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Buona fortuna, Amarone

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EDITORIALE – Esco da Amarone Opera prima 2025 frastornato. Come un pugile suonato sul ring. Colpa dell’alcol? Nemmeno per idea. La questione è ben più seria. Agli auguri al Consorzio Vini Valpolicella, che in questa edizione dell’anteprima (2020, migliori assaggi presto online su Winemag) compie 100 anni, s’aggiungono quelli – d’obbligo, di buona fortuna – a una denominazione che sembra volersi ancor più isolare, al posto di tornare ad essere nel calice di tutti. A preoccupare è la via per il futuro dell’Amarone indicata dal vicepresidente del Consorzio Andrea Lonardi, sintetizzata nel claim (parole sue): «Less shelf, more wine list».

Tradotto: «Meno scaffale (del supermercato, ndr), più carte vini (dei ristoranti, ndr)». Un frase, quella proferita di fronte al pubblico di addetti ai lavori internazionali giunti a Verona per assistere ad Amarone Opera Prima 2025 (31 gennaio-1 febbraio), con cui Lonardi ribadisce convinzioni messe nero su bianco più ampiamente il 28 gennaio, in un’intervista rilasciata al Corriere (e mai smentita).

IL FUTURO DELL’AMARONE? SEMPRE MENO AMARONE

Testualmente: «L’Amarone ha tenuto (nel 2024, ndr) perché sono diminuiti un po’ i prezzi: in futuro però non dovrà puntare sulla grande distribuzione come quest’anno, ma consolidarsi come il vino delle occasioni speciali, che entra nelle carte dei vini dei ristoranti. Si deve andare verso una contrazione dei volumi e un cambio del canale di vendita. Perché se l’Amarone, il vino più prestigioso dell’area, perde troppo valore ne risente tutta la Valpolicella. Spinto negli anni Novanta e Duemila da un’esplosione commerciale enorme, soprattutto all’estero, che però ne ha influenzato lo stile, oggi deve andare verso una forma più edonistica».

«FINE WINE, GASTRONOMICO ED EDONISTICO»

In sintesi, secondo Lonardi: bisogna produrre meno Amarone, farlo pagare di più. Ed «elevarlo alla categoria dei “fine wine”, più adatti al consumo gastronomico». Per fare questo, «occorre un Amarone più edonistico». Parole in parte condivisibili, se solo Andrea Lonardi parlasse da master of wine (quale è), o da Ceo di Villa della Torre, per conto di Marilisa Allegrini. Il problema è che Andrea Lonardi è il vicepresidente del Consorzio Vini Valpolicella. Un ente che, fino a prova contraria, è di tutti i soci, non solo dei piccoli-medi produttori: più di 2400 aziende, tra le quali figurano imbottigliatori e cooperative dalle quali dipende la stabilità dell’intera denominazione. E la sopravvivenza dei circa 8600 ettari attuali.

L’AMARONE DEL FUTURO: SOLO PER PAPERONI

In Valpolicella c’è chi va ancora più dritto al nocciolo della questione. E, nell’approcciarsi al tema del futuro del re dei vini rossi veneti, ne fa, addirittura, una questione di reddito. È quanto emerge dall’analisi commissionata dal Consorzio a Unione italiana vini. Secondo cui: «L’Amarone non dovrà snaturare se stesso ma avere ben chiari i propri obiettivi di posizionamento di vino icona, presso un pubblico principalmente composto da consumatori in età matura e un reddito saldamente superiore ai 100 mila dollari».

«In sintesi – secondo il responsabile dell’Osservatorio Uiv, Carlo Flamini – l’Amarone dovrà proporre al mondo un proprio “cocktail”, fatto di aree produttive e diverse vallate (con o senza sottozona riconosciuta ufficialmente?! ndr), del brand Verona, di stile e coerenza per un metodo atto a divenire esso stesso espressione di territorio». Una ricetta tranchant, sotto tutti i profili, quella dettata dal Consorzio Valpolicella nello spegnere le proprie 100 candeline: sempre meno Amarone, solo per ricchi ed edonisti. Frastornati auguri: buona fortuna, Amarone.

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Collio da uve autoctone e Vino Macerato, Raccaro: «Prova di maturità del territorio»


Luca Raccaro
, classe 1988, è il vicepresidente in carica del Consorzio Collio nonché titolare, assieme al fratello Paolo e al padre Dario, della cantina Raccaro società agricola di Cormons. Uno dei volti giovani del mondo dei Consorzi del vino italiano, che sta affrontando una parte finale dell’anno, nonché del mandato, a dir poco “calda”. La vicenda legata al Collio Bianco da uve autoctone è stata presa di petto dal Cda guidato dal presidente David Buzzinelli. L’assemblea dei produttori ha dato così il via libera a un tavolo tecnico utile a dare un’identità ben definita alla tipologia, al di là delle pressioni e dagli interessi individuali di alcune aziende del territorio. Non solo. Il Collio si candida ad essere tra le poche regioni vinicole al mondo a normare nel dettaglio, sin dall’etichetta, un proprio vino ottenuto con macerazione delle uve (i tanto decantati “Orange Wine”). Luca Raccaro, grande appassionato di musica lirica, affronta nell’intervista esclusiva rilasciata a Winemag le due importanti novità del Collio di fine 2024, al pari del futuro del Consorzio.

Luca Raccaro, da vicepresidente del Consorzio Collio si aspettava un finale di mandato, in scadenza a marzo 2025, così “acceso”?

Alla luce delle tematiche che abbiamo affrontato, direi proprio di sì. Essere riusciti a portare in assemblea un’istanza come l’inclusione dei vini macerati è stata una bella sfida, perché nonostante i tavoli tecnici non avevamo la piena certezza che il territorio fosse favorevole. La mia felicità a tal proposito è stata enorme perché ho lavorato e creduto molto in questa proposta. Credo fermamente che la nostra forza nasca dalle differenze. Questa è sempre stata una terra di confine e le diversità, nel corso del tempo, hanno sempre arricchito il territorio. Perciò credo che, soprattutto in un mondo che ha fatto dell’omologazione il suo modello, ogni differenza sia una ricchezza che rende unica la nostra realtà. Va da sé che é difficile mettere d’accordo tante teste, ma la cosa fondamentale è riuscire a portare sotto la protezione del consorzio il maggior numero di aziende. Solo così potremo sfruttare appieno le nostre potenzialità.

Il Consorzio ha dato il via libera al tavolo tecnico su un Collio bianco da sole uve autoctone: qual è la sua opinione su questa tipologia?

Penso sia una grande possibilità. Da tanti anni si parla di un vino che possa fare da portavoce del territorio, ma per molto tempo abbiamo temporeggiato. Adesso siamo pronti e credo che questa occasione sia da sfruttare al 100%, per presentarci uniti ad un mercato sempre più esigente. Avere un vino composto dalle varietà tradizionali arricchirà il territorio.

L’apertura del tavolo tecnico nel contesto attuale è una vittoria o un segno di debolezza del Cda del Consorzio?

Credo sia la vittoria di tutto il territorio e non solo del nostro Cda. Un Consorzio che in un’unica assemblea vota a favore dei vini macerati e di un tavolo tecnico per lo sviluppo di un vino territoriale dimostra forza, unione, maturità. E la volontà dei vignaioli di lavorare per la crescita del Collio.

Da qualche anno, un gruppo di cantine della zona ha incentrato il proprio marketing aziendale su una tipologia, quella del “Collio da uve autoctone”, attribuendole se non altro una certa “supremazia storica” sul Collio Bianco prodotto anche con i vitigni internazionali. Oggi, lo stesso gruppo, che non ha mai formalmente presentato alcuna richiesta al Consorzio per un migliore riconoscimento della tipologia, peraltro già prevista dal disciplinare del Collio Doc, si sta attribuendo tutti i meriti dell’apertura del tavolo tecnico. Cosa ne pensa?

A mio parere il Consorzio Collio è il simbolo del territorio e tutela tutti i vignaioli. Meriti o demeriti non sono la chiave di lettura. L’unica cosa che conta è il risultato. In questi giorni si è parlato molto di protagonismi, ma l’unico vero protagonista è, e deve essere, il vino. Questo tavolo tecnico consentirà a tutti i produttori di creare un disciplinare conforme e condiviso in maniera democratica. Tutto il resto è acqua.

Il Consorzio Vini Collio compie 60 anni nel 2024 e dimostra di essere al passo coi tempi nell’ascoltare tutte le voci e le richieste che arrivano dalla “base”. La specifica “Vino da Uve macerate” va in questa direzione. Quali benefici potrà portare al territorio questa novità e come si esplicherà, ufficialmente, in etichetta?

Il Collio è il primo territorio a riconoscere e formalmente normare questa tipologia di vini e di questo sono estremamente orgoglioso. Storicamente, i vini macerati sono presenti da più di 30 anni perciò riunirli sotto il cappello del Consorzio era essenziale. Dare un disciplinare anche a questa tipologia non farà altro che confermarne la qualità. È assodato che questi vini abbiano trovato ben stare in Collio. Perciò, dare la possibilità al consumatore di capire dall’etichetta cosa c’è all’interno della bottiglia che si accinge ad acquistare o, meglio, a stappare, è fondamentale. Per quanto riguarda le modalità di scrittura in etichetta, siamo già in contatto con gli organi predisposti al controllo per definire ogni elemento.

Qual è la percentuale di “vini macerati” sul totale della produzione del Collio? Crede che la novità possa incrementare la produzione della tipologia e contribuire a far riconoscere ancor più il Collio come il territorio d’elezione degli “orange wine italiani”?

Non essendo stata una tipologia ancora riconosciuta, non abbiamo percentuali certe anche se a grandi linee possiamo dire che si aggira tra il 6 e l’8 % della produzione totale. Il nostro obbiettivo è dare un regolamento condiviso ai produttori. Se la tipologia crescerà, saremo orgogliosi e certamente questi vini contribuiranno con tutti gli altri all’identità del Collio.

Da quale porzione della base del Consorzio è arrivata la richiesta di una migliore identificazione della tipologia, che alla fine sembra mettere tutti d’accordo?

Tutte le nostre scelte sono frutto di un ragionamento condiviso dall’assemblea. La proposta è arrivata direttamente da chi questa tipologia di vini la produce e vende. Ma è la collaborazione tra i diversi produttori, maceratori e non, la vera forza del progetto.

Con il mandato triennale del Consorzio in scadenza, sarà certamente il prossimo Cda a dover “governare” i tavoli tecnici. Pensa che il consiglio di amministrazione, anche grazie alla totale apertura dimostrata nei confronti della base produttiva, possa essere riconfermato in blocco e proseguire sulla strada tracciata dal precedente mandato?

Personalmente, sono sicuro che anche il prossimo Cda, indipendentemente da chi ne farà parte, lavorerà in tal senso. In questo mandato c’è stata una grande collaborazione e sarebbe un vero piacere poter proseguire assieme anche per il prossimo mandato. Ma dipenderà dalle scelte di ognuno.

È possibile ipotizzare una sua candidatura alla presidenza, nel ruolo oggi occupato da David Buzzinelli?

Il futuro ovviamente non è certo e, in questo momento, non ci ho ancora pensato. Ma per il territorio ci sono e se avrà bisogno ci sarò.

Dov’è il Collio oggi e dove andrà – o dovrebbe andare, a suo avviso – nel prossimo triennio, in termini di mercati, obiettivi e prospettive?

Oggi siamo presenti su tutti i mercati più importanti. Nel prossimo triennio mi piacerebbe poter confermare e incrementare il sodalizio con gli Stati Uniti, che rimangono il nostro mercato extraeuropeo principale. Tuttavia, non possiamo non guardare verso est ed in particolare a Giappone e Cina. Mercati in fortissima crescita, sui quali è e sarà necessario puntare, per avere una diversificazione e soprattutto nuovi sbocchi economici.

Non crede che in Friuli Venezia Giulia ci siano troppi Consorzi del vino e che questa abbondanza, al posto di palesare evidenti diversità, limiti risorse altrimenti aggregabili, da investire per una migliore comunicazione delle eccellenze regionali?

Nonostante il Collio sia molto piccolo, esistono differenze microclimatiche tra una zona e l’altra che marcano in maniera evidente i vini. Figuriamoci se dovessimo prendere in considerazione l’intero territorio regionale. È vero che non abbiamo grandi numeri, ma la qualità non va mai di pari passo con la produzione. Anzi, di solito minore è la resa migliore è la qualità. Ed è questa caratteristica che noi abbiamo l’obbligo di preservare.

A livello regionale è un tema sempre caldo quello del Prosecco, con le recriminazioni del Carso nei confronti (soprattutto) della Doc veneta. Se avesse voce in capitolo, come gestirebbe la questione?

La mia scelta produttiva è diversa da quella del Prosecco, perciò non sono in grado di rispondere e lascio la parola a chi di questo si occupa.

Intanto, il Collio ha annunciato che il 2025 sarà l’anno del Friulano. Fino ad oggi, scusi la franchezza, si è fatto davvero pochissimo per promuovere questa varietà. È possibile aspettarsi, finalmente, una comunicazione adeguata, che metta una volta per tutte alle spalle la “questione ungherese” che si è trascinata dal 1993 al 2007?

Chi mi conosce sa che la mia azienda ha fatto del Friulano il suo cavallo di battaglia. È una grandissima varietà con delle enormi potenzialità. Per questo l’abbiamo scelto come rappresentante del territorio per il 2025, con un grande evento che lo vedrà protagonista. I discorsi sulla questione ungherese sono storia vecchia. Nonostante le prime difficoltà, credo che orami abbiamo dimostrato senza ombra di dubbio quale sia l’anima del Friulano: un grande vino costellato ogni anno da moltissimi premi a livello nazionale ed internazionale.

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Leonardo Palumbo nuovo vicepresidente dell’Union Internationale des Oenologues


Parla sempre più italiano la l’Unione internazionale degli enologi. Leonardo Palumbo è stato infatti nominato vicepresidente dell’Union Internationale des Oenologues, che riunisce le sedici associazioni nazionali di enologi ed enotecnici di Germania, Argentina, Austria, Brasile, Canada, Cile, Croazia, Spagna, Francia, Grecia, Italia, Giappone, Portogallo, Slovenia, Svizzera e Uruguay. Palumbo, direttore tecnico della cantina pugliese Torrevento, già presidente della sezione Puglia-Basiliata-Calabria di Assoenologi e per molti mandati consigliere nazionale di Assoenologi, ricoprirà l’incarico insieme a Didier Fages. L’attuale presidente dell’Union Internationale des Oenologues è Emilio Renato Defilippi (Italia). Al suo fianco Pierre-Louise Teissedre (Francia) e Santi Jordin (Spagna).

I presidenti emeriti sono Riccardo Cotarella, Serge Dubois ed Edmund Diesler. L’Union Internationale des Oenologues è nata a Milano nel 1965, a fronte della «necessità di contatti sempre maggiori tra categorie di paesi diversi, la consapevolezza del ruolo crescente che l’enologo stava acquisendo e l’importanza che la categoria assumeva per il costante miglioramento e progresso del settore». La fondazione si deve a Gabriel Humeau, presidente dell’Unione degli Enologi francesi, deciso a riunire a livello mondiale le associazioni degli enologi e degli enotecnici.

L’UNION INTERNATIONALE DES OENOLOGUES

Un’idea che fu accolta molto favorevolmente da Antonio Carpenè, allora presidente di Assoenologi, che si è subito dichiarato disponibile a collaborare alla sua realizzazione. Il progetto di costituzione dell’Unione Internazionale degli Enologi fu presentato e discusso nel corso di due incontri svoltisi a Narbonne (Francia) e Madrid (Spagna), nel 1964, alla presenza di delegati dell’Argentina, del Cile, della Spagna, degli Stati Uniti, Francia, Italia e Portogallo. In quell’occasione furono redatti l’atto costitutivo e il programma operativo del nuovo organismo.

L’Unione Internazionale degli Enologi è stata quindi ufficialmente fondata a Milano, il 24 aprile 1965, dopo l’approvazione dello statuto sociale. Le associazioni fondatrici sono state quelle di Argentina, Cile, Spagna, Francia, Italia e Portogallo. Il primo presidente dell’Union Internationale des Oenologues fu Gabriel Humeau. Vicepresidente Antonio Carpenè e carica di segretario generale affidata allo spagnolo Luis Albalate. La sede dell’Uioe. si trova a Parigi e ha due sedi ausiliarie: Madrid e Milano. Gli obiettivi di ieri sono ancora oggi riportati nello Statuto dell’Unione.

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«Più soci, bottiglie e mercati»: la Cantina Negrar del nuovo presidente Brunelli


Giampaolo Brunelli
 è il nuovo presidente di Cantina Valpolicella Negrar, il numero 14 nella storia della cooperativa veneta. Ad affiancarlo nel suo mandato triennale in qualità di vice presidente sarà Alessia Ceschi, 33 anni, avvocato a Verona. Entrambi sono nati a Negrar di Valpolicella, sono figli di viticoltori soci pluridecennali della cantina e hanno già avuto esperienza direzionale nei trascorsi direttivi. Brunelli è dal 2014 all’interno del collegio sindacale e Ceschi dal 2020, in qualità di consigliere.
Tra i progetti del nuovo corso, la realizzazione di una trentina di vasche dalla capacità di 53 mila ettolitri, entro il 2025.

L’obiettivo è «aumentare la capacità di stoccaggio di vini che necessitano un lungo affinamento». Sarà inoltre concluso l’ampliamento della cantina per altri 2.700 metri quadrati, da destinare a magazzino e all’impianto di imbottigliamento da 12 mila bottiglie all’ora. Altra mission del nuovo presidente è l’allargamento della base sociale – oggi i soci sono 230, per oltre 700 ettari di vigneto – in modo da «rafforzare la capacità produttiva e allargare i mercati». Ultimo progetto è quello di «gettare le basi per realizzare un bilancio di sostenibilità».

«Abbiamo di fronte situazioni molto complesse sia dal punto di vista economico che sociale – commenta il nuovo presidente di Cantina Valpolicella Negrar, Giampaolo Brunelli – a cui però intendiamo rispondere non chiudendoci a riccio, ma con lo slancio e l’energia propri a una compagine “giovane”, che guarda a un futuro migliore, desiderosa di portare la cantina a bissare i primi 90 anni». «Nel mio mandato, in linea con il presidente e il consiglio – aggiunge Alessia Ceschi, prima donna a ricoprire la carica di vice presidente della cantina – porterò la mia professionalità e la mia sensibilità verso il cambiamento, a beneficio dei soci e del territorio».

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I vignaioli Luigi Maffini e Diletta Nember Cavalleri nuovi vicepresidenti Fivi

È terminata da pochi minuti a Roma la prima riunione del nuovo Cda di Fivi, che ha eletto vicepresidenti Luigi Maffini (Campania) e Diletta Nember Cavalleri (Lombardia). Saranno loro ad affiancare ai vertici della Federazione italiana vignaioli indipendenti il nuovo presidente Lorenzo Cesconi (Trentino).

Il Cda ha inoltre confermato nel ruolo di Segretaria Rita Babini. Per la vignaiola emiliana anche il ruolo di coordinatrice dei rapporti con Cevi, organismo di rappresentanza dei vignaioli europei.

Confermato nel nuovo Consiglio di amministrazione della Federazione italiana vignaioli indipendenti Walter Massa (Piemonte), da alcuni ritenuto papabile per la vicepresidenza e, ancor prima dell’esito delle elezioni, addirittura come potenziale presidente Fivi. Già stabilita la data della prossima riunione del Cda, che si terrà a Bologna il 21 marzo.

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La conversione di Ottavia Giorgi Vistarino: da caporivolta a “vicepres” del Consorzio

EDITORIALE – Chi lo ha detto che per sedersi basti piegare le ginocchia e buttarsi in poltrona? A volte, qualche giro attorno al tavolo del salotto, può risultare più salutare di una passeggiata in montagna. Deve pensarla così Ottavia Giorgi Vistarino, la contessa di Villa Fornace (PV) passata da “caporivolta” a vicepresidente del Consorzio Tutela Vini Oltrepò pavese.

Neppure troppo tempo fa, la produttrice lo aveva detto chiaro a WineMag.it, in presenza di tanti colleghi (arrabbiati): «Prima accettano il nostro progetto, poi rientro in Consorzio». La realtà dice che non è andata così. Affatto.

Assieme ad altre cantine, Tenuta Vistarino è rientrata nei ranghi senza che un vero cambio di rotta sia avvenuto. Di fatto non vi è alcuna traccia pubblica del progetto che Ottavia Giorgi Vistarino aveva in mente per i piccoli-medi produttori dell’Oltrepò pavese.

Un territorio che continua a gongolarsi e prodigarsi per le “Far bere Pavia”. Bonarda, s’intende, mica Pinot Nero in rosso o Metodo classico. E allora si dirà che è meglio «cambiare le cose da dentro». Per certi versi qualcosa di vero.

Il problema è che una storia già vista, in Oltrepò. Ma la contessa Ottavia Vistarino merita la fiducia (cieca) di chi è innamorato di questa terra del vino italiano. Se non altro perché, stavolta, la faccia è proprio la sua. Auguri.

Oltrepò modello Cava: 4 fuori dal Consorzio. Ottavia Vistarino: “Serve un progetto”

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Evoo Days e Turismo: l’olio di qualità fa tendenza

Ideati da Veronafiere nascono gli EVOO Days, forum per la formazione e il networking della filiera dell’olio extravergine di oliva di qualità. La prima edizione è in programma il 20 e 21 febbraio 2017 a Verona durante Sol d’Oro Emisfero Nord (www.solagrifood.com), il più autorevole concorso oleario internazionale. E il Movimento del Turismo del Vino allarga il proprio raggio d’azione all’olio. Lancerà infatti ufficialmente il Movimento Turismo dell’Olio, in occasione dell’iniziativa “ABC OLIO – Impariamo a conoscere gli extravergine di Puglia”, che si svolgerà in Puglia, alla Masseria Torre Coccaro (BR), il prossimo 11 dicembre.

Così l’olio italiano, si appresta a fare tendenza. “Gli Evoo Days sono il nostro contributo alla celebrazione in Italia della Giornata Mondiale dell’Olio di Oliva promossa dal Coi, Consiglio Oleicolo Internazionale – afferma Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere – un’iniziativa che completa il progetto perseguito con Sol d’Oro, che è quello di premiare le migliori produzioni oleicole internazionali offrendo nel contempo ai produttori di tutto il mondo un momento di confronto per progredire nella qualità”.

Tre i focus degli EVOO Days, che vedranno la partecipazione anche di relatori esteri: il miglioramento dell’oliveto e della qualità dell’olio nazionale, con seminari per approfondire le tecniche che permettono di passare da un’olivicoltura tradizionale a una intensiva utilizzando gli impianti già esistenti; l’export, con workshop su Usa, Giappone e Taiwan; il marketing, per vendere e comunicare meglio il prodotto, partendo  dall’ideazione del packaging fino all’utilizzo dei social, passando per una efficace partecipazione alle fiere.

IL NUOVO MOVIMENTO
Con l’esperienza maturata nel vino e nei suoi territori, ora il Movimento Turismo del Vino pensa all’olio. L’associazione che ha segnato la svolta introducendo il valore di enoturismo, culminato con lo straordinario successo di Cantine Aperte, lancerà infatti ufficialmente il Movimento Turismo dell’Olio. “
Quelli della vite e dell’olivo sono i colori del nostro territorio – spiega la vicepresidente di MTV Italia, Serenella Moroder, che presenterà il progetto alla Masseria Torre Coccaro, il prossimo 11 dicembre  – ed è innegabile il valore ambientale, di tutela del paesaggio e di risorsa turistica che rappresentano soprattutto in territori straordinari. Come Movimento, il nostro sguardo all’olio è un passo inevitabile nel progetto di sviluppo legato sia alla qualità delle produzioni che al concetto fondamentale di cultura dell’accoglienza. Partiamo dalla Puglia, basta osservare questa regione per capire il perché”.

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Trento-Cosenza sulla strada del vino: l’insolito gemellaggio

Un gemellaggio concepito con l’obiettivo di promuovere il territorio a partire dalle sue eccellenze enogastronomiche: un percorso alternativo di vini e sapori che attraversa l’Italia da Nord a Sud per raccontare prospettive, gusti, tradizioni e luoghi lontani. “Terre di Cosenza. Percorsi alternativi: alla scoperta dei mille volti della Calabria”, questo il titolo dell’evento che da gi10ovedì 6 a sabato 8 ottobre ha accompagnato gli ospiti di Palazzo Roccabruna alla scoperta di prodotti e produttori di una terra che vanta ricchezze naturalistiche ed agroalimentari uniche nel loro genere e di antica tradizione: la Calabria. Il frutto di un accordo quadro siglato nel giugno 2016, come hanno spiegato durante la conferenza stampa di presentazione a Palazzo Roccabruna, Trento, Klaus Algieri e Erminia Giorno, rispettivamente presidente e segretario generale della CCIAA di Cosenza, con gli omologhi trentini, Giovanni Bort e Mauro Leveghi.

I DETTAGLI
Come ha sottolineato Klaus Algieri l’intesa prevede “una collaborazione fra le due Camere di commercio per la valorizzazione e la promozione delle rispettive specialità agroalimentari”. “Si tratta – ha aggiunto il presidente – di un unicum a livello nazionale nell’ambito della rete camerale”. Algieri ha anche espresso l’auspicio che l’esempio possa essere seguito da altre Camere di commercio onde dar vita ad un modello virtuoso di collaborazione nella promozione dei vari territori in campo nazionale. Giovanni Bort, presidente della CCIAA di Trento, ha posto l’accento sul ricco patrimonio enogastronomico e culturale dei territori che hanno stipulato l’intesa. Ricordando che il gemellaggio con la CCIAA di Cosenza, ospitata in questi giorni a Palazzo Roccabruna con prodotti e produttori calabresi, prevede la presenza della CCIAA di Trento nel mese di dicembre presso il Castello ducale di Corigliano calabro, per promuovere e far conoscere l’enogastronomia trentina.

SCAMBIO DI SAPERI E SAPORI
Nella tre giorni dei sapori calabresi a Palazzo Roccabruna è stato possibile degustare i vini Doc “Terre di Cosenza” (Greco bianco, Mantonico, Guarnaccia e Pecorello, rosati e rossi di Magliocco, Greco nero, passito di Saracena e spumanti metodo classico), le bacche di Goji, le clementine, l’olio, i formaggi, i salumi, gli agrumi della provincia di Cosenza e tante preparazioni a base di fico e patata.

L’Enoteca ha consentito agli ospiti di abbinare i vini calabresi con frittelle di baccalà, pipi crusckj, cullurielli, polpettine di melanzane, schaicciatine di patate, sciusciellu, ‘nchiampara, pomodori di Belmonte oppure salumi con fichi dottati al miele, crostini con ‘nduja, selezione di formaggi con marmellate di agrumi e miele.

Non sono mancati due interessanti laboratori enogastronomici su “Pasta fresca calabrese… in tutte le salse” e “Vini delle Terre di Cosenza Doc”. La tre giorni si è conclusa sabato sera, con il menù di territorio dal titolo “Eccellenze di Calabria”, a cura degli chef Francesca Narcisi, Carmelo Fabbricatore e Giuseppe Barbino.

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Morbegno in Cantina, sabato da record per il vino di Valtellina: i nostri migliori assaggi

Cifre da capogiro per Morbegno in Cantina, nella giornata di sabato 8 ottobre. Sono 5631 i pass staccati ieri, validi per l’accesso alle vecchie cantine della città, fatte rivivere a suon di vino e prodotti gastronomici tipici della Valtellina. Impeccabile l’organizzazione, che è riuscita a tamponare i possibili disagi dovuti alle lunghe code alle porte delle cantine. La manifestazione prosegue quest’oggi e si chiuderà il prossimo weekend: sabato 15 e domenica 16 ottobre, in concomitanza con la Festa del Bitto, uno dei prodotti caseari lombardi più pregiati (il Bitto Storico è un presidio Slow Food). L’edizione 2016 prevede, proprio nel fine settimana conclusivo, un nuovo percorso speciale volto a valorizzare l’enogastronimia locale. “Quest’anno – spiega Paolo Angelone (nella foto, a destra), presidente del Consorzio Turistico di Morbegno – abbiamo cercato di dare all’evento una connotazione ancora più valtellinese. Oltre ai vini, ai banchetti allestiti all’interno delle 31 cantine visitabili è possibile trovare esclusivamente prodotti della nostra Valtellina: dai salumi ai formaggi, senza dimenticare dolci come la Bisciola. Un modo per valorizzare non solo dal punto di vista enologico ma anche gastronomico il nostro splendido territorio”. “Morbegno – aggiunge Alberto Zecca (nella foto, a sinistra), vicepresidente del Consorzio Turistico – gode di una posizione strategica non solo nel contesto della Valtellina, ma anche in quello lombardo. Ogni anno accogliamo una media di 20 mila persone, che giungono anche da altre regioni d’Italia, come per esempio il Piemonte e la Toscana, ma anche da altri Paesi, come la Svizzera, per godere delle nostre tipicità. E il feedback che ci viene offerto è sempre positivo”.

Anche Mamete Prevostini, presidente del Consorzio Vini di Valtellina e di Ascovilo, è soddisfatto dal primo bilancio dell’evento: “C’è continuità rispetto agli altri anni – commenta – e i dati sono molto incoraggianti. Per noi, la vera novità è stata l’introduzione dei wine lab in occasione della domenica d’apertura di Morbegno in Cantina. Un’iniziativa che ha dato lustro e risalto alla manifestazione e che ripeteremo certamente il prossimo anno, in collaborazione con i produttori”. Prevostini anticipa anche qualche cifra sulla prossima vendemmia: “La Valtellina produce in media 3,5 milioni di bottiglie all’anno. Un dato che subirà una lieve flessione con la vendemmia 2016, appena iniziata per le uve dello Sforzato. Nonostante le piogge di inizio stagione, che hanno favorito la peronospora, le uve risultano ad oggi in buono stato”.

I MIGLIORI VINI DEGUSTATI
Davvero ampia l’offerta enologica nelle 31 cantine fatte rivere da Morbegno in Cantina. La scopriamo con la complicità di un ‘Cicerone’ d’eccezione, il sommelier Ais Massimo Origgi, brianzolo, oggi valtellinese d’azione che collabora da tempo con il Consorzio Turistico. Al terzo weekend di degustazione la parte del leone spetta ai medio-grandi produttori, capaci di fornire agli organizzatori un quantitativo più elevato di vino. Di fatto, ieri non v’era traccia dei nuovi ‘monumenti’ della viticoltura valtellinese. Aziende come Dirupi e Rivetti & Lauro, per citarne due su tutte, che per via della limitata produzione sono riuscite a fare bella mostra di sé solo in occasione del fine settimana di apertura dell’evento. L’altra faccia della medaglia è che i mostri sacri di Valtellina – i vari Arpepe, Mamete Prevostini, Nino Negri e Rainoldi – hanno saputo confermare la grandezza della loro stella, degna di un palcoscenico nazionale ed internazionale. Un palco su cui può salire di diritto, nelle sue varie coniugazioni, la Chiavennasca, nome col quale viene chiamata localmente l’uva Nebbiolo (a proposito: secondo alcuni recenti studi, il vitigno sarebbe originario proprio della Valtellina e non del Piemonte).

A vini da non perdere come lo Sforzato di Valtellina Albareda di Mamete Prevostini (in degustazione una vendemmia 2012 succosa, più pronta ad oggi di un vino di luminosa prospettiva come il 5 Stelle Sfursat di Nino Negri 2011, ancora un ‘infante’ nel calice) si affiancano gli ottimi Inferno Carlo Negri Valtellina Superiore Docg 2012 (degustabile sul percorso rosso, ‘fermata’ Gerosa: rivela anch’esso un futuro strabiliante per acidità e tannino) e il Grumello 2011 Arpepe (40 giorni sulle bucce e utilizzo di botti di castagno, come vuole la tradizione, ormai sulla via della definitiva riscoperta). Per completezza e qualità della gamma espressa a Morbegno in Cantina, un riconoscimento speciale va alla Aldo Rainoldi, capaci di spaziare dall’ottimo Inferno in vendita nei supermercati a prodotti di straordinaria freschezza e piacevolezza come il Prugnolo 2012, 13%, criomacerazione e utilizzo di barrique precedentemente utilizzate per lo Sforzato: un “vino quotidiano” d’eccezione il cui prezzo si aggira sui 10 euro.

Senza dimenticare, sempre di Rainoldi, le punte espresse dalle due Riserve di Sassella e Grumello Docg 2010 (interessante da valutare nell’evoluzione in bottiglia il primo, mentre il secondo, ottenuto da un unico vigneto posto a 600 metri sul livello del mare, oltre allo sprint futuro, regala un presente già delizioso), nonché dal Brut Rosè Metodo Classico, ottenuto da uve Nebbiolo vinificate in rosato assieme a una piccola percentuale di uve Pignola e Rossola: letteralmente l’unica bollicina che merita una menzione tra quelle presenti ai banchi d’assaggio. Ottima anche la vendemmia tardiva Crespino, sempre a firma Rainoldi. Da concedersi al termine della degustazione il sorprendente passito Vertemate di Mamete Prevostini, nome che ricorda la splendida villa di Piuro (frazione del Comune di Prosto, nei pressi di Chiavenna, SO) nei cui giardini sorgono le vigne di Riesling e Gewurztraminer da cui prende vita questo vino speciale (residuo zuccherino elevato, pari a 80-90 g/l).

Tra i ‘volti’ meno noti al pubblico non residente in Valtellina, da non perdere il Valtellina Superiore Valgella Docg 2009 di Cantina Motalli (Teglio, SO): vino di grande complessità, ottenuto in purezza da uve Chiavennasca del singolo cru ‘Le Urscele’. Anche il Valtellina Superiore Docg Grumello 2011 Red Edition di Plozza Vini Tirano, con il suo doppio passaggio in legno (prima rovere, poi castagno) svela ottime potenzialità di evoluzione, con un tannino e un’acidità stuzzicanti, in prospettiva. E’ invece di Triacca (Tenuta La Gatta di Bianzone, SO) il Valtellina Superiore Docg 2011 “Prestigio”, 14%, 100% Chiavennasca che affina 12 mesi in barrique di rovere francese nuove: un altro ottimo aspirante al trono della longevità.

De La Perla di Marco Triacca, invece, è il Valtellina Superiore Docg 2011 “La Mossa”: ottenuto dal vigneto situato in Valgella, affina due anni in botti grandi di rovere e un anno in bottiglia, prima della commercializzazione. Degno di nota anche il Valtellina Superiore Docg Riserva 2009 “Giupa” di Caven, azienda agricola del gruppo Nera Vini. Prodotto in edizione limitata dalla vendemmia tardiva di uve Nebbiolo, affina per circa 6 mesi in piccole botti di rovere, per poi maturare per ulteriori 18 mesi in botte grande, sempre di rovere. Da provare, infine, “Le Filine”, il Valtellina Superiore Docg 2011 di Vini Dei Giop, realtà di Villa di Tirano che opera in regime biologico, pur non certificato. Ennesimo vino di prospettiva, ottenuto da piccoli appezzamenti di vigna, “Le Filine” appunto, strappati letteralmente alle rocce, che fanno da contorno.

NON SOLO VINO
Due, in assoluto, gli incontri da non mancare con la gastronomia Valtellinese a Morbegno in Cantina. Il pilastro locale, vera e propria istituzione in città, è il negozio di alimentari Fratelli Ciapponi di Piazza III Novembre 23. Una di quelle botteghe d’altri tempi, in cui trovare delizie enogastronomiche non solo locali. Del posto sono certamente le forme di formaggio Bitto in bella mostra nelle ‘segrete’ del negozio, aperte al pubblico. Tra queste, si potrà scorgere anche qualche forma di Bitto Storico di 15 anni. Fornitissima anche l’enoteca, che oltre a offrire una panorama pressoché completo della viticultura Valtellinese, non dimentica di annoverare le più prestigiose case vinicole italiane, passando addirittura per alcune tra le più note maison di Champagne francese. I più fortunati riusciranno anche a conoscere il signor Ciapponi, anima e cuore della storica attività, pronto a regalare sorrisi e battute geniali.

Per i più giovani, invece, l’appuntamento è con il modernissimo food truck Marco Gerosa e Massimo Rapella “L’idea è quella di proporre ai nostri tempi i sapori che avevano in bocca i nostri nonni – spiega Marco Gerosa -. Pertanto è nata l’idea del cibo ‘bio-grafico’, che riprende ricette storiche tradizionali, mediante utilizzo di materia prima esclusivamente locale. Un esempio su tutti è quello delle farine: è più facile trovarne di estere, anche nel nostro territorio. I nostri prodotti sono invece ottenuti da farina di grano saraceno e segale nata, cresciuta e macinata in Valtelina, in particolare nei comuni di Ponte e Morbegno. I nostri nonni di certo non compravano saraceno in Cina! Il valore aggiunto è la valorizzazione della territorialità e della tipicità dei prodotti ottenuti dall’arco alpino, unici al mondo. E anche i nostri salumi vengono trattati come li trattavano i nostri nonni”. Un evento al mese per Il Carretto Valtellina Street Food, che a Morbegno propone, oltre agli sciatt, un panino di segale della Valtellina spalmato con burro aromatizzato al timo selvatico, ripieno di slinzega di codone.

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Veneto shock: Valpolicella Classica pronta alla scissione dal Consorzio. A Soave prezzi del vino al ribasso

Davide contro Golia, “ciak si gira”. In Veneto. Alle porte della vendemmia 2016, la regione vinicola più produttiva d’Italia è in subbuglio. L’ennesima riduzione della percentuale delle uve da mettere a riposo per Amarone e Recioto, paventata dal Consorzio di Tutela Vini della Valpolicella e ormai in via di ufficializzazione, rischia di generare una scissione da parte dei produttori della zona Classica.

E a Verona, in occasione dell’evento clou del programma di Soave Versus, andato in scena ieri al Palazzo del Gran Guardia, serpeggia il malumore tra i piccoli produttori. Costretti “a mantenere bassi i prezzi dei loro vini per l’esistenza di un ‘cartello’ che limita, di fatto, la concorrenza leale”.

Parole forti quelle che volano in Valpolicella e a Soave. Confermate da diversi produttori, che preferiscono mantenere l’anonimato. Ma andiamo con ordine. “Con un’annata come questa che si preannuncia eccezionale – evidenziano alcuni vignaioli della Valpolicella, sentiti in esclusiva da vinialsupermercato.it – la riduzione delle rese delle uve ci colpisce ancora di più. Tutti si aspettavano dal Consorzio di Tutela Vini della Valpolicella un aumento della percentuale di uve da mettere a riposo per Amarone e Recioto, proprio per l’abbondanza e la qualità che registreremo in vendemmia. Invece ci ritroveremo con l’ennesima diminuzione. E alla domanda: perché? Ci hanno risposto che ci sono numerose cantine con Amarone in abbondanza, invenduto. Una decisione presa dunque per mantenere in equilibrio il rapporto tra domanda e offerta in Valpolicella”.

Peccato che, come sottolinea ancora il gruppo di produttori, “le cantine della Valpolicella Classica registrano il problema inverso”. “Praticamente nessuno di noi ha dell’Amarone invenduto e dunque non si capisce perché dobbiamo sottostare a questa misura, che taglierà ulteriormente le gambe all’economia dei piccoli produttori, per difendere gli interessi dei grandi gruppi e delle cantine sociali della zona allargata. Di certo sappiamo che neppure la cantina sociale della zona Classica (Negrar) ha dell’Amarone invenduto: figurarsi i piccoli produttori. E i prezzi, qui da noi, non sono certo al ribasso”.

“Il problema di fondo – continuano i viticoltori – è far capire ai consumatori finali che esistono diversi tipi di Amarone: nella zona classica abbiamo da sempre valori aggiunti in termini di stile e qualità. Nonostante ciò, non siamo abbastanza rappresentati numericamente nel Consorzio per far valere le nostre ragioni. L’unica soluzione, dunque, sarebbe quella di una scissione dal Consorzio della Valpolicella, con la creazione di un altro ente che si prenda cura, alla stessa maniera, di tutti: piccoli e grandi”.

Il nuovo Consorzio, o distretto, sull’esempio di quanto avvenuto in Oltrepò Pavese con la creazione del Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese, guarderebbe gli interessi delle aziende dei Comuni di Fumane, Marano di Valpolicella, Negrar, San Pietro in Cariano e Sant’Ambrogio di Valpolicella, che producono Valpolicella classico, Valpolicella classico superiore, Valpolicella Ripasso classico, Valpolicella Ripasso classico superiore, Amarone della Valpolicella classico e Recioto della Valpolicella classico.

PIU’ QUALITA’ CHE PREZZO A SOAVE

Non si parla di secessione, invece, tra i produttori di Soave intervenuti al grande evento al Palazzo della Gran Guardia di Verona. Ma monta il malumore. A far traboccare il vaso, di stand in stand, è la nostra domanda sul prezzo delle singole bottiglie presentate in degustazione. Costi davvero irrisori per la qualità espressa da alcuni Soave Classico o Superiore. Una situazione invitante per la grande distribuzione organizzata (Gdo), che arriva a proporre ai vignaioli una media di 1,30 euro a bottiglia. Prezzo che sullo scaffale, a margini e Iva applicati, lieviterebbe comunque a soli 3,50 euro, per il cliente finale.

Davvero troppo poco per dei Soave che prevedono raccolte vendemmiali tardive, appassimenti in cassetta di percentuali d’uva e, in alcuni casi, anche brevi passaggi in legno. “Il perché è semplice – spiegano uno dopo l’altro i vignaioli intervistati – e va ricercato nel fatto che a comandare sui prezzi nella zona del Soave sono poche cantine, che dettano legge per tutti. Bisogna essere abbastanza potenti per poter contrastare queste aziende e provare, per esempio, a proporre sul mercato vini innovativi, diversi: perché in quel caso, qualcuno si sentirebbe scavalcato, vedendosi ‘derubato’ di fette di mercato. Il Soave, nel mondo, è stato bistrattato e proposto all’estero con prezzi assurdi, anche inferiori all’euro, nei supermercati. La crisi non basta a giustificare tutto ciò”.

I produttori di Soave interpellati denunciano poi la sussistenza di un “conflitto d’interessi nelle alte leve del vino di Soave”. Il presidente del Consorzio, Arturo Stocchetti, è anche il presidente dell’Unione Consorzi Vini Veneti Doc e Docg (U.Vi.Ve, che sul proprio sito web omette l’organigramma). Arturo Stocchetti, inoltre, è presidente di Cantina Castello (eccolo, questa volta, in foto in home page assieme alla famiglia). Uno dei soci di Stocchetti in Cantina Castello ricoprirebbe infine un ruolo di primo piano nella cantina sociale di Soave.

Una stoccata all’assessore all’Agricoltura della Regione Veneto, Giuseppe Pan, arriva invece – sempre in occasione di Soave Versus 2016 – da parte di Paolo Menapace, presidente della Strada del Vino Soave: “Benissimo promuovere il territorio di Soave, ma la Regione dovrebbe elargire contributi speciali a chi reimpianta la pergola, vero e proprio simbolo della viticoltura tradizionale locale, rinunciando alla spalliera”.

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Viticoltori Friulani La Delizia: inaugurata la cantina di 11 mila metri quadri

Viticoltori Friulani La Delizia, la più grande cantina del Friuli Venezia Giulia, raddoppia nell’anno del suo 85° anniversario dalla fondazione. Ieri, 19 agosto, l’apertura della nuova area produttiva di Orcenico Inferiore di Zoppola. La struttura, unita alla sede storica di Casarsa della Delizia, che rimarrà pienamente operativa, ha portato alla nascita del più grande polo per la vinificazione e spumantizzazione dell’intero Friuli Venezia Giulia. Che diventa così uno dei maggiori d’Italia. “La logica con cui si è sviluppato questo nuovo sito – ha spiegato il presidente Flavio Bellomo, di fronte a un nutrito pubblico, tra cui quasi tutti i 450 soci della cantina – è stata quella di affrontare nell’immediato le esigenze produttive e logistiche conseguenti a questi anni di crescita, ma è una logica legata anche ad una visione a medio e lungo termine, cercando di predisporre il tutto per uno sviluppo razionale e organico che può avvenire nei prossimi anni. Questo nuovo stabilimento – ha proseguito Bellomo – deve essere un punto di partenza per costruire il nostro futuro, fedeli alle radici del nostro passato che ha come punti di forza la produzione di vino di qualità che racconta il territorio friulano in cui nasce e la presenza nei mercati esteri”.

L’ESPANSIONE
Dai pionieri di 85 anni fa (era il 7 maggio 1981 quando settanta viticoltori decisero di unire le forze in una cooperativa che gli permettesse di dare un futuro stabile alle proprie famiglie) si giunge ai 450 soci attuali, le cui vigne coprono un territorio che va da Pordenone fino a Cervignano del Friuli. L’allora Cantina Sociale Cooperativa Destra Tagliamento – questo il nome assunto agli esordi – è stata capace di superare la Seconda guerra mondiale, nella quale fu bombardata, e il terremoto del 1976, durante il quale subì la rottura dei serbatoi. La cantina continuò a crescere per tutta la seconda metà del Novecento, cambiando nome a partire dagli anni Ottanta in Viticoltori Friulani La Delizia, dopo l’incorporazione di altre cantine. Investimenti continui nella qualità e tecnologia di produzione hanno infine portato La Delizia a essere una realtà capace di commercializzare il proprio vino a livello internazionale. Tutti i soci aderiscono al percorso tecnico-agronomico della cantina, che punta “alla qualità del prodotto e alla gestione rispettosa e mirata dell’ambiente e del territorio”. Al loro fianco i 60 dipendenti della cantina, che effettuano a 360 gradi le operazioni necessarie alla trasformazione dell’uva in vino: dai controlli in vigna alla vinificazione, dalla spumantizzazione all’imbottigliamento fino alla commercializzazione del prodotto. Al direttore de La Deliza, Pietro Biscontin, il compito di illustrare il progetto dello stabilimento di Zoppola. “Con un investimento di 12,5 milioni di euro – ha spiegato – La Delizia ha avviato la nascita di questa nuova area produttiva in posizione strategica sulla strada statale Pontebbana. Un progetto che rappresenta un volano per l’economia locale (nel cantiere hanno operato in questa prima fase 12 aziende, ndr) nonché la riqualificazione di un’area industriale dismessa per diversi anni, quella dell’ex cantina Friulvini”. Su un’area di 80 mila metri quadri totali, attualmente sono 11 mila i metri quadri coperti. Un’ampiezza di quasi due campi da calcio, nei quali trova spazio un impianto di vinificazione e stoccaggio da 90 mila ettolitri di Pinot Grigio e Prosecco, i vini più richiesti del momento. Cuore dell’impianto i 50 “giganti”: serbatoi dalla capacità di 1.900, 1.600 e 900 ettolitri e alti 12 metri, realizzati in acciaio inossidabile austenitico e dotati di un moderno sistema di controllo della temperatura, gestibile anche in remoto dalla sede di Casarsa. “Lo sviluppo della sede di Zoppola – ha annunciato Biscontin – che sarà utilizzata già dalla vendemmia 2016, proseguirà nei prossimi anni. Prevedendo, tra i futuri step, anche la gestione logistica dei vini imbottigliati a inizio 2017”.

GLI INTERVENTI
“Un esempio di qualità e coraggio imprenditoriale”: così la presidente della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani ha definito durante la cerimonia di inaugurazione la cantina La Delizia di Casarsa, aggiungendo che “questa è la più grande cantina del Friuli Venezia Giulia che oggi aumenta notevolmente la propria produzione grazie alla sua espansione avvenuta con il recupero di un vecchio stabilimento. Un’azienda sana, con un fatturato assolutamente positivo e un export estremamente interessante, esempio di qualità sia per i mercati in cui opera sia per la capacità di compiere nuovi investimenti, grazie ai 12,5 milioni di euro utilizzati che inevitabilmente si ripercuotono positivamente tanto nel territorio quanto nei soci”. Secondo il vicepresidente regionale e assessore alle Attività produttive Sergio Bolzonello questa realtà rappresenta un’eccellenza perché “è capace di comprendere che la forte dinamicità dei mercati si può affrontare solo attraverso importanti investimenti. E quello compiuto a Orcenico – ha aggiunto Bolzonello – è straordinario non solo per il valore economico ma anche per la qualità di ciò che viene messo a disposizione di un sistema vitivinicolo regionale che qui ora ha a disposizione la più grande realtà nel campo della vinificazione”.

Parole di elogio sono giunte anche da Carlo Dalmonte, presidente di Caviro (la più grande cantina cooperativa italiana) che ha rilanciato sulle sinergie già in essere tra le due realtà vitivinicole intervenendo all’interno della tavola rotonda sulla cooperazione agricola condotta dal direttore del Messaggero Veneto Omar Monestier. Le comunità di appartenenza della Cantina, Casarsa e Zoppola, sono state rappresentate nel loro saluto rispettivamente dalla sindaca Lavinia Clarotto e dalla sindaca Francesca Papais. Presente anche il presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, Franco Iacop, numerosi consiglieri regionali, sindaci e amministratori del territorio nonché i rappresentanti delle categorie economiche. Non sono mancati i numeri. Il 55% della produzione de La Delizia è richiesto all’estero, più esattamente in 30 Paesi. Oltre ai canali distributivi consolidati in Usa, Canada, Germania e Regno Unito (dove recenti statistiche di mercato indicano come il Prosecco sia richiesto tanto quanto lo champagne francese), altre aree del mondo stanno iniziando a premiare la cantina friulana come l’Europa dell’Est (con la Russia in primis) e la Cina, alle quali si aggiungono mercati vinicoli emergenti dal Messico al Sudest asiatico. Il 45% della produzione destinata al mercato nazionale è richiesta principalmente dal canale Horeca (Hotellerie-Restaurant-Café) e dalla grande distribuzione.

I PREMI
Nell’occasione sono stati consegnati dei riconoscimenti ad alcune persone che rappresentano la storia di questa realtà divenuta, grazie all’impegno loro come di tutti gli altri soci, amministratori e dipendenti, tra le più importanti dell’intero Friuli Venezia Giulia, sia dal punto di vista economico che sociale: a Mara Nacci per i suoi 36 anni di lavoro nella Cantina, dipendente donna da più tempo all’interno de La Delizia; a Paolo Bertolin per i suoi 38 anni di lavoro nella Cantina, dipendente uomo da più tempo all’interno de La Delizia; a Giocondo Bozzetto nato come i Vini La Delizia nel 1931 e socio conferitore della Cantina da più tempo (66 anni ininterrotti); e infine al cavaliere Noè Bertolin per i suoi 29 anni da presidente dei Vini La Delizia, fondamentali per la crescita internazionale e la modernizzazione della Cantina. Don Ugo Gaspardo parroco di Orcenico Inferiore e don Roberto Stefanon (già cantiniere della stessa La Delizia) hanno impartito la benedizione al nuovo stabilimento prima del taglio del nastro (presente durante la cerimonia pure don Lorenzo Camporese parroco di Casarsa). Il direttore de La Delizia Pietro Biscontin ha inoltre presentato i positivi dati della cantina. Nella vendemmia 2015 sono stati lavorati 2 mila ettari di vigneti (compresi quelli dell’Azienda speciale regionale di Pantianicco gestita dalla cantina) nelle zone Doc Friuli Grave e Prosecco (per quest’ultima gli ettari lavorati sono 500), per una produzione di 300 mila quintali di uve. Da esse sono stati prodotti 22 milioni di litri di vino, di cui 8 milioni di Prosecco Doc e altri spumanti, sempre più richiesti dal mercato. L’ultimo bilancio è stato chiuso con un fatturato di 45,5 milioni di euro, +20% rispetto all’anno precedente. Numeri che, per la vendemmia 2016 pronta a partire a fine agosto, sono previsti in crescita visto anche l’avvio della nuova Doc Friuli. Attualmente La Delizia propone 6 linee di vino (Naonis, Naonis Collection, Sass Ter, La Delizia, La Delizia Aquila, Vigneti) con 42 etichette. Inoltre è stata lanciata un’anticipazione sul ritorno nel mercato del marchio Friulvini.

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Vignaioli indipendenti: Fivi si consolida nel Centro-Sud Italia

L’assemblea generale dei soci della FIVI, la Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, ha rinnovato le cariche elettive per i prossimi tre anni. Matilde Poggi confermata presidente, alla vicepresidenza restano Walter Massa e Leonildo Pieropan. Entrano quattro nuovi consiglieri, di cui tre del Centro-Sud Italia. Sono Luigi de Sanctis (Lazio), Gaetano Morella (Puglia) e Luigi Maffini (Campania), insieme a Bruna Flaibani dal Friuli Venezia Giulia. Rimane invariato il numero di consiglieri. Gli altri vignaioli riconfermati sono: Costantino Charrère (Valle d’Aosta, già primo presidente FIVI), Lorenzo Cesconi (Trentino), Ettore Ciancico (Toscana), Luca Ferraro (Veneto) Gianmario Cerutti (Piemonte, Consigliere delegato agli affari istituzionali), Armin Kobler (Alto Adige), Francesco Saverio Petrilli (Toscana, Segretario Nazionale) e Marco Vercesi (Lombardia). Abbandonano la carica invece Celestino Gaspari (Veneto), Guido Zampaglione (Piemonte) e Stefano Casali (Toscana), Giulia Cavalleri (Lombardia, che rimane alla guida dei Vignaioli di Franciacorta). Il consiglio direttivo della FIVI potrà inoltre contare sull’apporto di 16 delegati di zona e delle tre associazioni indipendenti (Vignaioli del Trentino, Vignaioli dell’Alto Adige, Vignaioli del Soave) a cui è affidato il compito di mantenere il rapporto con i quasi 1000 soci. “Desidero ringraziare i consiglieri uscenti – ha dichiarato Matilde Poggi – per il lavoro che hanno svolto in questi anni e per aver dato spazio ai vignaioli delle regioni finora meno rappresentate. La FIVI oggi è ancora più forte, perché rappresenta in modo più compiuto i vignaioli di tutta Italia”. Proprio per venire incontro alle esigenze dei nuovi consiglieri la sede del consiglio potrà variare di volta in volta.

“Oggi assumiamo l’impegno – ha aggiunto Walter Massa – a prendere qualche aereo, a nostre spese, per rendere più unita l’Italia”. La Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti (FIVI) è un’associazione nata nel 2008 con lo scopo di rappresentare la figura del viticoltore di fronte alle istituzioni, promuovendo la qualità e autenticità dei vini italiani. Per statuto, possono aderire alla FIVI solo i produttori che soddisfano alcuni precisi criteri: “Il Vignaiolo FIVI coltiva le sue vigne, imbottiglia il proprio vino, curando personalmente il proprio prodotto. Vende tutto o parte del suo raccolto in bottiglia, sotto la sua responsabilità, con il suo nome e la sua etichetta”. Attualmente sono quasi 1000 i produttori associati, da tutte le regioni italiane, per un totale di circa 10.000 ettari di vigneto, per una media di circa 10 ettari vitati per azienda agricola. 70 sono i milioni di bottiglie commercializzate e il fatturato totale supera 0,7 miliardi di euro, per un valore in termini di export di 240 milioni di euro. I 10.000 ettari di vigneto sono condotti per il 49 % in regime biologico/biodinamico, per il 20 % secondo i principi della lotta integrata e per il 31 % secondo la viticoltura convenzionale.

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Prosecco, Pinot Grigio e Ribolla: Friulvini riparte dai vini “pop”

Quattrocentocinquanta viticoltori associati. Duemila ettari di superficie vitata. Sette linee di vini commercializzati in 21 Paesi esteri. Sono solo alcuni dei numeri di Friulvini, storico marchio simbolo per decenni del vino regionale friulano sui mercati internazionali. Un brand che oggi rinasce. A riportarlo in vita, con una nuova grafica, moderna ma fedele alle radici territoriali, è la cantina La Delizia di Casarsa, che nel 2011 con l’allora presidente Denis Ius, attuale vicepresidente, mise in sicurezza uno dei patrimoni vitivinicoli del Friuli Venezia Giulia a “rischio” in seguito al fallimento dell’azienda con sede a Orcenico Inferiore di Zoppola. Un progetto che s’inserisce ora nel lancio della nuova Doc unica del Friuli. “Friulvini – ricorda Ius, insieme all’attuale presidente Flavio Bellomo – è un marchio strategico perché l’unico regolarmente registrato che riporta nel suo nome l’unione tra Friuli e vino, condizione molto apprezzata soprattutto sui mercati esteri dove la provenienza territoriale e’ un plus commerciale. L’operazione che abbiamo compiuto nel 2011 ha evitato che il marchio divenisse proprietà di realtà provenienti da fuori il Friuli Venezia Giulia, tutelando un patrimonio d’immagine che appartiene a tutti i friulani”. “Ora – prosegue Ius – siamo pronti per rilanciare questo marchio anche nell’ottica di sviluppo della nuova Doc unica del Friuli, che vede ancora una volta Casarsa quale leader del sistema vitivinicolo regionale”.

LE NOVITA’
Il ritorno alle vendite di Friulvini coincide con una nuova grafica, in cui l’aquila – simbolo del Friuli – sara’ ancora sulle etichette ma in una versione moderna e stilizzata. Tra i vini che saranno commercializzati il Prosecco – alla cui coltura la cantina aprì intelligentemente proprio sotto la presidenza di Ius – Pinot grigio e Ribolla Gialla, ovvero quelli che in questi ultimi anni hanno visto una netta ascesa nelle preferenze dei consumatori. Ma è l’intera Friulvini, che prima del fallimento nei primi anni 2000 era una delle realtà più grandi d’Italia, a essere al centro di un progetto globale di sviluppo da parte della cantina casarsese, che ha rilevato recentemente pure l’ex area produttiva nella quale stanno fervendo i lavori di ammodernamento. “Una superficie di 11 mila metri quadri – concludono Bellomo e Ius – per la quale investiremo 10 milioni di euro e che sarà utilizzata già a partire dalla vendemmia 2016, per la vinificazione e lo stoccaggio di 90 mila ettolitri da uve di Pinot Grigio e Prosecco: sta nascendo cosi’ il più grande polo vitivinicolo del Friuli Venezia Giulia. Simbolo di un settore, quello agricolo, che partendo dalle proprie radici sa guardare al futuro da protagonista su tutti i mercati, nazionali e internazionali”.

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