Si scrive “CuvéeAdamantis“, si legge “fortuna”: quella che premia gli audaci. In un periodo caratterizzato dalla contrazione delle vendite di vino su scala globale, le cooperative vitivinicole dell’Alto Adige continuano il loro ambizioso percorso di premiumizzazione della produzione. A iscrivere un altro vino ai vertici della gamma – nonché alle prime posizioni della “classifica“ dei vini altoatesini più costosi – è ancora Cantina Valle Isarco (in tedesco Kellerei Eisacktal). La cantina sociale diretta da Armin Gratl si prepara a commercializzare, a partire da ottobre 2024, l’annata 2021 di Cuvée Adamantis, Vigneti delle Dolomiti Igt che sintetizza le peculiarità della zona. Basi solide con un 50% di Sylvaner, combinato a percentuali minori di Grüner Veltliner, Pinot Grigio e Kerner. Un «Super Alto Adige» o, ancora meglio, un «Super Valle Isarco», dal prezzo importante: 68 euro più Iva, che lievitano a 100 euro – su per giù – a scaffale.
ADAMANTIS CUVÉE 2021: UN «SUPER VALLE ISARCO»
Solo 2 mila bottiglie (numerate) per l’etichetta che, in realtà, ha fatto il suo esordio assoluto sui mercati lo scorso anno, con l’annata 2020. Ma è grazie all’andamento della vendemmia 2021 che Cuvée Adamantis ha trovato i parametri sensoriali desiderati: «Un vino fresco, da bere, da secondo e terzo calice, capace di accompagnare bene un pranzo o una cena, a tutto pasto; ma pensato soprattutto per essere consumato anche da solo, al calice, per la sua bella verticalità e mineralità». Proprio così lo immaginava Armin Gratl, manager protagonista tanto del record del fatturato di Cantina Valle Isarco nel 2023 – 7,85 milioni di euro, mentre è solo in lieve contrazione quello del 2024, a 7,7 milioni – quanto delle decisioni e della stilistica dei vini, accanto al giovane enologo Stefan Donà – subentrato un anno fa ad Hannes Munter – e al superconsulente Riccardo Cotarella.
LA RICETTA DI ARMIN GRATL: FATTURATO ALLE STELLE E VINI DI BEVA
«Cuvée Adamantis – spiega a winemag il direttore generale di Kellerei Eisacktal – è il nostro ultimo vino top di gamma, nel quale vogliamo racchiudere l’essenza della Valle Isarco. Per questo motivo abbiamo fatto ricorso ai vitigni simbolo della nostra zona, a partire proprio da una componente preponderante di Sylvaner, che si attesta al 50%. Mi piace definire questo vitigno lo “Chardonnay di montagna” della Valle Isarco: con la varietà francese abbiamo fatto delle prove, in passato, nell’ottica di realizzare un vino importante. Ma il risultato, in termini di territorialità, non era lo stesso. Il nostro vino deve “sapere” di montagna e crediamo di aver trovato la sintesi perfetta, se così si può dire, con Cuvée Adamantis 2021».
CUVÉE ADAMANTIS CANTINA VALLE ISARCO: L’ASSAGGIO
Alla prova del calice, di fatto, il nuovo vino di punta di Cantina Valle Isarco racchiude, condensa e sintetizza tutte le (migliori) caratteristiche dei vitigni di cui si compone l’assemblaggio. Un vino che fa dell’acidità, e dunque della freschezza, il suo punto forte (solo il 50% della massa compie la fermentazione malolattica). Senza rinunciare, tuttavia, a un certo peso specifico al palato, col frutto esotico e la vena glicerica (alcol ben integrato, a 13,5% vol.) che ribattono colpo su colpo all’esuberanza verticale e a una sapidità elegante, in abito da sera. Aiuta e non poco – soprattutto ora che il vino è giovane e mostra, quasi ruggendo, le proprie abilità in prospettiva – il magistrale utilizzo dei legni di rovere francese, per il 50% nuovi. La tostatura è delicata e contribuisce ad elevare il gradiente di gastronomicità del nettare.
ADAMANTIS 2021: “FILARI PREMIUM” PER LA CUVÉE DI CANTINA VALLE ISARCO
Protagonisti del nuovo vino, al di là della stilistica e delle strategie di posizionamento dell’etichetta – l’80% delle bottiglie viene distribuito su assegnazione in Italia, con prevalenza assoluta dell’Alto Adige, mentre l’export è guidato dagli Stati Uniti, in testa New York e San Francisco – sono alcuni dei 130 soci della cooperativa che ha sede a Chiusa (Bolzano). Cuvée Adamantis è infatti frutto di un progetto di zonazione specifica di diversi vigneti già “in forza” alla prestigiosa linea Aristos di Cantina Valle Isarco. «Più che parcelle, filari altamente selezionati – spiega ancora Armin Gratl – sulla base della qualità delle uve che hanno dimostrato di poter produrre in cinque anni di sperimentazioni». Poche linee di grappoli, baciati dalla fortuna. Quella che aiuta gli audaci, in Alto Adige.
IL PROFILO SENSORIALE DI CUVÉE ADAMANTIS (95/100 WINEMAG)
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Toblinogate lordinanza che inchioda il Cda di Cantina Toblino e scagiona gli enologi licenziati Lorenzo Tomazzoli e Marco Pederzolli.
L’utilizzo di 9% alcol in volume, quale parametro utile a determinare la gradazione minima dei vini atti a divenire Vigneti delle Dolomiti Igt, non è attribuibile alla discrezionalità di Lorenzo Tomazzoli e Marco Pederzolli. Ecco perché il Tribunale civile di Trento ha intimato il reintegro dei due enologi licenziati da Cantina Toblino. Costringendo la cooperativa trentina a pagare stipendi e contributi arretrati, oltre alle spese processuali.
È quanto emerge dalle carte dell’ordinanza firmata il 28 dicembre 2021 dal giudice del lavoro Giorgio Flaim. Un documento che inchioda la cantina della della Valle dei Laghi presieduta da Bruno Luterotti e diretta da Carlo De Biasi. E scagiona definitivamente i due winemaker Tomazzoli e Pederzolli, accusati di «fatti inesistenti».
Tra i supertestimoni del Toblinogate, caso che ha tenuto il Trentino – e non solo – col fiato sospeso per tutto il 2021, figura Gianantonio Pombeni. Trentasei anni al servizio di Cantina Toblino, è l’uomo che ha lasciato il posto a Carlo De Biasi alla direzione generale della cooperativa nell’agosto 2016, per raggiunti limiti di età pensionabile.
TOBLINOGATE: TRA I SUPERTESTIMONI L’EX DG POMBENI
Le parole dell’ex dirigente sono la chiave di volta dell’intero procedimento. La panacea dei mali di Lorenzo Tomazzoli e Marco Pederzolli. L’asso nella manica del loro legale, l’avvocato Osvaldo Cantone del foro di Verona.
«Nel periodo di svolgimento del mio rapporto di lavoro – chiarisce Gianantonio Pombeni nella sua deposizione – la classificazione dell’uva conferita avveniva in base ai parametri della resa per ettaro e della gradazione zuccherina. In riferimento a quest’ultimo parametro, l’uva Müller-Thurgau destinata a Igt Vigneti delle Dolomiti era di 14,20 Babo, che corrispondeva a un volume alcolico del vino di 9%».
Detto valore è stato applicato fin dagli anni Ottanta e conservato per quanto mi consta, durante il periodo in cui io ho svolto le mansioni di direttore generale. Si trattava di un valore di conoscenza comune, sia in azienda che tra i soci.
Questo valore di 14,20 Babo era necessario per rispettare la qualità che Cavit pretendeva rispetto ai vini che acquistava dalla Cantina di Toblino. Ricordo che era stata redatta una circolare destinata ai soci in cui era stato indicato anche il suddetto valore».
IL DECLASSAMENTO DELL’IGT VIGNETI DELLE DOLOMITI
Un valore, chiarisce sempre Gianantonio Pombeni nella sua testimonianza, che era stato «individuato dalla cantina dopo aver consultato il Consorzio di Tutela dei Vini del Trentino e l’Icqrf di San Michele all’Adige». «Ricordo anche che io, in prossimità di ciascuna vendemmia, contattavo i due enti per informarmi se vi erano delle novità prescrittive», ammette l’ex dg.
Un aspetto rimarcato nell’ordinanza del Tribunale civile di Trento. «Il parametro dei 9% alcol – scrive il giudice Giorgio Flaim – risale a tempi remoti e sempre con l’avallo delle autorità di vigilanza e di tutela, come emerge nitidamente dalla deposizione del teste Pombeni Gianantonio». A confermare la tesi difensiva sono anche le parole del suo successore.
«In previsione alla vendemmia 2018 – dichiara l’attuale direttore generale Carlo De Biasi nella sua deposizione – io decisi che l’uva oggetto del singolo conferimento da parte dei soci venisse qualificata anche sotto il profilo dell’attitudine, secondo le tre categorie Trentino Doc o Igt Vigneti delle Dolomiti o vino da tavola. Ho dato il consenso all’applicazione e alla diffusione di detti valori presumendoli corretti».
Emerge così «con evidenza», scrive il giudice Giorgio Flaim, «che l’utilizzo presso Cantina Toblino del valore 9% vol. […] non solo non fu un’iniziativa adottata autonomamente nel 2018 dal ricorrente (Lorenzo Tomazzoli, ndr) e dal collega Marco Pederzolli».
Ma corrispondeva – prosegue l’ordinanza – a un parametro da tempo condiviso dal Consiglio di amministrazione della società datrice e dall’attuale direttore generale De Biasi (oltre che, come si è già visto, dal predecessore Pombeni). Nonché conosciuto dai soci conferenti, essendo indicato nelle circolari loro inviate e inserito nella tabella affissa presso luoghi di pesa».
IL GIUDICE: ACCUSE INFONDATE AI DUE ENOLOGI LICENZIATI
«Appare così palese l’infondatezza dell’addebito, laddove addebita al ricorrente l’introduzione nel sistema informatico aziendale di un erroneo parametro, l’errata classificazione di consistenti quantitativi di uva conferita dai soci. Nonché l’aver cagionato un grave danno alla società, corrispondente al minor valore del vino, commercializzato come vino comune da tavola».
Tutti aspetti che determinano «l’inesistenza ontologica dei fatti contestati». Tanto da far «apparire quasi superfluo ricordare l’ormai consolidato orientamento della Suprema Corte, che equipara l’irrilevanza disciplinare all’inesistenza materiale ai fini dell’applicazione della tutela ex art. 18 co.4 St. Lav.». Ovvero il reintegro per mancanza della “giusta causa” del licenziamento.
Non è tutto sul Toblinogate. Raggiunto da WineMag.it, Lorenzo Tomazzoli chiarisce ulteriori dettagli sul potenziale vino Igt Vigneti delle Dolomiti declassato a vino da tavola. «Tra le accuse mosse nei nostri confronti dal Cda di Cantina Toblino – spiega l’enologo della cooperativa – c’è quello di aver causato un danno economico. Nessuno però ha detto che fine ha fatto tutto quel vino prodotto con uva declassata».
L’azienda ha un punto vendita locale in cui si vendono 1.200 ettolitri di vino sfuso all’anno. Il vino da tavola bianco deriva dai superi dello Chardonnay, dai superi del Pinot Grigio, da un po’ di Sauvignon e anche da Müller-Thurgau e Nosiola con gradazioni basse.
Vien fuori un vino da 11 gradi, con l’arricchimento, che è onestissimo, buonissimo. E che si vende allo stesso prezzo a cui viene venduto l’Igt Vigneti delle Dolomiti a Cavit! Dunque Cantina Toblino non ci ha rimesso un euro!».
IL PREZZO DEL VINO DA TAVOLA E I PIWI (DI DOMANI)
Il prezzo del vino da tavola bianco della cooperativa della Valle dei Laghi, presso il punto vendita di Via Lónga, a Sarche di Calavino (TN), è di fatto di 1,80 euro. Si tratta dunque degli stessi 1,50 euro circa al litro riconosciuti all’ingrosso per il Müller-Thurgau atto alla spumantizzazione.
«Anche il danno economico da 420 mila euro, frutto dei prezzi di vendita dello sfuso a Cavit (147 euro all’ettolitro) risultava campato in aria», attacca Lorenzo Tomazzoli. «Il confronto – spiega ancora l’enologo – è stato fatto con il prezzo di vendita del vino da tavola bianco sulla piazza di Verona, ovvero 35 euro all’ettolitro. Senza considerare minimamente il reale prezzo presso il punto vendita di Cantina Toblino».
Entrate, quelle dello sfuso sul mercato locale, che costituiscono uno dei pilastri dei bilanci della cooperativa. Posto di lavoro in cui Lorenzo Tomazzoli è pronto a rientrare tra poche ore. Con qualche macigno nelle scarpe: «Ho tante belle cose da completare», ammette.
Secondo indiscrezioni di WineMag.it, tra i progetti potrebbe esserci il lancio dei vini da vitigni resistenti Piwi targati Cantina Toblino. Un vero e proprio pallino per l’esperto winemaker della cooperativa. La svolta “green” con Solaris e Bronner. Dopo la pagina nera del Toblinogate.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(4 / 5) Dai “resident” della Valpolicella di Masi Agricola, un Teroldego al supermercato che non eccelle, soprattutto nel rapporto qualità prezzo. Sotto la lente di ingrandimento di Vinialsuper, la vendemmia 2017 del Teroldego Vigneti delle Dolomiti Igt 2017 “Mas’Est”, prodotto a Rovereto (TN) dalla Tenuta Conti Bossi Fedrigotti, di proprietà dei veneti di Masi.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il vino si presenta del tipico rosso rubino intenso. Al naso la percezione è di frutta matura, rossa e scura: si va dalle more al ribes e dalla prugna ai lamponi. Non mancano accenni minerali e alla macchia mediterranea. Ma il contorno è soprattutto di cioccolato e fondi di caffè.
Buona la corrispondenza gusto-olfattiva di questo Telodego, che tuttavia non risulta particolarmente espressivo al palato. Ingresso di bocca slanciato, verticale. Il frutto gioca su una percezione salina netta e il tannino, piuttosto levigato, accompagna il sorso verso la chiusura. Un vino che si abbina a primi e secondi a base di carne.
LA VINIFICAZIONE
Frutto di una vendemmia non certo memorabile, il Teroldego di Masi è ottenuto al 100% dalle omonime uve. Il portamento morbido è ottenuto grazie al leggero appassimento, tecnica millenaria che Masi ha portato dalla Valpolicella in Trentino.
Con un’estensione di 40 ettari di vigneto, l’azienda Conti Bossi Fedrigotti è tra le più ampie del Trentino. La produzione si basa sulle uve tipiche della regione, come Teroldego e Marzemino, e sui vitigni internazionali come Merlot, Cabernet, Chardonnay e Pinot Nero.
Prezzo pieno: 10,90 euro
Acquistabile presso: Esselunga
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Indecisi sul vino per Capodanno? Abbiamo chiesto a “Iper, la grande i” 6 i vini della linea “Grandi Vigne” per il cenone dell’ultimo dell’anno. Ne è risultata una degustazione più che soddisfacente. Ennesima riprova del valore assoluto, soprattutto in termini qualità prezzo, di questo progetto di Finiper. Unico in Italia.
Una “private label” sui generis, capace di valorizzare le migliori Doc e Docg italiane grazie al contributo di cantine di prim’ordine, in grado di garantire standard qualitativi altissimi, a un prezzo più che mai onesto e alla portata della maggioranza degli italiani abituati ad acquistare vini al supermercato.
Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper un Metodo Classico (Trento Doc), due vini bianchi (Müller Thurgau e Vermentino), due vini rossi (Etna Rosso e Brunello di Montalcino) e un vino dolce (Moscato). Quasi tutti vini in promozione fino al 31 dicembre 2017 negli store a insegna “Iper, la grande i”.
Volete sapere chi la spunta? Ecco la nostra speciale classifica, con il suggerimento di fare la scorta, proprio in virtù del 20% di sconto valido sino a fine anno.
(5 / 5) Etna rosso Doc 2013 Sciara Scura, Cantine Nicosia Spa – Grandi Vigne. Blend di uve Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio, di colore rosso granato. Naso complesso: viola e sottobosco fine (mirtillo, fragolina), confettura di more sottile. L’ossigenazione nel calice esalta componenti vegetali che richiamano la macchia mediterranea: evidentissimo il rosmarino e l’alloro.
Ingresso di bocca caldo, su sentori corrispondenti al naso. Tannini delicati, che uniti a una mineralità salina e a un’acidità ben bilanciata regalano un quadro di gran finezza. Chiusura di fatto fresca, tra il mentolato e l’amarognolo: un retro olfattivo nel quale i tannini sfoderano maggiore prepotenza, ma senza infastidire.
Un vino decisamente “gastronomico”, capace di esaltarsi ulteriormente se accompagnato dal giusto abbinamento con la cucina. Tradotto: primi piatti conditi da sughi saporiti, carni arrosto e alla griglia, selvaggina e formaggi stagionati.
Un gran bel vino, ottimo per la tipicità che è capace di esprimere e per l’impareggiabile rapporto qualità prezzo, specie se in promozione. A produrlo è Nicosia Spa, cantina di Trecastagni (Catania), fondata nel 1898 da Francesco Nicosia e oggi condotta da Carmelo Nicosia. Prezzo: 9,60 euro; sconto 20%: 7,65 euro.
(5 / 5) Brunello di Montalcino Docg 2012 Il Cassero, Caparzo – Grandi Vigne. Colore rosso rubino. Naso che fatica a concedersi, sotto la coltre del legno. Un vino che va aspettato. Oppure, per chi ha fretta di apprezzarne subito l’evoluzione nel calice, decantato almeno cinque o sei ore prima dell’apertura.
Ebbene sì, anche se si tratta “solamente” di una vendemmia 2012: ve lo consigliamo noi, che tra l’altro non siamo fan assoluti dei decanter applicati ad annate così “recenti”. Per questo Brunello facciamo un’eccezione e ne siamo felici.
Si resta comunque di fronte a un vino che mostra ampi margini di evoluzione in bottiglia, in totale coerenza con la Docg di Montalcino: vini capaci di “invecchiare”, in media, oltre 30 anni. Apprezziamo anche per questo “Il Cassero” di Caparzo: una cantina capace di regalare alla Gdo un vino “davvero vero”. Scevro dalle logiche commerciali della “pronta beva”, in cui cascano invece big come Frescobaldi (vedi il “Campone”). Dunque, chapeau.
In definitiva, quello selezionato da “Iper, la grande i” è un Brunello di Montalcino a tutti gli effetti, che piaccia o no ai consumatori meno preparati sull’argomento. Dopo diverse ore di ossigenazione, il vino mostra tutte le tipicità del più famoso dei vini toscani e della sua uva principe: il Sangiovese.
Naso che richiama un vegetale acerbo, assimilabile alle foglie del geranio. E dunque mela, limone, mandarino giovane. Non manca la componente dei frutti rossi e dei più maturi petali del fiore di rosa. Profumi che restano tuttavia nascosti da terziari di brace di corteccia di pino e da profumi che richiamano nuovamente la buccia d’agrumi d’arancia rossa e di pompelmo.
Ancora più evidenti i terziari di cuoio (più duri) e di zafferano (più morbidi, speziati, caldi e avvolgenti), uniti a percezioni vegetali di rosmarino, radici di liquirizia, terra bagnata e funghi. Leggerissimo il rabarbaro e la mentuccia, che assieme al fieno e al chiodo di garofano fanno da sfondo a un olfatto davvero complesso e prezioso.
Il palato, di fatto, è corrispondente al naso. Dominano i frutti rossi (in particolare la marasca e il ribes) e a impreziosire un quadro già ricco contribuisce una mineralità salina più che percettibile: ne giovano freschezza e corpo, per un vino che si candida a ottimo accompagnamento a piatti di carni ben strutturati (selvaggina, brasato). Un altro gran bel vino, per un prezzo così
Del resto a produrlo è Caparzo, storica azienda che può contare su 90 ettari di vigneto a Montalcino. Una cantina che punta ad etichette “al vertice della qualità, con tecniche produttive meticolose e di tipo artigianale”, ma con una mentalità “moderna nella gestione, efficiente e capace nei rapporti commerciali”. Prezzo: 27.90 euro; sconto 20%: 22,32 euro.
(4,5 / 5) Bolgheri Doc Vermentino 2016 “Duplice filar”, Tenuta Ladronaia – Grandi Vigne. E’ la new entry della linea Grandi Vigne, ma è già secondo a pochi, tra i vini bianchi di Iper. Un vino bianco, peraltro, prodotto in un terroir da rossi, come Bolgheri.
Uve Vermentino in quasi totale purezza, impreziosite (in maniera geniale) da una piccola percentuale di Sauvignon blanc. Il risultato è un vino che nel calice si veste d’un giallo paglierino invitante, limpido. Il naso non tradisce le aspettative.
Le note dominanti sono quelle mature, di frutti tropicali. Non manca la vena erbacea (in particolare del bosso) conferita dal Sauvignon. Ma sono davvero chiarissimi i richiami floreali al gelsomino che riavvicinano alla “terra” un olfatto che tende verso il mare livornese. Una mineralità salina che sarà ancora più evidente al palato, seppur celata sotto ai sentori maturi della frutta esotica.
La chiusura è a metà tra il balsamico e l’amarognolo tipico dei Vermentini, questa volta su note tendenti ad agrumi come il pompelmo. Perfetto l’abbinamento del Bolgheri Doc Duplice Filar con piatti di pesce, crostacei e carni bianche. Da provare in matrimonio con antipasti a base di salumi (prosciutto crudo) e formaggi vaccini e caprini poco stagionati.
L’azienda Tenuta Ladronaia è stata fondata nel 1950 dai nonni degli attuali proprietari Giuliano e Gessica Frollani, a Bolgheri, nel cuore della Toscana. Si estende su circa 120 ettari, di cui 30 coltivati a vigneto DOC Bolgheri e IGT Toscana. Prezzo: 9,50 euro; sconto 20%: 7,60 euro.
(4,5 / 5) Müller Thurgau Vigneti delle Dolomiti Igt 2016 Maso Carpine, Cantine Monfort – Grandi Vigne. Un Müller che, a differenza di quello di tanti competitor per fascia prezzo (e parliamo anche di cantine blasonate) non si scompone nel calice, a distanza di diversi minuti dal servizio.
Giallo paglierino con i tipici riflessi verdolini, “Maso Carpine” si libera generoso al naso, pur nella sua delicatezza. Un olfatto montano, fresco, piacevole. Chiare note di fiori bianchi e di frutti come la pera, cui fanno da contorno richiami erbacei e balsamici (leggerissima l’arnica) e minerali.
Palato corrispondente, che stupisce per la spinta delle percezioni iodiche e per l’elegante chiusura, tendente all’amaro del pompelmo. Ottimo a tutto pasto, il Müller Thurgau di Grandi Vigne accompagna bene anche lo speck e il prosciutto crudo. Non disdegna, ovviamente, anche piatti di pesce semplici.
A produrlo è Cantine Monfort, realtà famigliare con base a Lavis, in provincia di Trento. Lorenzo Simoni, insieme ai figli Chiara e Federico, porta avanti un progetto vitivinicolo “nel rispetto della tradizione e con la costante ricerca della qualità”. Prezzo più che competitivo: 5,90 euro.
(3,5 / 5) Metodo Classico Trento Doc Brut Maso Carpine, Cantine Monfort – Grandi Vigne. Ci spostiamo in casa spumanti di Monfort e della linea Grandi Vigne per il racconto di questo Metodo Classico trentino (sboccatura 11/2017). Una “bollicina” che, in realtà, non convince appieno.
Colpa di un dosaggio che, seppur coerente con la tipologia “Brut”, pare strizzare troppo l’occhio al gusto di più banali Charmat, come il Prosecco. Zuccheri che finiscono per coprire la tipicità del Metodo Classico Trento Doc, che si caratterizza per mineralità e taglienza.
Eppure, le premesse sono ottime. Nel calice, lo sparkling trentino di Grandi Vigne rivela un perlage fine e persistente, che si fa largo su tinte giallo paglierino. Fanno ben sperare anche gli agrumi percepibili al naso, anche se leggermente tendenti al maturo.
Non mancano i sentori legati ai lieviti in questo spumante base Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Bianco che affina 24 mesi sur lie. Un Trento Doc che manca poi del grip atteso al palato: in bocca si mostra – in definitiva – troppo “piacione”.
Uno spumante, chiariamoci, che non può non piacere al consumatore medio. Soprattutto ai neofiti del Metodo Classico, che grazie a questa etichetta trovano un prezzo d’entrata molto interessante. Noi di vinialsuper, però, dalla linea Grandi Vigne ci aspettiamo di più. Prezzo 9,50 euro; sconto 20%: 7,60 euro.
(5 / 5) Moscato d’Asti Docg 2016 Frati e Mottura, Adriano Marco e Vittorio – Grandi Vigne. Giallo paglierino intenso per questo splendido vino dolce piemontese, a base di uve di Moscato bianco. A produrlo, di fatto, è un’azienda di massimo rispetto del panorama enologico del Piemonte.
Un naso che non può non essere definito, secondo le attese, “aromatico”. E’ dunque il tipico sentore di quest’uva a dominare l’olfatto, in un quadro piacevole che si arricchisce di richiami di salvia, ma anche si pesca e mela Golden.
Finalmente un Moscato non stucchevole al palato. Questo di Grandi Vigne regala una piacevolezza che non stanca, facendone un vino davvero adatto ad accompagnare il dolce delle feste. Anzi: la freschezza di “Frati e Mottura”, nome della vigna in cui viene prodotto, è letteralmente dissetante.
Semplice la tecnica di vinificazione: il mosto, ottenuto da una delicata pressatura delle uve, viene mantenuto a bassa temperatura fino all’utilizzo, per la presa di spuma finale. La parziale fermentazione avviene poco prima dell’imbottigliamento.
I fratelli Marco e Vittorio Adriano conducono la loro azienda nel cuore delle Langhe, producendo vini con uve esclusivamente di loro proprietà. Una famiglia che segue direttamente la vigna, in base a criteri di lotta integrata. La piccolissima produzione degli Adriano è una vera e propria chicca per i fedelissimi di “Grandi Vigne”. Prezzo: 6,20 euro; sconto 20%: 4,95 euro.
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Con 15 mila accessi in 16 ore, il Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi di Piacenza 2017 passerà alla storia come quello della “transizione”. Un passaggio dal “sogno” alla “consapevolezza” per gli oltre 500 produttori riuniti sotto la guida di Matilde Poggi.
Una realtà, Fivi, con la quale il vino italiano ha ormai l’obbligo di confrontarsi. Più che nei due giorni di “Fiera”, nei 363 giorni restanti. Sburocratizzazione, sviluppo dell’enoturismo, riscoperta e valorizzazione dei vitigni autoctoni dimenticati. Le battaglie di Fivi trovano a Piacenza (e da quest’anno, per la prima volta, anche a Roma) un teatro ideale dal quale gettare sfide concrete al Made in Italy enologico.
Non a caso, il Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi 2017 è stato contraddistinto dal motto “Scarpe grosse, cervello Fivi“. Come a sottolineare l’appartenenza alla “terra” delle battaglie portate avanti da Poggi&Co. A Roma come a Bruxelles, spesso al posto di sindacati blasonati, ma attenti più agli equilibri di potere che agli interessi della “base”.
Eppure, qualche scaramuccia interna ha preceduto anche il Mercato dello scorso weekend. Gli esiti più evidenti nell’assemblea di domenica mattina, quando la maggioranza dei vignaioli ha votato per l’estromissione dalla Federazione delle Srl “partecipate” da altri gruppi.
Di fatto, come precisa la stessa Fivi, “non è stato (ancora, ndr) fatto fuori nessuno. E’ stato approvato il nuovo regolamento e ora la Federazione nazionale valuterà le situazioni caso per caso, con l’aiuto delle delegazioni regionali”. Tradotto: per belle realtà come Pievalta, c’è ancora da sperare.
VINI E VIGNAIOLI Che qualcosa sia cambiato, lo si avverte pure dall’altra parte dei banchetti. Osservando alcuni vignaioli e raccogliendo i loro commenti. Se un “bravo ragazzo” come Patrick Uccelli di Tenuta Dornach arriva a proporre sui social: “Tra 5 anni… Mercato dei vini FiVi solo per privati. Vinitaly solo per operatori. Sogno o realtà?”, ci sarà un motivo.
“Non stavo pensando a me – precisa poi il produttore altoatesino – pensavo a come poter far convergere le diverse aspettative/necessità delle due categorie, che solitamente in queste manifestazioni si sovrappongono per sommo dispiacere di entrambe”. Nulla di più sbagliato.
L’episodio (ben più grave) vede invece protagonista Nunzio Puglisi della cantina siciliana Enò-Trio. Che alla nostra richiesta di precisazioni sulle caratteristiche del vigneto di Pinot Noir sull’Etna, risponde stizzito: “Per un’intervista prendete un appuntamento per telefono o via mail e veniteci a trovare in cantina”.
“Ma siamo di Milano!”, precisiamo noi. “Sto lavorando, non ho tempo”, la risposta del fighissimo vignaiolo Fivi che ci scansa, rivolgendo la parola a un altro astante. Una macchia indelebile sull’altissimo tasso di “simpatia” e umiltà tangibile tra i vignaioli dell’intera Federazione.
Per fortuna, oltre agli incontri-scontri con vignaioli evidentemente troppo “fighi” per essere “Fivi”, il Mercato 2017 è stato un vero e proprio concentrato di “vini fighi”. Ve li riassumiamo qui, in ordine sparso. Ognuno meritevole, a modo suo, di un posto sul podio.
I MIGLIORI ASSAGGI 1) Bianco Margherita 2015, Cantine Viola (Calabria): Guarnaccia bianca 65%, Mantonico bianco 35%. Una piccola parte di Guarnaccia, a chicco intero e maturazione leggermente avanzata, viene aggiunta in acciaio a fermentazione partita. Bingo. Nota leggermente dolce e nota iodica perfettamente bilanciate. Vino capolavoro.
2) Verdicchio dei Castelli di Jesi 2015 “San Paolo”, Pievalta (Marche): Un tipicissimo Verdicchio, che matura 13 mesi sulle fecce fini e altri 7 in bottiglia, prima della commercializzazione. Lunghissimo nel retro olfattivo. Vino gastronomico. Nel senso che fa venir fame.
3) Vigneti delle Dolomiti Igt 2015 “Maderno”, Maso Bergamini (Trentino): Bellissimo esempio di come si possa produrre un vino “serio” e tutt’altro che “scimmiottato”, con la tecnica del “Ripasso” o del “Rigoverno”, veneto o toscano. Un vino prodotto solo nelle migliori annate, facendo rifermentare le uve Lagrein (già vinificate) sulle vinacce ancora calde di Teroldego appassito su graticci per 60 giorni.
Teroldego e Lagrein affinano poi assieme per un anno, in barrique di rovere francese, prima di essere imbottigliate nell’estate successiva. Il risultato è Maderno: vino di grandissimo fascino e di spigolosa avvolgenza.
4) Erbaluce di Caluso Spumante Docg Brut 2013 “Calliope”, Cieck (Piemonte): C’è chi fa spumante per moda e chi lo fa perché, a suggerirlo, sono territorio e uvaggio allevato. Dopo Merano, premiamo la splendida realtà piemontese Cieck anche al Mercato Fivi 2017.
Tra i migliori assaggi, questa volta, lo sparkling dall’uvaggio principe della cantina: l’Erbaluce di Caluso. La tipicità del vitigno è riconoscibile anche tra i sentori regalati dai 36 mesi di affinamento sui lieviti. Uno spumante versatile nell’abbinamento, ma più che mai “vero” per quello che sa offrire nel calice.
5) Sannio Rosso Doc 2010 “Sciascì”, Capolino Perlingieri (Campania): La bella e la bestia in questo fascinoso blend prodotto da Alexia Capolino Perlingieri, donna capace di rilanciare un marchio di prestigio della Campania del vino, come cantina Volla.
“Sciascì” coniuga la struttura “ossea” dell’Aglianico e la frutta avvolgente tipica dell’autoctono Sciascinoso. Rosso rubino, bel tannino in evoluzione, frutto elegante. Due anni in botte grande e tre in bottiglia per un vino di grande prospettiva futura.
6) Pecorino Igt Colline Teatine 2016 “Maia”, Cantine Maligni (Abruzzo): Forse l’azienda che riesce a colpire di più, al Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi, per la completezza dell’offerta e lo sbalorditivo rapporto qualità-prezzo (6 euro!).
Cantine Maligni – realtà che ha iniziato a imbottigliare nel 2011 e lavora 10 ettari di terreno, sotto la guida di Fabio Tomei – porta al tavolo un fenomeno su tutti: il Pecorino Maia, non filtrato.
Giallo velato con riflessi verdolini, profuma di frutta matura, mela cotogna, pera Williams. Note morbide che traggono in inganno, materializzando la possibilità di un’alcolicità elevata.
Maia si assesta invece sui 12,5% e regala un palato stupefacente, pieno, ricco, “ciccione”, con frutta e mineralità iodica perfettamente bilanciate. Un altro vino che fa venir fame del corretto abbinamento gastronomico.
7) Spumante Metodo Classico Pas Dosè 2010, Vis Amoris (Liguria): E’ il primo spumante metodo classico prodotto al 100% da uve Pigato. E la scelta pare più che azzeccata. Una “chicca” per gli amanti di vini profumati ma taglienti come il Pigato.
Coraggioso, poi, produrre un “dosaggio zero”. Segno del rispetto che Roberto Tozzi nutre nei confronti dei frutti della propria terra, che non stravolge nel nome delle leggi di un mercato che avrebbe preferito – certamente – più “zucchero” e più facilità di beva.
Intendiamoci: il Pigato Pas Dosè di Vis Amoris va comunque giù che è una bellezza. Ammalia al naso, come in Italia solo i migliori Pigato sanno fare. Per rivelare poi una bocca ampia, evoluta, di frutti a polpa gialla e mandorla. Sullo sfondo, anche una punta di idrocarburo (al naso) e un filo di sentori tipici del lievito, ben contestualizzati nel sorso.
8) Terre Siciliane Igp 2014 “Sikane”, Baronia della Pietra (Sicilia): Altra bellissima realtà fatta di passione e competenza, già incontrata da vinialsuper al Merano Wine Festival 2017. Tra i migliori assaggi del Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi 2017 brilla anche il vino rosso “Sikane”, blend di Nero d’Avola e Syrah (60-40%). Dieci mesi in barrique, minimo 3 in bottiglia prima della commercializzazione.
Altro vino dall’ottimo rapporto qualità-prezzo, prodotto in zona Agrigento dalla famiglia Barbiera. Un rosso che si fa apprezzare oggi per l’eleganza: del tannino, nonché delle note fruttate pulite e nette. Una bottiglia “Made in Sicilia” da dimenticare in cantina e riscoprire tra qualche anno.
A dicembre sarà invece imbottigliato il Nero d’Avola-Merlot passito di Baronia della Pietra, in commercio a partire da marzo 2018. Bottiglie da 0,50 litri, “rotondeggianti”. Vendemmia 2015, 16-17% d’alcol in volume. Viste le premesse, si preannuncia una scommessa vinta in partenza. Ma ne parleremo nei prossimi mesi, dopo averlo testato.
9) Lappazucche, Berry And Berry (Liguria): “Pietra, fatica e passione” costituiscono il fil rouge di questa curiosa cantina di Balestrino, in provincia di Savona, condotta da Alex Beriolo. Un marketing fin troppo “spinto” sul packaging, forse, rischia di incuriosire il consumatore in maniera troppo “leggera”. Alla Berry And Berry, invece, si fa davvero sul serio. Si sperimenta e si valorizza vitigni autoctoni a bacca rossa come il Barbarossa, che rischiano di scomparire.
Lappazucche è appunto un blend, composto all’80% da Barbarossa e al 20% da Rossese, vinificati in acciaio. Le uve di Barbarossa, sulla pianta, sembrano Gewurztraminer per il loro colore rosa. Una nuance leggera, che ritroviamo anche nel calice.
Una tonalità che comunica la delicatezza del vitigno Barbarossa e del fratello Rossese, dotato di buccia poco spessa e particolarmente esposto al rischio malattie. Questo, forse, il senso di un calice che sembra parlare della fragilità della terra, in balia delle scelte dell’uomo.
Se è vero che Fivi è anche filosofia, Lappazucche potrebbe esserne il simbolo ideale. E quei richiami speziati, percettibili nel retro olfattivo e tipici del Rossese, la metafora perfetta delle battaglie ancora da intraprendere. Con coraggio.
10) Falanghina del Sannio Doc 2012 “Maior”, Fosso degli Angeli (Campania): Poche parole per descrivere un capolavoro. Un vino completo, a cui non manca davvero nulla. Neppure il prezzo, ridicolo per quello che esprime il calice. Naso tipico, giocato su richiami esotici.
Palato caldo, ricco, ampio, corrispondente, con l’aggiunta di una vena minerale che conferisce eleganza e praticità alla beva. Di Fosso degli Angeli, ottimo anche il Sannio Rosso Dop Riserva 2012 “Safinim”, ottenuto da Aglianico e Sangiovese cresciuti a 420 metri d’altezza sul livello del mare.
11) Azienda Agricola Alessio Brandolini (Lombardia): Dieci ettari ben distribuiti in due aree, suddivise con rigore scientifico per la produzione di Metodo Classico e vini rossi. L’Azienda Agricola Alessio Brandolini è una di quelle realtà tutte da scoprire in quel paradiso incastonato a Sud di Milano che è l’Oltrepò Pavese.
Alessio ci fa assaggiare in anteprima un Pas Dosè destinato a un futuro luminoso. Chiara l’impronta di un maestro come Fabio Marazzi, vero e proprio rifermento oltrepadano per tanti giovani che, come Brandolini, lavorano nell’umile promozione di una grande terra di vino, capace di sfoderare spumanti Metodo Classico degni dei più prestigiosi parterre enologici.
Di Brandolini, ottima anche la Malvasia secca “Il Bardughino” Provincia di Pavia bianco Igt: un “cru” con diverse epoche di maturazione che dimostra la grande abilità in vigna (e in cantina) di questo giovane vigneron pavese.
Da assaggiare anche il Bonarda Doc “Il Cassino” di Alessio Brandolini. Sì, il Bonarda. Quello che in pochi, in Oltrepò, sanno fare davvero bene come lui.
12) Calabria Igp 2013 “Barone Bianco”, Tenute Pacelli (Calabria): Chi è il Barone Bianco? Di certo un figuro insolito per la Calabria. Ma così “ambientato”, da sembrare proprio calabrese. Parliamo di Riesling, uno dei vitigni più affascinanti al mondo. Giallo brillante, frutta esotica matura e una mineralità che, già al naso, si pregusta prima dell’assaggio.
Al palato, perfetta corrispondenza con il naso. Un trionfo d’eleganza calabrese, per l’ennesimo vino Fivi “regalato”, in vendita a meno di 10 euro. “Barone bianco” è anche la base di uno spumante, “Zoe”, andato letteralmente a ruba a Piacenza.
Interessantissimo, di Tenute Pacelli, piccola realtà da 20 mila bottiglie che opera a Malvito, in provincia di Cosenza, anche il “taglio bordeaux-calabrese”, la super riserva 2015 “Zio Nunù”: Merlot e Cabernet da vigne di oltre 40 anni che, come per il Riesling, fanno volare la mente lontana da Cosenza. Verso Nord, oltre le Alpi.
13) Frascati Docg Superiore Riserva “Amacos”, De Sanctis (Lazio): Altro vino disorientante, altra regione italiana dalle straordinarie potenzialità, molte delle quali ancora da esprimere. Dove siamo? Questa volta nel Lazio, a 15 chilometri da Roma. Più esattamente nei pressi del lago Regillo. Per un Frascati da urlo, ottenuto dal blend tra Malvasia puntinata e Bombino bianco.
Un invitante giallo dorato colora il calice dal quale si sprigionano preziosi sentori di frutta matura. E’ l’antipasto per un palato altrettanto suadente e morbido, ma tutt’altro che banale o costruito. Anzi. I terreni di origine vulcanica su cui opera De Sanctis regalano una splendida mineralità a un Frascati fresco, aristocratico e nobile.
14) Verticale Valtellina Superiore Sassella Docg “Rocce Rosse”, Arpepe: Ve ne parleremo presto dell’esito, entrando nel merito di ogni calice, della verticale “privata” condotta a Piacenza Expo da Emanuele Pelizzatti Perego, “reggente” di quello scrigno enologico lasciato in eredità dal padre Arturo. Un vino, “Rocce Rosse”, già entrato di diritto nella storia dell’enologia italiana e mondiale. Un rosso proiettato nel futuro.
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
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