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I migliori vini senza alcol? Da un buon vino base. Ed è già guerra tra industrie

Entro il 2032 il mercato globale dei vini senza alcol, unito a quello degli spirits e delle birre analcoliche, potrà raggiungere cifre di mercato astronomiche. Stando alle più recenti statistiche internazionali, snocciolate alla World Bulk Wine Exhibition 2022 di Amsterdam, il giro d’affari potrà toccare quota 23 miliardi di dollari, forte anche dell’accelerazione del settore verificatasi lo scorso anno (+33% in volume).

Birre e spirits Low e Non-Alcoholic cresceranno comunque meno del nettare di Bacco dealcolato. Ed è anche per questo che l’industria del vino globale sta affinando i coltelli nei confronti dei diretti competitors (birra e spirits, per l’appunto). Come? Cercando di introdurre i vini senza alcol tra le tipologie a denominazione di origine controllata in Europa.

«Birrifici e distillerie – spiega Gerard Kenneth Higgins, responsabile di Pernod Ricard Winemakers per il Nord Europa – sono molto aggressive in questo segmento, essendo molto semplice fare birra e distillati senza alcol che siano buonissimi. Le recenti acquisizioni nel settore delle bevande dealcolate da parte di grandi gruppi dimostra quanto il segmento sia ormai di grande interesse. L’industria del vino si ritrova così a dover rincorrere e combattere. Le aspettative di crescita nei prossimi 10 anni sono del 29% e ciò significa che la produzione deve crescere di pari livello».

I mercati dove è attesa la crescita maggiore sono quelli maturi, in cui esiste una tradizione nel consumo di alcolici, Ma non sono esclusi l’Asia meridionale e orientale, dove il consumo di vino è meno radicato a livello socio-culturale. Sempre secondo le più recenti analisi compite su scala globale, le opportunità di costruire un brand solido nel segmento dei vini low e zero alcohol non mancano. Il tutto a fronte dei corretti investimenti in qualità e posizionamento, perché produrre un vino dealcolato comporta innovazione tecnologica che va ben oltre il settore dell’enologia tradizionale.

I NUOVI MERCATI DEL VINO DEALCOLATO

Il Systembolaget, ovvero il monopolio svedese, dedica ormai da anni uno scaffale alle bevande non alcoliche all’interno dei propri 400 (e più) punti vendita. Molto fiorente il mercato nel Paese scandinavo, con diverse aziende nate negli ultimi anni proprio per presidiare il segmento degli analcolici (clamorosa, a tal proposito, l’aggressività del marketing di Sav 1785, con il suo succo di betulla spumantizzato paragonato a Franciacorta e Champagne). Lo stesso vale per diverse catene di supermercati. Non ultima l’inglese Tesco, mentre per l’Italia è Esselunga a fare da pioniera, pur con una singola etichetta.

«A contribuire al successo del segmento – sottolinea Irem Eren, direttrice vendite e sviluppo commerciale di BevZero Emea – è il proliferare di stili di vita e stili alimentari volti alla salubrità. È cambiato l’approccio al bere senza alcol: prima era riservato a credo religioso, motivi di salute o professionali (autisti, etc.) ed era vissuto come un sacrificio. Oggi è una scelta consapevole, compiuta da Millennials alla ricerca di stili di vita sani e di un’alimentazione più sana».

Cresce anche il numero di bar focalizzati sulle bevande non alcoliche, nonché il numero di distributori e retailer, così come le cantine che stanno finalmente cercando di incontrare la domanda crescente di questo tipo di prodotti da parte dei consumatori».

MIGLIORI VINI SENZA ALCOL: COME RICONOSCERLI

Produrre vini senza alcol non è comunque un gioco da ragazzi. Come ricorda Gianmaria Zanella, responsabile Ricerca e Sviluppo della veneta Enologica Vason, tutto dipende dalla qualità del vino base. «In passato – evidenzia Zanella – si faceva vino dealcolato pressoché da qualsiasi base. Oggi non funziona più così».

Se si punta alla qualità, anche in questo segmento, bisogna partire da un buon vino base, che garantisca parametri tali da agevolare il successo del processo di dealcolazione. In mancanza di questa buona base, la distillazione non fa altro che concentrare i difetti. È presumibile ipotizzare che entro una decina di anni si inizierà a pensare il vino senz’alcol dalla vigna, piantando vigneti e varietà adatte ad essere sottoposte alla dealcolazione».

Più in generale, i migliori vini senza alcol rispondono già ad alcune caratteristiche precise. Sono generalmente frutto di vigne con alte rese, ottenibili grazie alle tecniche di potatura. Le varietà più adatte, inoltre, sono quelle poco ricche di tannini (difficilissimo, per esempio, produrre un buon vino dealcolato da varietà come Sagrantino e Tannat).

Infine, la bontà e la qualità organolettica di un vino dealcolato dipende molto dalla sua “data di scadenza” (shelf-life). Più si riducono i tempi tra l’imbottigliamento, la spedizione e l’immissione in commercio, più il vino sarà in condizioni accettabili per il palato. Insomma, tante variabili, ma ancor più opportunità di mercato nel futuro dei vini senza alcol.

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Vini analcolici: cooperative vitivinicole mondiali in pressing sull’Ue

L’inclusione dei vini analcolici e a basso contenuto alcolico nella legislazione dell’Ue è «un primo passo importante». Ma è «necessario un adeguato quadro giuridico e di marketing per il loro sviluppo, per gestire le aspettative dei consumatori e garantire le strategie a lungo termine delle aziende vinicole». È l’opinione sui vini dealcolati espressa dai colossi che hanno preso parte al Forum Mondiale della Cooperative vitivinicole 2022.

Un incontro tenutosi proprio in Italia, per la precisione nelle sedi di Caviro, in Emilia Romagna, tra il 18 e il 20 ottobre. Con queste premesse, è facile ipotizzare un pressing sempre più costante e iniziative di lobbying nei confronti dell’Unione europea, volto ad ottenere maggiori aperture legislative sui “vini senza alcol“. Includendoli, si presuppone possa essere questo l’obiettivo finale, tra i vini a Denominazione di origine e a Indicazione geografica protetta (Dop e Igp, per l’Italia) dell’Ue.

Perché, come dicono chiaro i massimi rappresentanti di alcune tra le cantine più influenti del mondo, «il quadro giuridico dovrebbe garantire condizioni di parità, basate su regole qualitative di produzione e presentazione». Tradotto: il vino tradizionale e i vini analcolici dovrebbero avere parità di trattamento, nel contesto dei disciplinari di produzione.

A sostenerlo, insieme a Caviro, sono Capel, Fecovita, La Riojana, Vicca, Cenecoop, Aurora, Garibaldi, Sao Joao, Nova Alianca, Pradense, Cevipe. E ancora: Val D’Orbieu – Cordier, Vinadeis, Baco D-Coop, Cuatro Rayas, Manjavacas, Martin Codax, Porto do Barca, Adega Vila Real e CCWCoop. Ovvero alcune tra le maggiori cooperative vitivinicole mondiali, con sede in Italia, Spagna, Francia, Uruguay, Cile, Argentina, Portogallo, Brasile, Australia e Bolivia.

I VINI DEALCOLATI NELL’UE: DIBATTITO CALDO

Tutto si baserebbe sulle richieste di mercato crescenti per il segmento delle bevande low and no-alcohol. «La domanda è in crescita – sottolinea a winemag.it Ignacio Sánchez Recarte, segretario generale del Ceev – Comité Européen des Entreprises Vins – e se le aziende vinicole non la “catturano”, altri lo faranno con prodotti non basati sul vino».

Del resto, «poiché un numero crescente di persone sceglie di bere “meno e meglio”, l’universo delle bevande a basso e nullo contenuto alcolico si sta rapidamente espandendo e sta migliorando dal punto di vista qualitativo».

Secondo una recente ricerca di InsightAce Analytic, il mercato globale delle bevande a basso e nullo contenuto alcolico è valutato 22,5 miliardi di dollari nel 2021. E si prevede che raggiunga i 68,9 miliardi di dollari entro il 2030. Con un tasso di crescita annuale composto (Cgar) del 14%, nel periodo di previsione 2022-2030.

Il gigante della birra Anheuser-Busch InBev, alias AB InBev, che commercializza marchi come Corona, Leffe, Stella Artois, Tennent’s e Becks, ha dichiarato di voler raggiungere con i propri prodotti a basso o nullo contenuto alcolico almeno la quota del 20% sul volume globale commercializzato, entro il 2025.

VINI SENZA ALCOL VS VINI TRADIZIONALI NELLE DO ED IG

«Mentre la categoria dei prodotti a basso e nullo contenuto alcolico è dominata dalla birra – spiega ancora Ignacio Sánchez Recarte – alcuni studi indicano il vino tra gli 0% e i 0,5% di percentuale in volume d’alcol come il settore in più rapida crescita. Con un aumento del 26% e consumatori identificati principalmente come “over 45”. Bevitori abituali di vino che cercano di ridurre le spese durante la settimana, senza sacrificare la cerimonia legata al vino o il gusto».

Considerando che questi prodotti innovativi a base di uva non sono mai stati commercializzati nell’Unione come “vino”, il Ceev ha sostenuto con forza la definizione di questi prodotti all’interno della legislazione vinicola dell’Ue».

Le richieste della filiera sono state inserite nel dicembre 2021 nella legislazione vitivinicola. «Ma sebbene sia autorizzata la dealcolazione parziale e totale per i vini senza Indicazione geografica o Denominazione di origine – continua il segretario Ceev – è autorizzata al momento solo la dealcolazione parziale per i vini con Indicazione geografica protetta o Denominazione di origine protetta».

Un dettaglio che, al momento, sbarra la strada alle cooperative vitivinicole mondiali che intendono investire sul mercato dei vini analcolici dell’Ue (altrove già molto fiorente, vedi gli Stati Uniti). Nel frattempo, in Italia, a fare passi da gigante verso i vini senza alcol è la grande distribuzione.

Da Esselunga è in vendita da qualche mese “Virgola Zero“, Alcohol Free Sparkling prodotto a partire da un Riesling della Mosella dal produttore altoatesino Martin Foradori (Hofstätter), proprietario in Germania di Dr. Fischer. La stessa cantina commercializza un altro spumante dealcolato, “Steinbock”, presentato a Vinitaly nel 2021.

“Virgola Zero” Alcohol Free Sparkling, Dr. Fischer: da Esselunga un Riesling della Mosella senza alcol

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Acqua nel vino: Unione italiana vini a Roma da Patuanelli «per fare chiarezza»

Primo obiettivo: «Fare chiarezza». Secondo: «Agire tempestivamente». Il presidente di Unione Italiana Vini, Ernesto Abbona, sgombra il campo dalle polemiche sul vino dealcolato. E, soprattutto, sulla ventilata possibilità di un avallo dell’Ue all’aggiunta di acqua nei mosti.

«Chiederemo un incontro al ministro Patuanelli – annuncia Abbona – perché la questione è stata interpretata malamente». Se la prende anche con la politica, il numero uno di Uiv intervenuto in mattinata al Food Industry Summit del Sole 24 Ore. «Siamo molto distanti, addirittura contrari a molte posizioni politiche che sono state espresse in Italia negli ultimi giorni».

Le polemiche che abbiamo sentito sono proprio speciose – ha commentato Abbona – in tutta Europa si può dealcolare sino al 20% dei vini generici, varietali. La polemica nasce dal fatto che non è stato letto il dispositivo in discussione».

«Anche nell’ipotesi in cui si aggiunga acqua – ha aggiunto – si tratta di quella endogena del vino, ovvero quella che si estrae insieme all’alcol. Quindi viene rimessa quell’acqua che, altrimenti, creerebbe degli scompensi. L’aggiunta di acqua è assolutamente fuori da questo contesto».

LA POSIZIONE DI UIV SUI VINI DEALCOLATI

Secondo Unione italiana vini, peraltro, quella dei vini dealcolati è «un’opportunità, non solo di mercato», che l’Italia non dovrebbe lasciarsi sfuggire. Diverse le ragioni.

«Questa tipologia – ha sottolineato Abbona – può soddisfare quel 70% di persone al mondo che beve bibite analcoliche. Vogliamo toglierla dal mondo del vigneto, agricolo e darla in mano alle multinazionali? Noi preferiamo lasciarla nell’ambito delle industrie e delle cantine vitivinicole».

Sempre seconda Abbona, l’Italia avrebbe un asso nella manica, «diverso dal business». «In particolare nel nostro Paese – ha spiegato – ma anche un po’ in tutta Europa, il mondo del vino ha delle certificazioni, dei controlli e delle strutture che danno delle garanzie al consumatore di gran lunga superiori rispetto ad altre filiere industriali»

E questo è importantissimo: non si tratta di dealcolare i vini Dop e Igp, ma di dare la possibilità di dealcolare i vini generici, da tavola, che paradossalmente sono gli stessi per i quali si chiede la distillazione, perché in eccesso rispetto alle richieste di mercato».

Bruxelles, nelle ultime ore, avrebbe infatti mosso un passo indietro rispetto alla posizione iniziale, che interessava anche i vini a Denominazione e a Indicazione geografica protetta.

L’incontro con il ministro Stefano Patuanelli servirà dunque «per chiarire quelli che riteniamo essere i veri controlli della questione e far sì che la linea che tutti gli imprenditori del vino condividono sia condivisa anche dalle nostre istituzioni».

«A fine mese, a Bruxelles – ha concluso Ernesto Abbona – si parlerà della riforma della Pac. In questo ambito, la riforma dei vini dealcolati sarà al centro del confronto. Dobbiamo affrontare la questione tempestivamente, correttamente, su una base di norme già esistenti, interpretate malamente».

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Sì alle bevande a base di vino, no all’acqua nelle Dop: le Cooperative sfidano l’Ue

Sì alle “bevande a base di vino“, perché non le si consideri “vini”, tout court. Dopo Coldiretti, anche le Cooperative del vino italiano prendono posizione (contraria) sulla proposta dell’Ue di consentire la dealcolazione del vino per la produzione di vini a Denominazione (Dop) o Indicazione geografica (Ig) parzialmente o totalmente senza alcol.

Quella dei “Vini senza alcol“, del resto, è una tipologia ormai diffusa nel mondo, specie in america e nel Nord Europa, nota come “Non-Alcoholic Wines” o “Dealcoholized wines / De-alcoholized wines”.

«Non si può chiamare vino – avverte Luca Rigotti, coordinatore del settore per Alleanza Cooperative Agroalimentari – un prodotto assai lontano da quello originale in cui è prevista l’aggiunta di acqua. Si tratta di un errore che andrebbe a snaturare completamente le caratteristiche di un prodotto dalla tradizione millenaria, oltre a costituire anche una mancanza di trasparenza nei confronti del consumatore».

Siamo molto preoccupati dal nuovo approccio – prosegue Rigotti – che sembra emergere nei testi che stanno circolando. Nella proposta iniziale della Commissione, vino dealcolizzato e parzialmente dealcolizzato dovevano andare a costituire due nuove categorie di vino.

Nel nuovo testo, essi diventano invece il mero risultato di una pratica enologica che andrebbe ad applicarsi alle categorie di vino già esistenti (fermo, frizzante, spumante, eccetera)».

Pur «concordando sulla opportunità che tali regole trovino spazio in Regolamenti del settore vitivinicolo» e «pur non essendo a priori contrari ai vini a bassa gradazione alcolica, considerando che essi rappresentino un’opportunità commerciale, specie in alcuni paesi», Rigotti ribadisce con fermezza che «debbano essere chiamati diversamente, ad esempio “bevande a base di vino”».

Europa verso l’autorizzazione dei vini senza alcol a Denominazione di Origine e Igp

I DISCIPLINARI

Se la proposta di regolamento non verrà modificata, non ci sarà nemmeno bisogno di apportare modifiche ai disciplinari per poter produrre un vino a denominazione parzialmente dealcolizzato.

E, cosa ancor più grave – spiega l’esponente dell’Allaeanza Cooperative Agroalimentari – i produttori di vino e i loro Consorzi non avranno più la possibilità di decidere autonomamente se accettare o meno tale pratica».

Sul mercato, senza che la filiera produttiva abbia effettuato alcuna scelta in tal senso, si potrebbe così trovare un prodotto denominato “vino”, che vino non è.

«NON CHIAMATELI VINI»

«Per esempio un Montepulciano d’Abruzzo Doc – riferisce Rigotti – con una gradazione alcolica di 2% vol. È vero che per le Dop e le Igp nella bozza di testo si parla solo di dealcolizzazione parziale, ma ciò non è in alcun modo sufficiente per tutelare i vini di qualità».

Secondo le Cooperative «sarebbe ancora più grave l’inserimento nel nuovo testo della possibilità di “consentire l’aggiunta di acqua dopo la dealcolizzazione ai prodotti vitivinicoli, pratica che è attualmente vietata in tutta l’Ue».

In Italia il Testo unico del vino ha introdotto il divieto anche solo di detenere acqua in cantina. È compresa anche quella ottenuta dai processi di concentrazione dei mosti e dei vini, riconosciuta a tutti gli effetti come sostanza idonea alla sofisticazione.

I COLOSSI ITALIANI ALLA FINESTRA

Intanto, la Cooperativa italiana leader del settore, Caviro, conferma a WineMag.it l’interesse crescente del mercato nelle bevande senza alcol, anche a base di vino.

Per il colosso di Forlì, sempre attento ai nuovi trend, la tipologia “alcohol free” costituirebbe un nuovo segmento di mercato, dopo l’entrata in gamba tesa nel mondo dei vini senza solfiti aggiunti, con i brick della linea Sunlight.

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Vini Dop e Igp senza alcol: Coldiretti promette battaglia all’Europa

Coldiretti promette battaglia all’Europa sul vini senza alcol. Come annunciato da WineMag.it il 29 marzo scorso, Bruxelles starebbe infatti valutando la possibilità di autorizzare i vini dealcolizzati all’interno dei disciplinari delle denominazioni di origine protetta (Dop) e Indicazioni geografiche protette (Igp) europee.

Europa verso l’autorizzazione dei vini senza alcol a Denominazione di Origine e Igp

«Togliere l’alcol dal vino ed aggiungere acqua – commenta Coldiretti – è l’ultima trovata di Bruxelles per il settore enologico già sotto attacco con la proposta di introdurre etichette allarmistiche per scoraggiarne il consumo previste nella Comunicazione sul “Piano d’azione per migliorare la salute dei cittadini europei”».

La proposta è contenuta nel documento della Presidenza del Consiglio dei Ministri Ue, in cui viene affrontata la pratica della dealcolazione parziale e totale dei vini.

I DETTAGLI

Nello specifico, l’Europa vorrebbe «autorizzare nell’ambito delle pratiche enologiche l’eliminazione totale o parziale dell’alcol con la possibilità di aggiungere acqua anche nei vini a denominazione di origine».

«In questo modo – attacca la Coldiretti – viene permesso ancora di chiamare vino, un prodotto in cui sono state del tutto compromesse le caratteristiche di naturalità per effetto di trattamento invasivo che interviene nel secolare processo di trasformazione dell’uva in mosto e quindi in vino».

«Un inganno legalizzato per i consumatori – conclude la Confederazione – che si ritrovano a pagare l’acqua come il vino che non potranno neanche fare appello alla tradizionale canzone popolare romanesca “La società dei magnaccioni” di Gabriella Ferri, che recita “Se l’oste ar vino ci ha messo l’acqua E noi je dimo e noi je famo C’hai messo l’acqua Nun te pagamo ma però”».

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