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Valpolicella, Bertani in vendita? La risposta della cantina



Circola da alcune settimane, in Valpolicella, la voce che il colosso Bertani sia di nuovo in vendita. Sullo sfondo c’è la presunta trattativa in corso tra la proprietà, ovvero il Gruppo Angelini, e Recordati Spa, che potrebbe portare alla creazione di un grande polo italiano del farmaco. Un’operazione che, sempre secondo gli insistenti rumors, potrebbe determinare il futuro di Bertani e delle altre cantine controllate da Angelini. I nuovi partner non vedrebbero con favore il ramo vitivinicolo, suggerendo all’attuale proprietà di vendere per finalizzare l’accordo.

«La famiglia – fa sapere a Winemag il direttore generale di Angelini Wines & Estates, Alberto Lusini – ha approvato 8 milioni di investimenti in Hospitality e vigneti, nei prossimi tre anni. Nelle ultime settimane si è parlato anche di un possibile accordo con un altro gruppo farmaceutico. Sono rumors, ovviamente, trattandosi di trattative confidenziali e dall’esito non confermato». Bertani si è aggiunta nel 2011 alle realtà agricole e vitivinicole di Tenimenti Angelini, che già contavano le toscane Val di Suga, Tenuta Trerose, San Leonino, la friulana Cantina Puiatti.

L’ultimo investimento nel vino del noto gruppo farmaceutico è del 2015, con l’ingresso della marchigiana Fazi Battaglia, regina del Verdicchio dei Castelli di Jesi. Molto più recente il passaggio da Bertani Domains ad Angelini Wines & Estates, che risale solo al 2022. «Un nuovo capitolo della storia – commentava il gruppo – nel segno del rinnovato impegno della famiglia, che prende forza grazie ai valori che ispirano da sempre Angelini Industries, legati al concetto di prendersi cura». In definitiva? Bertani in vendita in Valpolicella o nelle altre zone è solo un rumors della zona. https://www.angeliniwinesandestates.com/. Il territorio è un elemento fondamentale e distintivo per le tenute. I nostri vini sono l’espressione più autentica delle diverse aree produttive, coerenti sia per stile sia per vitigni coltivati alla personalità che il genius loci esprime.

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Zenato smentisce Il Sole 24 Ore: «La cantina non è in vendita»


Zenato non è in vendita
. La cantina di Peschiera del Garda (Verona) smentisce le voci pubblicate da Il Sole 24 Ore. «Con riferimento alle notizie riportate sul quotidiano Il Sole 24 Ore del 19 ottobre 2024, ripreso da altre testate giornalistiche di settore – scrive 
Nadia Zenato, presidente del Consiglio di amministrazione di Zenato azienda vitivinicola Srl – smentisco categoricamente ogni ipotesi di cessione dell’azienda vitivinicola Zenato. I richiamati incontri sottotraccia con possibili pretendenti sono congetture giornalistiche, destituite di ogni fondamento».

«Parimenti – aggiunge Nadia Zenato – non c’è nulla di vero nelle presunte richieste di informazioni da parte di terze società vinicole, richieste mai pervenute. Dall’altro canto, rilevo con orgoglio il sempre maggior entusiasmo e il vigore con cui la nostra azienda è continuamente impegnata nella promozione della cultura del vino e del nostro territorio, anche grazie all’ideazione e allo sviluppo di importanti progetti legati alla sostenibilità e all’arte nelle sue diverse declinazioni». In altre parole, non solo Zenato non è in vendita, ma sta continuando a investire nelle tenute, nei territori del Lugana, della Valpolicella e del Bardolino.

Zenato cantina Peschiera del Garda

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Sei cantine italiane in vendita: ecco quali


«Riparte il valzer delle acquisizioni tra le cantine italiane». Come riportato dal Sole 24 Ore, sei cantine italiane sarebbero in vendita. Le recenti riduzioni del costo del denaro stanno favorendo una nuova campagna di acquisizioni in tutto il Paese, da Nord a Sud, con un crescente interesse per le realtà vinicole di alta qualità e forte identità territoriale. Mentre il mercato del vino fermo di fascia media mostra segnali di difficoltà nei consumi, gli spumanti e le bottiglie provenienti da aree a denominazione, con un posizionamento medio-alto, continuano a suscitare grande appeal tra gli investitori.

CASTELLO DI NEIVE IN VENDITA?

Tra le aree di maggiore interesse spiccano le Langhe, dove tornano a circolare voci su un possibile cambio di proprietà del Castello di Neive, storica cantina del Barbaresco. Nei mesi scorsi si era già parlato di un interesse da parte della cantina Argiano di Montalcino, ma di recente sarebbero emersi nuovi potenziali acquirenti. Tuttavia, la situazione interna dell’azienda risulta complicata, con Carolina Stupino, erede del fondatore, pronta a vendere, ma sarebbe – sempre secondo Il Sole 24 Ore – in contrasto con un altro azionista di rilievo, il finanziere greco Giorgio Psacharopulo, titolare del 30% delle quote. Le prossime settimane saranno decisive per capire se verrà raggiunto un accordo tra i soci.

ZENATO NEL MIRINO DI SANTA MARGHERITA, FERRARI E FANTINI GROUP?

Cantine italiane in vendita anche in Valpolicella, altra denominazione di grande prestigio nel mirino degli investitori. La cantina Zenato, noto marchio del vino italiano grazie a prodotti come Amarone, Ripasso della Valpolicella e Lugana, sarebbe nel mirino di diversi pretendenti. Nonostante un apparente accordo interno che ha portato alla nomina di Lorenzo Miollo come amministratore, proseguono incontri sottotraccia con grandi gruppi vinicoli italiani, tra cui Santa Margherita Gruppo Vinicolo, Cantine Ferrari e Fantini Group. Zenato rappresenta un brand di notevole valore, capace di attirare l’interesse di molti per la sua forza commerciale e la solidità dei suoi prodotti.

QUADRA FRANCIACORTA E MIRABELLA SUL MERCATO?

Non meno dinamica è la situazione in Franciacorta, dove alcune cantine potrebbero presto cambiare proprietà, spinte dalle difficoltà nel passaggio generazionale. È il caso di Quadra Franciacorta, azienda sul mercato per mancanza di eredi pronti a succedere al fondatore Ugo Ghezzi, e che sembra aver attirato l’interesse del Gruppo Unipol, già presente nel settore vinicolo con diverse realtà in Toscana e Umbria. Si confermerebbe coì difficilissimo, a Quadra, sostituire Mario Falcetti. Anche la cantina Mirabella potrebbe finire sul mercato, con il socio Giuseppe Chitarra intenzionato a cedere il suo 24%, nonostante l’opposizione della famiglia fondatrice Schiavi e di altri azionisti di rilievo.

VARVAGLIONE COMPRA CLAUDIO QUARTA? RUMORS SU CONTE SPAGNOLETTI ZEULI

Sul fronte delle cantine italiane in vendita, il Sud Italia non resterebbe escluso. In Puglia, la famiglia Varvaglione sarebbe vicina all’acquisto delle tre cantine di Claudio Quarta, due delle quali situate in Salento e una in Irpinia. Si tratta di Tenute Eméra, nelle terre del Primitivo di Manduria (Marina Di Lizzano, Taranto), Cantina Moros nella zona del Negroamaro (Guagnano, Lecce) e Cantina Sanpaolo, nel cuore dell’Irpinia (Tufo, Avellino).

Non resterebbe indenne dalla girandola di interessi e potenziali cambi di proprietà la Murgia. Sempre secondo quanto riferisce Il Sole 24 Ore, l’azienda e i vigneti di proprietà del Conte Spagnoletti Zeuli, ad Andria (Tenuta Zagaria e Tenuta San Domenico) potrebbero passare nelle mani di Casillo Group, nota nel settore agroalimentare per marchi come Molino Casillo e Birra Molina. Anche in questo caso, le trattative sarebbe vicine a una conclusione.

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Gaspari: «Signorvino? Zýmē non in vendita. E su Quintarelli e Dal Forno dico che…»


«Non ho venduto niente a nessuno, Zýmē non è in vendita». È quanto dichiara Celestino Gaspari, patron della prestigiosa cantina di San Pietro in Cariano, in Valpolicella. Smentite così, dal diretto interessato, le voci (molto insistenti) che circolano da qualche settimana in merito a un possibile acquisto da parte del Gruppo Signorvino, già agli onori delle cronache per l’operazione La Giuva della famiglia Malesani (andata ufficialmente in porto nel febbraio 2023).

Nell’affidare la smentita ufficiale in esclusiva a winemag.it, Celestino Gaspari va oltre. «Ho diversi pretendenti, anche nomi prestigiosi – dichiara – ma ad oggi non ho venduto Zýmē e non ho intenzione di vendere. Le voci che circolano in Valpolicella dimostrano che è il mio giro. Un po’ di anni fa è stato il turno di Quintarelli, poi quello di Dal Forno e adesso è il mio… Cosa devo farci? Non ho venduto e non sono in trattativa per farlo». Quel che è certo, è invece che la cantina di via Cà del Pipa 1 stia affrontando un periodo di profonda «ristrutturazione».

«Quello che sto facendo – chiarisce Gaspari – è avere le idee più chiare, aspettando che mio figlio diventi grande. Compirà 4 anni a gennaio 2024, quindi ho altri vent’anni davanti. Il mio compito adesso è ristrutturare bene l’azienda, a fronte di una serie di cambi avvenuti nell’ultimo periodo. Il mio obiettivo è avere per ogni comparto una persona referente di cui veramente mi fido, con capacità certe. Il tutto per ritagliarmi più spazio per muovermi e più spazio per me stesso. Questa è l’idea: fare in modo che mio figlio trovi un’azienda strutturata, per andare avanti e fare ancora meglio. Se invece vorrà fare altro, persino il calciatore, sarà libero di vendere al giusto valore».

DALLA SMENTITA AL FUTURO, «MA NON COME QUINTARELLI E DAL FORNO»

Gaspari commenta poi le sorti di altri due marchi storici della Valpolicella, allargando il campo ad alcune rivelazioni scottanti. «Onestamente – dichiara – non mi piacciono tanto le soluzioni adottate dai miei più stretti colleghi Quintarelli e Dal Forno. Anche loro hanno tirato, tirato, tirato… Poi si sono stancati e hanno fatto scelte un po’ tristi. Nel caso di mio suocero (Quintarelli, ndr) all’epoca ho proposto di fare una società in cui le quattro figlie sarebbero rimaste proprietarie. Ci sarebbe stata una certa liquidità da reinvestire e, contemporaneamente, liquidare un’altra parte. In questo modo si sarebbe data all’azienda una struttura tale da poterla fare crescere, anche in volumi, oltre che in prestigio. Alla fine, invece, la scelta è ricaduta su una figlia sola».

E sulla Dal Forno Romano: «Idem – chiosa Celestino Gaspari – con tre figli. Due hanno deciso di spostarsi altrove e fare dell’altro. A loro avevo proposto di acquistare un’azienda sui Colli Berici. I Berici, come i Colli Euganei, sono due zone che sono la “Bolgheri del Nord”. Hanno suoli e terreni importanti, hanno un microclima e vitigni importanti, storici. Gli ho detto di andar là, carichi dell’esperienza ricevuta dal papà e del nome che si portano sulle spalle, per fare un’azienda nuova: una cantina, da quelle parti, al giorno d’oggi costa ancora relativamente poco».

«Avrebbero fatto parlare della zona e di loro – continua il patron di Zýmē – come “primi” giunti sul posto. L’alternativa sarebbe stata quella di fare Amarone e Valpolicella sperando che il mercato dicesse loro di essere più bravi del fratello. Non il massimo, insomma». Insomma, altra carne sul fuoco sempre accesso della Valpolicella, che si conferma tra gli areali vitivinicoli più dinamici degli ultimi anni, in Italia. Dentro e fuori dal calice.

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Analisi e Tendenze Vino

Indagine Vinarius: cresce richiesta vini bianchi fermi in enoteca


Attraverso un questionario sottoposto ai 110 soci, VinariusAssociazione delle Enoteche Italiane, con un fatturato aggregato di 50 milioni di euro – è in grado di tracciare le previsioni sui vini che verranno maggiormente scelti durante il periodo invernale e natalizio.

Alla costante crescita del consumo dei vini rossi – in testa Barolo, Brunello, Primitivo e Amarone della Valpolicella – rispondono in primis gli spumanti. Il trend registrato vede infatti una crescita del 30% delle “bollicine”. La scelta del consumatore fra le diversi tipologie di spumante colloca al primo posto lo Champagne seguito dal Franciacorta, dal Trento Doc e dall’Alta Langa. Resta significativa anche la vendita di altri Metodo Classico di piccole cantine locali, presenti sugli scaffali degli enotecari che propongono vini del loro territorio.

Decisamente in crescita la sezione dei vini bianchi fermi: lo sostiene il 51,5 % degli intervistati. Previsti aumenti delle vendite compresi tra il 10 e il 20%. Tra i vini bianchi maggiormente richiesti ci sono lo Chardonnay o i vini con uvaggi a base Chardonnay e in seconda battuta il Gewürztraminer. La somma dei volumi di vendita di questi due vini equivale al 35%. Il restante 65% si distribuisce tra le referenze più disparate di bianchi autoctoni e semi aromatici. Appare dunque chiaro come, ancora una volta e ancor di più per i bianchi fermi, quello della territorialità sia un vero e proprio trend in forte crescita.

CLIMA DI «GENERALE INCERTEZZA» TRA GLI ENOTECARI ITALIANI

Nell’ultimo triennio non si sono registrate variazioni sensibili sui volumi di vendita dei vini da dessert e si prevede anche per il 2022 un andamento costante. Tra i vini da dessert maggiormente richiesti troviamo il Moscato d’ Asti, il Passito di Pantelleria e lo Zibibbo.

Quanto ai volumi dell’ultimo triennio, secondo il 43% degli intervistati da Vinarius si è riscontrato un calo delle vendite tra il 20 e il 40% rispetto all’estate 2021. Le ondate di caldo anomalo e prolungato che hanno caratterizzato l’estate 2022 hanno influito negativamente sulle vendite di prodotti alcolici in favore alle bevande analcoliche. Il 27% degli intervistati, invece, non ha avvertito sensibili differenze mentre il 30% ha registrato un aumento delle vendite tra il 10 e il 30%.

Anche rispetto alle previsioni sui volumi di vendita nella stagione invernale e durante il periodo natalizio le opinioni sono molto contrastanti tra di loro e il quadro che ne emerge è quello di generale incertezza. Secondo il 50% non ci saranno significative variazioni nelle vendite rispetto all’anno precedente. Il 32% invece crede ci saranno miglioramenti. Infine, il 18% teme che le vendite subiranno dei cali, anche a causa del periodo di crisi economica che sicuramente influenzerà le scelte d’acquisto degli italiani durante le festività.

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Vendita diretta vino e prodotti agroalimentari: governo verso la semplificazione

La semplificazione della vendita diretta di vino, in cantina, così come di tutti gli altri prodotti agroalimentari da parte delle imprese agricole, è una delle priorità del nuovo governo guidato da Mario Draghi.

Lo ha chiarito il ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Stefano Patuanelli, nel presentare ieri, martedì 9 marzo, le linee programmatiche del Mipaaf alla Commissione Agricoltura del Senato.

«La vendita diretta – ha dichiarato Patuanelli – è un’attività insostituibile e voce ogni giorno più importante per le imprese agricole, sempre più attente ad avere un rapporto diretto e di fiducia con i consumatori».

Si deve intervenire per semplificare le procedure, attraverso un miglioramento delle normative già oggi in essere e con nuove risorse per stimolare la nascita dei farmers market».

Più in generale, Patuanelli ha precisato che il governo ha intenzione di compiere «un lavoro mirato che dovrà essere svolto per le singole esigenze settoriali in ragione delle peculiarità di ciascuno».

Un riferimento implicito ai tavoli di filiera, come quelli su grano e pasta, olio, agrumi, zootecnico, birra, canapa, frutta in guscio, vino, ortofrutta, per citarne solo alcuni.

«Tutti – ha commentato il titolare del Mipaaf – rappresentano senza dubbio gli strumenti più adatti per la programmazione di interventi in grado di apportare valore aggiunto ai soggetti coinvolti e per operare scelte condivise e calibrate alle diverse realtà».

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Analisi e Tendenze Vino

Valtènesi 2020 sul mercato il 14 febbraio: «Annata brillante per il vino rosa del Garda»

Sarà sul mercato dal 14 febbraio il Valtènesi 2020, la nuova annata del vino prodotto sulla sponda bresciana del Lago di Garda. «Dal punto di vista qualitativo siamo soddisfatti», commenta il direttore del Consorzio di Tutela, Carlo Alberto Panont. Un dettaglio che giova al trend di crescita della Denominazione, pari al 10% all’anno, negli ultimi 7 anni.

«Il 2020 è stata un’annata ideale per i colori molto tenui e per acidità rilevanti – continua – l’andamento climatico ci ha penalizzato sul carico produttivo e ha evidenziato delle precocità di maturazione, per una vendemmia che fin dall’inizio è apparsa destinata a dare risultati brillanti per i vini rosa della Valtènesi».

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Esteri - News & Wine news news ed eventi

Sudafrica, divieto vendita e consumo vino: i produttori portano il Governo in Tribunale

Finisce in Tribunale la querelle che vede protagonisti i produttori di vino del Sudafrica e il governo guidato dal presidente Matamela Cyril Ramaphosa. Stremata da mesi di “proibizionismo”, o meglio dal divieto di vendita e consumo di alcolici intimato da Pretoria nell’ambito delle misure anti Covid-19, l’industria vitivinicola sudafricana ha deciso di prendere di petto la situazione. Passando alle vie legali.

È atteso per il 5 febbraio 2021 il pronunciamento dell’Alta corte di giustizia del Western Cape a cui si è rivolta Vinpro, associazione che raccoglie 2.575 produttori di vino del Sudafrica.

La non-profit di Paarl chiede «urgenti provvedimenti provvisori» che darebbero al premier del Capo Occidentale, Alan Winde, esponente di spicco dell’Alleanza Democratica sudafricana, il potere di adottare «misure ad hoc per consentire la vendita e il consumo di alcolici» in casa, ma anche nei ristoranti e nei supermercati.

Solo la prima tappa, il Western Cape, per poi procedere alla medesima richieste nei tribunali delle altre province. Gioca a favore di Vinpro il numero di nuove infezioni, casi attivi e ricoveri ospedalieri, che sta diminuendo rapidamente in tutto il Paese. In particolare proprio nel Capo Occidentale.

«In queste circostanze – sottolinea l’associazione guidata dal managing director Rico Basson – il divieto su vino e alcolici non è più giustificato nel Western Cape. Se sarà ancora in vigore entro il 5 febbraio, l’Alta Corte del Capo Occidentale dovrà a nostro avviso invalidare il divieto del ministro della Salute, Nkosazana Dlamini-Zuma, con effetto immediato».

La partita è aperta proprio sul fronte dei dati divergenti che arrivano dalle varie province. «È necessario un approccio più flessibile e agile, basato su dati empirici credibili – sottolinea Vinpro – grazie al quale l’esecutivo provinciale potrebbe fare da garante sulla vendita al dettaglio, per il resto della pandemia».

Sebbene il divieto di alcolici sia stato introdotto affinché gli ospedali abbiano la capacità di curare i pazienti, la pandemia colpisce le province in modo diverso e le capacità di reazione degli ospedali sono quindi diverse di zona in zona.

Nonostante ciò, il governo non ha mai differenziato le province nell’attuare o revocare il divieto sugli alcolici. Ha invece imposto un divieto a livello nazionale, poi lo ha nuovamente revocato e reintrodotto, senza riguardo per le circostanze nelle singole province».

Una situazione che sta mettendo a rischio centinaia di cantine e attività che operano nel settore della ristorazione e del turismo. «Oltre al divieto di vendita di vino e alcolici che interessa tutti i canali, dai ristoranti ai supermercati sudafricani – sottolinea l’importatore italiano di Vinisudafrica.it, Fabio Albani (nella foto sopra) – il Paese ha dovuto addirittura fare i conti con la chiusura delle spiagge».

«In Sudafrica l’estate sta ormai volgendo al termine – aggiunge – e la vendemmia 2021 è alle porte. Ma è come se la stagione estiva non fosse mai iniziata, con misure che hanno fortemente condizionato la vita di molte aziende operanti nel settore dell’Horeca. Molte cantine non sopravviveranno a questa crisi e dovranno chiudere».

Le misure del Governo potrebbero avere riflessi anche sull’export: «Ci aspettiamo listini al rialzo nei prossimi mesi del 2021 – preannuncia Albani – e ulteriori contraccolpi sia a livello locale che internazionale per i vini del sudafrica. Lo smart working di questi mesi ha peraltro rallentato ulteriormente la velocità di risposta e ‘reazione’ di molte aziende, in un Paese in cui la popolazione è abituata di per sé a vivere senza troppa fretta».

I numeri della crisi dell’industria del vino sudafricano, settore in grado di generare 55 miliardi di Rand all’anno in valore (2,9 miliardi di euro) parlano chiaro. Le restrizioni dettate dall’emergenza Covid-19 hanno causato una perdita di oltre 8 miliardi di Rand (oltre 435 milioni di euro) nelle vendite dirette.

A rischio, secondo Vinpro, 27 mila posti di lavoro. E con il Paese ormai pronto alla vendemmia si contano 640 milioni di litri in giacenza (la capacità produttiva del Sudafrica è pari a circa un sesto di quella dell’Italia) di cui 300 milioni non contrattualizzati.

«Ciò rappresenta un rischio non indifferente – sottolinea la non-profit – per via dell’insufficienza di spazi per la lavorazione e lo stoccaggio delle uve del nuovo raccolto, da parte di molte cantine. In pericolo c’è la sostenibilità di tutta l’industria del vino sudafricano. Anche per questa ragione i divieti a livello nazionale non possono che essere giudicati eccessivi, non necessari, ingiustificati e, in definitiva, controproducenti».

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Gli Editoriali news news ed eventi

Dalle 18 il vino si compra in macelleria ma non in enoteca. E i Consorzi? Muti

EDITORIALE – Silenzio assordante dei Consorzi del vino italiano in seguito all’ultimo Dpcm (16 gennaio 2021) e alle proteste degli enotecari di Vinarius, che hanno scritto al premier Giuseppe Conte chiedendo una rettifica della norma. Per effetto del decreto, le enoteche non potranno vendere vino da asporto a partire dalle ore 18.

Divieto che non vale per negozi non specializzati come supermercati (grande distribuzione), ma anche macellerie e gastronomie. Insomma, per tutte quelle attività con Codice Ateco diverso dal 47.25 (“Commercio al dettaglio di bevande in esercizi specializzati”) ma che comunque vendono vino e alcolici.

Mentre il Consorzio Tutela Vini Montefalco tira dritto per la sua strada e continua a investire nella pubblicità dell’e-commerce istituzionale (“vini a prezzi di cantina” recita l’ultimo spot, alla faccia dell’Horeca), a condividere la posizione di Vinarius sono il Consorzio del Brunello di Montalcino e l’ente Vini dei Colli Euganei.

Nulla di eclatante, anche in questo caso: condivisione sui social della lettera firmata dal presidente Vinarius, Andrea Terraneo indirizzata a Conte, senza ulteriore commento o “virgolettato” di protesta.

Il Dpcm 16 gennaio mette Enoteche contro Supermercati. Vinarius: «Noi discriminati»

Tutti gli altri in silenzio, insomma, come se andasse bene così. Bocche cucite non solo nei Consorzi, ma anche nei sindacati, nelle associazioni e nelle Federazioni come Coldiretti, Confagricoltura e Fivi, la Federazione italiana vignaioli indipendenti. E se fosse accaduto il contrario?

La risposta arriva dalla Lombardia ed è già nella storia. Lo scorso ottobre, la giunta guidata da Attilio Fontana è stata costretta a eliminare il divieto di vendita di alcolici dalle ore 18 nei supermercati, dopo la valanga di proteste arrivate in poche ore al “Pirellone” da produttori (e Consorzi, Chianti in testa) di mezzo Paese.

In questo senso, la Grande distribuzione organizzata dimostra così di essere, per l’ennesima volta, il settore su cui vige un’ipocrisia dilagante tra produttori e Consorzi del vino italiano: polvere dorata, da mettere sotto il tappetto. Non se parli e non la si irriti, purché continui a vendere. Anche a discapito dell’Horeca. Cin, cin.

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“Capichera non è in vendita”. La smentita della cantina sarda

Capichera non è in vendita per 18 milioni di euro. La smentita ad alcune indiscrezioni di stampa arriva direttamente dalla cantina sarda situata ad Arzachena (SS), in Gallura. Che, anzi, rilancia il suo impegno nella produzione di alcuni tra i migliori vini della Sardegna.

“Quello che possiamo sottolineare ad oggi – sottolinea anzi sui social la cantina sarda – è che, anche nel terribile anno della pandemia 2020, siamo felici di aver esaurito la disponibilità di tutti i nostri vini in vendita, come da consuetudine ormai da anni e di aver ricevuto importanti premi e riconoscimenti in tutto il mondo”.

La smentita alle voci di una possibile vendita della cantina è netta: “È vero che nello scorso aprile abbiamo ricevuto da un primario operatore internazionale un’offerta d’acquisto per l’azienda di 18 milioni, ma è altrettanto vero che è stata prontamente rifiutata”, si legge nella nota affidata ai canali social ufficiali di Capichera.

Nel corso degli anni abbiamo costantemente ricevuto delle proposte di acquisizione ed è presumibile che ne arriveranno delle altre. Crediamo infatti che siano dinamiche abbastanza naturali nel mercato ed è per noi motivo di orgoglio, a distanza di 40 anni dalla fondazione di Capichera, ricevere ancora tante attenzioni e attestati di stima che evidenziano la qualità del nostro lavoro e il pregio dei nostri vini”.

“Ora – conclude la cantina di Arzachena – attendiamo, con l’entusiasmo e la passione di sempre, il confronto con i nostri clienti sulle prossime annate continuando a prenderci cura delle nostre vigne con dedizione e rispetto per la nostra meravigliosa terra Sarda e Gallurese, guardando al futuro con rinnovata fiducia”.

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Vini al supermercato

Covid-19 Lombardia, corsie vino chiuse al supermercato: cantine e Consorzi in rivolta

Ha scatenato un turbinio di polemiche l’ordinanza di Regione Lombardia che vieta la vendita di alcolici dalle ore 18. Il provvedimento “anti movida”, varato per arginare Covid-19, comporta tra l’altro la chiusura delle corsie di vino, birra e bevande alcoliche al supermercato. Da giovedì 22 ottobre sarà inoltre coprifuoco per le strade, dalle ore 23.

Duri gli attacchi della clientela, che giudica “proibizionista” la misura del governatore della Lombardia, Attilio Fontana. In molti si riallacciano alle parole di Giorgia Meloni, che ha giudicato il Dpcm del Governo “più utile a combattere la cirrosi epatica che il Coronavirus”.

Non a caso, l’articolo pubblicato da Vinialsupermercato.it e rilanciato anche da altre testate nazionali (con foto rubate alla nostra redazione, come nel caso de Il Fatto Quotidiano), ha fatto il giro del web e scatenato anche l’ira di numerosi produttori di vino. Dal Nord al Sud Italia.

Dalla provincia di Pavia l’attacco di Torrevilla: “Ho indirizzato una mail all’assessore Rolfi – annuncia a Vinialsuper il presidente della cantina oltrepadana, Massimo Barbieri (nella foto, a destra) – mi auguro sia abbastanza chiara per spiegare tutto il mio disappunto per la chiusura delle corsie del vino al supermercato, dalle ore 18″.

“È un provvedimento assurdo: non ritengo che le persone che escono dal lavoro dopo le 6 del pomeriggio e intendano acquistare una bottiglia di vino siano le stesse che, in serata, facciano della movida sconsiderata. I ragazzi, tra l’altro, sono liberi di accedere ai supermercati anche di giorno: il provvedimento, in questo senso, penalizza il consumo famigliare“.

“Quella del governatore Fontana – attacca Barbieri – è un’ordinanza veramente pesante, difficile da capire. Le cantine, già penalizzate dalle perdite nel canale Horeca, nei 3 mesi di lockdown, lavorano ancora oggi al 50% del potenziale. Aggiungere anche questa ulteriore penalizzazione per le aziende di produzione e commercializzazione è una cosa veramente pesantissima”.

“Mi chiedo se chi scrive queste ordinanze abbia un minimo collegamento con la realtà: ho dei seri dubbi. Tra l’altro, da febbraio 2020, quindi con i primi casi di Covid-19, Torrevilla non ha avuto alcun piacere di avere un colloquio a livello istituzionale con chi ci amministra in Regione Lombardia: sono molto deluso“, conclude il presidente di Torrevilla.

Stesso disappunto espresso anche da Andrea Giorgi, presidente del gruppo Terre d’Oltrepò e La Versa, “Ancora una volta siamo stati colpiti da un’ordinanza che mette a dura prova il nostro lavoro. Da noi, in cantina, viene l’appassionato e il winelovers, non certo il giovane che intende fare assembramento. Siamo costretti a subire una chiusura anticipata quotidiana che ci penalizza in un momento così complicato per la vendita del vino. Avanzerò con una lettera le mie perplessità alla Regione:”

Duro anche il commento che arriva dalla Puglia, da una delle cantine più attive nella Grande distribuzione: “L’ordinanza regionale che impone lo stop alla vendita di vino e prodotti alcolici dopo le ore 18 al supermercato – sottolinea Luca Buratti, direttore vendite Italia Gdo di Notte Rossa – appare l’ennesima dimostrazione di come la politica non abbia nessuna competenza su ciò che fa“.

“Le motivazioni di tale decisione sono avvolte nelle nebbie lombarde, che in questo periodo sono tornate a farsi vedere, ma cercando di usare il buon senso, anche se qui sembra totalmente smarrito, si potrebbero ipotizzare due motivazioni alla base della decisione”.

Continua Buratti: “La prima, che sembra simile a quanto fatto per il non food durante il lockdown, potrebbe essere una sorta di “non concorrenza obbligata” della Gdo verso l’Horeca“.

“Se quest’ultima non può vendere alcolici, allora anche la Gdo non lo deve fare. Balza agli occhi di tutti che è sufficiente fare la spesa alle 17 e portarsi a casa tutto quello che serve”.

“Peraltro – aggiunge il direttore vendite di Notte Rossa (nella foto, sotto) – in questo periodo un po’ di alcol potrebbe alleviare lo stress. Ma allora non dovrebbero nemmeno vendere beni alimentari, visto che il divieto per i cittadini vale per ‘consumazione di alimenti e bevande su aree pubbliche’. Per altro confermato anche dall’obbligo di chiusura dei distributori di alimenti e bevande“.

“La seconda, non meno strampalata, potrebbe derivare dall’idea che se l’Horeca non può vendere alcolici dopo le 18 per evitare assembramenti esterni ai locali, allora la gente potrebbe andare al supermercato ad acquistare il famigerato prodotto, causa di raduni oceanici e feste pro Covid-19″, continua Buratti.

“Il mio buon senso non mi fa ipotizzare null’altro. Dando però spazio alla fantasia (fantascienza) potrei spingermi a pensare che non sapendo che cavolo fare e non avendo la minima idea delle dinamiche dei consumi, abbiano scelto questa strada tirando a casaccio i dadi o estraendo a sorte un provvedimento qualsiasi con lo scopo di far vedere che sono capaci di decidere e di fare”

L’attacco di Notte Rossa all’ordinanza di Regione Lombardia prosegue su toni molto accesi: “Questa situazione, dove ogni governatore fa quello che vuole, spesso random e senza logica, deriva dal fatto che il governo centrale non è assolutamente capace di fornire linee guida precise ed esatte, obbligando le regioni a seguirle con diligenza assoluta”.

Fa eco Paolo d’Adamo, neo responsabile vendite Gdo di Cantine Settesoli, realtà di Menfi, in Sicilia: “Penso e credo sia ancora presto per vedere effettivamente dei riscontri del provvedimento sulle vendite, che temo saranno negativi. Avremo un effetto, seppur limitato, sulle vendite in Gdo. Non ci aiuta, peraltro, sul fronte dell’Horeca, l’ulteriore decisione di Regione Lombardia relativa al coprifuoco dalle ore 23″.

Tra le critiche, anche quella del Consorzio Vino Chianti: “Vietare dalle 18 la vendita del vino nei supermercati, nelle enoteche, in tutti gli esercizi commerciali e artigianali, è una follia, un attacco al buon senso, un provvedimento incomprensibile”, commenta il presidente Giovanni Busi.

“Si vuole attaccare e criminalizzare il vino – continua – come fosse la causa degli assembramenti. La cosa incredibile, e che ci stupiamo non venga colta è che ad essere penalizzate sono soprattutto le persone che dopo il lavoro fanno la spesa e magari per cena comprano una bottiglia di vino”.

“Di solito i giovani, a cui crediamo sia rivolta questa misura, hanno più tempo libero: il vino possono comprarlo anche prima delle 18 e poi berlo fuori, per strada. Non è difficile da comprendere, ma di cosa stiamo parlando?”, chiede il presidente del Consorzio Vino Chianti, in rappresentanza dei produttori toscani. Tra questi anche Mario Piccini, che ha indirizzato una lettera ad Attilio Fontana.

La preoccupazione per le ripercussioni di questa misura sono tante. “Attaccare il settore nel canale della grande distribuzione, l’unico che ha retto e ha garantito nel corso della pandemia la sopravvivenza di molte aziende, significa non comprendere la gravità della crisi che sta mettendo in difficoltà imprese e lavoratori. La Regione Lombardia ci ripensi”, conclude il presidente del Consorzio Vino Chianti.

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Esteri - News & Wine

Covid-19, Sudafrica: industria del vino sul piede di guerra per divieto vendita alcolici

Continua il braccio di ferro tra l’industria del vino e il governo del Sudafrica. Per limitare l’abuso e il consumo di alcol, considerato d’ostacolo alle cure contro Covid-19, il presidente Cyril Ramaphosa ha introdotto alla fine di marzo 2020 il divieto di vendita di bevande alcoliche in tutto il Paese. Nel mirino anche la vendemmia 2020 e le esportazioni, poi riattivate da Pretoria su pressione delle associazioni di categoria.

“L’industria del vino sudafricana, incluso il turismo del vino, è in uno stato di disastro – denuncia Rico Basson (nella foto, sotto) amministratore delegato dell’ente dell’industria vinicola Vinpro – è necessario un intervento urgente, altrimenti una delle industrie agricole più antiche del paese non sopravviverà”.

Molte aziende vinicole hanno già chiuso a causa delle restrizioni commerciali precedenti e attuali, e il resto del settore semplicemente non sopravviverà al prolungarsi del divieto di alcol, lasciando decine di migliaia di dipendenti senza alcun reddito, possibilità o speranza”.

L’industria del vino sudafricano è favore “a riaprire il commercio interno e la distribuzione con tutte le norme di salute e sicurezza necessarie, concentrandosi sul cambiamento dei comportamenti in merito alla produzione, promozione, commercio e consumo responsabili”.

Una posizione che trova d’accordo, a livello istituzionale, il governo del Western Cape, il Capo Occidentale del Sudafrica, che ha chiesto “la riapertura sicura di tutte le attività commerciali e la vendita interna di alcolici, insieme a interventi mirati”.

Il premier locale, Alan Winde, è convinto che questa sia una soluzione ottimale: “Fintanto che il Western Cape può garantire l’accesso alle strutture sanitarie per tutti i pazienti con Covid-19, il divieto temporaneo di vendita di alcol dovrebbe essere revocato immediatamente, in concomitanza con l’implementazione di interventi intelligenti per frenare gli impatti negativi dell’alcol nel medio-lungo termine”.

Vinpro prosegue dunque le trattative con il governo centrale avviate sin da marzo 2020: in discussione, all’inizio del lockdown, erano state messe anche le operazioni legate alla vendemmia, ormai alle porte.

“Da quando è stato annunciato lo stato di crisi e l’intero Paese è stato completamente bloccato – sottolinea ancora Rico Basson di Vinpro – abbiamo negoziato con il governo per consentire all’industria del vino di completare la vendemmia 2020 e quindi di consentire le esportazioni e il commercio interno”.

Comprendiamo la gravità della situazione allora e adesso e abbiamo sostenuto e ancora sosteniamo gli sforzi del governo per salvare vite umane. Ci impegniamo al contempo a garantire che l’industria del vino aderisca a tutte le normative, con le informazioni e i protocolli di sicurezza necessari”.

“Salvare vite umane, tuttavia – continua Basson – deve essere in attento equilibrio con il salvataggio dei mezzi di sussistenza delle persone. Il vino è un prodotto agricolo, è stagionale, il che significa che le viti non aspettano che vengano tolte le restrizioni commerciali prima di produrre uva”.

In Sudafrica risultano quasi 300 milioni di litri di vino in eccedenza, in giacenza della cantina. “Molti potrebbero non avere spazio per il nuovo raccolto. La situazione è disastrosa”, denuncia Basson.

“Anche per questo motivo Vinpro, insieme al resto della filiera – annuncia l’ad dell’associazione di categoria sudafricana – ha lavorato per stabilire un nuovo patto sociale che perfezioni soluzioni a breve, medio e lungo termine e interventi mirati alle sfide sociali legate all’abuso di alcol e al suo impatto nel settore sanitario”.

“In qualità di custodi dell’industria vinicola sudafricana, ci sforziamo di garantire il futuro della nostra industria per le generazioni a venire. Scegliamo quindi di lavorare con il governo su soluzioni che stabilizzeranno il settore in questo momento, lo ricostruiranno a medio termine e faranno crescere il settore a lungo termine”.

L’industria del vino del Paese africano ha richiesto e analizzato i dati empirici su cui è stata formulata la decisione di divieto di vendita del vino e delle altre bevande alcoliche.

Vinpro ha proposto e accettato una serie di condizioni che sarebbero servite come prerequisiti per revocare il divieto, inclusi impegni su progetti di sostegno del sistema sanitario, azioni di marketing e promozione sulle conseguenze dell’abuso di alcol, nonché la creazione di un “pool” che sorvegli sull’attuazione delle norme a breve, medio e lungo termine.

“Un patto sociale è un accordo tra varie parti, non una decisione unilaterale. È un dare e avere. Al momento siamo frustrati dalla mancanza di impegno da parte del governo sui prossimi passi d’azione”, denuncia Rico Basson.

Nuove decisioni del governo sono attese dal 15 agosto, una data che potrebbe rivelarsi decisiva per le sorti future dell’industria del vino del Sudafrica. Secondo stime di Vinpro, il divieto iniziale di nove settimane sulle vendite locali e il divieto di cinque settimane sulle esportazioni comporteranno il fallimento di oltre 80 aziende vinicole e 350 produttori di uva da vino.

Una tragedia che si ripercuote sull’occupazione, con la potenziale perdita di oltre 21 mila posti di lavoro in tutta la filiera. Cifre che potrebbero salire drasticamente nei prossimi 18 mesi, qualora il divieto di consumo di vino e bevande alcoliche non fosse eliminato in Sudafrica.

Come sottolinea il presidente di Vinpro, Anton Smuts, l’industria del vino sudafricano è dominata da piccole imprese – il 40% degli agricoltori produce meno di 100 tonnellate di uva e un ulteriore 36% meno di 500 tonnellate – di cui la maggioranza “non dispone di finanziamenti temporanei sufficienti per ovviare alle mancate vendite e all’attuale siccità finanziaria”.

“La viticoltura – continua Smuts – è una delle industrie agricole più antiche del Sudafrica, le nostre uve sono coltivate da 2873 agricoltori e dai loro 40 mila dipendenti e i nostri vini sono prodotti da enologi esperti e dai loro assistenti nelle nostre 533 cantine, con molti più fornitori di input e fornitori di servizi nel la catena del valore dipende dalla riapertura del mercato”.

Per ogni posto di lavoro in un’azienda agricola, vengono creati altri 10 posti di lavoro nel resto della catena del valore. Siamo stufi della situazione. Il divieto è servito allo scopo e dovrebbe essere revocato immediatamente”. 

L’ad Basson ricorda inoltre che “l’industria del vino comprende che la situazione attuale rimane estremamente complessa, ma a causa del calo del tasso di contagi nel Western Cape e in altre province, l’aumento della capacità negli ospedali e le proposte concordate, non c’è assolutamente alcun motivo per mantenere l’attuale divieto di vendita di vino in atto”.

Quando è troppo è troppo – conclude – anche perché, pensandoci razionalmente, il divieto non ha più senso. Abbiamo fatto del nostro meglio per salvare vite umane. Ora è giunto il momento di salvare i mezzi di sussistenza delle persone che lavorano e dipendono dall’industria del vino sudafricana”.

 

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Covid-19, Busi invita alla mobilitazione: “Fra pochi mesi 40% Toscana in vendita”

Dopo l’Alleanza delle cooperative vinicole è il Consorzio Vino Chianti a lanciare da Firenze – in occasione dell’assemblea dei soci – un disperato appello al governo italiano, in merito alle conseguenze di Covid-19 e del lockdown sul settore vitivinicolo. L’invito è quello alla mobilitazione. “Il tempo è finito – attacca il presidente Giovanni Busi – e non c’è più possibilità di andare avanti. Se si continua così, senza alcun sostegno, nei prossimi mesi il 40% della Toscana sarà in vendita”.

“È arrivato il momento di mobilitare tutto il mondo del vino toscano – ha aggiunto Busi – per farci ascoltare. In questa fase non possiamo permetterci il lusso di restare ancorati ai soliti campanili. Per la Toscana il mondo del vino rappresenta una componente imprescindibile per il rilancio dell’economia regionale”.

Le aziende chiuderanno e diventerà il più grande boomerang mai visto prima dal punto di vista patrimoniale. E questo coinvolgerà tutti. Chiuderanno aziende grandi e piccole, blasonate o meno. Ci rimetterà tutta la regione senza alcuna possibilità di tornare indietro”.

“Siamo rimasti soli – denuncia ancora il presidente del Consorzio Vino Chianti – nonostante gli annunci del Governo le nostre aziende stanno cercando di superare questa crisi senza precedenti facendo affidamento esclusivamente sulle proprie forze”.

Noi imprenditori agricoli siamo abituati alla sofferenze e ai sacrifici: ogni anno la nostra produzione dipende dalle condizioni climatiche che nel giro di qualche giorno, senza preavviso, possono compromettere le nostre colture e la stabilità dell’azienda. In un momento come questo però non ci aspettavamo che la distanza fra i problemi delle imprese e le Istituzioni fosse così abissale”.

In questo quadro dominato dall’incertezza, non è ancora chiaro quali saranno le fiere che riprenderanno. “Non sappiamo ancora quando potremo ripartire con la nostra attività promozionale – ha spiegato Busi – un capitolo fondamentale per l’export che fino ad oggi rappresentava il 70% del nostro mercato“.

“È evidente che se non dovessero ripartire in Europa e nel mondo i grandi eventi legati al mondo del vino, rischiamo di veder compromesse le nostre vendite, già duramente colpite dalla chiusura del canale Horeca in questi mesi”, ha concluso Busi.

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Vinitaly 2017: più spazio a Piemonte, Toscana e Sardegna. E un nuovo padiglione

Aziende vitivinicole già al lavoro per la prossima edizione di Vinitaly, in programma dal 9 al 12 aprile 2017 (www.vinitaly.com). Proprio dalla conferma quasi totale delle iscrizioni delle singole imprese presenti lo scorso anno e dal numero di new entry arriva il primo segnale della dinamicità del settore enologico italiano. Ed è quello, inequivocabile, di una maggiore propensione ad investire in prima persona nella partecipazione alla fiera con stand individuali, marchio e stile riconoscibili.

“Per essere attrattivi nei confronti degli espositori – dice Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere – abbiamo messo in campo negli ultimi anni nuovi servizi e progressivi rinnovamenti dei padiglioni, che già per l’edizione 2017 garantiscono più spazio per aumentare il numero di cantine, con un miglioramento complessivo del layout del quartiere fieristico. Inoltre, il piano industriale del prossimo quadriennio di Veronafiere – prosegue Mantovani – destina 72 milioni su 94 al miglioramento delle infrastrutture di quartiere, alla digital transformation e alla costruzione di parcheggi per oltre 3.000 posti auto”.

LE NOVITA’ 2017
Cresce il Piemonte, grazie all’ampliamento e al restyling del padiglione 10: un miglioramento che incontra le esigenze di accogliere le richieste di nuovi espositori e dall’altro per alcune cantine di posizionarsi all’interno della propria area geografica di riferimento.

Aumentano l’area espositiva anche i produttori della Sardegna nel padiglione 8, quello che ospita i saloni speciali Vinitalybio e Vivit-Vigne Vignaioli Terroir e della collettiva Fivi (Federazione italiana vignaioli indipendenti). Novità pure per Toscana e Vininternational, con la creazione di un grande spazio espositivo di circa 4.000 metri quadrati che sostituisce le due tensostrutture separate allestite fino all’edizione 2016.

“Il rinnovamento del layout – sottolinea Gianni Bruno, area manager di Vinitaly- permette ad alcune aziende di collocare il proprio stand nel padiglione della propria regione o ad alcune di rientrare con una partecipazione importante e di immagine”.

Tra i nuovi arrivi, per la prima volta a Vininternational cantine da Usa e Regno Unito, che si aggiungono alla collettiva spagnola realizzata in collaborazione con Icex e agli espositori di Svizzera, Francia, Azerbaijan, Georgia, Croazia, Argentina, Portogallo, Australia e Sudafrica.

Per i buyer esteri il servizio free badge e incontri b2b con Taste & Buy. Da gennaio sarà operativo per gli espositori il servizio di invito degli operatori esteri tramite Vinitaly, con invio dei free badge per l’ingresso gratuito. Attivato nel 2016, ha dato immediatamente ottimi riscontri, facilitando la gestione degli inviti da parte della aziende e migliorando la qualità degli operatori, grazie alle verifiche effettuate direttamente dalla Fiera. Per il b2b puro, confermata l’iniziativa Taste & Buy, che organizza incontri tra i buyer esteri dell’incoming realizzato direttamente da Vinitaly e le aziende espositrici, la cui richiesta di partecipazione cresce di anno in anno.

ASPETTANDO VINITALY
Tanti appuntamenti prima di Vinitaly. A precedere il salone veronese molte le iniziative realizzate sotto il marchio di Vinitaly, pensate per promuovere i vini e offrire strumenti di marketing alle migliori aziende. A fare da filo conduttore, tra gennaio e marzo, le tappe di Vinitaly International a San Francisco, New York, Miami, Houston e a Chengdu in Cina (www.vinitalyinternational.com/calendar).

In programma l’1 marzo il Concorso Internazionale Packaging, mentre dal 31 marzo al 2 aprile torna il 5 Star Wines Award con in contemporanea il primo giorno (31 marzo) il premio Wine without Walls, dedicato ai vini senza solfiti o con un contenuto non superiore a 40 mg/l (per tutte le competizioni iscrizioni aperte sul sito www.vinitaly.com).

Alla vigilia di Vinitaly, l’8 aprile, il calendario il grand tasting OperaWine (www.operawine.it le aziende e i vini del 2017) a cura di Vinitaly International, anticipato dal 4 all’8 aprile dal corso di certificazione della Vinitaly International Academy (www.vinitalyinternational.com/vinitaly-international-academy).

SOL&AGRIFOOD E ENOLITECH
Sol&Agrifood ed Enolitech. In contemporanea con Vinitaly si svolge Sol&Agrifood (www.solagrifood.com), preceduto dal 15 al 20 febbraio da Sol d’Oro Emisfero Nord e, nei giorni del 20 e 21 febbraio, dagli Evoo Days, la nuova iniziativa di formazione e informazione dedicata agli operatori della filiera dell’olio extravergine di oliva. Con Vinitaly anche Enolitech (www.enolitech.it), da quest’anno ancora più integrato con i padiglioni di Vinitaly, grazie a un ulteriore avvicinamento del padiglione F che lo ospita al padiglione del Piemonte (pad. 10).

I 29 mila wine lover del 2016 trovano anche nel 2017 il loro spazio di degustazione, cultura del vino e convivialità a Vinitaly and the City, da venerdì 7 a martedì 11 aprile. Dopo il potenziamento dello scorso anno del fuori salone, con un programma ampliato e più diffuso nei luoghi storici della città, Veronafiere riconferma la volontà di tenere nettamente separati i momenti b2c da quelli b2b nel quartiere fieristico.

IL NODO VIABILITA’
L’obiettivo di una mobilità sostenibile in termini di efficienza e ambientali verrà perseguito rafforzando i servizi di trasferimento tra i parcheggi scambiatori dislocati in prossimità delle uscite autostradali, oltre che dalla stazione ferroviaria di Verona Porta Nuova, dal centro città e dall’aeroporto Valerio Catullo di Verona-Villafranca. Tutti gli aggiornamenti e le informazioni sulla viabilità da gennaio sul sito di Vinitaly,
 nei comunicati stampa e sui social di Veronafiere.

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La crisi del vino novello spiegata da Cavit

Trecentoquarantamila bottiglie. Si assesta su queste cifre la produzione di vino novello da parte di Cavit, Cantina Viticoltori del Trentino. Cifre in decremento. Così come in picchiata risultano, su scala nazionale, le vendite di vino novello. Una crisi senza fine, quella del corrispettivo italiano del Beaujolais nouveau francese. Il primo nettare della vendemmia, ottenuto (almeno parzialmente) mediante macerazione carbonica, ha perso il fascino di 10 anni fa. In Italia se ne producevano 10 milioni di bottiglie. Oggi 2 milioni. Il minimo storico, come sottolinea la stessa Coldiretti.

“Indubbiamente – spiega Susi Pozzi, direttore Marketing Italia di Cavit S.C. – il mercato del Novello negli anni ha subito un ridimensionamento, sia dal punto di vista delle bottiglie totali sia del numero di produttori. E’ un prodotto che ha raggiunto la fase di maturazione e declino. Le motivazioni sono diverse: un calo generalizzato del consumo di vino, la perdita ‘dell’effetto attesa’, dopo la modifica della data del cosiddetto ‘deblocage‘ del 6 novembre, una costante rincorsa all’anticipo del Natale che ha eroso ‘spazio/tempo’ alla vendita di questo prodotto, in particolare nel canale Gdo”.

Eppure, per Cavit, la produzione di vino novello rappresenta un segmento importante. “Il nostro novello Fiori d’Inverno è leader nel canale Gdo – precisa ancora Pozzi – mentre Terrazze della Luna è dedicato al canale Horeca. Il novello, per Cavit, rappresenta ancora un prodotto importante, che sosteniamo con eventi ad hoc per comunicare al consumatore e agli opinion leader la peculiarità dell’uva Teroldego, particolarmente adatta alla tecnica della macerazione carbonica, oltre alle caratteristiche distintive dei nostri Novelli”.

IL NOVELLO DI CAVIT
L’Igt Vigneti delle Dolomiti “Fiori d’Inverno”, destinato ai supermercati, è un vino di pronta beva, preparato e proposto al consumatore già un mese dopo la fine della vendemmia. La zona di produzione è il Campo Rotaliano, nei comuni di Mezzolombardo, San Michele all’Adige e tra le colline coltivate a vite di Roverè della Luna. In particolare, “Fiori d’Inverno” nasce dalle uve di due vigneti autoctoni trentini: Teroldego e Schiava Gentile, che contribuiscono al blend rispettivamente al 70 e al 30%.

La tecnica usata per la vinificazione del Teroldego è la macerazione carbonica: le uve, perfettamente sane e mature, vengono fatte sostare intere e non pigiate in tini di acciaio inox in ambiente saturo di anidride carbonica. Durante questo periodo avviene la fermentazione intracellulare con estrazione delle sostanze aromatiche più delicate presenti nella buccia. Dopo qualche giorno l’uva viene pressata e il mosto fatto fermentare a temperatura controllata. Unito alla Schiava gentile (che dunque non subisce macerazione carbonica) viene poi sottoposto a un breve affinamento in tini di acciaio inox, prima dell’imbottigliamento e della commercializzazione. Dati analitici: alcool 11,50% vol., acidità totale 4,8 g/l, estratto secco netto 26 g/l, zuccheri residui 7 g/l.

Caratteristiche organolettiche: colore rosso rubino, vivo e brillante. Profumo netto, marcatamente fruttato con sentore di lampone e fragola tipico dei vini ottenuti in macerazione carbonica. Sapore secco, piacevolmente equilibrato, di corpo leggero, ma elegante e vivace. Temperatura di servizio: 12-14° gradi.

Il Novello di Teroldego Igt Vigneti delle Dolomiti “Terrazze della Luna” è vinificato e proposto al consumatore appena dopo un mese dalla vendemmia. “A torto – spiega Susi Pozzi – per la sua giovinezza, è considerato di ‘relativa’ qualità: è invece il frutto di un’attenta selezione delle uve, di una raffinata tecnica enologica e di un efficiente servizio al consumatore più curioso”. La zona di produzione è sempre quella del Campo Rotaliano in Trentino, ossia l’area vitata delimitata dalle Borgate di Mezzolombardo, Mezzocorona e San Michele all’Adige, collocata lungo i fiumi Adige e Noce. “L’esperienza – evidenzia Pozzi – ha dimostrato che il vitigno più adatto all’elaborazione del vino Novello è l’autoctono Teroldego, opportunamente selezionato e vinificato in purezza. La particolare resistenza ‘meccanica’ della buccia consente di mantenere integri gli acini durante la prima fase di vinificazione in macerazione carbonica delle uve intere. Particolare questo molto importante per i processi enzimatici che avvengono in questa prima fase all’interno dell’acino e che conferiscono al vino quel particolare sentore fruttato e fresco, tipico del novello”.

Il metodo di elaborazione è quello della macerazione carbonica. I grappoli maturi e perfettamente sani vengono posti interi, e non pigiati, in piccoli tini di acciaio inox. La macerazione in ambiente chiuso, in totale assenza di ossigeno, favorisce l’estrazione delle sostanze aromatiche e coloranti dalle bucce. Dopo alcuni giorni si passa alla pigiatura delle uve, avviando il mosto alla fermentazione a temperatura controllata. Un breve affinamento in recipiente d’acciaio inox precede imbottigliamento e commercializzazione.

Caratteristiche organolettiche: colore rosso rubino, vivace e brillante; profumo netto con marcato sentore fruttato che ricorda i frutti di bosco e in particolare il lampone. Sapore fresco, armonico, delicato e piacevole. Dati analitici: alcool 12,00% vol, acidità totale 5 g/l, estratto netto 26 g/l, zuccheri residui 6 g/l. Temperatura di servizio: 12-14° gradi.

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Vino novello 2016, produzione in caduta libera

E’ il primo vino della vendemmia, ma non fa (più) impazzire gli italiani. E’ un trend destinato a peggiorare di anno in anno quello della produzione e della vendita del “vino novello”. Reperibile anche nei supermercati italiani dal 30 ottobre, come da disposizione del Ministero delle Politiche agricole, si colloca quest’anno sul minimo storico di appena 2 milioni di bottiglie. Il deblocage, per la vendemmia 2016, è stato anticipato di quasi tre settimane rispetto al concorrente Beaujolais nouveau francese, in vendita solo a partire dal 17 novembre. La produzione del vino novello in Italia è iniziata verso la metà degli anni ’70, in risposta ai vignaioli francesi della zona di produzione del Beaoujolais. I ‘cugini’, per superare una stasi di mercato, misero sul mercato il Beaoujolais nouveau, volto a rivalorizzare il vino da uve Gamay meno pregiate della Borgogna meridionale. In Italia il vino novello ha avuto una rapida espansione, come evidenzia il fatto che dieci anni fa si producevano ben 17 milioni di bottiglie made in Italy.

LE RAGIONI DEL CROLLO
“Ironia della sorte – evidenzia Coldiretti – a mancare quest’autunno saranno anche le castagne italiane, con il crollo del raccolto che si è verificato in Campania, la prima regione produttrice, dove si prevede un taglio fino al 90%, ma cali sono segnalati in tutto il Meridione mentre una leggera ripresa dei raccolti si stima al Nord, però, con alcune zone critiche a causa della siccità”.

All’origine del calo della produzione nazionale di vino novello, c’è una serie di fattori, a partire dalla limitata conservabilità, che ne consiglia il consumo nell’arco dei prossimi 6 mesi fino alla tecnica di produzione, la macerazione carbonica, che è più costosa di circa il 20% rispetto a quelle tradizionali. Ma sopratutto, come spiega la Coldiretti, “gli stessi vitigni che negli anni passati rappresentavano la base del novello vengono oggi spesso utilizzati per produrre vini ugualmente giovani, ideali per gli aperitivi, ma che non presentano problemi di durata”. Il ‘vino da bere giovane’ deve le sue caratteristiche al metodo di vinificazione utilizzato, che è stato messo a punto dal ricercatore francese Flanzy ed è fondato sulla macerazione carbonica. Leggero, con bassa gradazione (11 gradi) e bouquet aromatico, il novello viene consumato soprattutto in abbinamento con i prodotti autunnali come le caldarroste.

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Vini al supermercato

Pinot Bianco Colterrae Alto Adige Doc 2015, Cantina Colterenzio

(4,5 / 5) Un vero “affare” trovare in promozione al supermercato il Pinot Bianco Colterrae Alto Adige Doc 2015 di Cantina Colterenzio (Kellerei Schreckbichl).

Un vino straordinario, anche nel rapporto qualità prezzo pieno. Certamente uno dei migliori vini sotto i 10 euro presenti sugli scaffali dei supermercati italiani. Nel calice, il vino si presenta di un giallo paglierino tenue, con riflessi verdolini.

Al naso, intense e schiette note floreali, fruttate e minerali. Mela e pera sembrano diluirsi in una delicata soluzione salina, a esaltazione dello speciale terroir altoatesino in cui opera la Cantina Colterenzio. Ma è in bocca che il Pinot Bianco Colterrae Alto Adige Doc 2015 offre le emozioni più sincere. Un fil rouge sembra collegare ingresso e chiusura di una beva sapida, in crescendo verso il finale, e dall’acidità elegante.

Le note fruttate fresche, già avvertite al naso, fanno da splendido contorno. Ecco riaffiorare mela, pera, ma anche sentori di pesca e agrumi maturi. Una volta ingerito, il nettare rivela un retro olfattivo dalle tinte lievemente speziate, di pepe bianco. Delizioso aperitivo, il Pinot Bianco Colterenzio si abbina alla perfezione con gli antipasti, il pesce e le carni bianche di moderata elaborazione, anche speziate. Da servire, rigorosamente, a una temperatura di 10-12 gradi.

LA VINIFICAZIONE
I vigneti di Pinot Bianco sono allevati a un’altezza compresa tra i 450 e i 550 metri sul livello del mare. Una zona particolarmente vocate per il Pinot bianco quella in cui opera la Cantina Colterenzio, con terreni ghiaiosi e in parte dalla spiccata presenza di calcare. Il microclima fresco e le forti escursioni termiche tra giorno e notte assicurano un perfetto risultato in bottiglia e contribuiscono a rendere corposo (13,5%) questo Pinot Bianco.

La resa per ettaro si aggira attorno ai 70 ettolitri. Il mosto fermenta a una temperatura controllata di 18 gradi in acciaio e affina per alcuni mesi sui lieviti. Prima della commercializzazione è previsto un altro breve periodo di affinamento in bottiglia.

Cantina Colterenzio sorge in un territorio le cui radici affondano nella viticoltura. Le prime tracce risalgono già al 15 a.C., quando il colono romano Cornelius riconobbe la straordinaria fertilità di questa terra e decise di stabilirvisi, gettando le basi dell’attuale vocazione vitivinicola di Colterenzio. Il suo podere “Cornelianum” diede il nome al paese di Cornaiano.

L’antica tradizione fu rinnovata nel 1960, quando 28 vignaioli fondarono la Cantina Colterenzio. A questi se ne unirono altri nel corso degli anni. Ad oggi Colterenzio conta quasi 300 soci viticoltori che conferiscono le uve provenienti da circa 300 ettari di vigneto di loro proprietà.

Prezzo pieno: 9,36 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Vino, Gdo scelta vincente. Ecco i bilanci delle società vinicole: chi sale, chi sprofonda

Nel 2014, il 41,8% delle vendite nazionali delle principali società vinicole è transitato per la grande distribuzione organizzata (Gdo). L’indagine sul settore vinicolo condotta da Mediobanca su un campione di 44 società con titoli trattati in 21 Borse, non lascia spazio a interpretazioni di sorta. Si tratta della media tra il 47,2% delle cooperative e il 36,9% delle restanti società. L’incidenza della grande distribuzione è cresciuta dal 36,5% del 2002 al 51,2% del 2014. Il secondo canale per importanza è il grossista/intermediario (15,9%) seguito dall’aggregato Horeca (Hotel-Restaurant-Catering), anch’esso con incidenze differenti per cooperative (7,7%) ed altre società (21,3%). Seguono enoteche e wine bar, che coprono il 7,4% (con le cooperative al 3,6%), mentre la vendita diretta incide per poco più dell’11%, quota invariata rispetto all’anno precedente. Nell’ambito dei grandi vini, la quota più elevata è ascrivibile al canale Horeca. (40,6%), cui seguono enoteche e wine bar al 26%.

La vendita diretta sale qui al 16,6%, con la grande distribuzione a quota 3,2%. Relativamente alle esportazioni prevalgono le vendite tramite intermediari importatori (otto decimi del totale), mentre il controllo della rete di proprietà permane limitato al 9,4%. I tre maggiori produttori per fatturato nel 2014 sono stati il gruppo Cantine Riunite-Giv (536 milioni di euro, +0,3% sul 2013), Caviro (314 milioni, -2,0%) e la divisione vini del Gruppo Campari (209 milioni, in calo dell’8,3% sul 2013). Seguono Antinori, che nel 2014 ha realizzato una crescita del 4,8% portandosi a 180 milioni di euro, la cooperativa Mezzacorona a 171 milioni di euro (+5%) e appaiate a 160 milioni la Fratelli Martini (+1,8%) e la Zonin (+4%).
Solo una società ha realizzato un aumento dei ricavi superiore al 10%: è la forlivese Mgm, con vendite a 73 milioni (+10,1% sul 2013). Altre variazioni degne di nota hanno interessato la Ruffino (+8,4% a 81 milioni) e il Gruppo Santa Margherita (+7,8% a 110 milioni). Nell’insieme la graduatoria si mostra stabile, almeno nelle prime dieci posizioni. Alcune società hanno una quota di fatturato estero quasi totalitaria: la Botter al 96,8%, la Ruffino al 92,9%, la Masi Agricola al 90,5% e la Fratelli Martini con l’89,5%. Solo sei gruppi hanno una quota di export inferiore al 50% delle vendite.

I PROFILI DEI MAGGIORI PRODUTTORI

Il maggiore sviluppo delle vendite nel periodo 2009-2013 è appannaggio della Cantine Turrini di Riolo Terme (+110,2%), seguita dalla cooperativa Cevico di Lugo (+84,6%) – entrambe, dunque, della provincia di Ravenna – e dalla Botter Di Fossalta di Piave, Venezia (+84,2%). Solo due imprese hanno subito nel periodo una flessione del giro di affari: la cooperativa La Vis di Lavis, Trento (-14,7%) e la Giordano Vini di Diano D’Alba, Cuneo (-10,7%).

I margini (Margine operativo netto “Mon”/valore aggiunto), la redditività del capitale investito (roi) e quella netta (roe) collocano la Botter e la Cantine Turrini nelle posizioni di testa. Giordano Vini e La Vis hanno segnato nel 2013 una redditività netta negativa. La struttura finanziaria più solida, sempre secondo l’indagine Mediobanca, è della Banfi che ha debiti finanziari pari al 18,3% dei mezzi propri, seguita dalla Frescobaldi (20,9%) e dal Gruppo Cevico (24,7%).

E’ particolarmente elevato l’indebitamento della cooperativa La Vis (18 volte il rapporto), della Giordano Vini (487%) e della Cantine Brusa (372%). Solo due società presentano un debito finanziario prossimo al fatturato: si tratta della Antinori (99,2%), che sconta tuttavia un eccezionale sforzo in termini di investimenti nei precedenti esercizi, e della cooperativa Mezzacorona (91,5%). Gli investimenti sono rilevanti per Masi (17,6% del fatturato), Banfi (14%) e Frescobaldi (11,1%).

La competitività, misurata dal rapporto tra costo del lavoro e valore aggiunto, appare molto soddisfacente per le Cantine Turrini (16,9%), la Masi (26,2%) e la Botter (28,5%). Livelli meno favorevoli sono riferiti alla Cevico (81,7%), Schenk Italia (69,9%) e Giordano Vini (69,4%). Le tre aziende meglio posizionate sono risultate, in ordine decrescente: Botter, Cantine Turrini e Masi. La graduatoria è chiusa, sempre in ordine decrescente, da Mezzacorona, Giordano Vini, e La Vis.

L’ASSETTO PROPRIETARIO

Al controllo familiare è riconducibile il 53,9% del patrimonio netto complessivo dell’aggregato oggetto dello studio Mediobanca. Tale quota si ripartisce tra controllo esercitato in modo diretto da persone fisiche (33,9%) e tramite persone giuridiche (20%). Ove si assimilino alla forma familiare le cooperative, le quali raccolgono circa 33.400 soci, si aggiunge un’ulteriore quota del 22,8% che porta il totale del patrimonio netto familiare al 76,7%. Il restante 23,3% dei mezzi propri è riferibile per il 14,1% a investitori finanziari (ed altre tipologie residuali) e per il 9,2% a società straniere.

In termini assoluti, alle famiglie in senso stretto sono riconducibili mezzi propri per 1,74 miliardi di euro (1,1 miliardi in capo a persone fisiche e 0,64 miliardi a persone giuridiche), 16 alle coop per circa 0,74 miliardi di euro. I soci esteri detengono un portafoglio con valore di libro pari a 0,3 miliardi di euro. I principali soci finanziari sono così assortiti: banche ed assicurazioni con 347 milioni di euro, fondi con 38 milioni, fondazioni e trust rispettivamente con 28 e 33 milioni, fiduciarie con 11 milioni.

Il rapporto con i mercati finanziari è tradizionalmente trascurabile in Italia. Solo quattro delle società considerate sono interessate alla Borsa, ma in modo indiretto, attraverso la quotazione della società controllante, che in un solo caso assume lo status di socio industriale (Davide Campari) e nei restanti quello di investitore finanziario (si tratta dei gruppi assicurativi Allianz, Generali e UnipolSai). Le banche, dopo il 17 disimpegno del Monte dei Paschi di Siena, sono assenti. Ma dal 29 gennaio 2015 è quotata all’Aim la Italian Wine Brands, controllante la Giordano Vini.

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Caramelle al Prosecco: la bufala del sequestro di Scotland Yard

Non si arresta la vendita delle Prosecco Gummies, nonostante le rassicurazioni del Consorzio Prosecco Doc. Le caramelle a forma di orsetto al gusto Prosecco sono tuttora in vendita nel Regno Unito, in una catena di grandi magazzini con base a Londra. Ma c’è di più. La casa produttrice, il negozio di dolciumi londinese SugarSin, letteralmente “Peccato di zucchero”, assicura che “entro primavera sarà in grado di spedirle in tutta Europa”.

Per far luce sull’ennesimo scandalo che riguarda le bollicine venete è bastata un’email, inviata da vinialsupermercato.it a SugarSin, fingendoci un ingenuo cliente interessato all’acquisto delle Prosecco Gummies (vedi foto sotto). “Buongiorno – scriviamo – vorremmo sapere quanto Prosecco c’è nelle vostre caramelle? E’ il vero Prosecco italiano o è inglese? Perché le caramelle non sono alcoliche, se contengono Prosecco? Grazie molte”. Sugar Sin abbocca all’amo. E ci risponde così, pochi minuti fa: “Ciao Davide, grazie per l’email. Le caramelle sono fatte con vero Prosecco italiano, però l’alcol evapora durante la fase di produzione. Produciamo queste caramelle in Germania. Cordiali saluti, Josefin”.

Caramelle al Prosecco: la bufala del sequestro di Scotland Yard

Le caramelle in questione risultano tuttavia attualmente out of stock, ovvero terminate, sul sito Internet SugarSin. Un effetto del sequestro effettuato da parte di Scotland Yard? Forse. Le forze dell’ordine inglesi si sarebbero mosse, secondo quanto riferisce l’ufficio stampa del Consorzio Prosecco Doc, già sul finire dello scorso anno, “in seguito alla segnalazione dei tre consorzi del Prosecco, in concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico italiano, Interpol, Europol e Agenzia Internazionale delle Dogane”. Eppure, la risposta di SugarSin è di tutt’altro tenore.

“We are aiming to have new stock – assicura sempre la diligente Josefin – in within the next two weeks”. Ovvero: “La merce sarà nuovamente a disposizione entro le prossime due settimane”. “At the moment we only ship within the Uk but are hoping to include the rest of Europe later this spring. Would you like me to email you once this is in place?”. Tradotto: “Al momento le spediamo solo nel Regno Unito, ma speriamo di includere il resto dell’Europa entro la prossima primavera”. Che dire? Il mercato del Made in Italy tarocco, funziona. Eccome. A suon di 6,50 sterline a pacchetto. Spedizione esclusa.

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Prosecco Gummies, il Regno Unito della contraffazione Made in Italy

La contraffazione del Made in Italy trova terreno fertile su Internet. A finire nella “rete” del tarocco, ancora una volta, è il Prosecco Doc. Le bollicine più famose d’Italia, oggetto di un vero e proprio boom di consumi a livello internazionale, diventano così l’ingrediente di una caramella gommosa. Avete presente gli orsetti Haribo? Un negozio di dolciumi di Londra, SugarSin, letteralmente “Peccato di zucchero”, ha copiato la forma e iniziato a commercializzare le Prosecco Gummies. “A unique tasting, fruity gummy bears
– si può leggere nella scheda prodotto sul sito dello store inglese – with a delicious taste of sparkling prosecco. These indulgent fruity sweets are beautifully presented in a SugarSin signature large glass jar. It is an exciting gift for any occasion as well as a tasty treat for yourself. A teddy for grown ups“. Ce lo ha segnalato un attento lettore di vinialsupermercato.it, facendo scattare la nostra indagine. L’ufficio stampa del Prosecco Doc assicura che le caramelle in questione “sono già state ritirate dal mercato”. Sul finire del 2015, i tre consorzi del Prosecco (Doc e Conegliano e Asolo Docg) hanno contattato le forze dell’ordine inglese. Scotland Yard, in concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico italiano, Interpol, Europol e Agenzia Internazionale delle Dogane avrebbe dunque “proceduto al sequestro delle caramelle col marchio Prosecco contraffatto”.

GOOD SAVE PROSECCO
Le Prosecco Gummies risultano di fatto ancora in bella vista sul sito web SugarSin, ma risultano “out of stock”: non disponibili. Chi invece continua a dichiarare di averne in magazzino è il department store John Lewis, una catena di grandi magazzini di vendita al dettaglio che può contare su una rete ben consolidata nel Regno Unito. Da Glasgow a Manchester, da Newcastle a Cambridge, senza dimenticare Cardiff, Birmingham e i tre megastore di Londra. Sul sito web della John Lewis ne risultano “more than 10 in stock“. Proviamo allora a procede all’acquisto online, al prezzo di 6,50 sterline, lo stesso precedentemente praticato dalla SugarSin per un barattolo da 250 grammi di Prosecco Gummies. La consegna all’estero non è prevista e proviamo dunque a richiedere il ritiro in uno degli store della catena. Basta inserire l’indirizzo e il gioco è fatto. Alla modica cifra aggiuntiva di 2 sterline. Le caramelle taroccate al Prosecco ci sarebbero così costate 8,50 sterline. Quasi 11 euro, insomma, per 250 grammi di orsetti dal “delizioso sapore di frizzante/scintillante prosecco”. Un affare, no?

 
 

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Analisi e Tendenze Vino

Gdo e Horeca, nemici per la pelle nel nome del vino?

Oggi vi racconto una storia, purtroppo vera. Stavo imboccando l’Autostrada, ieri mattina, dirigendomi da Milano verso il Piemonte. “Caro Bortone…”. E’ l’incipit, falsamente cordiale, di un messaggio ricevuto su Facebook da un operatore Horeca, conosciuto nei mesi scorsi in occasione di una manifestazione organizzata in un hotel milanese dall’associazione Go Wine.

“Quando pubblico (su Facebook, ndr) recensioni o fotografie di vini presso i miei clienti è pacifico che sono io che li propongo e loro ce l’hanno in carta. Ho clienti e produttori che, oltre al sottoscritto e al suo entourage, sono allergici alla Gdo. La tengo negli amici, ma cerchi di trattenersi dal proporre vini da Gdo e soprattutto in contesti legati a ristoranti citati in tag”.

Facciamo un passo indietro, sorvolando sulle infantili implicazioni del messaggio. Nei giorni scorsi, questo operatore Horeca (che, ricordiamo, è l’acronimo di Hotellerie-Restaurant-Café e riguarda la distribuzione diretta di prodotti in contesti alternativi alla grande distribuzione organizzata, come hotel, ristoranti, catering e bar-caffetterie) pubblica la foto di un vino dell’Oltrepò Pavese, in un ristorante.

Oltre al “like”, decido ci commentare, suggerendo al soggetto in questione di provare il Bonarda fermo dell’Oltrepò Pavese dell’azienda agricola vitivinicola Bagnoli, una perla in un territorio pressoché vocato ai grandi numeri. Tale produttore non opera nella Gdo, bensì in contesti di alta ristorazione e gastronomia.

Volevo suggerire, in sostanza, un assaggio di qualità. Vinialsupermercato.it, del resto, si occupa anche di questo, grazie alla sezione “Vigne d’Italia”: oltre alle recensioni dei vini “da supermercato”, nostro “core business“, siamo sempre a caccia di realtà che – a prescindere dalla distribuzione o meno nei canali gdo – offrano prodotti da non perdersi.

IL BONARDA DELLA DISCORDIA

Al di là della scarsa vena social, è la “violenza” del contenuto del messaggio ricevuto dall’operatore Horeca che mi ha lasciato di stucco.  Portandomi oggi a questa riflessione: Gdo e Horeca sono davvero così lontane?

O, per lo meno: lo sono ancora? Si può davvero “essere allergici” alla Gdo, lavorando in Horeca? Il mondo del vino, fondato a nostro avviso sulla condivisione dei saperi e del gusto, può ammettere tali prese di posizione meramente fondate su un discorso commerciale e di business?

Personalmente ritengo di avere una risposta a queste domande. Se ancora oggi c’è gente “allergica” alla Gdo non è colpa degli antistaminici poco efficaci in commercio. E a proposito di farmacie, credo che certi operatori Horeca, se potessero, si batterebbero per l’eliminazione delle cantine della Gdo, un po’ come la lobby delle case farmaceutiche si sta battendo per i farmaci di fascia C nei supermercati.

Ma si tratta di una minoranza: perché chi ha polso e coscienza del proprio ruolo in Horeca sa benissimo – come ci ha confermato la totalità degli operatori sin ora intervistati – che i due “canali” operano in parallelo, come binari che non si incontrano mai, pur andando (per certi versi) nella stessa direzione: il vino. Insomma: se qualche operatore Horeca starnutisce ancora, nel 2016, al cospetto della Gdo, è un problema tutto suo. Sinceri auguri, di pronta guarigione.

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Birra news news ed eventi

Birra Peroni sarà venduta ai giapponesi di Asahi? Offerti 3 miliardi

L’offerta giapponese per il marchio italiano Peroni è spinta dall’aumento delle esportazioni di birra italiana nel mondo, che crescono del 17% nel 2015 ma che sono praticamente triplicate nell’arco di un decennio.

E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti di fronte all’offerta di 400 miliardi di yen (poco più di 3 miliardi di euro) fatta dal produttore giapponese di birra Asahi per rilevare il marchio italiano Peroni dal gruppo SabMiller, sulla base dei dati Istat relativi ai primi dieci mesi dell’anno.

Anche grazie all’immagine conquistata nel mondo la birra italiana – sottolinea la Coldiretti – va forte nei paesi tradizionali consumatori, dalla Gran Bretagna (+2%) alla Germania (+10 per cento) fino alla Svezia (+24 per cento) ma anche negli Usa.

A tirare – continua la Coldiretti – è pero’ anche il mercato italiano che nel 2015 ha fattor registrare un aumento record delle vendite del 6%, in controtendenza alla crisi dei consumi.

Sono oltre 30 milioni gli appassionati consumatori di birra presenti in Italia dove – precisa la Coldiretti – con un consumo pro capite di 29 litri c’è spazio per crescere considerato che Paesi come la Repubblica Ceca ne bevono 144 litri pro capite, l’Austria 107,8, la Germania 105, l’Irlanda 85,6, il Lussemburgo 85 o la Spagna 82.

I RISCHI
Secondo Coldiretti, “nell’operazione internazionale c’è in gioco un indotto rilevante”. A garantire la produzione italiana di birra ci sono infatti le coltivazioni nazionali con una produzione di circa 860.000 tonnellate di orzo su una superficie complessiva investita di circa 226.000 ettari. Per quanto concerne la produzione di birra, la filiera cerealicola unitamente al Ministero delle Politiche Agricole ipotizzano un impegno annuo di granella di orzo pari a circa 90.000 tonnellate.

In questa situazione di grande dinamicità, a supporto della trasparenza dell’informazione dei consumatori, è pero’ necessario – conclude la Coldiretti – qualificare le produzioni nazionali con l’indicazione obbligatoria in etichetta dell’origine, per evitare che vengano spacciati come Made in Italy produzioni straniere.

L’operazione in corso non è in realtà l’ennesimo passaggio di marchi italiani storici in mani straniere poichè la Birra Peroni era già stata ceduta nel 2003 ed entrata a far parte del Gruppo sudafricano SabMiller plc al quale è stata ora fatta l’offerta del gruppo giapponese Asahi, la cui strategia di mercato si concentra sull’Asia e l’Oceania e intende espandersi su mercati dalla lunga tradizione che le consentirebbero anche una maggiore penetrazione della sua etichetta Super Dry.

ILGRUPPO PERONI
Il Gruppo Birra Peroni è oggi uno dei player principali nel settore dell’industria birraria ed è parte del Gruppo SabMiller plc che in Italia SabMiller è presente con tre stabilimenti produttivi (Roma, Padova e Bari), e la malteria Saplo. Birra Peroni opera da oltre 160 anni con impegno e passione, raggiungendo una produzione annua di birra che ammonta a 4,8 milioni di ettolitri.

I suoi marchi principali sono: Peroni, Nastro Azzurro e Pilsner Urquell. A questi si aggiungono altri marchi di prestigio sia nazionali che internazionali, come Miller Genuine Draft, Peroni Gran Riserva, Raffo e Wuhrer. L’azienda nasce nel 1846 a Vigevano, allora appartenente al Regno dei Savoia, quando Francesco Peroni avvia l’attività di una piccola fabbrica di birra.

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Vini al supermercato

Vino Novello italiano, produzione e vendita in crisi. Sorridono i francesi

Produzione al minimo storico e, di conseguenza, previsioni di vendita in drastico calo. Non poteva esserci stagione peggiore per il simbolo enologico dell’autunno, il vino Novello. Il sell out è iniziato da poche ore nella grande distribuzione italiana, a mezzanotte e un minuto di oggi, venerdì 30 ottobre, come da decreto ministeriale. Ma il profondo rosso è già un dato di fatto. Lo confermano le cifre diffuse da Assoenologi e Coldiretti. Anzi, l’associazione che raggruppa gli enologi del Belpaese è ottimista rispetto alla Confederazione nazionale coltivatori. Assoenologi stima che la produzione 2015 di Novello si assesti tra i 3 i 4 milioni di bottiglie. Mentre Coldiretti non va oltre i 2 milioni. “In sintesi – spiega Giuseppe Martelli, direttore generale di Assoenologi – i grappoli interi vengono stipati in serbatoi di acciaio in cui viene immessa anidride carbonica. Le uve restano nei contenitori per circa due settimane a una temperatura di 28/30 gradi centigradi”.

“Durante questo periodo – continua Martelli – si attiva un’autofermentazione enzimatica che trasforma gli zuccheri in alcol e stimola la produzione di glicerolo, elemento principe della morbidezza del vino e responsabile dell’estrazione dei componenti della buccia, limitando il rilascio di parti significative di tannino, responsabile della sensazione di astringenza. L’uva viene poi pigiata e subisce la normale fermentazione che si completerà in quattro o sei giorni. Completata la trasformazione da mosto a vino, il novello viene travasato, filtrato e messo in commercio”. “La qualità si prevede buona – sottolinea la Coldiretti – ma la produzione risulta in forte calo rispetto al passato, tanto da aver raggiunto il minimo storico, per un fatturato sceso a circa 6 milioni di euro. Basti dire che appena dieci anni fa se ne producevano ben 17 milioni di bottiglie”. Il vino da bere giovane, anche se apprezzato come prima produzione enologica dell’anno, ha perso dunque lo smalto del passato.

LE CAUSE DELLA CRISI
“All’origine del fenomeno – rileva la Coldiretti – c’è una serie di fattori, a partire dalla limitata conservabilità, che ne consiglia il consumo nell’arco dei prossimi 6 mesi, fino alla tecnica di produzione: la macerazione carbonica, che è del 20 per cento più costosa rispetto ai metodi tradizionali”. Ma gli stessi vitigni che negli anni passati rappresentavano la base del novello vengono oggi spesso utilizzati per produrre vini ugualmente giovani, ideali per gli aperitivi, ma che non presentano problemi di durata. Ancora più complessa la visione della Fisar, la Federazione italiana Sommelier Albergatori Ristoratori.

“Dobbiamo prestare molta attenzione nel leggere i numeri – evidenzia Raffaele Novello della delegazione di Bareggio, provincia di Milano -. Se analizziamo il consumo di vino in Italia basandoci sui numeri dell’OIV, scopriamo che siamo passati dai 34 milioni e 693 mila ettolitri del 1996 ai 23 milioni e 52 mila ettolitri del 2011. Ciò evidenzia che, in primis, è drasticamente cambiato il modo di bere. A fronte di una produzione 58.772.000 di ettolitri del 2006 siamo scesi nel 2011 a 42.772.000 ettolitri, con consumo pro-capite che passa dai 60,93 litri a persona per anno a 37,92. Quindi: si beve molto meno e, in percentuale, la decrescita in produzione non è proporzionale”.

Sempre secondo al sommelier Fisar, “si producono molti più vini di denominazione (prima tanti vini pugliesi, veneti, abruzzesi, siciliani, calabresi e campani erano vini da taglio), e dunque si è alzata la qualità ed il livello di conoscenza e consapevolezza del consumatore”.

IL PARERE DEL SOMMELIER
Il vino Novello, che in Italia è l’alter ego del Beaujolais nouveau francese, viene prodotto e venduto con una legislazione totalmente diversa: “Da poco – precisa Raffaele Novello – è stato portato al 40% minimo di vino con uve da macerazione carbonica e con sole uve della stessa annata”. In Francia occorre invece il 100 per cento di uve che subiscano la macerazione carbonica per far sì che un vino possa essere chiamato “Beaujolais”. Di fatto, per ridurre questo “gap” qualitativo, la commercializzazione dei Novelli italiani viene anticipata di tre settimane, per l’anno 2015, rispetto al ‘cugino’ francese, che sarà nei supermercati a partire dal 19 novembre.

“Aggiungiamo che è un vino da bere giovane – evidenzia ancora il rappresentante Fisar – e che dunque non può invecchiare, quindi ha un consumo limitato nel tempo. Per poterlo vendere, nella Gdo hanno anticipato quest’anno la sua commercializzazione (‘a San Martino ogni mosto è vino’…si diceva prima’). Per di più è un vino con sapori molto ‘vinosi’, tecnicamente di difficile abbinamento”.

Il Novello è rimasto dunque “un vino dello ‘specifico’ periodo – conclude il sommelier Fisar – che piace sempre di meno, anche perché nel vino rosso si cercano altre sensazioni ed emozioni, e che a volte è legato ad un pregiudizio, in parte giustificato, di ‘vinaccio non di qualità’ e di gusto specifico, oltre a scontare il prezzo di un’americanizzazione generale del modo di vendere vino e di fare marketing. Oggi il tentativo è di omogenizzare il consumo, che deve risultare tutto uguale per piacere alla massa, specialmente nella Gdo”.

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