Categorie
news news ed eventi

Questionario sulla presenza di saccarosio nei vini: quanto conosci il vino che bevi?

Questionario sulla presenza di saccarosio nei vini quanto conosci il vino che bevi
Quanto conosci davvero il vino che bevi?
Il vino è uno dei simboli per eccellenza del Made in Italy. Un sinonimo di qualità, tradizione e autenticità. Tuttavia, non sempre ciò che finisce nel nostro bicchiere è frutto esclusivo dell’uva. Attraverso questo breve questionario, promosso da Federmosti in collaborazione con Winemag.it, vogliamo esplorare insieme quanto i consumatori siano informati sulla presenza del saccarosio nei vini. Conoscere ciò che beviamo ci rende consumatori più consapevoli e attenti. Rispondi alle seguenti domande: ci aiuterai a comprendere meglio le esigenze di chi ama il vino e di chi vuole sempre più trasparenza. questionario saccarosio vino. https://www.winemag.it/critiche-nuova-etichettatura-vini-ue-ingredienti-esultano-federmosti-must/

SACCAROSIO NEI VINI: QUANTO CONOSCI IL VINO CHE BEVI? IL QUESTIONARIO

Scelta multipla
Nome

IL SACCAROSIO NEL VINO

Il saccarosio nel vino è un tema poco noto ai consumatori, ma estremamente rilevante per comprendere meglio ciò che finisce nel nostro bicchiere. Questa sostanza, infatti, viene utilizzata frequentemente nella vinificazione per aumentare il grado alcolico o per bilanciare l’acidità del prodotto finale. Tuttavia, pochi consumatori sanno effettivamente se e quanto saccarosio sia presente nel vino che bevono abitualmente.

Per valutare questa consapevolezza, abbiamo sviluppato un questionario specifico che aiuta gli appassionati e i consumatori meno abituali a scoprire le loro conoscenze sul contenuto zuccherino dei vini. Questo strumento interattivo permette di identificare rapidamente quanto si conoscono i vini preferiti, offrendo al contempo utili informazioni sulla salute e sulla qualità del prodotto consumato. https://www.bertagniconsulting.com/ questionario saccarosio vino.

Perché è importante conoscere la presenza di saccarosio nel vino? Per una questione di trasparenza nei confronti del consumatore, è fondamentale conoscere le quantità di zucchero ingerite nella dieta quotidiana. Inoltre, il saccarosio, a differenza del mosto d’uva concentrato, è un ingrediente esterno alla filiera dell’uva. Imparare di più sul saccarosio nel vino significa scegliere consapevolmente e con maggiore attenzione alla salute? I pareri, nel settore e tra i consumatori, sono discordanti. Metti alla prova le tue conoscenze con il nostro questionario online e scopri quanto realmente conosci il vino che scegli.

Categorie
news news ed eventi Vini al supermercato

Il vino Fragolino è legale o illegale? Cosa ci vendono i supermercati


Il vino Fragolino è legale o illegale? Cosa ci vendono i supermercati? Il Fragolino, vino aromatico e dolce a base di uva fragola – nota anche come uva americana o Vitis labrusca – è soggetto a restrizioni in molti paesi dell’Unione Europea, inclusa l’Italia. Queste restrizioni non derivano tanto dalla pericolosità del prodotto, quanto da normative specifiche sulla vinificazione e l’uso di certe varietà di vite.

PERCHÈ IL FRAGOLINO È CONSIDERATO ILLEGALE?

  1. Tipologia di uva: L’uva fragola appartiene alla specie Vitis labrusca, diversa dalla Vitis vinifera, che è la specie più comunemente usata per la produzione di vini in Europa. Le normative dell’UE vietano la produzione di vino da Vitis labrusca per motivi legati alla tradizione enologica europea e alla protezione delle varietà autoctone.
  2. Produzione di metanolo: L’uva fragola produce una quantità leggermente più alta di metanolo durante il processo di fermentazione rispetto alla Vitis vinifera. Sebbene le quantità siano generalmente sicure per il consumo umano, questo aspetto è stato utilizzato come giustificazione per limitarne la produzione commerciale.
  3. Denominazioni protette: Le normative UE vietano la vendita di prodotti etichettati come “vino” se non provengono da varietà di vite autorizzate. Questo significa che il Fragolino non può essere commercializzato legalmente come vino, anche se è possibile produrlo e consumarlo a livello privato.

DOVE È LEGALE IL FRAGOLINO E COME SI CONSUMA

  • Produzione casalinga: In Italia, è legale produrre il Fragolino per uso personale, ma non è permessa la vendita commerciale.
  • Versioni commerciali: Alcuni prodotti chiamati “Fragolino” sono in realtà bevande aromatizzate che imitano il sapore del Fragolino ma non sono ottenuti dalla fermentazione dell’uva fragola.
  • Fuori dall’UE: In alcuni paesi extraeuropei, come gli Stati Uniti, l’uva fragola è usata senza restrizioni nella vinificazione.

Dunque, il vino Fragolino è legale o illegale? La risposta, in sintesi, è che il Fragolino non è propriamente “illegale”. Ma la sua produzione e commercializzazione (con questo nome, anche nei supermercati) sono fortemente limitate da normative vinicole specifiche. La prima regola, se lo si acquista in Gdo, è dunque quella di non aspettarsi propriamente un vino, bensì una bevanda aromatizzata che imita il sapore dell’originale, non vendibile al pubblico nella grande distribuzione. Un esempio su tutti? Il Fragolino Duchessa Lia distribuito, tra gli altri, nei supermercati Carrefour a 4,65 euro a bottiglia. Luca Maroni 92 punti al Fragolino di Aldi (che non è un vino)

Categorie
eventi news news ed eventi

30 anni di Prima del Torcolato nel 2025: così Breganze sfida la crisi dei vini dolci


Nel 2025, Breganze celebra il suo vino dolce all’insegna dei 30 anni della Prima del Torcolato.
Domenica 19 gennaio, nella cittadina della provincia di Vicenza si taglierà l’importante traguardo dei trent’anni dell’iconico evento che rende omaggio al Torcolato, il vino passito Doc che ha saputo conquistare appassionati e intenditori, diventando simbolo del territorio e della denominazione Breganze.

LA STORIA DEL TORCOLATO DI BREGANZE

Il Torcolato affonda le sue radici nella storia contadina della Pedemontana Vicentina, un territorio in cui tradizione e innovazione convivono in armonia. La prima menzione del termine “Torcolato” risale al 1890, quando venne usato per descrivere il prezioso vino passito ottenuto dall’uva Vespaiola, autoctona di questa zona. Trent’anni fa, questa tradizione secolare ha trovato una nuova espressione nella “Prima del Torcolato”, una manifestazione che celebra pubblicamente il momento della prima spremitura dell’uva appassita. Dopo quattro mesi di paziente appassimento nei fruttai delle cantine, i grappoli vengono torchiati in piazza per ottenere il primo mosto della nuova annata. Un rito che, tra folklore e comunità, rappresenta il cuore pulsante della viticoltura locale.

BREGANZE, 30 ANNI DI PRIMA DEL TORCOLATO: IL PROGRAMMA

La “Prima del Torcolato” 2025 si arricchisce di eventi unici, nel segno della cultura e dell’arte. Le celebrazioni saranno accompagnate dalle note del “Violino Torcolato”, uno strumento artigianale creato dal liutaio Fabio Dalla Costa, un omaggio musicale alla tradizione del vino passito. Non mancherà una parentesi teatrale, curata dall’attore e drammaturgo Diego Dalla Via, che proporrà uno spaccato della vita e delle tradizioni contadine. A rendere ancora più speciale questa edizione sarà la nomina del fumettista vicentino Ivan Bigarella a nuovo Ambasciatore del Torcolato nel mondo per il 2025. Noto per il suo stile narrativo originale, Bigarella avrà il compito di promuovere il Torcolato e il suo territorio. Continuando una tradizione che unisce radici locali e prospettive internazionali.

LE SFIDE DEL TORCOLATO DOC BREGANZE

«Raggiungere i 30 anni della Prima del Torcolato – commenta Giuseppe Vittorio Santacatterina, presidente del Consorzio per la Tutela della Doc Breganze – è motivo di grande orgoglio per tutto il Consorzio e per le cantine associate. Il Torcolato Doc Breganze ha saputo affrontare a testa alta la crisi dei vini dolci in Italia negli ultimi anni, mantenendo una domanda stabile sul mercato. La sua forza risiede nell’unicità, espressione autentica del nostro territorio e dei migliori grappoli di uva Vespaiola». Santacatterina guarda al futuro con determinazione: «La sfida per i prossimi cinque anni sarà portare il nome del Torcolato ancora più in alto, sia in Italia che all’estero. Un obiettivo che potremo raggiungere solo grazie alla collaborazione tra le cantine DOC Breganze e a una comunicazione efficace del valore unico del nostro territorio».

Categorie
Esteri - News & Wine

Vendemmia 2023 Sudafrica condizionata da crisi energetica: «Poca uva per grandi vini»


La
vendemmia 2023 in Sudafrica sarà di quantità inferiore a quella del 2022 e delle tre precedenti annate. La qualità attesa, tuttavia, sarà eccellente e in grado di dare «vini di grande caratura». Lo rivela l’ultimo report – per l’esattezza il quarto dall’inizio della fase vegetativa della vite – emesso da Vinpro, società di riferimento dell’industria del vino sudafricano, insieme a Sawis, altra organizzazione di filiera. Alla base del calo delle rese, oltre al meteo inclemente, c’è anche la crisi del fornitore di energia elettrica statale Eskom.

La riduzione delle forniture in alcune delle regioni vinicole interessate da irrigazione intensiva, ha impedito alle pompe di funzionare per lunghi periodi. L‘alternativa sarebbe stato il blocco totale in un Paese che, solo lo scorso anno, ha dovuto fare i conti con parziali interruzioni (lunghe fino a 12 ore) per quasi 200 giorni su 365, 100 in più del 2021.

Il tutto a causa della manutenzione in corso sulle linee, che dipendono ancora per oltre l’80% dalle centrali a carbone, oggetto di danneggiamenti e furti da parte della criminalità locale. Una situazione drammatica, culminata a fine 2022 con il presunto tentativo di eliminare, tramite avvelenamento, André de Ruyter, l’uomo chiamato a risollevare le sorti della holding dell’energia sudafricana.

GRAPPOLI MENO PESANTI PER VIA DELLA SICCITÀ

«Si prevede che il raccolto sarà inferiore a quello del 2022 – afferma Conrad Schutte, responsabile del team di viticoltori Vinpro – ma cantine e addetti ai lavori concordano sul fatto che le uve della vendemmia 2023 in Sudafrica sono di eccellente qualità e promettono di produrre ottimi vini». L’inverno è risultato caldo e secco, per molti periodi molto più caldo del solito in tutte le regioni vinicole.

Le precipitazioni sono state significativamente inferiori, ad eccezione di Northern Cape. Il germogliamento è stato anticipato, con uniformità che viene definita dagli agronomi «soddisfacente». L’intensa crescita, guidata da una fotosintesi ottimale, oltre alle condizioni più aride del suolo, hanno influito negativamente sull’allegagione, in alcune zone.

A risentirne sono stati soprattutto i grappoli delle varietà Colombar e Cabernet Sauvignon, che al momento appaiono più spargoli. Le abbondanti piogge della prima settimana di dicembre hanno portato un grande sollievo in vista di una vendemmia 2023 in Sudafrica che sarà generalmente ricordata come «calda e secca».

ORA LO SPETTRO DELLE MALATTIE FUNGINE

Queste piogge hanno alleggerito la pressione sulla programmazione dell’irrigazione, ma hanno aumentato l’insorgere delle malattie fungine, in particolare oidio e peronospora. Inoltre, l’estirpo di alcuni vigneti Northern Cape, Olifants River and Swartland ha causato una riduzione della superficie totale del settore. L’ampia area geografica su cui sono distribuite le cantine sudafricane, con differenze climatiche e di suolo, ha un effetto significativo sulle stime vendemmiali nel Paese africano.

Nelle tre precedenti annate, le attese in tutte le regioni, ad eccezione del Klein-Karoo, erano inferiori al 2022, in termini quantitativi. Per la prima volta negli ultimi 4 anni, tutte le regioni vinicole sudafricane saranno interessate da un complessivo calo delle rese.

«Il clima delle prossime settimane è cruciale – evidenzia Conrad Schutte, a capo del team di agronomi Vinpro – e può ancora influenzare le dimensioni della vendemmia 2023. Ora è importante arieggiare i grappoli con giudizio, in modo che il movimento dell’aria e della luce avvenga in modo ottimale, evitando l’insorgere di malattie fungine». La quinta stima del raccolto da parte dei viticoltori e delle cantine produttrici sarà pubblicata a maggio.

Categorie
news news ed eventi

Sardegna, uva Granatza (Granazza) inserita nell’elenco vitigni autorizzati

«La Granatza (Granazza, ndr) finalmente nel registro dei vitigni autorizzati dall’Agris Sardegna». A darne notizia è Mamojà, l’associazione di viticoltori di Mamoiada, che da anni valorizza la varietà, assieme al Cannonau. «È un vitigno raro quasi scomparso», spiega Mamojà.

«Siamo fieri di valorizzarlo e di averlo recuperato – commenta il gruppo di produttori guidati da Francesco Cadinu – grazie al lavoro fatto in questi anni insieme ai nostri vignaioli e vivaisti di fiducia». Si tratta di un’uva bianca coltivata soprattutto in Barbagia, Campidano e Baronia, conosciuta anche come Vernaccia o Vernaccina.

L’inserimento della Granatza / Granazza nel registro dei vitigni autorizzati in Sardegna è frutto di un lungo percorso, avviato nel 2017 per 16 vitigni autoctoni. L’iter per il riconoscimento delle sedici varietà sarde vede protagonista l’Agenzia di ricerca in Agricoltura Agris Sardegna nell’ambito del progetto Akinas, legato alla «rivalutazione di nuovi prodotti enologici della biodiversità isolana».

UN PERCORSO AVVIATO NEL 2017

«Molte di queste varietà sono antiche e presenti da tempo nell’isola – spiegava nel 2017 Gianni Lovicu, responsabile viticoltura di Agris Sardegna – per alcune di loro le prime tracce risalgono a tempi di molto antecedenti alla costituzione del Regno d’Italia. Questo le aiuterà ad uscire dall’anonimato e fornirà un contributo fondamentale alle aziende interessate a coltivarle e vinificarle». Al progetto hanno anche collaborato il Crea-Eno Centro per l’enologia di Asti e il ZooplantLab dell’Università Milano Bicocca.

Assieme alla Granatza / Granazza, ecco dunque Alvarega (uva bianca coltivata in particolare nell’Ozierese e nel Goceano, conosciuta anche come Gregu biancu o Barriadorgia); Licronaxiu (uva bianca coltivata in particolare nella Sardegna centroccidentale-Mandrolisai, Oristanese, Sulcis e Planargia, conosciuta anche come Remungiau o Llacconargiu); Monica bianca (uva bianca coltivata in particolare in Barbagia, Baronia, Marmilla e Logudoro, conosciuta come Pansale).

GRANATZA / GRANAZZA MA NON SOLO

Continua il percorso anche per Cannonau bianco (uva bianca coltivata principalmente in Barbagia e Ogliastra); Cannonau dorato (uva bianca coltivata principalmente in Barbagia e Campidano); Argu mannu (uva bianca coltivata in tutta la Sardegna); Caddiu bianco (uva bianca coltivata principalmente in Marmilla e Sarcidano); Crannaccia arussa (uva bianca coltivata principalmente in Marmilla e Sarcidano); Codronisca (uva bianca coltivata principalmente nel sud dell’isola, conosciuta anche come Bianchedda); Gregu nieddu (uva a buccia nera coltivata principalmente nel Sulcis e in Campidano).

E infine: Licronaxiu nero (uva a buccia rossa coltivata nella Sardegna centroccidentale-Mandrolisai, Oristanese, Sulcis e Planargia); Niedda carta (uva a buccia nera coltivata principalmente nell’alta Ogliastra, nel Sarcidano e nella Barbagia di Seulo); Apesorgia nera (uva a buccia nera in tutta l’isola); Axina de tres bias (antica uva a buccia nera coltivata principalmente nel sud dell’isola e in Baronia); Galoppo (tradizionale uva bianca coltivata in tutta l’isola).

Categorie
news news ed eventi

Esercito in vigna in Puglia contro la mafia del vino e dell’uva

EDITORIALE – La mettiamo giù pesante, perché la situazione è pesante: in Puglia servirebbe l’esercito in vigna. Non si tratta certo della carenza di vendemmiatori, all’epoca del reddito di cittadinanza. Bensì di un’emergenza ben più grave, che il governo deve risolvere al più presto. Le vigne del Salento e della Daunia, tra Brindisi e Foggia, così come quelle della provincia di Barletta-Andria-Trani, sono in preda da anni alle scorribande della malavita organizzata. Quella che potrebbe essere ribattezzata la mafia del vino e dell’uva.

L’ultimo episodio criminale risale a una settimana fa. Cosimo Fortunato, conferitore della Cooperativa Due Palme di Cellino San Marco, ha trovato mille ceppi di Primitivo danneggiati. Un atto vile, perpetrato nella notte e scoperto solo la mattina dal viticoltore.

MASSERIA LI VELI: 0,4 ETTARI CANCELLATI COL TRATTORE

Per trovare il precedente più recente, non occorre andare troppo indietro nel tempo. Il 29 giungo 2021 a fare i conti con la mafia del vino e dell’uva è stata Masselia Li Veli. Siamo sempre a Cellino San Marco, provincia di Brindisi, per l’esattezza al Km 1 della provinciale Cellino-Campi. Qui è stato cancellato un intero vigneto dedicato alla produzione di vini del Salento: 0,4 ettari abbattuti con un trattore. Sempre nottetempo, perché è al buio che agiscono i vigliacchi.

In un’intervista rilasciata a al Quotidiano di Puglia, Angelo Maci va dritto al punto: «L’atto incendiario dello scorso anno subito da Cantina Due Palme e, subito dopo, la sparatoria sulla vetrata di casa mia ha la stessa regia della distruzione del vigneto della masseria Li Veli e del vigneto dell’amico Cosimo Fortunato».

«Stessi mandanti, stessi esecutori», ha aggiunto il numero uno della cooperativa di Cellino San Marco, che ricopre anche il ruolo di presidente del Consorzio Ue Coop e del Consorzio tutela vini Dop Brindisi e Squinzano.

Se in Puglia si spara sulle case dei presidenti delle cooperative vinicole, l’esercito in vigna è una provocazione poi non così surreale. Di episodi criminali, del resto, sono ormai piene zeppe le cronache. Senza andare troppo lontano nel tempo, nessuno ha dimenticato quanto accaduto a Cantine Rivera di Andria (BT) a febbraio 2021: 35 mila barbatelle rubate nella notte, a poche ore dall’impianto del vigneto sperimentale.

Un colpo durissimo per il patron Carlo De Corato: «Per chi ha commesso il furto – commentava – si tratta solo merce da piazzare sul mercato nero, ma per noi e per l’intero territorio vitivinicolo quelle barbatelle rappresentano il futuro. Per fortuna non tutto è perduto perché il vivaio ne aveva ancora qualche migliaio, da cui ripartiremo. Noi non ci fermiamo e non sarà di certo questo l’ultimo vigneto che pianterò».

GLI EPISODI CRIMINALI IN VIGNA SI SUSSEGUONO DA ANNI

Fece scalpore, nel settembre del 2020, l’arresto di due pregiudicati che si erano inventati un metodo particolare per estorcere denaro ai vignaioli. Prima devastavano i ceppi, poi lasciavano un biglietto manoscritto tra le viti a pergola, indicando come effettuare il pagamento per evitare ulteriori danneggiamenti.

Ancora più indietro, nel 2019, furono svuotati i silos dell’Antica Cantina di San Severo e di Torre Vini Srl di Torremaggiore, causando 1,5 milioni di euro di mancate vendite. In quell’occasione, finirono letteralmente per strada 25 mila ettolitri di vino, contenuti in 15 silos. Da non dimenticare, tra gli altri, anche i danni registrati nel 2016 dal “vignaiolo” Bruno Vespa, che parlò di «mafiosetti locali».

Un vezzeggiativo che, a distanza di anni, sta stretto a un movimento criminale viscido e strisciante, che pare muoversi indisturbato tra le vigne della Puglia, nonostante lo sforzo di carabinieri e uomini delle forze dell’ordine. Troppo pochi, forse, per azzerare la mafia del vino e dell’uva che opera un territorio così vasto. E allora Governo, se ci sei, batti un colpo. Anche due.

Categorie
Approfondimenti news news ed eventi

Lugana Doc, sbloccati 8.900 ettolitri di vino in stoccaggio

Aumento a doppia cifra per il Lugana Doc nei primi tre mesi del 2021. La denominazione è cresciuta sia sul fronte degli imbottigliamenti (+ 11,25%), che dei prezzi. Segna un +23% il prezzo dell’uva e un +69% il vino sfuso, secondo i dati della Camera di Commercio di Verona.

Il calo del rapporto tra giacenze e imbottigliato nei 12 mesi precedenti (marzo 2021) dà un quadro ottimistico. Tanto da convincere il Consorzio di Tutela a deliberare lo sblocco del 50% del vino sfuso in stoccaggio: 8.900 ettolitri.

«Come già accaduto a ottobre – spiega il presidente Ettore Nicoletto – il Consorzio ha reagito prontamente, grazie anche alla flessibilità insita nella misura di governo dell’offerta, che si era deciso di adottare in via cautelativa».

«Lo stoccaggio – aggiunge – ci ha permesso di essere reattivi e di rispondere al meglio alle esigenze dei produttori di Lugana Doc. Soddisfazioni arrivano anche dal mercato, che ha da poco accolto con entusiasmo la nuova annata».

Categorie
Food Lifestyle & Travel

Nasce il primo Comitato “Uva da tavola con i semi”: «Patrimonio da non dimenticare»

In provincia di Catania, per l’esattezza nella terra della pregiata Igp Mazzarrone, nasce il primo “Comitato per la tutela, la valorizzazione e la promozione dell’Uva da tavola con i semi, a difesa delle tradizioni”. Dalla Sicilia, l’iniziativa è destinata a espandersi in altre regioni produttrici d’Italia.

«Il mercato – commenta Salvatore Secolo, produttore e sindacalista nel settore agroalimentare – guarda già alla produzione dell’uva da tavola senza semi, contro cui non abbiamo nulla in contrario: ben venga, se porta benefici economici».

Però noi non vogliamo che la produzione di uva da tavola con i semi, tramandata fino ai giorni nostri da tempi antichissimi e coltivata in ultimo dai nostri dai nostri nonni e bisnonni, non venga un giorno semplicemente dimenticata o rischi di divenire solo un lontano ricordo».

Il nuovo organismo si propone di operare in campo culturale ed istituzionale per la tutela, la difesa, la valorizzazione e promozione dell’uva da tavola, per incentivarne il consumo in Italia e all’estero.

Per realizzare tali obiettivi, il “Comitato per la tutela, la valorizzazione e la promozione dell’Uva da tavola con i semi, a difesa delle tradizioni” intende organizzare attività, conferenze, manifestazioni, convegni, assemblee pubbliche, incontri, corsi e seminari informativi, pubblicazioni ed eventi pubblici, in collaborazione con istituzioni e autorità competenti. Sarà interessato anche il mondo della scuola, universitario e scientifico.

Il Comitato si prefigge inoltre di sostenere attività di studio, ricerca e formazione sull’Uva da tavola “con i semi”. A tal fine presenterà istanze, mozioni, petizioni, proposte, disegni di legge e quant’altro possa essere necessario.

Oltre a Salvatore Secolo e Giuseppe Virduzzo e di Mazzarrone, fanno parte del Comitato anche i produttori di Licodia Eubea (CT) Michele Puglisi, Pietro Li Rosi, Vincenzo Cummaudo e Giuseppe Pizzo.

Categorie
news news ed eventi

Val di Non, allarme per il Groppello di Revò: “Il vitigno trentino rischia di sparire”

Amata dalla critica enogastronomica, ma bistrattata dalla ristorazione locale e nazionale. Rara, moderna e versatile, eppure incapace di levarsi di dosso l’ombra ingombrante della mela della Val di Non. È l’uva Groppello di Revò, di cui restano solo 5 ettari nella nota “Valle delle mele” del Trentino.

Solo quattro, ormai, le cantine che la coltivano con orgoglio: Rizzi Valerio, Maso Sperdossi, El Zeremia e Lasterosse. Proprio da quest’ultima arriva l’allarme: “Attenzione mondo del vino italiano – confidano i coniugi Silvia Tadiello e Pietro Pancheri – un pezzo di storia della viticoltura trentina è al capolinea, solo perché non commerciale“.

Un appello ai winelovers e ai professionisti del settore del vino italiano, unito a un’azione concreta: “Alla fine di novembre – spiegano i due vignaioli della Val di Non – abbiamo dato il via alla campagna ‘Adotta un filare di Groppello di Revò‘, a cui hanno già aderito una ventina di persone”. In cosa consiste?

Con un investimento di 100 euro, i sostenitori possono vedersi intitolato un filare della rara uva trentina. Durante l’anno riceveranno dalla cantina Lasterosse continui aggiornamenti sullo stato dei lavori, dalla potatura alla vendemmia.

Dal campo si passa poi alla tavola, con la ricezione a domicilio di un numero di bottiglie di pari valore, a scelta tra il fermo e lo spumante Metodo classico prodotto con il Groppello di Revò.

“Speriamo che questa iniziativa possa fungere d’esempio e da stimolo anche per altri produttori – commentano i coniugi Pancheri – per continuare insieme questa tradizione, fare rete, risvegliare la curiosità dei consumatori e promuovere una economia virtuosa per il nostro territorio. Il più antico vitigno di montagna del Trentino non può scomparire: non si molla una delle più preziose voci della nostra biodiversità”.

“Adotta un filare” è solo l’ultima pagina della storia d’amore tra Lasterosse e il Groppello di Revò. Nei vent’anni di storia della cantina, la famiglia Pancheri ha sempre dimostrato di credere nella varietà autoctona.

“Mi sono trasferita da Rovigo in Trentino per seguire le orme di mio marito – rivela la veneta Doc Silvia Tadiello – ma anche perché ho sempre creduto in questo vitigno, che ha tutte le caratteristiche potenziali per dare un vino molto moderno, se lavorato con tutte le cure agronomiche ed enologiche del caso”.

“Grazie alla sua speziatura e alla sua vibrante acidità – continua la titolare di Lasterosse – l’uva Groppello di Revò regala vini rossi non troppo alcolici ed è ottima base per la spumantizzazione Metodo classico, come dimostrato dalla nostra Riserva Brut”.

Ad apprezzare questa varietà erano anche gli Asburgo, che si rifornivano di vino rosso proprio in Val di Non per allietare la corte di Vienna. Una fama ormai perduta, con la contrazione dei consumi e di oltre il 50% dei vigneti, che ha trasformato il Groppello di Revò in un reperto archeologico, prodotto in poche migliaia di bottiglie eroiche.

I vigneti si trovano oggi relegati sulla sponda nord-orientale del Lago di Santa Giustina, in particolare nei Comuni di Cagnò, Cloz, Revò e Romallo, tutti in provincia di Trento.

“I contadini non vogliono più lavorarli – denuncia la famiglia Pancheri – troppa fatica per così poco vino. Il Groppello fatica a ritagliarsi un ruolo sul mercato e non viene promosso localmente dagli stessi esercenti, poco inclini a sperimentare proposte più difficili rispetto alle tipologie più note”. Un vitigno orfano che cerca casa, insomma: quella di tutti gli italiani.

Categorie
news news ed eventi

Uva da tavola 2020 tra caporalato, macero e sottocosto: l’appello dei produttori siciliani

Tre opzioni e un pericolo, a sancire un quadro sconfortante, sotto ogni profilo: l’uva da tavola 2020 finisce al macero, resta su pianta o viene venduta a prezzi stracciati, che non garantiscono la giusta remuneratività agli agricoltori, strozzati da fenomeni come caporalato, lavoro nero e “grigio“.

L’allarme, unito a un appello alla ministra Teresa Bellanova, arriva da una delle terre più rappresentative per la produzione dell’uva da tavola italiana: Mazzarrone, teatro dell’omonima Igp, in provincia di Catania.

“La campagna 2020 – denuncia Salvatore Secolo, responsabile della Uila-Uil di Mazzarrone – si è rivelata molto complessa nelle principali regioni produttrici del Paese: mi riferisco a Sicilia e Puglia, che rappresentano il 90% dei 46.000 ettari coltivati in Italia”.

Le inefficienze della filiera dell’uva da tavola stanno mettendo in crisi un comparto strategico per l’agricoltura italiana, danneggiando esclusivamente agricoltori. Molto spesso i produttori sono costretti a lasciare sulle piante i prodotti del loro lavoro e dei loro sacrifici. Oppure devono portare la propria uva da tavola al macero, pagata quel poco che basta per rifarsi delle spese sostenute solo per la raccolta, se non di meno”.

Le soluzioni? “Al Ministro delle Politiche Agricole, Teresa Bellanova, nonché alle varie istituzioni competenti in ogni Regione italiana – commenta Secolo (nella foto, sotto) – chiediamo innanzitutto un maggior vigore alla campagna di promozione istituzionale per l’uva da tavola; inoltre, di attivarsi allo scopo di ‘risarcire’ tutti quei produttori di uva da tavola che sono costretti loro malgrado di portarla al macero, quando è invendibile per via delle avversità atmosferiche o dalle disastrose malattie che imperversano in agricoltura”.

“L’incentivo – continua il sindacalista della sigla Uila-Uil – dovrebbe essere almeno pari a 0,35 centesimi di euro al chilogrammo. Ritengo sia questo il giusto ‘risarcimento’ in favore dei produttori d’uva che invece devono accontentarsi di una remunerazione molto bassa, che non permette neanche di coprire le spese per la campagna, lavorando sottocosto e senza un giusto compenso, tanto da rischiare il collasso“.

Gli aiuti, secondo Salvatore Secolo, sarebbero anche utili ad “evitare il diffondersi del deprecabile e triste fenomeno del caporalato, certamente alimentato da produttori e aziende che, pur di essere competitive, ricorrono a forme di illegalità per avere manodopera sottocosto“.

Il riferimento del sindacalista è a “tante aziende, anche estere, che riducono all’osso i costi del personale impiegato”. “Il lavoro nero o ‘grigio’, sottopagato – continua il sindacalista Uil – va combattuto e fatto emergere, anche ricorrendo a incentivi come questo, che consentono ai produttori e alle aziende agricole assunzioni regolari, utili a migliorare l’economia”.

Da Mazzarrone arriva anche un invito alla digitalizzazione delle aziende agricole, utile a segmentare il mercato. “I produttori di uva da tavola, tecnicamente bravissimi – evidenzia Salvatore Secolo – non dovrebbero più vendere il proprio prodotto solo tramite la Grande distribuzione organizzata, a meno che il prezzo non venga stabilito dagli stessi produttori di uva da tavola, con remunerazioni non inferiori a un euro al chilogrammo”.

“I produttori debbono organizzarsi e provare a vendere l’uva italiana direttamente agli italiani. L’Italia è un mercato importante, oggi frastornato da frutta di pessima qualità che arriva da chissà dove. Peraltro a prezzi bassi. Servono subito iniziative di natura legislativa ed economica, finalizzate a far uscire dalla crisi le numerose realtà famigliari che hanno fondato la loro attività lavorativa sulla tanto decantata, ma penalizzata, agricoltura italiana”.

Categorie
news news ed eventi

Piwi: quattro nuove varietà nel registro nazionale. Presto avranno un nome

Novità dal mondo dei Piwi italiani, direttamente da una delle regioni più all’avanguardia da questo punto di vista: il Trentino. Quattro nuove varietà di vite tolleranti alle più importanti patologie fungine, oidio e peronospora, sono state iscritte nel Registro nazionale delle varietà di vite e sono pronte per essere coltivate in tutta Italia, dopo il necessario periodo di osservazione nelle diverse regioni.

L’importante risultato si deve alla selezione effettuata dalla Fondazione Edmund Mach. È di questi giorni, infatti, la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale di “F22P9”, “F22P10”, “F23P65”, “F26P92”, nate dai genitori Vitis vinifera e varietà portatrici di geni di resistenza naturali.

“Il materiale – spiegano i ricercatori – frutto di 12 anni di paziente e costante attività incrocio nell’ambito del programma di miglioramento genetico della vite, sarà presto messo a disposizione degli operatori dal Consorzio Innovazione Vite, che gestirà il brevetto delle varietà. Ed ora questi incroci, identificati con semplici sigle, sono in attesa di ricevere un nome”.

Accanto a queste 4 varietà il Consorzio Civit ha ottenuto l’iscrizione di un’altra variet, il Pinot Regina, dall’Istituto di Pècs in Ungheria. Inserito anche il portinnesto Georgikon 28 che mostra una buona tolleranza alla siccità e al calcare.

Le varietà Piwi sono state scelte dai ricercatori tra oltre 700 piante ottenute per seme, selezionate per i caratteri di tolleranza alla peronospora e oidio e per la qualità a più riprese e in diversi ambienti. Ora sono in fase di selezione altre varietà “candidate” all’iscrizione provenienti da oltre 20 mila semenzali, di cui ben 250 sono in costante osservazione.

LE CARATTERISTICHE DEI NUOVI PIWI
[metaslider id=”50110″]

Le varietà a bacca rossa F22P9 (Incrocio Teroldego x Merzling) e F22P10 (Incrocio Teroldego x Merzling) presentano caratteristiche di buona tolleranza nei confronti dei funghi peronospora e oidio, ma presentano anche un buon contenuto in antociani, con livelli di diglucosidi inferiore ai limiti legali ammessi nei vini, e polifenoli totali ed un ottimo rapporto zuccheri-acidi.

Dalle loro uve si ottengono vini con buona corposità e consistenza e con un buon contenuto in tannini e aromi a gradevole nota floreale-fruttata. Le varietà Piwi a bacca bianca F23P65  – incrocio Merzling x FR993-60, selezionata per le sue caratteristiche di acidità e pH adatte alla produzione di basi e vini spumanti – e F26P92 (incrocio Nosiola x Bianca) si caratterizzano per il diverso e complesso contenuto aromatico.

Si ottengono vini freschi leggermente aromatici che ricordano le erbe aromatiche con note di frutta secca, di medio corpo e buona sapidità. I vini ottenuti dalle quattro varietà Piwi sono stati prodotti nella cantina di microvinificazione afferente al Centro Trasferimento Tecnologico.

“Questo risultato ottenuto dai nostri ricercatori – spiega il presidente Mirco Maria Franco Cattani– è motivo di grande orgoglio per la Fem, perché contribuisce a sviluppare la selezione di nuove varietà, secondo natura, che migliorano la salubrità degli alimenti e dell’ambiente, anche grazie alla prevenzione dell’utilizzo di fitosanitari”.

“L’evoluzione di analoghi contributi scientifici potrà fornire ulteriore impulso al settore agricolo, migliorando ulteriormente la qualità degli alimenti, che sono sinonimo della tradizione agricola”, conclude Cattani.

Positivo anche il commento del presidente di Civit, Enrico Giovannini: “La soddisfazione è ancora maggiore, visto che questo risultato è stato ottenuto grazie all’impegno messo in campo da una squadra tutta trentina, il Consorzio dei vivaisti viticoli trentini assieme alla Fondazione Edmund Mach. Auspico, viste le ottime potenzialità, che queste varietà possano essere accolte con favore da parte del settore viticolo ed enologico”.

Il team di ricercatori che ha dato vita alle nuove varietà Piwi si compone di Marco Stefanini (coordinatore), Giulia Betta, Marco Calovi, Andrea Campestrin, Cristian Chiettini, Silvano Clementi, Monica Dalla Serra, Cinzia Dorigatti, Daniela Nicolini, Tiziano Tomasi, Silvia Vezzulli, Monica Visentin, Alessandra Zatelli, Luca Zulini. A questi vanno aggiunti altri ricercatori della Fondazione Mach che si sono prestati per specifiche parti necessarie all’iscrizione.

Categorie
news news ed eventi

Eugenio Rosi, una vita a 50 quintali ettaro. E un cartello stradale come manifesto

Molto più di un semplice cartello stradale al posto sbagliato. Eugenio Rosi, vignaiolo trentino della Vallagarina, è riuscito a trasformare un limite in una virtù, per la quale chiedere “attenzione e rispetto”. Gli è bastato aggiungere la scritta “quintali di uva per ettaro” a un cartello indicante il limite di 50 chilometri orari per dare voce a centinaia di vignaioli italiani ai tempi di Covid-19. Usando solo un pennarello indelebile.

Distillazione e vendemmia verde – spiega Eugenio Rosi a WineMag.it – sono tematiche attuali, ma lontanissime dalla nostra realtà. Noi, piuttosto, attendiamo il ritorno dei turisti e di vedere i ristoranti di nuovo pieni”.

Il cartello stradale è appeso a un palo del nuovo vigneto di Rosi, in frazione Anghebeni del comune di Vallarsa, in provincia di Trento. Il vento freddo proveniente delle Dolomiti sferza le viti di Pinot Bianco, a 650 metri sul livello del mare.

“Questo è il primo anno in cui vediamo qualche grappolo”, chiosa Eugenio Rosi. L’impianto risale infatti al 2016. Una volta produttivo, entrerà a far parte dell’uvaggio del vino biancoAnisos“, assieme a Nosiola e Chardonnay.

“Ho trovato il cartello col limite dei 50 Km/h due anni fa – spiega il vignaiolo trentino – ma solo nei giorni scorsi ho pensato di aggiungerci la scritta ‘quintali di uva per ettaro‘. Ho sentito che in molti territori si sta discutendo dell’abbassamento delle rese, soprattutto a causa del Covid-19, non ultimo in Alto Adige”.

Buone notizie, soprattutto se queste operazioni si tramuteranno nella produzione di vini di maggiore qualità. Non bisogna però dimenticare che qualcuno ha sempre lavorato in questo modo, con le rese basse”.

“Quello che spero – sottolinea Rosi – è che la gente si ricordi di noi vignaioli, dei vini che produciamo. E capisca dove risiede il vero rapporto qualità prezzo, ovvero nella qualità assicurata negli anni, anche grazie a rese basse in vigneto, venduta a un prezzo onesto”.

[metaslider id=”49942″]

Categorie
news news ed eventi

Sardegna, riconosciuti 26 nuovi vitigni. Berritta: «Emozionato per il Panzale»

L’Assessorato all’Agricoltura della Regione Sardegna ha inserito nel registro delle varietà adatte o consigliate per la produzione di vino 26 nuovi vitigni autoctoni. Nell’elenco, in cui spicca la presenza del Panzale (o Pansale), figurano 15 varietà a bacca bianca, 8 a bacca rossa e 3 a bacca rosa.

Si tratta in particolare di Alvarega, Aniga Bragia, Argu Mannu, Bianca Addosa, Bianca Remungia, Codronisca, Crannaccia Arussa, Cuccuau, Doronadu, Fiudedda, Gregu Nieddu, Guarnaccia o Granatza, Licronaxu, Licronaxu Rosa, Mara Bianca, Medrulinu, Nera del Ponte, Niedda Carta, Nigheddu Polchinu, Nuragus Arrubiu, Pansale (Panzale), Procu Nieddu, Rosonadu, Saluda e Passa, Selezione Vedele, Sinnidanu.

La notizia viene colta con entusiasmo da Cantina Berritta a Dorgali, nella valle di Oddoene. «Ricordo benissimo quando un vecchio vignaiolo della valle, che produceva due o tre damigiane all’anno di Panzale, me ne fece assaggiare un bicchiere e mi regalò alcune marze», racconta il patron Antonio Berritta.

Ho atteso questo momento per lunghi anni – continua – e non posso che dirmi felice e anche un po’ emozionato. Per chi come me è nato in campagna e da sempre ha lavorato la terra e la vite, è un orgoglio essere riusciti a far diventare grande una creatura come il Panzale. Il mio ringraziamento va a tutto il team del progetto Akinas, per aver dato un contributo determinante».

Il riferimento è alla ricerca scientifica che è stata in grado di confermare l’unicità di numerosi vitigni (e dunque vini) della Sardegna, realizzata dall’agenzia Agris Sardegna in collaborazione con l’Università degli studi di Milano Bicocca – Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze e il Crea – Centro di Ricerca Viticoltura ed Enologia di Asti.

«Il vitigno Panzale – continua Antonio Berritta – conosciuto anche con il nome “Pansale”, è stata una delle riscoperte della nostra cantina, con il primo impianto che risale a 25 anni fa. Si tratta infatti di un’uva tipica dell’area di Dorgali, che anticamente veniva usata solo come uva da tavola o uva passa».

La cantina sarda ha iniziato oltre 10 anni fa a concentrarsi sulla valorizzazione del Panzale, attraverso un minuzioso lavoro di ricerca in vigna e in cantina che è arrivato a compimento con l’imbottigliamento del primo Panzale in purezza, recante l’Igt Isola dei Nuraghi.

Categorie
news news ed eventi

Non dimentichiamolo: il “Coronavirus” della viticoltura sono i cambiamenti climatici

La problematica Coronavirus ha catalizzato l’attenzione dei mass media anche sul fronte della viticoltura e distolto lo sguardo dal tema dei cambiamenti climatici. Partendo dal presupposto che ogni vendemmia può essere nettamente diversa dall’altra, dati inconfutabili attestano l’anticipo progressivo nella raccolta delle uve.

Un fenomeno causato da stagioni sempre più compresse, che influenzano temperature e maturazioni. Grandini, gelate, forti temporali, sono sempre più frequenti, con inevitabili ripercussioni su vegetazione, terreni e vigneti.

Uno studio pubblicato sulla rivista statunitense Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas) afferma che l’Italia è una delle nazioni più esposte all’aumento delle temperature. Un fenomeno che minaccia circa l’85% dei vigneti del globo.

Altre ricerche sono state pubblicate dall’Institut National de la Recherche Agronomique (Inra) il quale sostiene che il 56% circa delle coltivazioni vitivinicole potrebbe scomparire in presenza di costante aumento della temperatura globale (circa 2 gradi entro il 2050).

Una conseguenza negativa potrebbe risiedere nell’aumento del grado alcolico del vino, con appiattimento del gusto, pertanto molti zuccheri e bassa acidità che potrebbero influenzarne a loro volta negativamente l’eleganza. L’anticipo delle vendemmie al momento, evita in qualche modo l’ossidazione contenuto nel patrimonio aromatico delle uve.

In Italia per esempio, alcuni produttori, ove possibile, stanno “spostando” i vigneti (o impiantandone dei nuovi) su altitudini differenziate, più elevate; zone di collina o ancor più in alto di montagna, alla ricerca di una mitigazione della temperatura che ogni cento metri di quota vede l’abbassamento del termometro di un grado, fenomeno che si accentua tra giorno e notte e tra l’estate e l’inverno.

La migrazione dei vitigni influenzerebbe poi il mercato con logiche connessioni con quello che è l’immaginario collettivo su determinate diciture (esempio “Classico” che sta a rappresentare un vino ricavato da uve provenienti dalla zona di produzione più antica, vocata e tradizionale).

Eventuali spostamenti predispongono comunque ad alcuni rischi, anticipo delle fioriture, gelate ed incremento degli insetti infestanti. A livello globale, le aree più adatte alla coltura della vite potrebbero concentrarsi nell’Europa centro orientale, nella costa pacifica degli Usa ed in Nuova Zelanda, oltre al Regno Unito.

Le zone più a sud del pianeta subiranno innalzamenti della temperatura tali da non riuscire a mantenere equa la biodiversità. Alcuni studi affermano che il Pinot Nero sarà uno dei vitigni più colpiti in quanto difficilmente adattabile ad estati lunghe e calde.

Ed i cambiamenti climatici che non risparmiano la Champagne, dove la temperatura media è aumentata di 1,1 gradi in ca. 30 anni. In quelle zone, è nata la prima filiera viticola al mondo, atta alla misurazione dell’impronta carbonica, con un piano strategico di riduzione delle emissioni entro il 2050.

Un paio di concrete soluzioni potrebbero essere quelle indicate da Benjamin Cook (Inra), innanzitutto comprendere in modo puntuale la capacità adattiva delle uve rispetto ai cambiamenti, con particolare riferimento ai vitigni autoctoni.

Gli scenari prospettici relativi all’innalzamento delle temperature, vedrebbero difatti un incremento di 2 gradi al 2050 e di 4 gradi al 2100, con logiche ed inevitabili conseguenze. O ancora, la sensibilizzazione dei consumatori con stimolo ad un consumo diversificato e non solo “stratificato”, in modo da consumare differenti tipologie di vini e permettere ai produttori una maggiore diversificazione.

Sarà pertanto necessaria una valutazione dell’impatto regionale (e non solo) sugli studi di adattamento e mitigazione per i vigneti, con analisi delle conseguenze anche su diversi aspetti socioeconomici. Il tempo scorre e l’esigenza di preservare il patrimonio vitivinicolo non può di certo attendere.

Categorie
birra news

Mercato Fivi 2018: birre e distillati che sorprendono

PIACENZA – Non solo ottimi vini al Mercato dei Vignaioli Indipendenti Fivi 2018. Vinialsuper ha scovato qualche chicca anche tra i distillati e le birre in degustazione lo scorso weekend a Piacenza.

LE GRAPPE
Intensa e vinosa al naso la Grappa monovitigno BarberaL’Audace” di Vigneti L’Annunziata. Figlia di viticultura Bio ed ottenuta da un singolo vigneto degli anni ’60 si presenta limpida e con chiare note fruttate al naso.

Grappa di corpo avvolge il palato durante il sorso in modo vellutato. Buona persistenza ricca di note in accordo col naso.

Molto elegante la Grappa di Vino Nobile di Montepulciano de Il Molinaccio. Distillata dalla pluripremiata distilleria Nannoni di Paganico coinvolge cui suoi profumi floreali ed erbacei. Fiori bianchi, erba tagliata e fieno. In bocca è setosa con alcol molto ben integrato e per nulla fastidioso.

Dalle Lipari Fenech propone due versioni della proprio Grappa di Malvasia delle Lipari: bianca ed affinata. È la seconda a sorprendere maggiormente: a fianco dei sentori floreali e fruttati presenti anche nella versione bianca si avverte una spezia dolce e soprattutto una nota mentolata che dona freschezza all’intero bouquet.

Pojer e Sandri presentano una grappa monovitigno di Traminer ed un Brandy, entrambi distillati internamente. Pulita ed aromatica la grappa mentre il Brandy, etichettato come “Acquavite Di Vino“, è un prodotto di grande eleganza in cui l’affinamento il legno non toglie né copre il corredo “vinicolo” dei profumi.

LE BIRRE
Due le birre che segnaliamo. Prima fra tutte “Volpe Spaziale” del Birrificio Stuvenagh (l’anima brassicola della cantina Castello di Stefanago). Si tratta di una IGA (Italian Grape Ale) su base Saison cui viene aggiunto mosto di Riesling.

Colore dorato e schiuma bianca è una birra acidula e rifrescante il cui naso gioca a nascondino fra fiori e spezie. Una birra complessa al ma contempo di facile beva.

Al proprio banchetto De Tarczal presenta Inclusio Ultima. Sviluppata con Birrificio Italiano è una birra a bassa fermentazione con aggiunta di luppoli in fiore in bottiglia per la rifermentazione e prodotta come un Metodo Classico: remuage e sboccatura per eliminare i lieviti ed aggiunta di liqueur d’expedition (in questo caso mosto).

Ne risulta una birra di grandissima eleganza. Dorata e con schiuma persistente porta in se un bagaglio aromatico fatto di crosta di pane, erbaceo fresco e frutta fresca. In bocca grande equilibrio fra la morbidezza e l’amaricante dei luppoli. Non lunghissima la persistenza, Inclusio Ultima lascia riscoprire nel retro olfattivo tutti i propri profumi.

Categorie
Approfondimenti

Ue, scongiurato il pasticcio sull’origine dei vitigni internazionali

La Commissione ha rettificato il testo del regolamento sul vino per assicurare l’indicazione di origine delle uve nelle bottiglie prodotte con vitigni internazionali (Chardonnay, Merlot, Cabernet, Sauvignon e Shiraz).

Lo rende noto la Coldiretti che esprime soddisfazione per l’accoglimento delle proprie richieste con la rettifica del regolamento della Commissione del 17 Ottobre 2018 ma chiede anche che, per coerenza, l’indicazione di origine venga estesa a tutti gli spumanti.

“Per fermare il falso Made in Italy – evidenzia Coldiretti – una misura analoga deve essere adottata anche per gli spumanti generici dove viene indicato in etichetta solo il Paese dove avviene la spumantizzazione, ma non quello dal quale provengono le uve”.

“Occorre impedire – sottolinea la Coldiretti – l’inganno dell’importazione di mosti e vini stranieri da utilizzare in Italia per la produzione di ‘bollicine’ da vendere come Made in Italy, senza alcun legame con i vigneti ed il territorio nazionale. L’augurio è che si verifichi una inversione di tendenza nelle politiche comunitarie in un settore già peraltro minacciato da altre decisioni che non tutelano la qualità del prodotto e la trasparenza verso i consumatori”.

E’ il caso, ad esempio, dello zuccheraggio: l’aggiunta di zucchero al vino che l’Ue consente ai Paesi del centro e nord Europa ma anche il via libera al vino senza uva con l’autorizzazione alla produzione e commercializzazioni di vini ottenuti dalla fermentazione di frutti diversi dall’uva come lamponi e ribes molto diffusi nei Paesi dell’Est.

Si tratta di pratiche che in Italia sarebbero punite anche come reato di frode ma che all’estero sono invece permesse “con evidente contraddizione, favorita – sottolinea la Coldiretti – dall’estensione della produzione a territori non sempre vocati e senza una radicata cultura enologica che con la globalizzazione degli scambi colpisce direttamente anche i consumatori di paesi con una storia del vino millenaria”.

Categorie
Approfondimenti

Vendemmia Terre d’Oltrepò: superati i 500 mila quintali di uva

BRONI – Orgoglio e soddisfazione espresso da Andrea Giorgi, Presidente di Terre d’Oltrepò e La Versa sulla vendemmia 2018 giunta quasi al termine.

Tramite un comunicato video diffuso sui canali social della cantina ha parlato ai soci dell’importante traguardo raggiunto.

Ecco la trascrizione delle sue dichiarazioni.

“Abbiamo superato i 500.000 quintali di uva conferita dai soci, vecchi e nuovi.  Ci accingiamo a portare a termine quella che è una vendemmia epocale, dovete essere orgogliosi della vostra Cantina, del vostro lavoro; la Cantina esprimerà prodotti, vino,  che sono frutto anche della vostra fatica. Da questa vendemmia usciranno delle grandissime basi spumanti e dei grandissimi rossi che presto arriveranno sulle tavole di tutti i nostri consumatori.  Anticipando i disciplinari abbiamo realizzato anche la vendemmia del Pinot Nero in cassetta, un prodotto che ci ha dato una grandissima soddisfazione considerando il livello dei vini delle basi spumante che questa primavera verranno tirate presso la Cantina La Versa e da cui uscirà un Testarossa di grandissima qualità.”

Categorie
degustati da noi news vini#02 visite in cantina

La Boschera di Eros Zanon: da vitigno dimenticato a chicca enologica

TREVISO – Se non fosse per quel tipico intercalare veneto e per un altro paio di dettagli, Eros Zanon potresti scambiarlo per uno dei personaggi del Signore degli Anelli. Gli mancano l’ascia e l’elmo del nano Gimli. Ma il coraggio e la dedizione con cui sta salvando dalla scomparsa il vitigno Boschera sono degni del romanzo di Tolkien.

Dimenticatevi di Arda e della “Compagnia dell’Anello”. Siamo in Veneto. Nelle terre, piuttosto, della “Compagnia del Prosecco”. Zanon ha mappato alcuni vigneti dove è ancora presente questo autoctono. Sei ettari complessivi, in provincia di Treviso. Una rarità assoluta. Nel cosmo gleracentrico di Conegliano.

Cinque filari sulla collina. Una ventina più in basso, accanto alla Glera. A Fregona, la concentrazioni più massiccia di Boschera (pari a un ettaro) si trova nella splendida proprietà di Giuseppina Marangon.

A dominare i 10 ettari di vigneti, una dimora di fine Settecento. Nelle giornate in cui il cielo gioca a fare il poeta sol sole, da qui, si scorge l’Istria all’orizzonte. Giuseppina, rimasta vedova, vende l’uva della tenuta a diversi produttori della zona.

“Avere la Boschera è sempre stato un problema”, ammette oggi. Le uve, oltre a dar vita al Colli di Conegliano Docg Torchiato di Fregona – un passito bianco da Glera, Verdisio e Boschera – finiscono da sempre (ma non si può dire) nel calderone della produzione del Prosecco. Pagate però molto meno.

Se per un chilo di Glera viene riconosciuto oggi in media 1,50 euro, la Boschera – secondo indiscrezioni – vale 15-20 centesimi. “Io comunque non l’ho estirpata, nonostante i numerosi inviti a farlo – sottolinea Giuseppina Marangon – perché credo sia un patrimonio locale da preservare. E ho fatto bene, perché da qualche anno se ne occupa Eros!”.

GLI ESPERIMENTI

I primi esperimenti di Zanon, che nella zona alleva 7 ettari complessivi tra Glera, Pinot Grigio e Merlot, risalgono al 2012. Il vignaiolo trevigiano realizza le prime 800 bottiglie di Boschera.

“La vinificazione è avvenuta praticamente alla cieca – spiega il vignaiolo – ed è venuto fuori un prodotto dalla beva facile, che mancava però di spessore”. Il secondo anno, Zanon decide di effettuare un leggero appassimento in pianta.

L’obiettivo è chiaro: concentrare gli zuccheri e dare più orizzontalità al calice, andando a contrastare la nota verticale acida tipica del vitigno. “Ne è venuto fuori un mini capolavoro”, chiosa Zanon.

Nel 2014 le eccessive piogge rovinano il raccolto e la vinificazione in purezza della Boschera subisce una battuta d’arresto. Nel 2015, la svolta. Zanon scopre l’ettaro di Boschera nella tenuta di Giuseppina Marangon. I due si accordano per quella che, ad oggi, è l’annata col maggior numero di bottiglie di Boschera: circa 10 mila.

Un terzo dei grappoli appassisce in pianta, come nel 2013. “Un bel vino, molto particolare – assicura Zanon -. Un successo nella ristorazione locale, che assorbe praticamente tutta la produzione”. Una sorta di “Col Fondo” prodotto con la Boschera, che fa concorrenza al solito Prosecco.

IL FUTURO DELLA BOSCHERA
Annata completamente diversa la 2016: pianta mai in stress, alcol a 12,40 (naturale!) e un’acidità sopra i 6 in bottiglia (7,60 a raccolta, parametro da incorniciare). Un vino buono oggi (fresco, vivo, con sentori vendemmiali verdi in fase di attenuazione) che si presta a un ottimo affinamento in vetro, almeno nell’arco del prossimo anno e mezzo.

Non filtrato, non chiarificato e con una piccola aggiunta di solforosa, nello stile Zanon. Si arriva così alla vendemmia 2017 (80% di raccolto perso per via della grandine) che è ancora in vasca: 20 quintali complessivi, che saranno imbottigliati ad agosto (2.500 bottiglie).

Numeri molto variabili, dunque, vista l’esiguità degli ettari di Boschera. Ma il “movimento” creato da Eros Zanon non è passato inosservato in zona. E così, anche altri produttori stanno vinificando in purezza la Boschera. Tra questi la Cantina produttori di Fregona.

“Il mistero di questa uva – spiega Zanon – è che è presente solo nel Comune di Fregona. In altre zone, anche limitrofe, non esiste. Non è stato facile arrivare ad oggi: ma non perché io sia un genio, ma perché nessuno ha mai pensato prima a dargli valore”.

IL PROSECCO ZANON: ANZI, IL BIANCO IGT
Da sola, la Boschera di Zanon vale una visita ai colli di Conegliano. Ma anche il Prosecco di questo coraggioso vignaiolo – fuori dalle mode del vino e concentrato solo sulla valorizzazione dei suoi vigneti – è una vera e propria chicca. Di fatto, non è un Prosecco, ma un “Vino frizzante Bianco col fondo“, Colli Trevigiani Igt.

“Troppo diverso dal Prosecco del giorno d’oggi per pretendere di essere tale, anche in etichetta”, chiosa Zanon. Eppure, in bottiglia, non finisce che Glera prodotta nei diversi appezzamenti di proprietà, ben 11, a cavallo tra la zona storica della Docg (dove sono presenti viti di oltre 100 anni) e quella della Doc Prosecco.

Sono le macerazione sulle bucce, i lieviti indigeni e la mancata aggiunta di chiarificanti a rendere diverso (e speciale) il “Col fondo” di Zanon. Diverso dal Prosecco che tutti conoscono, perché punta dritto alla sostanza: un calice verticale, che conserva ricordi della caratteristica aromaticità della Glera, senza cadere nel tranello della piacioneria.

Ed è sempre la Glera, assemblata con un 30% di Pinot Grigio, a dare vita al rosato “Lo Diverso“. La vendemmia 2017, non ancora in commercio, ha bisogno di un’altra decina di mesi di bottiglia per arrivare al top della forma. Ma si fa già apprezzare, sfoderando non solo un colore stupendo, ma anche un naso ampio.

Dominato da una Glera che, col passare dei minuti, lascia sempre più spazio al Pinot, vinificato in botti di rovere di media tostatura. Già pregevole il finale salino, unito al frutto, lunghissimo. Un rosato di quelli veri, dall’anima pura. Forse più un rosso travestito da “bianco” che il contrario. Chapeau.

Il rosso vero, del resto, esiste. Anche se Zanon lo considera quasi alla stregua di “un gioco”. Il calice delle vendemmie 2015 e 2013 del Merlot allevato a Cison di Val Marino mostra i riflessi dell’andamento delle due annate, nel rispetto del pittore verista che ha dato loro vita, in formato Magnum.

Trentaquattro mesi in tonneau esausta per la vendemmia 2015, tuttora in affinamento in vetro. Naso morbido ma sincero che sfiora le note di toffee, oltre a un frutto succoso e a una mineralità salina che accresce il desiderio di un sorso pieno, largo.

“Fare Merlot qui è come sperare di far banane a Milano”, dice Eros Zanon sottolineando l’unicità della sua etichetta “diversamente bianca”, nella terra del Prosecco: l’unica nel raggio di 10-20 chilometri.

Ma l’evoluzione della vendemmia 2013 dimostra che la Boschera non è l’unica scommessa vinta dal vignaiolo di Follina. Quarantadue mesi di barrique, per un vino “che non sembrava mai pronto”.

Scalpita ancora oggi, nel calice, questo Merlot. Un altro vino rispetto al 2015, soprattutto per via di un naso meno malizioso. E in bocca, esattamente quello che ci si deve aspettare da un rosso di Zanon: dinamicità pura, libera da condizionamenti.

Un Merlot anarchico “Cison”, senza fronzoli. Vero. Splendido. Ennesima sintesi del lavoro di un produttore pronto a stupire tutti, di vendemmia in vendemmia. Unico alleato, il meteo. E la sua terra di viticoltura eroica, segnata dal sudore. Patrimonio dell’umanità. Anche senza il timbro dell’Unesco.

AZIENDA AGRICOLA ZANON di Zanon Eros
Via Peroz 1 – 31050 VALMARENO DI FOLLINA (TV)
TEL: +39 0438 971372

Categorie
vini#1

Metodo Classico Lessini Durello Doc 2008 “60 mesi”, Marcato

E’ il Veneto che non t’aspetti. Quelle delle bollicine “Metodo Classico”. In realtà, il Lessini Durello Doc 2008 “60 mesi” di Marcato, è molto, molto di più.

Uno di quei vini capaci di sorprendere, perché in grado di mettere l’accento a un vitigno. Nel caso specifico la Durella. Mai sentito parlare? Possibile. Prima, però, vi raccontiamo il calice.

LA DEGUSTAZIONE
Il Lessini Durello Doc 2008 “60 mesi” di Marcato veste il calice di un giallo brillante, dorato. Il perlage è fine e persistente, come si addice ai migliori Metodo Classico.

Naso complesso. Una giostra che inizia a girare sui sentori tipici dei lieviti (60 mesi di affinamento non potevano che lasciare questo “segno”, positivo). E dunque croissant, crema pasticcera. Ma anche miele d’acacia e frutta a polpa bianca. Non mancano richiami minerali (su cui poi mette un punto deciso il palato), sbuffi di fiori di campo ed erbe aromatiche.

In bocca, il Lessini Durello 2008 di Marcato entra dritto, su note sorprendenti (proprio perché non esattamente corrispondenti al naso) di agrumi come cedro e lime Ecco i muscoli del Pinot Nero, presente con un 15% in questo matrimonio d’uve con la Durella (85%).

Acidità e mineralità perfettamente in equilibrio, anche quando il sorso assume tutte le caratteristiche che rendono speciale questa etichetta. Il momento in cui la mineralità del terreno vulcanico esce in tutto il suo splendore.

Ottima anche la persistenza di questo vino, in un retrolfattivo che conserva l’eleganza iniziale. Perfetto a tutto pasto (anche per il prezzo interessantissimo, generalmente sotto i 15 euro), il Lessini Durello 2008 di Marcato accompagnare molto bene piatti a base di pesce, ma anche crostacei ed ostriche.

LA VINIFICAZIONE
Le uve di Durella e Pinot Nero crescono nei Comuni di Roncà, Verona e Val d’Alpone, nel cuore della vulcanica Doc Lessini Durello. Vengono raccolte a mano, in piccole cassette. La vinificazione prevede inizialmente una pressatura soffice con fermentazione a temperatura controllata, compresa tra i 14e i 16 gradi.

Fermentazione malolattica completa, prima del taglio per la seconda fermentazione. L’affinamento sui lieviti, come suggerisce il nome stesso di questo spumante Metodo Classico, prevede un minimo 60 mesi. Un procedimento che si compie nelle cave sotterranee della cantina.

La Marcato ha intrapreso dal 2013 un nuovo corso. Gianni Tessari e la sua famiglia (la moglie Anna Maria e le figlie Valeria e Alice) hanno posto l’accento sull’innovazione, modernizzando l’azienda anche dal punto di vista dell’immagine. Ne sono un esempio le etichette, riviste in un’ottica più accattivante rispetto al passato.

L’anno della svolta, però, è il 2016. La Società Agricola Giannitessari riunisce 55 ettari di vigneto, distribuiti in tre Doc (a Roncà per il Lessini, Soave e Sarego per i Colli Berici) e inizia a contare su una moderna cantina di circa 7 mila metri, portando la produzione a 350 mila bottiglie.

Questi i numeri di una realtà in cui Tessari, sotto la stessa firma, affianca alla produzione di Durello Spumante Metodo Classico quella di vini fermi bianchi e rossi (Soave prima di tutti), oltre agli Charmat a base Durella e Garganega.

Categorie
news ed eventi

Prosecco business: uve Glera dalla Sicilia contro le gelate

PALERMO – A cosa servono 400 quintali di uve Glera provenienti dalla Sicilia a un “grande gruppo vitivinicolo veneto”? La risposta sembra scontata, dopo una vendemmia segnata dalle gelate di aprile.

Ad ammettere la trattativa, andata in porto per 95 euro al quintale, è V.R., produttore palermitano rintracciato nel pomeriggio, in esclusiva, da vinialsupermercato.it.

“Nelle mie vigne – dichiara il viticoltore della provincia di Palermo, a cui garantiamo l’anonimato – riusciamo ad anticipare di molto la raccolta di uve Glera, ottenendo profumi eccezionali: cose che in Veneto, nella zona del Prosecco, possono solo sognare! Per di più con percentuali residuali zuccherine pari a zero”.

L’inchiesta di vinialsuper prende spunto da un annuncio pubblicato dal sito web Uvaevino.it, rilanciato in giornata sui social da un produttore veneto. Un portale “interamente dedicato al commercio di uva e svino sfuso tra le aziende agricole, imbottigliatori, viticoltori, enoteche eccetera”.

Il sito funge da intermediario (con commissione a pagamento) per la regione Toscana. Ma offre spazi gratuiti di domanda e offerta per gli utenti residenti nelle altre regioni italiane. Un vero e proprio servizio gratuito, tout court.

I DETTAGLI
Tra le offerte di vino sfuso della regione Sicilia si scorgono Nero d’Avola, Catarratto, Viognier. Ma anche quella di Glera Igt da 12%, annata 2016, prodotta nella zona di Palermo. Il prezzo è di 100 euro ad ettolitro, con una disponibilità massima di 300 ettolitri. L’annuncio risale al 14 agosto e non è l’unico inserito da V.R., che nella zona di Palermo alleva 2,5 ettari di Glera, in vigneti di proprietà che assicura essere “fantastici”.

Arriviamo a lui, con tanto di numero di cellulare, grazie all’impiegata del sito Uvaevino.it, che ci risponde dalla Toscana, più esattamente dagli uffici di Grosseto. Ci fingiamo interessati all’acquisto del vino sfuso. Il gioco è fatto.

Il cellulare di V.R. squilla, il produttore risponde, ma rimanda la telefonata di qualche minuto. Richiamiamo e raccogliamo la testimonianza. “Non vi direi a chi ho venduto la Glera nemmeno se mi metteste 100 mila euro sulla scrivania”, incalza.

Ma è chiaro che si tratti di una delle “big” che in Veneto producono Prosecco. “Non c’è nulla di cui sorprendersi – commenta la nostra fonte – basta piuttosto farsi due conti e pensare alle conseguenze delle gelate. D’altro canto c’è una crisi che fa paura attorno al vino in bottiglia: in cantina ho 40 mila bottiglie invendute. Vinificare, qui da me, costa 40 euro al quintale. Imbottigliare ed etichettare circa 2,20 euro a bottiglia. Ecco perché si ricorre alla vendita dello sfuso”.

L’annuncio, tuttora online su Uvaevino.it, riguarda infatti il vino, non le uve. Quelle, il vignaiolo siciliano, le ha “già vendute tutte a settembre”. “E si trattava interamente di uve raccolte a mano nei nostri vigneti”, precisa V.R.. “Da parte nostra – aggiunge il produttore palermitano – siamo a posto con la coscienza. Abbiamo venduto con tutte le certificazioni. Poi ognuno è libero di farci quello che vuole con le uve, in Veneto come in altre regioni”.

LA PROSECCO MANIA
Secondo i dati di Assoenologi, in Veneto e Friuli Venezia Giulia (le due regioni dove vengono prodotte uve Glera assieme alla Sicilia, che le annovera nelle Igt Avola, Camarro, Salina, Valle Belice e Terre Siciliane) si è registrato nel 2017 un calo tra il 15 e il 20% rispetto alla vendemmia 2016.

Un “buco” che ha rischiato di far impennare i costi delle uve atte alla produzione di Prosecco, nonché dello sfuso. Secondo i dati della Camera di Commercio locale, i prezzi per il vino “base” si aggirano attorno ai 2 euro al litro per la Doc.

Cifre che salgono a 2,40 per la Docg Asolo e a 2,80 per la Docg Conegliano Valdobbiadene. Nel 2008, la Glera si acquistava invece per 50 centesimi al Chilo. Quattrocentodieci i milioni di “pezzi Doc” imbottigliati nel 2016, con una previsione di 450 milioni entro fine anno, forte delle vendite in crescita nel primo semestre 2017 (+8%).

L’obiettivo, dalle parti di Treviso, è quello di arrivare a 500 milioni di bottiglie entro la fine del 2018. Tradotto: mezzo miliardo. Seguono a ruota le Denominazioni di origine controllata e garantita: 90 milioni per il Prosecco di Valdobbiadene e 9 milioni per la “piccola” Asolo. Un business che fa gola a molti.

Categorie
news ed eventi

Prima del Torcolato: tutto pronto per la festa a Breganze

Domenica 21 gennaio sarà tempo di Prima del Torcolato: la Doc Breganze si prepara a celebrare il suo vino più famoso e rappresentativo con la XXIII° edizione della grande festa in piazza Mazzini. Qui dalle 14.30 sotto l’occhio vigile della Magnifica Fraglia del Torcolato si procederà alla torchiatura dei primi grappoli appassiti di uva Vespaiola conferiti da tutte le cantine del Consorzio. La spremitura sarà anticipata dalla cerimonia di investitura dei nuovi confratelli della Fraglia.

Il programma della giornata prevede inoltre la possibilità di visitare le aziende del Consorzio nel “Fruttaio Tour – Scopri come e dove nasce il Torcolato”, con visite guidate e degustazioni dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 17.00 alle 19.00.

LA “RICETTA” DEL TORCOLATO
Il Torcolato è un vino dolce, che si ottiene dai grappoli di uva Vespaiola, varietà autoctona di Breganze, che vengono vendemmiati perfettamente maturi, selezionati e messi ad appassire in ambienti arieggiati (come i granai delle vecchie case contadine).

Qui vengono lasciati fino al gennaio successivo quando, raggiunta un’elevata dolcezza, vengono torchiati. Dopo un lenta fermentazione il vino riposa in piccole botti anche per più di due anni o almeno fino al 31 dicembre dell’anno successivo alla vendemmia prima di essere imbottigliato e immesso sul mercato.


Prima del Torcolato in breve:
Quando: domenica 21 gennaio 2018
Dove: Piazza Mazzini – Breganze (VI)
Orario Fruttaio Tour: dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 17.00 alle 19.00
Orario Cerimonia: ore 14.30
Parcheggio: gratuito

Categorie
news ed eventi

Fabio Zenato (Le Morette): ecco perché in Lugana sarà una buona annata

Mentre in tutta Italia si rincorrono le voci di un’annata particolarmente difficile, dall’area del Lago di Garda Fabio Zenato (nella foto), agronomo, vivaista e titolare con il fratello Paolo dell’azienda agricola Le Morette, pone l’attenzione su un’eccezione per il Lugana.

“Indubbiamente la stagione è stata ricca di insidie – spiega Fabio Zenato – prima le gelate, poi le temperature elevate e la prolungata siccità, ma queste circorstanze nella nostra zona non hanno influito in modo significativo sulla produzione e sulla qualità delle uve”.

La consapevolezza deriva dagli studi di Fabio Zenato sulla varietà Turbiana (con cui si produce il vino Lugana) e dalle successive sperimentazioni condotte nella sua azienda, che oltre a produrre uva è anche il vivaio dal quale derivano la maggior parte delle barbatelle della denominazione.

Il primo fattore peculiare per l’area di Lugana è la presenza mitigatrice del Lago di Garda, che si trova a nord dell’area vitata. Dal lago arrivano leggere brezze in primavera che evitano il ristagno dell’aria e l’influsso positivo del bacino ha evitato di incappare nelle gelate primaverili, come accaduto in altre zone viticole.

Secondo elemento è il peculiare adattamento che la varietà Turbiana ha sviluppato nel territorio di Lugana. Le caratteristiche del DNA gli permettono di meglio sopportare situazioni climatiche estreme come quelle registrate nei mesi scorsi.

Infine vi è l’importanza del terreno di natura argillosa: una tessitura che trattiene maggiormente l’acqua durante i periodi siccitori. Questa caratteristica, combinata con l’irrigazione di soccorso a goccia, ha permesso alle piante di non raggiungere un livello di stress idrico estremo, tale da compromettere la qualità delle uve.

“Sarà un’annata – conclude Fabio Zenato – facilmente paragonabile a quella del 2015. Stiamo iniziando la vendemmia, in anticipo di circa dieci giorni rispetto allo scorso anno. Le uve sono molto sane, integre, e con tenore zuccherino elevato: ci daranno vini godibili da fin da subito con un’espressione aromatica più tendente al frutto rispetto al consueto”.

Categorie
news ed eventi

Bollicine 2017: Oltrepò culla del Pinot Nero. Franciacorta, scommessa Erbamat

Oltrepò pavese e Franciacorta, due tra le zone più vocate in Italia per la produzione di spumante Metodo classico, hanno dato il via alla vendemmia 2017.

Una raccolta anticipata che non trova memoria in epoca recente, nel Pavese. Già il 2 agosto il taglio dei primi grappoli sulle colline di Oliva Gessi, pittoresco borgo di 200 abitanti alle porte di Pavia, tra Casteggio e Montalto pavese.

I primi vigneti a raggiungere la giusta maturazione in Franciacorta sono invece quelli localizzati sul versante esposto a Sud del Monte Orfano, grazie al microclima più caldo.

Ma se in Oltrepò, primo terroir di Lombardia con 13.500 ettari di vigna sui 22 mila totali, si parte di consueto dalla raccolta delle uve base spumante (Pinot nero e Chardonnay), in Franciacorta l’attenzione è focalizzata sulla risposta di un altro vitigno: l’Erbamat.

L’AUTOCTONO RISCOPERTO
Il primo agosto è entrato in vigore il nuovo Disciplinare di Produzione approvato dal Ministero, che prevede la possibilità di utilizzare lo storico autoctono bresciano a bacca bianca nella misura massima del 10%, nel blend con Chardonnay, Pinot Bianco e Pinot Nero.

Sono interessate tutte le tipologie, tranne il Satèn. L’obiettivo del Consorzio di Tutela è quello di “permettere di testare le sue potenzialità in modo graduale e valutarne eventuali incrementi in futuro”. Un traguardo raggiunto dopo anni di sperimentazioni condotte in sordina sull’Erbamat, vitigno dimenticato ma di cui si ha notizia fin dal ‘500.

“Le modifiche al disciplinare – continua il Consorzio – che si riconferma il più restrittivo al mondo fra i vini rifermentati in bottiglia, restano quindi vocate all’obiettivo di perseguire l’eccellenza in ogni singolo passaggio produttivo e aprono la strada a nuove possibilità di differenziazione. In un mondo spumantistico che prevede pressoché ovunque l’impiego di Chardonnay e Pinot Nero, infatti, l’uso dell’Erbamat può diventare un fattore di esclusività importante, capace di ripercuotersi anche sull’interesse dei consumatori internazionali”.

LE STIME
Il clima pazzo ha lasciato il segno sui vigneti della Lombardia con un taglio medio del 20% sui raccolti. E’ quanto stima la Coldiretti regionale in occasione della vendemmia 2017, iniziata il 2 agosto in Oltrepò e Franciacorta per concludersi a ottobre, in Valtellina.

E se in alcune zone le rese sono in calo del 30% con punte anche del 50% a causa delle gelate della scorsa primavera che hanno colpito a macchia di leopardo, “il caldo e la siccità di questi ultimi mesi – evidenzia Coldiretti – hanno esaltato la qualità e la maturazione dei grappoli”.

Secondo la stima di Coldiretti Lombardia, la produzione regionale dovrebbe superare il milione e 200 mila ettolitri di vino, la maggior parte dei quali per Docg, Doc e Igt. “Con i nostri vini di qualità raccontiamo l’Italia nel mondo – spiega Ettore Prandini, Presidente di Coldiretti Lombardia e vice presidente nazionale di Coldiretti – si tratta di un patrimonio di cultura, conoscenza ma anche economico visto che l’export supera i 5 miliardi di euro all’anno”.

Le province più “vinicole” sono Pavia e Brescia, che da sole rappresentano i due terzi delle superfici vitate in Lombardia e il 70% delle oltre tremila aziende lombarde. A seguire Mantova, Sondrio, Bergamo, Milano e Lodi (con le colline fra San Colombano e Graffignana), ma zone viticole con piccole produzioni si contano anche fra Como, Lecco, Varese e Cremona.

Crescono poi le superfici dedicate ai vigneti “organic”, salite a 2.570 ettari, quasi tre volte in più rispetto a quelle di dieci anni fa, con un’incidenza del 15% sul totale delle aree dedicate alle produzioni di alta qualità. Per quanto riguarda la mappa dei vigneti bio o in conversione al bio, il 61% è concentrato in provincia di Brescia con 1.581 ettari, il 32% in provincia di Pavia con 829 ettari e il resto fra Bergamo (71 ettari), Mantova (43 ettari), Sondrio (26 ettari), Lecco (11 ettari) e Milano (10 ettari).

L’intera filiera del vino, fra occupati diretti e indiretti, temporanei e fissi offre lavoro in Lombardia a circa 30 mila persone e la produzione genera un export di circa 260 milioni di euro all’anno, in particolare verso Stati Uniti, Gran Bretagna, Svizzera, Canada e Giappone.

Sul fronte dei consumi, sempre secondo le stime Coldiretti, in Lombardia quasi 5 milioni di persone bevono vino durante l’anno puntando sempre di più alla qualità, come testimonia il boom delle enoteche, arrivate a sfiorare quota mille, con un aumento di oltre il 30% negli ultimi sette anni. La provincia con la maggior concentrazione di “oasi delle Doc” è quella milanese con 261 realtà, seguono Brescia (175), Bergamo (109), Varese (99), Monza e Brianza (82), Como (63), Pavia (59), Mantova (47), Cremona (34), Lecco (31), Sondrio (25), Lodi (9).

LE STRADE DEL VINO LOMBARDO
Ma il vino è anche un mezzo di scoperta del territorio. In Lombardia si contano oltre mille chilometri di sentieri del nettare di Bacco.

Al primo posto Brescia, con 370 chilometri suddivisi tra la Strada dei Vini e dei Sapori del Garda (200 chilometri), la Strada del Vino Colli dei Longobardi (90 chilometri) e  la Strada del Vino Franciacorta (80 chilometri).

A seguire c’è la provincia di Mantova, con la Strada dei Vini e dei Sapori Mantovani che si estende per circa 300 chilometri, quella di Sondrio con i 200 chilometri della Strada dei Vini e dei Sapori della Valtellina, Bergamo con la Strada del Vino e dei Sapori della Valcalepio (70 chilometri) e infine, Lodi e Pavia, rispettivamente con la Strada del Vino San Colombano e dei Sapori Lodigiani e la Strada del Vino e dei Sapori dell’Oltrepò Pavese (con 60 chilometri ognuna).

Categorie
Vini al supermercato

Caviro, il gigante del Tavernello. Tra Slow (Wine) e Rock ‘n’ Roll

Anche Golia ha un cuore. E batte slow. Very slow. Il gigante romagnolo del Tavernello, lo stesso capace di imbottigliare 2 milioni di ettolitri di vino l’anno, si avvale di due enologi attivisti di Slow Food e Slow Wine.

Il gigante in questione di nome fa Caviro, leader indiscusso del mercato nazionale del vino al supermercato. Tra i primi dieci al mondo per fatturato, con 304 milioni di euro. Nulla a che vedere con la Chiocciola di Carlo Petrini? Solo in apparenza. Pietro Cassani e Giacomo Mazzavillani (nella foto, sotto), rispettivamente responsabile del laboratorio enologico e del processo di lavorazione vino alla Caviro di Forlì, sono lì a dimostrare il contrario.

Il volto meno conosciuto della più grande cooperativa agricola italiana. Un impero fondato sui numeri, ma anche sulla qualità. “La costanza nella riconoscibilità dei nostri prodotti sul mercato – spiega Giordano Zinzani, responsabile Normative e Tecniche Enologiche di Caviro – è per noi il primo sinonimo di qualità, che riusciamo a garantire grazie al confronto trentennale con i nostri conferitori di uve e al lavoro dei nostri enologi. Un aspetto che ci viene riconosciuto da 7 milioni e 200 mila famiglie consumatrici in Italia”.

“I nostri standard qualitativi – precisa Zinzani – sono dettati da frequenti panel di assaggio dei prodotti dei nostri competitor internazionali. A livello operativo, invece, stimoliamo le 34 cantine conferitrici, situate da nord a sud del Paese, con un sistema di liquidazione che invogli a fare sempre meglio in vigna, di vendemmia in vendemmia”.

Tredicimila i viticoltori che fanno parte della famiglia Caviro, in sette regioni d’Italia. Trentasette mila gli ettari di vigneti lavorati, in totale. Tradotto: la cooperativa romagnola produce, da sola, l’11% dell’uva italiana. E’ grazie a questa grande disponibilità che i blend Tavernello riescono ad essere sempre uguali negli anni. “Riconoscibili dal consumatore”, per dirla con Zinzani.

Un puzzle, anzi la sintesi, “del meglio della produzione annuale dei vigneti dei conferitori”, assemblati da uno staff di 6 enologi (cinque di stanza a Forlì, uno a Savignano sul Panaro, nei pressi di Modena), tre analisti di laboratorio e quattro impiegati all’Assicurazione qualità.

“Il numero degli enologi, in realtà – spiega Giordano Zinzani – si aggira sulla cinquantina. I primi controlli vengono effettuati dalle nostre cantine associate, in loco. Le uve arrivano a Caviro già vinificate, secondo i rigidi parametri dettati ai viticoltori. Solo in questa fase, si assiste all’intervento diretto del nostro personale, che degusta e testa i campioni e li assembla, dopo aver identificato il blend più consono alle esigenze del mercato di riferimento, che sia italiano o estero”.

Altra faccia della medaglia, la produzione di vini a Indicazione geografica tipica (Igt) e a Denominazione di origine controllata (Doc), “in cui – commenta Zinzani – puntiamo a garantire, valorizzare e conservare la tipicità dei singoli territori”.

LE UVE CAVIRO: IL SISTEMA DI LIQUIDAZIONE
Dal Friuli Venezia Giulia arrivano principalmente Merlot, Cabernet, Refosco, Pinot Grigio, Glera, Chardonnay e Sauvignon (una cantina associata, 1790 ettari). Dall’Emilia Romagna Sangiovese, Lambrusco (principalmente Sorbara), Merlot, Ancellotta, Trebbiano, Chardonnay, Albana e Grechetto Gentile (14 cantine, 19.002 ettari). Dalla Toscana giungono Sangiovese, Brunello, Merlot, Trebbiano e Vermentino (2 cantine, 1.090 ettari).

Dall’Abruzzo Montepulciano, Trebbiano, Pecorino e Chardonnay (9 cantine, 8.218 ettari). Dalla Puglia Primitivo, Negroamaro, Malvasia Nera, Nero di Troia, Chardonnay, Bombino e Verdeca (3 cantine in Salento, 922 ettari). Dalla Sicilia, infine, Nero d’Avola, Syrah, Grillo, Catarratto, Inzolia e Grecanico (6366 ettari, una cantina: la Petrosino di Trapani, seconda per dimensioni in Italia solo a Settesoli).

Uve che hanno un prezzo. Di fatto, è sul terreno della liquidazione dei conferitori che si gioca una delle partite più importanti per Caviro. “Di anno in anno, verso dicembre – spiega Giordano Zinzani – la cooperativa stabilisce un budget per i vini. Viene stabilito un minimo garantito, che viene corretto in base alla conformità agli standard richiesti”.

Le sorti dei viticoltori è delle cantine associate a Caviro sono nelle mani di uno staff di enologi che si riunisce una volta alla settimana, a Forlì. “Tutte le singole partite – evidenzia Zinzani (nella foto) – sono valutate in funzione della qualità specifica di quel campione. Ogni ritiro viene catalogato e degustato da una commissione composta dagli enologi Caviro e da quelli delle stesse cantine associate. Degustazioni che, ovviamente, avvengono alla cieca, sulla base di schede di valutazione Assoenologi, con punteggio in centesimi. Questo punteggio, assieme alla rispondenza dei caratteri analitici, contribuisce alla modifica del prezzo base garantito ai soci”.

Raffaele Drei, presidente della Cooperativa Agrintesa, non ha dubbi. “Oggi Agrintesa è il socio più grande della compagine sociale Caviro e tramite il Consorzio colloca direttamente al consumatore una quota importante del proprio vino. Siamo fortemente impegnati e interessati alla crescita sia come quota di mercato che come modello di filiera vitivinicola integrata”.

“I fattori di successo per i soci Caviro sono stati ben delineati dai direttori delle Cantine intervenuti all’ultimo incontro con la base sociale: Cristian Moretti, direttore generale Agrintesa, Roberto Monti, direttore della Cantina Sociale Forlì e Predappio, Fabio Castellari, direttore della Cantina Sociale Faenza. Tutti hanno sottolineato, come comuni denominatori di crescita e sviluppo, l’avanguardia qualitativa per una buona liquidazione dei soci, l’innovazione e la capacità di differenziare”.

Rispetto alle zone più lontane dalla “base”, ai soci viene riconosciuta una cifra che si aggira attorno ai 35 centesimi al litro. Per i viticoltori dell’Emilia Romagna, si sale sino a 45 centesimi con il Lambrusco. I picchi si toccano con i vini Igt, 60 centesimi al litro, e a Denominazione di origine controllata, valutati in media fino a 1 euro. Cifre che Zinzani snocciola senza timore.

“Fra i principali tratti vincenti – aggiunge Raffaele Drei – sono stati individuati la concentrazione e specializzazione dei centri di vinificazione, la capacità di realizzare velocemente progetti di produzione per vini con caratteristiche diverse e una buona integrazione di pianura e collina. Per i soci di Caviro è di fondamentale importanza poter ragionare in una logica di mercato fatta anche di liquidazioni differenziate su molteplici variabili, come lo stabilimento, l’area di produzione, le giornate di conferimento e l’effettiva qualità. Merito anche di una base sociale caratterizzata da coesione e ricettività, aperta a un ricambio generazionale in grado di garantire uno sguardo sul futuro”.

IL TOUR
E che Caviro sia proiettata al futuro, lo si capisce al primo sguardo dello stabilimento di Forlì. Dall’esterno, gli 82 serbatoi del sito produttivo di via Zampeschi 117 offrono bene l’idea delle dimensioni del business della cooperativa, con i loro 340.578 ettolitri di capacità complessiva. All’interno, altri 133 “silos” contenenti vino, per un totale di 126.670 ettolitri. Caviro, per chi non l’avesse capito, è questo, prima di tutto: una delle maggiori cantine italiane, con serbatoi per un totale di 467.248 ettolitri complessivi. E’ qui che staziona il vino prima delle chiarifiche e delle filtrazioni, che anticipano la stabilizzazione.

Centonovantaquattro milioni di litri le vendite a volume del colosso romagnolo nel 2016, suddiviso tra i brand Tavernello, Castellino, Botte Buona, Terre Forti, Romio, VoloRosso, Salvalai, Cantina di Montalcino, Da Vinci, Leonardo, Monna Lisa e Cesari. Export in 70 Paesi. Due le linee per l’imbottigliamento. Quella nuova, inaugurata a settembre dello scorso anno, ha una velocità di 18 mila bottiglie l’ora. La più vecchia risale agli anni ’90 ed è ancora in funzione, anche se in fase di ammodernamento.

In quest’area dello stabilimento, il prodotto finito viene movimentato su pallet da veri e propri robot. “Le chiamiamo navette – precisa l’enologo Pietro Cassani, che guida il tour -. Si muovono autonomamente su percorsi prestabiliti del magazzino di stoccaggio e sono solo uno degli aspetti all’avanguardia del sito produttivo di Forlì”. In uno degli angoli dello stabile, di fatto, sembra aprirsi una porta temporale sul futuro. Roba da farti sentire – almeno per un attimo – un po’ come Donny Darko, alle prese col suo coniglio gigante.

Un magazzino da 10 mila posti pallet completamente robotizzato, col quale alcune catene della Grande distribuzione (o, meglio, i loro Ce.Di, i centri distributivi delle varie insegne) hanno la possibilità di connettersi via web, emettendo ordini che vengono indirizzati direttamente a una delle 14 “ribalte” del magazzino, in base alla destinazione. Ti pizzichi la guancia mentre osservi quel braccio meccanico, senza il minimo controllo umano, andare a pescare proprio quel pallet, lassù.

La voce dell’enologo Cassani, Cicerone per un giorno, ti riporta alla realtà, poco più in là. Davanti alle bobine di Tetra Pak pronte per la sterilizzazione, prima di essere riempite di vino in impianti simili a quelli utili per “inscatolare” latte. Guardi in faccia i dipendenti uno ad uno, credendo che all’improvviso salti fuori Michael J. Fox. Aguzzi le orecchie per sentire qualcosa d’altro (che so? Johnny B. Good, per restare in tema).

Ma il suono, sottile e monotono, è quello della catena di montaggio dei brik di Tavernello. L’unico elemento che, nel suo piccolo, ricorda quella chitarra rosso fiammante. Altro che quattro quarti. Qui si gira al ritmo di 7-8 mila pezzi l’ora, su un totale di 10 linee. Vino in brik pronto per il consumo, “senza pastorizzazione, bensì con filtrazione sterile”, tiene a precisare Cassani. L’enologo del rock’n’roll di Caviro.

Prima di raggiungere i laboratori d’analisi, dove l’intero staff è all’opera sugli ultimi campioni giunti allo stabilimento, ecco l’unica zona inattiva del magazzino: quella per il confezionamento dei “Bag in Box” da 3 e 5 litri, destinati sopratutto al mercato francese. La grandeur. Come formato, s’intende. Bien sûr.

IL FENOMENO TAVERNELLO
Italiana, italianissima, anzi romagnola (se no si offende), l’inclinazione (linguistica) di Elena Giovannini (nella foto). “L’upgrade qualitativo dei prodotti – commenta la responsabile Marketing Daily di Caviro – è stato uno degli obiettivi perseguiti dalla nostra azienda sin dal 1983, anno in cui abbiamo dato vita al vino in brik. Inizialmente era soltanto Sangiovese o Trebbiano. Poi, chiaramente, i volumi venduti erano talmente elevati che il sourcing non era più sufficiente a coprire la richiesta. I due vitigni sono ancora parte fondamentale dei nostri blend, vino bianco e vino rosso d’Italia”.

Cosa caratterizza questa marca? “Il fatto di garantire uniformità di gusto e una costanza negli anni – replica Giovannini – un grande pregio per i nostri consumatori”. Chi sono? “Il target è ben definito: è chiaro che si parla di quotidianità, ma anche di garanzia di un certo standard qualitativo”. La diversificazione dell’approccio al mercato del vino da parte dei consumatori, anno dopo anno, ha convinto tuttavia Caviro ad allargare la proposta di referenze, riunite sempre sotto lo stesso marchio.

“Nel 2010 lanciamo i frizzanti bianco e rosato – ricorda Elena Giovannini – come naturale prosecuzione della marca generica Tavernello, sempre a base delle nostre cantine sociali socie. Successivamente il lancio dello Chardonnay e, per la prima volta, vini di provenienza siciliana come il Syrah Cabernet: per la prima volta inseriamo vini di provenienza siciliana. Fino ad arrivare alla prima Doc che è il Pignoletto, proveniente dalle colline di Imola. Un vino non molto conosciuto fuori dai confini regionali, che noi abbiamo contribuito a distribuire sul mercato”.

“Facile dunque intendere come sul mercato internazionale il ‘Red blend’ Tavernello giochi un ruolo fondamentale – evidenzia la responsabile Marketing Daily di Caviro – dato che i tanti vitigni italiani non sono semplici da conoscere e da scegliere, per il consumatore straniero. Red blend, dunque, come sintesi della qualità italiana. Ovviamente abbiamo bene in mente qual è il nostro mestiere e il consumatore al quale vogliamo parlare, sia in Italia sia all’estero. E di conseguenza sviluppiamo prodotti adatti a quel tipo di esigenza: quella quotidiana”.

Un’azienda, Caviro, capace di rispondere col Pignoletto al fenomeno Prosecco. Un botta e risposta che lega il vitigno emiliano a quello veneto, anche dal punto di vista dialettico-ampelografico: Glera-Prosecco, Grechetto Gentile-Pignoletto. Inutile precisare che Caviro produca anche il re delle bollicine Charmat, grazie alle rinnovate sinergie con la Viticoltori Friulani La Delizia, in seguito all’inaugurazione della nuova sede di Orcenico Inferiore di Zoppola, il maggiore polo per la spumantizzazione del Friuli Venezia Giulia.

Tra i blend in degustazione segnaliamo, su tutti, il Trebbiano – Pinot Bianco Rubicone Igt 2016. Un mese e mezzo di legno per il Trebbiano, il resto acciaio. Altro vino dall’ottimo rapporto qualità prezzo al supermercato, tra i varietali, il blend tra Sangiovese e Merlot.

GLI ALTRI SEGMENTI DEL BUSINESS
Caviro, in realtà, non significa solo vino. La cooperativa romagnola è un vero e proprio universo circolare. “Il nostro modello di business – commenta Giordano Zinzani, tra l’altro presidente del Consorzio Vini di Romagna – è tale da iniziare in vigna per poi tornarci, con uno scarto sulla produzione quantificabile in un risicato 1%”.

Oltre al vino, la cooperativa romagnola è leader in Italia nel settore distilleria. Una diversificazione che consente a Caviro di inserirsi nel mercato dei farmaci, con la produzione – su tutti – di acido tartarico e delle “basi” alcoliche già addizionate di mentolo per il colluttorio Listerine, commercializzati dall’altro colosso Johnson & Johnson.

“In Francia vendiamo molti alcoli destinati alle liqueur d’expedition degli Champagne”, rivela Zinzani. Non ultimo il business del recupero degli scarti dell’attività di vigna, che consente a Caviro di produrre – oltre a derivati farmaceutici, alimentari e agronomici – anche energia.

Quella prodotta dal sito produttivo di via Zampeschi 117 sarebbe in grado di illuminare a giorno l’intera città di Forlì (120 mila abitanti). Energia che si tramuta in compost e fertilizzanti, chiudendo il cerchio col loro ritorno nelle vigne italiane dei soci. E allora tutto questo è slow, very slow o rock ‘n’ roll? Ai posteri l’ardua sentenza.

Categorie
Approfondimenti

Export italiano di vino e uva: ecco la mappa

L’agroalimentare “made in Italy” nel mondo vale 38 miliardi di euro all’anno e cresce del 3,5%, secondo i dati della Camera di commercio di Milano. Ma per sapere dove va e da dove parte l’export, quali sono i maggiori mercati di sbocco e i prodotti più apprezzati arriva la mappa: “L’agroalimentare italiano nel mondo”, realizzata dalla Camera di commercio di Milano e Coldiretti, con Promos, azienda speciale della Camera di commercio per le Attività Internazionali. La mappa, disponibile in italiano e inglese, è scaricabile in Internet (http://www.promos-milano.it/Informazione/Note-Settoriali/Mappa-Export-Agroalimentare.kl). Un documento che arriva a poche ore da “Milano Food City”, la settimana dedicata al cibo e alla cultura della sana alimentazione, in programma dal 4 all’11 maggio, con oltre 320 eventi.

L’EXPORT DI VINO E UVA
L’export di vino e uva italiana vale 5,6 miliardi e segna un +4,3%. Il maggiori partner sono gli USA (24%), seguiti da Germania (17,4%) e Regno Unito (13,6%). I mercati emergenti sono quelli di Polonia (+27%), Repubblica Ceca (+20,1%) e Cina (+13,8%). Trai primi 20: Svizzera, Canada e Francia.

Per quanto riguarda uva e agrumi, il valore dell’export dell’Italia raggiunge i 3,4 miliardi, con un +2,9%. I maggiori partner sono Germania (29,6%), Francia (9,5%) e Spagna (5,6%). I mercati emergenti Austria (+13,7%), Arabia Saudita (+13,3%) e Slovenia (+12%). Tra i primi 20: Regno Unito, Svezia, Egitto.

L’AGROALIMENTARE
Spiega Giovanni Benedetti, Direttore della Coldiretti Lombardia e membro di giunta della Camera di commercio di Milano: “Expo ha dato un contributo significativo al confronto sul mondo dell’alimentazione che bisogna mantenere come punto di riferimento per le iniziative della città. Non è un caso che nel mondo il patrimonio eno gastronomico italiano sia tra i più copiati, con un valore che ogni anno raggiunge i 60 miliardi di euro, che vengono sottratti all’economia del nostro Paese”.

“Con un export agroalimentare che ha raggiunto i 38 miliardi di euro totali – continua Benedetti – parlare di cibo in Italia non è più solo un tema per addetti del settore, ma significa ragionare su quelli  che possono essere, per tutti, gli sviluppi economici e occupazionali di un comparto sempre più importante”.

Germania, Francia, Stati Uniti, Regno Unito e Svizzera concentrano la metà dell’export. Tutte le principali destinazioni sono in crescita, in particolare Stati Uniti (+5,7%), Francia e Germania (+3%). In ascesa anche la Spagna 6° (+7,2%) e i Paesi Bassi 7° (+6,2%). Ma i prodotti “made in Italy” raggiungono anche Giappone (al 10° posto), Canada (11°), Australia (16°) e Cina (20°).

In aumento soprattutto Romania (+16%) e Repubblica Ceca (+13%) ma torna a crescere anche la Russia, +10% (19°). E se la Germania e la Francia sono i primi acquirenti per quasi tutti i prodotti, gli Stati Uniti eccellono per vini, acque minerali e oli, la Spagna per pesce fresco, le Filippine e la Grecia per alimenti per animali.

In forte crescita la Corea del Sud per prodotti da forno e lattiero caseari, l’Austria e l’Arabia Saudita per uva e agrumi, la Cina per gelati e oli, la Romania per cioccolato, caffè, piatti pronti e pesce lavorato, la Libia per frutta e ortaggi, Hong Kong per carni, Etiopia e Kenya per granaglie, la Russia per alimenti per animali, il Belgio per cereali e riso, la Polonia per vini e la Spagna per acque minerali. Emerge da elaborazioni della Camera di commercio di Milano su dati Istat, anni 2016 e 2015.

I PRODOTTI MADE IN ITALY PIU’ ESPORTATI
Cioccolato, tè, caffè, spezie e piatti pronti con 6,2 miliardi di euro, seguiti dai vini con 5,6 miliardi di euro, vengono poi pane, pasta e farinacei con 3,6 miliardi di euro ma anche frutta e ortaggi lavorati e conservati, uva e agrumi con 3,4 miliardi di euro. Gli aumenti più consistenti si registrano per cioccolato, latte e formaggi, pesca e acquacoltura (+6%), oli e gelati (+5%), vini e granaglie (+4%).

I maggiori esportatori italiani? Verona con 2,9 miliardi di euro, Cuneo con 2,5 miliardi e Parma con 1,6 miliardi, Milano è quinta con 1,4 miliardi, il 4% del totale. Bolzano 4°, Salerno 6° e Modena 7°. Tra le prime venti posizioni la maggiore crescita a Venezia (+15%), Padova (+12%), Firenze, Torino e Bergamo (+11%).

LA LOMBARDIA
Con 5,9 miliardi di export, la Lombardia rappresenta più di un settimo del totale italiano. Oltre a Milano, 5° in Italia, tra le prime 20 ci sono anche Bergamo 12° e Mantova 18°. A crescere di più sono Lodi che raddoppia il suo export (+103,8%), Sondrio (+16,1%), Cremona e Varese (+11%).

La Lombardia per peso sul totale nazionale si distingue in pesci, crostacei lavorati e conservati, con il 38%: Como leader italiana (31%, +12,1%), Brescia 10° e Milano 14°, ma anche in prodotti lattiero-caseari dove rappresenta il 36,8% del totale con Mantova 3°, Lodi 4°, Cremona 6°, Brescia 7°, Bergamo 9°, Pavia 14° e Milano 15°. Pavia è invece al primo posto per granaglie, amidi e prodotti amidacei (16% nazionale).

Categorie
Approfondimenti

Uva e stress idrico: tesi Mach premiata dalla Società italiana di viticoltura

Dopo i premi per le ricerche sulla difesa sostenibile delle colture arriva un altro importante riconoscimento per la Fondazione Edmund Mach. La SIVE, Società Italiana di Viticoltura ed Enologia, ha premiato la ricercatrice trentina Stefania Savoi per la migliore tesi di dottorato nel campo della viticoltura per l’anno 2016.

Il concorso SIVE per il conferimento di due premi per tesi di dottorato di ricerca intende valorizzare le attività di ricerca che abbiano portato un valido contributo, sul piano scientifico, applicativo e divulgativo, nel settore vitivinicolo. La cerimonia di premiazione, giunta alla sua seconda edizione, si è svolta nei giorni scorsi, a Foiano della Chiana ed è stata intitolata alla memoria del compianto professore Roberto Ferrarini.

La ricercatrice trentina ha studiato nel suo lavoro di tesi gli effetti di un moderato stress idrico sulla fisiologia dello sviluppo e maturazione dell’acino d’uva in varietà a bacca bianca e rossa usando un approccio multidisciplinare che ha incluso due anni di sperimentazione in campo, l’analisi dei trascritti mediante la tecnica dell’RNA sequencing e l’analisi dei metaboliti su larga scala.

Questo lavoro, che sarà presentato nel mese di maggio a Enoforum di Vicenza, è stato svolto presso la Fondazione Edmund Mach, l’Università degli Studi di Udine, e il Wine Research Centre of the University of British Columbia (Vancouver, Canada) sotto la supervisione di Fulvio Mattivi, Enrico Peterlunger e Simone Diego Castellarin. Attualmente Stefania Savoi sta svolgendo il suo post-dottorato a Vienna, presso l’University of Natural Resources and Life Sciences e precisamente nel gruppo di Viticoltura e Pomologia.

Categorie
degustati da noi vini#02

Cisterna D’Asti Doc Superiore 2011, Azienda Vitivinicola Mo

Cisterna d’Asti è una Doc piemontese praticamente sconosciuta, situata tra Asti, Cuneo e il Roero, con pochissimi produttori rimasti a imbottigliare vino con questa denominazione. Per disciplinare, le uve base devono essere minimo 80% Croatina, vitigno autoctono molto presente anche nell’Oltrepò Pavese e nel Piacentino. Una piccola perla nascosta, dunque, capace di emozionare. Ne è un esempio la versione Superiore 2011 prodotta dalla Azienda Vitivinicola Mo.

Nel bicchiere il vino presenta un colore rosso granato di media intensità e trasparenza, con buona consistenza. Il naso è intenso e complesso, con note fruttate di marasca, more e scorza di arancia, floreali di glicine e lavanda; successivamente incalzano sentori balsamici mentolati e di erbe aromatiche, con l’alloro in prima linea. In bocca regna un ottimo equilibrio, grazie alla buona struttura e a soddisfacente morbidezza, ben contrastate da tannino fine e gradevoli acidità e sapidità.

Buona la persistenza, con note finali di frutta e erbe aromatiche. Vino maturo e molto interessante, da degustare a una temperatura di 16°C in calici di media ampiezza e da abbinare a primi con ragù di carne o a formaggi di media stagionatura.

LA VINIFICAZIONE
Il vino è prodotto da uve Croatina in purezza, dai vigneti siti in Cisterna d’Asti e in Canale coltivati su terreni sabbiosi-argillosi. Dopo la fermentazione alcolica e malolattica, affina per almeno 12 mesi in acciaio, per poi venire imbottigliato. L’azienda Vitivinicola Mo è attiva dagli anni ’60 e si è da sempre dedicata alla coltivazione di vitigni quasi esclusivamente autoctoni, con grande passione e dedizione.

Categorie
vini#1

Vespaiolo Doc Breganze 2015 Sulla Rotta del Bacalà, Beato Bartolomeo

Creata sul finire degli anni ’60 e con quasi 400 ettari vitati, la Denominazione di Origine controllata Breganze è situata nei pressi del Monte Grappa, in provincia di Vicenza. L’uva autoctona per eccellenza è la Vespaiola, famosa per essere la base del Torcolato, il vino passito simbolo di questa denominazione. Questa uva viene anche vinificata secca o spumante, con risultati di buona piacevolezza.

La cantina sociale Beato Bartolomeo da Breganze propone la selezione Vespaiolo D.O.C. Breganze “Sulla Rotta del Bacalà”, omaggio al nobile veneziano Pietro Querini, che nel 1431 naufragò nei mari del Nord Europa e venne salvato dagli abitanti di un’isola norvegese, dove scoprì il merluzzo essiccato, il Bacalà appunto.

La versione 2015 si mostra giallo paglierino di buona vivacità e media intensità. I sentori sono molto freschi, croccanti, con note di pere Williams e mele Golden, tiglio e biancospino, erba appena tagliata e accenni di frutta tropicale. In bocca spicca immediatamente un’acidità importante, tipica del vitigno, supportata da notevole sapidità. Corretta la struttura e la persistenza. Non impegnativo e di buona beva. Vino adatto a chi ama queste sensazioni gustative forti. In alternativa si può far affinare per un anno. Per intanto degustiamolo ad una temperatura di massimo 10°C e abbiniamolo a un Bacalà alla Vicentina, come vuole la tradizione.

LA VINIFICAZIONE
Questo Vespaiolo è prodotto nelle località di Costa di Breganze e Fara, su terreni vulcanici esposti a sud. Le uve sono conferite da 15 soci, dopo un’ attenta selezione. Prima della vinificazione, la Vespaiola subisce una prefermentazione a freddo, pratica diffusa per i vini bianchi, che permette di ottenere colori, profumi, aromi e struttura più intensi.

L’affinamento si prolunga per circa 5 mesi in acciaio con i propri lieviti. Successivamente il vino viene filtrato e imbottigliato, con una produzione di circa 7800 bottiglie. La Cantina Sociale Beato Bartolomeo da Breganze nasce nel 1950 e oggi conta 700 soci conferitori e con una produzione media annua di oltre 2 milioni di bottiglie.

Exit mobile version