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Distillare il vino? È come bruciare la Dieta mediterranea, patrimonio dell’Umanità

No alla distillazione per ragioni culturali, finanziarie e di equità economica“. La Rete dei vignaioli italiani, che raggruppa ormai quasi 500 produttori artigianali attorno all’hashtag #ilvinononsiferma, indica le ragioni per cui la distillazione non risolleverebbe il mercato del vino italiano a fronte dell’emergenza Covid-19. Per la Rete sarebbe come bruciare parte della Dieta mediterranea, in cui rientra appunto il consumo moderato di vino, durante i pasti.

L’avallo alla distillazione d’emergenza, tuttora allo studio dell’Ue, è arrivato non a caso dal sistema cooperativistico, con la mano alzata verso Bruxelles di Italia, Francia e Spagna. Risale al 23 aprile scorso la lettera congiunta delle associazioni di rappresentanza delle coop dei tre Paesi, che indicano in 10 milioni di ettolitri complessivi la quantità da destinare alla distillazione. Con un budget europeo specifico di 350 milioni di euro.

Francia, Italia e Spagna: le cooperative del vino chiedono la distillazione di crisi

Un tema, quello della distillazione, che divide anche le stesse cooperative del vino italiano. Segno del mercato che cambia – spesso nella direzione della qualità – e di management in continuo aggiornamento, anche nelle cantine che sono in grado di produrre svariati milioni di bottiglie.

Emblematico il caso della Viticoltori associati Torrevilla, importante cooperativa dell’Oltrepò pavese che ha annunciato in settimana l’acquisizione della Cantina Storica Il Montù, ampliando il parco vigneti e dunque la capacità produttiva.

“Ad oggi – spiega il presidente di Torrevilla, Massimo Barbieri – non abbiamo quantitativi di giacenza preoccupanti, anche a fronte dell’acquisto del ramo d’azienda del Montù. Credo che vendemmia verde e distillazione conducano a una remunerazione talmente bassa da non risultare conveniente per le aziende che producono uva. Bisogna infatti ricordare che i costi di produzione rimangono gli stessi”.

L’argomento distillazione avvicina così le grandi cantine ai vignaioli. “Il vino – sottolinea la Rete dei vignaioli – è parte della cultura italiana e punta di diamante del Made in Italy, rappresenta l’Italian Lifestyle ed è componente fondamentale della Dieta Mediterranea, tutelata come patrimonio mondiale dell’umanità. Il vino è un valore che va preservato e promosso, non distrutto”.

Lo Stato non può orientarsi all’adozione di provvedimenti in cui consegua la mortificazione di un settore produttivo di eccellenza, punto di riferimento per valore e qualità. La distillazione riduce il valore percepito del vino italiano e danneggia la sua reputazione nel mondo”.

I problemi sarebbero anche di natura finanziaria: “Il prezzo di compensazione, che si aggira intorno ai 30 centesimi al litro, non copre i costi di produzione del vino di qualità – attacca la Rete dei vignaioli – e impoverisce la struttura finanziaria delle aziende che fanno qualità. Accettare un prezzo così basso creerebbe enormi shock finanziari per le aziende che si ritroveranno a dover distruggere, in perdita, il valore da esse prodotto”.

La terza ragione per non accettare la distillazione è riferita a quella che la Rete definisce “equità economica“: “La scarsità degli aiuti finanziari destinati al comparto vitivinicolo impone che venga fatta una equa valutazione delle misure disponibili ed una leale suddivisione delle risorse finanziarie fra tutte le misure autorizzate dall’Unione Europea, senza discriminare in maniera pregiudizievole i produttori di vino di qualità”.

LO STOCCAGGIO AL POSTO DELLA DISTILLAZIONE

La proposta dei vignaioli è dunque quella di “affiancare alle risorse destinate alla distillazione un’analoga dotazione finanziaria per la misura dello stoccaggio“. “Tale possibilità – ricordano – è prevista nel Regolamento 2020/592 della Commissione Europea, pubblicato il 4/5/2020”.

“Lo stoccaggio, nel quadro del citato Regolamento, costituisce misura alternativa alla distillazione per le aziende che non intendessero ricorrere alla distillazione stessa – spiegano i vignaioli – e permetterebbe di destinare all’affinamento il vino al momento detenuto nelle cantine, anziché distruggerlo”.

In questo modo, il valore della produzione verrebbe preservato, anzi incrementato con l’affinamento, in attesa che si concretizzi una situazione economica generale che possa garantire la vendita degli stock a prezzi più prossimi ai valori di mercato”.

La Rete dei vignaioli chiede infine “che vengano immediatamente e senza indugi emanati i provvedimenti attuativi del citato Regolamento 2020/592 per quanto concerne sia lo stoccaggio, sia le altre misure in discussione, ed in particolare la ristrutturazione e la riconversione dei vigneti, le assicurazione del raccolto e gli Ocm investimenti”.

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“Costruire magazzini di stoccaggio per non distillare”: la proposta della rete vignaioli italiani

Costruire magazzini, o affittarli, al posto di distillare il vino in eccedenza. Questa la proposta lanciata a sorpresa dalla rete vignaioli italiani, cresciuto sino a superare la soglia di 400 adesioni in poche ore. L’idea è quella di chiedere finanziamenti allo Stato per la realizzazione di magazzini per lo stoccaggio del vino, in alternativa alla distillazione.

“Per poter sopravvivere mantenendo alta la qualità dei nostri vini, che rappresentano l’Italia nel mondo – si legge nella nota – proponiamo di estendere al settore vinicolo l’attivazione degli ammassi privati, così come proposto per formaggi, burro, carni bovine, carni suine, carni ovicaprine”.

“Di destinare quindi – aggiunge la rete di vignaioli – parte delle risorse che saranno impegnate per la ripartenza del comparto all’acquisto di materiali e all’affitto o alla costruzione di spazi e strutture idonee per la conservazione del vino, sfuso e/o imbottigliato, favorendone il riutilizzo al termine del periodo di emergenza in un’ottica di sostenibilità e di ampliamento della platea che potrà beneficiare delle risorse”.

Ultima proposta è quella di “aumentare, per le annate 2019 e 2020, la percentuale massima ammessa per i tagli d’annata, al fine di garantire più flessibilità alle aziende e scongiurare la distillazione”.

“Siamo vignaioli – si legge sulla lettera della rete vignaioli italiani – noi facciamo il vino. Quel vino che è orgoglio del Made in Italy, fatto con il nostro lavoro, la nostra conoscenza e l’uva di quelle vigne che fanno bello il paesaggio; a cui si arriva con strade che noi teniamo pulite, in ordine, arginando il rischio idrogeologico e l’abbandono delle zone rurali; dando lavoro a migliaia di famiglie e favorendo uno sviluppo etico e sostenibile; rispettando la nostra casa comune: la Terra”.

Le piccole produzioni di eccellenza del gruppo di vignaioli arriva al consumatore prevalentemente tramite il settore Horeca, in questo momento azzerato dal lockdown volto ad arginare Covid-19.

“Distillare il vino – sottolinea la rete vignaioli italiani – per noi non è una soluzione, ma una sconfitta. Significa calpestare il valore del nostro lavoro per un prezzo che è solo una frazione del costo che è stato necessario sostenere per produrlo”.

“È necessario pertanto ripensare ad un impiego delle misure che oggi si pensa di destinare alla distillazione – prosegue la missiva – in un’ottica di preservazione del nostro patrimonio vinicolo, spostando il tema sulla gestione del vino prodotto piuttosto che sulla sua distruzione”.

Per la rete vignaioli italiani, “il vino non è un’eccedenza, come alcuni sostengono: è il frutto del nostro impegno e della nostra dedizione, è il nostro pane, il nostro prezioso tesoro: un capitale che nella maggior parte dei casi non si deteriora, ma migliora con l’affinamento”.

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Covid-19, vignaioli italiani (orfani della Fivi): grido d’allarme e hashtag #ilvinononsiferma

È firmata da oltre duecento “vignaioli italiani” la lettera che mira a coinvolgere l’intera filiera del vino italiano. Il grido d’allarme è: “Il vino non si ferma #ilvinononsiferma“. Un documento destinato a raccogliere quante più voci possibili, a sostegno di un’iniziativa ben articolata e inclusiva, a cui è chiamato ad aderire l’intero settore (www.ilvinononsiferma.it, vignaioli@ilvinononsiferma.it, Facebook ilvinononsiferma, hashtag: #laretedeivignaioli, #ilvinononsiferma, #lavignanonsiferma).

Un’iniziativa che apre un interrogativo gigante (l’ennesimo) sulla Federazione italiana vignaioli indipendenti (Fivi), costretta ad assistere all’ennesima iniziativa spontanea di alcuni associati, in mancanza di unità d’intenti all’interno del Consiglio di amministrazione. Qualcosa di già visto nei mesi scorsi, con la vicenza dazi Usa.

C’è di più. La presidente Matilde Poggi figura proprio tra i firmatari della lettera (qui l’elenco di tutti i sottoscrittori), in cui i “vignaioli italiani” lanciano un vero e proprio allarme.

In particolare, i primi dieci vignaioli che hanno aderito sono Edoardo Ventimiglia – Sassotondo – Sorano (GR); Caterina Gargari – Pieve de’ Pitti – Terricciola (PI); Gregorio Galli – Palazzo di Piero – Sarteano (SI); Walter Massa – Vigneti Massa – Monleale (AL); Luigi De Sanctis – Azienda Biologica De Sanctis Luigi – Frascati (RM).

E ancora: Marilena Barbera – Azienda Agricola Barbera s.s. – Menfi (AG). Ettore Ciancico – La Salceta – Loro Ciuffenna (AR); Gianluca Morino – Cascina Garitina – Castel Boglione (AT), Francesco Fenech – Az. Agr. Fenech Francesco – Malfa (ME), Francesco Cirelli – Azienda Agricola Cirelli – Atri (TE).

“Ci sentiamo parte attiva della straordinaria comunità che vive di vino – si legge sulla lettera dei vignaioli italiani – la nostra convinzione è che da questa crisi possiamo uscirne solo se restiamo uniti e se verrà salvaguardato il lavoro e il ruolo di ciascuno in ogni anello della filiera”.

“Per questo chiediamo a tutti rispetto per il nostro lavoro e offriamo in cambio lo stesso rispetto, consapevoli che solo con una collaborazione leale si possa, tutti insieme, uscire da questa crisi”.

Non accetteremo pressioni commerciali miranti a ridurre il margine che rappresenta la fonte di sostentamento per noi e le nostre aziende, perché riteniamo che soltanto con il riconoscimento di un equo corrispettivo sia garantita la dignità del nostro lavoro e del lavoro di coloro che collaborano con noi nella produzione, commercializzazione e promozione dei nostri vini”.

“Non accetteremo pratiche sleali quali il conto vendita – aggiungono i vignaioli – e le richieste sproporzionate di omaggi, consapevoli che soltanto con il rispetto delle normali condizioni commerciali possiamo contribuire in maniera positiva allo sviluppo della filiera”.

“Chiediamo a tutti i nostri clienti il rispetto delle scadenze per il pagamento delle forniture effettuate fino al 31/12/2019, in un momento in cui il mercato non presentava ancora alcuna criticità legata alla pandemia”.

Siamo disponibili – evidenziano i vignaioli – a discutere forme di credito agevolate che tengano conto delle difficoltà economiche che, con il lungo periodo di inattività, tutti i ristoranti e le enoteche si troveranno a fronteggiare alla riapertura, pur nel rispetto degli sforzi e degli investimenti che noi aziende agricole non abbiamo mai smesso di affrontare.

“Ci impegniamo, nelle scelte di vendita diretta dei nostri prodotti al consumatore finale, ad operare con lealtà nei confronti dei nostri clienti della distribuzione e dell’horeca, che sono fondamentali per la promozione e la valorizzazione dei vini prodotti dai vignaioli italiani”.

“Per questo motivo, garantiamo che i nostri listini dedicati ai privati rispettino la normale marginalità riservata agli operatori commerciali. Siamo convinti che vada rafforzata la collaborazione con tutti gli attori della filiera vinicola, consapevoli che soltanto da un dialogo aperto e organico possano scaturire le migliori opportunità di crescita e valorizzazione per questo nostro piccolo grande mondo”.

Parole per certi versi molto simili a quelle usate nei giorni scorsi, in esclusiva a WineMag.it, da Lorenzo Righi, direttore di Club Excellence, realtà che raggruppa 18 tra i maggiori distributori e importatori italiani di vino, nel commentare le “Linee guida per il mercato e gli agenti” delle aziende che aderiscono al consorzio.

UNITÀ PER USCIRE DALLA CRISI
“Le conseguenze economiche della pandemia – scrivono ancora i vignaioli – hanno travolto la nostra intera società. La natura, però, non si ferma: noi, custodi della terra, non ci siamo arrestati. Lavoriamo per l’eccellenza, per valorizzare la cultura e la civiltà del vino, per consolidare la reputazione del Made in Italy nel mondo. Difendere l’integrità dei territori e la bellezza dei paesaggi, che rendono straordinario il nostro Paese, è l’altra nostra missione, che ci rende fieri di essere italiani. Siamo così custodi di ecosistemi unici, in un momento storico in cui la lotta al cambiamento climatico è imperativo altrettanto urgente”.

“Siamo consapevoli delle difficoltà che questa pandemia ha causato degli effetti che continueranno a gravare su tutti i comparti per i quali il vino costituisce una risorsa insostituibile” proseguono “La produzione continua, i magazzini si riempiono, perché i nostri clienti sono fermi: se non interveniamo immediatamente, il virus ucciderà il nostro patrimonio vitivinicolo, e con esso alcuni territori e parte del prestigio italiano”.

Sono a rischio 10 miliardi di euro: “Tanto vale la produzione vinicola italiana – ricordano nella lettera i vignaioli italiani – di cui 6 miliardi derivanti dalle esportazioni. Serve intervenire subito“.

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