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Celler Credo e il Penedès: quattro vini biodinamici dalla Spagna più autentica

Celler Credo e il Penedès vini biodinamici spagna And the Winner is Volaina Ratpenat Miranius

Celler Credo, o meglio Can Credo, è il diminutivo con cui è nota a Sant Sadurní d’Anoia la famiglia Recaredo. Un nome che risuona nitido nella Hall of fame dei produttori di spumanti Metodo Classico originari del Penedès, da qualche anno ufficialmente riconosciuti dall’Ue con il nome di Corpinnat (non più Cava).

Quello che tutti non sanno è che la cantina si concentra anche sulla produzione di vini bianchi fermi. Sorsi della Spagna più autentica, sinceramente votata alla viticoltura biodinamica e a alla valorizzazione dei vitigni autoctoni.

È il caso del Vino de mesa And the Winner is, un vino bianco generico di tutto rispetto, frutto dei vigneti più giocani di Xarel·lo, Macabeu, Parellada e Monastrell. Sino ad ora prima ed unica etichetta della linea “Patchwork Wine”. «Una chiara dichiarazione di intenti sul riutilizzo delle risorse e sull’obiettivo di costruire un’economia circolare attorno alla nostra cantina».

C’è poi Volaina, 100 % Parellada della linea “Biodiversity Wine”. Si tratta del risultato dell’impegno condiviso di Celler Credo con il Museo di Scienze Naturali di Granollers, per difendere la biodiversità in Catalunya.

Tra i vigneti di Parellada, a un’altitudine superiore a 500 metri sul livello del mare, viene monitorato il ciclo di vita delle “Volaines” (“Farfalle”, in catalano) come bioindicatrici. Vino e vita degli animali che popolano il Penedès si incrociano anche in altri due bianchi fermi della cantina di Sant Sadurní d’Anoia.

La limited edition Ratpenat (“Pipistrello”, in catalano), è un monumento al mammifero essenziale per l’equilibrio degli ecosistemi. Macabeu in purezza dal cru La Riera Seca, vigneto di 2 ettari a nord di Piera, con terreno composto da ardesia e ghiaie di quarzo. Un unicum nel Penedès, con viti ad alberello di 30 anni.

Infine Miranius, nome di fantasia appioppato da Can Credo a una delle volpi che si aggirano tra i vigneti di Xarel·lo di Plana del Penedès, Muntanyes de l’Ordal (400 metri d’altezza) e Vall del Bitlles. Tutti vini certificati biologici, Demeter e vegan, con livelli di solforosa molto contenuti, compresi fra i 30 e i 39 mg/l.

LA DEGUSTAZIONE

Vino de mesa And the Winner is… 2019 (11% vol.): 92/100

Vino prodotto con uve Xarel·lo, Macabeu, Parellada e Monastrell, portabandiera della linea “Patchwork Wine” di Celler Credo. Giallo paglierino luminoso, riflessi verdolini leggeri. Naso intenso ma delicato ed elegante. Si gioca su ricordi di fiori di campo, frutta a polpa bianca ed agrumi (tra scorza e succo), su sottofondo fumé che ricorda la pietra bagnata e la brace appena spenta.

Non manca un ricordo nitido di macchia mediterranea, sferzata dalla salsedine. Il sorso che si gioca, dall’ingresso alla chiusura, su un brillantissimo contrasto tra durezze e morbidezze. Un quadro di perfetta corrispondenza con quanto avvertito al naso.

Riecco l’agrume, tra la buccia e la polpa. Riecco anche la pesca bianca, così come il melone. Un esotico in punta di piedi, appena maturo, precisissimo. Chiusura asciutta, anche grazie a un tenore alcolico molto contenuto.

Il tutto, nonostante la parte setosa del sorso non accenni a cedere il passo alla lama elettrica della freschezza e della mineralità. Un gran bell’assaggio, all’insegna di una formula, su tutte: sfizioso equilibrio. Vino, al momento, in stato di grazia. And the Winner is.

DO Penedès Volaina 2018 (9,5% vol.): 90/100

100 % Parellada della linea “Biodiversity Wine”. Giallo paglierino, riflessi verdolini. Al naso molto tipico. Rispecchia le caratteristiche della varietà che, nella cuvée degli entusiasmanti spumanti Metodo classico Corpinnat del Penedès, conferisce eleganza e profondità.

C’è la frutta e c’à l’immancabile impronta minerale, così come non mancano i ricordi di anice e finocchietto selvatico. Sorso agile, snello, tutto giocato sulla freschezza e sull’acidità, ma non per questo banale.

L’allungo fresco sapido, ben sostenuto dal frutto, regala una beva compulsiva a questo vino di Celler Credo. Modernità e tipicità perfettamente coniugate in un’etichetta che richiama senza dubbio la Spagna più autentica.

DO Penedès Ratpenat 2018 (11% vol.): 91/100

100 % Macabeu della linea “Biodiversity Wine”. Colore giallo paglierino, riflessi verdolini. Naso particolarmente stratificato, pur nella sua essenza legata inscindibilmente agli aromi primari. Si spazia dall’esotico alle venature minerali, tra il fumé e la pietra bagnata. Dal floreale secco all’agrume. Dal melone bianco al finocchietto selvatico.

Non manca un accenno aromatico, appena percettibile, oltre a una spolverata di pepe bianco. Tanta carne al fuoco e concentrazione per un’uva dallo spettro notoriamente ridotto, in termini di complessità.

In bocca, di fatto, è una lama. Freschezza e sapidità dominano il sorso, in un quadro di solitudine gioiosa, tutt’altro che nostalgica. La chiusura, preziosa e salata, tende la mano a quel po’ di frutto che in ingresso faceva da spettatore.

Gli fanno compagnia precisi e garbati ritorni di erbe mediterranee, fresche e toniche. Un manifesto di Can Credo alla complessità della semplicità. In salsa Penedès.

DO Penedès Miranius 2018 (11% vol.): 90/100

100 % Xarel·lo della linea “Xarel·lo Wines”. Giallo paglierino luminoso, riflessi dorati. Naso molto garbato, di un floreale fresco ulteriormente ingentilito da note aromatiche, di frutta matura.

In questa etichetta di Celler Credo Si distinguono pesca, albicocca, melone e pera matura, su un sottofondo pregevole di erbe mediterranee e toni iodico-minerali tra la salsedine e la pietra bagnata.

Il sorso è giocato sull’equilibrio tra acidità e morbidezze, che si dividono la parte del protagonista. Dopo un ingresso citrico, prendono spazio in centro bocca le note di frutta matura. Perfetto equilibrio anche in chiusura.

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Vin de France Large Soif Rosé 2020, Terra Vita Vinum – Domaine Viticole en Anjou

Gustosa sorpresa d’Oltralpe con il Vin de France Large Soif Rosé 2020 di Terra Vita VinumDomaine Viticole en Anjou. Un rosato tanto moderno quanto legato alle radici territoriali, prodotto con uve Gamay e Grolleau da una delle cantine emergenti nel panorama dei vini biodinamici francesi.

LA DEGUSTAZIONE

Nel calice, Large Soif Rosé 2020 si presenta di un rosa salmone luminoso, acceso. Il naso sembra riflettere i colori di cui si tinge il vetro. Intenso, su ricordi di frutta e spezie, racconta la storia di un cesto di frutta ricco e variegato.

Si passa dai piccoli frutti rossi croccanti (ribes, fragolina di bosco, lampone) a polpe gialle e bianche (pesca, ananas, banana). Al sorso è teso, fresco, agrumato e leggermente sapido.

Caratteristiche che virano, sul finale, nella direzione delle spezie: pepe bianco, cannella, chiodo di garofano. Un pizzico d’anice stellato. Persistenza ottima per Large Soif Rosé 2020, giocata su bilanciati ritorni di frutta e spezie fresche e vagamente dolci.

LA FILOSOFIA

Vino che certamente lascia il segno per la particolarità di un naso e di un sorso che raccontano perfettamente l’intento di Domaine Viticole en Anjou. Così come quello della linea di vini Large Soif.

Ovvero la leggerezza, la facilità di beva che diventa manifesto, senza passare dalla standardizzazione e dall’uniformizzazione. Anzi, tenendo i piedi ben saldi in una filosofia produttiva che mette al centro il varietale e la tipicità del vitigno.

Ampissima la possibilità di abbinamento di questo Rosé 2020. Stando ai consigli della cantina, il migliore sono gli amici. Il termine “Large Soif”, infatti, è un omaggio al grande chef francese Paul Bocuse, l’unico a mantenere le 3 stelle Michelin per 50 anni, ininterrottamente.

LA VINIFICAZIONE

Da una parte il Gamay, noto per la produzione dei vini del Beaujolais. Dall’altra il meno famoso Grolleau, particolarmente diffuso nella Valle della Loira e in voga nella produzione dei Rosé d’Anjou.

La scelta degli artisan vigneros di Terra Vita Vinum – Domaine Viticole en Anjou non poteva ricadere su varietà migliori. L’intento della linea di vini “Large Soif”, tradotto dal francese “Sete abbondante”, è ricaduto su due varietà rinomate per la loro acidità. Ovvero freschezza.

Gamay e un tocco di Grolleau contribuiscono di fatto a un naso e a un sorso fruttato e speziato, tutto tranne che banale. Merito (anche) del terreno in cui affondano le radici le viti, ricco di Schistes de l’Anjou noir. Si tratta dello scisto nero dell’Anjou, intervallato da lastre di quarzo. Tutto tranne che un impasto grasso, insomma.

La coltivazione viene effettuata in modo tradizionale e selettivo, senza diserbo chimico. Le piante vengono protette da preparati a base di prodotti naturali, come richiesto dalla certificazione biodinamica Demeter.

In cantina si procede alla pressatura diretta delle uve Gamay e Grolleau. Seguono fermentazione con lieviti indigeni e affinamento in vasche di acciaio inox. Il contenuto contenuto di solfiti è molto basso: 34 mg/l, ben al di sotto dei limiti di legge (200 mg/l per i convenzionali nell’Ue, 150 mg/l per i vini biologici e 90 mg/l per i vini Demeter).

LA CANTINA

Terra Vita Vinum – Domaine Viticole en Anjou è una realtà di circa 30 ettari situata nella Valle della Loira. Prende vita nel 2019, quando tre motivatissimi vigneronBénédicte Petit, Luc Briand e Christophe Aubineau – subentrano nella gestione di Domaine Richou, fondato dall’omonima famiglia originaria dell’Anjou.

Dopo anni di regime biologico, il Domaine ha ormai formalizzato la sua transizione alla viticoltura biodinamica. «Più che un cambiamento nella moda culturale – spiegano i tre artisan vigneros – è una vera mutazione culturale intorno alla Terra, alla Vita e al Vino».

Terra, Vita, Vinum” diventa infatti molto più di un claim per la tenuta d’Oltralpe. Qualcosa formula voluta «per illustrare questa importante evoluzione del Domaine, che ha deciso di adottare un nome e un logo che riflettano questi forti valori di attaccamento alla terra, alla vita e al vino».

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degustati da noi vini#02

Terre di Chieti Igp Malvasia 2017 “Clorofillae”, Zeropuro Orsogna Winery

(4 / 5) La sostanza oltre alla forma. Già, perché dietro a quel grembiulino da scolaretta “green”, dalle vaghe tinte radical chic, si nasconde un vino di carattere: la Malvasia 2017 “Clorofillae” di Orsogna Winery.

Un nettare dall’anima “ambientalista”, garantita dal brand “Zeropuro“: l’abitino-etichetta è facilmente separabile dalla bottiglia, per favorirne il riciclo attraverso la raccolta differenziata. La forma innovativa rispetta le normative di legge.

Pochi punti di colla, al posto della copiosa “inzuppata” dei vini convenzionali, la tengono ancorata al vetro. Molto più, insomma, dell’ormai sdoganato marketing sui vini da agricoltura biodinamica e “senza solfiti“.

“La sostenibilità come principio ispiratore e metodo pratico di lavoro”, per dirla con le parole della cantina abruzzese, certificata Demeter. Solo solfiti naturali, niente lieviti selezionati, fermentazione spontanea. Ma soprattutto un vino buono.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, la Malvasia Igt Terra di Chieti “Clorofillae” Zeropuro si presenta di un giallo paglierino con riflessi dorati, con velature leggere che ne rivelano il mancato filtraggio. Il naso è intrigante. I marcatori aromatici del vitigno risultano evidenti.

Ma alla frutta a polpa gialla, tendente al maturo, si affiancano preziose note che rimandano agli agrumi. Non mancano leggeri sbuffi speziati, che ricordano lo zenzero. Il sorso è corrispondente. Dopo un ingresso aromatico, il  centro bocca verte su una nota vagamente amara, prima dei ritorni di frutta matura e liquirizia.

Il tutto in quadro di buona freschezza e salinità leggera, che controbilancia in maniera ottimale la polpa. Una Malvasia, “Clorofillae”, che con queste caratteristiche guadagna in complessità e, al contempo, in termini di bevibilità.

Un vino perfetto a tutto pasto, che accompagna bene piatti a base di verdure come torte salate o tortini, oltre a zuppe, pesce e carni bianche. Da provare anche con formaggi di media stagionatura.

LA VINIFICAZIONE
Come tutti i vini di Orsogna Winery, anche l’Igt Terre di Chieti Malvasia “Clorofillae” rispetta alcuni principi fondamentali, garantiti dalla certificazione Demeter Italia.

L’anidride solforosa è usata al minimo dosaggio possibile. Vengono poi evitati coadiuvanti e additivi che incidono sull’ambiente e sulla salute, sia per il loro impiego sia per il loro smaltimento.

Inoltre, tutti i sottoprodotti che derivano dalla lavorazione delle uve, siano essi residui organici o acque reflue, sono gestiti in modo che gli effetti negativi sull’ambiente vengano minimizzati.

Da qui l’attenzione alle etichette, prodotte con una miscela di polvere di pietra (carbonato di calcio) e resine atossiche (polietilene ad alta densità) che agiscono come legante.

Nessun albero viene tagliato durante il processo di produzione della carta pietra perché si utilizza esclusivamente materiale inerte proveniente da scarti di lavorazione come base della sua composizione.

La carta pietra è fotodegradabile in un periodo di 14-18 mesi. È inoltre 100% riciclabile e recuperabile per produrre altra carta pietra, materiali plastici, materiali per l’industria edile e metallurgica e per l’agricoltura.

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degustati da noi news vini#02 visite in cantina

I vini cileni biodinamici di Rodrigo Soto: Ritual, Primus e Neyen

Si parla spesso del Cile come di un Paese che aggredisce le economie internazionali, proponendo etichette di vino di scarsa qualità, a prezzi ridicoli.

Un Cile che inonda d’uva da taglio il Sudamerica (e non solo) dove sta invece crescendo il consumo consapevole di vino. I vini cileni di Rodrigo Soto, produttore incontrato all’ultima edizione del ProWein di Dusseldorf, in Germania, costituiscono l’altra faccia della medaglia.

A labor of love“. Una questione d’amore, per questo appassionato enologo e winemaker, produrre vino secondo i principi della viticoltura biologica e biodinamica. Una missione “strettamente legata alla terra coltivata, alla salubrità del suolo e ai rituali artigianali del vino”.

Seguendo i ritmi della natura. Un modo “nuovo” di fare viticoltura in uno dei Paesi, il Cile, spesso citato quando si parla di New World wines, i “Vini del Nuovo Mondo“.

Per il suo progetto biodinamico, Rodrigo Soto ha scelto in particolare tre zone, convertendole a una produzione attenta e di assoluta qualità, riunite sotto il tetto di González Byass, uno dei marchi storici del Cile del vino

  • Veramonte, la parte più a Est della Casablanca Valley, sferzata dalle fresche correnti del Pacifico (Ritual Estate)
  • Apalta, un’area influenzata dalla presenza del fiume Tinguiririca, nella Colchagua Valley (Primus Estate)
  • I terrazzamenti a mezzaluna di Apalta, un microclima unico all’incontro tra la catena montuosa delle Ande e la parallela Coastal Range, la Catena Costiera (Neyen Estate)

I MIGLIORI ASSAGGI

Sauvignon Blanc 2016, Ritual. Fermentazione in legno per questo Sauvignon che svela i tratti internazionali del vitigno, con una spinta aromatica intrigante. Il gioco tra l’acidità esplosiva e la morbidezza è parte integrante di un sorso difficile da dimenticare.

Chardonnay Supertuga 2016, Ritual. Giallo dorato che “tradisce” l’utilizzo di un legno forse ancora troppo invasivo, al naso. Una punta “piccante”, però, incuriosisce e invita a proseguire con entusiasmo l’analisi. In bocca l’ingresso è dritto, verticale, ma destinato ad ammorbidirsi.

Bello il contrasto tra la vaniglia – nota predominante del retro olfattivo – e il cesto di agrumi (pompelmo e buccia di lime) che sembrano spremuti nel momento centrale del sorso. Il nettare mostra solo in un secondo momento i suoi tratti più mansueti, disegnati appunto dal sapiente utilizzo del legno. Vino di prospettiva.

Pinot Noir 2016, Ritual. Una varietà relativamente nuova, piantata qui negli anni Novanta, nei primi anni della denominazione di Casablanca. Anche in questo calice la presenza al naso di richiami erbacei netti, che smorzano la finezza del frutto, rivelando però la territorialità del calice. La rivincita assoluta è al palato: una vera e propria rivincita per le note di melograno, lampone e mora che dominano il sorso, anche in un finale lungo.

Neyen 2013. Blend ottenuto per il 55% da Carmenere, completato da un 45% di un antico clone di Cabernet Sauvignon. Un vino da provare almeno una volta nella vita per la “misura” con cui riesce ad esprimere la propria ampiezza. Un nettare complesso, che evolve nel calice di minuto in minuto.

Naso e bocca non risentono particolarmente dei 18 mesi di affinamento in legno francese, per il 50% nuovo. La frutta di libera preziosa, accarezzata da un tannino di seta e da terziari composti che richiamano, in particolare, la liquirizia. Un vino decisamente gastronomico.

Carmenere 2016, Primus. Paprica, peperone e pepe per il naso di un Carmenere che si rivela verde, ma senza sbavature. Non mancano richiami balsamici mentolati, che completano il bouquet assieme alla frutta rossa.

In bocca sorprende per equilibrio e finezza, con una rotondità inaspettata. Il vino più facile da bere di quelli proposti in degustazione da Rodrigo Soto, pur evidenziando ulteriori margini di affinamento.

Syrah Alcaparral 2015, Ritual. Un Syrah col cappotto, che cresce (e bene) anche lontano dai climi caldi che sembra preferire a livello internazionale. La nota di pietra focaia è la cifra dell’assaggio: quella che ne connota l’unicità.

In bocca è rotondo in ingresso, prima di lasciar spazio a un’acidità vibrante. Chiusura su note vegetali e speziate che riportano a una dimensione mondiale questo tipicissimo Syrah cileno.

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Domaine de Beudon. Viaggio nella Svizzera dove si vive (e si muore) di vino

Scricchiola, appesa ai fili tesi al cielo di Fully, canton Vallese, la teleferica di Jacques Granges e Marion Granges-Faiss. Scricchiola. Sembra arrancare, a tratti. Barcolla un poco, mentre sale. Ma non si ferma. E non si fermerà mai. E’ il cuore grande di Marion e delle sue tre figlie che la tiene in funzione. Anche ora, anche oggi. Anche se per metà, quella teleferica, non avrebbe più senso d’esistere. Di raggiungere il cielo. Almeno da quel terribile 10 giugno 2016. Quel giorno che nel Valais – e non solo – nessuno scorderà più. Jacques era solo. A 870 metri d’altezza. Tra le sue vigne. Una distrazione, tra i filari. Forse a causa della fatica, dovuta alla fortissima pendenza del terreno. Il macchinario su cui si trovava si è ribaltato. Alcuni operai hanno trovato Jacques una decina di minuti dopo. Privo di vita. Per il forte trauma subìto alla testa. Inutili i soccorsi. I disperati tentativi di rianimazione. Lo attendevano per la pausa pranzo. Erano le 12.30 passate. E Jacques era un tipo puntuale. Se n’è andato così, il padre della viticoltura biodinamica svizzera. All’età di 70 anni. Se n’è andato tra le sue vigne. Tra le sue “figlie”. Tra le piante di Fendant, Riesling Sylvaner, Gamay e Pinot Nero. Se n’è andato lasciando Domaine de Beudon nelle sapienti mani della moglie Marion, che da una vita gli era accanto, anche in vigna. Per cercare di trarre il meglio, seguendo i principi della biodinamica (no diserbi, no concimi: in due parole “no chimica”) dallo splendido terroir di “loess”, come chiamano da queste parti l’argilla mista a sabbia e detriti morenici. Combattendo quotidianamente con le insidie del meteo e, in generale, con Madre Natura. Un’amica nemica da rispettare, quassù. Anche quando decide di fare la stronza. “Science, Coscience et Amour. Lo diceva sempre, Jacques. Aggiungendo subito dopo, ‘Tant Amour. Mi faceva sempre tanto ridere!'”. E’ con le parole del marito che Marion Granges-Faiss ci accoglie nella sua casa sulla montagna. Di nome e di fatto. Ci siamo fatti caricare sulla teleferica da Laura, l’impiegata storica del Domaine de Beudon. E abbiamo raggiunto l’abitazione, costruita proprio lassù. Tra le vigne eroiche. Cinque minuti di pura adrenalina, per arrivare a quasi 900 metri d’altezza. Sul cielo di Fully. Sul cielo di una Svizzera che piange ancora oggi, per la scomparsa di un grande uomo. Un rivoluzionario del vino. E della vita. Prende per mano il nipotino, Marion. Tra le dita sporche di terra il piccolo di 4 anni tiene una mela succulenta. Che sgranocchia goloso, durante il nostro tour delle vigne. Niente snack da queste parti: solo cibo genuino. La vista, tra i filari, è di quelle che mozzano il fiato. Ma è Marion che riesce a toglierti il respiro. Per davvero. Ancora più delle vertigini. E a farti lacrimare il cuore.

Cammina come un gatto tra le sue piante, Marion. Sinuosa, esperta. Delicata, decisa. E’ l’ossimoro fatto donna. Ogni tanto, tra una parola e l’altra in inglese, francese e italiano, si ferma. Si piega, sciolta. Strappa da terra un po’ di verbena e te la mette sotto il naso. “Quassù è pieno di piante officinali”, fa notare. “Ci facciamo delle buonissime tisane”. Profumi che ritroveremo nei vini del Domaine de Beudon. Chiari, netti, fini, in ognuna delle 25-30 mila bottiglie prodotte in media ogni anno dalle uve del Domaine, lavorate a Saillon nella cantina di Pierre Antoine Crettenand. “Perché noi non abbiamo mai avuto una cantina tutta nostra”, spiega Marion. Del resto di lavoro ce n’è sempre stato abbastanza tra i 7,5 ettari di proprietà della famiglia. Vigne che il 1 luglio hanno compiuto i 45 anni dal loro acquisto. Un traguardo che Jacques Granges ha solo sfiorato. “Negli anni ’70 l’acquisizione dei terreni – spiega la Signora del vino svizzero – e dal 1992 la certificazione del biodinamico, anche se fin dall’inizio ne abbiamo rispettato i princìpi. Come mai questa decisione? Perché noi siamo esseri umani e dobbiamo rispettare il nostro prossimo, ma anche l’ambiente. Il vino che produciamo, del resto, è per la gente. La biodinamica, per noi, è sempre stata più che una scelta una necessità morale: per noi, per i nostri cari, per il prossimo. Per la Terra”. Non a caso Domaine de Beudon aderisce al circuito di viticoltori Triple A – Agricoltori, Artigiani, Artisti: unica casa vinicola dell’intera Svizzera.

LA DEGUSTAZIONE
Una scelta radicale. Compiuta con la consapevolezza dell’amore per la propria terra. Ma anche una decisione preziosa, dal punto di vista enologico. I vini biodinamici non filtrati di Jacques e Marion Granges-Faiss sono ormai riconosciuti internazionalmente come straordinari. Oltre il pionierismo. Oltre certe leggi non scritte del vino svizzero, secondo le quali – per esempio – un Fendant “va bevuto giovane”. Nel calice la vendemmia 2004 Beudon si presenta ancora d’un bel giallo paglia, con riflessi verdolini. Al naso l’impagabile freschezza delle note fruttate (albicocca) e uno spunto vegetale che costituirà il fil rouge, preziosissimo, di tutta la produzione del Domaine de Beudon. Un contrasto solo apparente, in quadro in cui anche la mineralità gioca un ruolo fondamentale. Vini d’agricoltura, d’artigianato. Vini d’arte. Vini di fatica. Vini folli. Basti pensare che in occasione della vendemmia, per i bianchi è prevista una prima pressatura in “alta quota”. Il mosto scorre dunque verso il basso mediante una canalina, costruita appositamente. Una volta a “terra”, il prezioso nettare finisce nelle vasche inox per la chiarifica (dèbourbage), poi condotte alla cantina di Pierre Antoine Crettenand per la lavorazione. Per i rossi il discorso è diverso. Ancora più folle, se possibile. Le uve, raccolte in piccole cassette, vengono condotte dai 600-900 metri d’altezza delle vigne sino a terra (a 450 metri slm) mediante ripetuti viaggi in teleferica. Immaginate un ‘ascensore’ pieno di cassette d’uva appena colta a grappoli, che scende dai monti come un dono del cielo. Viticoltura eroica dal campo alla bottiglia, insomma. Ed eroico è pure il Riesling Sylvaner 2004 del Domaine de Beudon. Ottenuto da un appezzamento di 1,6 ettari situato interamente a 800 metri d’altezza, risulta aromatico come un giovane moscato al naso, nonostante i 12 anni, con un tocco di miele delicato e fine. Lunghissimo in bocca, chiude su note amarognole che ricordano vagamente il rabarbaro. La degustazione prosegue con un Johnannisberg 2013 di grandissima intensità olfattiva. Miele, erbe d’alpeggio. Si passa ai rossi, con il Gamay 2009 (13%). Un assemblaggio tra uve provenienti da diversi appezzamenti del vigneto. Splendido tannino, gran frutto. Un marchio di fabbrica garantito dalle lunghe e lente macerazioni in acciaio. “Per garantire la tipicità del vitigno”, spiega Marion. Constellation 2007 (12,5%) è invece il riuscitissimo blend tra Pinot Noir, Gamay e Diolinoir, varietà autoctona del Vallese. “Con la biodinamica riusciamo a ottenere più ‘estratto’ di tutto”, commenta ancora la viticoltrice, sorseggiando il rosso. E in effetti siamo di fronte a un vino sensualissimo. Dai profumi vellutati di frutta (piccole bacche rosse) al riconoscibilissimo sentore di rosa. Un vino sinuoso, del fascino della discretezza. Anche al palato. Dove chiude con le canoniche note di erbe officinali, persistenti, lunghe. Chiudiamo con il Petite Arvine 2014, premiato come miglior vino bianco bio della Svizzera. Lo degustiamo leggermente fuori temperatura. Ma ne apprezziamo comunque la freschezza. Bel naso, a cui risponde in bocca una portentosa struttura e calore: verbena, timo, limone. La sensazione è quasi balsamica. “Adesso le tocca raccontare che i vini svizzeri ottenuti dalla viticoltura biodinamica sono longevi”, scherza Marion. Ci “tocca”? Dobbiamo. Chapeau.

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ViniVeri 2016: tutto pronto per la 13ma edizione a Cerea

Dall’8 al 10 Aprile a Cerea, nei pressi di Verona, si svolgerà la tredicesima edizione della manifestazione ”ViniVeri 2016”. Quest’anno l’evento partirà anticipatamente rispetto al solito calendario per non sovrapporsi ad altre manifestazioni vinicole organizzate in zona nelle stesse giornate come il Vinitaly. Tutte le aziende che prenderanno parte a ViniVeri 2016 seguono la ”regola” del Consorzio ViniVeri, che non prevede metodi ”bio” o ”non bio”, ma che indica semplicemente le azioni che permettono a una produzione di esprimersi pienamente e raggiungere l’obiettivo di ottenere un vino in assenza di accelerazioni e stabilizzazioni, recuperando il miglior equilibrio tra l’azione dell’uomo ed i cicli della natura. Fanno parte del Consorzio ViniVeri quindi, coltivatori che applicano una filosofia produttiva rispettosa dell’ambiente e delle biodiversità, agricoltura sostenibile che va oltre la certificazione europea. Un modello che non vuole imporsi a nessuno, ma che chiede libertà di esistere svincolato dai numerosi cavilli burocratici previsti dalla legge. I vignaioli ”veri” portano anche avanti da anni la battaglia dell’etichetta trasparente, carta d’identità del prodotto che dovrebbe indicare tutti gli ingredienti contenuti, al pari di un qualsiasi prodotto alimentare. Oltre ai soci del consorzio Cappellano, Giuseppe Rinaldi, Ezio Cerruti, Ezio Giacomo Trinchero, Serafino Rivella, Eugenio Rosi, Casa Coste Piane, Castello di Lispida, La Castellada, Dario Princic, Zidarich, Vodopivec, Ronco Severo, Mlečnik, Slavček, Massa Vecchia, Podere Luisa, Carla Simonetti, Walter Mattoni, Oasi degli Angeli, Paolo Bea, Praesidium, PaneVino, Salvatore Ferrandes, Cantina Ninnì saranno presenti anche un centinaio di ”artigiani del vino” indipendenti tra cui alcuni internazionali che presenteranno le ultime produzioni imbottigliate, anteprime e vecchie annate.
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Vignaioli naturali, superato il regolamento Europeo 203/2012: ecco il protocollo dei vini “liberi e bio”

Il mercato dei vini naturali, biologici e biodinamici è in crescita e l’Italia è sempre più protagonista di questo trend. I vigneti biologici sono in aumento, gli ultimi dati parlano di circa l’11% della superficie vitata coltivata secondo queste metodologie con picchi fino al 25% in Sicilia. L’interesse dei consumatori è altrettanto alto in materia: la riprova sono i numerosi eventi a tema vini naturali da nord a sud che attirano sempre più visitatori. ”Tutte queste iniziative dimostrano che è stato finalmente accertato il valore del vino naturale, che non è solo una moda: è maturata in produttori e consumatori una nuova consapevolezza”, spiega Tiziana Gallo che distribuisce vini naturali e organizza ogni anno le rassegne Vignaioli naturali a Roma e Vignaioli delle Langhe. Ma cosa prevede la disciplina dei vini bio? Al momento esiste un regolamento Europeo, il 203/2012. Per poter essere riconosciuti e certificati come Bio i produttori devono seguire un disciplinare in vigna ed in cantina che prevede sostanzialmente una serie di restrizioni in termini di pratiche enologiche e coadiuvanti. Le uve devono essere coltivate senza concimi, diserbanti, anticrittogamici, insetticidi e pesticidi in genere e soprattutto senza impiego di ogm, in cantina la vinificazione deve essere eseguita con l’utilizzo di prodotti e modalità autorizzate e con limitazione dei contenuti di solfiti.

Ispirandosi alla francese organizzazione Association des vin naturel, qualche giorno fa circa 40 produttori provenienti da differenti regioni hanno sottoscritto una lettera di intenti, un protocollo anche per difendersi dai produttori Bio a livello industriale che rischiano, in nome del business di accettare qualsiasi compromesso che si discosterebbe dalla loro visione e dalla loro etica. Secondo i vignaioli naturali, oggi sempre più associati e consociati, il vino è una risorsa alimentare corroborante e salutare come è stata conosciuta nei secoli e non prodotto costruito ad hoc, alterato e corretto sistematicamente in virtù delle regole di mercato. L’agricoltura deve essere biologica o biodinamica e anche autocertificata: sono disponibili a qualsiasi tipo di analisi che accerti i contenuti di fitofarmaci e solforosa. Le fermentazioni devono essere spontanee senza aggiunte di lieviti e batteri, senza aggiunta di coadiuvanti in nessuna fase di vinificazione, maturazione e affinamento e senza ulteriori trattamenti invasivi come osmosi inverse, pastorizzazioni, criovinificazioni. Questo in sintesi il contenuto del protocollo. Il Bio libero: è stato Oscar Farinetti a coniare questa espressione. Il prodotto deve essere autodisciplinato dai produttori stessi, liberi dalle normative europee e soprattutto dei costi per sostenere gli enti certificatori.

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