Dopo il restyling delle etichette, la nuova cantina che punta tutto (o quasi) sulla Ribolla Gialla. Sarà inaugurata venerdì prossimo, 1 settembre, l’azienda agricola Tenimenti Civa di Bellazoia di Povoletto, in provincia di Udine.
Una tenuta di 43 ettari vitati, suddivisi tra Bellazoia, Povoletto, Ravosa, San Giovanni al Natisone e Manzano, nella quale la Ribolla Gialla avrà sempre più spazio. E non a caso. Secondo l’indagine di Coldiretti presentata al Vinitaly 2016, il vitigno friulano è quello che ha subito il maggior incremento nelle vendite tra i vini al supermercato (31%), seguito dalla Passerina delle Marche (24%) e dal Valpolicella Ripasso del Veneto (23%).
IL PROGETTO Al titolare parmense Valerio Civa – già fondatore di Effe.ci Parma – piace definirlo “un progetto agricolo per la grande distribuzione”. Nato attorno al 2014 con il curioso nome “Jean Paul Roble” in etichetta, viene poi corretto il tiro per la vendemmia 2016. Un cambio d’immagine dovuto alle numerose critiche ricevute nel Collio, per la scarsa rappresentatività territoriale del nome francese.
La scritta “Tenimenti Civa”, di fatto, è oggi in bella evidenza sulle nuove label dei vini friulani della tenuta, distribuiti massicciamente da Auchan e Iper Coop. Prodotti che è facile reperire in promozione nelle due catene della grande distribuzione.
I “friulani per la Gdo” di Tenimenti Civa “sono ottenuti esclusivamente da uve della tenuta e di piccole realtà agricole locali costantemente monitorate”. “L’obiettivo – evidenzia la cantina in una nota – è garantire una qualità medio alta dei vini, destinati a un pubblico ampio di consumatori, distribuiti attraverso la grande distribuzione organizzata (Gdo), sempre più attenta alla soddisfazione dei propri clienti che puntano non solo alla qualità di ciò che acquistano, ma anche alla tracciabilità dei prodotti”.
RIBOLLA SUPERSTAR L’attenzione è rivolta in particolare ai vitigni autoctoni: Ribolla gialla, Friulano (un tempo Tocai), Refosco dal peduncolo rosso, Schioppettino. Oltre a queste varietà, Tenimenti Civa alleva Sauvignon, Pinot grigio, Chardonnay, Glera, Cabernet e Merlot. Il 75% della produzione è rivolta ai vini bianchi. Tra questi è la Ribolla gialla a occupare il posto d’onore.
Tra Manzano e San Giovanni al Natisone è stato realizzato un podere di circa 10 ettari dedicato a questa varietà, unico per dimensioni sui Colli Orientali del Friuli, destinato a diventare di 30 ettari in un prossimo futuro. “Il controllo dell’intera filiera produttiva risulta in questo modo semplificato – riferisce la cantina – a garanzia della qualità del prodotto finale”. Altri 2 ettari sono stati piantati di recente a Bellazoia.
Nella nuova cantina vengono vinificate tutte le uve, soprattutto in acciaio. La cantina ospita 78 vasche termo-condizionate per una capacità complessiva di 7 mila ettolitri hl. Nel 2017 sono state acquistate 4 autoclavi da 60 ettolitri per spumantizzare la Ribolla gialla. Tenimenti Civa utilizza tini in legno e barrique solo per alcune selezioni di vini.
Tutti i vini sono prodotti sotto la denominazione d’origine Friuli Colli Orientali e la più recente Doc Friuli. La filosofia produttiva è sintetizzata nel logo 8515 (un tempo preceduto dalla scritta “Jean Paul Roble”) riportato sulle etichette dei vini, che riflettono per l’85% il vitigno della Doc, “mentre il 15% – spiega la cantina – è rappresentato dalle migliori varietà della proprietà”.
Nel 2016 sono state prodotte complessivamente 350 mila bottiglie. Con la Ribolla gialla viene realizzato il vino fermo e lo spumante, nelle versioni extra brut e dry, che verrà presentato il 1° settembre in occasione dell’inaugurazione ufficiale della Tenimenti Civa.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
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Estate in forte ascesa per il Bardolino Chiaretto. I dati ufficiali degli imbottigliamenti indicano a fine luglio vendite di Chiaretto pari a 48.976 ettolitri, che corrispondono a più di 6 milioni e mezzo di bottiglie collocate sul mercato, con un incremento del 12,7% su luglio 2016.
Con questa performance il Chiaretto ha raggiunto un peso del 40% sul totale dei vini prodotti nella denominazione del Bardolino (era intorno al 25% dieci anni fa).
Quella che andrà ad iniziare a settembre sarà l’ultima vendemmia che vede il Chiaretto dentro alla denominazione di origine del Bardolino, in quanto con la vendemmia del 2018 il rosé gardesano disporrà della propria doc autonoma Chiaretto di Bardolino.
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Sono circa 74 le Docg e 333 le Doc che si spartiscono le quote dell’export italiano. In occasione di ProWein, la più grande fiera di vini e liquori del mondo, alle 400 denominazioni nostrane già esistenti se ne aggiungerà una nuova: il Grechetto, varietà bianca autoctona tra le più diffuse in Umbria, è stata introdotta a seguito delle recenti modifiche al disciplinare da parte del Consorzio Tutela Vini Montefalco tra le tipologie della denominazione Montefalco DOC. “L’inserimento della Montefalco Grechetto Doc apporta così ai bianchi della denominazione una connotazione territoriale più riconoscibile”, spiega il Consorzio.
Il battesimo della nuova tipologia enologica sul mercato tedesco è motivata dai recenti trend presentati dal Deutsches Weininstitut, che vedono i consumatori tedeschi muoversi lentamente verso i vini bianchi (nel 2015 il consumo totale di vino è 50% rosso, 40% bianco e 10% rosato). ProWein, dunque, rappresenterà un importante banco di prova anche per il rinnovato Montefalco Bianco DOC che abbandona nell’uvaggio il Trebbiano Toscano in favore del Trebbiano Spoletino, più qualitativo e dotato di caratteristiche intrinseche superiori agli altri trebbiani.
IL MERCATO TEDESCO
La Germania costituisce, ad oggi, il 12% della quota totale di export per i vini di Montefalco ed orienta il fatturato verso l’estero del 60% delle aziende vinicole del territorio. Nel 2016, l’Umbria è stata una delle prime quattro regioni (dopo Liguria, Puglia e Valle d’Aosta) con crescita più vivace in termini di vendita di prodotti vinicoli all’estero (+11,6%). Una crescita che fa salire il valore dell’export italiano di circa 25milioni di euro. Il 16,7% della produzione di vino in Umbria è rappresentato dai vini di Montefalco: nello specifico il 6,3% dal Montefalco Sagrantino Docg e il 10,4% dal Montefalco Doc.
L’ultimo decennio ha segnato una importante crescita per le denominazioni montefalchesi. La superficie di vigneto iscritta a Docg è quintuplicata (da 122 a circa 610 ettari), sono state costruite oltre trenta nuove cantine e la produzione del Sagrantino è quadruplicata, passando da 660 mila a circa 2,5 milioni di bottiglie.
PROWEIN PRIMA DI VINITALY
“Questi dati non riescono pienamente a restituire la percezione del lavoro lungo e scrupoloso che è stato fatto negli ultimi dieci anni e che ha condotto lo scenario montefalchese a un rinnovamento totale – spiega Amilcare Pambuffetti, Presidente del Consorzio Tutela Vini Montefalco -. Oggi, il nostro territorio punta in alto con grande consapevolezza e sono fortemente convinto che i 25 anni della Docg Montefalco Sagrantino, denominazione identitaria della nostra produzione, saranno di buon auspicio per affermare la nostra autenticità”.
Entrambe le denominazioni, Montefalco Grechetto Doc e Montefalco Bianco Doc saranno in degustazione anche per l’imminente appuntamento con Vinitaly.
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Un “millesimo” di qualità medio alta. E’ quella che devono aspettarsi winelovers e professionisti all’Anteprima Amarone 2013, dal 28 al 30 gennaio al Palazzo della Gran Guardia a Verona. L’evento, organizzato dal Consorzio per la Tutela dei Vini Valpolicella, presenta l’annata del grande rosso veronese, appena entrata in commercio.
Si tratta del millesimo 2013 che la commissione del Consorzio, riunita poche settimane fa per tracciarne il profilo e il valore, ha definito appunto di qualità medio-alta.
Accanto alla 2013 le cantine partecipanti, che sono 78 per oltre 150 etichette da degustare, presenteranno anche alcune annate precedenti: un’opportunità per godere di vini che l’affinamento ha reso ancor più interessanti. Diverse le novità di quest’anno, a partire dal debutto del calice “istituzionale” in cui sarà versato il prezioso Amarone. Una commissione di esperti, infatti, ha selezionato un modello della VDglass che ne esalta l’espressione.
IL PROGRAMMA
Domenica 29 gennaio l’Anteprima Amarone accoglierà, dalle 10 alle 19, i wine lover che già numerosi stanno acquistando l’ingresso on line. Gli appassionati potranno deliziarsi accompagnando l’Amarone, protagonista della manifestazione, con gli assaggi gastronomici proposti dal Ristorante Nicolis e le creazioni della Pasticceria Perbellini.
Per la prima volta nella storia dell’Anteprima Amarone, ci sarà una terza giornata – lunedì 30 gennaio dalle 10 alle 17 – interamente dedicata ai professionisti di settore, che potranno così con calma degustare i vini e parlare d’affari con i produttori.
LE NOVITA’ Altre novità riguardano la giornata inaugurale dedicata esclusivamente alla stampa. Sabato 28 gennaio è in programma un talk show in cui il critico d’arte Philippe Daverio e il giornalista e scrittore appassionato di vino Andrea Scanzi (nella foto) dialogheranno sul parallelo, forse un poco spericolato e probabilmente divertente, tra le opere d’arte, icone di stile senza tempo la cui fruizione crea anche un indotto economico, e l’Amarone.
Il Grande Rosso della Valpolicella, infatti, nell’immaginario collettivo è già un’icona di stile enologico, viste le sue peculiarità legate all’originalità dei vitigni autoctoni da cui si ottiene, al metodo e al territorio di produzione. Un territorio che, a giudicare dai numeri, interessa sempre più i turisti che ricercano la qualità del vino nel paesaggio e nell’attenzione all’ambiente, che in Valpolicella sono tutelati grazie alla certificazione “Riduci Risparmia Rispetta” del Consorzio per la Tutela dei Vini Valpolicella.
I DATI
Diversamente dal solito, gli approfondimenti sulla denominazione – come la ricerca dell’Osservatorio Vini Valpolicella a cura di Wine Monitor di Nomisma sull’Amarone nel mercato Usa, i dati sui flussi turistici in Valpolicella, l’aggiornamento sul protocollo “Riduci Risparmia Rispetta” e gli stessi dettagli relativi all’annata – non saranno presentati diffusamente, ma dettagliati nella cartella stampa, ferma restando la disponibilità, per chi lo volesse, di approfondire i diversi argomenti con i responsabili del Consorzio e con gli esperti, quali Denis Pantini di Nomisma, Diego Tomasi del Crea Viticoltura ed Enologia di Conegliano e Renzo Caobelli consulente agronomico del Consorzio Valpolicella.
Una scelta questa che punta “a non sottrarre tempo alle degustazioni e al contatto con i produttori”. La degustazione nelle sale riservate alla sola stampa con servizio sommelier sarà disponibile, infatti, dall’apertura alle 9,30 fino alle 17.
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“Scandalo epocale in grande distribuzione: gli spumanti Ferrari in promozione a 10 euro”. Ogni anno, di questi tempi, i soloni del vino italiano si svegliano dal letargo. E pontificano. Postando tarantiniane fotografie di supermercati. Immagini crude, da censura. Che mostrano sanguinolente scene del crimine: gli eleganti “astucciati” della nota casa spumantistica trentina, in promozione. Che shock. Roba pulp. Per cuori forti. Scene da vietare ai minori.
Almeno quanto i commenti che seguono le immagini. Teatro dello scandalo sono i vari gruppi di discussione creati su quei moderni bar e osterie che solo gli “studiati” chiamano “social network”. “Sarà qualche bancale dimenticato in cantina, ossidato naturalmente”, sostiene baldo, il più intelligente. “Soprattutto in vista del Natale, se non se lo compra nessuno, mi sa che fanno prima ad abbassare la serranda”, ribatte un altro analista di microparticelle atomiche.
“Ferrari vale dalla Linea Maximum in su, quella è gassosa”, chiosa il milionario che fa colazione con i Tarallucci della Mulino Bianco (oggi senza olio di palma, se vi fosse sfuggito) pucciati nel Dom Pérignon, appena sciabolato. E così via. Per sfortuna loro, qualcuno prova a farli ragionare, anche in osteria. Pardon, sui social network. Ma chi, meglio di Massimiliano Capogrosso, Direttore commerciale di Ferrari Trento, può mettere i puntini sulle “i” sull’eno-cinepanettone che ogni anno, sotto Natale, va in onda sui social?
Veronese, quarantanove anni, una passione per il mondo vinicolo che ha segnato anche la sua carriera. Capogrosso proviene infatti da altre importanti realtà venete del settore, prima Valdo e poi Bertani. E’ approdato alle Cantine Ferrari dieci anni fa, per ricoprire il ruolo di Direttore vendite. Maturando col passare del tempo un’esperienza che, un anno fa, ha convinto la Famiglia Lunelli a nominarlo Direttore commerciale.
Dieci domande, dieci, quelle che gli rivolgiamo. Domande a cui Capogrosso risponde con dovizia di particolari. Dimostrando che per Ferrari – al contrario di molti altri “big” – la Gdo, è tutt’altro che un tabù.
1) Ferrari in Gdo: perché? Da quando? Ferrari è il brindisi italiano per eccellenza, da sempre celebra appuntamenti istituzionali, sportivi e culturali tra più importanti del nostro Paese, così come i momenti più belli della vita di molti italiani. Vogliamo dunque che possa essere acquistato sia nel canale moderno che in quello tradizionale. E’ sempre stato così e ancora oggi l’azienda si impegna per dare a entrambi i canali distributivi la stessa importanza.
2) La gestione del “prezzo promo”: viene concordato di anno in anno con le varie catene, oppure si tratta di un’attività che prescinde dai contratti, gestita autonomamente dalle insegne?
Il Ferrari è uno di quei prodotti immancabili sulle tavole degli italiani durante le ricorrenze e spesso, dunque, viene utilizzato come “prodotto civetta”. E’ una scelta autonoma di ogni catena, che decide di impostare la propria campagna promozionale come ritiene più giusto per la sua clientela, a cui, in questo modo, può offrire un prodotto di altissima qualità a un prezzo davvero vantaggioso.
3) I volumi di Ferrari in Gdo In Italia la nostra presenza si distribuisce in egual misura tra Gdo e Horeca. Si tratta di due mondi diversi, ma per noi ugualmente importanti, con logiche di vendita differenti tra loro.
4) In Gdo quale “tipologia” di prodotti Ferrari? Provocazione: quelli di “serie b”? La regola imprescindibile di Casa Ferrari è quella di produrre solo prodotti di eccellenza, pertanto non parlerei assolutamente di prodotto di serie A e serie B. Basti pensare che la nostra referenza più classica, il Ferrari Brut Trentodoc è stato nominato recentemente “Miglior Blanc des Blancs al Mondo” a una competizione internazionale, tra le più importanti al mondo, dedicata solo alle bollicine: The Champagne&Sparkling Wine World Championships.
5) Ma le critiche arrivano sempre, puntuali e monocordi Come ricordavo prima, Ferrari è un prodotto leader di mercato, che spesso dunque le catene della Grande Distribuzione utilizzano per attirare il consumatore. Sicuramente quello natalizio è il periodo più “sfruttato” per questo genere di promozioni, ma non possiamo che vedere queste operazioni come un indicatore dell’importanza del nostro marchio.
6) Ferrari intende proseguire il rapporto con la Gdo, intensificarlo/allentare la presa? La politica commerciale delle Cantine Ferrari sarà quella di continuare a seguire con attenzione e uguale dedizione sia il canale Gdo sia il canale Horeca, in quanto riteniamo che entrambi siano fondamentali per il successo del nostro Gruppo.
7) Il ruolo di Ferrari nel panorama delle “bollicine” italiane ed europee Ferrari è leader del mercato delle bollicine in Italia, con 4,5 milioni di bottiglie vendute all’anno e un incremento a doppia cifra dal 2015. All’estero continuiamo a crescere da anni e senza dubbio questo ultimo dato è indicatore anche dell’incredibile incremento della notorietà e dei volumi di vendita delle bollicine italiane nel mondo. Il Trentodoc, la prima Doc nata in Italia esclusivamente per il Metodo Classico, rappresenta il 35% della produzione nazionale di questa tipologia di bollicine e può vantare la propensione all’export più elevata, il 22% ( dati 2015 dell’Osservatorio Trentodoc). Ferrari è certamente trainante nell’accrescere a livello internazionale la conoscenza di queste straordinarie “bollicine di montagna”, che nascono più di un secolo fa proprio dall’intuizione di Giulio Ferrari.
8) Ferrari in Gdo anche con vini rossi fermi: una panoramica dei prodotti “collaterali” alle bollicine E’ un’importante conferma che stiamo percorrendo la strada giusta. È opportuna però in questo caso una precisazione: i vini fermi trentini, toscani e umbri, non sono Ferrari (marchio dedicato esclusivamente alle bollicine Trentodoc), ma vanno sotto il marchio collettivo Tenute Lunelli. Si tratta comunque di un numero ridotto di bottiglie, il cui canale di distribuzione preferenziale è quello delle enoteche e dei ristoranti d’eccellenza, anche se può capitare di trovare alcune referenze in GDO.
9) Se la sente di dare qualche consiglio all’Oltrepò Pavese, patria del Pinot Nero, che prova faticosamente ad affermarsi e a diventare “grande”?
L’Oltrepò Pavese non ha sicuramente bisogno dei miei consigli, è un territorio di eccellenza e patria di grandi vini, ha solo bisogno di esprimere al meglio la sua personalità. Ogni territorio vocato alla produzione di vino ha delle caratteristiche uniche e irripetibili e proprio su queste credo sia necessario puntare: è la varietà la vera bellezza del nostro Paese.
10) Cosa beve a tavola, tutti i giorni, il direttore commerciale di Ferrari? Acquista vino al supermercato Personalmente acquisto vini anche al supermercato, spesso mi capita di acquistare persino il Ferrari, quando non mi trovo a Trento. Per una cena tra amici amo portare il Ferrari Demi-Sec, la nostra bollicina più amabile e dalla marcata rotondità: il Trentodoc perfetto per esaltare il fine pasto, dal dolce alla frutta. (foto gallery Archivio Fotografico Cantine Ferrari)
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
La Gran Bretagna è diventata nel 2016 il primo mercato mondiale di sbocco delle spumante italiano, con le bottiglie esportate che hanno fatto registrare un aumento record del 38% nel primo trimestre consentendo il sorpasso sugli Stati Uniti. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti sugli effetti della Brexit che costringerà gli inglesi a cambiare la propria alimentazione sostituendo il banale formaggio cheddar al parmigiano o brindando con la birra invece che con il prosecco, sulla base dei dati relativi al primo trimestre 2016.
In Gran Bretagna, sottolinea la Coldiretti, sono spedite il 30% delle bottiglie di spumante esportate, in pratica quasi 1 su 3. La Gran Bretagna è il quarto sbocco estero dei prodotti agroalimentari nazionali Made in Italy con un valore annuale di ben 3,2 miliardi delle importazioni dall’Italia ed una tendenza progressiva all’aumento. La voce più importante – sottolinea la Coldiretti – è rappresentata dal vino, con un valore di 746 milioni di euro di esportazioni nel 2015 e un trend in ulteriore aumento del 7% su base annuale nel primo trimestre del 2016. A trainare il comparto è soprattutto lo spumante ed in particolare il prosecco con una quota 275 milioni di euro di export frutto di un vero boom.
Una “corsa” che, precisa la Coldiretti, prosegue nel 2016, con un ulteriore balzo in avanti del 55 per cento. Al secondo posto tra i prodotti agroalimentari italiani più venduti c’è – sostiene la Coldiretti – la pasta, per un importo complessivo di vendite nel 2015 di 332 milioni di euro. Rilevante anche il ruolo dell’ortofrutta con un valore delle esportazioni di 281 milioni di euro nel 2015, in aumento del 6% nel primo trimestre del 2016. Ma anche i formaggi Made in Italy vanno forte in UK con un valore delle vendite nel 2015 che, continua la Coldiretti, ha visto superare quota 200 milioni di euro con un aumento del 15% nel primo trimestre del 2016.
Oltre un terzo delle vendite di formaggi è rappresentato da Parmigiano Reggiano e Grana Padano, che all’inizio di quest’anno hanno fatto segnare un incremento del 10 per cento, ma va forte anche la mozzarella di bufala campana. L’export di olio d’oliva è stato nel 2015 di 57 milioni di euro con un aumenta del 14% nel 2016. A preoccupare – conclude la Coldiretti – non è solo la svalutazione della sterlina che rende piu’ oneroso l’acquisto di prodotti Made in Italy ma anche il rischio che con l’uscita dall’Unione Europea si affermi in Gran Bretagna una legislazione sfavorevole all’esportazione agroalimentari italiane.
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E’ reale: la Fortezza di Montepulciano, storico edificio simbolo della città, è rinata completamente grazie all’impegno dei produttori di Vino Nobile di Montepulciano. Con il taglio del nastro di ieri per l’inaugurazione dell’Enoliteca del Consorzio e della nuova sede degli uffici consortili, l’edificio ha raggiunto il suo completo restauro ed è stato restituito completamente alla cittadinanza per essere sede ideale per mostre, eventi culturali, meeting di vario genere. “Un’opera che ha visto l’unanime adesione dei produttori di Vino Nobile – spiega il Presidente del Consorzio, Andrea Natalini – che in questi anni hanno di tasca propria investito in questa struttura continuando quel percorso di attenzione e sostenibilità per il territorio, per la sua storia e per la città di Montepulciano, che è il nostro valore aggiunto”.
“Il Consorzio del Vino Nobile – continua Natalini – ha sempre avuto un ruolo attivo nella tutela del patrimonio storico-artistico di Montepulciano. L’esempio più evidente di questo impegno, a cui i produttori associati sono stati invitati a partecipare dall’Amministrazione comunale insieme ad altri partner Istituzionali e privati, è la Fortezza, edificio di antichissime origini, la cui esistenza è già documentata addirittura nell’VIII secolo. Dai primi anni 2000, la Fortezza ha ospitato l’Anteprima del Vino Nobile; poi, nel 2007, è stato avviato un imponente progetto di restauro destinato a fare della struttura il punto di riferimento delle attività economiche del territorio nel settore vinicolo e delle produzioni tipiche e di qualità”.
Ieri, 8 ottobre 2016, in occasione dei festeggiamenti della Doc, è stata anche segnata la conclusione dei lavori in Fortezza, con il compimento della parte destinata all’Enoliteca e agli uffici del Consorzio. A quest’ultimo intervento, che ha riguardato il completamento del piano terra e la ristrutturazione del primo piano, il Consorzio del Vino Nobile ha contribuito in maniera consistente, insieme alla Kennesaw University della Georgia (USA) – che qui ha istituito la sua unica sede all’estero – e al Comune, per arrivare ad un totale di circa 1 milione e mezzo di euro. Complessivamente, la ristrutturazione della Fortezza, che ha visto il Consorzio impegnarsi anche nei due precedenti stralci, ha avuto una consistenza di quasi 3 milioni di euro, derivati anche da Fondi Regionali, Risorse CIPE e contributi GAL LEADER.
LE CELEBRAZIONI L’occasione è stata data dalle celebrazioni per i 50 anni dall’ottenimento della Doc, prima in Italia, del Vino Nobile che per tutta la settimana hanno visto in festa l’intera città e che si sono concluse con il concerto di Omar Pedrini, ex cantante dei Timoria e grande amico del Nobile, proprio in Fortezza. Con un convegno celebrativo al Teatro Poliziano, al quale hanno partecipato numerose autorità, si sono ripercorsi i 50 anni che dal 1966 hanno fatto la storia di un vino che porta il suo territorio in tutto il mondo e che è un fortissimo traino per il turismo di qualità. Durante la mattinata si è esibita in via eccezionale la Divinorchestra condotta dal Maestro Luciano Garosi che ha eseguito l’Inno del Vino Nobile di Montepulciano scritto proprio dal Maestro dell’orchestra poliziana con il testo di Alamanno Contucci. Un’emozione unica che ha accompagnato prima al Teatro Poliziano, poi in Fortezza, prima del taglio del nastro.
IL PATRIMONIO DEL NOBILE
Cinquecento milioni di euro. E’ questa la cifra che quantifica il Vino Nobile di Montepulciano tra valori patrimoniali, fatturato e produzione. Nello specifico in oltre 200 milioni di euro è stimato il valore patrimoniale delle aziende agricole che producono Vino Nobile, 150 milioni circa il valore patrimoniale dei vigneti (in media un ettaro vitato costa sui 150 mila euro) e 65 milioni di euro è valore medio annuo della produzione vitivinicola, senza contare che circa il 70% dell’economia locale è indotto diretto del vino. Una cifra importante per un territorio nel quale su 16.500 ettari di superficie comunale, 2.200 ettari sono vitati, ovvero il 16% circa del paesaggio comunale è caratterizzato dalla vite. A coltivare questi vigneti oltre 250 viticoltori (sono circa 90 gli imbottigliatori in tutto dei quali 76 associati al Consorzio dei produttori). Oltre mille i dipendenti fissi impiegati dal settore vino a Montepulciano, ai quali se ne aggiungono altrettanti stagionali. Nel 2015 sono state immesse nel mercato circa 7 milioni di bottiglie di Vino Nobile (in linea con l’anno precedente) e 2,8 milioni di Rosso di Montepulciano Doc
IL MERCATO In linea con gli ultimi anni, anche il 2015 si conferma anno dell’export con una quota destinata all’estero pari all’80 per cento di prodotto, mentre il restante 20% viene commercializzato in Italia. Per quanto riguarda il mercato nazionale le principali vendite sono registrate in Toscana per il 47%, dato al quale si aggiunge il 19 per cento delle vendite al Centro. Al Nord è stato venduto il 16% del totale, mentre è cresciuta del 4% toccando quota 17 per cento. Per quanto riguarda l’estero si assiste a una torta divisa a metà tra Europa e paesi extra Ue. La Germania torna a crescere del 3 per cento con il 46% per cento della quota esportazioni e resta il primo paese per le vendite del Nobile. Strepitosa performance anche per la Svizzera (+7%) che con il 17 per cento rappresenta un importante sbocco. Il dato più significativo arriva ancora una volta dagli Stati Uniti che segnano un + 10% nel 2015 arrivando a rappresentare il 20 per cento dell’export del Nobile. Successo anche per i mercati asiatici ed extra Ue con oltre il 7 per cento delle esportazioni.
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Centosessantadue vini degustati in diciotto differenti cantine, poste su un percorso di circa 250 chilometri. Sono i numeri più significativi del wine tour di vinialsupermercato.it in Svizzera, dal 24 al 30 luglio. Una settimana di peregrinazioni tra le splendide vie del “vino eroico” dei cantoni Valais (Vallese), Vaud e Geneve (Ginevra). Vigne a picco sul nulla, divise da cascate, costrette a fare i conti con il gelo invernale così come con il caldo torrido estivo. Vigne che costringono alla raccolta manuale delle uve. Vigne nelle quali i viticoltori locali vivono e, come successo a luglio a Fully, nei pressi di Sion, muoiono di lavoro. In due parole: viticoltura eroica. Ci hanno aperto le porte piccole realtà a conduzione famigliare, così come grandi gruppi cooperativi attenti più alla qualità che alla quantità del vino imbottigliato. E minuscole cantine, la cui produzione finisce – pressoché interamente – sulle tavole di lusso dei ristoranti stellati Michelin. Un tuffo in una realtà, quella del vino svizzero, a noi tanto vicina eppure ancora praticamente sconosciuta. Un wine tour che ci ha portato a toccare con mano la decrescita registrata per il secondo anno consecutivo, nel 2015, dai vini svizzeri nella Gdo (Coop Schweiz, Spar Handels, Volg per citarne alcuni, mentre Migros non vende alcolici). Una tendenza inversa al consumo di vini locali, in crescita dello 0,8%, come evidenzia una ricerca condotta da Philippe Delaquis per l’Osservatorio svizzero del mercato del vino (Osmv). Con i vini bianchi che restano i più venduti nei supermercati elvetici, mentre le vendite dei rossi Aoc (l’Appellation d’origine contrôlée che equivale alla Doc italiana) calano del 13%, a fronte di un aumento dell’1,8% del consumo di vino rosso svizzero. Sta pagando, insomma, il tentativo di recupero dei vitigni autoctoni svizzeri condotto da diverse cantine visitate. Oltre alla valorizzazione di uvaggi prima destinati alla sola produzione di vino sfuso o da “da tavola”.
“Visto le scarse riserve a disposizione e le incertezze legate al franco forte – evidenzia Philippe Delaquis in una nota dell’Osmv – il vino svizzero oggi cerca un’alternativa alla grande distribuzione. Per questa ragione l’Osmv, dal primo aprile 2016 ha deciso di raccogliere anche i dati presso i produttori, le cantine e di stimare ogni tre mesi, anche attraverso la Mercuriale, le tendenze di consumo. Questi dati esistono dal 2012 per i vini del cantone Vaud, ma l’Osservatorio intende ora estendere questa raccolta a tutte e 6 le regioni vitivinicole svizzere”. In generale, i vini importati provengono dall’Italia (71 milioni di litri), seguita dalla Francia (circa 40 milioni di litri) e dalla Spagna (circa 37 milioni di litri). Dal Portogallo sono stati importati circa 11 milioni di litri di vino. Se paragonate alle importazioni, le esportazioni risultano modeste: 227.500 litri in meno rispetto al 2014. Complessivamente, nel 2015 il volume d’esportazione è stato a 1,3 milioni di litri, cifra che comprende anche i vini esteri importati e riesportati, come evidenzia in una nota l’Ufag, Ufficio Federale dell’Agricoltura Svizzera. Una vendemmia non eccezionale in termini di quantità, quella del 2015: 85 i milioni di litri prodotti. Ma ottima dal punto di vista qualitativo. I giorni di sole sono stati molti. Ed è così che, tra le cantine, abbiamo potuto degustare uno straordinario vino bianco biologico senza solfiti a 15,5%. Proprio sul grado zuccherino, in particolare sulla possibilità di estendere ai vini Aoc l’autorizzazione di introdurre artificialmente zucchero, è in corso in Svizzera una battaglia tra piccoli viticoltori e grandi gruppi, a colpi di carte bollate presso i rispettivi governi federali.
ST JODERN KELLEREI, VISPERTERMINEN (VALAIS) Quale posto migliore per iniziare il wine tour se non i vigneti della St Jodern Kellerei, considerati tra i più alti d’Europa? Siamo a Visperterminen, piccolo Comune di 1.500 anime arroccato sui monti a sud del Rodano (Rhone). La zona meridionale dell’imponente corso d’acqua – che nasce in Svizzera e si spegne nel Mediterraneo, dopo aver attraversato il Sud della Francia – è considerata quella sfavorevole per la viticoltura vallese (5.100 ettari totali). Ma l’esposizione a Sud dei circa 50 ettari di vigneti della St Jodern Kellerei – cifra che si raggiunge sommando una miriade di piccoli appezzamenti di terreno, appartenenti ad appassionati abitanti del posto – costituisce un miracolo della natura che, assieme allo straordinario terroir, contribuisce a rendere magici i vini. Un’area vitivinicola che, di per sé, meriterebbe il riconoscimento di quella che in Italia è la Docg. I terreni, composti prevalentemente da sabbia, ardesia e argilla, sottendono al clima secco di una vallata che è la meno piovosa dell’intera Svizzera. Fendant, Johannisberg (Sylvaner), Gewurztraminer, Resi (Rèze), Pinot Nero, Gamay, Gamare e Syrah i vitigni allevati. Ma a farla da padrona, con circa un terzo delle bottiglie prodotte (100 delle 450 mila totali) è certamente l’Heida (Savagnin Blanc), il “vino delle Alpi”. All’enologo di formazione italiana Michael Hock (nella foto), 34 anni, il compito di fare gli onori di casa. “St Jodern Kellerei – spiega – è una cooperativa completamente differente rispetto al concetto di cooperativa italiana nel ramo del vino. Quando sono venuto via dall’Italia, dove in seguito agli studi presso l’Università di Torino ho lavorato per la Vignaioli Piemontesi, ho portato qui l’expertise acquisita. Ma sono rimasto sconvolto, positivamente, dall’attaccamento alla terra di ognuna delle famiglie che conferiscono le proprie uve a questa cantina. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone che svolgono prevalentemente altri lavori, ma che comunque amano a tal punto le loro viti da trattarle come figlie. Il 99% di quello che conferiscono al momento della vendemmia, che qui si svolge manualmente, approssimativamente dal 25 settembre al 7 novembre, è letteralmente perfetto dal punto di vista fitosanitario: un sinonimo della gioia della tradizione e della voglia di portare avanti con successo il frutto delle terre ereditate di generazione in generazione”.
L’enologo Michael Hock ci ha messo comunque del suo, trasformando la St Jodern Kellerei in una cantina vocata alla produzione di vini veri, originali, tradizionali. Vini che parlano del terroir, del microclima di Visperterminen. E che esprimono al meglio l’unicità del vitigno, non solo nel caso di autoctoni superlativi come il Resi, da cui St Jodern ottiene meno di 2 mila bottiglie l’anno, di cui tre quarti già venduti prima della vendemmia. Il giro d’affari della cooperativa si aggira sui 4,5 milioni di euro, con una fetta del 40% proveniente dal canale Horeca (ristorazione) e dalle enoteche. Quarantamila bottiglie all’anno finiscono poi sugli scaffali della Gdo, in cui è Coop a farla da padrona con la sua linea “Pro montagna” (4 i vini St Jodern presenti in assortimento). Numeri raggiunti “nel rispetto totale delle famiglie conferitrici – spiega Hock -. Basti pensare che paghiamo un quintale di Heida più di quanto venga pagato un quintale di Nebbiolo destinato alla produzione del Barolo, assicurando circa 7,50 franchi al Kg, ovvero più di 6 euro”.
ST JODERN KELLEREI – BEST WINES Heida Veritas 2013, 14,5% – Vino bianco ottenuto da vite a piede franco centenaria, che genera acini e grappoli minuscoli. Garantita così la letterale esplosione della tipicità del vitigno. St Jodern affina in giare di terracotta questo vino, per mantenere ulteriormente intatte le caratteristiche dell’uva. Di un bel giallo carico, al naso evidenzia note floreali fresche e fruttate (albicocca). Annuncia già all’olfatto una mineralità che ritroveremo anche al palato, sotto forma di una sapidità di rara pregevolezza. Vino di grande persistenza. Fuori dalle righe, un fuoriclasse.
Pinot Nero 2015, 13,8% – Affina in acciaio questo Pinot Nero St Jodern, cui viene aggiunta una percettibile quantità di Gamay, che solitamente si aggira attorno all’8-10%. Bel rosso rubino brillante, regala un naso tutta frutta e mineralità. E’ questo, insomma, il filo conduttore dei vini St Jodern. La centralità del frutto (bacche rosse, canoniche) anche al palato gioca sinuosamente con una pregevole sapidità. Tannino piuttosto leggero, ma non siamo certo nell’area dei Pinot Nero di Salgesh. Un vino di montagna, naturale, non costruito. Da apprezzare per la verità territoriale che racconta. E per la sfida che rappresenta per St Jodern, nel futuro: migliorare ulteriormente la produzione dei rossi, portandoli ai livelli straordinari dei bianchi di casa Visperterminen.
ALBERT MATHIER ET FILS, SALGESCH (VALAIS) Abbiamo nominato prima i Pinot Nero della zona più vocata, Salgesch. Ed eccoci dunque alla Albert Mathier et Fils, casa vinicola di grande tradizione nel Vallese, oggi guidata da Amédée Mathier, nipote del fondatore. A condurci nella visita della cantina e nella degustazione è Patrick Jost (nella foto). In un territorio dove il Pinot Nero è la “specialità della casa”, Mathier è riuscita a distinguersi con uno straordinario progetto: quello della vinificazione in anfore di terracotta interrate. Sul retro della cantina, infatti, si possono scorgere le cinque postazioni in cui si trova il vino. Ogni “kvevri” – questo il nome georgiano delle anfore, localmente ridefinite con l’onomatopea “tschatscha” – può contenere fino a 1800 litri. Si tratta di un blend tra Resi (Rèze) ed Ermitage (Marsanne) per il bianco (che in realtà assume il colore tipico degli orange wine dei nostri friulani Josko Gravner e Sasa Radikon), e di Syrah in purezza per il Vin D’Amphore Noir. Dopo la vinificazione in anfora, momento in cui risultano fondamentali i ripetuti batonnage, il vino affina in botti di acacia e ciliegio. Regalando agli intenditori dei nettari unici e rari, di grandissima complessità (64 euro il prezzo di una bottiglia). Vini ossidativi, dunque, di cui vengono prodotte solamente 800 “pezzi” per tipologia, ognuno dei quali ha contribuito a rendere famosa nel mondo questa cantina vallese. Trenta gli ettari di terreni vitati su cui può contare la Albert Mathier et Fils, con un potenziale annuo che si aggira attorno alle 500 mila bottiglie. Tutti vini di grande pulizia e perfezione enologica quelli di questa cantina di Salgesch, che tuttavia non lasciano l’impronta territoriale sperata. Il “plus” di questa winery è proprio quello offerto dalle giare, vero colpo di genio di Amédée Marhier, assieme al tentativo di sviluppare l’enoturismo realizzando un salotto esterno alla cantina, abbellito dalle opere di alcuni artisti locali, dove presto sarà possibile consumare al calice la produzione della cantina. Segnaliamo a questo proposito due vini.
ALBERT MATHIER ET FILS – BEST WINES Malvoisie Flétrie 2014, 14,2% – Pinot Grigio, vendemmia tardiva. Buon vino da dessert, in grado di accompagnare anche formaggi a pasta semidura. Bel corpo e persistenza, esprime una dolcezza pacata, non invadente. Gradevoli le note di albicocca e miele che accompagnano prima l’olfatto e poi il palato verso una buona persistenza retro olfattiva. Rhoneblut 2013 Vinum Lignum, 13,5% – Fa parte della gamma di vini affinati in legno questo Pinot Noir in purezza di casa Mathier. Fratello maggiore della versione base, per complessità ed eleganza. Pregevole tannino, note fruttate chiare e distinte. E una freschezza espressa da un’acidità spiccata: ottime le potenzialità di una lunga vita in bottiglia, in ascesa. Il fondatore della cantina ha voluto chiamare questa linea “Rhone-blut” per sottolineare il suo attaccamento alla terra d’origine: “Rhone” è il fiume Rosano, “blut” il sangue. “Scorre come un fiume il sangue in questo vino”.
CAVE DU RHODAN, SALGESCH (VALAIS) Il titolare della Cave du Rhodan è assente al momento del nostro arrivo e il personale presente non parla inglese. Veniamo comunque invitati alla degustazione dei vini di questa premiatissima cantina vallese, capace di aggiudicarsi riconoscimenti a livello internazionale. Semplice ed efficace la filosofia da queste parti: Sandra e Olivier Mounir producono “vino sostenibile da agricoltura sostenibile”. La produzione infatti si fregia della certificazione biodinamica.
CAVE DU RHODAN – BEST WINES Petite Arvine 2015, 13,5% – Medaglia d’argento al Decanter 2016, non a caso. Profumato di fiori e frutta fresca al naso, morbido e rotondo al palato, sfodera come d’improvviso, accendendosi d’un tratto, un corpo e una struttura inimmaginabili in precedenza. Note fruttate eleganti anche nel retro olfattivo, ottima la persistenza.
Merlot Barrique 2014, 14% – Naso di liquirizia che colpisce ancor prima d’averne scorto il colore nel calice, che si tinge d’un bel rosso rubino con riflessi granati. Ritroviamo la medesima piacevolezza e concentrazione delle tinte fruttate riscontrato in tutto il resto della produzione Cave Du Rhodan, evidentemente a premiare l’ottimo lavoro in vigna e una padronanza totale delle difficoltà intrinseche alla viticoltura biodinamica. Barrique presente, distinta nei sentori terziari conferiti al nettare. Ma utilizzata, anche questa, con grande garbo. Tannino elegante e ottima persistenza. Gran bel rosso. Da degustare, magari, anche tra qualche anno.
KREUZRITTER KELLEREI, SALGESCH (VALAIS) E’ il giovane Jonas Leo Cina (nella foto), quarta generazione di una famiglia di viticoltori dal cognome diffusissimo a Salgesch e nel Vallese, a condurci alla scoperta dei vini della Kreuzritter Kellerei di Unterdorfstrasse, 32. Duecentomila bottiglia prodotte annualmente, per una realtà che è sulla cresta dell’onda dal 1917. Che oggi può contare anche su un hotel, l’Arkanum, in cui è possibile dormire in letti ricavati da tonneau dismesse. L’hotel sorge proprio sulla vecchia cantina, che nel 1985 è stata abbandonata per far spazio all’innovativo progetto di accoglienza dei turisti. La produzione della Kreuzritter Kellerei è tutta interessante e Jonas non teme il confronto con gli altri 49 viticoltori del paese. Ma ha un sogno. “Vorrei che tutto il Vallese fosse più unito – commenta – come lo siamo noi qui a Salgesch: un paese di 1500 abitanti, con 50 cantine attive sul territorio! Nel villaggio accanto, dove si inizia a parlare francese al posto del tedesco, c’è molta gente gelosa del nostro terroir e del nostro clima. Vorrei che si capisse che abbiamo tutti gli stessi problemi, tutti le stesse difficoltà. Confido molto nel lavoro delle nuove generazioni in questo senso”. Due i vini della cantina Kreuzritter che ci sentiamo di consigliare: non a caso sono entrambi vini rossi.
KREUZRITTER KELLEREI – BEST WINES Salquenen Cuvée d’Amitié 2014, 13% – Il giovane Jonas Leo ha introdotto questa deliziosa Cuvée da qualche anno nell’assortimento della propria cantina. Un successo lampante: le 1.500 bottiglie prodotte annualmente finiscono subito sold out. Prenotate ancor prima di essere imbottigliate. Si tratta di un Cabernet Sauvignon affinato 6 mesi in barrique, dove trova compimento la stessa vinificazione. Lampone, ribes, cioccolato, tabacco dolce al naso. Una vena vegetale che richiama la foglia del pomodoro e il peperone. In bocca la frutta a bacca rossa. Ad anticipare una chiusura elegantemente speziata. Vino di grande longevità.
Pinot Noir Le Refuge 2014 – Nessun affinamento in barrique, invece, per questo pregevole Pinot Nero tutto frutta ed eleganza del tannino. Ci sorprende il colore, veramente troppo carico per un Pinot Noir. Finché Jonas Leo non dichiara la presenza di un 5% di Diolinoir, varietà autoctona spesso utilizzata nei blend vallesi per la massiccia presenza di antociani, composti responsabili del colore rosso del vino. Le Refuge rispecchia le caratteristiche peculiari del terroir, guadagnandosi un posto d’onore tra i Pinot Noir di Salgesch.
DOMAINES ROUVINEZ, SIERRE (VALAIS) “La passione per l’eccellenza”. Questo lo slogan della famiglia Rouvinez, capace di abbracciare 12 domini dislocati nel Vallese, per un totale di 87 ettari. Un’avventura che affonda le radici nel 1947 per volere del fondatore, Bernard Rouvinez, che oggi può contare sui figli Dominique e Jean-Bernard, entrambi enologi. “Ad ogni vino la sua terra migliore per esprimersi”, sintetizza l’ottima Yannick Poujol (nella foto), responsabile Accoglienza della cantina di Chemin des Bernadienes 45, Sierre. “Single grape from single domain“. E una blend line a completare l’offerta, tra cui spicca a livello di notorietà conquistata in Svizzera l’assemblaggio di Cornalin, Humane Rouge, Syrah e Pinot Noir: il corposo Le Tourmentin, che ha visto la luce nel 1983. Il tour si svolge in quella che è la cantina storica della famiglia Rouvinez, oggi casa eletta dei vini da affinamento in legno. Una nuova struttura è stata realizzata negli anni Novanta a Martigny, uno dei centri di interscambio commerciale principali per la sua posizione strategica tra il Vallese e il cantone Vaud. Seicentomila le bottiglie prodotte annualmente da Rouvinez. “Ognuna, a suo modo – evidenzia Yannick Poujol – è in grado di esprimere al meglio le peculiarità dei vitigni. Non a caso in Vallese, pur essendoci solo 500 ettari vitati, possiamo contare ben 10 terroir diversi. Ed è lì che coltiviamo le nostre uve, a un’altezza variabile tra i 400 e i 1000 metri d’altezza”. Di assoluta perfezione e pulizia enologica, ai Rouinez va riconosciuto il grande merito di portare nel calice le caratteristiche intrinseche del Vallese.
DOMAINES ROUVINEZ – BEST WINES Coeur de Domaine, 14,5% – Strepitoso blend ottenuto dall’assemblaggio di un 70% di Petite Arvine, un 20% di Heida e un 10% di Hermitage (Marsanne), provenienti da tre differenti domaine, tra i quali è stato selezionato accuratamente, acino per acino, il meglio della produzione. Lo suggerisce lo stesso nome di fantasia dato a questo bianco poderoso per struttura, ma tutt’altro che invadente nonostante l’alcolicità sostenuta. Sfodera sia al naso sia al palato note elegantissime di limone e frutta a polpa bianca, che impreziosiscono una beva di persistenza infinita: vino sinuoso, di grande complessità, robusto e allo stesso tempo delicato come una nuvola che ti s’infila nel palato. Compagno perfetto per una cena a base di pesce.
Merlot Bio 2014, 14% – Tra gli ottimi rossi di Rouvinez (avremmo potuto citare per esempio l’Humane Rouge 2014 o il Cornalin 2014, o lo stesso, ottimo, Le Tourmentin Valais Aoc 2013) scegliamo di premiare a pieni voti il Merlot biologico, vendemmia 2014: letteralmente da applausi. Per la perfezione delle distinte note fruttate. Per la pulizia dell’olfatto tutto. Per la perfetta armonia ed equilibrio tra il corpo “grasso” e l’alcolicità. Per il semplice fatto che fa sognare d’aver di fronte un piatto di carne succulenta. Da divorare tra un sorso e l’altro.
CHATEAU CONSTELLATION, SION (VALAIS) C’è anche spazio per un curioso tuffo nella cronaca giudiziaria elvetica in occasione del wine tour di vinialsupermercato.it in Svizzera. Ci imbattiamo casualmente in Chateau Constellation, cantina che non avevamo in programma di visitare. Impossibile non notare l’imponente struttura, costruita con le sembianze di un castello, che domina il panorama in direzione Nendaz. Scopriamo così che Chateau Constellation è il nome scelto dal principale azionista, Dominique Giroud, per la sua “riconsacrazione” nel mondo del vino elvetico, dopo le accuse per frode, falsificazione di merci e contraffazione che lo hanno visto al centro di uno scandalo senza pari, per presunti reati commessi a cavallo tra il 1997 e il 2013. La stampa svizzera ha rinominato la vicenda Affaire Giroud. Tra le accuse, anche quelle di aver tagliato del St Saphorine del Vaud (vino bianco pregiato, ricavato da una sottozona della Aoc Lavaux) con del Fendant del Vallese. All’epoca, l’imprenditore era titolare della Giroud Vin SA, che ha dichiarato la bancarotta. Tra i dipendenti in forza a Chateau Constellation, almeno un paio sono italiani. E dall’Italia provengono molti vini oggi in vendita nel sontuoso “salotto” borghese allestito a Sion da Dominique Giroud: perché è così che andrebbe definito il piano terra del “castello”, dove è sorta una vera e propria enoteca con spazio ristorazione (tavola fredda). E ai piani alti, sale per ricevimenti, matrimoni, occasioni speciali. Ovviamente all’insegna del lusso. Cordialissimo il personale che ci guida nella visita delle cantine e dell’immensa struttura. Nonché nella degustazione dei vini. Un po’ meno memorabile la preparazione enologica degli addetti, che forse da queste parti non deve contare più di tanto. Vini di puro commercio, di fatto, quelli che degustiamo a Constellation. Destinati ad accontentare – immaginiamo – palati internazionali radical chic, alla ricerca di curiosi “pezzi svizzeri” da aggiungere a una spocchiosa collezione di “vini dal mondo”. Vini, quelli di Chateau Constellation, che la catena di supermercati svizzeri Denner ha tolto dall’assortimento dei propri punti vendita, in seguito all’Affaire Giroud. Modalità Svizzera: on.
SELECTION EXCELSUS JEAN CLAUDE FAVRE, CHAMOSON (VALAIS) Dal vino come business, al vino come ragione di vita. Eccoci a Chamoson, nel nostro incedere dal Vallese verso il canton Vaud. Tappa imprescindibile del nostro wine tour, la cantina Selection Excelsus di Jean Claude Favre (nella foto). Personaggio istrionico, Jean Claude ha organizzato in ogni minimo dettaglio il nostro incontro. Con tanto di traduttori per colloquiare in lingua inglese. “I vini Selection Excelsus sono l’espressione fedele d’un terroir d’eccezione”. Così Jean Claude ci introduce idealmente nel suo regno di Chamoson, il Comune con la maggiore superficie vitata del Valais. Un territorio fortemente frammentato. I proprietari di vigneti sono circa 1200. E diversi appezzamenti sono di soli 100 metri quadrati. Un affare di cuore la viticoltura, da queste parti più che altrove. Una situazione simile solo a quella di Visperterminen. In questo puzzle, Selection Excelsus può contare su circa 6 ettari vitati (45 mila bottiglie). Tutti situati sulla conoide alluvionale che rende speciale – in termini di terroir – questo villaggio svizzero. Solo il 10% delle vigne di Chamoson si trovano infatti su terrazzamenti eroici. Eroica è stata invece l’impresa di Jean Claude Favre, che è riuscito a trasformare la cantina fondata nel 1980 dal padre (conferitore d’uve) in una delle più rinomate della Svizzera. Allargando il business a Paesi come Germania e Italia. Come? “La produzione – spiega l’eclettico vigneron – si basa principalmente sulla valorizzazione dei singoli vitigni. Solo due i blend: un bianco e un rosso, entrambi indicati col nome di fantasia ‘1955’, codice postale di Chamoson. Fondamentalmente faccio vini che piacciono a me. E’ questa la mia filosofia. E infatti, tra le varietà, è possibile riscontrare, oltre a quelle tipiche come il Johannisberg e il Fendant, anche il Pinot Blanc e il Pinot Gris: semplicemente perché li amo!”.
SELECTION EXCELSUS – BEST WINES Humagne Blanche 2014, 12,5% – Mineralità, frutto, utilizzo non invasivo della barrique. Che cosa manca a questo Humagne Blanche per essere definito perfetto? Niente. Ottenuto dalla più antica varietà di cui si abbia notizia Nel Vallese (“Registre d’Anniviers”, 1313), contiene molto più ferro rispetto agli altri vini. Tanto da essere soprannominato “vino della nascita”. Alle giovani donne che partoriscono negli ospedali vallesi ne viene tradizionalmente offerto un calice a scopo ricostituente. Riti e usanze a parte, quello di Selection Excelsus è un Humane Blanche eclettico, impreziosito dalla barrique e capace di accompagnare aperitivi, pesce e crostacei, dall’antipasto ai primi. Perfetto anche con i piatti a base di formaggi locali. La spiccata acidità fa sì che l’Humagne Blanche Selection Excelsus possa essere conservato in cantina per anni, prima di essere degustato su note più evolute. In gioventù si mostra aromatico, ma di un’aromaticità estremamente fine. “Eccelsa”, per restare in tema.
Cornalin 2015, 13% – La pazienza è la virtù dei saggi. E di chi ama il vino, aggiungiamo noi. Dare tempo al Cornalin 2015 di Selection Excelsus è quasi un obbligo morale. Se non altro per rispetto delle viti storiche, impiantate nel 1978, su cui può contare Jean Claude Favre per la produzione di questo straordinario rosso di prospettiva. Piante capricciose, difficili da coltivare. Quattromilacinquecento le bottiglie prodotte in media ogni anno, con rese di 30-35 quintali. Dire Cornalin a Chamoson è come dire Nebbiolo a Barolo. Ma quello di casa Favre ha una marcia in più rispetto a quello dei vicini. Un naso di ciliegie e note floreali di sambuco precedono un palato di struttura, buona acidità e tannini pregevolissimi. Già apprezzabile con piatti importanti a base di carne, va – come anticipato – dimenticato in cantina e riscoperto tra almeno 4-5 anni. Come minimo, ovviamente.
DOMAINE DE BEUDON, FULLY (VALAIS) Appena travolta da una tragedia immane, come quella della scomparsa di Jacques Granges – deceduto in seguito a un incidente avvenuto proprio tra le vigne – veniamo accolti a Beudon dalla moglie del vigneron, Marion Granges-Faiss (nella foto). Quella tra le “vigne del cielo” di Fully, per noi di vinialsupermercato.it, è stata di fatto un’esperienza umana straordinaria, oltre che professionale. Dell’incontro con Marion abbiamo già trattato nel nostro ampio reportage. Ricordiamo qui che la produzione del Domaine de Beudon, certificata biodinamica, rientra nel circuito dei viticoltori Triple A. Le vigne, tutte situate a un’altezza compresa tra i 600 e i 900 metri, con pendenze da scalatore, danno vita a vini dagli eccezionali profumi e aromi. Vini estremamente longevi, capaci di scardinare di netto certe leggi non scritte del vino svizzero, secondo le quali – per esempio – un Fendant “va bevuto giovane”.
DOMAINE DE BEUDON – BEST WINES Fendant 2004– Nel calice si presenta ancora d’un bel giallo paglia, con riflessi verdolini. Al naso l’impagabile freschezza delle note fruttate (albicocca) e uno spunto vegetale che costituirà ilfil rouge, preziosissimo, di tutta la produzione del Domaine de Beudon. Un contrasto solo apparente, in quadro in cui anche la mineralità gioca un ruolo fondamentale. Un vino d’agricoltura, d’artigianato. D’arte.
Riesling Sylvaner 2004 – Ottenuto da un appezzamento di 1,6 ettari situato interamente a 800 metri d’altezza, risulta aromatico come un giovane Moscato al naso, nonostante i 12 anni, con un tocco di miele delicato e fine. Lunghissimo in bocca, chiude su note amarognole che ricordano vagamente il rabarbaro.
Petite Arvine 2014– Premiato come miglior vino bianco bio della Svizzera. Lo degustiamo leggermente fuori temperatura. Ma ne apprezziamo comunque la freschezza. Bel naso, a cui risponde in bocca una portentosa struttura e calore: verbena, timo, limone. La sensazione è quasi balsamica.
Constellation 2007 – E’ il riuscitissimo blend tra Pinot Noir, Gamay e Diolinoir, varietà autoctona del Vallese. Un vino sensualissimo. Dai profumi vellutati di frutta (piccole bacche rosse) al riconoscibilissimo sentore di rosa. Un vino sinuoso, del fascino della discretezza. Anche al palato. Dove chiude con le canoniche note di erbe officinali, persistenti, lunghe.
LA CAVE DES CHAMPS CLAUDY CLAVIEN, MIEGE (VALAIS) Ormai pronta a prendere le redini della cantina al fianco del padre, Shadia Clavien (nella foto) ci accoglie nella sala degustazioni de La Cave des Champs, a Miege nel Vallese, da vera padrona di casa. La giovane, 23 anni, sta completando gli studi nella prestigiosa Alta Scuola di Viticoltura ed Enologia di Changins, a Nyon, canton Vaud. Il polo universitario più accreditato dell’intera Svizzera in materia enologica. E tra un paio d’anni sarà pronta a seguire le orme di quello che, in terra elvetica e non solo, è considerato un guru del vino: Claudy Clavien. Abbiamo ormai abbandonato da una decina di minuti il rettilineo che taglia in due il cantone, correndo parallelo al reno. Avventurandoci nelle tortuose stradine che conducono da Sierre a Crans Montana. Fino a giungere a Miege. Pittoresco paesino di 1.500 anime, a 700 metri sul livello del mare. Anche qui, quella che ormai è una consuetudine: più vigne che campanelli delle abitazioni. Dei 130 ettari vitati del paese, La Cave des Champs può contare su 10. Con una capacità produttiva annua che si assesta, in media, sulle 700 mila bottiglia. “Grazie a un attento lavoro in vigna – spiega Shadia Clavien – cerchiamo di tradurre in bottiglia sia le caratteristiche di struttura sia quelle di freschezza del vino, a seconda dell’uvaggio. Mio padre ama i vini sottili e strutturati ed è per questo che lavoriamo con botti di alta qualità, cercando di conferire al vino ulteriore complessità e un lento e promettente invecchiamento”. In effetti è vasta la produzione de La Cave des Champs che si avvale dell’utilizzo di barrique. E ad ogni sorso è evidente il grande potenziale dei vini firmati da Claudy Clavien. Vini territoriali, da aspettare in cantina per anni. Vini che, bevuti oggi, esprimono un tannino di grande potenzialità e sentori terziari vanigliati un po’ troppo aggressivi, almeno per il gusto italiano. Una gamma che, dall’anno prossimo, si arricchirà del frutto della prima vendemmia di Merlot, impiantato per la prima volta tre anni fa.
LA CAVE DES CHAMPS, BEST WINES Fendant 2015, 11,5% – Per finezza, il miglior vino da uve Chasselas degustato in Svizzera in occasione del nostro wine tour. E parliamo della “finezza” della semplicità, non della complessità. Si tratta infatti del vino bianco più diffuso in questa regione. Un vino leggero, da pasto. Che in casi come questo, rarissimi, si eleva all’ennesima potenza. Naso tutta frutta e fiori freschi. E facilità di beva straordinaria, resa tutt’altro che banale dalla ‘grassezza’ delle note fruttate, che conferisco grande morbidezza a un palato di velluto. Ottimo come aperitivo, il Fendant 2015 La Cave Des Champes può aspirare ad accompagnare addirittura piatti di pesce. Da provare.
Cornalin 2015, 13% – Vitigno difficile da coltivare, è una delle sfide più interessanti per Claudy Clavien la produzione in purezza del Cornalin. Molti altri lo hanno estirpato. Tanta frutta nel naso e in bocca, per un vino che vale di degustare per giungere – idealmente – all’esatto compresso tra la freschezza di un Pinot Nero e la complessità e struttura d’un Syrah. Tannino straordinario per finezza.
Diolinoir 2014, 13% – Ha bisogno di qualche minuto nel calice per aprirsi completamente e sprigionare le proprie potenzialità il Diolinoir di Claudy Clavien. Si tratta di un ‘incrocio’ ottenuto dalle varietà Diolly e Pinot Noir, introdotto nel Vallese negli anni Settanta. Naso interessante dominato dai piccoli frutti a bacca rossa, sfodera l’ennesimo tannino elegante di casa La Cave, mostrando ampi margini di potenziale invecchiamento. Già oggi piacevolissimo, regala una bocca ricca e piena e un retro olfattivo degno di nota.
Carminoir 2014, 13% – Se avete da giocarvi una sola fiche, bene: puntate tutto sul Carminoir di Claudy Clavien, delizioso incrocio tra Pinot Noir e – questa volta – Cabernet Sauvignon. Quantomeno per la sua unicità. Bel naso elegante su note fruttate che, presto, rivelano d’essere in ottima compagnia di sentori speziati di liquirizia e aromi di caffè (12 mesi di affinamento in barrique). In bocca è suadente, morbido, rotondo nonostante la buona struttura. Svela, solo nel finale, uno spunto leggero di liquirizia dolce. Grande persistenza. Perfetto per accompagnare piatti anche strutturati a base di carne, è un altro vino capace di invecchiare bene negli anni.
CLOS DE TSAMPÉHRO, FLANTHEY (VALAIS) Sono vini in giacca e cravatta, quelli di Clos de Tsampéhro. La penna è quella di Emmanuel Charpin (nella foto), artefice con i suoi tre soci Joel Briguet, Christian Gellerstad e Vincent Tenud, di un vero e proprio miracolo enologico. La cantina di Flanthey, che divide i locali con la consociata Cave La Romaine di Joel Briguet, apre ufficialmente i battenti nel 2013. Si brinda con le bottiglie della prima vendemmia, la 2011. Il target è subito evidente. Alta gamma. La produzione Clos de Tsampérho, ben presto, cattura le attenzioni dei ristoranti svizzeri più accreditati. Non passa inosservata agli stellati Michelin. Che fanno a gara, uno dopo l’altro, per aggiudicarsi i vini della nuova casa vinicola di Flanthey. Un successo arrivato presto, prestissimo. Ai nastri di partenza. Non a caso condividiamo la degustazione dei vini Clos de Tsampéhro con Pierre Edouard Coullomb, head sommelier dell’Hotel Les Sources des Alpes, cinque stelle di Leukerbad. Che presto avrà in carta queste “chicche”, ottenute da 2,5 ettari vitati complessivi, per un totale di 9500 bottiglie prodotte nel 2015. E’ Emmanuel Charpin a guidarci alla scoperta del cuore pulsante della cantina: la barricaia. Centoventi piccole botti, in cui riposano per un minimo di due anni i nettari in seguito alla vinificazione, avvenuta rigorosamente in legno (botti grandi di rovere). “Tsampérho – spiega Charpin – ha come unico obiettivo la qualità assoluta, senza il minimo compromesso. Ciò si traduce in basse rese in vigna, nella migliore selezione delle uve ma, ancor prima, in trattamenti di tipo biologico per prevenire le malattie della vite, al posto di combatterle”. Clos de Tsampéhro è infatti una delle dieci cantine della Svizzera che si avvalgono di elicotteri per i trattamenti agricoli. Alla giovane cantina di Flanthey va anche riconosciuto il grande merito d’aver promosso il recupero del Completer, vitigno autoctono del Vallese a bacca bianca, ormai sparito. Le barbatelle provengono dal canton Grigioni, dove invece è ancora allevato. Di seguito i migliori vini degustati, tenendo presente, però, che l’assaggio è avvenuto direttamente dalle barrique. I vini 2016 di Clos de Tsampéhro, tutti eccellenti, devono ancora essere imbottigliati.
CLOS DE TSAMPÉHRO, BEST WINES Tsampérho blanc 2015, ?% – Le premesse in barrique sono ottime per questo straordinario assemblaggio delle varietà Heida (70%) e Reze (30%). Vinificazione totale – 15/18 mesi – in botte, dopo la raccolta manuale dei grappoli e la pressatura soffice. Alla complessità e alla finezza degli aromi del primo uvaggio si sommano i muscoli e le caratteristiche più ruvide del secondo, sopratutto in termini d’acidità. Il risultato, al naso, è pressoché aromatico: frutta a polpa bianca, albicocca, fiori d’acacia. In bocca regna un perfetto equilibrio, con prevedibile predominanza delle note morbide e vellutate dell’Heida. L’acidità del Reze dona ulteriore freschezza e complessità alla beva. E ne fa un vino atto all’invecchiamento, che immaginiamo verterà su tinte – ancora più spiccate – di idrocarburo. Chapeau.
Completer 2014, ?% – Suadente e vellutato al naso, si conferma tale anche al palato. Le note di idrocarburo, qui già ben distinte, fanno spazio anche a sentori di pietra focaia. L’alcolicità è spiccata, assestandosi oltre i 15% in volume. Ma l’equilibrio è letteralmente perfetto. Un vino che fa vibrare il palato per le note evolute che parlano d’agrumi, per l’acidità piacevolmente citrica, per lo spunto gassoso percettibile anche nel retro olfattivo. Un capolavoro. Da aspettare ancora qualche mese, prima dell’imbottigliamento dalla barrique. E poi per anni, in cantina. Se si è capaci.
Tsampéhro III 2014, 14,2% – Il numero III indica la terza vendemmia della casa vinicola, che ha scelto di incartare la bottiglia con una carta velina fine, su cui è stampata la mappa dei vigneti. Una prima impressione che deve far pensare alla territorialità di questo blend rosso, che in una degustazione alla cieca potrebbe essere scambiato – senza vergogna – per un Super Tuscan. A comporre l’assemblaggio sono Cornalin (che fa la parte del leone), Merlot, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon. “Vogliamo vini perfetti – evidenzia Emmanuel Charpin mentre versa il prezioso nettare nel calice – ma che siano anche piacevoli da bere”. Missione compiuta, Emmanuel. Perché Tsampéhro III 2014 lo puoi accostare a piatti saporiti a base di carne. Ma si presta alla perfezione anche come vino da meditazione, dopo pasto. Il compagno perfetto di un buon libro. Un vino rosso dominato dal fil rouge delle note fruttate grasse e dalla struttura del Cornalin, cui si sommano le note speziate del Merlot e quelle vegetali e fresche dei due Cab. Un vino che racconta – al naso e al palato – sentori di confettura di amarene e prugna, impreziositi da varietali speziati al pepe nero e terziari come liquirizia e cuoio. Evidente la propensione di questo blend all’ulteriore affinamento in bottiglia, fino a 15 anni.
NEYROUD FONJALLAZ, CHARDONNE (VAUD) Jean Francoise e Anne Neyroud, marito e moglie, sono i titolari di questa storica cantina di Chardonne, prima tappa di vinialsupermercato.it nel cantone Vaud. Fondata nel 1901, l’attuale struttura è stata acquistata dalla famiglia dalla famiglia Neyroud nel 1938. La vera svolta nel 1962, quando il padre di Jean Francoise abbandona le attività collaterali legate al bestiame per dedicarsi anima e cuore alla sola viticoltura. Ci troviamo nel cuore delle terrazze di Lavaux, che dominano la parte centro-orientale del Lago di Ginevra, ai piedi del Monte Pèlerin. Un luogo unico, patrimonio mondiale dell’Unesco. I terreni vitati della Neyroud Fonjallaz, che ammontano a circa 7,5 ettari, si trovano tutti in sottozone elette alla viticoltura del Lavaux, come Saint-Sephorine, Calamin e Dézeley.
NEYROUD FONJALLAZ, BEST WINES Dézeley 2015, 12,5% – Dopo i primi bianchi a base Chasselas, più destinati all’aperitivo che ad accompagnare un pasto completo, ecco un Dézeley di buona finezza, sia al naso sia al palato. Dominano la scena note fruttate di buona eleganza, che richiamano il melone e i frutti esotici. Buona anche la persistenza.
Saint-Sephorine Pinot Noir 2015, 12,8% – Un Pinot Noir in purezza che, al naso, regala le classiche note di sottobosco, con predominanza dei piccoli frutti a bacca nera su quelli a bacca rossa (più mora che lampone e fragolina). Un bel tannino elegante segue il valzer della frutta, prima di una piacevole chiusura su tinte minerali e sapide. Bella esaltazione del terroir di Lavaux in questo rosso di casa Neyroud-Fonjallaz. Semplice e genuino come la famiglia che lo produce.
JACQUES & AURELIA JOLY, GRANDVAUX (VAUD) Ad accoglierci, nella “casa-cantina” di Grandvaux, a pochi passi dal pittoresco centro storico del villaggio elvetico che s’affaccia su un lago di Ginevra mozzafiato, è un ragazzetto in pantaloncini corti, a petto nudo. Buon inglese. E la maturità d’un adulto: “Mi metto una maglietta e chiamo papà. Solo un momento”. Jacques Joly è in vigna quando suoniamo al campanello. Ci mette poco ad arrivare, seguito poi dalla moglie. Nel frattempo Gerome, il figlio 15enne, ci fa accomodare nella sala degustazione. Una bella famiglia del vino svizzero, i Joly. “Our wine, our life“, si legge sulla brochure di presentazione. E in effetti è questa la prima impressione. Tre ettari di terreni, per una produzione di circa 25 mila bottiglie l’anno. Terreni che non sono di proprietà di Jacques e Aurelia. Ma che, forse, un giorno lo diventeranno. La cantina, sorta nel 2008, ha già saputo imporsi nel panorama nazionale, aggiudicandosi diversi premi enologici (Lauriers d’Or Terravin). Inoltre, il governo cantonale ha premiato i Joly per il loro impegno nella promozione dell’enoturismo locale, che dallo scorso anno ha subito un’impennata nel Lavaux. La produzione dei Joly, del resto, è in grado di offrire una valida fotografia delle sfaccettature che assume il vitigno Chasselas (chiamato Fendant nel Vallese) nelle 8 diverse sottozone di produzione del Lavaux (830 ettari ripartiti su 6 Comuni rivieraschi). Qualche esempio? Il cru Dézaley dà vita a Chasselas che assumono sentori spiccatamente minerali, che sfociano nella pietra focaia. A Calamin, l’altro cru, la massiccia presenza d’argilla nel suolo regala vini complessi, soprattutto dal punto di vista olfattivo. E a Villette, l’area più estesa con i suoi 175 ettari, la sabbia compie l’esatto opposto: vini di facile e pronta beva, poco atti all’invecchiamento, ma molto fruttati.
JACQUES & AURELIA JOLY, BEST WINES Epesses Lavaux Aoc La Destinée 2015, 12% – Un gran bell’esempio della complessità offerta allo Chasselas dai terreni argillosi della sottozona Epesses. Al naso note fruttate eleganti e mineralità spiccata. Le stesse che si ritrovano in un palato di grande equilibrio. Pregevole anche il finale: La Destinée chiude, lungo e persistente, su note di melone maturo. L’ennesimo vino bianco svizzero che può aspirare a qualcosa di più del semplice abbinamento in occasione dell’aperitivo. L’Arpent 2014, 13,5% – Riuscitissimo blend tra Garanoir (80%) e Syrah (20%), L’Arpent è un rosso poderoso, ottenuto da seconda rifermentazione in barrique. La vinificazione delle uve avviene separatamente e il mix del Syrah con la varietà locale Garanoir viene effettuato solo in seguito a una selezione accurata della barrique nella quale le uve del vitigno francese esprimono il tannino e la morbidezza desiderata. Ne scaturisce un vino dall’imponente impronta olfattiva: alle note di confettura di more fanno eco intensi richiami al cuoio, alla liquirizia e al cioccolato. Con l’ossigenazione, L’Arpent si apre anche a sfumature fumé. Buona morbidezza al palato, dove il tannino risulta effettivamente equilibrato. L’utilizzo della barrique è perfetto: le note vanigliate fanno solo da contornom nel finale e nel retro olfattivo, al ritorno delle note fruttate di mora.
CAVE PHILIPPE BOVET, GIVRINS (VAUD) Vale proprio la pena di percorrere ogni singolo chilometro delle strade anguste che tagliano in due il distretto di Nyon, staccandosi dalla E62, fino a giungere alla cantina di Philippe Bovet. Siamo a Givrins, cuore pulsante del vino del Vaud, lontano dai terrazzamenti tipici del lago di Ginevra (Lavaux). E quella di Philippe Bovet (nella foto) non è una cantina. Non è un’azienda. E’ un sogno ad occhi aperti. E quello che sta combinando da queste parti Bovet, è qualcosa a metà tra l’opera d’arte d’un visionario. E la follia. Philippe Bovet, il Maradona del vino svizzero: lo rinominiamo così al termine della nostra visita in cantina. Un soprannome che va ben oltre la leggera somiglianza tra il vigneron – ex maestro di sci e tuttora grande amico del campione olimpico Didier Défago – e il Pibe de Oro. Ma andiamo con ordine. Sono le 10.30 quando giungiamo a Givrins. Ad occuparsi di noi è Baptiste Moreau (nella foto, sotto), bischero di 21 anni che ha mollato la cantina del padre, produttore di Chablis in Francia, per andare a studiare a Changins. “Troppa teoria e poca pratica”: un fardello, quello della scuola d’alta formazione in Viticoltura ed Enologia, che Baptiste ha liquidato in pochi mesi. Trovando comunque un posto d’onore nella cantina di Bovet. Del resto, il vino ce l’ha nel sangue, Baptiste. Che con destrezza ed estrema preparazione ci guida nella visita della cantina. Grande importanza per il progetto di Bovet rivestono le barrique in cui affinano vini che fino a pochi anni fa erano praticamente sconosciuti in Svizzera. Parliamo del Malbec, su tutti. “Sono un grande amante dell’Argentina e del suo vino principe – spiega Bovet – così ho deciso di tentare di allevarlo qui, a partire dal 2009”. Tra gli 8 ettari di terreni della Cave (5 in conversione biologica), in grado di assicurare una produzione annua di 80 mila bottiglie (numero che sale a 200 mila considerando le vinificazioni effettuate per conto di altri viticoltori della zona), Bovet può contare su 5 differenti cloni di Malbec. Quattro dei quali provengono direttamente dall’Argentina, o meglio dalla cantina Tempus Alba di Mendoza.
Quello piantato nel 2009 arriva invece dalla Francia (Montpellier). Il Malbec di Bovet affina tre anni in barrique. E finisce sold out ancor prima di essere riversato in bottiglia. Una fortuna poter degustare da una delle piccole botti la vendemmia 2014, che sarà “pronta” nel 2017. Ottimo, sempre dalla barrique, anche il Viognier 2015, ottenuto da una particella costituita da viti di 20 anni posta sotto la chiesa di Givrins. Ma in realtà, Bovet ha reso famosa la Svizzera del vino per un altra produzione: quella del Gamay. Avete capito bene. Proprio per il Gamay, considerato il ‘vino rosso da tavola’ degli svizzeri. “Quando ho iniziato a produrre Gamay affinato in barrique, riducendo di molto le rese in vigna – spiega Philippe Bovet – in molti in Svizzera pensavano fossi diventato pazzo. Ho proposto il mio Gamay ad alcune degustazioni professionali: pensavano si trattasse di Syrah. Invece era proprio Gamay”. Il Gamay è la sintesi della filosofia produttiva della Cave Bovet, che punta a valorizzare al massimo il singolo vitigno, “che deve parlare di sé, della terra da cui nasce, ed esprimere nel calice tutto il suo potenziale”. “E’ così che ho vinto un sacco di premi, parlando della purezza di ogni vitigno prodotto”, commenta col sorriso stampato sul viso il viticoltore. La Cave Philippe Bovet produce assieme ad altri tre produttori svizzeri due vini – un bianco e un rosso – frutto di un assemblaggio segreto: “Les 4 Elements”. Si tratta del tentativo di unire lo spirito d’innovazione, il savoir faire e l’expertise in materia enologica di Bovet e degli altri produttori svizzeri Guy Cousin (Vignoble Cousin, Concise – canton Vaud), Stéphane Gros (Dardagny, canton Geneve) e Cave Christophe Jacquod (Bramois – canton Valais) che condividono la medesima filosofia. Sono loro i “quattro elementi”: acqua (Bovet), terra (Cousin), fuoco (Gros) e aria (Jacquod). L’unico vino capace di unire il meglio delle produzioni di quattro distinti cantoni. Molto più di una semplice operazione di marketing. “Nei mesi che precedono la vendemmia – spiega Bovet – osservo le uve e i loro mutamenti e stilo una lista di cose che vorrei sperimentare. A fine vendemmia mi rendo conto d’aver realizzato neppure la metà delle cose che mi ero prefissato. Per chi vuole innovare e sperimentare, soprattutto in Paesi come la Svizzera, dove il clima è particolare e spesso avverso, ogni vendemmia passata è una vendemmia persa. Perché? Perché siamo viticoltori e non cuochi: noi non possiamo rifare una ricetta venuta male, cambiando semplicemente gli ingredienti”. Goal. Palla di nuovo al centro.
CAVE PHILIPPE BOVET, BEST WINES Chenin Blanc 2015, 13,9% – Imbottigliato da circa tre mesi, lo Chenin Blanc 2015 di Philippe Bovet esprime già bene il suo potenziale, che non potrà che esplodere ulteriormente con l’ulteriore affinamento. Il vitigno, originario della Valle della Loira, si racconta nel calice sotto una delle sue poliedriche forme: quello della complessità e della qualità assoluta, a dispetto di chi bistratta i nettari ottenuti da questa nobile bacca bianca. Bovet attende sino all’ultimo minuto la maturazione in vigna, spingendola sino al limite. La vendemmia 2015, del resto, è stata molto favorevole. Giallo paglierino, con riflessi dorati. A un naso complesso di frutta esotica, con il melone che spicca sulle altri frutti come il mango, fa eco una mineralità che segna uno stacco con altri Chenin Blanc degustati in Svizzera, oltre a un corpo di tutto rispetto. La buona acidità lo rende vino atto a un degno invecchiamento, superiore anche ai 5 anni.
Verticale di Gamay, 2010 / 2015 – Viaggio nelle ultime cinque annate della varietà che ha reso famoso Bovet – a buona ragione – in Svizzera e nel mondo. Si comincia dal frutto spinto all’ennesima potenza del Gamay 2015 Pacifique (14%). La vinificazione in acciaio regala un naso e una bocca a base di frutti rossi: consistenti, pieni, ricchi, persistenti. Elegante il tannino, come mamma l’ha fatto. Il Gamay 2014 Atlantique (13,4%) affina invece in barrique. Stessa pulizia delle note fruttate, che sfociano sia al naso sia al palato in terziari di speziati. Botte per nulla invadente nel conferimento di leggere note vanigliate. Si tocca il cielo con un dito con il Gamay 2011 di Bovet: mix perfetto di eleganza e finezza, espressione del magnifico terroir locale. E’ la vittoria di Davide su Golia. La vittoria della qualità sulla quantità. La scommessa vinta da Bovet. Ottimo anche il Gamay 2010, che si fa grasso con le sue note intense di marmellata di prugna e datteri. Unica pecca, quello svanire un po’ frettolosamente nel retro olfattivo: un sogno a bocca piena, che svanisce troppo presto.
DOMAINE MERMETUS, ARAN VILLETTE (VAUD) Il sole luccica sul lago di Ginevra e lo spettacolo che offre la natura, tra le vigne del Domaine Mermetus, è degno d’un quadro impressionista. In mezzo alla cornice si muove una figura piccola, composta. Ci viene incontro. E’ Claire (nella foto), la padrona di casa. Che ci accoglie col sorriso, pronta a guidare con grande professionalità la degustazione. Una fortuna, per il marito Henry Chollet e per il figlio Vincent, poter contare sull’apporto di questa dama del vino svizzero, che conosce bene come le sue tasche la terra e le mille sfumature del vino del Lavaux. Siamo ad Aran Villette, poco lontano da uno svincolo autostradale della E62. Eppure regna il silenzio. Delle auto, neppure l’ombra. Il tetto di Domaine Mermetus e le sue pareti bianche spuntano come per magia tra le vigne della “maison”, poco prima che la collina, scoscesa ma non ripidissima, baci l’acqua del lago di Ginevra. Siamo a casa di un produttore che, grazie al suo profondo attaccamento alla terra d’origine, è tra i fondatori dell’Association Plant Robert – Robez – Robaz. Henry Chollet, marito della splendida Claire, è tra i pionieri che nell’aprile 2002, a Cully, sottoscrivono l’impegno formale nella riscoperta di un vitigno autoctono ormai quasi scomparso: il Plant Robert – Robez -Robaz, per l’appunto. Un vitigno a bacca rossa, della famiglia del Gamay, coltivato nel Lavaux tra il 18° e il 19° Secolo e salvato dall’oblio, in extremis, nel 1966 dal vigneron Robert Monnier. Densità d’impianto minima di 7.500 piante per ettaro, con resa massima di 0.7 litri per metro quadrato e densità del mosto minima di 85° Oechsle: queste le regole del ‘gioco’ dell’associazione, che per garantire l’autenticità del prodotto si rifà all’Organisme Intercantonal de Certification (Oic), a sua volta rispondente al Service d’Accréditation Suisse (Sas). Una speciale “fascetta”, simile al contrassegno di Stato apposto sui vini Docg in Italia, viene apposta sulle bottiglie di Plant Robert autentico. Una missione, quella di Domaine Mermetus, che oggi viene portata avanti con entusiasmo dal figlio di Henry e Claire Chollet, Vincent, in collaborazione con la moglie. Sette ettari totali, suddivisi in 35 particelle. Capaci di trasformarsi in 33 diverse cuvée interamente elaborate, dalla vigna alla bottiglia, dalla famiglia Chollet.
DOMAINE MERMETUS, BEST WINES Vase n° 10 2015,12,8% – E’ lo Chasselas in purezza che, da queste parti, definiscono “gastronomico”. Ovvero il più complesso. Quello che, per caratteristiche, è adatto ad accompagnare un pranzo o una cena, al di là dell’aperitivo. Dopo aver degustato l’ottimo Les Terrasses de Valérie 2015 (Chasselas d’Epesses intenso, grasso, minerale), passiamo con curiosità a Vase n° 10 e ce ne innamoriamo. Di un bel giallo paglierino carico, risulta intenso al naso, ma con la classica nota esotica (melone) che si fa attendere rispetto ad altri Chasselas, piacevolmente sovrastata dalla spiccata mineralità, che poi troveremo anche al palato. Chiude fruttato, con note che ricordano la banana matura. Vase n° 10 è ottenuto senza malolattica, per garantirne la purezza e la struttura ideale per l’accompagnamento gastronomico. La terra ricca di argilla e limo, in cui affondano le radici le viti, è il segreto di questo ottimo bianco svizzero.
Viognier Essence lémanique 2015, 14,9% – Avete letto bene. Un Viognier dall’accentuata alcolicità, eppure così bevibile, per nulla stucchevole o da capogiro. A nostro parere, assieme al recupero del Plant Robert, è questo il vero capolavoro di Domaine Marmetus. Un vitigno, il Viognier, che i Chollet allevano da oltre 20 anni. E un nome, Essence lémanique, scelto non a caso: Lemano è il nome originario del lago di Ginevra, di cui questo vino sembra esprimere l’essenza. La sintesi perfetta. Un po’ come se i Chollet fossero riusciti a condensare, in un’unica bottiglia, tutte le caratteristiche dei terroir del Lavaux. In questo Viognier troviamo la freschezza delle note fruttate riscontrabili nei bianchi della sottozona Villette. Ma anche la complessità dei vini d’Epesses e Calamin. E infine la mineralità e le note evolute dei migliori Dézalay. D’un giallo dorato già di per sé invitante, si presenta al naso con più albicocca che pesca. In bocca morbido, intenso. Con l’alcolicità a fare da cornice, calda ma equilibrata, alle note fruttate. Lungo finale, con spruzzata leggera di pepe bianco. Il compagno perfetto per gustare piatti speziati della cucina indiana.
Plant Robert Le Chant de la terre 2014, 13% – Il “Canto della terra”. Altro nome azzeccato per un vino – questa volta rosso – che parla della tradizione più profonda e dell’amore e dell’attaccamento alle origini della viticoltura del Lavaux. Per comprendere appieno le caratteristiche di questo Plant Robert bisogna conoscere il Gamay, di cui è la versione “esplosa”: più frutta, più spezie. E uno spunto animale, rustico, tradizionale, tipico dei vini veri, sinceri. Non artificiali, autentici. In una parola: naturali. Di un rosso rubino profondo, poco trasparente, Le Chant de la terre si presenta al naso col megafono: piccoli frutti a bacca rossa e nera (lampone, more) accompagnano una speziatura accentuata di pepe e chiodi di garofano. Caratteristiche che ritroviamo anche al palato, dove si comprende come il Plant Robert sia un vino d’attendere qualche anno, prima che esprima appieno tutto il suo potenziale. Col passare dei minuti, l’ossigenazione del nettare nel calice contribuisce a esaltare note più morbide e grasse al naso, che sfociano addirittura nel balsamico delle resine d’abete. Un vino rustico, ma elegante. Un ossimoro con cui accompagnare portate di carne importanti, come per esempio la selvaggina d’agnello.
DOMAINE HENRI CRUCHON, ECHICHENS (VAUD) Ultima tappa prevista tra le cantine del Vaud, prima di spostarci e chiudere il wine tour nel cantone Ginevra, è il Domaine Henri Cruchon di Echichens. Siamo nel distretto di Morges, a casa di una famiglia di viticoltori appassionati, giunta ormai alla terza generazione. Un vero e proprio riferimento nella zona. Ai 12 ettari del Domaine vanno a sommarsi infatti altri 42 ettari vitati di proprietà di altre famiglie, unite in una sorta di cooperativa Il fondatore, Henri Cruchon, può contare sull’apporto dei due figli Michel (viticoltore) e Raoul (enologo), su quello delle loro mogli Anne e Lisa (impiegate amministrative) e, dal 2010, anche sull’apporto della nipote Catherine Cruchon, enologa con esperienze formative anche in Italia, nel Piacentino. Tutti e 12 gli ettari di proprietà sono certificati biodinamici, così come 32 dei 42 ulteriori ettari delle famiglie conferitrici. “La terra non ci appartiene – spiega Catherine – noi siamo i suoi custodi. La coltiviamo, dunque, con l’idea che dobbiamo garantirne la longevità, con pratiche di totale rispetto nei confronti della natura”. Il contesto è quello dell’Aoc Morges, compresa tra la città di Losanna e il fiume Aubonne. La denominazione più estesa del canton Vaud. E’ qui che i viticoltori hanno riscoperto e valorizzato il Servagnin, varietà autentica di Pinot Nero, introdotto in Svizzera proprio a partire da Morges.
DOMAINE HENRI CRUCHON, BEST WINES Altesse 2015, 15,5% (senza solfiti, non filtrato) – Rimaniamo letteralmente folgorati di fronte a questo bianco senza solfiti di casa Cruchon. Altesse è il nome del vino ma anche quello della rarissima varietà Altesse, coltivata solamente nella Savoia francese, luogo dal quale proviene. I grappoli maturi prendono le sembianze del Gewurztraminer una volta maturi: quel bruno rossastro che è gli ha fatto guadagnare il soprannome “La Roussette” da parte dei locali. In realtà la traduzione corretta sarebbe “Sua Altezza”. Un appellativo più che azzecato. Nel calice l’Altesse 2015 del Domanine Henri Cruchon si presenta d’un giallo dorato carico. Al naso l’acqua del mare: una percezione salmastro-minerale di rara pregevolezza, unita a richiami esotici, agrumati (limone) ed erbacei (fieno). Al palato l’alcolicità calda non disturba una beva morbida, straordinariamente rotonda e avvolgente. Anzi, esalta le note di miele e cedro, di eleganza sublime, che sembrano disciogliersi nel sale di cui è ricco anche il palato, oltre al naso. Straordinario il lavoro effettuato in vigna dai Cruchon con questo rarissimo uvaggio, sin dal 1998, anno della prima produzione. Un’attenzione che poi si trasferisce in cantina, dove gli acini vengono pressati interi e vinificati in serbatoi da 500 litri. Lunga fermentazione, che comprende la malolattica.
Pinot Noir Champanel 2014, 13% – Fa parte dei Gran Cru della casa vinicola di Echichens, questo Pinot Nero che reca appunto il nome della vigna Champanel, divisa a metà tra la varietà a bacca rossa e il locale Chasselas. Il terroir Champanel è caratterizato da un profondo terreno argilloso-calcareo, che si trova su una morena formatasi 10 mila anni fa per l’attività dei ghiacciai. Non a caso, da questa posizione si può ammirare il Monte Bianco, al di là del Lago di Ginevra. “Al fine di mettere in evidenza il carattere pieno di questo Grand Cru – spiega Catherine Cruchon – le viti, tutte di 30 anni, sono coltivate nel rispetto dei ritmi lunari, ovviamente senza utilizzo di prodotti chimici”. La vendemmia viene compiuta a mano, su rese molto basse. In seguito alla vinificazione tradizionale, il vino matura per 18 mesi, di cui 12 in botti di rovere. Ne scaturisce un Pinot Nero validissimo: imbottigliato solo da due mesi, quello che degustiamo mostra grandi margini di miglioramento nel medio-lungo periodo (6 anni) evidenziando carattere e finezza rappresentati benissimo da un tannino da ricordare.
DOMAINE DU CENTAURE, DARDAGNY (GENEVE) Per raggiungere Dardagny, il navigatore ci conduce al confine con la Francia, per poi farci rientrare in territorio elvetico in seguito a un brevissimo tratto di superstrada. Stranezze della tecnologia a parte, Dardagny è una tappa imprescindibile del nostro wine tour: l’ennesimo Comune con più vigne che campanelli, designato a rappresentare l’altissimo livello qualitativo dei vini del cantone di Ginevra. La prima delle due cantine visitate è Domaine du Centaure, il regno di Claude Ramu e dei suoi figli Nicolas e Julien (nella foto). A guidarci nel tour della winery è proprio quest’ultimo. Una cantina moderna, realizzata nel 1980 e sempre in continua evoluzione dal punto di vista tecnologico. Oggi i Ramu, famiglia storica, presente a Dardagny sin dal 1400, arrivano a produrre circa 200 mila bottiglie dai 20 ettari di proprietà, cui vanno a sommarsi gli 8 in locazione. “In tutti questi anni – tiene a sottolineare Julien Ramu – siamo sempre stati indipendenti, senza mai aderire a nessuna cooperativa. Fummo noi a introdurre il metodo Guyot in Svizzera, nel 1925 con Edmond Ramu, nostro capostipite. E fu sempre lui a piantare il primo Gamay e Pinot Nero, nel 1936”. Una storia curiosa quella dei Ramu, che negli anni Cinquanta trova in Charles Ramu un altro innovatore: pilota di auto da corsa in Italia con Alfa Romeo, rifiutò la chiamata in Formula 1 per tornare tra le sue vigne di Dardagny. Introdusse così Aligoté, Pinot Grigio, Gewurztraminer e Moscato, ottenendo diverse medaglie d’oro. Ma fu Claude Ramu a cambiare il nome dell’azienda in Domaine du Centaure, nel 1982. Assegnando al pittore Serge Diakonoff il compito di realizzare le caratteristiche etichette dei suoi nuovi vini.
DOMAINE DU CENTAURE, BEST WINES Pinot Gris Les Chant des Sirènes, vins doux – Vino dolce ottenuto grazie all’appassimento delle uve per due mesi su graticci. Una volta raggiunto il grado zuccherino desiderato, mediante disidratazione, gli acini di Pinot Grigio vengono pressati e, in seguito alla fermentazione, posti ad affinare in barrique per 20 mesi. Bel giallo dorato, al naso sprigiona la freschezza delle note di brutta a polpa bianca (pera, banana) e d’albicocca. Lo apprezziamo per la grande pulizia al palato e per la scelta maestrale di un grado zuccherino non stucchevole: un’operazione non riuscita ad altri viticoltori svizzeri.
Garanoir-Gamaret barrique Légende 2014 – More, pepe, spezie. Il blend tra le varietà locali Garanoir e Gamaret è riuscitissimo al Domaine Du Centaure. Un vino tannico, di corpo, capace di sfoderare un grande carattere. Uno di quei vini da aspettare, anche se già in grado di accompagnare più che bene piatti saporiti a base di carne, come la selvaggina.
DOMAINE LES HUTINS, DARDAGNY (GENEVE) Si conclude qui il nostro wine tour in Svizzera. E non poteva che terminare in una delle cantine svizzere che fanno della qualità il proprio baluardo. Seconda ed ultima tappa a Dardagny è Domaine Les Hutins, cantina storica che oggi è retta dall’ingegnere Jean Hutin e dalla figlia enologa Emilienne Hutin Zumbach (nella foto). Ormai la quinta generazione di una famiglia di viticoltori. L’anno della svolta, da queste parti, è il 1982. Quando Jean inizia a impiantare Sauvignon Blanc. Molti altri seguono poi il suo esempio in Svizzera, dal Ticino alla Svizzera tedesca. “La nostra filosofia produttiva – spiega Emilienne – prevede la massima attenzione in vigna, nel rispetto dell’ambiente. Stiamo portando avanti la produzione integrata, con 3,5 ettari sui 20 totali coltivati in biodinamica, pur senza certificazione. Il nostro vino deve parlare della terra e dell’andamento dell’annata, senza artifici. E’ un vino vero, insomma”. Quindici le varietà allevate, che danno vita a 27 differenti etichette, equamente suddivise tra bianchi e rossi. I terreni si trovano a un’altezza di 430 metri sul livello del mare. Tutti in piano, a esclusione dei 2 ettari in pendenza suddivisi tra Sauvignon, Syrah, Merlot e Viognier, nei pressi del fiume Rodano.
DOMAINE LES HUTINS, BEST WINES Sauvignon Blanc 2014, 13,5% – Ottenuto dalle vigne vecchie, questo Sauvignon Blanc affina in barrique per 12 mesi. Vino molto più diretto e schietto del suo parente non affinato in barrique (di cui però abbiamo degustato la vendemmia 2015, 14,5%), esprime sentori fruttati meno esuberanti, ponendosi di diritto come vino gastronomico. Pregevole la chiusura su note di limone, che lo rende ancora più interessante. L’affinamento viene compiuto in barrique da 500 litri, senza aver prima svolto malolattica. Legni che sono stati selezionati con cura da Emilianne e reperiti dopo una lunga ricerca atta a esaltare le caratteristiche del vitigno internazionale e le peculiarità del terroir di Dardagny.
Chasselas Bertholier 2015 13 % – E’ lo Chasselas top di gamma di Hutins. E si sente. Non il solito vino “leggero”, da aperitivo, bensì un nettare che mostra buona struttura e consistenza. L’erba in campo non viene diradata, ad esclusione della base della pianta, con dosi minime d’erbicida. Fermentazione lunga, che si aggira attorno ai due mesi per questo Chasselas gastronomico. Naso floreale (tiglio) con richiami minerali che poi si riscontrano nuovamente al palato, dove la salinità precede una chiusura fruttata, ma di sostanza.
Bertholier Rouge 2014, 13,5 – Altro top di gamma di Hutins. Si tratta dell’assemblaggio tra Gamaret (70%), Merlot (15%) e Cabernet Sauvignon (15%) vinificati in barrique. Le tre varietà che compongono il blend effettuano assieme la fermentazione. Nel calice, Bertholier Rouge si presenta d’un rosso intenso, poco trasparente. Intenso è anche il naso, che da un principio fruttato (bacche rosse) si evolve con l’ossigenazione verso tinte balsamiche, mentolate. Si sprigiona a quel punto anche la caratteristica nota vegetale del Sauvignon, che apprezziamo particolarmente. Al palato si conferma vino di sostanza e di corpo, capace di accompagnare degnamente piatti complessi a base di carne e selvaggina. La verticale compiuta da Hutins ne dimostra la longevità, con l’annata 2005 ancora straordinariamente viva nel calice.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
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“I dati dei primi tre mesi del 2016 ci parlano di un aumento complessivo delle vendite del 5,4% a volume e del 6,2% in valore, offrendoci un quadro complessivo ottimistico, in linea con il trend riscontrato negli ultimi due anni. Dati che ci fanno ben sperare rispetto alla tendenza al ribasso nei consumi fuori casa che ha caratterizzato il periodo 2008-2013. L’Osservatorio del Vino apre finalmente una finestra sui consumi in un settore complesso come l’Horeca”. Con queste parole Antonio Rallo, presidente dell’Osservatorio del Vino, commenta i dati sui consumi fuori casa, ovvero l’”On Trade” italiano (ristoranti, bar, enoteche, hotel, catering), del primo trimestre 2016, rilevati da Nomisma Wine Monitor (partner dell’Osservatorio del vino) su un campione di 23 grandi e medie aziende che rappresentano un fatturato complessivo pari a 2 miliardi di euro. Lo studio evidenzia che i vini spumanti trainano i consumi con un +9,5% in valore e un +6,8% in volume, seguiti dai bianchi fermi (+8,9% in valore e +5,7% in volume) e dai frizzanti (+6% in valore e + 23,5% in volume). I rossi crescono anche se di poco in valore (+1,7%) e calano in volume (-4,5%). Nei singoli punti vendita dell’On Trade, le vendite al dettaglio aumentano rispettivamente del 5,8% a valore e del 4,4% a volume. E sono hotel e catering a guidare con +10% a valore e +12,5% a volume, seguiti dai ristoranti (+7,3% valore e +10,8% volume), da wine bar (+3,8% valore e +2,5% volume) ed enoteche (+3% valore e -10% volume).
Le vendite all’ingrosso fanno rilevare un aumento del 7,3% a valore e del 7,6% a volume. Oltre ai consumi nel settore Horeca, l’Osservatorio del Vino grazie alla partnership con Ismea, monitora anche le vendite in Gdo. Nei primi cinque mesi 2016 l’analisi sulla base dei dati Nielsen, evidenzia volumi in calo del 2% e una sostanziale stabilità nei valori (+0,4% a 776 milioni di euro). Gli spumanti anche in questo caso sono il prodotto trainante, segnando vendite a +6% a volumi e a +7,3% a valore. I vini Dop crescono a valore (+2,4% a 310 milioni di euro) e calano lievemente a volume (-1%). I vini Igt fanno registrare -8% a volume e -4% a valore, per una spesa totale di 171 milioni di euro nei cinque mesi. “Siamo molto soddisfatti di questo primo anno di attività di ricerca e studio del settore ‘On Trade’ con l’Osservatorio del Vino – conclude Antonio Rallo -. Le aziende associate hanno per la prima volta un quadro dettagliato ed aggiornato del mercato dell’Horeca, completato dai dati di sistema su tutto il comparto attraverso la partnership con Ismea, Crea e Bocconi. Ora, l’obiettivo è di incrementare la base delle aziende monitorate per rendere lo strumento ancora più preciso ed efficace, consentendo così all’imprenditore di basare le proprie scelte su dati certi e guadagnare in competitività”.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Nel 2014, il 41,8% delle vendite nazionali delle principali società vinicole è transitato per la grande distribuzione organizzata (Gdo). L’indagine sul settore vinicolo condotta da Mediobanca su un campione di 44 società con titoli trattati in 21 Borse, non lascia spazio a interpretazioni di sorta. Si tratta della media tra il 47,2% delle cooperative e il 36,9% delle restanti società. L’incidenza della grande distribuzione è cresciuta dal 36,5% del 2002 al 51,2% del 2014. Il secondo canale per importanza è il grossista/intermediario (15,9%) seguito dall’aggregato Horeca (Hotel-Restaurant-Catering), anch’esso con incidenze differenti per cooperative (7,7%) ed altre società (21,3%). Seguono enoteche e wine bar, che coprono il 7,4% (con le cooperative al 3,6%), mentre la vendita diretta incide per poco più dell’11%, quota invariata rispetto all’anno precedente. Nell’ambito dei grandi vini, la quota più elevata è ascrivibile al canale Horeca. (40,6%), cui seguono enoteche e wine bar al 26%.
La vendita diretta sale qui al 16,6%, con la grande distribuzione a quota 3,2%. Relativamente alle esportazioni prevalgono le vendite tramite intermediari importatori (otto decimi del totale), mentre il controllo della rete di proprietà permane limitato al 9,4%. I tre maggiori produttori per fatturato nel 2014 sono stati il gruppo Cantine Riunite-Giv (536 milioni di euro, +0,3% sul 2013), Caviro (314 milioni, -2,0%) e la divisione vini del Gruppo Campari (209 milioni, in calo dell’8,3% sul 2013). Seguono Antinori, che nel 2014 ha realizzato una crescita del 4,8% portandosi a 180 milioni di euro, la cooperativa Mezzacorona a 171 milioni di euro (+5%) e appaiate a 160 milioni la Fratelli Martini (+1,8%) e la Zonin (+4%).
Solo una società ha realizzato un aumento dei ricavi superiore al 10%: è la forlivese Mgm, con vendite a 73 milioni (+10,1% sul 2013). Altre variazioni degne di nota hanno interessato la Ruffino (+8,4% a 81 milioni) e il Gruppo Santa Margherita (+7,8% a 110 milioni). Nell’insieme la graduatoria si mostra stabile, almeno nelle prime dieci posizioni. Alcune società hanno una quota di fatturato estero quasi totalitaria: la Botter al 96,8%, la Ruffino al 92,9%, la Masi Agricola al 90,5% e la Fratelli Martini con l’89,5%. Solo sei gruppi hanno una quota di export inferiore al 50% delle vendite.
I PROFILI DEI MAGGIORI PRODUTTORI
Il maggiore sviluppo delle vendite nel periodo 2009-2013 è appannaggio della Cantine Turrini di Riolo Terme (+110,2%), seguita dalla cooperativa Cevico di Lugo (+84,6%) – entrambe, dunque, della provincia di Ravenna – e dalla Botter Di Fossalta di Piave, Venezia (+84,2%). Solo due imprese hanno subito nel periodo una flessione del giro di affari: la cooperativa La Vis di Lavis, Trento (-14,7%) e la Giordano Vini di Diano D’Alba, Cuneo (-10,7%).
I margini (Margine operativo netto “Mon”/valore aggiunto), la redditività del capitale investito (roi) e quella netta (roe) collocano la Botter e la Cantine Turrini nelle posizioni di testa. Giordano Vini e La Vis hanno segnato nel 2013 una redditività netta negativa. La struttura finanziaria più solida, sempre secondo l’indagine Mediobanca, è della Banfi che ha debiti finanziari pari al 18,3% dei mezzi propri, seguita dalla Frescobaldi (20,9%) e dal Gruppo Cevico (24,7%).
E’ particolarmente elevato l’indebitamento della cooperativa La Vis (18 volte il rapporto), della Giordano Vini (487%) e della Cantine Brusa (372%). Solo due società presentano un debito finanziario prossimo al fatturato: si tratta della Antinori (99,2%), che sconta tuttavia un eccezionale sforzo in termini di investimenti nei precedenti esercizi, e della cooperativa Mezzacorona (91,5%). Gli investimenti sono rilevanti per Masi (17,6% del fatturato), Banfi (14%) e Frescobaldi (11,1%).
La competitività, misurata dal rapporto tra costo del lavoro e valore aggiunto, appare molto soddisfacente per le Cantine Turrini (16,9%), la Masi (26,2%) e la Botter (28,5%). Livelli meno favorevoli sono riferiti alla Cevico (81,7%), Schenk Italia (69,9%) e Giordano Vini (69,4%). Le tre aziende meglio posizionate sono risultate, in ordine decrescente: Botter, Cantine Turrini e Masi. La graduatoria è chiusa, sempre in ordine decrescente, da Mezzacorona, Giordano Vini, e La Vis.
L’ASSETTO PROPRIETARIO
Al controllo familiare è riconducibile il 53,9% del patrimonio netto complessivo dell’aggregato oggetto dello studio Mediobanca. Tale quota si ripartisce tra controllo esercitato in modo diretto da persone fisiche (33,9%) e tramite persone giuridiche (20%). Ove si assimilino alla forma familiare le cooperative, le quali raccolgono circa 33.400 soci, si aggiunge un’ulteriore quota del 22,8% che porta il totale del patrimonio netto familiare al 76,7%. Il restante 23,3% dei mezzi propri è riferibile per il 14,1% a investitori finanziari (ed altre tipologie residuali) e per il 9,2% a società straniere.
In termini assoluti, alle famiglie in senso stretto sono riconducibili mezzi propri per 1,74 miliardi di euro (1,1 miliardi in capo a persone fisiche e 0,64 miliardi a persone giuridiche), 16 alle coop per circa 0,74 miliardi di euro. I soci esteri detengono un portafoglio con valore di libro pari a 0,3 miliardi di euro. I principali soci finanziari sono così assortiti: banche ed assicurazioni con 347 milioni di euro, fondi con 38 milioni, fondazioni e trust rispettivamente con 28 e 33 milioni, fiduciarie con 11 milioni.
Il rapporto con i mercati finanziari è tradizionalmente trascurabile in Italia. Solo quattro delle società considerate sono interessate alla Borsa, ma in modo indiretto, attraverso la quotazione della società controllante, che in un solo caso assume lo status di socio industriale (Davide Campari) e nei restanti quello di investitore finanziario (si tratta dei gruppi assicurativi Allianz, Generali e UnipolSai). Le banche, dopo il 17 disimpegno del Monte dei Paschi di Siena, sono assenti. Ma dal 29 gennaio 2015 è quotata all’Aim la Italian Wine Brands, controllante la Giordano Vini.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Torna a crescere il volume e il valore delle vendite di vino nei supermercati italiani. Aumentano anche i prezzi medi, mentre la pressione promozionale rimane invariata. Sono queste le prime anticipazioni dell’istituto di ricerca Iri, in vista di Vinitaly 2016. Tra i vini più venduti d’Italia crescono Nero d’Avola, Vermentino e Trebbiano. Passerina, Valpolicella Ripasso e Nebbiolo sono gli outsider. Bene anche gli spumanti e il vino biologico. Dopo anni di stasi, insomma, si registra una crescita più decisa delle vendite di vino italiano sugli scaffali della grande distribuzione organizzata (Gdo), sia in volume che a valore.
In attesa della 50° edizione di Vinitaly, che si terrà a Verona dal 10 al 13 aprile, Iri ha elaborato in esclusiva per Veronafiere i dati sull’andamento di mercato nel 2015. Le vendite delle bottiglie da 75cl aumentano del 2,8% a volume rispetto al 2014, e le bottiglie da 75cl a denominazione d’origine (Doc, Docg, Igt) del 1,9%. Rispettivamente le vendite a valore crescono del 4,0% e del 3,8%. “Una crescita doppiamente positiva – ha commentato Virgilio Romano, Client Solutions Director di Iri – perché non è stata stimolata né dalla crescita promozionale né da prezzi in calo.
La pressione promozionale, infatti, rimane su livelli alti ma inalterati rispetto all’anno precedente, mentre i prezzi sono in aumento: i vini a denominazione di origine, ad esempio, hanno prezzi medi in crescita dell’1,9%. Dopo un lustro di assenza, la crescita contemporanea di volumi e valori ci lascia ben sperare per gli anni futuri”. Risultati positivi anche per gli spumanti venduti in Gdo: + 7,8% a volume e +7,5% a valore, anche se il prezzo medio è leggermente ridimensionato rispetto al 2014. I vini biologici crescono a volume del 13,2% (a valore del 23%), ma i litri venduti sono ancora limitati: un milione e 630 mila.
“IL CONSUMATORE E’ PIU’ MATURO”
“A poco più di un mese dal via del 50° Vinitaly – spiega Giovanni Mantovani, Direttore generale di Veronafiere – si tratta di anticipazioni che fanno ben sperare in una crescita più strutturale del mercato interno del vino. Da sottolineare il continuo aumento delle vendite a valore, segno che il consumatore è più maturo: ricerca e sceglie la qualità. Si tratta di una strada che con Vinitaly abbiamo sempre sostenuto e promosso a livello commerciale e culturale, nelle nostre iniziative e negli incontri b2b tra Gdo, aziende e buyer”.
Il vino più venduto in assoluto nei supermercati italiani rimane il Lambrusco con 12 milioni e 771 mila litri venduti, sempre tallonato dal Chianti, che vince però la classifica a valore. Al terzo posto sale lo Chardonnay, un bianco di vitigno internazionale, che cresce del 9% a volume. Si fanno notare le performance del Nero d’Avola (+4,6%), del Vermentino che cresce dell’8,5% e del Trebbiano (+5,6%).
Tra i vini “emergenti”, cioè quelli che hanno fatto registrare nel 2015 un maggior tasso di crescita, il primo posto va alla Passerina marchigiana, con una progressione del 34,2% che va a bissare il successo registrato negli anni scorsi dal Pecorino (Marche e Abruzzo), classificatosi stavolta 3°. Due bianchi con prezzi medi a bottiglia di circa 4 euro. Da notare la seconda posizione del veneto Valpolicella Ripasso e la quarta posizione del piemontese Nebbiolo, che costano mediamente 7,69 euro il primo e 5,91 euro il secondo, a conferma che le crescite si leggono anche su vini importanti in termini di prezzo e di complessità. La ricerca completa verrà presentata nel corso della tavola rotonda su vino e grande distribuzione che si terrà a Vinitaly lunedì 11 aprile, alle ore 10.30 nella sala Vivaldi del PalaExpo, con la partecipazione di produttori e distributori.
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La linea di vini “Le Vie dell’Uva” cresce e si segmenta. Lanciata dal Gruppo distributivo Selex nell’autunno 2011, ha realizzato nel 2014 un fatturato di circa 4,5 milioni di euro per un totale di oltre 2,3 milioni di bottiglie (+ 27% in volume e in valore rispetto al 2013). Un incremento che supera di gran lunga quello del comparto vini Doc, Docg, Igt e Charmat all’interno dei supermercati del Gruppo (+ 4,4% a volume e + 0,6% a valore). Con un assortimento iniziale di 28 etichette (circa 500.000 le bottiglie vendute a fine 2011), oggi la linea è molto articolata e comprende 52 vini rappresentativi dei territori più vocati, che saliranno a 53 entro la fine dell’anno.
Se tutte le proposte hanno incontrato il favore dei consumatori, particolarmente brillante è stato l’andamento del mondo delle “bollicine” (cresciuto a livello nazionale dell’8% in volume e valore) presidiato da Le Vie dell’Uva con ben tre tipologie di Prosecco (Prosecco frizzante Spago Doc, Prosecco millesimato Doc e Prosecco Valdobbiadene Docg), una di Franciacorta Docg, una di Asti Docg, una di Brachetto Docg e una di Muller Thurgau Doc. Col Prosecco che, anche nei punti di vendita delle imprese Selex, si è distinto rispetto ai vini della stessa categoria.
Più in generale, e nonostante il clima economico non incoraggiante, sono state le etichette di maggior pregio della linea a mettere a segno una crescita superiore. A conferma che alla qualità, purchè al giusto prezzo, gli italiani non rinunciano. Da qui l’idea di affiancare all’offerta base (bottiglie da 3 a 5 euro) una fascia “top”, ossia una linea dedicata alle eccellenze enologiche regionali, con un prezzo dai 6 euro in su.
Così, da luglio dell’anno scorso, 12 vini sono entrati a far parte di questa accurata selezione, contrassegnata dall’etichetta bianca (rispetto a quella più scura della linea) e con la firma “Le Vie dell’Uva” in argento. Dal Piemonte alla Puglia alla Campania, passando per Veneto, Alto Adige e Toscana, troviamo, a un prezzo più che abbordabile, il meglio del “vigneto Italia”, come Barolo Docg, Greco di Tufo Docg, Lacrima Crysti Doc, Primitivo di Manduria Doc, Valpolicella Ripasso Doc, Pinot Nero e Pinot Bianco Docg, Nobile di Montepulciano Docg ed altri ancora.
A decretare il successo de Le Vie dell’Uva (una delle prime linee di vini con un proprio brand messe a punto da un operatore della distribuzione moderna) il rapporto qualità-prezzo, innanzitutto, grazie alla selezione accurata dei fornitori (circa 20 tra le migliori cantine di tutta Italia) e all’attento controllo qualità della Centrale Selex.
«Abbiamo raggiunto il target giusto – spiega Dario Triarico, responsabile grocery e beverage marca del distributore del Gruppo Selex – rappresentato da consumatori informati ed esigenti, ma non superesperti, che leggono le etichette e quando comprano un vino vogliono andare a colpo sicuro, senza brutte sorprese».
Nell’ottica di fornire un servizio alla clientela, anche la scelta di bottiglie “trasparenti” dove è ben visibile il nome del vitigno con un’immagine della zona di provenienza. E, sul retro, la “carta d’identità”: cantina, imbottigliatore, anno di produzione, volume alcolico e la descrizione dettagliata delle caratteristiche organolettiche, curata da esperti sommelier, gli abbinamenti consigliati, la temperatura di servizio e, per le etichette più pregiate, la longevità.
Vini al supermercato è la rubrica dedicata al vino in vendita nelle maggiori insegne di supermercati presenti in Italia. Nella Gdo viene venduta la maggior percentuale di vino italiano. Qui potrai trovare recensioni, punteggi e opinioni sui migliori vini in vendita nella Grande distribuzione organizzata, valutati con cognizione di causa, spirito critico costruttivo e l’indipendenza editoriale che ci caratterizza. Inoltre, una rubrica sempre aggiornata sui migliori vini in promozione presenti sui volantini delle offerte delle maggiori insegne di supermercati italiani. Vini al Supermercato è la guida autorevole ai vini in vendita in Gdo, con una pubblicazione annuale delle migliori etichette degustate alla cieca dalla nostra redazione. Seguici anche su Facebook ed Instagram. Sostieni la nostra testata giornalistica indipendente con una donazione a questo link.
Le vendite nella Grande Distribuzione di vino confezionato fino a 75cl nel 2014 hanno segnato un +1,5% a/a a valore e un +0,2% a/a a volume. Le bottiglie da 75cl a denominazione d’origine hanno registrato un +1,3% a/a a valore e un -0,7% a/a a volume. Queste le prime anticipazioni della ricerca dell’Iri che verra’ presentata a Vinitaly, a Verona dal 22 al 25 marzo.
La ricerca indica quali sono i vini piu’ amati dagli italiani nel 2014, grazie alla classifica dei vini piu’ venduti nella Grande Distribuzione. In vetta si trovano Chianti e Lambrusco, che da anni conquistano le prime posizioni del podio, ma che mostrano una flessione delle vendite a volume. Al terzo posto Il Vermentino, un bianco che continua a crescere di anno in anno. Tra i vini “emergenti”, cioe’ con maggior tasso di crescita nel corso del 2014, si trovano ai primi posti i vini marchigiani/abruzzesi Pecorino e Passerina, e il siciliano Inzolia.
Entra in questa classifica, per la prima volta, il laziale Orvieto. “La questione fondamentale per il 2015 ed i prossimi anni è la difesa del valore da parte delle cantine e della Grande Distribuzione – ha commentato Virgilio Romano, direttore servizio clienti Iri -. La rincorsa dei volumi come prevalente obiettivo di crescita rischia di rivelarsi controproducente”.
“Quindi sì alle promozioni, ma con intelligenza strategica. La difesa del ‘valore’ – ha spiegato Romano – passa dalla difesa dei prezzi. Ogni prezzo deve riflettere un sano equilibrio di bilancio, bilancio in cui alle principali voci di costo deve aggiungersi sempre piu’ quello della comunicazione, che deve avere tra i suoi obiettivi anche quello di trovare i consumatori di vino del domani”.
Fonte: Corriere Economia
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