Solo bottiglie numerate e solo vini della Valpolicella. La filosofia produttiva della cantina Rubinelli Vajol è tangibile, certa, verificabile come un calcolo matematico. E si riflette su tutti i vini ottenuti dai vitigni autoctoni Corvina, Corvinone, Rondinella, Molinara e Oseleta. Come sul Valpolicella Doc classico 2019.
LA DEGUSTAZIONE
Risplende di un rosso rubino psichedelico il calice che ospita quello che, per molte cantine della zona, è il cosiddetto “vino base” o “d’entrata” della linea. Eppure di elementare o basico, qui, non c’è proprio nulla.
Non è scontata la riscontrabile trasparenza cromatica del nettare, nel contesto di una Denominazione che non disdegna la produzione di massa e la conseguente uniformità visiva, prim’ancora che olfattiva e gustativa.
Dopo il colore è il naso a convincere, fungendo da navigatore come saprebbe fare neppure Google Maps: narici-Valpolicella in Porsche, zero cento in 3 secondi. Senza deviazioni o pit-stop.
Altrettanto immediata la riconoscibilità e tipicità al gusto del Valpolicella Doc Classico 2019 Rubinelli Vajol. Si ripresentano eleganti note fruttate di ribes, lampone, di una maturità perfetta; ben attorniate da sbuffi di spezia nera, come pepe e ginepro.
In chiusura, composte note di chiodo di garofano donano ulteriore freschezza al vino, contribuendo a un finale asciutto, capace di chiamare in maniera irresistibile il sorso successivo e ricordare la matrice “povera” del terreno.
Vino “glu glu” per antonomasia, si abbina bene al frigorifero, d’estate. Ma è perfetto in ogni stagione, in accompagnamento all’antipasto, ai salumi, o a piatti non troppo strutturati a base di carne. Sorprende la vena “bardoliniana” di questo Valpolicella Doc Classico, che sin dal descritto colore chiama l’abbinamento col pesce.
LA VINIFICAZIONE
L’uvaggio è composto al 45% da Corvina e completato dal 35% Corvinone, 15% Rondinella e 5% Molinara, allevate a Pergola veronese e Guyot. Le piante affondano le radici in terreni di natura calcarea, tufacea e argillosa.
Le uve vengono raccolte a settembre e immediatamente pigiate. Fermentazione e macerazione avvengono in acciaio inox per 8-10 giorni, a temperatura controllata. Per l’affinamento del Valpolicella Doc Classico 2019, Rubinelli Vajol ha scelto ancora i serbatoi d’acciaio.
Prima della commercializzazione, la scelta degli enologi Gianmaria Ciman, Enrico Nicolis e Filippo Cengiarotti è quella di far riposare il vino in bottiglia, nella fresca e buia cantina scavata nel tufo, sotto la collina del Vajol che dà il nome all’azienda.
La cantina Rubinelli Vajol, con sede a di San Pietro in Cariano (VR), è stata inserita proprio con il Valpolicella Doc Classico 2019 nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2021 edita con cadenza annuale da WineMag.it.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
MILANO– Nel 2017 si può essere “Valpolicella” senza cadere nella trappola dei residui zuccherini e della piacioneria. Come? Contrapponendo al “Marmellata style” il “Chianti Style”. Chiedere per credere a Luciano Begnoni di Santa Sofia Wines.
Cantina che, dalla frazione Pedemonte di Valpolicella di San Pietro in Cariano (VR) esporta fuori dall’Italia l’86% della produzione totale, pari a 600 mila bottiglie.
Nord Europa, Usa e Canada sono mercati “maturi” per questa storica realtà veneta a conduzione famigliare. Sulla scia di brand come il “Chianti”, Begnoni & Company propongono a un portafoglio di 120 importatori – erano solo 4 fino a metà degli anni Novanta – dei vini di una Valpolicella raccontata col garbo e l’eleganza che distingue i vini toscani. Senza perdere d’occhio, anzi valorizzando, la tipicità della Valpolicella.
Nei vini di Santa Sofia, dunque, si trova innanzitutto il frutto. La spezia tipica della Corvina. Il colore, tutt’altro che impenetrabile e cupo, degli Amarone in giacca e cravatta. L’apoteosi, l’emblema, il simbolo fulgido di questa filosofia è l’Amarone “Gioè”, vendemmia 1997.
Un vino tanto aristocratico quando democratico. Ancora lì, ad esibirsi dopo 20 anni, come un ventenne, sul palco della degustazione organizzata nel pomeriggio al ristorante Non solo lesso di Milano. Un viaggio che sorprende dal primo all’ultimo assaggio, per la precisa scelta stilistica della cantina veronese, che trova perfetto riscontro in ogni calice.
Del resto, Luciano Begnoni e il giovane enologo Matteo Tommasi – classe 1991 entrato in organico in occasione dell’ultima vendemmia – raccontano bene il il fil rouge che accomuna i vini Santa Sofia. “Eleganza e bevibilità di prodotti pensati per poter essere stappati e consumati per intero, a tavola, da due persone. Senza lasciarne un goccio”. Confermiamo.
LA DEGUSTAZIONE Valpolicella Doc Classico 2016. Chiudete gli occhi e immaginate di non sapere cosa ci sia nel calice. La delicatezza delle note fruttate e la loro eleganza porterà dappertutto, tranne che ai confini della Valpolicella. Almeno di quella che siamo abituati a riscontrare, nel 90% dei casi.
Già, perché questo “Classico” veronese di Santa Sofia è un rosso non convenzionale. E non v’è dubbio, ad occhi aperti. Ma si comporta come un grandissimo rosato. Di Puglia, per dirla tutta. Di quelli fini.
Di quelli che non s’abbandonano alle regole del mercato, che vogliono rosè di pronta beva, facili, piacioni. Ci ricorda, per dirla tutta, quel gran pezzo di bravura di Severino Garofano che è “Girofle”.
Il primo impatto con i vini di Valpolicella di Santa Sofia, di fatto, è una botta in testa dalla quale ti riprendi solo al termine, al Recioto. Vini che fanno perdere la memoria. Anzi, meglio: vini capaci di ricodificare le coordinate geografico-gustative di chi vi si accinge per la prima volta.
Il Valpolicella Doc Classico di Santa Sofia è una sorta di microchip essenziale, innestato sottopelle dal chirurgo Begnoni, per proseguire il resto del tasting. I sentori sono pennellate leggere di fiori freschi, di frutta a bacca rossa come ribes e melograno, di lamponi appena colti e capaci di tingere di rosa anche il tipico pepe della Corvina. Un capolavoro di ossimorica leggerezza e sostanza, considerato che si tratta del vino d’entrée.
Valpolicella Ripasso Doc Superiore 2015. Dopo tanta grazia, non tragga in inganno il naso più “grasso” del secondo vino proposto da Santa Sofia. Si passa a un Ripasso che di scolastico ha ben poco, se non il nome. In realtà, più che un “Ripasso”, il calice evidenzia quanto già scritto in precedenza: ovvero che si può essere Valpolicella con garbo.
Qui il corpo è quello di un vino che segue il Valpolicella “base”, ma che non precede l’Amarone, come accade nel 90% dei Ripassi in circolazione. Dunque ancora spazio per un’eccellente bevibilità, tutta giocata sulla freschezza e sulle note di spezia dell’uvaggio.
Il passaggio in legno di 9 mesi è chiaramente pensato per ammorbidire il verde dei tannini. E favorire così, ulteriormente, il prevalere della frutta. Ancor più al sorso che al naso.
Valpolicella Doc Classico Superiore 2015 “Montegradella”. Eccolo qui, il “Baby Amarone” di Santa Sofia. Un vino, questo sì, pensato per un buon “invecchiamento” in bottiglia. Del resto, Montegradella è il vino storico della casa vinicola di San Pietro in Cariano.
La maggiore concentrazione delle uve – allevate nell’omonimo vigneto con esposizione a Sud – è evidente alla vista e all’olfatto. Non a caso, la vinificazione prevede un appassimento sulla pianta di 40-45 giorni, seguita da un passaggio in legno di 8-12 mesi. Altri 6 mesi di affinamento in bottiglia, poi la commercializzazione.
Ne scaturisce un rosso di 14 gradi (abbondanti), ben integrati in un sorso che fa però intendere d’avere ancora molto da esprimere, nell’alleanza con il tempo.
Amarone della Valpolicella Docg Classico 2012. Frutta, eleganza, coerenza. Il fil rouge di Santa Sofia non si spezza neppure a tirarlo forte, fin sulle vette della gamma. In passerella, quest’Amarone 2012 si fa notare per la pacatezza della propria complessità, in un perfetto mix tra muscoli e raffinatezza.
Alle note fruttate di ribes e prugna fanno eco freschi sentori erbacei di rabarbaro e mentuccia. Pennellate che sembrano messe lì apposta ad attutire lo spirito bollente e il calore che contraddistingue il vino rosso simbolo della Valpolicella.
L’affinamento di 36 mesi in botti di rovere di Slavonia, oltre alla perfetta maturazione e concentrazione delle uve, regala richiami di incenso, liquirizia, cioccolato dolce e (di nuovo) pepe nero. La beva non ne risente, anzi: un sorso tira l’altro, sempre in un quadro di perfetto equilibrio tra le note tendenti al dolce (mai stucchevoli) e i preziosi “sbuffi” di zenzero fresco.
Amarone della Valpolicella Doc Classico 1997 “Gioè”. Signori e signore, giù il cappello. “Gioè” è assieme la sorpresa e l’atteso compimento della degustazione odierna dei vini di Santa Sofia. Perché se l’Amarone lo sai fare, la 1997 te l’aspetti esattamente così.
Il colore tiene (eccome), ed è il minimo. Il naso, a più di due ore dall’apertura della bottiglia, si presenta ancora timido. Aiutiamo il nettare ad aprirsi e attendiamo. Eccolo lì. Sotto all’alcol si scorge una corazza animale, quasi grezza, che poi a sua volta si scansa. Lo fa lentamente, uscendo da un letargo ventennale.
E’ la volta delle percezioni più profonde, quelle che aspettavamo. Arriva al naso la macchia mediterranea, unita a una balsamicità quasi montana: resina, eucalipto, note leggere di miele d’acacia e liquirizia dolce. Frutti rossi di una marmellata “secca”, contraddistinta da uno zucchero dosato col contagocce.
Il palato scherza a fare il timido in ingresso, giusto per imitare il naso. Poi s’accende, con sorprendente corrispondenza, sorretto da acidità e alcol. Si lascia alle spalle le percezioni più grezze, per mostrare la potenza della frutta sotto spirito, in particolare i mirtilli. Seguono note dolci di fico secco, che accompagnano un sorso lungo.
Prima annata nel 1964 per “Gioè”. Da allora, ne sono state prodotte solo 17 annate. Diciasette. In cinquant’anni. Qualcosa vorrà pur dire. Ma possiamo ritenerci fortunati. L’ultima è la 2011. La 2013 è in preparazione. E, con buone probabilità, poi toccherà alla 2017. Ti aspettiamo, Gioè.
Recioto della Valpolicella Docg / Doc Classico 2011 / 2001. Se Gioè commuove, il Recioto di Santa Sofia è lì per asciugare le lacrime, con la carezzevole avvolgenza delle note mature di frutta rossa. Un vino rosso “passito” che non ha mai trovato – chissà perché? – la sua giusta collocazione nell’Olimpo dell’enologia mondiale. Merce rara, al pari dei Sagrantino di Montefalco e dei Moscato di Scanzo, per citare altri rossi “dolci” tanto rari quanto preziosi.
Per dirla tutta, la figura migliore la fa la 2001. Ed è tutto un dire. Ancora piuttosto “verde” il Recioto 2011, surclassato nel calice (addirittura in termini di pienezza) da un 2001 da sballo: piccola frutta rossa e nera vestita della consueta eleganza, balsamicità di resina e menta pestata che, unita al pepe, chiama il sorso successivo. C’è tutto: un vino che non stanca mai.
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