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Premio Qualità Italia 2017: i vini premiati

Diciotto Premi Qualità Italia, 59 menzioni e 43 Speciali attestati regionali. La terza edizione del Premio Qualità Italia sarà ricordata per il record di iscrizioni che sono pervenute in Abruzzo dalle cantine di tutte le regioni italiane.

I degustatori della Scuola di Alta Formazione e Perfezionamento “Leonardo” di Città Sant’Angelo (PE), che organizza il Concorso, incoronano il Veneto (3 Premi Qualità Italia, 8 Menzioni e 3 Speciali Attestati regionali). A seguire l’Abruzzo (2 Premi Qualità Italia, 12 Menzioni e 6 Speciali Attestati regionali), l’Emilia Romagna (2 Premi Qualità Italia, 5 Menzioni e 3 Speciali Attestati regionali) e la Liguria (un Premio Qualità Italia, 5 Menzioni e 5 Speciali Attestati regionali).

“Ma l’edizione 2017 – commentano gli organizzatori – ha evidenziato anche un certo fermento enologico e una maggiore predisposizione alla promozione della qualità da parte di regioni come la Sicilia, la Campania, la Calabria, le Marche, la Puglia, l’Umbria, il Piemonte e la Sardegna, che hanno ottenuto ottimi risultati”.

LE CATEGORIE
Il Premio Qualità Italia ha beneficiato anche quest’anno della supervisione del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. Partner istituzionale dell’evento, lCamera di Commercio di Teramo.

Sei le categorie di vini in gara: Igt (Rossi, Bianchi e Rosati), Doc (Rossi annate 2016, 2015, 2014, 2013, 2012 e precedenti, Bianchi annate 2016, 2015 e precedenti, Rosati), Docg (Rossi, Bianchi e Rosati); Vini frizzanti (Rossi DOC e IGT, Bianchi DOC e IGT, Rosati DOC e IGT); Vini spumanti (Rossi VSQ, DOC VSQ e IGT VSQ, Bianchi VSQ, DOC VSQ e IGT VSQ, Rosati VSQ, DOC VSQ e IGT VSQ); Vini passiti (DOC, IGT).

I vini premiati saranno presentati alla prossima Fiera di Odessa, in Ucraina. Di fatto, le degustazioni del Premio Qualità Italia si sono svolte in presenza di una delegazione ucraina, interessata a conoscere da vicino l’enologia italiana.

I VINI PREMIATI
Categoria vini rossi Igt
: “Versosud Susumaniello” Puglia Igp 2013, I Pastini Srl

Categoria vini bianchi Igt: “Clivia” Terre degli Osci Igp Falanghina 2016, Cantina sociale San Zenone Soc Coop Srl

Categoria vini rosati Igt: “Clivia” Terre degli Osci Igp rosato 2016, Cantina sociale San Zenone Soc Coop Srl; “Lumare” Calabria igt rosato 2016, Tenuta Iuzzolini Soc Agr Ari

Categoria vini rossi Doc annate 2016 e 2015: “Contesa” Montepulciano d’Abruzzo Doc 2015, Società agricola Contesa di Rocco Pasetti & C.

Categoria vini rossi Doc annate 2014 e 2013: “Il fondatore” Montepulciano d’Abruzzo Doc riserva 2014, cantina Miglianico Soc Coop Agricola

Categoria vini rossi Doc 2012 e precedenti: “Cà volpare” Valpolicella Doc classico superiore Ripasso, Azienda agricola Bonazzi Dario e Fabio

Categoria vini bianchi Doc 2016: Costa d’Amalfi Doc Ravello bianco 2016, Cantine Marisa Cuomo Srl

Categoria vini bianchi Doc 2015 e precedenti: “U baletta” riviera ligure di ponente Doc Pigato superiore 2015, Vitivinicola Enrico Dario Ss

Categoria vini rosati Doc: “Filieri” Cannonau di Sardegna Doc rosato 2016, Cantina Dorgali Soc Coop

Categoria vini rossi Docg: “Gran maestro” Offida Docg rosso 2012, Cantine di Castignano Scac Soc Coop Agricola

Categoria vini bianchi Docg: Offida Docg Pecorino 2016, Azienda agricola Centanni Giacomo; “Spatuss” moscato d’Asti Docg 2016, Terrenostre Sca

Categoria vini frizzanti rossi Doc-Igt: “Rosso della signoria” Lambrusco mantovano Dop vino frizzante 2016, Cantina sociale di Gonzaga Soc Agricola Coop

Categoria vini frizzanti bianchi Doc-Igt: “Cà duchi” colli di Scandiano e di Canossa spergola Dop vino frizzante 2016, Agricola reggiana di Ferrari e Coloretti sa

Categoria vini spumanti bianchi Vsq, Doc Vsq, Igt Vsq: Colli piacentini Doc Chardonnay spumante 2016, Cantina Valtidone Scarl

Categoria vini passiti doc: “Cimillýa” passito di Pantelleria Doc 2014, Azienda agricola S. D’ancona & f.; “Parco del venda” colli euganei fior d’arancio Docg passito 2015, Vitivinicola Parco del venda

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Caso Scotti: l’Unione nazionale Consumatori vigila su Caduta Libera

“In linea generale la pubblicità non deve mai essere occulta e camuffata. Il Codice del Consumo, all’articolo 22, prescrive di indicare sempre l’intento commerciale di una pratica. Qualunque trasgressione può essere segnalata all’Antitrust per le opportune valutazioni”.

E’ quanto afferma l’Unione Nazionale Consumatori in merito al caso Caduta Libera, il programma di Canale 5 condotto da Gerry Scotti. Il conduttore, come denunciato da vinialsuper, avrebbe più volte fatto riferimento alla propria linea di vini della Doc Oltrepò Pavese, in vendita dal mese di maggio in diverse catene di supermercati.

LENTE D’INGRANDIMENTO
Secondo indiscrezioni, l’organismo che vigila sulla tutela dei diritti dei consumatori in Italia avrebbe inviato agli uffici competenti la documentazione sul caso Scotti. L’obiettivo sarebbe quello di stabilire se ci si trovi di fronte a semplici coincidenze o a violazioni di legge.

Per la seconda ipotesi non basterebbero sospetti. Servirebbero piuttosto precisi indizi. Sufficienti, dal punto di vista legale, per provare eventuali illeciti. Su Caduta Libera avrebbe puntato gli occhi anche l’Antitrust, che tuttavia “non rilascia commenti su casi specifici”. Almeno in questa fase.

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Vini al supermercato

Squinzano Dop Rosso Riserva 2013, Corte Aurelio

(3,5 / 5) Un vino a due marce, da aspettare nel calice per comprenderlo fino in fondo. E’ lo Squinzano Dop Rosso Riserva “Corte Aurelio”, marchio Lidl. Una Denominazione raramente riscontrabile sugli scaffali dei supermercati, fuori dai confini della Puglia. Coraggiosa la catena tedesca della grande distribuzione a proporlo nei propri store, al prezzo (sconcertante, per certi versi) di 2,99 euro.

Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper, la vendemmia 2013. Nel calice, lo Squinzano Dop Rosso Riserva Corte Aurelio si presenta di un colore rosso rubino impenetrabile. Una bella tinta, tipica dell’uvaggio Negroamaro. La prima impressione all’olfatto non è invece delle migliori. Si limita, di fatto, al calore dell’alcolicità: la percezione, monocorde e poco definita, è quella dei frutti rossi sotto spirito. Troppo presto, però, per catalogare lo Squinzano di Lidl tra i vini al supermercato meno lodevoli.

Pian piano, di fatto, l’ossigenazione fa il suo lavoro sul nettare. Ecco che le note fruttate cominciano a prendere forme note: domina la scena la ciliegia, accanto a ribes, lamponi e more selvatiche. Netto lo spunto vegetale tipico della macchia mediterranea: salvia, rosmarino, ginepro. Poi, zafferano e pepe nero a folate.

In bocca la complessità non è certo pari a quella espressa al naso. Lo Squinzano Dop Rosso Riserva Corte Aurelio di Lidl si conferma vino di alcolicità sostenuta. Nonostante ciò, un nettare connotato da una grande semplicità di beva.

Alle note fruttate di ciliegia e lampone risponde un tannino vivo ma tutt’altro che “verde”, cui fa eco una bilanciata sapidità. Sufficiente la persistenza. In cucina, ottimo l’abbinamento di questo Squinzano Dop con le carni rosse in generale, con predilezione per le lunghe preparazioni e la selvaggina. Ottimo con primi a base di ricchi ragù di carne.

LA VINIFICAZIONE
Come spesso accade da Lidl, quasi impossibile risalire alla cantina produttrice e all’esatta tecnica di vinificazione. Sull’etichetta, di fatto, è indicato solo l’imbottigliatore: la solita V.E.B. di Bardolino, ovvero Enoitalia.

Di certo la Doc Squinzano, come da disciplinare, racchiude i vini prodotti nell’omonimo Comune della provincia di Lecce, oltre a quelli ottenuti per almeno il 70% dai vigneti di Negroamaro nei comuni di Novoli, San Pietro Vernotico e Torchiarolo e, solo in parte, nei Comuni di Campi Salentina, Cellino San Marco, Lecce, Surbo e Trepuzzi. Tutte realtà della provincia di Lecce e Brindisi.

Possono concorrere al blend la Malvasia nera e altri vitigni a bacca rossa coltivati nella zona. In generale, la predilezione è per il Sangiovese (massimo 15%). Lo Squinzano “Riserva” deve affinare per almeno due anni in cantina, di cui almeno 6 mesi in botti di legno. Da qui la complessità di un calice a due marce, come quello di Corte Aurelio.

Prezzo: 2,99 euro
Acquistato presso: Lidl

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Vini al supermercato

Caviro, il gigante del Tavernello. Tra Slow (Wine) e Rock ‘n’ Roll

Anche Golia ha un cuore. E batte slow. Very slow. Il gigante romagnolo del Tavernello, lo stesso capace di imbottigliare 2 milioni di ettolitri di vino l’anno, si avvale di due enologi attivisti di Slow Food e Slow Wine.

Il gigante in questione di nome fa Caviro, leader indiscusso del mercato nazionale del vino al supermercato. Tra i primi dieci al mondo per fatturato, con 304 milioni di euro. Nulla a che vedere con la Chiocciola di Carlo Petrini? Solo in apparenza. Pietro Cassani e Giacomo Mazzavillani (nella foto, sotto), rispettivamente responsabile del laboratorio enologico e del processo di lavorazione vino alla Caviro di Forlì, sono lì a dimostrare il contrario.

Il volto meno conosciuto della più grande cooperativa agricola italiana. Un impero fondato sui numeri, ma anche sulla qualità. “La costanza nella riconoscibilità dei nostri prodotti sul mercato – spiega Giordano Zinzani, responsabile Normative e Tecniche Enologiche di Caviro – è per noi il primo sinonimo di qualità, che riusciamo a garantire grazie al confronto trentennale con i nostri conferitori di uve e al lavoro dei nostri enologi. Un aspetto che ci viene riconosciuto da 7 milioni e 200 mila famiglie consumatrici in Italia”.

“I nostri standard qualitativi – precisa Zinzani – sono dettati da frequenti panel di assaggio dei prodotti dei nostri competitor internazionali. A livello operativo, invece, stimoliamo le 34 cantine conferitrici, situate da nord a sud del Paese, con un sistema di liquidazione che invogli a fare sempre meglio in vigna, di vendemmia in vendemmia”.

Tredicimila i viticoltori che fanno parte della famiglia Caviro, in sette regioni d’Italia. Trentasette mila gli ettari di vigneti lavorati, in totale. Tradotto: la cooperativa romagnola produce, da sola, l’11% dell’uva italiana. E’ grazie a questa grande disponibilità che i blend Tavernello riescono ad essere sempre uguali negli anni. “Riconoscibili dal consumatore”, per dirla con Zinzani.

Un puzzle, anzi la sintesi, “del meglio della produzione annuale dei vigneti dei conferitori”, assemblati da uno staff di 6 enologi (cinque di stanza a Forlì, uno a Savignano sul Panaro, nei pressi di Modena), tre analisti di laboratorio e quattro impiegati all’Assicurazione qualità.

“Il numero degli enologi, in realtà – spiega Giordano Zinzani – si aggira sulla cinquantina. I primi controlli vengono effettuati dalle nostre cantine associate, in loco. Le uve arrivano a Caviro già vinificate, secondo i rigidi parametri dettati ai viticoltori. Solo in questa fase, si assiste all’intervento diretto del nostro personale, che degusta e testa i campioni e li assembla, dopo aver identificato il blend più consono alle esigenze del mercato di riferimento, che sia italiano o estero”.

Altra faccia della medaglia, la produzione di vini a Indicazione geografica tipica (Igt) e a Denominazione di origine controllata (Doc), “in cui – commenta Zinzani – puntiamo a garantire, valorizzare e conservare la tipicità dei singoli territori”.

LE UVE CAVIRO: IL SISTEMA DI LIQUIDAZIONE
Dal Friuli Venezia Giulia arrivano principalmente Merlot, Cabernet, Refosco, Pinot Grigio, Glera, Chardonnay e Sauvignon (una cantina associata, 1790 ettari). Dall’Emilia Romagna Sangiovese, Lambrusco (principalmente Sorbara), Merlot, Ancellotta, Trebbiano, Chardonnay, Albana e Grechetto Gentile (14 cantine, 19.002 ettari). Dalla Toscana giungono Sangiovese, Brunello, Merlot, Trebbiano e Vermentino (2 cantine, 1.090 ettari).

Dall’Abruzzo Montepulciano, Trebbiano, Pecorino e Chardonnay (9 cantine, 8.218 ettari). Dalla Puglia Primitivo, Negroamaro, Malvasia Nera, Nero di Troia, Chardonnay, Bombino e Verdeca (3 cantine in Salento, 922 ettari). Dalla Sicilia, infine, Nero d’Avola, Syrah, Grillo, Catarratto, Inzolia e Grecanico (6366 ettari, una cantina: la Petrosino di Trapani, seconda per dimensioni in Italia solo a Settesoli).

Uve che hanno un prezzo. Di fatto, è sul terreno della liquidazione dei conferitori che si gioca una delle partite più importanti per Caviro. “Di anno in anno, verso dicembre – spiega Giordano Zinzani – la cooperativa stabilisce un budget per i vini. Viene stabilito un minimo garantito, che viene corretto in base alla conformità agli standard richiesti”.

Le sorti dei viticoltori è delle cantine associate a Caviro sono nelle mani di uno staff di enologi che si riunisce una volta alla settimana, a Forlì. “Tutte le singole partite – evidenzia Zinzani (nella foto) – sono valutate in funzione della qualità specifica di quel campione. Ogni ritiro viene catalogato e degustato da una commissione composta dagli enologi Caviro e da quelli delle stesse cantine associate. Degustazioni che, ovviamente, avvengono alla cieca, sulla base di schede di valutazione Assoenologi, con punteggio in centesimi. Questo punteggio, assieme alla rispondenza dei caratteri analitici, contribuisce alla modifica del prezzo base garantito ai soci”.

Raffaele Drei, presidente della Cooperativa Agrintesa, non ha dubbi. “Oggi Agrintesa è il socio più grande della compagine sociale Caviro e tramite il Consorzio colloca direttamente al consumatore una quota importante del proprio vino. Siamo fortemente impegnati e interessati alla crescita sia come quota di mercato che come modello di filiera vitivinicola integrata”.

“I fattori di successo per i soci Caviro sono stati ben delineati dai direttori delle Cantine intervenuti all’ultimo incontro con la base sociale: Cristian Moretti, direttore generale Agrintesa, Roberto Monti, direttore della Cantina Sociale Forlì e Predappio, Fabio Castellari, direttore della Cantina Sociale Faenza. Tutti hanno sottolineato, come comuni denominatori di crescita e sviluppo, l’avanguardia qualitativa per una buona liquidazione dei soci, l’innovazione e la capacità di differenziare”.

Rispetto alle zone più lontane dalla “base”, ai soci viene riconosciuta una cifra che si aggira attorno ai 35 centesimi al litro. Per i viticoltori dell’Emilia Romagna, si sale sino a 45 centesimi con il Lambrusco. I picchi si toccano con i vini Igt, 60 centesimi al litro, e a Denominazione di origine controllata, valutati in media fino a 1 euro. Cifre che Zinzani snocciola senza timore.

“Fra i principali tratti vincenti – aggiunge Raffaele Drei – sono stati individuati la concentrazione e specializzazione dei centri di vinificazione, la capacità di realizzare velocemente progetti di produzione per vini con caratteristiche diverse e una buona integrazione di pianura e collina. Per i soci di Caviro è di fondamentale importanza poter ragionare in una logica di mercato fatta anche di liquidazioni differenziate su molteplici variabili, come lo stabilimento, l’area di produzione, le giornate di conferimento e l’effettiva qualità. Merito anche di una base sociale caratterizzata da coesione e ricettività, aperta a un ricambio generazionale in grado di garantire uno sguardo sul futuro”.

IL TOUR
E che Caviro sia proiettata al futuro, lo si capisce al primo sguardo dello stabilimento di Forlì. Dall’esterno, gli 82 serbatoi del sito produttivo di via Zampeschi 117 offrono bene l’idea delle dimensioni del business della cooperativa, con i loro 340.578 ettolitri di capacità complessiva. All’interno, altri 133 “silos” contenenti vino, per un totale di 126.670 ettolitri. Caviro, per chi non l’avesse capito, è questo, prima di tutto: una delle maggiori cantine italiane, con serbatoi per un totale di 467.248 ettolitri complessivi. E’ qui che staziona il vino prima delle chiarifiche e delle filtrazioni, che anticipano la stabilizzazione.

Centonovantaquattro milioni di litri le vendite a volume del colosso romagnolo nel 2016, suddiviso tra i brand Tavernello, Castellino, Botte Buona, Terre Forti, Romio, VoloRosso, Salvalai, Cantina di Montalcino, Da Vinci, Leonardo, Monna Lisa e Cesari. Export in 70 Paesi. Due le linee per l’imbottigliamento. Quella nuova, inaugurata a settembre dello scorso anno, ha una velocità di 18 mila bottiglie l’ora. La più vecchia risale agli anni ’90 ed è ancora in funzione, anche se in fase di ammodernamento.

In quest’area dello stabilimento, il prodotto finito viene movimentato su pallet da veri e propri robot. “Le chiamiamo navette – precisa l’enologo Pietro Cassani, che guida il tour -. Si muovono autonomamente su percorsi prestabiliti del magazzino di stoccaggio e sono solo uno degli aspetti all’avanguardia del sito produttivo di Forlì”. In uno degli angoli dello stabile, di fatto, sembra aprirsi una porta temporale sul futuro. Roba da farti sentire – almeno per un attimo – un po’ come Donny Darko, alle prese col suo coniglio gigante.

Un magazzino da 10 mila posti pallet completamente robotizzato, col quale alcune catene della Grande distribuzione (o, meglio, i loro Ce.Di, i centri distributivi delle varie insegne) hanno la possibilità di connettersi via web, emettendo ordini che vengono indirizzati direttamente a una delle 14 “ribalte” del magazzino, in base alla destinazione. Ti pizzichi la guancia mentre osservi quel braccio meccanico, senza il minimo controllo umano, andare a pescare proprio quel pallet, lassù.

La voce dell’enologo Cassani, Cicerone per un giorno, ti riporta alla realtà, poco più in là. Davanti alle bobine di Tetra Pak pronte per la sterilizzazione, prima di essere riempite di vino in impianti simili a quelli utili per “inscatolare” latte. Guardi in faccia i dipendenti uno ad uno, credendo che all’improvviso salti fuori Michael J. Fox. Aguzzi le orecchie per sentire qualcosa d’altro (che so? Johnny B. Good, per restare in tema).

Ma il suono, sottile e monotono, è quello della catena di montaggio dei brik di Tavernello. L’unico elemento che, nel suo piccolo, ricorda quella chitarra rosso fiammante. Altro che quattro quarti. Qui si gira al ritmo di 7-8 mila pezzi l’ora, su un totale di 10 linee. Vino in brik pronto per il consumo, “senza pastorizzazione, bensì con filtrazione sterile”, tiene a precisare Cassani. L’enologo del rock’n’roll di Caviro.

Prima di raggiungere i laboratori d’analisi, dove l’intero staff è all’opera sugli ultimi campioni giunti allo stabilimento, ecco l’unica zona inattiva del magazzino: quella per il confezionamento dei “Bag in Box” da 3 e 5 litri, destinati sopratutto al mercato francese. La grandeur. Come formato, s’intende. Bien sûr.

IL FENOMENO TAVERNELLO
Italiana, italianissima, anzi romagnola (se no si offende), l’inclinazione (linguistica) di Elena Giovannini (nella foto). “L’upgrade qualitativo dei prodotti – commenta la responsabile Marketing Daily di Caviro – è stato uno degli obiettivi perseguiti dalla nostra azienda sin dal 1983, anno in cui abbiamo dato vita al vino in brik. Inizialmente era soltanto Sangiovese o Trebbiano. Poi, chiaramente, i volumi venduti erano talmente elevati che il sourcing non era più sufficiente a coprire la richiesta. I due vitigni sono ancora parte fondamentale dei nostri blend, vino bianco e vino rosso d’Italia”.

Cosa caratterizza questa marca? “Il fatto di garantire uniformità di gusto e una costanza negli anni – replica Giovannini – un grande pregio per i nostri consumatori”. Chi sono? “Il target è ben definito: è chiaro che si parla di quotidianità, ma anche di garanzia di un certo standard qualitativo”. La diversificazione dell’approccio al mercato del vino da parte dei consumatori, anno dopo anno, ha convinto tuttavia Caviro ad allargare la proposta di referenze, riunite sempre sotto lo stesso marchio.

“Nel 2010 lanciamo i frizzanti bianco e rosato – ricorda Elena Giovannini – come naturale prosecuzione della marca generica Tavernello, sempre a base delle nostre cantine sociali socie. Successivamente il lancio dello Chardonnay e, per la prima volta, vini di provenienza siciliana come il Syrah Cabernet: per la prima volta inseriamo vini di provenienza siciliana. Fino ad arrivare alla prima Doc che è il Pignoletto, proveniente dalle colline di Imola. Un vino non molto conosciuto fuori dai confini regionali, che noi abbiamo contribuito a distribuire sul mercato”.

“Facile dunque intendere come sul mercato internazionale il ‘Red blend’ Tavernello giochi un ruolo fondamentale – evidenzia la responsabile Marketing Daily di Caviro – dato che i tanti vitigni italiani non sono semplici da conoscere e da scegliere, per il consumatore straniero. Red blend, dunque, come sintesi della qualità italiana. Ovviamente abbiamo bene in mente qual è il nostro mestiere e il consumatore al quale vogliamo parlare, sia in Italia sia all’estero. E di conseguenza sviluppiamo prodotti adatti a quel tipo di esigenza: quella quotidiana”.

Un’azienda, Caviro, capace di rispondere col Pignoletto al fenomeno Prosecco. Un botta e risposta che lega il vitigno emiliano a quello veneto, anche dal punto di vista dialettico-ampelografico: Glera-Prosecco, Grechetto Gentile-Pignoletto. Inutile precisare che Caviro produca anche il re delle bollicine Charmat, grazie alle rinnovate sinergie con la Viticoltori Friulani La Delizia, in seguito all’inaugurazione della nuova sede di Orcenico Inferiore di Zoppola, il maggiore polo per la spumantizzazione del Friuli Venezia Giulia.

Tra i blend in degustazione segnaliamo, su tutti, il Trebbiano – Pinot Bianco Rubicone Igt 2016. Un mese e mezzo di legno per il Trebbiano, il resto acciaio. Altro vino dall’ottimo rapporto qualità prezzo al supermercato, tra i varietali, il blend tra Sangiovese e Merlot.

GLI ALTRI SEGMENTI DEL BUSINESS
Caviro, in realtà, non significa solo vino. La cooperativa romagnola è un vero e proprio universo circolare. “Il nostro modello di business – commenta Giordano Zinzani, tra l’altro presidente del Consorzio Vini di Romagna – è tale da iniziare in vigna per poi tornarci, con uno scarto sulla produzione quantificabile in un risicato 1%”.

Oltre al vino, la cooperativa romagnola è leader in Italia nel settore distilleria. Una diversificazione che consente a Caviro di inserirsi nel mercato dei farmaci, con la produzione – su tutti – di acido tartarico e delle “basi” alcoliche già addizionate di mentolo per il colluttorio Listerine, commercializzati dall’altro colosso Johnson & Johnson.

“In Francia vendiamo molti alcoli destinati alle liqueur d’expedition degli Champagne”, rivela Zinzani. Non ultimo il business del recupero degli scarti dell’attività di vigna, che consente a Caviro di produrre – oltre a derivati farmaceutici, alimentari e agronomici – anche energia.

Quella prodotta dal sito produttivo di via Zampeschi 117 sarebbe in grado di illuminare a giorno l’intera città di Forlì (120 mila abitanti). Energia che si tramuta in compost e fertilizzanti, chiudendo il cerchio col loro ritorno nelle vigne italiane dei soci. E allora tutto questo è slow, very slow o rock ‘n’ roll? Ai posteri l’ardua sentenza.

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Bacaro tour: il bere “ignorante” diventa “slow” con la linea vini Bakari

Metti assieme un vignaiolo, un enologo, un selezionatore, un ristoratore e un artista. Capirai il senso di una linea di “vini spensierati”, adatti alle occasioni più gioviali. Come i “Bacaro tour”, veri e propri viaggi lampo che prevedono andata e ritorno in una sera e un unico filo conduttore: l’alcol.

Una moda che spopola tra i giovani italiani, soprattutto in regioni del Nord Est come Veneto e Friuli. Un esempio? Partenza da Treviso, arrivo a Venezia. Lì, inizia il tour tra un “bacaro” e l’altro: locali, spesso osterie, in cui i ragazzi consumano vini al calice (ómbre) e piccoli spuntini (cichéti).

“L’intento – spiega Raffaele Bonivento, leader del progetto ‘Bakari #socialmentespensierati’ con un passato da vignaiolo nei cirucuiti VinNatur e Porhos – è quello di creare una linea di vini naturali, fatti bene, a un costo accessibile, che rispondessero a dei requisiti specifici: di facile beva, democratici ma non concettuali, laici e frivoli, privi di sovrastrutture etiche e culturali. In poche parole vini buoni e naturali alla portata di tutti”.

LA SQUADRA
Al fianco di Raffaele Bonivento, una squadra di professionisti del mondo del vino. Damiano Peroni, enologo che da oltre dieci anni lavora come consulente per aziende agricole. Stefano Menti, vignaiolo dell’azienda di famiglia a Gambellara (VI), che lavora in regime biodinamico ed è interprete della Garganega vinificata spontaneamente. Il ristoratore Luca Fullin, oggi ideatore e proprietario del Local, realtà emergente della ristorazione veneziana. E infine Emanuela Tortora, sommelier e illustratrice che si è occupata delle etichette.

Il nuovo marchio si presenta sul mercato con tre vini: Bianco, Rosso, Confondo. Tutti non filtrati, prodotti in quantità limitate, con l’indicazione di anidride solforosa in retroetichetta. Le uve vengono acquistate da produttori in regime biologico, biodinamico o in conversione verso questi regimi.

DOVE DEGUSTARE I VINI BAKARI
Sono diciannove i locali che i fondatori della nuova linea vini Bakari hanno scelto per presentarsi ai “bevitori socialmente spensierati”. Da sabato 24 giugno a sabato 8 luglio 2017 il pubblico potrà quindi conoscere e assaggiare in anteprima i vini nei locali selezionati al costo consigliato di 3 euro.

I locali coinvolti sono: Bacaro Risorto di Venezia; Estro – Vino e Cucina di Venezia; Osteria Plip di Mestre (Ve); DiningRoom di Mestre (Ve); Ristorante Local di Venezia; Hotel Pensione Wildner di Venezia; Misticanza 54 di Monselice (PD); Abituè di Treviso; Assaggi&Beccofino di Mogliano Veneto (TV); Il Punto della bice di Rovigo; Ca’ Bottona di Costermano (VR); Ai Troeggi di Genova; Banco vini e alimenti di Torino; Ristorante Consorzio di Torino; XI Comandamento di Ferrara; Enoteca Pisacane di Cervia (RA); Viva di Trieste; Vinello di Milano; Pura Vida di Mantova.

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Piero Di Betto nuovo presidente del Consorzio Tutela Vino Nobile di Montepulciano

Piero Di Betto è il nuovo presidente del Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano. Subentra ad Andrea Natalini, che si è dimesso dopo l’inaugurazione dell’Enoliteca “per motivi strettamente personali”.

La nomina è avvenuta all’unanimità lunedì 12 giugno, durante il CdA del Consorzio, ed è stata preceduta da un periodo di intense consultazioni con le aziende associate, che hanno dimostrato consenso e condivisione a questa presidenza.

Piero Di Betto, classe 1956, già sindaco di Montepulciano dal 1995 al 2004, durante l’ultima assemblea elettiva del 2016 era stato nominato consigliere del Consorzio e membro di Giunta come espressione della Vecchia Cantina di Montepulciano.

Il Consiglio di Amministrazione ha voluto ringraziare per il suo operato da presidente dei produttori Andrea Natalini, che durante il suo mandato ha visto portare a termine numerosi progetti, tra i quali il termine dei lavori di restauro della Fortezza, oggi sede degli uffici del Consorzio e dell’Enoliteca, oltre all’approvazione del Progetto integrato di filiera (Pif) della Regione Toscana.

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Al via l’80a Mostra Vini del Trentino: parola d’ordine “enodiversità”

Dal 1925 al 2017. Con qualche interruzione dovuta a problemi organizzativi o alla guerra, tanta è la strada percorsa dalla Mostra vini del Trentino. Un evento che festeggia in questi giorni l’ottantesima edizione all’insegna della parola d’ordine “enodiversità”. Confermandosi come una delle rassegne enologiche più longeve d’Italia.

Questa mattina a Palazzo Roccabruna si è tenuta la conferenza stampa di presentazione della manifestazione, cui hanno partecipato i rappresentanti degli enti organizzatori: Giovanni Bort, presidente della Cciaa di Trento, Bruno Lutterotti e Graziano Molon, rispettivamente presidente e direttore del Consorzio vini del Trentino, Elda Verones, direttrice dell’ApT di Trento, Monte Bondone e Valle dei Laghi, Roberto Stanchina, assessore comunale alle politiche agricole, Michele Dallapiccola, assessore provinciale all’agricoltura, Francesco Antoniolli, presidente della Strada del vino e dei sapori del Trentino.

“IL VINO E’ CULTURA”
Nell’introdurre l’incontro, Mauro Leveghi, segretario generale della Camera di commercio di Trento, ha ricordato le origini della Mostra, nata nel lontano 1925 allo scopo di far incontrare venditori e acquirenti del mondo del vino, ma trasformatasi negli anni: “Oggi la Mostra  ha un significato prettamente culturale, serve a dar forza al brand Trentino, a sostenere l’immagine del territorio all’interno e all’esterno di esso”.

Giovanni Bort, presidente dell’Ente di via Calepina, ha sottolineato come la Mostra sia da sempre “la cartina al tornasole dell’andamento del settore vitivinicolo locale e il riflesso di quella parte della società trentina che direttamente o indirettamente lavora nel campo vitivinicolo”.

“La Mostra è anche l’occasione per riflettere sulle prospettive del settore. Benché il mercato internazionale sia strategico per molte grandi imprese del vino, il Trentino non può più ragionare solo in termini di fatturato e di volumi”. Così Bruno Lutterotti, presidente del Consorzio, che ha sottolineato come le peculiarità organolettiche dei nostri vini derivino dalla variabilità delle componenti pedoclimatiche del territorio.

“Sarà sempre più importante quindi – evidenzia ancora Lutterotti – continuare con il percorso intrapreso di valorizzazione e tutela dell’ambiente in modo da gettare le basi, anche in termini di formazione, affinché le 6000 aziende del comparto possano essere pronte, se lo vorranno, per fare in futuro un salto verso forme di produzione di tipo anche biologico”.

“UN TRENTINO ENODIVERSO”
A rappresentare il Comune di Trento, l’assessore alle politiche agricole, Roberto Stanchina, che, oltre ad aver evidenziato il legame storico fra la mostra e la città, ha richiamato la necessità di stringere la collaborazione fra istituzioni, cantine ed operatori commerciali perché il vino trentino possa essere sempre più presente nell’offerta locale.

L’assessore provinciale all’agricoltura, Michele Dallapiccola, ha posto l’accento sull’importanza delle “differenze all’interno di un quadro complessivamente unitario”: “Vogliamo un Trentino enodiverso, che promuova la biodiversità in termini di specie viticole e di produzione. In quest’ottica allora perde di senso anche l’opposizione fra grandi cantine e vignaioli perché di fatto essa corrisponde a diverse segmentazioni del mercato. In virtù della propria identità ognuno può trovare la sua collocazione sul mercato rispondendo alle diverse attese del consumatore. Dalla pluralità dei suoi attori il settore trae forza”.

Infine il presidente della Strada del Vino e dei Sapori del Trentino, Francesco Antoniolli e la direttrice dell’Apt di Trento, Monte Bondone e Valle dei Laghi, Elda Verones,  hanno illustrato il contributo al programma offerto dalla rete dei bar, dei ristoranti e degli alberghi con proposte gastronomiche e pacchetti turistici dedicati. Ha concluso Graziano Molon, direttore del Consorzio vini del Trentino passando in rassegna le iniziative della 80^ edizione della Mostra e ricordando la collaborazione con il Movimento Turismo del Vino che nei giorni 27 e 28 maggio celebra la 25^ edizione di “Cantine aperte”.

IL PROGRAMMA DELLA MOSTRA
Le cantine partecipanti sono quarantadue, con oltre 130 etichette in degustazione. Da Palazzo Roccabruna, che è la sede principale dell’evento – nonché dell’enoteca provinciale del Trentino – le iniziative si estendono anche nei 22 locali della Strada del Vino e dei Sapori del Trentino che proporranno aperitivi e menù dedicati, oltreché nelle 18 cantine che aderiranno alla 25^ edizione di Cantine Aperte, consentendo ai visitatori interessanti escursioni nei luoghi in cui il vino nasce con degustazioni enologiche e gastronomiche (www.movimentoturismovino.it).

L’80^ edizione della Mostra offre un calendario ricco di proposte, in cui il vino incrocia la gastronomia, il Jazz ed altre coinvolgenti esperienze sensoriali. Si parte con le degustazioni ai tavoli dell’Enoteca giovedì 25 maggio dalle 17 alle 23. Stesso orario anche venerdì 26 maggio, mentre sabato 27 e domenica 28 maggio si apre alle 11 per chiudere rispettivamente alle 23 e alle 22.

Uno dei momenti qualificanti di questa ottantesima edizione è il talk show condotto da Nereo Pederzolli venerdì 26 maggio alle 17.00 a Palazzo Roccabruna: “Generazioni a confronto. Tra passato e presente uomini e donne del vino trentino”.

Pederzolli farà il punto su ottant’anni di mostra avvalendosi delle testimonianze di Elvio Fronza, Lucia Letrari, Giacomo Malfer, Filippo Scienza e Luigi Togn.

Jazz & Wine è l’appuntamento organizzato nella corte interna dell’Enoteca per trascorrere un’ora in compagnia del vino e del jazz “live” di Matteo Turella (chitarra), Luca Rubertelli (sax) e Giordano Grossi (contrabbasso) giovedì 25 maggio alle 20 e di Franco Testa (contrabbasso), Edoardo Morselli (chitarra) e Stefano Pisetta (batteria) venerdì 26 maggio alle 20.

Per chi invece preferisse un’immersione sensoriale fra luci, colore, musica, spettacolo e degustazione, ritornano anche quest’anno i laboratori del gusto “Divinisensi”, proposti da Carlo Casillo e Mariano De Tassis in collaborazione con il sommelier Mario Dorigatti: giovedì 25 e venerdì 26 maggio alle 19 e alle 21, sabato 27 maggio alle 18 e alle 21 e domenica 28 maggio alle 18 e alle 20 (prenotazioni allo 0461/887101).

Infine l’abbinamento cibo-vino: nella cucina di Palazzo Roccabruna i ristoranti Van Spitz di Frassilongo (venerdì dalle 19.00 alle 23.00) e Cant del Gal di Tonadico (sabato dalle 12.00 alle 23.00) si cimenteranno in piatti gustosi della tradizione abbinati ai vini in mostra.

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Radici del Sud: le novità dell’edizione 2017

Poco più di due settimane all’inizio di Radici del Sud, la settimana dedicata ai vini da vitigni autoctoni e agli oli del meridione. Saranno circa 350 i campioni di vino di tutte le aziende partecipanti, provenienti da Puglia, Basilicata, Campania, Calabria e Sicilia, che verranno assaggiati alla cieca dalle giurie composte da giornalisti e buyer sabato 3 e domenica 4 giugno.

Le due giurie saranno suddivise in 4 gruppi guidati dai due presidenti Alfonso Cevola e Daniele Cernilli coadiuvati rispettivamente da Ole Udsen, giornalista danese e dal collega Bernardo Conticelli. Nei 4 gruppi parteciperanno anche quattro enologi dell’Associazione Assoenologi e alcuni membri del circuito Vinarius.

Questo assetto delle giurie, adottato dallo scorso anno, consentirà una lettura più immediata dei risultati del concorso. Da una parte avremo il giudizio di chi tiene conto delle tendenze di mercato e vede con occhio di riguardo l’appeal esercitato dal vino in funzione delle richieste dei consumatori. Dall’altra la valutazione dei giornalisti provenienti da tutto il mondo, che potranno confrontarsi nel merito ciascuno delle proprie sensazioni.

La novità di quest’anno è che lunedì 5 giugno, durante il Salone del Vino aperto al pubblico, verranno decretati i 70 vini finalisti della manifestazione. Questi verranno nuovamente assaggiati dal 20 al 30 giugno da esperti e giornalisti del territorio nazionale, che decreteranno il miglior vino spumante, bianco, rosso e rosato della XII edizione.

La premiazione dei 70 vini selezionati e dei tre migliori vini si terrà il 27 novembre sempre al Castello di Sannicandro di Bari, durante l’evento Radici Wines Experience, che prevede anche un wine-tour con buyer e giornalisti stranieri. Per assistere al concorso e allo svolgimento delle degustazioni i produttori possono prenotarsi scrivendo a info@radicidelsud.it


GIURIE – Radici del Sud 2017

WINE-WRITERS

Gruppo 1
1. Daniele Cernilli – Italia
2. Alberto Lupini – Italia
3. Asa K. Johansson – Svezia
4. Elaine Brown – USA
5. Francesca Ciancio – Italia
6. Giacomo Bertolli – Italia
7. Giampaolo Giacomelli – Italia
8. Cristoforo Pastore – Italia
9. Jung Yong Cho – Corea del Sud
10. Michael Pinkus – Canada

Gruppo 2
11. Bernardo Conticelli – Italia
12. Giampiero Nadali – Italia
13. József Kosárka – Ungheria
14. Katarina Andersson – Svezia
15. Lorenzo Colombo – Italia
16. Mirco Carraretto – Italia
17. Monica Coluccia – Italia
18. Simon Cassina – Regno Unito
19. Tibor Vittek – Austria
20. Massimiliano Apollonio – Italia


WINE-BUYERS

Gruppo 1
1. Alfonso Cevola – USA
2. Anthony D’Anna – Australia
3. Bo Mao – Guangzhou, Cina
4. Carl Camasta – USA
5. Chun Ching Shih – Taiwan
6. David E. Sparrow – USA
7. Fernando Zamboni – Brasile
8. Helen Wen Lampecht – Canada
9. Jon Asboe – Danimarca
10. Pasquale Pastore – Italia

Gruppo 2
11. Ole Udsen – Danimarca
12. Jung Yong Cho – Corea del Sud
13. Alessio Fortunato – Cina
14. Li Dan Cao – Beijing, Cina
15. Lin Bin Yang – Guangzhou, Cina
16. Nuray Ali – Canada
17. Qi Gang Chen – Beijing, CINA
18. Terri Burney – Texas, USA
19. Yi Zhong – GuiYang, CINA
20. Evelin Hanson – Estonia


Radici del Sud 2017 – Salone dei vini e degli oli del Sud in breve
Dove: Castello Normanno Svevo di Sannicandro di Bari (BA)
Quando: 30 maggio – 5 giugno 2017
Orario di apertura al pubblico: Domenica 4 giugno dalle 15.00 alle 20.00; lunedì 5 giugno dalle 10.00 alle 20.00
Ingresso: kit di degustazione €15 (comprensivo di bicchiere, sacca portabicchiere e quaderno di degustazione) utilizzabile anche per la serata conclusiva. Coupon cena buffet € 20 (comprende la degustazione dei piatti realizzati dagli chef). Kit degustazione + coupon cena: € 35.
Parcheggio: disponibile
I minorenni non pagano l’ingresso e non possono effettuare degustazioni

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Approfondimenti

Export italiano di vino e uva: ecco la mappa

L’agroalimentare “made in Italy” nel mondo vale 38 miliardi di euro all’anno e cresce del 3,5%, secondo i dati della Camera di commercio di Milano. Ma per sapere dove va e da dove parte l’export, quali sono i maggiori mercati di sbocco e i prodotti più apprezzati arriva la mappa: “L’agroalimentare italiano nel mondo”, realizzata dalla Camera di commercio di Milano e Coldiretti, con Promos, azienda speciale della Camera di commercio per le Attività Internazionali. La mappa, disponibile in italiano e inglese, è scaricabile in Internet (http://www.promos-milano.it/Informazione/Note-Settoriali/Mappa-Export-Agroalimentare.kl). Un documento che arriva a poche ore da “Milano Food City”, la settimana dedicata al cibo e alla cultura della sana alimentazione, in programma dal 4 all’11 maggio, con oltre 320 eventi.

L’EXPORT DI VINO E UVA
L’export di vino e uva italiana vale 5,6 miliardi e segna un +4,3%. Il maggiori partner sono gli USA (24%), seguiti da Germania (17,4%) e Regno Unito (13,6%). I mercati emergenti sono quelli di Polonia (+27%), Repubblica Ceca (+20,1%) e Cina (+13,8%). Trai primi 20: Svizzera, Canada e Francia.

Per quanto riguarda uva e agrumi, il valore dell’export dell’Italia raggiunge i 3,4 miliardi, con un +2,9%. I maggiori partner sono Germania (29,6%), Francia (9,5%) e Spagna (5,6%). I mercati emergenti Austria (+13,7%), Arabia Saudita (+13,3%) e Slovenia (+12%). Tra i primi 20: Regno Unito, Svezia, Egitto.

L’AGROALIMENTARE
Spiega Giovanni Benedetti, Direttore della Coldiretti Lombardia e membro di giunta della Camera di commercio di Milano: “Expo ha dato un contributo significativo al confronto sul mondo dell’alimentazione che bisogna mantenere come punto di riferimento per le iniziative della città. Non è un caso che nel mondo il patrimonio eno gastronomico italiano sia tra i più copiati, con un valore che ogni anno raggiunge i 60 miliardi di euro, che vengono sottratti all’economia del nostro Paese”.

“Con un export agroalimentare che ha raggiunto i 38 miliardi di euro totali – continua Benedetti – parlare di cibo in Italia non è più solo un tema per addetti del settore, ma significa ragionare su quelli  che possono essere, per tutti, gli sviluppi economici e occupazionali di un comparto sempre più importante”.

Germania, Francia, Stati Uniti, Regno Unito e Svizzera concentrano la metà dell’export. Tutte le principali destinazioni sono in crescita, in particolare Stati Uniti (+5,7%), Francia e Germania (+3%). In ascesa anche la Spagna 6° (+7,2%) e i Paesi Bassi 7° (+6,2%). Ma i prodotti “made in Italy” raggiungono anche Giappone (al 10° posto), Canada (11°), Australia (16°) e Cina (20°).

In aumento soprattutto Romania (+16%) e Repubblica Ceca (+13%) ma torna a crescere anche la Russia, +10% (19°). E se la Germania e la Francia sono i primi acquirenti per quasi tutti i prodotti, gli Stati Uniti eccellono per vini, acque minerali e oli, la Spagna per pesce fresco, le Filippine e la Grecia per alimenti per animali.

In forte crescita la Corea del Sud per prodotti da forno e lattiero caseari, l’Austria e l’Arabia Saudita per uva e agrumi, la Cina per gelati e oli, la Romania per cioccolato, caffè, piatti pronti e pesce lavorato, la Libia per frutta e ortaggi, Hong Kong per carni, Etiopia e Kenya per granaglie, la Russia per alimenti per animali, il Belgio per cereali e riso, la Polonia per vini e la Spagna per acque minerali. Emerge da elaborazioni della Camera di commercio di Milano su dati Istat, anni 2016 e 2015.

I PRODOTTI MADE IN ITALY PIU’ ESPORTATI
Cioccolato, tè, caffè, spezie e piatti pronti con 6,2 miliardi di euro, seguiti dai vini con 5,6 miliardi di euro, vengono poi pane, pasta e farinacei con 3,6 miliardi di euro ma anche frutta e ortaggi lavorati e conservati, uva e agrumi con 3,4 miliardi di euro. Gli aumenti più consistenti si registrano per cioccolato, latte e formaggi, pesca e acquacoltura (+6%), oli e gelati (+5%), vini e granaglie (+4%).

I maggiori esportatori italiani? Verona con 2,9 miliardi di euro, Cuneo con 2,5 miliardi e Parma con 1,6 miliardi, Milano è quinta con 1,4 miliardi, il 4% del totale. Bolzano 4°, Salerno 6° e Modena 7°. Tra le prime venti posizioni la maggiore crescita a Venezia (+15%), Padova (+12%), Firenze, Torino e Bergamo (+11%).

LA LOMBARDIA
Con 5,9 miliardi di export, la Lombardia rappresenta più di un settimo del totale italiano. Oltre a Milano, 5° in Italia, tra le prime 20 ci sono anche Bergamo 12° e Mantova 18°. A crescere di più sono Lodi che raddoppia il suo export (+103,8%), Sondrio (+16,1%), Cremona e Varese (+11%).

La Lombardia per peso sul totale nazionale si distingue in pesci, crostacei lavorati e conservati, con il 38%: Como leader italiana (31%, +12,1%), Brescia 10° e Milano 14°, ma anche in prodotti lattiero-caseari dove rappresenta il 36,8% del totale con Mantova 3°, Lodi 4°, Cremona 6°, Brescia 7°, Bergamo 9°, Pavia 14° e Milano 15°. Pavia è invece al primo posto per granaglie, amidi e prodotti amidacei (16% nazionale).

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Una Docg per il Moscato di Canelli: partita aperta in Piemonte

Quattromila aziende coinvolte complessivamente nella filiera, su 9.700 ettari di superficie nelle province di Alessandria, Asti e Cuneo. Una capacità produttiva di 80 milioni di bottiglie, tra Asti e Moscato Docg, in cui la sottozona Canelli chiede di avere “maggiore peso”.

E’ il tema caldo delle elezioni del nuovo presidente del Consorzio Asti Docg, in corso da ieri nel sud del Piemonte, che non termineranno prima di sabato 22 aprile. Il gruppo di produttori nato più di 10 anni fa attorno a Canelli, in una zona compresa tra i Comuni di Castel Boglione, Bubbio e Loazzolo, ha avanzato in Regione la proposta di riconoscimento di una Denominazione di Origine Controllata e Garantita a sé stante. Una Docg in grado di valorizzare un “cru” che prenderebbe il nome di “Moscato di Canelli Docg”, o “Canelli Docg”.

“La nostra iniziativa – spiega Gianfranco Torelli, a capo dell’omonima cantina – non mira tout court a un’uscita dal Consorzio di Tutela dell’Asti Docg. Intendiamo piuttosto staccarci da questo grande mondo che è l’Asti: grande e importante, ma dentro al quale noi ci sentiamo un po’ stretti. Un mondo che non ci rappresenta più come vigneron del Moscato”.

“UN MILIONE DI BOTTIGLIE”
Oltre a Cantine Torelli di Bubbio, aderiscono alla richiesta di Docg importanti realtà della zona come Astoria, Ignazio Giovine, Cascina Barisel, Ezio Cerruti. Avrebbero mostrato interesse e già dato appoggio anche Tenuta Il Falchetto di Santo Stefano Belbo, l’Azienda Agricola Paolo Saracco di Castiglione Tinella, nonché Gianni Doglia e i Vignaioli di Santo Stefano. Aziende che, sommate assieme, garantirebbero alla nuova Docg una potenza sul campo “di circa un milione di bottiglie”.

“Nomi come questi – continua Torelli – ci consentirebbero in una decina di anni di modificare il nome della denominazione da ‘Moscato di Canelli Docg’ a, più semplicemente, ‘Canelli Docg’. Un’operazione possibile, grazie alla forza che potrebbero mettere in campo assieme le aziende in termini di marketing e comunicazione”. L’esempio a cui guarda il gruppo di produttori del sud Piemonte è quello del “Cortese di Gavi”, oggi noto a tutti col semplice nome “Gavi”. Al pari, il Nizza Docg.

I TEMPI
Gianfranco Torelli (nella foto) ha le idee chiare anche sui tempi necessari per realizzare il progetto. “Ci siamo dati come limite il 2018 – spiega il produttore – proprio perché siamo consci che non si tratta di un’operazione semplice. La sottozona Canelli è già prevista dal disciplinare di produzione. Il passaggio a Docg necessita l’appoggio della Regione, già ampiamente confermato dall’assessore Giorgio Ferrero, oltre all’avallo del Consorzio di Tutela, che deve far partire l’iter legislativo. Una volta eletto il nuovo presidente ed entrato in carica il nuovo direttivo, attenderemo un mese prima di chiedere un incontro ufficiale, nella speranza che sia portata avanti la linea già confermata dall’attuale direttivo”.

Il gruppo di promotori del Moscato di Canelli Docg è già stato accolto a Palazzo Gastaldi in Piazza Roma 10 dall’attuale direttore del Consorzio, Giorgio Bosticco. “Che in linea di massima – conclude Torelli – ha garantito il suo assenso e appoggio all’istituzione della nuova Docg”. Entro qualche settimana, dunque, le sorti del nobile Moscato di Canelli saranno segnate.

IL MOSCATO D’ASTI DOCG
Riconosciuto Docg nel 1993, il Moscato d’Asti deve essere prodotto secondo il disciplinare esclusivamente con il vitigno Moscato Bianco. La resa massima è di 100 quintali di uva per ettaro. Il Moscato d’Asti Docg è un vino di colore giallo parglierino brillante, che nel calice evidenzia una spuma fine e persistente. Al naso è fragrante, floreale. Il tratto distintivo è il sentore di salvia. Il sapore è delicatamente dolce, aromatico, caratteristico. La gradazione minima complessiva è 11 gradi, con alcool svolto minimo a 4,5.

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Vini al supermercato

Frappato Terre Siciliane Igt 2014 Nuttata, Cantine Madaudo

(2 / 5) Non è certo il miglior Frappato in vendita in Gdo il Terre Siciliane Igt Frappato 2014 Nuttata di Cantine Madaudo. Quello che poteva essere uno dei fiori all’occhiello della “Collezione di 9 etichette” che la cantina di Villafranca Tirrena dedica alle “notti stellate di Sicilia”, si rivela piuttosto un prodotto più vicino alla base che alla media qualitativa della gamma di vini siciliani presenti nei supermercati italiani. Al limite della definizione di “vino quotidiano”. Tant’è.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Frappato Nuttata Madaudo si presenta di un viola sostanzialmente impenetrabile. Al naso la parte migliore: buona intensità delle note di frutti di bosco e ribes, tra le quali fa capolino uno spunto vegetale che ricorda il peperone tipico del Cabernet (ma l’uvaggio utilizzato è 100% Frappato). Sempre sul terreno dei richiami vegetali, la carruba. Infine, all’olfatto, spazio anche per una spezia tanto comune nei vini siculi, il pepe nero.

Veniamo dunque all’esame gustativo, che determina la sostanziale bocciatura di quest’etichetta. L’acidità è spiccata, al limite del disturbante. Le belle note di frutti rossi avvertite al naso sforano nel citrico, nell’acerbo. Una sensazione appesantita dai 13 gradi di percentuale d’alcol in volume: letteralmente stonanti. Addio, dunque, alla piacevolezza della beva che ci si può attendere da un Frappato. E addio al corretto abbinamento (potenziale) con salumi, formaggi di media stagionatura, primi leggeri e antipasti in generale. Neanche da citare la possibilità di abbinamento con il pesce (tonno).

LA VINIFICAZIONE
Le uve Frappato crescono nei vigneti di proprietà di Cantina Madaudo, nella Sicilia Occidentale. In seguito alla selezione e alla diraspatura, gli acini vengono posti a macerare e fermentare per circa 15 giorni a temperatura controllata. La fermentazione malolattica viene svolta in vasche d’acciaio inox. Anche l’affinamento avviene in inox per circa 3 mesi e successivamente in botti di rovere francese, per altri 3 mesi. Una volta imbottigliato il vino rimane a riposare in magazzino per 1-2 mesi, prima di essere commercializzato. Il Frappato Terre Siciliane Igt Nutatta di cantine Madaudo è un vino da consumare entro 3 anni dalla vendemmia.

Prezzo: 2,90 euro
Acquistato presso: Coop

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Villa Favorita 2017, ecco i migliori vini bio. Nel 2018 il disciplinare VinNatur

Rifermentazioni indesiderate in bottiglia, acidità volatili altissime, difetti derivanti da macerazioni forzate, ossidazioni incontrollate. Please: reset. E’ tutto quanto ormai relegato al passato. Se il vino biologico galoppa (e in salita) tra le scelte dei consumatori moderni, il merito è di chi sperimenta, innova. Ammoderna e comunica bene la “nicchia”. Nella settimana che incorona il Veneto capitale del vino italiano, con tre eventi di assoluto valore in programma tra le province di Verona e Vicenza tra il 7 e il 12 aprile, una fetta da assoluta protagonista spetta – di fatto – all’edizione numero quattordici di Villa Favorita – Vinnatur 2017.

Qualità media altissima tra i vini dei 170 produttori provenienti da Italia, Austria, Francia, Germania, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Spagna. E una promessa che sa di vittoria per Angiolino Maule: dotare i vignaioli associati a Vinnatur di un vero e proprio disciplinare di produzione. “L’obiettivo iniziale di mettere assieme diverse culture, in modo tale che ognuno si arricchisse di quella dell’altro – spiega il presidente Vinnatur – è stato ampiamente raggiunto già nei primi anni 2000. A quel punto abbiamo capito di essere ormai all’interno del piccolo grande ‘orticello’ del cosiddetto ‘vino bio’. Ora non ci resta che lavorare a un disciplinare, sostenuto da un vero e proprio piano di controlli. Partiremo con una quindicina di aziende pilota, per vedere i punti deboli e quelli forti. Entro il 2018 intendiamo offrire ai consumatori la tracciabilità di tutte le aziende del circuito Vinnatur, dal germogliamento della vite alla messa in bottiglia”.

Si parla di un totale di 1800 ettari, in grado di garantire una produzione di circa 3,5 milioni di bottiglie. Pezzi unici, diversi di vendemmia in vendemmia. Perché il nemico numero uno di chi lavora nel “bio” è la standardizzazione. E tra gli alleati di Vinnatur, anche l’Università. Come quella di Verona, che con le 52 micro vinificazioni condotte per tre anni sui “campioni” della “banda Maule”, ha consentito di studiare da vicino i meccanismi che, oggi, consentono ai vignaioli di produrre vini naturali equilibrati, longevi. E soprattutto privi di difetti. Passi da gigante, insomma, a poco più di dieci anni dalla prima ricerca sulla fertilità biologica dei suoli, condotta nel 2006.

I MIGLIORI VINI DEGUSTATI
E allora citiamoli, uno per uno, i migliori vini degustati all’edizione 2017 di Villa Favita – Vinnatur 2017. La palma assoluta va a Podere Sequerciani di Gavorrano, Toscana grossetana. Divino il Vermentino, di cui vengono prodotte circa mille bottiglie l’anno. Affinamento in acciaio e giare di terracotta, con un piccola percentuale affidata invece alla barrique. Di colore giallo oro, offre una complessità aromatica memorabile, sia al naso sia al palato. Da provare anche due rossi di questa cantina della Maremma, specializzata nella coltura (e nella cultura) dei vitigni autoctoni: il Foglia Tonda, uva simile al Sangiovese, che affina per il 70% in giare di terracotta e il Pugnitello, che ricorda vagamente un Montepulciano, affinato invece per la maggior parte in barrique.

Sul podio anche l’Azienda Agricola Davide Spillare di Gambellara (VI), con il suo Bianco Rugoli 2015. Si tratta di un Veneto Igt da 12,5%, ottenuto dalla fermentazione spontanea di uve Garganega e Trebbiano. Un naso difficile da dimenticare e un palato rigoglioso, pieno, ampiamente soddisfacente di sorso in sorso. Un vero e proprio outsider, Davide Spillare, nella terra del Prosecco di massa. “Cerco di ottenere vini che valorizzino al meglio l’autenticità del territorio in cui sono cresciuto”, sostiene il giovane viticoltore cresciuto sull’esempio del pioniere del movimento Vinnatur, Angiolino Maule.

Indimenticabile anche il Sauvignon 2010 di Franco Terpin, azienda agricola friulana di San Floriano Del Collio, al confine con la Slovenia. Al naso incenso, lavanda, timo, verbena, sentori che sembrano librarsi nell’aria, attorno al calice, tanto delicati quanto netti e schietti. Una bocca quasi densa, per quanto corposa e ricca. Un Sauvignon che del Sauvignon “classico” ha ben poche rimembranze, se non per le tenui note erbacee che conferiscono morbidezza alla beva.

Bene, benissimo, anche l’intera produzione di Etnella Società Agricola Presa di San Gregorio di Catania. Siamo in Sicilia, alle pendici del vulcano Etna. Un’azienda condotta magistralmente da Davide Bentivegna, ex impiegato Siemens col pallino della viticoltura naturale. Uno con cui staresti a parlare per ore, davanti a un bicchiere di vino. Notti Stellate è il primo vino prodotto dalla sua cantina, nel 2010. Vigne di 70 anni, con una resa di 25 quintali per ettaro. Dodici giorni sulle bucce per le uve Nerello Mascalese e affinamento in tonneaux da 125.

Un vino di grandissima prospettiva (per la vendemmia 2015 segnare sull’agenda: ‘da riaprire fra 3 anni’) che già oggi si fa apprezzare per la pulizia delle note fruttate, piene, sia al naso sia al palato e la preziosa mineralità, prima soffusa e poi ben presente, soprattutto nel retro olfattivo. Stupendo anche Petrosa, altro rosso, da uve Nerello Cappuccio e Nerello Mascalese cresciute a 800 metri di altezza, su piante di 120 anni. Un signor vino dell’Etna.

Spicca, tra i produttori di spumanti italiani, Cà del Vent di Campiani di Cellatica, Brescia. Il VSQ 2014 Brut Rosè 2010 (sboccatura 2014), ottenuto da uve Cabernet Sauvignon e Sauvignon, regala un naso salino e di grafite, cui risponde un palato tra l’erbaceo e lo speziato: una “bollicina” unica nel suo genere, nel panorama di una Franciacorta che, ultimamente, tende alla standardizzazione.

IL RESTO DELLA PENISOLA
Tra gli altri italiani, memorabili anche il Pecorino Doc 2015 Machaon di Ausonia di Atri, Teramo: fermentazione spontanea delle uve Pecorino d’Abruzzo, naso tra l’erbaceo dei fiori secchi e l’etereo dell’arnica e dell’anice, ben calibrati su note agrumate, nonché palato meravigliosamente giocato tra il balsamico e il minerale, su note predominanti d’arnica e di candido verde dalla straordinaria persistenza; il “base” di Musto Carmelitano, Maschito (PZ), Basilicata, vendemmia 2014, è uno dei vini qualità prezzo migliori in assoluto degustati a Villa Favorita – Vinnatur 2017 (9,50 euro), ottenuto in purezza da uve Aglianico.

Menzione anche per la Falanghina Maresa Roccamonfina 2015 di Masseria Starnali, Galluccio, provincia di Caserta: semplice nella sua schiettezza ma tutt’altro che banale, un vino quotidiano per palati fini; risalendo la penisola, uno spazio di diritto spetta all’Emilia Romagna con l’Ortrugo Doc Ciano dell’Azienda agricola Lusenti di Ziano Piacentino, Piacenza: chi conosce e apprezza questo vitigno per la facilità di beva rimarrà colpito dalla pienezza delle note fruttate e da una bocca un po’ ruffiana (viene aggiunto mosto dolce prima dell’imbottigliamento), ma ben calibrata.

Chiude il quadro idilliaco di Villa Favorita – Vinnatur 2017 l’Oltrepò pavese, con l’intera linea Gaggiarone dell’Azienda agricola Alziati Annibale di Scazzolino di Rovescala, Pavia: Riserva, Vigne Vecchie e Dintorni sono tutti Bonarda Doc ottenuti da uve Croatina, capaci di far scordare per un momento il concetto di vino “brioso e quotidiano” legato al rosso oltrepadano più comune, addentrandosi nel mondo dei vini importanti e da lungo affinamento.

Il Gaggiarone Riserva 2005  conserva un tannino aggressivo e ci si chiede tra quanti anni (e se) potrà ammansirsi, mentre la vedemmia 2015 sarà da ricordare per la piacevolezza delle note di frutti rossi, prima che l’onnipresente tannino esca dalla tana, a sgagnarti le gengive; splendido anche il Riesling Vigneto del Pozzo 2012 di Piccolo Bacco dei Quaroni, azienda di Montù Beccaria (PV) che regala un bianco degno dei parenti d’Oltralpe (tedeschi e francesi): interessante valutare nei prossimi anni l’ulteriore evoluzione di un naso tutto idrocarburo, fiori e spezie, cui fa eco un palato di consistenza finemente minerale.

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Export italiano di vino, nuovo record: 5,6 miliardi nel 2016

L’Osservatorio del Vino rilascia i dati definitivi sull’export 2016 del vino italiano, confermando le proprie stime diffuse nei mesi scorsi. Anche questo è un anno da record: le esportazioni hanno raggiunto quota 5,6 miliardi di euro con un incremento del 4,3% sul 2015, che risulta inferiore, però, rispetto a quello del 2015 sul 2014 (+5,3%). I vini spumanti continuano ad essere i veri protagonisti di questo successo, con un valore di quasi 1,2 miliardi di euro (+21,4%) e un volume scambiato pari a circa 3,35 milioni di ettolitri (+19,9%). Il Prosecco guida questa domanda con un incremento del 23,9% a volume (quasi 2,3 milioni di ettolitri) e del 32,3% a valore (circa 885 milioni di euro).

Questi, i dati dell’Osservatorio del Vino relativi all’export 2016 del comparto, elaborati su base Istat da Ismea, partner dell’Osservatorio.

“Continua il trend positivo già annunciato dall’Osservatorio del Vino nei mesi scorsi – commenta Antonio Rallo, Presidente Osservatorio del Vino -. A parte i dati del Prosecco, non ci sentiamo di manifestare troppo entusiasmo perché cresciamo meno rispetto al 2015 e a ritmo più lento. Il fenomeno Prosecco va sostenuto con ogni mezzo affinché prosegua la brillante corsa iniziata da qualche anno – sottolinea il presidente Rallo -, ma non possiamo affidarci solo a questo prodotto per migliorare le performance del vino italiano fuori dai confini nazionali. Preoccupa, infatti, il dato relativo ai vini fermi in bottiglia. Il -4,5% fatto registrare dalle consegne oltre frontiera in questo segmento, accompagnato da un lieve arretramento dei valori dello 0,7%, deve far riflettere l’intero mondo produttivo”.

“Dobbiamo, quindi, definire nuove strategie per spingere altri vini italiani che stanno incontrando difficoltà nella crescita sui mercati internazionali – prosegue Antonio Rallo -. Si rivelano pertanto fondamentali progetti di promozione e comunicazione come quelli posti in essere da ICE per sviluppare attività mirate in Paesi chiave per le nostre imprese: in particolare negli Usa, primo mercato estero per i nostri vini, e in Cina. Tra i consumatori cinesi, registriamo una crescita a valore del 13,8% (101 milioni di euro) e a volume dell’11,4% (299mila ettolitri), ma siamo ancora molto lontani dalla Francia che ha migliorato le proprie performance ed esporta per un valore di 612 milioni di euro (+ 9,94%) e volumi di circa 1,79 milioni di ettolitri (+8,89%), come ci confermano i dati delle dogane francesi”.

“In questo senso – conclude Rallo – stiamo intensificando l’attività di UIV al fianco di ICE, proprio con l’obiettivo di migliorare il nostro posizionamento su questi mercati in termini di volumi di vino venduti e di incremento del valore medio a bottiglia”.

Il vino italiano a Denominazione vede incrementare complessivamente le esportazioni del 10,5% in valore (3,3 miliardi di euro) e del 7% in volume (8 milioni di ettolitri), confermando che la cultura del consumatore sta cambiando e la richiesta di vino è sempre più orientata verso prodotti di qualità. Vini e mosti nel complesso fanno registrare ottime performance nelle esportazioni 2016. Gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato di sbocco, dove si registra, sullo stesso periodo 2015, un incremento in valore del 5,5%, per un corrispettivo di 1,35 miliardi di euro, e in volume del 3,2% (3,3 milioni di ettolitri). La Germania, secondo Paese d’interesse per il nostro export, torna a crescere sensibilmente rispetto al 2015, con un +1,7 in valore (977 milioni di euro) e un +0,5 in volume (5,56 milioni di ettolitri).

La Francia si rivela quest’anno un buon cliente, acquistando 1 milione di ettolitri (+15,2%) per un valore di 155 milioni di euro (+8,8%). Nel Regno Unito, una leggera crescita in valore (+2,3% per un corrispettivo di 764 milioni di euro) e un deciso arresto nei volumi (-7,4% con 3 milioni di ettolitri), evidenziano la propensione del consumatore a scegliere vini di maggiore qualità, pagando un prezzo/bottiglia mediamente maggiore rispetto al 2015. In Cina il vino italiano cresce in valore del 13,8% (101 milioni di euro) e in volume dell’11,4% (299mila ettolitri). La Russia evidenzia un trend positivo con un +10% in valore (78 milioni di euro) e un +15% in volume (335mila ettolitri).

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Vino e datteri (omaggio) da Pubbli Store: il nuovo business del “Baffo” Roberto Da Crema

“Signora, guardi: di questi non sa quanti ne abbiamo venduti… Si fidi. Io stessa ne ho già comprati tre! E per fortuna non lavoro in Rinascente. Altrimenti sa quanta roba porterei a casa ogni giorno?”. Divisa gialla, cordialità, buona preparazione sulla merceologia esposta. Ma soprattutto una frase. Infilata tra un dettaglio tecnico e l’altro. Scandita come un mantra: “Ne. Abbiamo. Venduti. Tantissimi”. L’identikit non lascia spazio a dubbi: i dipendenti Pubbli Store sono stati ben addestrati da Roberto Da Crema, in arte “Il Baffo”.

Si fatica nel trovare un posto libero nel parcheggio dello store di San Vittore Olona, terzo punto vendita della nuova catena di “bazar” del televenditore più rumoroso d’Italia. E’ sabato pomeriggio e sono tanti i milanesi a caccia dell’affare shock, in quello che in tv e sul web viene pubblicizzato (e da chi, se non dal Baffo?) come lo “Store più risparmioso d’Italia”. E chi se ne frega del parere dell’Accademia della Crusca. Roberto Da Crema è sempre stato uno capace di guardare solo al sodo.

Tra le corsie affollate di questo grande magazzino del risparmio, ci siamo anche noi. Prima delle casse, il mondo ci crolla addosso: ecco spuntare una bella fila di pallet colmi di cartoni di vino. “Promozione tesserati: con l’acquisto di 6 bottiglie, in omaggio una confezione di datteri”. Tutto vero. Non è uno scherzo. Datteri. Dat-te-ri.

Forse per consolazione? Forse perché per battere sul campo i cinesi – maestri del low cost -non resta che l’omaggio? Può darsi. Fatto sta che con 2,29 euro ti porti a casa una bottiglia  di Castelli Romani Doc Bianco annata 2015, Borgo dei Vignaioli. Per la stessa cifra – datteri sempre compresi ogni 6 “bocce” – si può prelevare anche un “vino bianco” Regalmonte.

A 2,90 euro si può optare per un Alcamo Doc Fiorile, o per un Marche Rosso Belisario. A tenere alta la bandiera della Lombardia, il “vino rosso” Belvedere imbottigliato dalla Neuroniagrari Soc. Agr. Srl di San Colombano al Lambro, che altro non è se non quel Poderi di San Pietro che si fa apprezzare in Gdo con il Rosso dei Poderi proposto a 6,49 euro alla catena di supermercati Il Gigante.

“Il Baffo” Roberto non dimentica la Sardegna: ecco dunque il Cannonau Doc Cala Sarmentu 2015, distribuito da quelle Cantine Pirovano di Calco (Lecco) balzate di recente agli onori delle cronache per il presunto interessamento nelle quote di Cantina La Versa, storica e prestigiosissima realtà dell’Oltrepò pavese finita nelle mani del gruppo Cavit, in cordata con Terre d’Oltrepò.

Sempre nell’ottica di un perfetto abbinamento con i datteri, ecco la ciliegina sulla torta: la Cuvée Dolce Duchessa Lia, cantina piemontese di Santo Stefano Belbo che dietro a questo nome cela il proprio spumante dolce ottenuto da uve Moscato bianco. Prezzo? 2,49 euro per i tesserati Pubbli Store.

Occhio invece alle scadenze se preferite la birra al vino: la Tennent’s Extra Strong Lager che fa bella mostra di sé su un pallet espira il prossimo 31/05/2017. Abbastanza tempo per approfittare appieno dei 29,90 euro a cui viene proposto il cartone da 24 bottiglie, in formato 33 cl.

Nel 2012, quando è iniziata l’epopea Pubbli Store, Roberto Da Crema escludeva la possibilità di vendere alimentare. Solo trapani, phone per capelli, borse, scarpe e cappotti, per intenderci. Oggi, il business riguarda anche prodotti dolciari, sughi pronti. E vino. Tutto lecito. Purché non si parli di vera qualità “Made in Italy”.

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Falanghina Campania Igt 2016 Strangolagalli, Fattoria Alois

(4 / 5) Pluripremiata a livello nazionale per i prodotti destinati al mercato horeca, Fattoria Alois propone in qualità di imbottigliatore una linea di vini campani per la Gdo, appoggiandosi per la distribuzione a Caviro, la cooperativa emiliana del Tavernello (progetto Dalle Vigne). E lo fa con buoni risultati.

Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper finisce oggi la Falanghina Campania Igt Strangolagalli 2016, messa in bottiglia da Fattoria Alois Azienda Agricola Srl nello stabilimento di via Ragazzano, località Audelino di Pontelatone, in provincia di Caserta. Il vino si presenta di un giallo paglierino intenso, con riflessi dorati. Al naso è intensa, aromatica. Le note floreali fresche di ginestra e macchia mediterranea si mescolano piacevolmente a quelle fruttate (pera su tutte, ma anche banana).

Un olfatto che rivela una componente “minerale” importante, poi confermata da un palato sapido. In bocca, la Falanghina Strangolagalli svela un’acidità sostenuta, che gioca a rinfrescare la beva e a chiamare – assieme alla percezione di soluzione salina – il sorso successivo. Un vino decisamente secco, di alcolicità moderata (12.5%) ma comunque capace di scaldare e stuzzicare il palato, anche grazie a una chiusura agrumata, ravvivata da una spruzzata di polvere di zenzero ed anice. In cucina, perfetto l’abbinamento della Falanghina Strangolagalli ad antipasti leggeri e primi a base di frutti di mare. Un vino che si adatta bene anche a minestre o zuppe di verdura.

LA VINIFICAZIONE
La Falanghina è un uvaggio autoctono della Campania, che negli ultimi anni si sta imponendo sul mercato in maniera dinamica, proponendo versioni spumantizzate accattivanti. Strangolagalli è invece la versione ferma: quella fedele alla tradizione. Per mantenere e dare risalto agli aromi tipici del vitigno, la vinificazione avviene in maniera classica, con l’utilizzo dell’acciaio.

Prezzo: 6,90 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Enoturismo: Fivi in Senato per discutere il reddito agrario

La Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti – FIVI – chiede una semplificazione del nuovo disegno di legge sull’enoturismo. Una materia fondamentale, che necessita di essere normata, ma senza inutili complicazioni.
Su invito del Senatore Dario Stefano – relatore della legge – e in compagnia del Presidente del Movimento Turismo del Vino Carlo Pietrasanta, la Presidente Matilde Poggi ha portato le ragioni FIVI nell’audizione del 20 febbraio in Commissione Agricoltura del Senato sul disegno di Legge n. 2616 “Disciplina dell’attività di enoturismo”.

Diversi i punti su cui FIVI chiede delle modifiche, ma soprattutto delle semplificazioni. “Noi vignaioli facciamo già enoturismo da anni nelle nostre cantine – dichiara la presidente FIVI Matilde Poggi – abbiamo solo bisogno che venga normato l’aspetto fiscale. Chiediamo quindi che i corrispettivi relativi alle attività di visita e degustazione rientrino nel reddito agrario”.

FIVI propone inoltre che l’enoturismo sia risconosciuto come attività agricola e che non sia ricompreso tra le attività agrituristiche, come previsto dal disegno di legge. Ci sono perplessità anche sull’obbligo di partecipare a corsi di aggiornamento per avviare l’attività. La richiesta FIVI è che i corsi siano facoltativi e che per l’avvio di un’attività di enoturismo in cantina sia sufficiente presentare una SCIA ed essere in possesso dell’autorizzazione sanitaria.

Anche la discrezionalità lasciata dal disegno di legge alle regioni non trova d’accordo FIVI, in quanto possibile fonte di disparità fra le diverse zone d’Italia, come già avviene per gli agriturismi. Molto meglio pensare a norme minime condivise con tutte le Regioni.

Fra i lati positivi della legge invece il fatto che l’attività di enoturismo sia riservata alle sole aziende che al loro interno coprono tutte le fasi di produzione, dalla vigna alla bottiglia, tagliando fuori di fatto le aziende commerciali e valorizzando chi lavora sul territorio.

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Gerry Scotti divide l’Oltrepò pavese. Il Consorzio: “Una star che valorizzerà il territorio”

Quando i “nemici” ce li hai in casa da sempre, tanto da non notarli più, comodamente seduti sul (tuo) divano a guardare la (tua) tivù, sgranocchiando (i tuoi) pop corn, imbrattando d’unto il (tuo) telecomando, anche gli “amici” rischiano di sembrare “brutti ceffi” al videocitofono. Specie se suonano con qualche anno di (colpevole?) ritardo. Già perché non tutti – in quell’angolo chiamato Oltrepò Pavese, incastrato da uno sciamano tra il paradiso e l’inferno dell’enologia italiana – sarebbero disposti ad aprire la porta volentieri al “Gerry Scotti viticoltore”.

Lo “Zio” più amato dal pubblico televisivo italiano, trattato alla stregua dei Testimoni di Geova. Proprio nella sua terra d’origine. La reazione sui social alla notizia che il conduttore Mediaset inizierà presto a produrre una linea di vini con l’appoggio della storica cantina Giorgi di Canneto Pavese è stata a tratti rabbiosa, a tratti polemica e a tratti – rari – di curiosa aspettativa. In pochi, insomma, sono pronti a scommettere ad occhi chiusi sul “vino democratico” di Gerry.

TUTTI CONTRO GERRY
“Suppongo sarà l’ennesima porcheria commerciale – commenta sui social il primo dettrattore – solo a sentir dire ‘un vino frizzante’ mi viene la pelle d’oca”. Ne segue una sfilza. “Ma perché ognuno non continua a fare il suo mestiere? Faccia il conduttore e beva il vino che vuole. Se poi deve essere un’operazione di marketing la si faccia con buon senso”. “Meno male che arriva il Gerry Scotti a salvare l’Oltrepò Pavese con il suo vino ‘democratico’. Ma come, non precisa che è anche antifascista?”.

“Ma come si permette Gerry Scotti di parlare di vino a basso costo in Oltrepò?”, chiede un altro. “L’Oltrepò in giro per l’Italia è già vista terra di vini mediocri a basso costo. Ed avremmo anche necessità che Scotti promuova una sua linea di vini a basso costo? Direi proprio di no. Ben venga a questo punto un Tavernello… un prodotto da tavola senza denominazioni territoriali, legato ad un marchio privato e “costruito” con estrema semplicità, senza difetti”.

A far discutere è il prezzo di vendita, insomma. Che ancora nessuno conosce, dal momento che la presentazione della linea di vini di Gerry Scotti avverrà a Verona, in occasione di Vinitaly 2017. Qualcuno dei commentatori, di fatto, è più cauto. “Dipende tutto dal margine che uno vuole applicare. Diciamo la verità certi blasonati vini toscani, pensate possano davvero valere così tanto? E’ tutto valore aggiunto che i poveri consumatori associano a qualità, ma non sempre è proporzionale”.

Altri – ma sono pochi, pochissimi – criticano chi critica. “Io credo che Gerry Scotti intenda dire che ha un’idea di un vino “da tutti i giorni”, magari da 5 euro e che può essere comunque tecnicamente ben fatto. Non esageriamo nei complottismi, credo esprimesse l’idea di voler un vino non per forza esclusivo come quello prodotto ormai da tanti suoi colleghi Vip. Non attacchiamolo solo per un ‘pourparler‘ a Radio Deejay. Lui non intende essere il salvatore di nessuno (tantomeno dell’ Oltrepó Pavese) ha espresso solo un’ opinione e magari un suo progetto personale. Ma in Oltrepó c’è sempre da fare il tifo pro o contro a priori? Boh”. “Bisogna ancora intendersi sul vino ‘che costi poco’. Penso che non intenda fare beneficenza”, commenta un altro ‘compaesano’ di Gerry, in attesa di maggiori delucidazioni.

LA POSIZIONE DEL CONSORZIO
“Credo che si tratti di un’operazione che farà bene all’intero territorio – commenta Emanuele Bottiroli, direttore Consorzio di Tutela Vini Oltrepò Pavese -. Gerry Scotti ha parlato di ‘vino democratico’. Questo aggettivo, ‘democratico’, ha aperto a molti interrogativi. Sui social, gente ignorante, che non sa di cosa parla, si è scatenata dicendo che Scotti viene in Oltrepò a produrre un vino da taglio prezzo. E’ un’assurdità totale, un’idiozia. Credo che ci sia sempre da ricordare cosa vuol dire ‘prezzo democratico’ per una star del suo calibro, che colleziona orologi di lusso, è un amante del ‘bel vivere italiano’ e, soprattutto, è un personaggio che ha legato la sua notorietà a valori etici, a una grande umanità, a un grande rapporto con la gente”.

“Se il vino di Gerry Scotti, come pare, dovesse arrivare in Grande distribuzione e Gerry Scotti, che poteva scegliere di farlo ovunque, non solo è venuto in Oltrepò ma ha scelto come partner un’azienda come Giorgi, produttori di filiera e famiglia che lega la sua storia e la sua stessa esistenza al vino di qualità, beh, c’è solo da essere felici”, continua Bottiroli, sicuro che “l’operazione avrà un riverbero positivo su tutto il territorio”. “Credo che una grande star che sceglie di venire in Oltrepò Pavese sia un segnale di incoraggiamento per i nostri produttori, che non devono avere paura di combattere non sul prezzo più basso ma sulla qualità che si sposi anche col prezzo”.

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Live Wine 2017: percorso “anarco-emozionale” tra i vini artigianali

Chiudono oggi a Milano i battenti di LiveWine 2017, salone mercato dei vini artigianali giunto alla sua terza edizione. Evento diventato tappa obbligatoria per winelovers alla ricerca di emozioni nuove nel bicchiere, non sempre positive, talvolta omologate – checché se ne dica – e a volte davvero sconvolgenti. Difficile, per esempio nei panni dei neofiti, approcciare un percorso “lineare” tra i banchi d’assaggio presi d’assalto già dalle prime ore del mattino della prima giornata, sabato 18 febbraio.

“La vite è una pianta anarchica, va assecondata”, parole di Aurelio del Bono di Casa Caterina che intercettiamo al suo banco. Ed è assolutamente anarchico il nostro viaggio a LiveWine. “Via tacchi e taccuini” è il nostro motto della giornata: facciamoci trasportare dall’intuito.

Cominciamo il nostro tour con il vino del momento, il Prosecco. Non quello da spritz e aperitivo pre-serata.  Il nostro entrée è un Prosecco fuori dal comune, che tutti quelli che amano Prosecco dovrebbero provare per capire il tipo di evoluzione e la longevità che può avere l’uva Glera. Si tratta del Prosecco Colfondo di Casa Belfi. Vino bianco frizzante prodotto con uve glera 100% fermentato in acciaio con lieviti indigeni ed imbottigliato in primavera secondo il calendario biodinamico di Maria Thun. Una sorta di vinho verde “Made in Veneto“, ma non da consumare entro l’anno, tutt’altro.

 

 

 

 

 

 

Il colore è intenso  come il naso, esplosione di frutti e fiori con accentuate note sulfuree. In bocca discreto. Troviamo più interessante la versione in anfora, il naso è ancora più sulfureo e minerale e con invitanti sentori di crosta di pane. Per questa versione, l’uva diraspata viene posta in anfore di terracotta con macerazione  sulle bucce per 8 giorni cui segue pressatura soffice e fermentazione, sempre in anfora, a contatto con i propri lieviti fino a primavera . Il fascino dell’anfora fa la sua parte, ma in bocca risulta più equilibrato e godibile. Una buona spalla acida ed un corpo più  in carne del precedente.

Passiamo dal Veneto alla vicina Slovenia e raggiungiamo il banco di Movia azienda di ventidue ettari al confine con l’Italia. Stare lì davanti è come partecipare ad uno show. Polona, ammaliante presenza femminile al banco, maneggia con destrezza gli originali decanter. I calici col fondo sembrano crema whisky. Tre i vini proposti in degustazione. Il primo è un Lunar 2008 Ribolla, prodotto con uve da vendemmie tardive, raccolte a mano e messe a macerare ed affinare sulle bucce per otto mesi in botti di rovere.  Il secondo uno Chardonnay, stesso tipo di vinificazione.

Il terzo vino è uno spumante. Si tratta di “Puro”, blend di Ribolla e Chardonnay. Il vino base, viene fatto maturare 4 anni in barrique, ma a differenza dei metodo classico tradizionali, il liquer de tirage è semplicemente mosto. Una volta imbottigliato, Puro, nasce e vive a contatto con i suo lieviti fino alla sboccatura che viene fatta al momento di bere. E al dègorgement live, che si fa a testa in giù, con il collo della bottiglia nell’acqua e con l’ausilio di una specie di piede di porco da spumante (anche con l’aiuto di una mano maschile che non guasta) assistiamo. Per i vini di Movia non ci sono parole, schede a punti e parametri. Unici. Da provare.

 

 

 

 

 

 

Dirottiamo verso uno stand piemontese. Scegliamo Ezio Cerruti, piccolo produttore conosciuto in particolare per il suo Moscato Passito. Cerruti produce anche una versione di moscato secco e fermo. L’Asti Spumante e il Moscato d’Asti non gli piacevano, ci racconta, e con la stessa uva ha deciso di produrre qualcosa di diverso. Ha iniziato a produrlo nel 2012  non avendo idea di quanto durasse nel tempo. Ha scoperto recentemente che è anche un vino longevo. Ha prodotto 18 bottiglie per il suo consumo personale durante l’anno e, “pur non volendo bestemmiare”, sostiene che il 2012 che ha appena aperto “rieslingheggia”.

Scherziamo con Ezio Cerruti sul naso del Fol Moscato, che nonostante evidenti note minerali è assolutamente varietale. “E voglio ben vedere – ci risponde – se no sarebbe uno Chardonnay”. Il Moscato Fol di Cerruti in bocca è assolutamente gradevole. Una buona acidità sostiene una beva non banale. In versione passita ammalia con il suo colore ambrato intenso. Il naso è frutta secca pura. In bocca per niente stucchevole, fresco e con un finale ammandorlato e persistente.

 

 

 

 

 

 

Il nostro viaggio anarchico, da nord a sud, approda in Sicilia. Vicini di casa, anche qui agli stand due grandi aziende sicule. Marco De Bartoli di Contrada Samperi a 14 km da Marsala e Nino Barraco, altra contrada, sempre a Marsala. Il primo vino che degustiamo è il Grillo Terre Siciliane Igt di De Bartoli, in parte affinato in anfora. Un vino giovane e fragrante dal colore intenso e dalla spiccata mineralità. Tanta salinità, note iodate e agrumate: una grande freschezza a dispetto dell’alcolicità. Il secondo assaggio lo Zibibbo Terre Siciliane Igt.

Prodotto da vigneti allevati ad alberello pantesco, affina in fusti di rovere francese per almeno dieci mesi sulle fecce fini tenute in sospensione. Al naso “stende” con la sua complessità: note dolci di frutta, pesca ed albicocca disidratata in primis, seguiti, in bocca,  da una sferzata sapida e salmastra per un finale dalla persistenza disarmante. Emozionante,  in una sola parola. Quasi impossibile acquistarlo, sono in crisi al banco di De Bartoli per accontentare i winelovers.

Prima di spostarci dal vicino Barraco, un goccio del Vecchio Samperi del quale si è già detto tutto quanto si possa dire. Sublime al naso e al palato: caffè, tabacco, caramello, fichi, un gusto ed una finezza inimitabili. Ma non possiamo esimerci dall’esprimere anche due parole su Bukkuram. Un signor vino passito da uva zibibbo. Sontuoso al naso con sentori di miele, datteri, fichi secchi e marmellata di albicocche. Una complessità indubbia che viene confermata in bocca dove stravince per la morbidezza e con la spinta data dall’ottima acidità che bilancia il notevole residuo zuccherino. Persistente fino alla morte. Un vino da abbinare alla piccola pasticceria e dolci tipici siciliani. Dato il grande livello, un vino perfetto con formaggi stagionati oppure da abbinare al “nulla”, ergo,  da assaporare in maniera “contemplativa”.


“Seconda stella a destra questo è il cammino…”. E alla destra di De Bartoli troviamo l’azienda Nino Barraco. Non basterebbe un articolo intero per descrivere tutti i suoi vini. A Live Wine si presenta con una squadra e un modulo di gioco da finale di Champions League. Un crescendo di emozioni dai vini bianchi, nei quali sono eccellenti, ai rossi. L’idea aziendale di Barraco non è quella del vino “perfetto”, ma di un vino riconoscibile per personalità, in cui le note dissonanti partecipano prepotentemente alla caratterizzazione dello stesso. Missione compiuta.

Dal primo all’ultimo giocatore, ognuno ha la sua personalità. Il Catarratto in purezza 2015 al naso fonde perfettamente la pesca, l’albicocca, l’arancia e lo zolfo risultando ancora più intrigante al palato. Il Pignatello al naso è un mazzolino di timo e rosmarino. L’apice lo raggiungono due esperimenti, Si tratta di due rossi prodotti in purezza da vitigni autoctoni siciliani riscoperti recentemente del quale Barraco ha già intuito le potenzialità. Si chiamano Vitrarolo e Orisi. All’assaggio il Vitrarolo è una spremuta di liquirizia sostenuta da un buon corpo (molto meglio del Nero d’Avola). Impressionante la facilità della beva. Altrettanto speziato, con sentori di chiodi di garofano e pepe nero  l’Orisi. Una beva altrettanto facile, ma un corpo leggermente più debole. Rimandano a Pinot Nero e Nebbiolo per eleganza e finezza. Chapeau. Un battaglione fiero di vini eccellenti.


Tappa imprescindibile di LiveWine è Principiano, azienda tra Langhe e Monferrato. Cominciamo il nostro giro con una bollicina da uve Barbera, di nome“Belen”, Niente a che vedere con le farfalline, Belen è il nome della moglie. Si tratta di uno spumante rosè metodo classico prodotto da uve Barbera di Serralunga e Monforte. Per la presa di spuma viene utilizzato mosto delle stesse uve. Un prodotto tutto centrato sulle durezze. Acidità e mineralità di piacevole freschezza. Il secondo vino è il  Nebbiolo che fa solo acciaio. Prodotto dalle uve allevate sulle parti più basse, non vocate per il Barolo. Un Barolo declassato a Nebbiolo. Molto fresco e beverino, con note di rosa e frutti rossi. Buona qualità in un corpo medio.

Ma il prodotto top di Principiano è sicuramente il Barolo. Assaggiamo il Barolo Serralunga 2013: il classico Barolo con un ottimo rapporto qualità prezzo. Prodotto senza inoculo di lieviti e senza solforosa per circa un mese, l’affinamento di ventiquattro mesi avviene in botti di 20 e 40 ettolitri e successivamente nelle circa 20.000 bottiglie prodotte. Ad un prezzo al pubblico di circa 25 euro, Ferdinando Principiano lo ha pensato anche per la coppia giovane che al ristorante vuole prendere un Barolo senza “svenarsi”. Prezzo abbordabile, ma prodotto non banale. Di altra stoffa il Barolo Boscareto 2012,  fratello maggiore.

Nel bicchiere il colore è classico del Nebbiolo, di bella trasparenza e luminosità. Il profilo aromatico è di maggiore complessità rispetto al Serralunga 2013. Naso tutto giocato sulla frutta matura, in bocca è energia pura ed agilità pur mantenendo spessore. Un beva ben diversa da quella del Boscareto di annate precedenti, da quando Ferdinando ha cambiato il metodo di vinificazione, utilizzando uve con tutti i raspi. Barolo pronto, ma con ampia prospettiva.

 

 

 

 

 

 

Non possiamo non spendere due parole anche per Thomas Niedermayr, artigiano del vino che si crea addirittura i vitigni. La sua azienda si trova a San Michele Appiano.  Con il suo accento altoatesino ci introduce al suo mondo fantascientifico. I suoi sono vini da vitigni Piwi, acronimo tedesco che indica vitigni resistenti contro i crittogami.  Si tratta di incroci tra vitis vinifere e viti selvatiche. In etichetta il nome è l’anno di messa in produzione dell’impianto. Il nome, un codice, apparentemente freddo cela invece vini caldi. Tutti semi aromatici che rimandano a tanti vini. Sono tra loro simili eppure diversi per complessità.

Alcuni hanno principalmente rimandi fruttati esotici, spezie dolci. Tra il Gewurtztraminer, il Riesling, il Pinot, indefinibili, ma tutti con una bella cremosità. Molto bevibili, difficile scegliere il migliore. Dopo tutti questi bianchi non possiamo andare via senza Pinot Nero. Lo chiediamo a Thomas che ci guarda stralunato. Gaffe. Per noi il Pinot Nero sta all’Alto Adige come il Lambrusco al salame. Invece il rosso in degustazione è un’altra combinazione misteriosa di vitigni Piwi. Leggero e fruttato, un po’ in fondo ci sembra il Pinot Nero, sarà suggestione, fatto sta che ci conquista.

 

 

 

 

 

 

Non basta una sola giornata al Live Wine. Nel pomeriggio aumenta notevolmente la folla e diventa difficile avere informazioni dai produttori o solo ascoltare per il gran brusio nella sala. Ci vorrebbe una “seconda puntata”, per raccontare tutti i 138 vini che abbiamo degustato. Due appunti sull’organizzazione dobbiamo farli però. Il primo è che non è prevista tasca porta bicchiere, un po’ scomodo portarsi il bicchiere in mano. Prossima volta si porta da casa.

Secondo appunto sul salone-mercato. Di fatto sono pochissimi i produttori a vendere, nonostante il carrello verde indicato su tutti i banchetti (errore di stampa?). La povera Polona di Movia tenta in modo un po’ artigianale di comunicare anche visivamente che non vende.

Quelli che hanno capito tutto del salone mercato sono i francesi del Sauternes. I loro banchetti sembrano la cassa della sala scommesse,  addirittura dotati di Pos. Troppo avanti. Chi chiede un’annata a destra, chi a sinistra. I prezzi sono davvero competitivi. 25 euro per una Demi bouteille del 1975: quando ci ricapita a noi italiani?

 

 

 

 

 

 

Vino e cibo vanno di pari passo. Per fare “fondo” ai vini degustati merita una menzione speciale la parte street food di Live Wine. E per noi ha vinto lui su tutto, anche sui vini, il panino alla barese polpo e patate di Pantura.

 

 

 

 

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Penny Market, il “vino del mese” è un insulto all’Oltrepò. Per 2 euro, meglio il Syrah Pellegrino

Stride, sul collo della bottiglia, la fascetta della Doc, dopo il primo sorso di Camé, Bonarda dell’Oltrepò Pavese vendemmia 2016 imbottigliato dall’Azienda Vinicola M.G. Sas a Cassolnovo, piccolo borgo alle porte di Vigevano (non esattamente, dunque, “Oltre il Po”). E stride, ancor prima, il manifesto affisso al cestone del Penny Market,
nel quale sono rovesciate le bottiglie di quello che viene presentato come il “Vino del mese”.

La promozione è di quelle accattivanti: al vino in questione viene applicato uno sconto del 27%, che porta il prezzo da 2,19 euro a 1,59 euro. Per intenderci, il Bonarda Camé costa 2,12 euro al litro. Bastasse la convenienza, saremmo a cavallo.

Dal nostro esame, il prodotto ne esce – di fatto – a pezzi. Spuma assente, naso grezzo, palato impastato da una pastosità che ricorda il ritrito. Undici gradi e mezzo la percentuale di alcol in volume.

Un’acqua rossa che offende un territorio intero, per mano di una catena della grande distribuzione come Penny Market, che con questa etichetta – a dispetto di un assortimento che può vantare punte di eccellenza nel rapporto qualità prezzo, come l’imbattibile Bolgheri InSogno di Podere Guado al Melo, non a caso inserito nella nostra classifica 2015 delle migliori bottiglie di vino acquistabili al supermercato – tocca uno dei suoi punti più bassi.
Avrebbe potuto seguirla a ruota Esselunga, se non fosse che il Syrah 2014 Terre Siciliane Igt Costa Gaia è prodotto da un mostro sacro come Cantine Pellegrino di Marsala. Gente che, se rischia, lo fa coscientemente.

Il vino in questione, in sell out a spot la scorsa settimana nella catena di Caprotti al fantasmagorico prezzo di 1,99 euro (al netto di un 50 e rotti percento di sconto) risulta letteralmente “regalato” nel suo apparire nel calice perfettamente didattico (più che mai adatto, dunque, al pubblico della Gdo).

Classiche note del vitigno che spaziano dalla frutta rossa al pepe nero, unite a una facilità di beva strepitosa, nonostante i 13% che lo rendono tutt’altro che un “vinello” da quattro soldi.

Due vini, il Bonarda Camé e il Syrah Costa Gaia, capaci di mostrare il duplice volto del rapporto qualità prezzo del vino al supermercato. Saper scegliere, per scegliere bene.

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Sorgentedelvino Live: i vini “fatti in vigna” a Piacenza Expo

Da sabato 11 a lunedì 13 marzo 2017 Piacenza diventa la capitale del vino che rispetta la terra, la natura e le persone che lo portano sulla propria tavola. A Piacenza Expo si svolgerà infatti la 9a edizione di Sorgentedelvino LIVE – vini naturali, tradizione, territorio.

“Il vino si fa nella vigna” ribadiscono all’unisono i 150 vignaioli provenienti da tutta Italia e ed Europa per raccontare e far conoscere ad appassionati e addetti del settore le nuove annate in vendita diretta.

“Quando il vino è fatto senza aggiungere additivi e conservanti in cantina e rispettando i suoi naturali tempi di evoluzione ogni anno è una vera scoperta! Lo sanno bene le migliaia di persone che tornano ad incontrare questi vignaioli con la curiosità di assaggiare il frutto di una nuova vendemmia portando a casa qualche bottiglia che è piaciuta particolarmente.” spiega entusiasta Paolo Rusconi, ideatore della manifestazione.

Barbara e Paolo, dell’associazione Echofficine, si ispirano alla proposta programmatica di Luigi Veronelli attorno a cui si giocano questioni come il “recupero del rapporto con la terra”, la valorizzazione del vino, “la fiducia tra produttore e consumatore”, “l’etica della responsabilità e della cooperazione”, ma anche la trasparenza e le vie di uscita dalla crisi, sintetizzate dal claim della manifestazione: vini naturali, territorio, tradizione.

Sorgentedelvino LIVE, giunta ormai alla nona edizione, conta su un crescente interesse da parte del pubblico  – 4000 le presenze nel 2016 –  che raggiunge Piacenza Expo per conoscere, degustare e acquistare direttamente dai 150 vignaioli le nuove annate e i prodotti gastronomici del territorio, fatti rispettando la terra e il consumatore.

Tra le aziende presenti quest’anno, non solo i nomi storici del vino naturale italiano, ma anche nuove proposte e giovani viticoltori scelti dall’organizzazione che, per questa edizione, dedicherà uno spazio speciale a Umbria e Sardegna. I due territori saranno presenti, oltre che con un’importante rappresentanza di vignaioli, anche con salumi, formaggi, prodotti tipici e produzioni agricole di nicchia.

Il programma di Sorgentedelvino LIVE 2017 prevede anche degustazioni guidate, incontri e conferenze: interessanti occasioni per approfondire la conoscenza di questo piccolo ma estremamente vitale settore dell’agricoltura italiana.

Gli orari di apertura degli stand sono: sabato 20 febbraio dalle 14 alle 19, domenica 21 febbraio dalle 10 alle 19 e lunedì 22 febbraio dalle 12 alle 18. Ingresso: 15 euro incluso calice da degustazione e catalogo. Per gli operatori Horeca (ristoratori, enotecari ed addetti ai lavori) sono previste modalità di accesso agevolate, previa registrazione sul sito www.sorgentedelvinolive.org entro lunedì 6 marzo 2017.

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Aglianico del Vulture Doc 2013 Maschito, Casa Maschito

(4 / 5) Sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it un vitigno straordinariamente interessante come l’Aglianico del Vulture. In particolare l‘Aglianico di Casa Maschito, vendemmia 2013. Nel calice, il vino si presenta di colore rosso porpora con riflessi rubino, limpido e brillante, con archi stretti e fitti.

Al naso le premesse immaginabili sin dal primo sguardo: sentori di confettura di amarene e frutti selvatici di sottobosco. Nonché una percezione dell’alcolicità gradevole, con note pungenti e speziate a fare da contorno. Al gusto la tannicità è evidente, tipica di questo vino di grande longevità. Un tannino che, però, non impedisce affatto alla beva di risultare piacevole. Anzi: un sorso tira l’altro.

Buona anche la persistenza aromatica. Le note di foglia di pepe nero si mescolano alla mineralitá tipica dei vini della Basilicata: uno dei più sinceri esempi in Italia di “terroir”, capace di conferire anche a questo Aglianico – dall’ottimo rapporto qualità prezzo – un interessante sentore di grafite. Perfetto l’abbinamento di questo vino in cucina con secondi piatti di carni rosse, arrosti e formaggi stagionati. Rigorosa la temperatura di servizio, dai 18 ai 20 gradi.

LA VINIFICAZIONE
Questo rosso di Casa Maschito è ottenuto in purezza da uve Aglianico, del biotipo Vulture. L’area di produzione è quella della fascia collinare del Comune di Maschito, in provincia di Potenza: terreni freschi vulcanici e argillosi. La vendemmia dell’Aglianico avviene nell’ultima settimana del mese di novembre. Alla pigiadiraspatura delle uve segue una macerazione delle bucce con fermentazione del pigiato in acciaio inox a temperatura controllata al di sotto dei 25 gradi.

Le macerazioni durano in media dai 10 ai 15 giorni, durante i quali vengono effettuati frequenti rimontaggi all’aria del mosto. La fermentazione malolattica avviene entro 60 giorni dalla vendemmia. Il vino affina 24 mesi in piccole botti di rovere francese da 228 litri e viene commercializzato in seguito ad ulteriori 12 mesi di maturazione in bottiglia. Casa Maschito è ormai una realtà vitivinicola ben consolidata in Basilicata. Dieci gli ettari vitati di proprietà di una cordata di imprenditori che hanno fondato la cantina nel 1999.

Prezzo: 4,90 euro
Acquistato presso: Supermercati Dok

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Vini al supermercato

Vini al supermercato: i migliori del 2016. La cantina dell’anno è in Oltrepò

Le potete trovare tutte a questo link le recensioni del vino in vendita nei supermercati italiani firmate da vinialsupermercato.it. Ci rendiamo conto che sono tante. E allora vi aiutiamo. Dopo la lista dei migliori vini degustati nel 2015 – anno della nostra fondazione – ecco quella aggiornata al 2016. Un viaggio nell’Italia del vino che prova a proporre qualità, anche nell’ambito dei grandi numeri della grande distribuzione organizzata. L’occasione buona per augurare buon Natale e buone feste a tutti i nostri lettori!

In particolare, tra i rossi, la spunta quest’anno il Brunello di Montalcino Docg Riserva 2006 di Villa Poggio dei Salvi (Toscana), in vendita nei supermercati Il Gigante, catena milanese con sede a Bresso, attiva nel Nord Italia. Tra i bianchi, soprattutto nell’ottica del rapporto qualità prezzo, non possiamo che insignire il Verdicchio dei Castelli di Jesi 2015 Titulus (Marche), della casa vinicola Fazi Battaglia. Lo potete trovare sugli scaffali di numerose catene della Gdo italiana. Tra gli spumanti, sul podio il Valdobbiadene Superiore Docg Prosecco Giustino B 2015 delle cantine Ruggeri (Veneto), assieme al Franciacorta Docg Saten Brut Castel Faglia (Lombardia). Tra i rosati, ecco spiccare la bella storia nel calice del Negramaro Rosato del Salento Igt 2015 Hiso Telaray, prodotto dalla Cooperativa sociale Terre Puglia Libera Terra: un vino che fa bene anche alla coscienza.

Spazio, quest’anno, anche per la segnalazione di un “vino quotidiano“, ma di altissima qualità: il Bonarda dell’Oltrepò Pavese Doc frizzante Vigna della Composta, prodotto da Fratelli Agnes a Rovescala (Lombardia). Miglior cantina 2016 che opera in Gdo, per noi di vinialsupermercato.it, è senza dubbio la Quaquarini Francesco di Canneto Pavese: qui la storia di questa importante realtà oltrepadana, che opera in un territorio difficile, puntando sul biologico e sull’attenzione alla qualità. Sia in campagna, sia in cantina.

http://www.vinialsupermercato.it/brunello-montalcino-docg-riserva-2006-villa-poggio-dei-salvi/

http://www.vinialsupermercato.it/verdicchio-dei-castelli-jesi-2015-titulus-fazi-battaglia/

http://www.vinialsupermercato.it/valdobbiadene-superiore-docg-prosecco-giustino-b-2015-ruggeri/

http://www.vinialsupermercato.it/franciacorta-docg-saten-brut-castel-faglia/

http://www.vinialsupermercato.it/negramaro-rosato-salento-igt-2015-hiso-telaray-cooperativa-sociale-terre-puglia-libera-terra/

http://www.vinialsupermercato.it/bonarda-doc-vigna-della-composta-fratelli-agnes-rovescala/

http://www.vinialsupermercato.it/gutturnio-superiore-doc-2011-la-gobba-testa/

http://www.vinialsupermercato.it/pinot-bianco-colterrae-alto-adige-doc-2015-cantina-colterenzio/

http://www.vinialsupermercato.it/cabernet-friuli-colli-orientali-doc-2013-volpe-pasini/

http://www.vinialsupermercato.it/alghero-doc-le-arenarie-2014-sella-mosca/

http://www.vinialsupermercato.it/arnolfo-cambio-sangiovese-toscana-igt-2009-fattoria-palagio/

http://www.vinialsupermercato.it/santantimo-doc-focaia-2012-societa-agricola-centolani/

http://www.vinialsupermercato.it/falanghina-del-molise-doc-2015-majo-norante/

http://www.vinialsupermercato.it/korem-rosso-igt-isola-dei-nuraghi-2011-argiolas/

http://www.vinialsupermercato.it/grignolino-doc-2014-azienda-agricola-eredi-angelo-icardi/

http://www.vinialsupermercato.it/brusco-dei-barbi-rosso-toscana-igt-2013-fattoria-barbi/

http://www.vinialsupermercato.it/gavi-docg-maddalena-massone-stefano-capriata/

http://www.vinialsupermercato.it/barbera-dalba-doc-2012-egidio-bosio-vini/

http://www.vinialsupermercato.it/cannonau-di-sardegna-doc-riserva-2011-sella-e-mosca/

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L’Oltrepò di Quaquarini: Bonarda e Buttafuoco super con l’autoctono dimenticato

Ughetta di Canneto. O “Uvetta di Canneto”. Fondare un’intera produzione vinicola su un un uvaggio autoctono semisconosciuto potrebbe sembrare da folli, al giorno d’oggi. Ma se quel vitigno ha un nome “così”: beh, forse rischia d’esserlo ancor di più. Ciò che è veramente curioso è che succede – e per davvero – in Oltrepò Pavese. Terra di vino che sforna decine di “Bonarde” tutte uguali. Specie se ci si ritrova a pescare sugli scaffali della grande distribuzione organizzata. Tra i primi e i secondi prezzi. Ma all’azienda agricola Quaquarini Francesco, il sillogismo non quaglia. Un utilizzo particolare e attento dell’Ughetta di Canneto costituisce il vero segreto della produzione. Il suo incantevole fil rouge. Già. Ad un’attenta analisi, il blend su cui si fonda il più “banale” dei vini rossi oltrepadani conduce dritto alle punte di qualità espresse dal Buttafuoco. Quello Storico. Un filo spesso, solido. Palpabile. Tanto all’olfatto quanto al palato.

Capace di rendere speciale il vino di tutti i giorni, il Bonarda. E superlativo ciò che, per antonomasia in Oltrepò, deve risultare di per sé eccellente: il Buttafuoco Storico, per l’appunto. Una qualità così – trasversale, netta, oggettiva, lineare – che comincia dal vino “base” per raggiungere il top di gamma, passando peraltro dalle “bollicine”, in Lombardia come in altre regioni d’Italia è difficile da riscontrare in una singola realtà produttiva. Mettici pure che la Quaquarini produce in regime biologico – praticamente da sempre, ma con certificazione ufficiale per la campagna arrivata nel 2003 e per la vinificazione nel 2010 –  e ti sembrerà d’esserti addormentato, sognante, con un calice di vino in mano, lontano da Pavia. Nel bel mezzo di un raro, inatteso trionfo della Coerenza.

Dell’Ughetta di Canneto ha fatto un vanto Lino Maga, il “Signor Barbacarlo”. Ma anche Francesco Quaquarini, oggi giovanotto di 83 anni, ha giocato un ruolo fondamentale nella sua valorizzazione. “Uno dei primi libri che raccontava l’ampelografia del nostro territorio, la ‘Pomona italiana’ del botanico Giorgio Gallesio – spiega Umberto Quaquarini, timoniere e tuttofare dell’azienda giunta con lui alla terza generazione – all’inizio del 700 classificava in Oltrepò Pavese un’uva dalla quale si ricavava un vino, secondo l’autore, ‘tra i più buoni d’Italia’. Quell’uva era l’Uvetta, o Ughetta, o Vespolina. L’Uvetta era coltivata soprattutto a Canneto Pavese, nome preso nel 1886 dal nostro Comune, mutando dall’originario Montù de’ Gabbi. Dopo la fillossera, l’Uvetta è stata sostituita in quasi tutto l’Oltrepò da Croatina e Barbera, più resistenti, più facili da coltivare e più produttive”. Ma non dappertutto.

All’inizio degli anni 90, la svolta. “L’Università di Piacenza ha condotto uno studio sull’Uvetta – continua Quaquarini – ritrovando i primi cloni, quelli originali, nei vigneti di mio padre Francesco e in quelli di Lino Maga. Noi ne abbiamo tuttora diversi ettari. E la usiamo in tutti i nostri vini rossi, per un minimo dell’8%, sino a un massimo del 15”. Forse per quella scarsa vena imprenditoriale che caratterizza il 90 (+5) % dei vignaioli oltrepadani, la cosa non fu mai fatta ‘pesare’ sul piatto della bilancia vitivinicola italiana. Tant’è vero che lo stesso Quaquarini, oggi, vinifica in purezza la preziosissima Ughetta. Ma ne realizza solo poche centinaia di bottiglie, circa 300, che sostanzialmente hanno un ruolo marginale nel ventaglio della proposta commerciale dell’azienda. Un vero peccato. Perché quando assaggi l’Uvetta, o Ughetta, di Quaquarini, ti si apre un mondo.

Capisci davvero perché è speciale la sua Bonarda (sbalorditiva “La Riva di Sas” 2015, new entry “senza solfiti”), scoprendone il segreto intrinseco, nascosto sotto quella spuma corposa che si dissolve nell’aria, liberando profumi intensi di frutti rossi. E sorseggi un vino complesso come il suo Buttafuoco Storico Vigna Pregana (la 2003 è un trionfo tutto giocato sull’equilibrio tra il balsamico e il minerale, sullo sfondo di una frutta rossa ancora succosa e un tannino avvolgente, mentre la 2010 è da bronzo per Decanter 2016) andandone veramente a cogliere l’essenza. Con la semplicità con cui un bambino scarta una caramella. Ecco da dove ‘arrivano’ quei terziari che terziari, almeno per la Bonarda, non possono essere: pepe, cannella, paprika, liquirizia. Magica e tipicizzante Ughetta, insomma. Ma non solo.

Basti pensare che il vino che ha reso grande Quaquarini è il Sangue di Giuda Vigna Acqua calda (i vigneti sono situati sopra l’antico sito delle terme di Recoaro), risultato il vino più bevuto all’Expo 2015 di Milano. Ma c’è un altro prodotto che vale la pena di conoscere. E’ il Metodo Classico Brut Docg Classese, attualmente in commercio con la vendemmia 2009. La bollicina top di casa Quaquarini. Settanta mesi sui lieviti, sboccatura tra la fine di agosto e l’inizio di settembre. Ottenuto al 100% da uve Pinot nero. I sentori di lievito non sono invasivi, anzi. Una vena floreale domina naso e palato, assieme al miele d’acacia. Il sorso invoglia il successivo, non tanto per la freschezza conferita dall’acidità, quando per un’inattesa sapidità che ben si bilancia, specie in chiusura, con le note fruttate giovani. Il perlage è delicato, avvolgente, non aggressivo.

QUAQUARINI, LA GDO E LA BONARDA
Alti standard, dunque, che si ritrovano anche nei prodotti destinati alla grande distribuzione organizzata. Carrefour, Coop, Bennet, Pam, Alfi Gulliver e Basko le catene in cui sono presenti le etichette Quaquarini, ormai da 25 anni. Sono 250 mila le bottiglie che finiscono sugli scaffali dei supermercati, su un totale complessivo di 700 mila. “Fu una scelta rischiosa e allo stesso tempo coraggiosa – spiega Umberto Quaquarini – in quanto all’epoca il supermercato era vissuto come il nemico dei vignaioli. Iniziammo quest’avventura con il terrore addosso, dal punto di vista commerciale. Ma oggi non possiamo che essere fieri dei risultati conseguiti. E devo ammettere che l’azienda è cresciuta anche grazie alla Gdo”.

Un canale nel quale la realtà di via Casa Zambianchi 26 opera con coscienza e cognizione di causa. “La nostra Bonarda – sottolinea Quaquarini – è in vendita a un prezzo che supera abbondantemente i 5 euro, a dispetto di un prezzo medio di 2,60 euro. Purtroppo le prime dieci realtà della Bonarda in Oltrepò, dal punto di vista numerico, sono imbottigliatori e non produttori che possono permettersi prezzi del genere, o anche inferiori. Basti pensare che il 75% del Bonarda viene imbottigliato fuori dall’Oltrepò Pavese. Una follia pura, che costringe i produttori a guardarsi dall’estinzione. Il resto lo hanno fatto gli scandali, che hanno fatto diventare la nostra area vitivinicola la più controllata d’Italia”.

QUEI CONTROLLI IN VENDEMMIA
Umberto Quaquarini si riferisce ai “controlli a tappeto” effettuati dalle forze dell’ordine a carico della sua azienda, in occasione dell’ultima vendemmia. “Siamo stati ‘visitati’ due volte nel giro di 10 giorni, nel mese di settembre. Le verifiche hanno interessato l’attività di campagna, con i militari impegnati per ore a verificare la regolarità dei contratti di lavoro del personale assunto ad hoc. Controlli durante i quali le operazioni di vendemmia sono state ovviamente interrotte, con conseguenti costi ricaduti sui sottoscritti. Per sentirci dire, alla fine, che era tutto a posto”. Che sia arrivata qualche “falsa soffiata” da qualche concorrente? “Non lo so – replica il produttore – quel che è certo è che la cosa ci è suonata alquanto strana. E se la sommiamo a tutta la burocrazia legata alla certificazione biologica, rischiamo di finire per sentirci sempre più schiacciati dalla carta, in questo Paese”.

Un problema che, in estate, Umberto Ququarini ha affrontato direttamente con l’ormai ex ministro Maurizio Martina, che ha visitato l’azienda non in veste istituzionale, bensì da privato cittadino (ovviamente con Digos and company al seguito). “E’ stata una piacevole sorpresa – ammette il viticoltore pavese – perché da pochi mesi avevamo ricevuto un certificato di qualità da parte dello stesso Ministero per la nostra attenzione all’ambiente, tanto in campagna quanto in cantina. Ci fu pure modo di sorridere, con mio padre che tentava di offrire delle fette del nostro salame al ministro. Fino a scoprire, grazie all’intervento del suo portavoce, che è vegano!”.

QUAQUARINI E IL CONSORZIO
Eppure, come peraltro molte realtà di lustro dell’Oltrepò, la Quaquarini non aderisce al Consorzio di Tutela Vini locale. “Mio padre fu tra i soci fondatori – evidenzia Umberto – ma abbiamo preferito uscirne, per una visione completamente distante dalle posizioni dell’ente”. Oggi, l’azienda aderisce al Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese. “Spiace combattere da fuori il Consorzio una battaglia che dovrebbe essere comune a tutti i produttori della zona – chiosa Quaquarini – ovvero quella per la qualità. Al di là degli annunci sulla stampa, ritengo che dovremmo parlarci davvero, tra di noi. Sederci allo stesso tavolo e prendere delle decisioni comuni, per l’interesse di tutti”.

“La mia ricetta? All’Oltrepò del vino – risponde Umberto Quaquarini – servirebbe un manager vero, credibile. Una figura di reale spessore, che col suo carisma sia in grado di mettere d’accordo tutti, promuovendo il territorio come merita. Il Distretto del Vino fa benissimo il suo lavoro, ma sarebbe ora che non esistesse più: perché il Consorzio di Tutela è anche il mio. O almeno vorrei che così fosse”. La sintesi perfetta di un territorio che, invece, pare sempre più diviso. E in bilico. Tra gli interessi dei grandi gruppi. E l’amore di chi vive da generazioni del frutto di questo territorio.

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Testo Unico, Fivi: “Sui Consorzi del vino ancora tanto da fare”

Un sorriso a metà. La Fivi è soddisfatta “solo in parte” per l’approvazione del Testo Unico del Vino. Questa la prima reazione – nemmeno troppo a caldo – della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti all’approvazione in Commissione Agricoltura della Camera del nuovo Testo Unico sulla viticoltura e la produzione del vino, che è quindi diventato legge. Un testo che tenta di mettere ordine in un settore “fortemente appesantito da pratiche burocratiche che ne minano la competitività”.

Da sempre attiva nello stimolare il legislatore, già nel 2012 la FIVI aveva consegnato all’allora Ministro Catania un dossier per la riduzione della burocrazia nel settore vitivinicolo. Lo studio, redatto in collaborazione con l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, metteva in evidenza le criticità della legislazione italiana e proponeva le soluzioni per risolverle. “È viva quindi la soddisfazione nel vedere alcune delle richieste della FIVI rientrare nel nuovo Testo Unico – sottolinea la Federazione dei vignaioli indipendenti – come l’istituto della diffida e il Registro Unico dei Controlli” che crea “un raccordo tra le diverse autorità che operano nel sistema dei controlli, in modo da evitare visite doppie nella stessa cantina”.

“Adesso attendiamo fiduciosi – commenta il presidente FIVI Matilde Poggi – i decreti attuativi e speriamo che portino a un effettivo snellimento della burocrazia. Resta il rammarico per il mancato intervento sulla rappresentatività nei Consorzi“. Recentemente, infatti, la FIVI è intervenuta con una lettera al Ministro Martina, chiedendo di rivedere il meccanismo di attribuzione dei voti all’interno dei Consorzi di Tutela, in modo da dare più spazio ai vignaioli, evitando il dominio delle cooperative di primo e secondo grado nei consorzi più importanti.

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Il Sangue di Giuda dell’Oltrepò a Salerno? Tranquilli. Lo porta Enoitalia

E alla fine dei conti, quello che ti fa più incazzare, è che gliel’hanno proposto in abbinamento a una frittura di paranza. Eppure, la controetichetta parla chiaro. “Questo vino dolce e leggendario dell’Oltrepò Pavese ha un ruolo chiave nei pranzi festivi della tradizione in Lombardia, ove la sua vivacità conferisce importanza al fine pasto. Un vino che trova il suo adatto abbinamento (…) con dolci quali crostate, pasta di mandorle e sfogliatine”. Sfogliatine? Sfogliatine, sì. Quelle campane? Forse. Sembra un’etichetta studiata ad hoc. Ma lo avete capito? Parliamo del Sangue di Giuda. Il vino dolce dell’Oltrepò Pavese.

Sono le 23.30 di sabato quando un lettore di vinialsuper ci contatta attraverso la nostra pagina Facebook. E’ al ristorante. A Salerno, dove vive. Gli hanno appena proposto un vino che non conosce, in abbinamento alla frittura di pesce che ha ordinato al cameriere. E’ un vino rosso. Qualcosa non torna. La domanda che ci rivolge è perentoria. “Non è che gli devo fare un assegno? Rispondente, prima che arriva il conto”.

Allega al messaggio la foto della bottiglia. Panico. Si tratta del Sangue di Giuda Doc “Il Pozzo”, vino frizzante dolce. Vendemmia 2015. Ammettiamo l’ignoranza. Non lo conosciamo. Il nome di fantasia non ci dice nulla. Chiediamo una foto dell’etichetta posteriore. Che arriva, di lì a qualche minuto. E’ tutto chiaro. L’azienda indicata è Enoitalia, gigante imbottigliatore di Bardolino, Verona, che serve i supermercati Lidl. Quelli, per intenderci, del Montepulciano Biologico Passo dell’Orso decantato da Luca Maroni. Boom. Questa bottiglia costerà 6 euro al lettore. Un ricarico notevole, quello del ristoratore salernitano, rispetto alle potenzialità della bottiglia.

E’ la legge dei grandi numeri. Quelli che in Italia vincono sempre, a prescindere dal valore che rappresentano realmente. Basti calcolare che una delle aziende leader del Sangue di Giuda, in Oltrepò, fissa il prezzo del proprio “base” – comprensivo di trasporto, ma con pagamento anticipato – a 4,30 euro a bottiglia. E a 6.90 euro per il “cru”. Troppo? Fin troppo poco, assicuriamo noi che quei due Sangue di Giuda (il base e il cru) li conosciamo bene. E allora vada per il Sangue di Giuda di Enoitalia. Pure al ristorante. Con la paranza. Ma si sappia: l’Oltrepò pavese è un’altra cosa. Quando imparerà a promuoversi a dovere in Italia? Ai posteri l’ardua sentenza.

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La Terra Trema, i calici no: i migliori vini degustati al Leoncavallo

Trovarsi alla Terra Trema ogni anno è come passare una serata con gli amici lontani, con cui ti ritrovi raramente. Legno. Luci soffuse. Musica in sottofondo. Un buon bicchiere di vino. E chiacchiere. Tante chiacchiere. In particolar modo se, per te, è il sesto anno consecutivo. Ma siamo alla 12° edizione. La numero 10 al Leoncavallo di Milano. E si vede. Finalmente il bicchiere non è quello classico, da degustazione della festa del paese. E’ un calice!

Gli amici sono quelli di sempre, ma ogni anno conosci qualcuno di nuovo. Perché la manifestazione conta ben 90 produttori, in media, all’anno. Tutti Vignaioli, contadini, amanti della terra. Del suo profumo e del suo calore. Lo trasmettono. Anche solo da come ti parlano. Tutto attorno, un ambiente che li mette a loro agio. Come in campagna. Nulla di sfarzoso.

Niente distoglie il visitatore da quei faretti. Puntati solo su di loro. I protagonisti. Al fianco dei loro vini. Bisogna solo avvicinarsi e parlare. Non aspettano altro che raccontarti la loro passione. La loro fatica.

LA DEGUSTAZIONE
L’inizio è quello di sempre, con i vignaioli che poi si incontrano anche in cantina, durante l’anno. Si parte col Pecorino dell’Azienda Agricola Fiorano di Cossignano (AP), il Donna Orgilla 2015. Giallo paglierino con riflessi verdognoli, naso floreale ed erbaceo, caldo figlio di un’annata tosta. In bocca sapido e molto minerale. E’ capitato negli anni di degustare magnum con qualche anno sulle spalle. E questa vigna riesce col tempo a sfoderare evoluzioni Riesliniane.

Da lasciare a bocca aperta. Peccato che Paolo, co-titolare dell’azienda, non ne abbia portate in degustazione. Altro Pecorino di casa è il Giulia Ermina, con fermentazione in tonneaux francese e maturazione “sur lies” per 12 mesi, più 8 di affinamento in bottiglia. Una piccola chicca, per chi ama il sentore terziario appena percettibile del legno, sempre ben bilanciato da una buona acidità. Vero e proprio contraltare della freschezza di Donna Orgilla.

Nuova tappa ma ancora Pecorino. Stavolta Il Fiobbo di Vini Aurora ad Offida (AP). Questo è un gioiellino e basta. Perfetto, intrigante, complesso nei sentori gusto-olfattivi ma allo stesso tempo beverino. Anche qui riflessi verdognoli tipici del vitigno. Naso di mela verde, agrumi, fieno ed erbe aromatiche. Finale rinfrescante.

Facciamo un passo più a nord, sempre Marche. Stavolta quella del Verdicchio. Corrado Dottori di Cupramontana (AN). Azienda La Distesa, è in ritardo. Il banchetto è ancora vuoto. E allora ne approfittiamo per assaggiare i Verdicchio di La Marca di San Michele, che porta il Capovolto 2015 e il PassoLento 2014, in magnum. Capovolto 2015 è quello che non ti aspetti. Annata calda, siccitosa. Ma la vendemmia è stata anticipata di più di un mese, con inizio a fine agosto. E qui si trova la chiave di tutto. Qui non c’è macerazione e non c’è passaggio in legno.

Solo acciaio. E 8 mesi sulle fecce nobili. E’ un vino che esprime il varietale del Verdicchio. Da bere a secchi in estate. PassoLento 2014 è invece il fratello maggiore… inizia la fermentazione in acciaio poi passa  in botti di rovere da 10 hl dove finisce la fermentazione e matura per 9 mesi sulle fecce fini. Poi attende altri 9 mesi in bottiglia. E’ molto più complesso e strutturato con un corpo caldo nonostante l’annata fresca, di 13% vol. Un vino che ancora deve evolvere.

Lasciamo le Marche e andiamo in Sicilia, regione rappresentata a La Terra Trema da ben 15 produttori. Nino Barraco e Marilena Barbera fanno da capofila. Barraco schiera una batteria di 10 e forse più vini in degustazione. Uno più buono dell’altro. Merita una nota particolare il rosso Milocca 2006 da vendemmia tardiva di Nero D’Avola. Una perla. Affinato in castagno da 205 litri per 24 mesi. C’e tutto: pepe, cacao, ciliegie, anice stellato. In bocca dolce e sapido, suadente. Tra i bianchi, non si può scegliere. Ognuno ha le proprie peculiarità. Il Catarratto, lo Zibibbo in secco, il Grillo. Sono tutti deliziosi. Acidità e sapidità la fanno da padrona, ma non coprono mai i varietali. Qui Nino Barraco ha trovato la giusta alchimia.

Da Marilena Barbera è facile perdere la testa. Per lei, per il suo amore per il proprio lavoro, per la sua terra. E per i suoi vini. Inzolia 2015 è quasi salmastro. E per Marilena questa è la chiave. Ammette infatti che il sale stimola le papille gustative e le rende più recettive ai sentori. Rendendo la beva molto più interessante e appagante. Ma da Marilena Barbera, quest’anno, c’è una sorpresa: l’Arèmi, blend con una piccola percentuale di Zibibbo. Vino imbottigliato quella stessa mattina, come racconta entusiasta la vignaiola, proprio per portarne un campione alla fiera. Niente vendita. Ma è facile immaginare che chiunque l’abbia assaggiato si sia appuntato il numero della cantina. Per ordinarne un bancale. Un vino che non puoi non amare: fresco, sapido, con quella nota aromatica dello Zibibbo di Menfi, nel sud più profondo.

Lasciamo Marilena Barbera ma rimaniamo in Sicilia. Per una scoperta. 2012 Etna Rosso – Eno-trio, Nerello Mascalese in purezza da vigne a piede franco in contrada Calderara. Versante nord-ovest dell’Etna. E’ amore a prima olfazione.

Età media delle piante: 80-90 anni. Rese da 600g/1kg per pianta. Siamo al top. Affinamento in tonneaux e barrique di secondo, terzo passaggio per 12-18 mesi, più altri 6 in bottiglia. Boom. Naso commovente, con frutto dolcissimo e speziato, ciliegia, china, noce moscata, carbone, fumo e questa dolcezza intossicante che fa pensare alle pesche mature.

Notevole, veramente notevole. Bocca (per fortuna) idem: il tannino morbido accarezza il palato, poi è dolce, setoso e lungo. Poi un Traminer Aromatico, da vigne a 1000m d’altezza sull’Etna. Anche qui siamo su rese bassissime, ma con densità di impianto leggermente superiore al Nerello. Vino elegante, aromatico, delicato. Con note floreali, fruttate e con sentori di spezie. Altra bel prodotto.

Risalendo lo stivale cadiamo nella tentazione di qualche bella bollicina. Di Lambrusco, però. Il vino giusto, per spezzare e preparare il palato ai rossi corposi. Denny Bini è un personaggio da amare. Un Emiliano Doc, di Reggio. La Rosa dei Venti lo puoi bere anche a colazione. Lambrusco varietà Grasparossa, rosato rifermentato in bottiglia. Macerazione di 2 ore senza controllo. Secco, leggermente amaro, con un accenno di tannino. Bellissimo. Ponente 270 Lambrusco dell’Emilia, “come lo si fa a Reggio”, ci racconta. Cinque giorni di macerazione, mischiando tutte le varietà di Lambrusco: Lambrusco Grasparossa, Malbo Gentile, Lambrusco Salamino, Lambrusco di Sorbara. Pieno, ma morbido. Libeccio 225, il suo Lambrusco, il Grasparossa. Qui siamo a 10 giorni di macerazione , il colore lo rivela. Rifermentato in bottiglia. Bel corpo e una bevibilità che non ti stanca mai. Un po’ come La Terra Trema. Imperdibile, l’anno prima. Come l’anno dopo.

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Ferrari Trento e gli “enofighetti” di Natale: 10 domande su Gdo e promozioni

“Scandalo epocale in grande distribuzione: gli spumanti Ferrari in promozione a 10 euro”. Ogni anno, di questi tempi, i soloni del vino italiano si svegliano dal letargo. E pontificano. Postando tarantiniane fotografie di supermercati. Immagini crude, da censura. Che mostrano sanguinolente scene del crimine: gli eleganti “astucciati” della nota casa spumantistica trentina, in promozione. Che shock. Roba pulp. Per cuori forti. Scene da vietare ai minori.

Almeno quanto i commenti che seguono le immagini. Teatro dello scandalo sono i vari gruppi di discussione creati su quei moderni bar e osterie che solo gli “studiati” chiamano “social network”. “Sarà qualche bancale dimenticato in cantina, ossidato naturalmente”, sostiene baldo, il più intelligente. “Soprattutto in vista del Natale, se non se lo compra nessuno, mi sa che fanno prima ad abbassare la serranda”, ribatte un altro analista di microparticelle atomiche.

“Ferrari vale dalla Linea Maximum in su, quella è gassosa”, chiosa il milionario che fa colazione con i Tarallucci della Mulino Bianco (oggi senza olio di palma, se vi fosse sfuggito) pucciati nel Dom Pérignon, appena sciabolato. E così via. Per sfortuna loro, qualcuno prova a farli ragionare, anche in osteria. Pardon, sui social network. Ma chi, meglio di Massimiliano Capogrosso, Direttore commerciale di Ferrari Trento, può mettere i puntini sulle “i” sull’eno-cinepanettone che ogni anno, sotto Natale, va in onda sui social?

Veronese, quarantanove anni, una passione per il mondo vinicolo che ha segnato anche la sua carriera. Capogrosso proviene infatti da altre importanti realtà venete del settore, prima Valdo e poi Bertani. E’ approdato alle Cantine Ferrari dieci anni fa, per ricoprire il ruolo di Direttore vendite. Maturando col passare del tempo un’esperienza che, un anno fa, ha convinto la Famiglia Lunelli a nominarlo Direttore commerciale.

Dieci domande, dieci, quelle che gli rivolgiamo. Domande a cui Capogrosso risponde con dovizia di particolari. Dimostrando che per Ferrari – al contrario di molti altri “big” – la Gdo, è tutt’altro che un tabù.

1) Ferrari in Gdo: perché? Da quando?
Ferrari è il brindisi italiano per eccellenza, da sempre celebra appuntamenti istituzionali, sportivi e culturali tra più importanti del nostro Paese, così come i momenti più belli della vita di molti italiani. Vogliamo dunque che possa essere acquistato sia nel canale moderno che in quello tradizionale. E’ sempre stato così e ancora oggi l’azienda si impegna per dare a entrambi i canali distributivi la stessa importanza.

2) La gestione del “prezzo promo”: viene concordato di anno in anno con le varie catene, oppure si tratta di un’attività che prescinde dai contratti, gestita autonomamente dalle insegne?
Il Ferrari è uno di quei prodotti immancabili sulle tavole degli italiani durante le ricorrenze e spesso, dunque, viene utilizzato come “prodotto civetta”. E’ una scelta autonoma di ogni catena, che decide di impostare la propria campagna promozionale come ritiene più giusto per la sua clientela, a cui, in questo modo, può offrire un prodotto di altissima qualità a un prezzo davvero vantaggioso.

3) I volumi di Ferrari in Gdo
In Italia la nostra presenza si distribuisce in egual misura tra Gdo e Horeca. Si tratta di due mondi diversi, ma per noi ugualmente importanti, con logiche di vendita differenti tra loro.

4) In Gdo quale “tipologia” di prodotti Ferrari? Provocazione: quelli di “serie b”?
La regola imprescindibile di Casa Ferrari è quella di produrre solo prodotti di eccellenza, pertanto non parlerei assolutamente di prodotto di serie A e serie B. Basti pensare che la nostra referenza più classica, il Ferrari Brut Trentodoc è stato nominato recentemente “Miglior Blanc des Blancs al Mondo” a una competizione internazionale, tra le più importanti al mondo, dedicata solo alle bollicine: The Champagne&Sparkling Wine World Championships.

5) Ma le critiche arrivano sempre, puntuali e monocordi
Come ricordavo prima, Ferrari è un prodotto leader di mercato, che spesso dunque le catene della Grande Distribuzione utilizzano per attirare il consumatore. Sicuramente quello natalizio è il periodo più “sfruttato” per questo genere di promozioni, ma non possiamo che vedere queste operazioni come un indicatore dell’importanza del nostro marchio.

6) Ferrari intende proseguire il rapporto con la Gdo, intensificarlo/allentare la presa?
La politica commerciale delle Cantine Ferrari sarà quella di continuare a seguire con attenzione e uguale dedizione sia il canale Gdo sia il canale Horeca, in quanto riteniamo che entrambi siano fondamentali per il successo del nostro Gruppo.

7) Il ruolo di Ferrari nel panorama delle “bollicine” italiane ed europee
Ferrari è leader del mercato delle bollicine in Italia, con 4,5 milioni di bottiglie vendute all’anno e un incremento a doppia cifra dal 2015. All’estero continuiamo a crescere da anni e senza dubbio questo ultimo dato è indicatore anche dell’incredibile incremento della notorietà e dei volumi di vendita delle bollicine italiane nel mondo. Il Trentodoc, la prima Doc nata in Italia esclusivamente per il Metodo Classico, rappresenta il 35% della produzione nazionale di questa tipologia di bollicine e può vantare la propensione all’export più elevata, il 22% ( dati 2015 dell’Osservatorio Trentodoc). Ferrari è certamente trainante nell’accrescere a livello internazionale la conoscenza di queste straordinarie “bollicine di montagna”, che nascono più di un secolo fa proprio dall’intuizione di Giulio Ferrari.

8) Ferrari in Gdo anche con vini rossi fermi: una panoramica dei prodotti “collaterali” alle bollicine
E’ un’importante conferma che stiamo percorrendo la strada giusta. È opportuna però in questo caso una precisazione: i vini fermi trentini, toscani e umbri, non sono Ferrari (marchio dedicato esclusivamente alle bollicine Trentodoc), ma vanno sotto il marchio collettivo Tenute Lunelli. Si tratta comunque di un numero ridotto di bottiglie, il cui canale di distribuzione preferenziale è quello delle enoteche e dei ristoranti d’eccellenza, anche se può capitare di trovare alcune referenze in GDO.

9) Se la sente di dare qualche consiglio all’Oltrepò Pavese, patria del Pinot Nero, che prova faticosamente ad affermarsi e a diventare “grande”?
L’Oltrepò Pavese non ha sicuramente bisogno dei miei consigli, è un territorio di eccellenza e patria di grandi vini, ha solo bisogno di esprimere al meglio la sua personalità. Ogni territorio vocato alla produzione di vino ha delle caratteristiche uniche e irripetibili e proprio su queste credo sia necessario puntare: è la varietà la vera bellezza del nostro Paese.

10) Cosa beve a tavola, tutti i giorni, il direttore commerciale di Ferrari? Acquista vino al supermercato
Personalmente acquisto vini anche al supermercato, spesso mi capita di acquistare persino il Ferrari, quando non mi trovo a Trento. Per una cena tra amici amo portare il Ferrari Demi-Sec, la nostra bollicina più amabile e dalla marcata rotondità: il Trentodoc perfetto per esaltare il fine pasto, dal dolce alla frutta. (foto gallery Archivio Fotografico Cantine Ferrari)

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Metodo Classico Brut Rosé 2010, Casa Vinicola Aldo Rainoldi

La Valtellina è una rinomata terra di vini rossi fermi, prodotti principalmente da uve Nebbiolo (localmente chiamato Chiavennasca), a partire da quelli da tavola – non complessi – fino ai grandi Sforzati, vini strutturati e di grande qualità. Cercando attentamente ci si può imbattere in produzioni davvero interessanti. Come questo spumante Metodo Classico Brut Rosé millesimo 2010 (sboccatura 2016) prodotto dalla Casa Vinicola Aldo Rainoldi, da un 92% Nebbiolo, un 4% di Pignola e un 4% Rossola (queste ultime uve assolutamente autoctone della lombarda Valtellina).

Il vino mostra una veste rosa con tonalità ramate vivaci e con bollicine discretamente fini. Il naso ha un’ottima intensità, con piacevoli profumi agrumati soprattutto di arancia rossa, di fragoline di bosco, note floreali dolci di fiori di arancio, con i classici sentori di crosta di pane da Metodo Classico e un intrigante sfondo di erbe aromatiche.

In bocca spicca la freschezza gustativa e una bella sapidità, con buona struttura e una morbidezza presente che da equilibrio, invogliando ad altri assaggi. Ottima persistenza, con aromi coerenti ai sentori olfattivi, soprattutto quelli agrumati.

LA VINIFICAZIONE
Lo spumante Brut Rosé Rainoldi è prodotto da uve coltivate nei comuni di Ponte in Valtellina e Teglio, in vigneti situati tra i 600 e 730 metri sul livello del mare, esposti a sud e con terreno sabbioso-limoso derivato da rocce granitiche sfaldate. La vendemmia viene effettuata nella seconda metà di ottobre. Per ottenere il colore rosato sopra descritto, viene effettuata una veloce macerazione delle uve a freddo, con successiva pressatura. Il vino base rimane per qualche mese in acciaio a maturare e viene poi imbottigliato con i lieviti, con la quale ha inizio la seconda fermentazione e il seguente affinamento che si protrae per almeno 36 mesi.

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