostro Paese” hanno dichiarato gli operatori dell’agenzia che sono già all’opera per realizzare proposte di soggiorno  sulla Strada del vino Soave per la visita alle aziende agricole del territorio.
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visite in cantina

I Vini delle Sabbie di Corte Madonnina: viaggio al delta del Po, nel cuore della Doc Bosco Eliceo

Forse non tutti sanno che nella zona di Ferrara si producono i Vini delle Sabbie. Che cosa sono? Che caratteristiche hanno? Per scoprirlo siamo andati a visitare Corte Madonnina, un produttore locale che ci ha accolto con stupore ed entusiasmo, perché il loro prodotto è davvero sconosciuto e la battaglia è farlo conoscere. Corte Madonnina si trova sulla statale che dai Lidi Ferraresi porta verso l’Abbazia di Pomposa, verso il bosco della Mesola e Goro, proprio all’interno del Parco Regionale del delta del Po. Luogo affascinante, che attira numerosi turisti in visita al punto d’incontro tra il grande fiume e il mare Adriatico. La Doc del Bosco Eliceo è nata nel 1989 e si sviluppa proprio su una striscia costiera di circa venti chilometri tra le bocche del Po di Goro e la foce del Reno, nel Ravennate. All’interno di questa Doc vengono prodotti quattro vini: due rossi, il Fortana e il Merlot e due vini bianchi, Sauvignon e Bianco del Bosco. Il nome Bosco Eliceo, racconta Vittorio Scalambra, socio dell’azienda vitivinicola Corte Madonnina, deriva dal vecchio bosco di lecci che esisteva prima di essere tagliato per volontà papale, quando lo Stato Pontificio subentrò agli Estensi. Il vitigno principe di questa Doc è il Fortana, o Uva d’oro, sulla quale ci sono diverse leggende anche di regale origine. Delle leggende ognuno sceglie quella che preferisce. Ma Vittorio Scalambra va ben oltre. Si è documentato e ha scoperto che in realtà non esistono fonti storiche che lo ricolleghino agli Estensi. Per le origini del Fortana bisogna andare ancora più indietro sulla linea del tempo. E approdare tra gli Etruschi e tra i Greci, ben prima della corte degli Estensi. La cosa importante che vuole sottolineare Vittorio Scalambra è che il Fortana è uno dei vitigni autoctoni più antichi e soprattutto a piede franco.

ALLE ORIGINI DEL MITO
Il nome “Vini delle Sabbie” invece è dettato dal terroir. I terreni su cui qui si coltiva qui la vite da secoli sono prettamente sabbiosi. La composizione del terreno va dal 50% sabbioso nelle località più interne fino ad oltre il 90%  più a ridosso del mare, dove troviamo i vigneti di Corte Madonnina. ”Ma dove sono le vigne?” chiediamo all’imprenditore. ”Sarebbe bello averle qui vicino alla cantina – scherza Vittorio – ma dovete sapere che qui non è come altre zone d’Italia! Siamo praticamente sotto il livello del mare, mica in collina, anzi praticamente questa è una collina rovesciata”. ”Se coltivassimo le viti a questo livello otterremmo uve annacquate. Le vigne sono a pochi km, allevate con il metodo Geneva Double Courtain (Gdc), su cordoni di dune che altro non sono che innalzamenti di terreno di un paio di metri: le radici delle viti scavano per meno di 80 centimetri, ma anche se il terreno è umido vanno bagnate lo stesso, se no qui muore tutto”. Quali sono i vantaggi della coltivazione sulla sabbia? Lo chiediamo a Vittorio Scalambra. ”La sabbia – spiega il viticoltore – ha permesso a questo vitigno di resistere alla piaga della filossera, che in questo tipo di terroir non sopravvive. Se l’insetto depositasse le uova, queste verrebbero trascinate giù nei tunnellini che si formano nella sabbia. Dal punto di vista del vino invece, il suolo conferisce una sapidità ed un carattere unico”. L’azienda Corte Madonnina nasce negli anni Sessanta per volontà del padre di Vittorio, Natale Scalambra, al quale sono succeduti i figli. Vittorio si è sempre dedicato alla vigna, ha avuto qualche anno di “pausa milanese” dopo la quale è tornato, nel 2013, per affiancare la sorella nella gestione aziendale. Si occupa ancora della vigna, della parte commerciale e del web. In cantina è supportato da un bravo enologo, del negozio si occupa sua sorella. Se dovessimo definire con una parola Vittorio Scalambra ne dovremmo usare tre: “Pim, pum, pam”. È un modo di dire che usa frequentemente, intercalare che delinea il suo essere una persona pratica, pragmatica e vivace. È un grande oratore, ma non vuole farsi fotografare. Per quanto riguarda il suo business racconta: ”Lavoro prettamente con il turismo, con le persone che passano da qui per andare a visitare l’abbazia o il delta del Po e si fermano quando vedono le botti”.  Gli chiediamo se possiamo trovare i suoi vini anche nel canale horeca e grande distribuzione.

CORTE MADONNINA
”Corte Madonnina produce al momento circa 50 mila bottiglie – evidenzia Vittorio Scalambra – solo 5000 vanno in grande distribuzione, ma con un’altra etichetta perché non voglio legarla troppo all’azienda, anzi spero di uscire presto da questo canale”.  Per quanto riguarda l’horeca, invece, il vignaiolo è ancora più deciso: ”Non tocchiamo questo tasto! Premesso che una piccola realtà come la mia, con un prodotto in vendita in cantina a 5 euro non può permettersi un rappresentante a cui versare provvigioni, sono io ad andare in giro, ma ogni volta mi arrabbio quindi lo faccio sempre meno”. Il motivo della rabbia di Vittorio è chiaro: i ristoratori locali “non vogliono prendersi la briga di veicolare i prodotti territoriali – spiega – e preferiscono prodotti più facili da comunicare, prodotti che parlano da soli”. In effetti, sulla carta dei vini dei ristoranti il Bosco Eliceo non si trova. A noi di vinialsupermercato.it hanno provato a spacciare il Pignoletto di Righi, Lambruschi vari, Sangiovese e addirittura il Malbec. La Doc del Bosco Eliceo si è fatta una brutta reputazione in passato a causa della scarsità qualitativa. “Ma ora la qualità è nettamente migliorata”, assicura l’imprenditore, che poi ci spiega la sua visione delle catena commerciale che passa dal ristorante. “I ristoratori – sostiene Scalambra – non hanno voglia di sperimentare ed impegnarsi. I camerieri, peraltro, nella maggior parte dei casi non hanno la formazione adeguata per veicolare prodotti di non semplice lettura.  Stessa storia in gdo, dove non sono capaci di comunicare il prodotto. Chissà dove me lo mettono e come lo percepisce il cliente!”. ”C’è una grande ignoranza nel mondo del vino – aggiunge il viticoltore – anche se ultimamente le cose vanno meglio, perché in fondo alla catena ci sono i consumatori consapevoli, gli enoturisti”. E’ questo il cliente “Doc” secondo il titolare di Corte Madonnina. Quello che vuole raggiungere per risalire il fiume al contrario: il consumatore che educa il ristoratore e detta le regole del mercato.

VINI SNOB(BATI)?
Eppure, prosegue, ”basterebbe così poco, ovvero chiedere al turista che ordina il vino se lo vuole territoriale o meno e sono certo che il turista sceglierebbe il territorio”. “Questo andrebbe a vantaggio del ristoratore stesso, che potrebbe incrementare le vendite, lavorando sulla quantità visto che i nostri prodotti hanno prezzi contenuti, sono leggeri non sono vini strutturati, si può bere qualche bicchiere in più senza problemi”. E’ una lotta, quella con la ristorazione, che Vittorio Scalambra è stannco di combattere, lasciando spazio ai suoi colleghi. Per fortuna con il turismo lavora bene, i clienti ritornano. Ma se ci fosse più collaborazione anche da parte degli altri operatori del territorio tutto il comparto ne trarrebbe beneficio, perché i turisti stanno al vino come il vino sta al turista. Sono direttamente proporzionali. Ma come mai così pochi i produttori? si contano su una mano. Ce lo spiega Vittorio Scalambra. ”Lavorare la vite ed il vino si fa fatica – spiega – e qui hanno estirpato tutte le vigne per dare spazio all’agricoltura, paradossalmente si guadagna più con le patate che con il vino e questa è una zona molto fertile, si possono fare più raccolti all’anno”. In questo contesto ci racconta quali sono i suoi progetti come imprenditore e come uomo. ”Da una parte mi piacerebbe piantare nuove vigne – ammette – quelle attuali hanno circa 20 anni, ma ci vorrebbero troppi anni per vederne i frutti, almeno una decina, ed io sono già vecchio. Per ora voglio puntare molto sui Vini delle Sabbie, che in termini di marketing hanno un nome più facile da ricordare rispetto al Bosco Eliceo. Ho rifatto il sito, a breve sarà presente anche l’e-commerce e spero di attirare sempre più turisti grazie ad Internet, abbiamo una posizione strategica e voglio spingere su questo”‘.

Vittorio Scalambra è alla vigilia dell’esame finale per diventare sommelier Ais. ”Ho scelto di studiare da sommelier proprio perché volevo capire, da sommelier e da consumatore cosa si poteva sentire nel mio vino e soprattutto se è buono”. I vini si dividono “solo in due categorie”, secondo Vittorio. Quelli fatti bene e quelli no. Poi arriva il gusto personale, che varia da persona a persona. ”Il mio obiettivo per il momento è continuare a fare vini qualitativi – spiega – l’annata 2015 è stata eccezionale e per noi rappresenta un punto di svolta, la vendemmia è tutta meccanica, ma sto cercando di fare una parte di raccolta manuale per migliorare alcune produzioni. Voglio dare soprattutto piacevolezza della bevuta con un prodotto di qualità. E’ un percorso partito tre anni fa, sto ancora imparando, ci vuole il suo tempo. Quando il mio vino avrà raggiunto standard qualitativi di eccellenza – continua il vulcanico vignaiolo – partirò con altri progetti, non escludo di associarmi al Movimento Turismo del Vino”. Gli chiediamo se vede anche un futuro bio per Corte Madonnina, visto che è un segmento in crescita e lui è molto attento ai trends.”. È un tema che mi interessa – ammette Vittorio Scalambra – la nostra coltivazione è quasi bio anche nel nostro interesse, perché i trattamenti costano, ma è un discorso, quello della certificazione, che voglio approfondire nel medio termine. Non tutti possono fare bio, c’è il risvolto della medaglia. Se è vero che in questa zona scampiamo la filossera è altrettanto vero che siamo a rischio di altri tipi di attacco e non voglio con il bio bloccarmi e non poter trattare la vigna in caso di parassiti come la Peronospora. Devo studiare bene la questione ed il disciplinare”. Il biodinamico lo fa sorridere invece, è un po’ scettico su teorie del cosmo e qui viene fuori tutto il suo pragmatismo.

I PRODOTTI DI CORTE MADONNINA
Ma andiamo finalmente a conoscere i suoi prodotti. La degustazione inizia dal Fortana rosso frizzante. ”Avete mangiato la salamina da sugo con il purè?”, ci chiede Vittorio. Spiega, da quasi sommelier, che si tratta di una specialità locale, è un piatto grasso e strutturato. Qualche giorno fa glielo hanno servito con un barolo. La teoria vuole piatto strutturato con vino strutturato, ma Vittorio lo avrebbe servito col suo Fortana, avrebbe fatto un abbinamento di valorizzazione che premia o il vino o il piatto. Ha studiato e vuole condividere la lezione. Col suo abbinamento avrebbe valorizzato il piatto tipico ferrarese, pietanza grassa, che il Fortana frizzante avrebbe “sgrassato”. ”Ho fatto bene il mio lavoro?” ci chiede mentre degustiamo. È una persona di spirito, da buon romagnolo, con lui si può scherzare e allora lo canzoniamo: non ha usato il cavatappi di ordinanza, ma il cavabuscion domestico! Confessa che lo preferisce e che lo porterebbe volentieri dietro come sommelier.  Il suo vino Fortana frizzante è leggero, solo 11,5% di alcol. Gradevole, dal sorso invitante, fresco e con una tannicità accennata. ”Quando uno beve il mio vino sorridendo e con piacere come state facendo voi, il mio lavoro è fatto, sono contento così”, conclude Vittorio. Il mondo del vino in Italia è variegato: non ci sono solo le grandi regioni, le grandi Docg con le loro politiche. Ci sono anche tanti piccoli produttori e realtà territoriali che vanno valorizzate. Ogni vino ha il suo perché, ha il suo contesto e merita una dignità. Quella per il quale ‘personaggi’ come Vittorio Scalambra sgomitano ogni giorno. A buona ragione.

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Vignaioli naturali, superato il regolamento Europeo 203/2012: ecco il protocollo dei vini “liberi e bio”

Il mercato dei vini naturali, biologici e biodinamici è in crescita e l’Italia è sempre più protagonista di questo trend. I vigneti biologici sono in aumento, gli ultimi dati parlano di circa l’11% della superficie vitata coltivata secondo queste metodologie con picchi fino al 25% in Sicilia. L’interesse dei consumatori è altrettanto alto in materia: la riprova sono i numerosi eventi a tema vini naturali da nord a sud che attirano sempre più visitatori. ”Tutte queste iniziative dimostrano che è stato finalmente accertato il valore del vino naturale, che non è solo una moda: è maturata in produttori e consumatori una nuova consapevolezza”, spiega Tiziana Gallo che distribuisce vini naturali e organizza ogni anno le rassegne Vignaioli naturali a Roma e Vignaioli delle Langhe. Ma cosa prevede la disciplina dei vini bio? Al momento esiste un regolamento Europeo, il 203/2012. Per poter essere riconosciuti e certificati come Bio i produttori devono seguire un disciplinare in vigna ed in cantina che prevede sostanzialmente una serie di restrizioni in termini di pratiche enologiche e coadiuvanti. Le uve devono essere coltivate senza concimi, diserbanti, anticrittogamici, insetticidi e pesticidi in genere e soprattutto senza impiego di ogm, in cantina la vinificazione deve essere eseguita con l’utilizzo di prodotti e modalità autorizzate e con limitazione dei contenuti di solfiti.

Ispirandosi alla francese organizzazione Association des vin naturel, qualche giorno fa circa 40 produttori provenienti da differenti regioni hanno sottoscritto una lettera di intenti, un protocollo anche per difendersi dai produttori Bio a livello industriale che rischiano, in nome del business di accettare qualsiasi compromesso che si discosterebbe dalla loro visione e dalla loro etica. Secondo i vignaioli naturali, oggi sempre più associati e consociati, il vino è una risorsa alimentare corroborante e salutare come è stata conosciuta nei secoli e non prodotto costruito ad hoc, alterato e corretto sistematicamente in virtù delle regole di mercato. L’agricoltura deve essere biologica o biodinamica e anche autocertificata: sono disponibili a qualsiasi tipo di analisi che accerti i contenuti di fitofarmaci e solforosa. Le fermentazioni devono essere spontanee senza aggiunte di lieviti e batteri, senza aggiunta di coadiuvanti in nessuna fase di vinificazione, maturazione e affinamento e senza ulteriori trattamenti invasivi come osmosi inverse, pastorizzazioni, criovinificazioni. Questo in sintesi il contenuto del protocollo. Il Bio libero: è stato Oscar Farinetti a coniare questa espressione. Il prodotto deve essere autodisciplinato dai produttori stessi, liberi dalle normative europee e soprattutto dei costi per sostenere gli enti certificatori.

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Vini al supermercato

Cerasuolo di Vittoria Docg 2014, Judeka

(4 / 5) Eccoci a recensire il secondo prodotto dell’Azienda vitivinicola Judeka, inserito di recente sugli scaffali della grande distribuzione organizzata. Dopo il Frappato Vittoria Doc, la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it si concentra sul Cerasuolo di Vittoria Docg 2014 Judeka. Un vino più austero del precedente, in grado di aggiudicarsi la medaglia d’argento al Decanter World Wine Awards 2014. Di fatto, le differenze sono tutte nell’utilizzo di differenti uvaggi: se il Frappato Vittoria Doc è ottenuto mediante vinificazione delle sole uve Frappato in purezza, il Cerasuolo di Vittoria, unica Docg siciliana, viene prodotto grazie al blend tra Nero D’Avola (60%) e lo stesso Frappato (40%). Nasce così un vino leggermente più alcolico, 13,5 gradi contro i 13% del Frappato, capace anche in questo caso – vera particolarità – di essere abbinato divinamente a piatti di pesce come il tonno al naturale, appena scottato, o all’aceto balsamico, oltre che a piatti della tradizione sicula e alla carne in generale. Nel calice, il Cerasuolo di Vittoria Docg Judeka si presenta di un rosso brillante. Al naso frutti a bacca rossa come lampone, amarena e melograno, su uno sfondo più austero e “legnoso” tipico del Nero D’Avola, con speziatura al pepe nero. Al palato è molto sapido, caldo, con i frutti rossi lunghi e carnosi che sembrano allungarsi direttamente dall’olfatto alle papille gustative. La freschezza della beva, assieme a un’alcolicità invitante, suggeriscono i sorsi verso un finale che richiama nuovamente amarena e lampone.

LA VINIFICAZIONE
La zona di produzione del Cerasuolo di Vittoria Docg Judeka è quella di Caltagirone, in provincia di Catania, dove ha sede la stessa cantina siciliana. L’impianto dei vitigni Frappato e Nero D’Avola è a controspalliera a cordone speronato, con una densità di 4.186 piante. La vinificazione avviene in maniera tradizionale, in rosso, con contatto con le bucce per 12-14 giorni a una temperatura controllata di 22-24 gradi, in vasche d’acciaio inox. Il vino, prima della commercializzazione, affina ulteriori 4 mesi in bottiglia. Il Cerasuolo di Vittoria Docg Judeka, vendemmia 2014, è un vino pronto, con ulteriore possibilità di migliorare dal punto di vista organolettico nei successivi 4 anni.

Prezzo pieno: 9,99 euro
Acquistato presso: Il Gigante

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visite in cantina

Barrique e bollicine. Viaggio all’Azienda vitivinicola Montesissa, fra tradizione e futuro

Il Gutturnio Riserva, vino fermo, di struttura, affinato in legno, è un prodotto difficile da reperire sugli scaffali della grande distribuzione organizzata. Siamo andati a trovare una famiglia di viticultori piacentini che produce vini dagli anni Venti, tra cui proprio un Gutturnio Riserva finito sotto la nostra lente di ingrandimento, nelle scorse settimane. Ci troviamo a Rezzano di Carpaneto Piacentino, in località Buffalora, nel pieno della Val Chero, sul territorio collinare che si apre a pochi chilometri dall’Autostrada A1, non lontano dal borgo medioevale di Castell’Arquato e da Velleja Romana.
Ad accoglierci c’è Ilaria Montesissa, 37enne cotitolare dell’azienda di famiglia, sorta su quello che all’inizio dello scorso secolo era un bosco. “Pian piano – spiega – la famiglia ha iniziato a impiantare vigneti e a vendere uva al mercato. Poi siamo passati alla vinificazione, con vendita di vino sfuso alle osterie di Piacenza.
In seguito, con l’avvento di mio nonno Francesco, di mia nonna Alma Franchini e dei loro figli Roberto e Gianluigi, mio padre e mio zio, l’azienda vitivinicola Montesissa ha iniziato ad abbandonare le damigiane e a dedicarsi all’imbottigliamento”. Una vera e propria rivoluzione quella apportata in cantina, ma che parte in realtà dalla vigna. Siamo a 200 metri sul livello del mare, in una zona collinare dal terreno limoso argilloso.
Ottima l’esposizione dei vigneti, su tutti e quattro i punti cardinali. Trenta ettari totali, di cui oltre venti vitati. La Montesissa coltiva le varietà principali del Piacentino. Dunque Malvasia, Ortrugo, Barbera e Bonarda, oltre agli internazionali Chardonnay, Merlot e Syrah.
La casa-cantina della vinicola Montesissa, con una superficie di 500 metri quadrati, si affaccia su un terrapieno vitato, alla base del quale scorre il torrente Chero. Il vento sferza la valle e regala a questa porzione di territorio del Comune di Carpaneto Piacentino l’inequivocabile nome: Buffalora.
“Tutte le uve vengono conferite qui durante la vendemmia – spiega Ilaria Montesissa – vinificate, imbottigliate e vendute. In base alle annate, produciamo tra le 180 e le 200 mila bottiglie. Solo una piccola parte, circa il 2%, finisce nella grande distribuzione organizzata. In particolare abbiamo raggiunto un accordo con la catena Il Gigante”.
IL RAPPORTO CON LA GDO
Ed è proprio sugli scaffali del gruppo milanese di Bresso che abbiamo pescato l’ottimo Gutturnio Riserva Costa Pancini, vendemmia 2010, prodotto dall’azienda vitivinicola Montesissa. Un rapporto piuttosto turbolento, tuttavia, quello con la catena di supermercati presieduta da Giancarlo Panizza.
“Per via di alcune incomprensioni – spiega Luca Montesissa, 34 anni, cugino di Ilaria e cotitolare dell’azienda – molto probabilmente si terminerà entro breve la nostra avventura in gdo, per lo meno con la catena attuale”. Problemi che riguarderebbero l’etichettatura delle bottiglie da un lato, “poco gradita al buyer, nonostante l’invio di numerose altre etichette differenti, con layout più moderni”.
Mentre dall’altro le “difficoltà nella gestione degli ordini e delle consegne”, che finiscono per appesantire il lavoro di quella che – tutto sommato – è una piccola azienda a conduzione famigliare, in cui il 60 % del fatturato è rappresentato dalle vendite nel canale Horeca (dunque enoteche e ristorazione) e il restante riguarda la vendita a privati e al dettaglio, soprattutto in provincia di Piacenza.
“Non avevamo mai lavorato prima con la Gdo – aggiunge Ilaria Montesissa – soprattutto perché abbiamo prezzi medi un po’ più alti degli altri produttori della zona, con un produzione più piccola e tesa verso la qualità. I supermercati chiedono prezzi più bassi. Abbiamo deciso comunque di provare, incanalando in gdo la vendita di alcuni nostri prodotti: Bonarda, Barbera, Gutturnio ‘base’ e Riserva, oltre all’Oltrugo.
In generale, non possiamo certo definire negativa questa esperienza, anche se ci spiace un po’ vedere il prodotto deprezzato, quando è posto in promozione!”. Nella zona, del resto, sono molti i produttori che hanno deciso di investire nella grande distribuzione.
“Il supermercato – commenta Ilaria Montesissa – non è più visto come luogo dove poter reperire solo vini di bassa qualità, con prezzi bassi. C’è molta scelta, dunque il cliente può trovare anche vini da 30 euro, di qualità buona. Vendere vino al supermercato, insomma, non è più penalizzante a livello d’immagine per le aziende vinicole”. Come si fa, allora, a contrastare chi accetta di vedere il proprio Bonarda o il proprio Ortrugo a 1,99 euro nei supermercati?
“Noi abbiamo sempre creduto nella qualità più che nella quantità – risponde piccata Ilaria Montesissa – e nonostante avessimo sin dagli anni passati prezzi più alti rispetto agli altri, i clienti ci hanno sempre dato costantemente la soddisfazione più grande: costa di più ma torno da voi, ci dicono in molti, perché il vostro vino è più buono, il mattino seguente non ho il mal di testa, non mi viene il mal di stomaco e posso berne un bicchiere in più senza star male! Negli anni la qualità non è cambiata, anzi è in costante miglioramento. E alla fine sono le persone che ti fanno capire che se lavori bene ne vale la pena, anche in periodi di crisi come questo”.
Un mercato in crescita, anche per la Montesissa, è quello dell’estero. “Abbiamo un commerciale in Cina – spiega Ilaria – e stiamo cominciando a stringere rapporti commerciali con il Paraguay, mercato che si sta aprendo e in cui riponiamo speranze.
In Cina abbiamo un collaboratore italiano che ha inserito i nostri vini in una sorta di catena di enoteche, il cui titolare era alla ricerca di prodotti italiani dal medio-basso livello fino all’alto livello. Dunque ha fatto un groupage in varie zone d’Italia, tra cui Piacenza, decidendo di inserire i nostri vini. Non sono quantità grandissime, ma siamo presenti con prodotti di qualità che ci assicurano un buon ritorno, anche a livello di immagine”.


L’UVA, LE VIGNE, LA VINIFICAZIONE

Un’azienda che sta cercando nuovi mercati nell’estero, dunque, la vitivinicola Montesissa. Ma che gioca in maniera consapevole il suo ruolo anche nel Piacentino, evitando di contribuire al declassamento di prodotti come il Bonarda o l’Oltrugo dei Colli Piacentini, divenuti ormai veri e propri concorrenti sulla tavola dei consumatori del Nord Italia, alla stregua del Bonarda o del Pinot dell’Oltrepò Pavese.

“Ed è un peccato – evidenzia Ilaria Montessissa – che in zona non si riesca a fare squadra, per far conoscere anche nel Sud Italia un vino di pregio come può essere il Gutturnio, che in meridione in pochissimi conoscono”. Negli anni, di fatto, la Montesissa, dopo aver tentato di cambiare “il verso delle cose” assieme ad altri produttori della zona, ha deciso di uscire dal Consorzio Vini Doc Piacentini.

“Non siamo più iscitti da due anni – spiega Ilaria Montesissa – in quanto riteniamo che non serva a nulla essere iscritti a un ente che negli anni non è riuscito a promuovere a dovere la cultura del vino piacentino, al di là dei confini della stessa provincia. Del resto è la burocrazia, più in generale, che sta ostacolando lo sviluppo di tante aziende vitivinicole serie”.

La produzione d’eccellenza della Montesissa è certificata del resto dalle tante botti presenti nell’area della cantina vecchia, la parte storica dell’azienda che risale agli anni Sessanta. “Il nonno Francesco – commenta Ilaria – è un amante dei vini fermi e affinati in botte, per cui non poteva dedicare parte della produzione al Gutturnio Riserva, ma anche a un Bonarda Riserva, non venduto in gdo, che molti apprezzano e che costituiscono assieme il vero fiore all’occhiello della nostra azienda”.

Il Bonarda, denominato “El Ladar è ottenuto mediante affinamento in barrique di quasi 12 mesi, per poi maturare ulteriormente in bottiglia per un anno, prima della commercializzazione. Dal 2003, nelle annate migliori, ne vengono prodotte circa 2 mila bottiglie l’anno e non mancheremo di fornire ai nostri lettori l’esito della degustazione di una bottiglia della vendemmia 2009.

“Raccogliamo l’uva dopo averla fatta sovramaturare sulla pianta – spiega Ilaria Montesissa – e poi la vinifichiamo. È l’esatto opposto del consueto Bonarda piacentino: un vino ‘gnucco’, di gran corpo, che raggiunge anche i 15,5 gradi di alcol in volume. Il 2003, peraltro, si sta ammorbidente adesso…”.

Del resto, tutti sanno ormai che l’ultima frontiera del vino sono le bollicine. E anche alla Montesissa non stanno a guardare.

I clienti moderni chiedono sempre più spesso vini facili da bere – ammette Ilaria – è dunque abbiamo cominciato sin dal 2003 a provare uno spumante metodo classico e, da ormai tre anni, produciamo anche un Pinot Nero vinificato in bianco col metodo Charmat“.

“Effettivamente un mercato in crescita, con la produzione praticamente duplicata nel giro degli ultimi due anni, riducendo la produzione dei fermi affinati in legno. Come del resto è in crescita la produzione di un Gutturnio Classico Superiore, vino fermo più facile da bere rispetto al Riserva, anche per la sua gradazione che non supera i 13,5 gradi”. Insomma, alla Montessissa si guarda al futuro con le bollicine. Tenendo sempre lo sguardo e la mente fissi alla tradizione piacentina Doc.

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Aglianico Igp Salento Viticultori di San Giuseppe, Cantine San Marzano

(3 / 5) Con i suoi 4,59 euro, l’Aglianico Igp Salento Viticultori di San Giuseppe rappresenta uno dei vini rossi “top di gamma” della catena di supermercati Eurospin, che lo evidenzia a scaffale con la dicitura “Le nostre stelle”.

Un prezzo modesto, dunque, in linea con le politiche del gruppo veronese noto al grande pubblico per il claim “La spesa intelligente”. E interessante è anche questo vino, prodotto da una società cooperativa, le Cantine San Marzano di San Marzano di San Giuseppe, Taranto, capace di aggiudicarsi diversi premi e riconoscimenti a livello non solo italiano, ma anche internazionale. Interessante dunque constatare, ancora una volta, come l’attenzione per il buon vino stia facendo lievitare la qualità dei prodotti nella grande distribuzione organizzata, compresi i discount.

Passiamo dunque sotto la lente di ingrandimento l’Aglianico Igp Salento Viticultori di San Giuseppe, vendemmia 2015. Nel calice il vino si presenta di un rosso rubino intenso, con riflessi violacei. Un colore tipico del vitigno in questione. Al naso si scopre senza la minima timidezza, intenso, caldo, con note di frutti rossi maturi. Al palato la vena fruttata si conferma predominante, ma l’alcolicità contribuisce a regalare eleganza e struttura alla beva, piacevolmente fresca e sapida. Rendendo l’Aglianico Igp Salento Vitivultori di San Giuseppe il vino giusto per accompagnare antipasti a base di salumi, primi piatti con ragù di carne, nonché secondi leggeri, sempre a base di carne. Un vino giovane quello degustato, che si presta anche a un ulteriore affinamento in bottiglia.

LA VINIFICAZIONE
Stiamo dunque parlando di un vino abbastanza versatile, prodotto a San Marzano, nel Salento, in Puglia. Le vigne si trovano a un’altezza di circa 100 metri sul livello del mare, esposte a temperature medie molto alte e a una piovosità particolarmente bassa. I terreni sono a grana medio-argillosa, con profondità abbondantemente sotto il metro. La densità d’impianto è di 4.500 viti per ettaro. La vendemmia avviene nelle prime settimane di ottobre. Una volta raccolte, le uve vengono macerate a temperatura controllata per circa dieci giorni. Per la fermentazione alcolica dell’Aglianico Igp Salento, le Cantine San Marzano di San Marzano San Giuseppe utilizzano lieviti selezionati, procedendo poi ad un affinamento in acciaio.

Prezzo pieno: 4,59 euro
Acquistato presso: Eurospin

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Vini al supermercato

Aglianico del Vulture Dop Baliaggio 2013, Cantina di Venosa

(4 / 5) Davvero sorprendente e con un rapporto qualità prezzo insuperabile l’Aglianico del Vulture Baliaggio Dop 2013 prodotto dalla Cantina di Venosa.

Si presenta nel calice rosso rubino intenso e con un bouquet complesso: fruttato, speziato con sentori di pepe nero, floreale con accenni di viola, ma anche sentori di tabacco e cenere. 14% di alcol in volume sopportabili: caldo, sapido, una glicerina che lo rende di una rotondità perfetta.

La vena acida è corretta e gradevole, il tannino morbido ed elegante ed il finale sufficientemente persistente. Un vino maturo, evolvono i sentori se si apre correttamente in anticipo come indicato peraltro nella contro etichetta, ma che come stato evolutivo è al top.

Un vino che a tavola fa discutere, di quelli che controlli più volte lo scontrino pensando se sia possibile averlo pagato così poco. Onestamente anche al doppio del prezzo avrebbe retto e stupito ed in effetti,  controllando un po’ in rete il suo prezzo medio è minimo il doppio. Chapeau alla catena Gdo e al buyer che ha spuntato questo prezzo regalandoci un Aglianico del Vulture Dop di tutto rispetto ad un prezzo sbalorditivo.

Un rosso assolutamente versatile a tutto pasto che si abbina a primi piatti della cucina mediterranea, carni arrosto e brasati, selvaggina e formaggi stagionati.

LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve 100% Aglianico in terreni di origine vulcanica da vigneti di 10-20 anni. Le uve sono vendemmiate a mano, trasportate in piccole cassette e vinificate in piccoli fermentini inizialmente, poi in acciao inox. Dopo la fermentazione malolattica, il vino viene affinato in botti di rovere per dieci mesi e ancora per un mese in bottiglia prima della messa in vendita.

L’Aglianico è un vitigno antichissimo, fortemente caratterizzante per l’area del Vulture e per la Basilicata in generale, noto anche come il barolo del sud. I Romani addirittura concessero alla colonia di Venosa di coniare una moneta in bronzo raffigurante Dioniso, divinità fortemente legata alla terra e alla vite, poi assorbita dal culto di Bacco.

La Cantina di Venosa è una delle realtà più importanti del mezzogiorno, si trova proprio nella celebre Venosa, nota per aver dato i natali ad Orazio. Nata nel 1957 per volontà di 27 soci oggi è una realtà di circa 400 soci conferitori per 800 ettari.

Prezzo pieno: 3,20 euro
Acquistato presso: Bennet

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news ed eventi

Coldiretti, dietrofront dell’Europa: il vino Doc italiano è salvo

La Commissione europea fa dietrofront sulla proposta di liberalizzazione dei nomi dei vitigni fuori dai luoghi di produzione. Una decisione che scongiura una vera e propria sciagura per il vino italiano. Valgono infatti almeno 3 miliardi i vini Made in Italy identificati da denominazioni che rischiavano di essere di essere scippate all’Italia, se fosse stato consentito
anche ai vini stranieri di riportare in etichetta nomi quali Aglianico, Barbera, Brachetto, Cortese, Fiano, Lambrusco, Greco, Nebbiolo, Picolit, Primitivo, Rossese, Sangiovese, Teroldego, Verdicchio, Negroamaro,  Falanghina, Vermentino o Vernaccia, solo per fare alcuni esempi. A dare l’annuncio del passo indietro della Commissione europea è la Coldiretti, che esprime evidente apprezzamento. “Il rischio – commenta il presidente Roberto Moncalvo, presidente dell’organizzazione – era quello di una pericolosa banalizzazione di alcune tra le più note denominazioni nazionali, che si sono affermate sui mercati nazionale ed estero grazie al lavoro dei vitivinicoltori italiani. Il futuro dell’agricoltura italiana ed Europea dipende dalla capacità di promuovere e tutelare le distintività territoriali che sono state la chiave del successo nel settore del vino dove hanno trovato la massima esaltazione”. La notizia della possibile ‘estensione’ delle denominazioni era rimbalzata sul finire di gennaio dalla Commissione europea, scatenando le polemiche dell’intero comparto del vino Made in Italy.

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Approfondimenti

Torino, delude “In vino veritas”: più food che wine. Bollicine calde, Brunello esaurito

C’eravamo anche noi alla manifestazione “In vino veritas”, andata in scena a Torino lo scorso weekend. Arriviamo a metà pomeriggio, l’ambiente è molto grande e c’è poca gente.

La prima cosa che notiamo è che effettivamente, come lamentano in molti commentando sul web le edizioni precedenti, il vino ha poco spazio, a dispetto della parte food truck che occupa quasi la totalità dell’area.

Alla cassa è possibile acquistare una “promo” di 6 ticket, che comprende calice e borsina per soli 10 euro, oppure singoli ticket a due euro con il vino servito in bicchieri di plastica.

Notiamo curiosamente molti avventori muniti di bicchiere in plastica, con le narici affondate all’interno, alla ricerca di chissà quale profumo: divertente risvolto, che forse la dice già lunga sul target della manifestazione torinese.

Più in là un bel tabellone in stile “Sagra di paese”, con l’elenco dei vini e il loro codice: sembrano 95, ma in realtà alcuni numeri non esistono. Probabilmente il foglio è un filtro maldestro dell’elenco totale dei vini gestiti dagli organizzatori, che variano a seconda della città ospitante.

I CONTI CHE NON TORNANO

Morale: i vini serviti sono 64, la metà di quelli indicati e pubblicizzati, non ultimo sulla pagina Facebook dell’evento. Le cantine sono solo 33 e non 45, le regioni rappresentate 13, più la Francia. Tra le regioni la padrona, giustamente, è il Piemonte con 19 etichette, seguita da Lombardia e Trentino con 8 etichette, 5 per la Toscana, 4 per il Veneto, 3 per Friuli, Marche, Campania e Sicilia, 2 etichette della Sardegna, Francia e Valle d’Aosta.

Un solo rappresentante per Emilia Romagna e Puglia. Chiediamo un po’ in giro alle persone cosa stanno bevendo. Una coppia ha scelto il Cannonau Sella & Mosca: sono piemontesi e le cantine presenti non sono le migliori per loro, per questo – dicono – si sono “buttati sul sicuro”. E come dargli torto? Incrociamo qualche Syrah.

Tanti Dolcetto e Nebbiolo. I rossi piemontesi vanno per la maggiore tra i nostri intervistati. Ci muniamo di ticket e andiamo a saggiare le doti dei sommelier. I vini in fila come soldatini, con il loro numerino sembrano un misto tra premi della pesca di beneficienza e bersagli da gioco delle giostre. Ma siamo qui per degustare.

Quattro ticket per provare una bollicina: scegliamo un metodo classico Pinot Nero Monsupello. Tragedia. Il vino è aperto da chissà quanto, caldo. E per il perlage bisogna rivolgersi a “Chi l’ha visto”. Insomma, tanto per cambiare l’Oltrepò Pavese massacrato, senza colpa (stavolta). Chiediamo al giovane dietro al bancone cosa va per la maggiore, tra le bollicine.

Ci risponde che Prosecco di Valdobbiadene e Chardonnay del Piemonte vanno alla grande, costano entrambi due ticket. A Milano, ci dice, “il Franciacorta era molto richiesto, qui non lo vuole nessuno, anche i rosè non vanno, ma nemmeno a Milano”. Aggiungiamo noi, a posteriori, che probabilmente non vuole nessuno nemmeno il Pinot dell’Oltrepò a giudicare dal suo stato decrepito. Ci buttiamo sui rossi.

DEGUSTAZIONI SHOCK

Quattro ticket per un Amarone “novello” del 2012 appena presentato: davvero uno spreco. Altri 4 ticket per un Taurasi che avrebbe avuto qualcosa da dire, servito meglio. Tre ticket per un rosso di Montepulciano senza infamia e senza lode.

Non ci siamo, nessun vino è servito a temperatura, nessun aroma, sensazioni tattili completamente stravolte. Chiediamo anche qui che aria tiri tra i rossi. Il Brunello è finito, era tra i più richiesti dopo i piemontesi. Mediamente vanno a ruba i vini serviti in cambio di due ticket. Effettivamente, usufruendo della “promo” era possibile bere tre calici con sei ticket e le proposte “economiche” sono la metà.

Continuiamo con le interviste, qualche anziano sta degustando un Sangue di Giuda, qualcuno una Malvasia. Ci dicono che nel pomeriggio preferiscono questo tipo di prodotto. Due ragazzi hanno provato il Pinot Nero, ma ne sono rimasti “un po’ delusi”.

Aggiungono che “nei paraggi ci sono eventi migliori dedicati al vino, ci invitano anzi provare una birra artigianale che merita”. Decidiamo di accettare l’invito, anche perché, forse, una birra ghiacciata è quello che ci vuole con lo street food che la fa da padrone, nel piatto. Si è fatto tardi, ci sediamo con la nostra birra e il nostro hamburger di cinta senese. Di fianco a noi una coppia non giovanissima, con due birre medie. “Niente vino?”, chiediamo loro. “No no”. Sono sommelier Ais.

“Nessun vino merita – ci dicono – siamo qui giusto per passare qualche ora diversa”. “Si salvano giusto due o tre vini – aggiungono – che non prendiamo perché li conosciamo già”. Non servono altre conferme. Effettivamente il vino sembra più uno specchietto per le allodole, ben presente nel nome stesso della manifestazione. Nessun produttore presente, poche informazioni. La festa è gradevole, i prezzi un po’ cari, ma in linea con eventi del genere. Diciamocelo, insomma: le degustazioni del vino sono tutt’altro.

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Sudtirol Alto Adige Gewurztraminer Doc Cornaianum, Girlan

I[Usr 4] Immaginate una rosa gialla che sbocciando, oltre al profumo dei suoi petali, rilascia un bouquet di zenzero candito, litchis, melone, pesca matura e aromi di uve moscato. Sapori che esplodono al gusto come se avessimo mangiato una caramella ripiena di frutta. Aromi marcati, ma che non annoiano e che invogliano continuamente il sorso. Se completiamo il tutto con una bella acidità il binomio è perfetto. ”Tutti sanno dire ti amo, ma non tutti sanno dire Gewurztraminer”, un tormentone social degli ultimi tempi. La cantina Girlan, il Gewurztraminer lo sa dire e lo sa fare. La vendemmia finita sotto la nostra lente di ingrandimento è la neonata 2015. Per dovere di cronaca nel calice c’è rimasta ben poco, ma come diceva Moliere ”Beviamo amici miei, il tempo che fugge c’invita, godiamo della vita quanto per noi si può”. Che altro aggiungere di questo vino? Che è sostenuto da una bella acidità, data la sua giovinezza. Nei primi due anni, il Gewurztraminer riesce a conservare un’ottima acidità pur essendo un prodotto che ha una longevità di tre/cinque anni. E’ un vino di buon corpo , morbido, equilibrato e dotato di una buona persistenza retrolfattiva. L’annata 2015 è la prima che possiamo trovare al supermercato, una delle prime forniture di questa etichetta realizzata da Girlan per la gdo. Un vino prelibato che si abbina a crostacei, pesce, preparazioni a base di carne e paté de foie. La Cantina Girlan si conferma una cantina d’eccellenza. Nella nostra recensione del loro  Lagrein abbiamo cercato di sintetizzare il nostro giudizio positivo utilizzando un famoso claim pubblicitario ”un Lagrein Girlan è per sempre”, aggiungiamo che il Gewurztraminer Girlan lo è altrettanto. Segnatelo tra le cose da portare con voi su isola deserta. La cantina Girlan si trova a Cornaiano, borgo vinicolo ormai famoso. I vigneti si estendono ad un’altitudine fra i 250 e i 550 m sul livello del mare, su dei terreni diversi nella loro composizione che costituiscono un ambiente ideale per la coltivazione di numerose varietà autoctone ed internazionali. Dal 1923, la Cantina Girlan ha sede in questo maso tipico dell’Oltradige: accanto al terreno, un fattore molto importante è quello umano, quello del vignaiolo ed enologo Gerhard Kofler, che mantiene uno stretto rapporto con i soci conferitori, scambiando esperienze da cui nascono le basi per ambizioni di qualità.

Prezzo pieno: 6,99 euro
Acquistato presso: Famila

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Approfondimenti

Presa Diretta, La Fabbrica del vino: lo “splatter movie” Rai dipinge le vigne come industrie chimiche

Tra tutte le raccomandazioni possibili, forse è mancata proprio la più indispensabile: bevete con moderazione, soprattutto se poi dovete guidare. Il ritratto tratteggiato ieri sera su Rai 3 da Presa diretta, con l’inchiesta titolata “La fabbrica del vino”, sfiora la vena trash quando un padre di famiglia, intervistato dall’inviata di Viale Mazzini, dichiara di preferire che i figli giochino nell’area industriale del paese di residenza, piuttosto che a pochi metri dalle vigne che circondano la loro abitazione. Splatter movie made in Valdobbiadene, in pieno stile Quentin Tarantino. Pare che qui, “vere e proprie nuvole di pesticidi” invadano l’aria “quattro mesi l’anno”, prima della vendemmia. Scatenando il panico tra i residenti della zona, cui non è dato sapere esattamente cosa volteggi (loro malgrado) nell’aria che respirano, oltre l’ossigeno. I produttori di vino li chiamano “fitofarmaci”, non “pesticidi”. E confermano il totale rispetto delle normative di legge vigenti in materia. L’inviata Rai intervista anche un tossicologo dell’Istituto superiore di Sanità, che dal suo laboratorio conferma la pericolosità dei composti chimici utilizzati per diserbare le vigne venete. Per ammetere poi, tuttavia, che gli “studi riguardano solo certi tipi di sostanze, di cui si conosce già bene la problematicità sul sistema nervoso e su quello riproduttivo”. Dati che “sono pochi e derivanti da ricerche indipendenti”. Nulla di ufficiale, dunque? Allarmismo allo stato puro, allora, quello sollevato dal servizio Rai?

A CHI GIOVA?
Certamente non è un’immagine positiva quella che ne deriva del mondo del vino. Piccoli produttori strozzati dalle logiche dei grandi gruppi vitivinicoli, gettati tout court in un calderone che non fa bene né al servizio pubblico né al consumatore meno esperto del nettare di Bacco. Che, dal servizio Rai, rischia certamente di trarre conclusioni fuorvianti. Ovvero che, banalmente, il “vino si fabbrica”, non si produce. Che le grandi industrie acquistano (persino su Internet, male dei mali!) sostanze coloranti, profumanti, aromatizzanti, e chi più ne ha più ne metta, consegnando ai supermercati prodotti di scarso valore, “che contengono più di sessanta ingredienti, peraltro senza l’obbligo di precisare in etichetta quali siano esattamente”. Tutte cose vere, per carità. Ma con i giusti distinguo e, forse, andando a bussare alle porte dei Ministeri o dei Ministri, piuttosto che a quelle dei Consorzi vitivinicoli come quelli del Prosecco, del Brunello o del Pinot grigio dell’Oltrepò Pavese, Presa Diretta avrebbe certamente offerto – a nostro modesto avviso – un servizio migliore ai telespettatori. Giusto per non fare di tutto il mosto, un mostro.

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Vini al supermercato

Maremma Toscana Rosso Doc Tesan, La Biagiola

(4 / 5) Un grande blend di Sangiovese, Alicante e Canaiolo il Maremma Toscana Doc Tesan vendemmia 2013 prodotto dall’azienda vitivinicola La Biagiola di Sovana di Sorano in provincia di Grosseto. Di colore rosso rubino profondo si presenta subito come un’esplosione vulcanica di profumi, d’altronde le sue uve provengono da terreni fatti di cenere e lapilli. Intensi sentori speziati di pepe, note balsamiche e di macchia mediterranea evolvono verso la frutta rossa matura, lasciando anche spazio alla foglia di tabacco.
Davvero complesso. E anche al gusto non delude: corposo, caldo, ben 14% di alcol in volume, rotondo, sapido e gradevole. Una vena acida viva accompagnata da un tannino elegante e da un finale persistente con note di liquirizia. Nessuna nota stonata: un’eleganza anticipata da un’etichetta distintiva, legata alla civiltà etrusca che si è affermata proprio in quei luoghi. Il nome Tesan deriva dall’etrusco e significa “aurora”, il motivo a scacchiera presente in etichetta è un disegno ricorrente di questa affascinante civiltà e sta a simboleggiare il rapporto tra terra e cielo. Si abbina  con primi piatti con salse a base di carne e secondi di carne rossa.

LA VINIFICAZIONE
Il Maremma Toscana Rosso Doc Tesan prodotto da La Biagiola è un blend di uve Sangiovese per il 70%, Alicante 25% e Canaiolo nero 5%. Tutte le operazioni, a partire dalla raccolta sono effettuate a mano. Dopo la fermentazione, il Maremma Toscana Rosso Doc Tesan viene affinato per otto mesi in acciaio. I vigneti si trovano in un’area deindustrializzata, priva di inquinamento e urbanizzazione massiva. I terreni sono di origine vulcanica: l’alta mineralità del terroir dona sapidità ai vini bianchi e complessità organolettica ai vini rossi. L’azienda vitivinicola la Biagiola è una realtà giovane, a conduzione familiare, nata proprio con l’intento di produrre vini di qualità, equilibrati ed armonici nei gusti e nei sapori. Le viti sono coltivate con grande rispetto, nel loro habitat, su un terreno generoso destinato sin dai tempi antichi ai vigneti. La Biagiola si trova su un giacimento archeologico di estrema rilevanza  con un archeoparco visitabile dal 2011. Quando entusiasmo, capacità, terroir e storia si combinano non possono che uscire prodotti di estrema qualità come il Maremma Toscana Rosso Doc Tesan. Potere della grande distribuzione organizzata,   possiamo portarci un pezzo di poesia e di Toscana nel nostro focolare: emozioni uniche che solo il vino sa trasmettere.

Prezzo pieno: 6,50 euro
Acquistato presso: Famila

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Bere sul posto di lavoro aumenta la produttività. Parola del Ceo della Napa Valley. E’ la “feet and wine” revolution

Divieto di bere alcolici durante l’orario di lavoro e rigoroso dress code sono alcune delle regole vigenti in diverse aziende italiane ed internazionali. Ci ha incuriosito, dunque, la notizia diffusa dal Ceo della società Fantasy, in Napa Valley, California. Da buon appassionato di vini rossi, ha deciso di mettere a disposizione dei dipendenti dell’azienda un angolo
“wine bar”, tra le mura stesse del posto di lavoro. I dipendenti sono liberi di aprire qualsiasi cosa durante la giornata, bollicine incluse. Possono degustare un calice di vino, ma anche portarsi a casa un bottiglia, per “fare serata” in famiglia, o con gli amici. Notizia davvero sorprendente, considerato il proibizionismo a stelle e strisce in materia di alcolici. Ma non poteva mancare la vena “trash“, in pieno stile americano. Oltre al vino, i dipendenti e i clienti sono liberi di togliersi le scarpe e girare scalzi per l’azienda, per “sentirsi a proprio agio”. Un po’ come a casa. Una sorta di “feet & wine”, che forse sarà preso in considerazione anche in altre parti del mondo. Chi vuole cominciare, in Italia? Fatecelo sapere. Anche perché la decisione del Ceo, seppur rivoluzionaria, affonda le radici in una ricerca scientifica. E’ stato infatti provato “l’aumento dell’efficienza dei dipendenti legato ad un piccolo consumo di alcol durante l’orario di lavoro”. Prosit!

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Leggi sulla viticoltura: presentato il Codice della Vite e del Vino 2016

La nuova normativa dell’Unione europea sul sistema autorizzativo degli impianti vitati, oltre a quella italiana, che sarà pienamente operativa dal 1° gennaio 2016; il decreto legislativo numero 61 dell’8 aprile 2010, relativo alla tutela delle Denominazioni di origine e Indicazione geografica; nonché tutti i decreti applicativi collegati, che completano il quadro delle norme nazionali sulle denominazioni di origine dei vini italiani.

Sono solo alcune delle preziose informazioni che si potranno consultare sulla nuova edizione del “Codice della Vite e del Vino”, una sorta di “opera omnia” in cui è stato rielaborato e aggiornato l’intero panorama normativo comunitario collegato all’Ocm vino, ovvero la regolamentazione unica dell’Unione Europea per il settore vitivinicolo, sia in termini di produzione che per i contributi a fondo perduto assegnati alle aziende del settore. Si tratta dunque di uno strumento utile per i produttori, di facile consultazione, che consente di restare aggiornati sulla normativa vitivinicola e muoversi con sicurezza nelle scelte aziendali.

La guida è stata presentata oggi da Domenico Zonin, presidente di Unione Italiana Vini, la principale organizzazione di settore del comparto, espressione della rappresentanza nazionale e unitaria di tutti i soggetti imprenditoriali e professionali della filiera vitivinicola, che assieme rappresentano oltre il 50% del fatturato nazionale nel settore del commercio vinicolo e l’85% dell’export.

“Il Codice della Vite e del Vino 2016 – spiega Zonin – è il frutto del notevole sforzo editoriale del Servizio giuridico normativo dell’Unione Italiana Vini, per raccogliere tutta la normativa dell’unione europea e nazionale italiana, comprese anche le circolari inedite e poco conosciute che, spesso, forniscono utili elementi interpretativi. Un volume – aggiunge Domenico Zonin, nella foto – che si propone quale innovativo servizio di consultazione e aggiornamento legislativo che può contare su continui aggiornamenti on line sul sito Uiv sul supporto di una newsletter che informa tempestivamente l’operatore professionale della pubblicazione di nuovi provvedimenti Ue e nazionali. Uno strumento moderno che si aggiunge all’Osservatorio del vino per fornire un quadro completo sotto tutti i punti di vista a chi opera in questo settore, quindi sotto i profili: tecnico, legislativo, economico”.

Accanto alla legislazione Ue e alle norme che da esse discendono direttamente, esistono anche disposizioni nazionali che disciplinano l’attività di produzione e commercializzazione delle bevande e che fanno parte anch’esse della realtà legislativa in cui si muovono gli operatori nella loro normale attività (legge 82/2006, accise, disciplina igienica degli alimenti, produzione con metodo biologico. codici doganali, preimballaggi, etc.).

DOVE ACQUISTARLO
“Con questa edizione del Codice – conclude Zonin – si inaugura una nuova stagione editoriale dell’Unione Italiana Vini che ha promosso una originale ‘collana’ di pubblicazioni dedicate alle tematiche di politica e normativa vitivinicola italiana ed europea. Un ambito culturale e tecnico in continua evoluzione che trova nell’Unione Italiana Vini un punto di riferimento ormai storico, forte di un’esperienza quarantennale, di editoria specializzata, che vedrà presto nuovi titoli arricchire la Collana dedicata a questi temi, al servizio del mondo vitivinicolo nazionale”.

Il volume può essere richiesto direttamente all’Unione Italiana Vini inviando una mail a: serviziogiuridico@uiv.it, oppure telefonando al numero: 06-44.23.58.18. Titolo: Codice della Vite e del Vino; Editore: Unione Italiana Vini – Confederazione Italiana della Vite e del Vino; Autore: Antonio Rossi; costo: 290,00 euro (Iva inclusa), comprensivo del volume cartaceo e della consultazione degli aggiornamenti on line.

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L’Amarone della Valpolicella sbarca a Bologna

A pochi giorni dalla presentazione dell’Amarone 2012 un nuovo appuntamento per conoscere e apprezzare questo grande vino della Valpolicella. La manifestazione, curata dal Consorzio di Tutela dei Vini di Valpolicella, Ais Emilia Romagna, Associazione Arte e Vino e You Wine ha lo scopo di far scoprire e approfondire le grandi emozioni che può regalare il “Re della Valpolicella” che a seconda della vinificazione, del terroir e dello stile delle diverse aziende colpisce tutti per la sua qualità unica. Unica data quella del 6 marzo, aperta sia agli operatori del settore che agli appassionati. Dalle 10.30 alle 19 al Palazzo Albergati di Zola Predosa, Bologna, saranno presenti cantine con banchi di assaggio di vino e prodotti tipici. In programmazione, previa prenotazione, anche due interessanti laboratori con degustazione. Alle 15 sarà la presidentessa dell’Ais Annalisa Barison a proporre una degustazione a tema “le declinazioni dell’Amarone”, mentre alle 17,30 sarà il maestro sommelier Roberto Gardini a guidare gli appassionati tra “Esuberanza, sensualità, personalità dell’Amarone”.

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Colline Novaresi Doc Spanna Santo Stefano, Zanetta

(3 / 5) Varchiamo appena i confini della Lombardia ed entriamo nella provincia piemontese di Novara con il Colline Novaresi Doc Spanna Santo Stefano prodotto dall’azienda vinicola Zanetta di Sizzano, vendemmia 2013. Nel calice si presenta color rosso rubino con riflessi granati, trasparente e luminoso, ma ha una fluidità che fa presagire una leggera carenza di corpo. Al naso è inizialmente timido con sentori pungenti e vinosi che però evolvono, lasciandolo respirare, verso la viola, la ciliegia, l’erba tagliata e sentori eterei. Il gusto è fruttato e rotondo, la ciliegia sotto spirito fa da padrona. La vena fresca ed acida è bilanciata, giustamente tannico ed elegante. L’unico difetto è che lo troviamo leggermente sotto corpo, in bocca scivola un po’ via anche se la persistenza è buona, ma con 12,5% di alcol se lo può permettere. Un vino comunque interessante e gradevole, con un buon rapporto qualità prezzo. Si abbina a primi conditi, selvaggina, carni rosse, ma anche salumi e formaggi stagionati, insomma un vino a tutto pasto che vi consigliamo di degustare stappando la bottiglia almeno mezz’oretta prima.

LA VINIFICAZIONE
Il vino Colline Novaresi Doc Spanna Santo Stefano è prodotto con uve Spanna per il 90% e per il restante 10% con Vespolina e Uva Rara. Le uve spanna altro non sono che uve nebbiolo. Il nome spanna, in questa zona, deriva dalla lunghezza della potatura che veniva effettuata nella zona, lunga appunto una spanna. Dopo una breve macerazione, per esaltare i profumi varietali dell’uva, il vino Colline Novaresi Doc Spanna Santo Stefano prodotto dall’azienda vinicola Zanetta viene affinato prima in grandi botti di rovere per circa un anno e quindi in bottiglia per nove mesi. L’azienda Zanetta nasce nel 1940 ed è attualmente gestita dalla seconda generazione. Si trova a Sizzano, nel cuore delle terre coltivate a Nebbiolo. Con un complesso produttivo di 4000 mq, è specializzata nella coltivazione e vinificazione di uve Nebbiolo, Vespolina, Croatina, Uva Rara.

Prezzo pieno: 5,95 euro
Acquistato presso: Famila

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Bordeaux Réserve 2013, Barton & Guestier 1725

(3 / 5)E’ la regione vinicola più famosa al mondo che finisce con un suo “pezzo” sugli scaffali del supermercato. Parliamo del Bordeaux Réserve 2013 della storica Barton & Guestier 1725. Non certamente un “pezzo” da novanta, che comunque offre al consumatore l’opportunità di accostarsi (a buon prezzo) ai vini che hanno contribuito a rendere grande la Francia nel mondo. Il Bordeaux Réserve 2013 Barton & Guestier 1725 è un’Appellation Bordeaux Controlée. Nel calice si presenta di un rosso profondo, impenetrabile. Al naso evidenzia note suadenti di piccoli frutti a bacca rossa, amarena e fragoline di bosco, in un contorno di vaniglia conferito dall’affinamento in legno. Al palato è nuovamente fruttato e minerale, sapido e di corpo. Rispunta la nota di vaniglia, che contribuisce a un quadro di buona morbidezza, con una punta speziata che non guasta. Sufficientemente persistente il finale, così come l’eleganza conferita dal blend tra Cabernet Sauvignon e Merlot. Perfetto l’abbinamento con piatti a base di carni rosse e bianche, La casa produttrice Barton & Guestier, fondata nel 1725 dall’irlandese Thomas Barton e dal francese Daniel Guestier, è la più antica azienda in attività sul territorio di Bordeaux. I vini prodotti cominciarono a essere esportati principalmente in Irlanda, Inghilterra, Olanda e Stati Uniti. Oggi, la Barton & Guestier è invece un colosso che esporta dalla Francia in oltre 130 Paesi di tutto il mondo.

Prezzo pieno: 6,49 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Vini al supermercato

Lacryma Christi del Vesuvio bianco Doc, Mastroberardino

(4 / 5) Leggenda narra che dal pianto di Dio nacque la vite dalla cenere, sul vulcano Vesuvio. E vogliamo crederci, noi che il Lacryma Christi bianco di Mastroberardino l’abbiamo degustato fino all’ultima goccia. Retaggio importante quello che si porta sulle spalle questa Doc: nel vedere il Golfo di Napoli, unico lembo di cielo sottratto a Lucifero, Dio pianse. E dalle sue lacrime nacque la vite. Un vino pretenziosamente celeste, dunque, quello che finisce oggi sotto la nostra lente di ingrandimento, per la vendemmia 2014. Eppure così legato alla terra, a Madre Natura. A un suolo vulcanico che si esprime sotto forma liquida, nel Lacryma Christi del Vesuvio bianco Doc Mastroberardino, in tutta la sua mineralità.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice scivola d’un giallo paglierino tendente al dorato. Al naso arriva travestito di pesca matura, pera, agrumi, con speziatura che ricorda la cannella e la liquirizia. Al palato è suadente, come chi ti racconta una storia antica di cui vorresti conoscere in fretta il finale. In un contorno minerale delizioso, giustamente sapido, parla nuovamente di pesche, pere e buccia d’agrumi. Si dilunga, quasi ammandorlandosi. Sarebbe un peccato “sprecarlo” con l’antipasto, a meno che questo non sia d’alto livello. Ottimo piuttosto con piatti di pesce e crostacei, sia primi che secondi importanti e gustosi, perché capace con la sua freschezza e il suo corpo di reggerli alla perfezione. A una temperatura che non dovrebbe superare i 13 gradi.

LA VINIFICAZIONE
Lacyma Christi del Vesuvio bianco Doc Mastroberardino è ottenuto mediante vinificazione di sole uve Coda di Volpe. I vigneti – di età media di 15 anni – sono esposti principalmente a Sud-Est, a un’altitudine di 170 metri sul livello del mare, con una densità d’impianto di 2.500 ceppi circa per ettaro, allevati a raggiera e spalliera con potatura guyot. La vinificazione è classica in bianco, in serbatoi di acciaio a temperatura controllata. Segue un periodo di affinamento in bottiglia per almeno un mese, prima della commercializzazione. Una storia di qualità, quella della famiglia Matroberardino, che affonda le sue radici oltre due secoli fa, in Irpinia, per la precisione nel Comune di Atripalda, Avellino.

Prezzo pieno: 12,49
Acquistato presso: Carrefour

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Vini al supermercato

Pilu Niuru classic Salento Igp, Taurosso

(4 / 5) Non abbiamo dubbi: Pilu Niuru Classic Salento Igp sarebbe il vino preferito di Cetto La Qualunque, il personaggio portato in televisione e al cinema dal grande Antonio Albanese. Un vino che racconta la “voglia di pilu cronica che risale al tardo Medioevo”, nel suo essere “qualunquemente” accattivante sullo scaffale del supermercato dal quale lo “preleviamo”, per approfondirne la conoscenza. Senza veli. Ovvero stappandolo, per intenderci. La premessa è che Pilu Niuru è un Negroamaro del Salento, ma non di quelli scialbi. Celebra nel nome “la sensuale femminilità tipica delle donne salentine dagli ammalianti occhi e lunghi capelli neri”, come spiega la stessa casa produttrice Taurosso di via Taranto 76, Campi Salentina, Lecce. Vestito solo di un calice trasparente, Pilu Niuru si mostra come mamma l’ha fatto: d’un rosso rubino carico, acceso. Sarà la timidezza? Noi, voraci, non vediamo l’ora di assaggiarlo. Ma prima ci annusiamo un po’. Pilu Niuru emana prugna, mora, liquirizia e cuoio. Non dev’essere una preda facile. La mordiamo. E in bocca è calda, speziata, di nuovo sa di more e, soprattutto, di piccoli frutti a bacca rossa. Tira fuori le unghie e le conficca nel palato quando estrae un tannino vivo, suadente. Forse un po’ troppa verve e allora lo allontaniamo. La “sensuale femminilità salentina” va presa a sorsi meditati, altrimenti rischia di dare alla testa. Anche perché la temperatura sale, sorso dopo sorso. E Pilu Niuru li fa sentire tutti i suoi 13,5 gradi di alcol in volume. Pilu Niuru Salento Igp Taurosso è il compagno di primi piatti della tradizione culinaria salentina, ma è in grado – per struttura e corpo – di essere abbinato con piatti di carne arrosto e formaggi di media stagionatura. E’ chiaro come si tratti di uno dei fiori all’occhiello del marketing della casa leccese Taurosso, che gli ha dedicato addirittura una pagina Facebook ad hoc, a dire la verità poco aggiornata. Si sa, del resto: per certe cose, basta il nome.

Prezzo pieno: 6,99 euro
Acquistato presso: Il Gigante

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Vini al supermercato

Sudtirol Alto Adige Lagrein Doc 2014 Cornaianum, Cantina Girlan

(4,5 / 5) Rotondo, vellutatamente tannico, armonico e persistente al palato. Non sorprende la finezza e la qualità del Sudtirol Alto Adige Lagrein Doc imbottigliato da Kellerei Cantina Girlan di Cornaiano in provincia di Bolzano, Alto Adige, vendemmia 2014. Sorprende di più averlo trovato sullo scaffale del supermercato. Sudtirol Alto Adige Lagrein Doc fa parte infatti della linea Cornaianum, etichetta creata appositamente per il canale gdo. Di colore rosso rubino con riflessi violacei, ha intensi sentori di viola e frutta rossa oltre a note speziate e boisè dovute all’invecchiamento in legno grande. E’ un vino caldo, ma non eccessivamente alcolico con i suoi 12,5% di alcol in volume. Il Lagrein Doc in Alto Adige si definisce il “vino della festa o il vino della staffa”, quello che si beve con gli amici fuori casa prima di congedarsi: un vino che invita alla convivialità, non smentito in questa versione prodotta da Girlan. Un vino davvero gradevole, con un ottimo rapporto qualità prezzo.

LA VINIFICAZIONE
Prodotto con un’accurata selezione di uve Lagrein, vitigno autoctono altoatesino, per mescere le qualità di ciascun terroir e rafforzare l’unicità di un vino di qualità, Sudtirol Alto Adige Lagrein Doc di Girlan, pur essendo pronto, si presta ad un consumo anche nei 4 o 5 anni successivi. Si abbina a carni rosse, cacciagione e formaggi stagionati. Pur avendo una ridotta superficie vitata, l’Alto Adige si distingue sempre per l’ottima qualità dei vini prodotti, anche quelli destinati alla grande distribuzione, qualità che si ritrova tutta nell’Alto Adige Lagrein Doc di Girlan. La Cantina Girlan nasce nel 1923, per opera di 23 viticultori, nella località di Cornaiano in Alto Adige in un maso storico del Cinquecento. Attualmente conta 200 soci viticultori, dislocati in un’area di coltivazione dei vigneti di 220 ettari, nelle migliori zone produttive dell’Oltradige e della Bassa Atesina. Il Lagrein che, attenzione, si pronuncia “Lagrain” dal tedesco, è uno dei vini di punta del Sudtirol Alto Adige e negli ultimi anni sta riscuotendo enorme riscontro di critica e di pubblico. Un vino che degustato crea dipendenza, per parafrasare un famoso claim pubblicitario. E allora vogliamo concludere anche noi, romanticamente: “Un Alto Adige Lagrein Doc di Girlan è per sempre”.

Prezzo pieno: 7,99 euro
Acquistato presso: Famila

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Il sommelier online è già realtà in Giappone grazie ad Amazon. E la gdo italiana sta a guardare

Secondo una recente ricerca di mercato Nielsen, gli italiani acquistano su Internet soprattutto “beni durevoli”. Più bassi i livelli raggiunti dai beni di consumo: cosmetici (25%), vino e alcolici (9%), cibo da asporto (6%), prodotti per l’infanzia (6%) e cibi freschi (2%). Non sorprendiamoci, allora, se un giorno Amazon vorrà fornire anche in Italia il servizio “Sommelier on line”, già attivo in Giappone. La compagnia di Jeff Bezos si dimostra ancora una volta all’avanguardia, mettendo a disposizione un professionista del vino che, telefonicamente, supporta i clienti nipponici nella scelta fra le 8 mila bottiglie dell’assortimento virtuale delle “cantine Amazon” in Giappone. Suggerisce abbinamenti col cibo, ma anche – per esempio – le bollicine migliori da apprezzare per brindare a un evento speciale. Insomma: il sommelier tascabile è ormai realtà. Viene allora da chiedersi come mai, in un Paese come l’Italia – che è sì di santi, poeti e navigatori, ma anche di enologi defunti compianti e giustamente celebrati addirittura da ministri – le catene della grande distribuzione organizzata investano così poco nel vino, preferendo settori come la profumeria e la cosmetica. Sono rare le eccezioni in cui è possibile incontrare un sommelier professionista tra le cantine della gdo.

CHIEDI ALLA CASSIERA
Presente in alcune catene della gdo solo in giorni e orari stabiliti (Esselunga, Carrefour) oppure sostituito da computer che suggeriscono il corretto abbinamento (Coop), una figura qualificata sul mondo del vino farebbe da traino alle vendite. E fornirebbe al Paese intero un’evoluzione della coscienza (e conoscenza) enogastronomica del cliente tipo del supermercato. Una coscienza che, certamente, non può essere retaggio di addetti generici (per non dire delle “cassiere”, pardon “hostess di cassa“) del reparto Scatolame – Grocery: quelli a cui, comunemente, si rivolge la clientela italiana della gdo per chiedere consigli sul vino, ricevendo informazioni sommarie che non invogliano certo all’acquisto. A quando, dunque, un investimento serio sul mondo del vino da parte dei grandi gruppi di supermercati che celebrano appena possibile la propria “italianità” e l’italianità dei prodotti venduti? Fa così paura alla gdo vendere qualche bottiglia in meno di Bonarda o Nero D’Avola a 1,99 euro, in favore d’un paio di bottiglie di vini di qualità? Gli americani, come quelli di Amazon, hanno già risposto. E allora “See you soon in Italy, sommelier online”. La gdo ti aspetta, al contrario.

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Vini al supermercato

Locorotondo Dop Terrantica di Puglia, San Martino Coluccivini

(4 / 5) Prendetelo sul serio, perché il nome potrebbe trarre in inganno. E non solo quello: anche il prezzo, che neppure sfiora i 3 euro, rischia di far sembrare Locorotondo Dop prodotto e imbottigliato a Martina Franca (Bari) dalla San Martino Coluccivini, un vino di dubbio valore.

La degustazione convince anche il più ostico a ricredersi. Locorotondo Dop fa parte della linea Terrantica di Puglia dell’azienda San Martino Coluccivini. Il tappo risulta ben conservato e fa presagire, appena tolto, di essere al cospetto di un vino molto fruttato. La vendemmia sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it è la 2013, non la più fresca dunque. Ma comunque il prezioso nettare conserva le caratteristiche sperate, che richiamano i sentori tipici dei due uvaggi utilizzati per produrre Locorotondo: Verdeca (80%) e Bianco D’Alessano (20%).

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice il vino si presenta di un giallo dorato scarico, con riflessi verdolini. Al naso si sprigionano piacevoli e intensi sentori di datteri, pesca sciroppata, amarena, litchi. Curiosissimo l’impatto con tutti questi profumi, in un contorno floreale fresco che invita all’assaggio. Al palato, Locorotondo Dop 2013 Terrantica di Puglia dell’azienda San Martino Coluccivini si presenta con la stella spavalderia con cui aveva incontrato, poco prima, il naso. Di nuovo sentori spiccatamente fruttati di dattero e pesca, che scendendo in gola si fa più amara, ricordando la percezione tipica del morso ai semi dell’uva: un mix tra l’amarognolo e l’acidulo piacevole, per i richiami erbacei che fanno capolino prima e durante un finale di sufficiente persistenza, decisamente sapido. Tanto da invitare subito al sorso successivo. Un vino leggero, di appena 11,5 gradi, ma capace di reggere il confronto con piatti pesce, crostacei e carni bianche, oltre a poter essere tipicamente utilizzato come aperitivo.

LA VINIFICAZIONE
Che dire? Locorotondo Dop Terrantica di Puglia dell’azienda San Martino Coluccivini non è certamente uno dei vini di tendenza nel nord Italia. Ma restare quasi dimenticato sugli scaffali del supermercato ha fatto certamente bene a una bottiglia che ha guadagnato in “esperienza” e complessità dalla vendemmia 2013. L’area di produzione di questo vino è la Valle d’Itria e i comuni limitrofi. La spremitura delle uve Verdeca e Bianco D’Alessano avviene in maniera soffice, con vinificazione in bianco e criomacerazione per conservarne al meglio gli aromi. La fermentazione avviene a temperatura controllata, tra i 18 e i 20 gradi. Prima dell’imbottigliamento, Locorotondo Dop matura in vasche d’acciaio. Guidata dall’enologo Francesco Colucci in collaborazione col figlio Piercesare, la cantina San Martino Coluccivini si è rinnovata tecnologicamente da oltre 20 anni, a distanza di quasi un secolo dalla sua fondazione in via Locorotondo, a Martina Franca.

Prezzo pieno: 2,74 euro
Acquistato presso: Iper la Grande I

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Vini al supermercato

San Valentino, che vino comprare? Dieci bottiglie al supermercato prodotte con “blend”

Cos’è l’amore, se non una miscela di elementi che regalano un’unione, una fusione perfetta? Sappiate che anche le uve… s’innamorano. Creando quello che, in gergo tecnico, viene definito blend. Ovvero l’utilizzo di differenti uvaggi, per ottenere il taglio desiderato. E dare vita a un vino che non è nient’altro che la perfetta “fusione” tra uve differenti. Per il giorno di San Valentino, abbiamo deciso di suggerirvi dieci vini acquistabili al supermercato capaci di rendere ancora più speciale
la ricorrenza, anche a tavola. Per una scelta più ampia, potete invece fare riferimento alla lista dei migliori vini degustati da vinialsupermercato.it nel 2015.

VINO ROSSO:
1) Amarone 2012 Pagus Bisano
2) Villa Antinori Rosso Toscana Igt 2013, Antinori
3) AsiOtus, vino varietale Mgm Cuneo

Un Amarone, dunque: vino veneto per eccellenza, ottenuto mediante una vinificazione che lo rende di per sé uno dei vini più affascinanti al mondo. E’ il frutto dell’amore tra uve Corvina e Rondinella. Poi un rosso toscano d’eccellenza, prodotto da uno dei migliori marchi del vino made in Italy, Antinori: frutto dell’incontro tra Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Merlot e Syrah. E, infine, quello che potremmo definire l’outsider, la sorpresa: AsiOtus, o Asio Otus, vino varietale prodotto nella zona di Cuneo, risultato accattivante dell’unione perfetta tra uvaggi Cabernet, Merlot e Syrah.

VINO BIANCO:
1) Langhe Bianco Divin Natura, Teo Costa
2) Gewurztraminer Leda, Aneri
3) Vignes de Nicole L’Assemblage Blanc, Paul Mas Domaines

Vogliamo suggerirvi un bianco “naturale”, capace di mostrare carattere, ma senza causare il mal di testa: Langhe Bianco Divin Natura di Teo Costa è il bianco che fa la caso degli intolleranti ai solfiti, prodotto in Piemonte senza aggiunta di solforosa durante la vinificazione. E’ il frutto dell’amore tra uve Sauvignon Blanc e Roero Arneis. Ecco poi l’immancabile Gewurztraminer, più difficile a dirsi che a bersi: vino di grande struttura, prodotto dall’ottima casa Aneri di Verona e imbottigliato nei pressi di Bolzano, in Alto Adige. Gradazione alcolica sostenuta, carattere e aromaticità da vendere, è il risultato dell’unione tra uve Gewurztraminer, Riesling, Sauvignon, con l’aggiunta di un 5% di un uvaggio che resta “segreto”. Ci spostiamo infine in Francia per il sorprendente Assemblage Blanc di Paul Mas Domaines: uve Sauvignon Blanc, Picpoul, Viognier e Chardonnay in perfetto equilibrio. Innamorate, insomma.

BOLLICINE:
1) Valdobbiadene Superiore Cartizze Docg, Col Del Sol, Drusian
2) Do Case Asolo Prosecco Docg, Ricci (magnum)

Immancabile lo spumante per San Valentino. E allora abbiamo scelto due bollicine venete, differenti Prosecco ottenuti dall’amore tra uve Glera e altre varietà autoctone locali. Cin Cin! Ma a tal proposito vogliamo anche segnalarvi due prodotti che abbiamo di recente toccato “con mano”, nel meraviglioso regno della Franciacorta. Al supermercato potete trovare la linea Cuvée imperiale di Berlucchi. Vi suggeriamo Vintage Millesimato e Max Rosè.

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“Vendemmia 2015 da record? Solo per l’industria del vino”. La denuncia di Francesco Paolo Valentini

Francesco Paolo Valentini non è mai stato uno di quelli che, per dirla in gergo, la mandano a dire. Produttore di successo di vini e di olio nel suo Abruzzo, è stato ospite nei giorni scorsi della trasmissione Tg2 Insieme. Un’occasione imperdibile per cantarle manco fosse a San Remo. Nel mirino del vignaiolo, prima di tutto anche agricoltore, le pompose “dichiarazioni giornalistiche” in base alle quali, quella del 2015, è stata una vendemmia straordinaria.

“Bisogna sfatare il mito dell’annata siccitosa come garanzia di elevata gradazione alcolica del vino – ha dichiarato Valentini – perché non è vero: sussiste piuttosto una fittizia gradazione zuccherina, dovuta a disidratazione dell’acino, ma in realtà non c’è evoluzione, perché qualunque organismo vivente, vegetale e animale, per eccesso di caldo blocca la propria crescita”.

A tal proposito, Valentini ha eseguito uno studio delle vendemmie delle varietà Trebbiamo d’Abruzzo e Montepulciano della propria azienda, dal 1817 al 2007. “Fino agli anni Settanta del Novecento – ha spiegato Valentini – la vendemmia avveniva durante la prima metà del mese di ottobre. Poi un crollo, che corrisponde all’aumento dell’industrializzazione con ricadute dirette, evidentemente, sull’effetto serra”.

Nel 2007 abbiamo addirittura vendemmiato le nostre varietà il 31 agosto, perché a quella data avevano raggiunto la giusta maturazione zuccherina . Il problema è che la maturazione dell’uva non è solo quella zuccherina”.

C’è anche quella fenolica, importantissima, perché riguarda il corretto sviluppo nell’acino di aromi, colori e profumi che saranno poi trasferiti al vino. “Se noi andiamo ad analizzare i vinaccioli, cioè i semini dell’uva che ha la corretta maturazione zuccherina – ha evidenziato Valentini – vediamo che questi sono verdi, cioè non evidenziano più una corretta maturazione fenolica. Non hanno una colorazione marrone, cioè non c’è un processo di lignificazione. La stessa polpa, che aderisce ai vinaccioli, è aspra. E la materia colorante, le materie polifenoliche, sono instabili, cioè non mature”.

A RISCHIO LE PRODUZIONI ARTIGIANALI

Ma le anomalie non si fermerebbero qui. “Abbiamo assistito a un crollo di parametri come quello dell’acido malico – ha aggiunto il viticoltore – e i Ph tendono ad alzarsi. Durante la fermentazione tumultuosa, ovvero la fermentazione alcolica, chi non utilizza lieviti estranei come l’artigiano, nota che i lieviti hanno subito una trasformazione, ovvero hanno maggiore virulenza: le temperature di fermentazione spontanea, cioè non controllata, risultano particolarmente elevate. Noi artigiani siamo un avamposto e notiamo tutto”.

Per questo, secondo Francesco Paolo Valentini, “gli agricoltori dovrebbero avere il coraggio di raccontare le cose come stanno al posto di seguitare a raccontarci tutti gli anni la solita storiella dell’annata migliore di sempre“.

“Ci sono giornalisti con proprietà chiaroveggenti – ha denunciato Valentini – che sembrano predire l’esito di una vendemmia due o tre mesi prima che venga portata a termine. Nella vita ci sono priorità e l’utile non è solo quello economico. Abbiamo il dovere di informare l’opinione pubblica su quello che sta accadendo, in modo che si possano prendere provvedimenti“.

Sempre secondo Valentini, il danno riguarderebbe direttamente solo le piccole imprese vitivinicole. “Riuscire a gestire i cambiamenti climatici è difficile per noi, cerchiamo piuttosto di assecondare quello che accade, anche perché le nostre sono produzioni artigianali ed è fondamentale mantenere il pieno rispetto della materia prima, al contrario delle lavorazioni industriali che interferiscono con la materia prima. Riuscirci è sempre più difficile e sempre più improbabile e, alla lunga, non sappiamo come andrà a finire”.

“Nella lavorazione industriale – ha evidenziato Valentini – si riesce a sopperire a maturazioni che non sono complete, in un modo o nell’altro. Nella lavorazione artigianale questo non può avvenire”. Insomma, per Valentini la vendemmia 2015 sarà sì straordinaria. Ma solo per gli enologi delle grandi cantine.

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Cecchi punta gli occhi sull’Alto Adige: Castelfeder entra in distribuzione

La distribuzione della Famiglia Cecchi si arricchisce e diversifica ulteriormente grazie all’inserimento dell’azienda Castelfeder di Egna (Bolzano) che va ad affiancare la maison di Champagne Collard Picard e Castiglion del Bosco di Montalcino. “Crediamo fondamentale intraprendere un percorso di lungo termine con la famiglia Giovanett – dichiara Luca Stortolani, direttore commerciale Italia della Famiglia Cecchi – che produce vini straordinari e con la quale condividiamo visione e filosofia. Allo stesso tempo siamo certi che mettere a disposizione della nostra ormai strutturata forza vendite un’azienda altoatesina con queste caratteristiche, possa essere un ulteriore motivo di crescita”.  “Per Castelfeder – aggiunge Ivan Giovanett – è stato fondamentale sapere che dietro a una distribuzione ci fosse non solo  un’azienda commerciale in grado di garantire certi risultati, ma anche una famiglia con cui condividere gli stessi valori umani e professionali”. La casa vinicola Luigi Cecchi e figli Srl è tra le aziende toscane maggiormente rappresentate nelle catene della grande distribuzione italiana. Al quartier generale di località Casina dei Ponti 56, a Castellina in Chianti, provincia di Siena, si affianca oggi una realtà altoatesina fondata nel 1970 da Alfons Giovanett.

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Montefalco Sagrantino Docg 2009 Laurenzia, Vignaboldo Umbria Brogal Vini

(3 / 5)Vi siete mai sentiti spossati, giù di corda, fuori forma? Ecco come deve sentirsi il Montefalco Sagrantino Docg 2009 Laurenzia del Vignaboldo Umbria, imbottigliato da Brogal Vini Srl a Bastia Umbra. Un vino che non offre certamente al consumatore del supermercato la migliore espressione di un vitigno che fa del tono, della vigoria e dell’agonismo olfattivo e gustativo il suo tratto distintivo. Presentato giustamente come il vino top di gamma dell’azienda umbra di via degli Olmi 9, giudichiamo il prezzo (pieno) praticato da Esselunga un po’ esagerato al cospetto del riscontro degustativo ottenuto: corretto invece il posizionamento in fascia promozionale, in un’ottica prettamente legata al rapporto qualità prezzo. Montefalco Sagrantino Docg 2009 Laurenzia del Vignaboldo si presenta nel calice di un rosso granato con riflessi violacei. Al naso le percezioni derivanti dal lungo affinamento in legno sovrastano note fruttate di more selvatiche, appena percettibili: domina il cuoio, stretto a cintura attorno al collo della piccola bacca nera. In bocca risulta caldo, più fruttato che al naso, dotato di buona speziatura, asciutto. Il tannino risulta ancora troppo invadente, aspetto che ci porta a considerare la bottiglia pronta, ma con discreto margine di evoluzione futura. Fondamentale stappare un’ora prima della consumazione. L’abbinamento perfetto è quello con la selvaggina e la carne arrosto. Il Sagrantino Vignaboldo 2009 si attiene al disciplinare di produzione di una Docg che consente la produzione di questo vino solamente in quattro piccoli comuni della provincia di Perugia: Montefalco per intero, nonché in porzioni del territorio di Bevagna, Gualdo Cattaneo, Castel Ritaldi e Giano dell’Umbria, chi più chi meno vocati alla produzione di questa straordinaria espressione monovarietale italiana.

Prezzo pieno: 13,49 euro
Acquistato presso: Esselunga

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De Novo Calepino Igt Bergamasca: la triste storia del novello rimasto sugli scaffali del supermecato

Peggio del vino in brik. Peggio del vino “da discount”. Peggio che…peggio non si può. Non s’era mai visto un prezzo così, al supermercato, per un vino in bottiglia di vetro. Il “record” spetta (suo malgrado) al De Novo Calepino Igt della Bergamasca, vino novello dell’azienda vitivinicola Il Calepino di Marco Plebani. Certamente a insaputa della casa produttrice di Castelli Calepio, in provincia di Bergamo, il novello in questione è stato posto in promozione smaltimento dalla catena di supermercati Gigante al prezzo di 0,90 euro. Novanta centesimi. Il prezzo della bottiglia non varierà fino al 9 marzo 2016, quando le scorte di De Novo Calepino rimaste nei punti vendita dovrebbero essere ormai terminate, grazie alla spinta della super offerta shock. Si tratta dell’esempio lampante di come agisca la Gdo nei confronti del vino che intenda “smaltire”. Nelle scorse settimane, lo stesso novello bergamasco era in promozione al 50%, rispetto al prezzo pieno di 4,99 euro col quale è stato posizionato sugli scaffali a partire dal 30 ottobre scorso, come previsto per legge per i vini novelli 2015. Troppo poco, evidentemente, per “fare fuori” (è il caso di dirlo) il novello più costoso dell’intero assortimento.

E così, dagli uffici di Bresso dell’azienda milanese che dal 1972 opera nella grande distribuzione organizzata, si è deciso per una vera e propria “decapitazione”: 90 centesimi. L’iniezione letale, per dirla all’americana. Del resto, il novello (italiano) è un vino di pronta, prontissima beva. Da consumare in autunno. O, al massimo, nei successivi 6 mesi dall’inizio della commercializzazione. E possiamo assicurarvi che la regola vale anche per il Novo Calepio Igt Bergamasca dell’azienda vitivinicola Il Calepino, che non supera la nostra prova di degustazione per un letterale (nonché fisiologico) inasprirsi dei toni del blend tra Marzemino e Merlot, ricetta di successo che la casa di Castelli Calepio porta avanti da ormai trent’anni. Al di là dello shock emozionale, va detto che il prezzo praticato dalla catena Il Gigante per smaltire la scorta di novelli è in linea con l’andamento del mercato di questa tipologia di vini. Che nell’arco degli ultimi dieci anni risulta in vera e propria caduta libera. Così come la produzione.

Secondo i dati forniti da Assoenologi, fino al 2005 venivano prodotte in Italia 17 milioni di bottiglie di vino novello, contro i 3-4 milioni del 2015. Un dato che scende a 2 milioni, secondo il report di Coldiretti. Un vino, insomma, che non va più di moda, anche se segna tuttora un momento di festa per molte cantine, al termine della vendemmia. Ecco, dunque, perché il povero vino novello De Novo Calepino ha dovuto subito una tale onta. Lui che – siamo certi – sarebbe finito volentieri prima in un carrello della spesa. E poi sulla tavola di qualche cliente, già a ottobre dello scorso anno. Ad accompagnare, oh sì, un piatto fumante di caldarroste.

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L’e-commerce al tempo dei vignaioli Fivi: il futuro è ancora da scrivere

“E-commerce? Una parola bellissima, che presuppone un concetto geniale: poter acquistare su Internet, comodamente seduti davanti al proprio pc, o attraverso smartphone. E ricevere la merce direttamente a casa, in un paio di clic”. Non ha dubbi Daniele Chiappone, produttore di ottimi vini piemontesi nell’Astigiano e membro della Federazione italiana vignaioli indipendenti, sull’utilità del commercio elettronico di beni di vario genere e utilità. Peccato che non possa parlare alla stessa maniera dell’e-commerce di vino. “Il problema – spiega – è che gli alcolici sono sottoposti ad accise che variano di Stato in Stato, come stabilito dall’Unione europea. Questo tipo di regolamentazione, tuttavia, danneggia soprattutto i piccoli produttori. Se da un lato produrre meno di mille ettolitri all’anno garantisce meno costi, per esempio non avendo sul groppone i costi di un magazzino fiscale e del reperimento di un importatore per l’estero, dall’altro essere piccoli produttori comporta percorsi accidentati dovuti alle pressioni delle lobbies della Cee”. Daniele Chiappone (nella foto, sotto) parla con i numeri alla mano. Riferisce, per esempio, che “spedire una bottiglia in Spagna o Portogallo, con consegna in 3-5 giorni lavorativi, costerebbe 57 euro”. Cifra che scende a 55 per la Francia. Sessanta euro per il Benelux. Cinquantanove euro per la Grecia e 71 euro per la Svezia. “Più bottiglie spedisci – spiega Chiappone – meno paghi le spese di spedizione. Ma le cifre restano altissime: per un collo di sei bottiglie spedito in Spagna o Portogallo, 135 euro. In Francia 135 euro. In Belgio, Olanda o Lussemburgo 130 euro. Per la Svezia ne occorrono 135”. Peggiora la situazione fuori dai confini dell’Europa. Alcuni esempi? Spese di spedizione di 86 euro per una singola bottiglia negli Usa o in Canada, che diventano 147 euro se si vuole spedire in Giappone. Eppure è un Paese europeo, moderno e spesso citato quale modello politico e sociale, a detenere il triste record: la Finlandia. “Come per altri Stati del Nord Europa – spiega il vignaiolo piemontese della Fivi – in Finlandia sussiste il monopolio dello Stato sugli alcolici. Qui è la macchina statale che rallenta il meccanismo di libero scambio delle merci, secondo il proprio interesse: il vino è sottoposto a una tassazione esagerata, mentre non vale lo stesso per la birra, che gode di accise più leggere. Tutto ciò genera distorsioni sul prezzo finale al consumatore che causano l’impossibilità stessa della vendita, con costi di spedizione che, per una singola bottiglia, arrivano a toccare i 200 euro”. A far lievitare i costi di spedizione, va detto, non sono solo le accise dei singoli Stati. Bensì la burocrazia.

IL “SISTEMA NIZZA” COME MODELLO
“Le compagnie che si occupano di trasporti – spiega Daniele Chiappone – sono chiare al momento del preventivo relativo a spedizioni in Europa o all’estero. Una parte consistente dei costi ricade sulla necessità di sbrigare un numero incredibile di procedure burocratiche e compilazione di documenti doganali di cui si occupano le stesse aziende che effettuano spedizioni, che hanno istituito uffici ad hoc per evitare di incorrere in sanzioni”. Ma allora che senso ha l’Unione europea? “In questo caso nessuna – risponde piccato Daniele Chiappone – e le cose non cambieranno finché le lobbies continueranno a farla da padrona. Quel che è grave è che si fa tanto, a livello territoriale, per favorire oggi fenomeni come l’enoturismo. E poi ci perdiamo nella burocrazia, aggravando produttori e consumatori di costi che, con una gestione migliore dell’intero apparato, si potrebbero evitare”. Il produttore cita per esempio il ‘Sistema Nizza’, “che funziona davvero, perché è tutto leale”. “I produttori – dichiara – ci sono e sono leali, i vigneti e le colline ci sono e sono leali, i ristoranti ci sono e sono leali. L’accoglienza c’è ed è leale. La passione dei produttori c’è ed è leale. Per forza funziona il Sistema Nizza. Se con la ‘scusa’ di far visitare le colline che producono vino ai turisti americani o giapponesi io li accolgo in modo tale da fargli vivere anche tutto il resto del territorio, facendoli sentire a casa o ospitati come dei re, questi vorranno tornare a Nizza e parleranno bene di questa zona, una volta tornati nei loro Paesi d’origine. Questo modello – continua Chiappone – è replicabile ovunque, in tutta Italia e anche in altri settori, al di là di quello vinicolo. Basta che ognuno faccia la sua parte per migliorare veramente le cose, ovviamente se si vuole migliorarle realmente…”.

FIVI INSISTE IN COMMISSIONE EUROPEA

Ed è una parte da leone quella che sta facendo la Federazione italiana vignaioli indipendenti in Commissione Europea. La presidente Matilde Poggi ha scritto ai ministri delle Politiche Agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo Economico Federica Guidi per sollecitare l’adozione di accordi bilaterali per la libera circolazione dei vini all’interno degli Stati membri. “Accogliamo evidentemente con favore – scrive oggi ai ministri Matilde Poggi, presidente Fivi – il fatto che la Commissione preveda la creazione di uno sportello unico. Tuttavia, se le tempistiche sono troppo lunghe, l’unica soluzione possibile nel breve termine rimane la conclusione di accordi bilaterali tra gli Stati membri. Abbiamo bisogno di soluzioni concrete e immediate per far si che le nostre aziende rimangano competitive. In attesa di una soluzione comune europea – conclude Matilde Poggi –  chiediamo al governo di mettere in atto al più presto gli accordi bilaterali per la vendita diretta dei nostri vini a destinazione degli altri paesi europei”.
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Carignano del Sulcis Doc Le Bombarde, Cantina Santa Maria La Palma Alghero

(2 / 5) Carignano del Sulcis Doc Le Bombarde, distribuito dalla Cantina Santa Maria La Palma di Alghero ed imbottigliato nella zona di produzione. Effettivamente il Carignano del Sulcis Doc poco centra con Alghero e con le sue rinomate spiagge “le Bombarde” che danno anche il nome di fantasia a questo vino. Il territorio del Carignano del Sulcis, come previsto dal disciplinare, si trova infatti esattamente a sud di Alghero, verso Cagliari. La vendemmia sotto la nostra lente di ingrandimento è la 2012. Il Carignano del Sulcis Doc Le Bombarde si presenta nel calice di color rosso rubino, leggermente granato all’unghia. Ad un primo esame olfattivo presenta note fruttate a bacca nera con qualche leggero sentore erbaceo e speziato, ma il problema si presenta facendo roteare il calice. Con questa operazione arriva purtroppo un sentore di “muffa”. Questo difetto è un problema arginabile lasciando areare un po’ il vino e così facciamo. Al gusto non si percepisce più e forse un consumatore meno attento non se ne sarebbe accorto. Ma noi sì. E questo ha compromesso definitivamente la nostra degustazione. Una volta svuotata la bottiglia, anche da lì è arrivato lo stesso odore. Peccato davvero, anche perché abbiamo bevuto decisamente meglio spendendo la metà. Speriamo si tratti solo di un lotto di produzione, anche se, per dovere di cronaca, facciamo presente come il Carignano del Sulcis Doc Le Bombarde non sia presente sul sito Internet dalla Cantina Santa Maria La Palma di Alghero. Una scelta commerciale? La Cantina Santa Maria La Palma di Alghero è una realtà fatta da circa 300 viticultori per circa 700 ettari vitati nata negli anni Sessanta. Per la linea “Le Bombarde” attualmente figura sul sito aziendale solo un Cannonau Doc, prodotto da vitigni situati proprio “in prossimità di quella meravigliosa spiaggia”. Che la sparizione del Carignano del Sulcis Doc sia quindi dovuta alla scelta di produrre e imbottigliare direttamente? Il Carignano del Sulcis Doc deve essere prodotto con uve Carignano per minimo 85%. E’ consentito il blend per un massimo del 15% con altri vitigni a bacca rossa non aromatici idonei. Si abbina a primi piatti o carni.

Prezzo pieno: 5,98 euro
Acquistato presso: Bennet

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