Lopera in Masseria Primitivo di Manduria protagonista al Festival della Valle dItria masserie trulli brindisi taranto 1
TARANTO – Abbandonarsi al piacere di una sera d’estate, ascoltando la grande opera nelle masserie pugliesi e sorseggiando un calice di Primitivo di Manduria. Un sogno che diventa realtà con la sezione ‘L’opera in Masseria‘ proposta dalla 45° edizione del Festival della Valle d’Itria, insieme al Consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria.
Dal 21 luglio al 1° agosto, cinque masserie fra i trulli delle provincie di Brindisi e Taranto, saranno la cornice ideale per la messa in scena di due intermezzi buffi napoletani del Settecento: “L’ammalato immaginario” di Leonardo Vinci e “La vedova ingegnosa” di Giuseppe Sellitti. Il tutto potrà essere ascoltato bevendo un calice di Primitivo di Manduria, l’unico vino presente all’interno del Festival.
IL PROGRAMMA
Si tratta di una delle iniziative più legate al territorio e che caratterizza maggiormente la proposta culturale del Festival. Nel 2019, per la prima volta, il progetto sarà itinerante. Le masserie interessate saranno cinque: Del Duca di Crispiano (21 luglio), Belvedere di Mottola (23 luglio), Palesi di Martina Franca (25 luglio), Cassina Vitale di Ceglie Messapica (27 luglio) e San Michele a Martina Franca (1 agosto).
Una programmazione pensata per celebrare l’incontro tra due intense esperienze sensoriali: la visione dell’opera e la degustazione del vino di qualità. Un connubio che negli anni ha visto crescere la partecipazione ed i consensi di un pubblico sempre più attento e competente.
Gli appuntamenti
21 luglio Masseria del Duca – Crispiano (Taranto)
23 luglio Masseria Belvedere – Mottola (Taranto)
25 luglio Masseria Palesi – Martina Franca (Taranto)
27 luglio Masseria Casina Vitale – Ceglie Messapica (Brindisi)
1° agosto Masseria San Michele – Martina Franca (Taranto)
Biglietti da 15€ a 25€ / vivaticket.it biglietteria@festivaldellavalleditria.it
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
L’arte dei muretti a secco è Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco. Oltre all’Italia, sono interessati altri sette Paesi europei: Cipro, Croazia, Francia, Grecia, Slovenia, Spagna e Svizzera. Lo ha deciso l’apposito Comitato dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, riunito dal 26 novembre al 1 dicembre 2018 a Port Louis, nelle isole Mauritius.
L’Unesco evidenzia che “l’arte dei muretti a secco consiste nel costruire sistemando le pietre una sopra l’altra, senza usare altri materiali se non, in alcuni casi, la terra asciutta”. Un patrimonio riscontrabile da Nord a Sud della penisola: dalla Valtellina a Pantelleria, passando le Cinque terre, la Costiera amalfitana e la Puglia, con Salento e Valle d’Itria.
Per l’Italia si tratta del nono riconoscimento Unesco, il terzo transnazionale dopo la Dieta Mediterranea e la Falconeria. Un premio a un’arte “realizzata e conservata nel tempo grazie al lavoro di generazioni di agricoltori impegnati nella lotta al dissesto idrogeologico provocato da frane, alluvioni o valanghe”, come evidenzia Coldiretti.
Di fatto, queste conoscenze e pratiche vengono conservate e tramandate nelle comunità rurali, in cui hanno radici profonde, oltre che tra i professionisti del settore edile. Le strutture con muri a secco vengono usate come rifugi, per l’agricoltura o l’allevamento di bestiame. Testimoniano i metodi usati dalla preistoria ai nostri giorni per organizzare la vita e gli spazi lavorativi ottimizzando le risorse locali umane e naturali.
Costruzioni che, per l’Unesco, “dimostrano l’armoniosa relazione tra gli uomini e la natura e allo stesso tempo rivestono un ruolo vitale per prevenire le frane, le inondazioni e le valanghe, ma anche per combattere l’erosione del suolo e la desertificazione”.
LA TECNICA DEI MURETTI A SECCO
La tecnica del muretto a secco riguarda la realizzazione di costruzioni con pietre posate una sull’altra senza l’utilizzo di altri materiali, se non un po’ di terra. La stabilità delle strutture è assicurata dall’attenta selezione e posizionamento dei sassi.
Questi manufatti, diffusi per la maggior parte delle aree rurali e su terreni scoscesi, hanno modellato numerosi paesaggi, influenzando modalità di agricoltura e allevamento, con radici che affondano nelle prime comunità umane della preistoria.
I muretti a secco svolgono un ruolo fondamentale nella prevenzione delle frane, delle inondazioni e delle valanghe e nella lotta all’erosione e alla desertificazione della terra, aumentando la biodiversità e creando condizioni microclimatiche adeguate per l’agricoltura in un rapporto armonioso tra uomo e natura.
“Su un territorio meno ricco e più fragile per il consumo di suolo – sottolinea Coldiretti – si abbattono i cambiamenti climatici con le precipitazioni sempre più violente e frequenti con vere e proprie bombe d’acqua che il terreno non riesce ad assorbire”.
“Il risultato – continua Coldiretti – è che sono saliti a 7.275 i comuni italiani, ovvero il 91,3% del totale, che sono a rischio frane e/o alluvioni secondo le elaborazioni su dati Ispra. Per proteggere la terra e i cittadini che vi vivono, l’Italia deve difendere il proprio patrimonio agricolo e la propria disponibilità di terra fertile con un adeguato riconoscimento sociale, culturale ed economico del ruolo dell’attività agricola”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Igt del vino italiano che confusione sarà perché ti bevi amo 1024x570
Si scrive “Indicazione geografica tipica“, si legge “fate un po’ quello che ve pare”. A tuffarsi nel mondo delle “Igt” del vino italiano (oggi “Igp”) si scoprono più cose che sfogliando Men’s Health.
Quello che potrebbe essere lo scrigno delle “tipicità” enologiche regionali, sembra in realtà il quadro di tanti improvvisati Miró.
Non si spiega altrimenti la presenza di vitigni come il Refosco dal Peduncolo Rosso, allevato in Friuli (dove è pure “Doc”), in un paio di Igt del Centro e Sud Italia, tra cui quella della Valle d’Itria, in Puglia.
Per non parlare della Glera, divenuta ormai il vitigno non autoctono più coltivato in Sicilia, soprattutto nella zona di Palermo, dove è stata introdotta in Igt nel 2009. Che dire, poi, del Primitivo? Un altro vitigno che i comuni mortali accosterebbero alla Puglia.
E invece è presente in alcune Igt del centro Italia (in Basilicata, per esempio), così come il Nebbiolo e la Freisa. Per non allontanarsi idealmente dal Piemonte, ecco la Barbera: in Igt in Campania, Puglia e Calabria.
Non manca neppure il Lambrusco. Scordatevi l’Emilia e la Romagna, pensando che la coltivazione di questa varietà a bacca rossa è ammessa in regioni come la Puglia, nelle Igt Daunia e (ancora lei) Valle D’Itria. Per regolamento del Mipaaf, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.
Che dire del Teroldego in Toscana? L’ammissione alla coltivazione l’ha voluta tanti anni fa un dirigente originario del Trentino, appassionato di quest’uva. E lo ritroviamo, infatti, anche nella Igt Costa Toscana, di recentissima costituzione.
PAESE CHE VAI… Stranezze, stravaganze, o colpi di genio che voler si dica, che non possono trovare una reale giustificazione nella tradizione ampelografica di alcuni areali.
Diciamoci, allora, che le Igt – fin troppo spesso – rischiano di sembrare riuscitissime trovate commerciali.
Tutto tranne che strumenti utili a veicolare la tipicità (e la varietà) del Made in Italy nel mondo, al di là del “lavoro” delle Denominazioni d’origine.
Un campo, quello delle Indicazioni geografiche del vino, che deve aver impegnato tante capocce. Lo si capisce dal numero. Sono ben 181, da Nord a Sud Italia. Veri e propri agglomerati di regolamentazioni e burocrazia, utili più ad occupare cassetti che a favorire la promozione “global” delle eccellenze “local” (ci si accontenterebbe anche del “national”).
Per citarne alcune delle più curiose, in ordine alfabetico: Igt Alto Livenza, Igt Benaco Bresciano, Igt Bettona, Igt Catalanesca del Monte Somma, Igt Colline del Genovesato, Igt del Vastese o Historium, Igt Epomeo.
E andiamo avanti: Igt Fontanarossa di Cerda, Igt Marmilla, Igt Pareolla, Igt Planargia, Igt Quistello, Igt Rotae, Igt Terre del Valeja, Igt Tharros, Igt Valdamato. L’elenco è lunghissimo. Cui prodest?
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AAA cercasi make up artist per la Doc Locorotondo: richiesta esperienza pregressa nel settore. Con la cantina sociale in (s)vendita a 4 milioni di euro, dopo uno sciagurato fallimento (pre)annunciato da anni di mancati pagamenti ai conferitori d’uva, in Puglia, c’è chi prova a voltare pagina.
Niente capitali in arrivo dall’estero. Niente joint venture dal sapore mediorientale. La riscossa del Locorotondo prende forma dal cuore della cittadina della provincia di Bari. Più esattamente, dall’altra parte dei binari delle Ferrovie del Sud Est, su cui si affaccia l’immobile – ormai spettrale – della cantina sociale.
A guidare i produttori della Dop verso il rilancio è Marianna Cardone, che con il fratello Vito conduce l’azienda di famiglia, fondata negli anni 70 dal nonno Giuseppe e dal padre Franco. Siamo in via Martiri della Libertà 32, alla Cardone Vini Classici Srl. Duecento metri, in linea d’aria, dal palazzo dello scandalo.
Che “Lady Cardone” abbia preso sul serio la sfida, lo capisci già dalla stretta di mano. Una donna del vino che, per certi versi – carattere, ma anche aspetto fisico – ricorda un’altra vignaiola guerriera: la siciliana Marilena Barbera. Territori e storie diverse, le loro. Ad accomunarle la bellezza lucente della determinazione, negli occhi.
“Come in tutte le migliori storie di vita vissuta – evidenzia Marianna Cardone – ci sono dei momenti di cambiamento. Per il Locorotondo, la chiave di volta è arrivata con la chiusura della cantina sociale di Locorotondo. Negli anni 70, questo vino ha rappresentato per la Puglia l’unico diamante tra i bianchi della regione. Non a caso, questa è la seconda Doc per storicità dopo il Primitivo di Manduria. Ma proprio nel momento in cui il Locorotondo avrebbe dovuto traghettare la Puglia del vino fuori dalle logiche dello sfuso e delle vendita delle masse ad altre regioni, in molti hanno cominciato a sposare la causa della quantità, a dispetto della qualità. All’epoca, chi produceva milioni di bottiglie poteva aspirare a tutto, tranne che al blend originario composto da 50% Verdeca, 45% di Bianco D’Alessano e 5% di uvaggi come il Fiano o Maruggio. In bottiglia si metteva altro, che veniva spacciato per Locorotondo”.
E così che il bianco della Valle d’Itria si guadagna la cattiva fama di “vino del mal di testa”. “La qualità cadde a picco – ricorda Marianna Cardone – e Locorotondo divenne sinonimo di scarsa qualità. Un boomerang negativo che ricadeva anche su produttori come noi, che hanno sempre prodotto nel rispetto del disciplinare e del consumatore. Il vino bandiera della nostra cantina aveva perso completamente appeal“.
Poi, la svolta. “Da circa due, tre anni – commenta Cardone – a ricordarsi della cattiva fama del Locorotondo sono in pochi. Le nuove generazioni, in Italia, neppure sanno che esiste questo vino. All’estero, al contrario, hanno iniziato ad apprezzarlo. Questo blend tra vitigni che sintetizzano alla perfezione la Puglia del vino bianco, del resto, è marcatamente internazionale. Una spinta locale per il rilancio del Locorotondo è invece quella del turismo in Valle d’Itria. Un turismo di altissimo livello, fatto di consumatori curiosi e preparati, si sta avvicinando a questo vino riconoscendogli il valore che merita”.
Per Marianna Cardone, “questi sono gli anni zero del Locorotondo. E’ tutto da ricostruire da capo”. E un campo importante in cui si gioca la partita è quello della Grande distribuzione. “E’ improrante che anche la ‘signora Maria’ possa apprezzare un buon Locorotondo al giusto prezzo – evidenzia Marianna Cardone – ed è per questo che abbiamo pensato a una linea Iside Fine Wine, destinata esclusivamente ai supermercati Coop”. A ottobre il possibile sbarco in Auchan.
Lievissima la differenza tra il Locorotondo Iside e il Locorotondo Castillo, destinato invece al canale Horeca. Ad oggi, delle 20 mila bottiglie di Cardone Vini che finiscono sugli scaffali del supermercato, la metà sono del vino simbolo della cantina.
“Il prezzo di 6,99 euro – precisa Lady C – è comunque medio-alto per i vini bianchi Coop. L’obiettivo della nostra cantina, di fatto, è quello di restituire dignità non solo alla Dop Locorotondo, ma anche a tutti i produttori traditi negli anni scorsi dalla cantina sociale. Come? Pagando le loro uve al giusto prezzo: gli attuali 35 euro a quintale sono una cifra troppo bassa. Questo favorirebbe a sua volta il ritorno alla viticoltura in Valle d’Itria, dove il 70% dei vigneti è andato perduto”.
GLI ALTRI PRODUTTORI Con le sue 300 mila bottiglie totali, la Cardone Vini Classici costituisce una realtà molto importante per il tessuto sociale locale. Ma a sostenere la battaglia per il rilancio del Locorotondo concorrono anche altre cantine. Una di queste è Albea, ad Alberobello.
La cantina di via Due Macelli 8 produce il Locorotondo più costoso sul mercato: il “Il Selva”, in vendita al pubblico a 10 euro. “Un progetto – spiega Tommaso Marangi di Albea – portato avanti dal 2001 e volto alla valorizzazione di una denominazione purtroppo maltrattata. Nel 2016 l’idea di produrre un Locorotondo leggermente più morbido rispetto alle altre annate, ma che conservi comunque le grandi peculiarità del blend”.
La Verdeca resta la componente predominante, con un 35% di Bianco d’Alessano e un 15% di Fiano. La componente aromatica del Minutolo si fa sentire nel calice, così come la scelta di raccogliere le uve in leggera surmaturazione. Il risultato è un Locorotondo tagliente, dalla spiccata acidità e mineralità, ben bilanciate dalla morbidezza delle note fruttate esotiche e da un’alcolicità calda. “Andare a proporre all’estero un Locorotondo a 10 euro – spiega ancora Marangi – non è facile. La media che si aspettano i buyer si aggira attorno ai 2,80 euro. Dubbi che vengono fugati dalla degustazione del nostro Selva: un Locorotondo davvero sui generis“.
Sempre in Valle d’Itria, più esattamente a Castellana Grotte, c’è poi chi punta su un Locorotondo Superiore. E’ la cantina Terre Carsiche 1939. A giustificare tale menzione in etichetta sono soprattutto rese più basse in vigna. “Il disciplinare – spiega il titolare Andrea Insalata – prevede per il Locorotondo Doc una resa per ettaro fino a 140 quintali. Per il Superiore scendiamo invece a 90. Ogni singola pianta, dunque, può produrre 3-4 chili di uva, al posto di 6: ne consegue una maggiore qualità, che poi si traduce nel calice in maggiore ricchezza organolettica”.
L’etichetta di Terre Carsiche è Padre Abate: altro calice che merita la riscoperta e la valorizzazione di questo blend pugliese. “La grande fortuna della Valle d’Itria – aggiunge Insalata – sono gli sbalzi termici tra il giorno e la notte, che consentono la produzione di grandi bianchi come il Locorotondo: un vino che per i suoi profumi e per la mineralità che esprime, merita di affermarsi sempre più, a dispetto di una storia che non sempre gli ha reso il giusto merito”. Insomma: il rilancio della Dop Locorotondo è in buone mani.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Dopo l’allarme lanciato da Coldiretti e la richiesta, da parte di Fivi, di una conta dei danni ufficiale, è Assoenologi a delineare il quadro delle conseguenze dell’ondata di freddo che si è abbattuta sulle vigne italiane. Il gelo, proveniente dal Nord Europa, ha colpito il Belpaese tra martedì 18 e venerdì 21 aprile. Un “nuovo inverno” per le viti di mezza penisola, in piena maturazione.
“Spesso siamo preda dell’ossessione del clima che cambia – commenta Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi -. Le gelate tardive sono una costante che ha accompagnato le vicende della viticoltura europea fin dalle sue origini. Ma in effetti la gelata dello scorso aprile non può essere considerata il risultato di un fenomeno meteorologico normale. Lo dimostra la dimensione europea dell’evento e la gravità del danno. Molto raramente, infatti, si associano gli effetti di un raffreddamento dovuto allo spostamento di grandi masse fredde dall’Artico, con quelli della perdita di calore dal suolo per irradiamento e, in molti casi, per la caduta di aria fredda lungo le pendici verso le zone più basse. La situazione – precisa Cotarella – è stata poi aggravata dall’avanzato sviluppo dei germogli per le favorevoli condizioni del mese di marzo”.
LA CONTA DEI DANNI
Dalle prime stime, secondo le rilevazioni effettuate da Assoenologi, i danni sembrerebbero ingenti. Si tratta di vigneti colpiti a macchia di leopardo, soprattutto nei terreni a fondovalle e in quelli pianeggianti, oltre che i nuovi impianti, particolarmente sensibili. “Come è facile prevedere – ha detto Cotarella – le conseguenze per la viticoltura italiana saranno, sul piano produttivo, molto gravi, anche perché sono stati colpiti alcuni distretti viticoli i cui vini sono destinati soprattutto all’esportazione. Il risultato degli interventi agronomici per il recupero della produzione dell’annata in corso si prospettano molto aleatori e potranno essere valutati solo dopo la risposta delle piante, tra qualche settimane. È opportuno invece che le scelte dei viticoltori si orientino verso il ripristino della struttura produttiva per la prossima annata”.
LA SITUAZIONE PIEMONTE. In tutto il Piemonte si stima un 5-8% di ettari di vite colpiti dalle gelate e una perdita media del 3-5% della produzione. Nella zona del Gavi i danni sono a macchia di leopardo e sembra che siano stati colpiti il 10-15% degli ettari ma con differenti problematiche, dal 5 al 100%. Mediamente la perdita complessiva non dovrebbe essere di oltre il 7-10% della produzione.
Nei comuni di Nizza, Agliano, Mombaruzzo, zona tipica del Barbera d’Asti, le gelate hanno interessato, in alcuni casi, i vigneti sino a metà collina. La prima stima dà un danno dall’8 al 10% della produzione totale. Per la zona del Barbaresco preoccupante è stata la grandinata del 16 aprile su una parte del comune di Neive.
Le gelate hanno colpito il fondovalle, mentre le posizioni ben esposte, da Nebbiolo, non sono state colpite o solo marginalmente. Stima del danno 5-7% della produzione. Anche nella zona del Barolo le gelate hanno colpito a macchia di leopardo. (Enol. Alberto Lazzarino – Presidente Sezione Piemonte Assoenologi).
LOMBARDIA. In generale i vigneti della Lombardia posizionati in zone pianeggianti o comunque con poco ricircolo d’aria sono state maggiormente penalizzate. Per effetto di inversione termica sono stati molto più limitati i danni in zone collinari e comunque sempre in forme di allevamento con capo a frutto più distante da terra. La Franciacorta è probabilmente la zona più colpita vista la precocità dei vitigni e la posizione.
Si stima dal 40 al 50% di germogli colpiti in particolare in zone pianeggianti e su tutti e tre i vitigni. Sorte migliore ai vigneti allevati a Sylvoz e in prossimità del lago d’Iseo. Per le vigne Lugana e Garda, la vicinanza del lago ha molto limitato i danni che vengono stimati in circa 15/20% dei germogli in particolare sulle varietà a bacca bianca e rossa precoce. Nel comune di Botticino, essendo quasi esclusivamente uve rosse danni limitati a un 10-12%, mentre in Valcalepio sono sati pochi i danni e limitati a posizioni particolari di fondovalle o esposizioni poco soleggiate.
In Oltrepò la situazione risulta molto difforme sia per posizione che per vitigno. Le gelate hanno causato un danno sui germogli pari a circa 20% Ad essere colpiti sono stati in particolare vigneti nelle vallate dove il danno arriva anche al 90- 95%. In Valtellina pochi se non nulli i danni e comunque limitati a posizioni particolare o esposizioni poco soleggiate. Pochi danni anche in Liguria in prossimità di fondovalle: stima 10-15% di germogli persi (Enol. Alessandro Schiavi – Presidente Sezione Lombardia Liguria Assoenologi).
TRENTINO. Nella notte tra il 19 e il 20 aprile si è verificata una gelata che ha colpito varie zone del vigneto Trentino. Dei 10500 ettari vitati in provincia di Trento, ne sono stati in vario modo colpiti circa 2400, di essi circa 1000 hanno avuto danni più importanti. L’entità del danno alla produzione risulta comunque di difficile stima in questa fase, poiché la gelata ha colpito vigneti con stadi fenologici diversificati per zona e varietà.
Si ritiene che in parte dei vigneti colpiti vi sia una ripresa vegetativa anche grazie alle piogge cadute negli ultimi giorni e alla ripresa delle temperature. Attualmente si stima un danno consistente almeno su 1000 ettari pari a circa il 10% della superficie totale. Le zone più colpite sono state il basso Trentino con Ala, la piana di Rovereto, qualche zona della Valle dei Laghi, danni minori a nord di Trento e in Valle di Cembra dove risultano colpiti i vigneti a gouyot rispetto alla tradizionale pergola trentina. (Enol. Goffredo Pasolli – Presidente Sezione Trentino Assoenologi).
ALTO ADIGE. In Alto Adige la superficie colpita dal gelo è di circa il 10% della superfice vitata (5.350 ettari), cioè circa 530 ettari. I danni qualitativi e quantitativi sono attualmente stimabili dal 5-8%. Le zone più colpite sono l’alta Val Isarco e la zona Oltreadige, con qualche zona vicino a Ora (Bassa Atesina). (Enol. Stephan Filippi – Presidente Sezione Alto Adige Assoenologi).
VENETO CENTRO ORIENTALE. Nel Veneto Centro Orientale le basse temperature dell’ultima decade di aprile hanno determinato in alcuni casi solo un arresto della vegetazione, in altri anche danni da gelo a carico dei germogli. La diffusione dei veri e propri danni gravi, ha comunque colpito a macchia di leopardo il territorio, prova ne è che all’interno dello stesso appezzamento si trovano zone con filari con viti danneggiate mentre altre con una vegetazione normale, questo sia in collina che in pianura. In collina risultano colpite solo alcune viti dei filari di fondovalle mentre quelli lungo il crinale risultano indenni.
Le viti allevate con vari sistemi di allevamento sono state indifferentemente colpite, l’unico sistema di allevamento su cui sembra non si segnalano problemi risulta essere il Bellussi probabilmente per la sua forma molto espansa e arieggiata. Quantificare gli eventuali danni da gelata è oggi prematuro, perché il ciclo vegetativo è ancora molto lungo e la vite ha ancora tempo per recuperare, importante sarà l’andamento delle temperature nelle prossime settimane. (Enol. Celestino Poser- Presidente Sezione Veneto Centro Orientale Assoenologi).
VENETO OCCIDENTALE. Dal 1984 non avvenivano gelate , questo ha contribuito a far piantare vigneti in zone poco vocate alla viticoltura specialmente “viti nane” alte 60 cm da terra, la meccanizzazione ha favorito questi sistemi d’impianto, dimenticando che la vite è una pianta rampicante. Danni: a prima vista sembrava un danno enorme, dopo 6 giorni, si nota che la vite riprende la cacciata, siamo ancora in aprile, e sono convinto che oltre a salvare il capo a frutto per l’anno prossimo si riuscirà a fare una vendemmia non di quantità, ma certamente di qualità, con leggero ritardo di maturazione.
Le zone più alte e le colline di tutte le Province di Verona e Vicenza sono intatte e la pioggia di questi giorni è stata una vera manna. Per essere sintetici delle zone colpite, Valpolicella solo parte della bassa, Soave solo parte la pianura a est, e zona Arcole, Vicentino; parte zona nord di Lonigo e Meledo, Brendola, Montebello. Fra 15 giorni si potrà meglio giudicare che il danno non è così enorme di come poteva apparire giorni fa. (Enol. Luigino Bertolazzi – Presidente Sezione Veneto Occidentale Assoenologi).
FRIULI VENEZIA GIULIA. Dobbiamo ritornare al 20 aprile 1981, lunedì di Pasqua, per trovare una gelata così importante in Friuli Venezia Giulia (-2°/3° C). La superficie interessata è stata di oltre duemila ettari, pari al 10% dell’intero “Vigneto Friuli”. Fortunatamente, questo grande freddo, ha colpito i vigneti a macchia di leopardo diluendo i danni sull’intera superficie vitata regionale.
In Friuli l’inverno è stato mite e siccitoso mentre, le alte temperature nelle prime due decadi di aprile, hanno sviluppato anticipatamente l’apparato fogliare della pianta evidenziando, soprattutto nelle varietà precoci, i giovani germogli.
Da qui l’importante danno causato dal gelo improvviso in particolare nelle zone del fondo valle e nelle pianure lungo i corsi d’acqua e nelle varietà di Pinot Grigio, Glera, Refosco e Verduzzo. Occorre attendere sia la ripresa vegetativa della vite, ancora oggi bloccata dalle basse temperature, che lo sviluppo vegetativo del futuro grappolo. (Enol. Rodolfo Rizzi – Presidente Sezione Friuli V. G. Assoenologi).
EMILIA. Il danno medio in Emilia è stimabile tra il 20 e il 30% della superficie vitata. Le varietà più colpite sono l’Ancellotta e le uve bianche in generale. Il 90% dei danni hanno riguardato impianti a spalliera con filo di banchina dai 90 ai 120 cm. Pochi invece sui sistemi a Belussi e a doppia cortina con filo di banchina maggiore di 180 cm. Anche nella pianura del bolognese i danni sono significativi, ma manca ancora una stima attendibile. (Enol. Sandro Cavicchioli – Presidente Sezione Emilia Assoenologi).
ROMAGNA. L’avvio di stagione aveva offerto una primavera da manuale in Romagna, con fioriture splendide e anticipi di vegetazione, anche se la siccità iniziava a dare qualche preoccupazione. Poi l’acqua è arrivata, ma con lei anche i guai: tra il 15 e il 17 aprile si sono manifestati due importanti eventi grandinigeni in Emilia-Romagna, che hanno avuto ripercussioni anche sul vigneto. I danni più importanti partono dalla collina faentina (Zattaglia, Casola Valsenio in particolare) per continuare verso quella imolese, fino a devastare le vigne tra Castel San Pietro e Ozzano, scendendo verso la pianura bolognese.
Nell’Imolese si parla di circa 700 ettari coltivati (non solo vite) interessati dall’evento. Come se non bastasse, si è poi assistito ad un ribasso delle temperature che nelle mattine del 20 e 21 aprile sono scese anche leggermente sotto zero. La situazione in merito ai vigneti è variegata: si può supporre che su una superficie vitata di circa 27 mila ettari, compreso l’Imolese, almeno 4 mila ettari siano stati interessati da grandinate e gelate tardive, ma l’incidenza di questi eventi sugli esiti produttivi di questa vendemmia sono tutti da determinare.
Cosa sia successo dentro questi grappolini al momento non è dato saperlo e si attende con ansia il momento della fioritura, ma soprattutto dell’allegagione. (Enol. Pierluigi Zama – Presidente Sezione Romagna Assoenologi).
TOSCANA. Anche la Toscana è stata colpita duramente dal gelo degli ultimi giorni. Si evidenziano danni a macchia di leopardo su tutta la regione, in particolare nei fondovalle mentre si sono salvati i vigneti posizionati in zone più collinari. In alcuni areali i germogli colpiti sono stati completamente “bruciati” compromettendo in modo significativo la produzione 2017 anche se la speranza è nelle gemme di sottocchio.
Fenomeni contenuti si sono registrati nel litorale ( Bolgheri- bassa Maremma). Alcuni dati: Zona Chianti 25-30%; Zona Chianti Classico 20%; Zona San Gimignano 20%; Zona Montalcino 10-15%; Zona Montepulciano 20-25%. (Enol. Ivangiorgio Tarzariol – Presidente Sezione Toscana Assoenologi).
MARCHE. Nelle Marche i danni nelle vigne sembrano piuttosto limitati con una situazione piuttosto variegata. Nel Pesarese/Urbinate non si rilevano danni di rilievo, così come nell’Anconetano, nelle zone del verdicchio e del Conero quantificabile, al massimo, intorno al 10%.
Nel comune di Matelica, le gelate notturne dei giorni scorsi, dopo un marzo eccezionalmente caldo che ha fatto sviluppare in anticipo le gemme, hanno danneggiato in maniera variabile a seconda delle zone, fino ad un 40%. Nel Fermano/Ascolano, qualche danno si è registrato su giovani germogli soprattutto nel fondo valle delle zone più interne dove, in qualche caso, sono stati ingenti, con perdite fino al 50% nella porzione di vigneto adiacente alla valle.
A livello regionale è emerso che questi abbassamenti repentini delle temperature hanno influito sul germogliamento delle varietà tardive (Montepulciano, Trebbiano T. e Passerina) in cui si assiste a livello generale ad un germogliamento disforme, oltre ad un rallentamento vegetativo generalizzato. (Enol. Luigi Costantini – Presidente Sezione Marche Assoenologi).
LAZIO E UMBRIA. Nel Lazio e in Umbria le giornate del 20 aprile e poi del 22 aprile sono state caratterizzate da mattinate con temperature inferiori allo zero e venti freddi. Nella provincia di Latina si ipotizzano danni che vanno da un 10% al 40-50% nelle zone più colpite specie nei fondovalle. Nell’areale dei Castelli Romani si ipotizza in maniera molto generale una perdita del 10-15% anche se i tecnici sono fiduciosi su un possibile recupero, anche per le vigne più colpite. In quest’area infatti, le varietà autoctone, generalmente più tardive, si trovano in una fase fenologica anticipata rispetto ad altre varietà.
In Umbria, ci sono stati ingenti danni sui vigneti di fondo valle e pianura dove si stimano perdite anche oltre il 60% e verosimilmente le varietà a bacca bianca sono le più penalizzate; meglio le zone di media e collina che sono scampate ai danni anche se nella zona di Montefalco (notoriamente più fredda del perugino) alcuni vigneti di Sagrantino, seppur a 300-350 m s.l.m, hanno subito perdite anche oltre il 30%. Si segnala anche una forte difformità dei danni nell’ambito dello stesso vigneto o filare. (Enol. Riccardo Cotarella – Presidente Sezione Lazio Umbria Assoenologi).
ABRUZZO. Poiché in Abruzzo l’andamento vegetativo della vite risulta essere in ritardo di circa 10-12 giorni, a causa di un inverno rigido e temperature al di sotto della media stagionale, i danni da gelo sono stati circoscritti nelle zone del fondo valle e sulle sole varietà precoci: Chardonnay, Pinot Grigio, Pecorino, Passerina. Sul Trebbiano e Montepulciano i danni, nella maggior parte della regione, non sono significativi.
La provincia dell’Aquila e parte dell’entroterra Pescarese, che già lo scorso anno nello stesso periodo hanno avuto danni da gelo molto importanti, hanno subito lo stesso abbassamento di temperatura (-3°C/-5°C) ma con danni minori perché la schiusura delle gemme è avvenuta con ritardo. Occorrerà però aspettare il completo germogliamento per definire eventuali cali di produzione. (Enol. Nicola Dragani – Presidente Sezione Abruzzo Molise Assoenologi).
CAMPANIA. L’inizio del 2017 in Campania è stato contraddistinto da temperature di circa 1°C, inferiori rispetto alla media del periodo e piogge abbondanti. Ciò faceva ben sperare in una campagna vendemmiale “nella norma” e cioè non contrassegnata da altalenanti e disattesi cambiamenti climatici.
Ma non è stato così perché già negli ultimi tre giorni di gennaio si sono registrate impennate termiche anomale con giornate piuttosto calde e soleggiate. Temperature miti (non in linea con le medie stagionali) hanno caratterizzato anche i successivi mesi di febbraio e marzo. Queste condizioni, sull’intero territorio regionale, hanno favorito un germogliamento della vite leggermente anticipato di qualche giorno, nella prima decade di aprile. Nel fine settimana tra il 18 e il 21 aprile pesanti gelate notturne hanno gravemente condizionato le prime fasi vegetative della vite in quasi tutti gli areali di produzione.
L’eterogeneità delle prime fasi di sviluppo dei germogli ha limitato fortunatamente il danno, interessando buona parte dei germogli già accresciuti e risparmiando così le gemme che appena si aprivano. Nei vigneti più giovani la gelata ha fatto più danni. Le viti più vecchie invece hanno mostrato una maggiore resistenza. Al momento si può stimare mediamente un danno pari al 15-20%. (Enol. Roberto Di Meo – Presidente Sezione Campania Assoenologi).
PUGLIA. In Puglia l’accrescimento regolare dei germogli è stato incentivato da alcune giornate di caldo intenso dei primi quindici giorni di aprile. Improvvisamente però, un’ondata di gelo nelle date del 20-23 del mese ha interrotto la crescita della vegetazione, in alcuni casi stroncandola. Di difficile analisi il fenomeno, per la forte eterogeneità delle condizioni territoriali.
Il forte sbalzo termico e le basse temperature hanno colpito in particolare la zona della Valle d’Itria, con un danno sui vigneti stimabile al 40-50%; l’areale compreso tra Cerignola e Minervino Murge, con un danno sui vigneti stimabile al 10- 20% e il Nord Puglia fino ai confini regionali, con un danno sui vigneti stimabile del 5-10%. Il resto della regione è stato sostanzialmente trascurate dal fenomeno, con qualche sporadica eccezione data da zone più fredde o esposte a correnti. In Basilicata e Calabria i danni sono stati molto limitati.
SICILIA. In Sicilia si registrano piccoli focolai in poche zone particolari. Nulla di grave, si è nell’ordine dell’1% di danni (Enol. Giacomo Salvatore Manzo – Presidente Sezione Sicilia Assoenologi).
foto da lanuovasardegna.it
SARDEGNA. L’ondata di mal tempo anomalo, con un improvviso abbassamento delle temperature di molti gradi, con sbalzi di 22-23 C°, hanno danneggiato gravemente i vigneti, dove sono andati distrutti completamente i giovani germogli fruttiferi.
Danni a partire dai fondovalle da 25 m.s.l.m ai 650 m.s.l.m.i che hanno interessato gran parte della Sardegna in modo particolare la Gallura patria del Vermentino Docg, per arrivare alle vigne di Cannonau dell’Ogliastra, Orgosolo, Dorgali, sino ad arrivare ai 650 metri di Mammoiada, nell’Oristanese casa della Vernaccia , nel Sulcis-Inglesiente terra del Carignano.
Danni che arrivano al 100% della produzione sino ad un 20- 50% nelle aree meno colpite . Un vero e proprio bollettino di guerra , che ha messo in ginocchio molte aziende vitivinicole. Ad oggi si stanno stimando ancora i danni che potranno essere più precisi fra una quindicina di giorni, quando la vite ricaccerà e si potrà stimare la nuova produzione. In tutti i casi si ipotizza che siano oltre 3000 gli ettari interessati dal flagello del gelo. (Enol. Andreino Addis – Presidente Sezione Sardegna Assoenologi).
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