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«Vini dealcolati? Dobbiamo migliorare la qualità». Parola di Massimo Romani di Argea

«Vini dealcolati Dobbiamo migliorare la qualità». Parola di Massimo Romani di Argea amministratore delegato vendite primi 8 vini senz alcol volano negli stati uniti
Vini dealcolati
al centro del XI Forum Wine Monitor, tra i più fulgidi segnali della
trasformazione in corso nel settore del vino. Ad affrontare il tema è stato Massimo Romani, amministratore delegato di Argea, gruppo vinicolo nato nel 2022 dall’unione di due storici marchi del vino italiano, Botter e Mondodelvino, con la partecipazione del fondo Clessidra. Parliamo dunque di uno dei principali attori nel settore vitivinicolo nazionale, con un giro d’affari di 450 milioni di euro nel 2024, in leggera crescita rispetto all’anno precedente (438 milioni), grazie alla vendita di 180 milioni di bottiglie in 85 Paesi e un team di 500 collaboratori. A stuzzicare Romani sull’argomento, un mai così pimpante Denis Pantini, responsabile Agroalimentare e Wine Monitor Nomisma, nelle vesti di moderatore.

«Sui vini dealcolati – ha dichiarato l’ad di Argea – abbiamo fatto molta strada rispetto a un anno fa. Il mercato ha accolto con interesse queste nuove proposte. Tuttavia, il vero banco di prova rimane la qualità del prodotto, ancora percepita come un fattore critico sia dai consumatori che dagli operatori del settore. I primi tentativi di dealcolazione hanno prodotto risultati poco soddisfacenti, con vini difficili da apprezzare. Ma negli ultimi due anni i progressi sono stati significativi e i prodotti oggi sul mercato sono decisamente migliori».

I (PRIMI) OTTO VINI DEALCOLATI DI ARGEA

La normativa italiana, che consente la dealcolazione solo da gennaio 2024, ha creato alcune difficoltà iniziali ai produttori. Molti, per ovviare a questo ostacolo, si sono rivolti all’estero, affrontando una serie di complicazioni legate a logistica e costi. Argea ha deciso di investire nel segmento dei vini dealcolati con il lancio di una gamma di otto referenze, coprendo tutte le tipologie principali, dai rossi ai bianchi fino agli sparkling. Prodotti che sono stati lanciati a Vinitaly 2024, frutto di otto terroir, da nord a sud d’Italia, i brand Asio Otus, Gran Passione, Zaccagnini Tralcetto (Abruzzo) e Barone Montalto (Sicilia). I primi riscontri commerciali? «Incoraggianti». Sspecialmente nei mercati internazionali.

«Negli Stati Uniti – ha evienziato Massimo Romani – siamo stati listati in tutti gli Stati, tranne il Texas. Questo dimostra che la domanda esiste ed è concreta. L’inserimento nei retailer e nei canali Horeca conferma la volontà dei consumatori di esplorare questa categoria, anche se l’approccio al prodotto varia. Molto spesso il vino dealcolato viene servito by the glass piuttosto che venduto in bottiglia intera. Stiamo già ricevendo richieste per formati più pratici come il 375 ml».

«CHI ACQUISTA VINO DEALCOLATO LO RICOMPRA»

Più difficile prevedere se si tratti di una moda passeggera o di una risposta a esigenze reali dei consumatori, che sempre più spesso optano per prodotti con minore contenuto alcolico per ragioni di salute, regolamentazione o semplice preferenza personale. «Ci sono persone a dieta, chi sceglie di ridurre il consumo di alcol, chi deve guidare e non vuole rinunciare a brindare con gli amici. La domanda c’è, e continuerà a crescere. Il nostro compito è rispondere con prodotti sempre più validi. Non sappiamo ancora quanto grande diventerà questo segmento. Ma un primo segnale incoraggiante è il riacquisto da parte dei consumatori. Se tornano a comprare, significa che stiamo andando nella direzione giusta. Il focus, dunque, deve rimanere sulla qualità. Migliorarla è fondamentale. Avere il controllo diretto della lavorazione ci consentirà di perfezionare il prodotto e renderlo più competitivo».

Oltre alla qualità, un altro tema chiave è il coinvolgimento delle nuove generazioni nel mondo del vino. «Non possiamo aspettare passivamente che i giovani crescano e diventino consumatori abituali di vino. Bisogna parlare la loro lingua e offrire prodotti adatti alle loro abitudini di consumo», ha sottolineato Romani. In questo senso, come evidenziato da Denis Pantini, il vino dealcolato potrebbe essere un’opzione interessante per avvicinare un pubblico più giovane, insieme agli sparkling e ai cocktail a base di vino, che stanno guadagnando popolarità. «Abbiamo un vantaggio competitivo importante: il brand Italia è ancora percepito come sinonimo di qualità e innovazione – ha sottolineato Romano -. Dobbiamo sfruttarlo al meglio».

IL RISCHIO DAZI USA AL XI FORUM WINE MONITOR

Un’attenzione particolare, sempre in occasione del XI Forum Wine Monitor tenutosi in mattinata, è stata dedicata al rischio dei dazi negli Stati Uniti. Un tema di grande preoccupazione per l’export italiano che, come svelato da Winemag, preoccupa non poco gli stessi distributori americani di vino importato, che si stanno mobilitando per fare pressione sul governo Trump. «Se verranno introdotti – ha commentato l’ad di Argea Massimo Romani – alcune fasce di prezzo saranno più colpite di altre. Tuttavia, un dazio del 10% potrebbe essere gestibile, se spalmato lungo tutta la filiera distributiva. L’attenzione resta alta, anche perché il mercato americano rappresenta una fetta significativa dell’export vinicolo italiano». https://argea.com/

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Usa: American Single Malt Whisky riconosciuto come tipologia ufficiale


Da domani, mercoledì 18 dicembre, l’Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau americano
aggiungerà l’American Single Malt Whisky al Registro Federale. Riconoscendolo, di fatto, come una tipologia ufficiale di whisky americano. «Si tratta di una decisione storica – sottolinea l’American Single Malt Whiskey Commission – che arriva dopo quasi nove anni di petizioni per ottenere uno standard di identità da parte della Commissione».

ESULTANO I PRODUTTORI AMERICANI

«Nelle nostre prime discussioni con il TTB, nel 2016 – continua l’organismo guidato dal presidente Steve Hawley – è stato chiaro che dovevamo dimostrare due cose per poter prendere in considerazione la designazione. In primo luogo, che la nostra petizione era stata concepita per favorire il consumatore finale. In secondo luogo, che avevamo un ampio sostegno da parte dell’industria per la nuova regola. Il supporto alla causa e ai produttori di single malt in America, arrivato su entrambi i fronti nel corso degli anni, è stato inestimabile. Senza, non avremmo potuto ottenere questo risultato».

IL 18 DICEMBRE SARÀ LA GIORNATA DELL’AMERICAN SINGLE MALT WHISKY

L’Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau è stato molto accurato e ponderato nella revisione e nella spiegazione della decisione finale. «Da qui in avanti – annuncia l’American Single Malt Whiskey Commissionil 18 dicembre sarà una data di celebrazione della ratifica. Non ci saranno festeggiamenti più grandi di quelli di domani e siamo lieti che tutti si uniscano ai festeggiamenti. A partire dal 19 dicembre, ci rimetteremo al lavoro perché c’è ancora molto da fare per far progredire e promuovere l’American Single Malt Whiskey nel mondo».

AMERICAN SINGLE MALT WHISKY, COSA CAMBIA

L’American Single Malt Whiskey rappresenta una categoria in forte crescita negli Stati Uniti, caratterizzata dall’uso esclusivo di 100% malto d’orzo e dalla produzione all’interno di una singola distilleria. Sino ad oggi, però, questa tipologia di whisky non era stata ancora ufficialmente riconosciuta dalla legislazione statunitense. Il TTB, ente federale che regola il settore degli alcolici, ha pubblicato nel luglio 2022 una proposta di regolamentazione per definire e standardizzare questa categoria emergente. La bozza include criteri specifici riguardanti la produzione e l’invecchiamento.

Dopo una fase di raccolta delle osservazioni pubbliche conclusa nel settembre 2022, il TTB si è messo al lavoro per valutare i commenti ricevuti. Con l’obiettivo di finalizzare la definizione ufficiale. Nel frattempo, i produttori americani hanno continuato a seguire linee guida volontarie, come quelle stabilite proprio dall’American Single Malt Whiskey Commission, al fine di garantire standard qualitativi elevati e coerenza nella produzione. L’American Single Malt Whiskey, dunque, si appresta ad entrare da domani, 18 dicembre, in una nuova era grazie al suo riconoscimento formale. Secondo molti osservatori si tratta di una delle categorie più promettenti e innovative del panorama globale dei distillati.

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Vini rossi di lusso made in Italy in crescita negli Usa

Mentre il mercato dei vini rossi negli Stati Uniti mostra segnali di declino, c’è un segmento che va in controtendenza: i vini di lusso italiani. Secondo l’analisi dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly sui dati SipSource di agosto, le etichette di fine wine italiani rossi, dal prezzo di distribuzione superiore ai 50 dollari hanno registrato una crescita del 3% in valore tra gennaio e agosto. Il tutto nell’ambito di una performance negativa del segmento luxury globale (-7%), con i vini francesi a -16% e quelli americani in linea con la media di mercato. I dati sono stati presentati durante Vinitaly.USA a Chicago, il 20-21 ottobre.

Questo sorprendente posizionamento dei rossi di alta gamma made in Italy, pur rappresentando una piccola fetta del 2% in termini di volume delle vendite di rossi italiani negli Stati Uniti, costituisce ben il 14% del valore complessivo di questi vini. La quota sale al 23% se si considerano anche i rossi super-premium, con un prezzo compreso tra i 24 e i 50 dollari, a fronte di una quota di volume del 6%.

FRESCOBALDI, USA: TURISMO E BRAND SPINGONO I VINI ROSSI ITALIANI

Secondo Lamberto Frescobaldi, presidente di Unione Italiana Vini (Uiv), intervenuto a Chicago, il successo dei rossi italiani di lusso negli Usa si basa su due pilastri: la riconoscibilità dei brand territoriali italiani, ormai iconici per gli appassionati americani, e l’esperienza del turista americano in Italia, che alimenta la fedeltà al vino italiano una volta rientrati in patria. Non è un caso che siano le etichette toscane a dominare il segmento, con una quota del 45,5% del mercato dei rossi luxury made in Italy negli Stati Uniti, in crescita del 13% nei primi otto mesi del 2023.

A guidare le preferenze degli appassionati statunitensi è il Brunello di Montalcino, che detiene una fetta del 32% del mercato dei rossi di lusso. Seguono a distanza Bolgheri (11,5%) e Chianti Classico (2%). Anche i vini piemontesi occupano una posizione di rilievo, con il Barolo al secondo posto con il 16%, mentre il Barbaresco, con il 4%, è appena fuori dal podio, subito dopo il Bolgheri Superiore (7%). Al contrario, regioni vinicole che in passato hanno dominato il segmento luxury, come Bordeaux (-37%), Borgogna (-12%) e Napa Valley (-24%), stanno affrontando un periodo di difficoltà.

I NUOVI TREND DEL VINO: L’INNOVAZIONE ARRIVA DAGLI USA

Oltre ai vini di lusso, emergono nuovi trend dal mercato statunitense, come evidenziato da Marzia Varvaglione, presidente di Agivi (Associazione dei giovani imprenditori vitivinicoli italiani), durante l’inaugurazione di Vinitaly.USA. Varvaglione ha sottolineato come fenomeni come i ready-to-drink e i vini low e no-alcohol stiano conquistando i consumatori globali.

«È importante non avere pregiudizi e non temere il nuovo che avanza. Come produttori italiani dobbiamo comprendere i trend emergenti e comunicare il vino in modo più inclusivo. Il nostro ruolo è identificare le nuove opportunità, specialmente nel mercato statunitense. Parlare di giovani è una responsabilità – ha concluso Varvaglione – perché saranno loro la prossima generazione di appassionati di vino; attenti alla qualità sia nel bicchiere che nel piatto».

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Giù Chianti, Pinot Grigio e Barolo: vino italiano in crisi negli Stati Uniti


Le vendite di alcuni dei vini più iconici d’Italia stanno registrando un preoccupante calo negli Stati Uniti. Chianti, Pinot Grigio e Barolo, denominazioni che hanno fatto la storia del vino italiano all’estero, stanno vivendo una flessione significativa in uno dei mercati più importanti per il settore vinicolo mondiale.
Secondo i dati forniti dall’Osservatorio Unione Italiana Vini (Uiv), il mercato americano risulta in un periodo di contrazione, con i consumi di vino scesi dell’8% in volume nei primi otto mesi del 2024. Le cause principali sono attribuibili alla riduzione del potere d’acquisto dei consumatori americani, unita a un calo della domanda nel canale on-premise (ristoranti e locali). In questo contesto, già anticipato in parte dai dati Nomisma Wine Monitor del primo semestre, le vendite di alcuni dei vini fermi italiani più rinomati stanno subendo pesanti contraccolpi.

CHIANTI, BAROLO E PINOT GRIGIO IN DIFFICOLTÀ

Il Chianti Docg è tra le denominazioni che stanno risentendo maggiormente della crisi dei consumi. In particolare, la denominazione simbolo della Toscana ha registrato un calo del 16% (stabile, invece, il Chianti Classico). Dati particolarmente preoccupanti se consideriamo il ruolo fondamentale del Chianti nel panorama delle esportazioni di vino italiano negli Stati Uniti. Non meno significativa è la battuta d’arresto del Barolo, uno dei vini più pregiati e celebrati del mondo. Il vino delle Langhe ha visto una contrazione del 6% nelle vendite. Un segnale che conferma le difficoltà anche per le denominazioni di fascia alta. I consumatori americani, che tradizionalmente apprezzano il Barolo per la sua eleganza e longevità, sembrano risentire delle difficoltà economiche, orientando i loro acquisti verso vini di fasce prezzo più accessibili.

PINOT GRIGIO IN CALO NEGLI USA: LA VERA SOPRESA DEL 2024

Una delle sorprese più inattese di quest’anno è il calo delle vendite del Pinot Grigio delle Venezie, che ha perso circa il 9% nei primi otto mesi del 2024. Nonostante la sua popolarità storica come vino bianco di facile beva e apprezzato per la sua freschezza, la denominazione paga l’impatto della riduzione dei consumi negli Usa, anche nel segmento di appartenenza. Un segnale preoccupante per un’altra denominazione che ha sempre giocato un ruolo da protagonista nelle esportazioni italiane, soprattutto tra i consumatori americani meno esperti. Quelli, cioè, che tendono a scegliere vini leggeri e immediati.

IL BOOM DEGLI SPUMANTI SALVA IL BILANCIO DEL VINO ITALIANO NEGLI USA

A fronte della crisi dei vini fermi, la situazione appare più positiva per gli spumanti italiani. Nonostante un leggero calo nel mese di agosto, la crescita del comparto spumanti è stata di +1,5% da gennaio ad agosto 2024. In particolare, il Prosecco continua a essere la locomotiva dell’export italiano negli Stati Uniti, sostenendo il comparto con un aumento delle vendite del +6% per la denominazione Prosecco Treviso e addirittura del +15% per l’Asolo Prosecco.

Questi numeri dimostrano come il Prosecco e gli altri spumanti italiani siano diventati sempre più popolari grazie alla loro versatilità, anche nel segmento dei cocktail a base di vino, che continua a guadagnare terreno sul mercato americano. In contrasto, altre bollicine, come lo Champagne, hanno subito un calo più marcato del -13%, lasciando spazio al Prosecco italiano – sostengono alcuni osservatori – per rafforzare la propria posizione.

IL FUTURO DEL VINO ITALIANO NEGLI USA

Il calo delle vendite di Chianti, Pinot Grigio e Barolo evidenzia un momento di incertezza per i vini italiani negli Stati Uniti. Se da un lato il segmento degli spumanti sembra resistere meglio alla crisi, dall’altro i vini fermi italiani, che da sempre rappresentano una fetta significativa delle esportazioni, stanno incontrando ostacoli sempre più grandi. Secondo Paolo Castelletti, segretario generale di Unione Italiana Vini (Uiv), l’andamento negativo delle vendite negli Stati Uniti è strettamente legato alla diminuzione del potere d’acquisto dei consumatori.

Decisive anche le incertezze economiche che si fanno sentire sul mercato. «La speranza è che con le imminenti elezioni presidenziali e un possibile taglio dei tassi, si possano registrare segnali di ripresa», commenta Castelletti. Le preoccupazioni riguardano anche il canale on-premise, dove il vino italiano ha registrato un calo del -15% nelle vendite durante il mese di agosto. Un dato che evidenzia la difficoltà nel ripristinare il consumo di vino nei ristoranti e locali dopo la pandemia.

INNOVAZIONE E QUALITÀ PER SUPERARE LA CRISI

Nonostante il contesto difficile, l’Italia mantiene la sua posizione di leader sul mercato del vino negli Usa grazie alla sua diversità e alla continua ricerca della qualità. Tuttavia, per superare la crisi, i produttori italiani dovranno essere in grado di adattarsi rapidamente ai cambiamenti nelle abitudini di consumo, puntando su nuove strategie di marketing, investimenti nell’e-commerce e un’ulteriore valorizzazione delle denominazioni. Il successo degli spumanti dimostra che c’è ancora spazio per crescere, anche in un mercato complesso come quello statunitense. Tuttavia, sarà fondamentale sostenere la competitività dei vini fermi, soprattutto nelle denominazioni storiche e portabandiera come Chianti, Barolo e Pinot Grigio, che rappresentano il cuore dell’offerta enologica italiana.

Giù Chianti, Pinot Grigio e Barolo: vino italiano in crisi negli Usa nei primi 8 mesi del 2024. L’analisi di Unione italiana vini

 

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Neil Empson, addio a pioniere esportazione vini italiani in Usa e Canada


Addio a uno dei pionieri dell’esportazione di vini italiani negli Usa e in Canada, Neil Empson. È morto all’età di 85 anni, sabato 14 settembre 2024. A darne notizia sono i famigliari del fondatore delle società Empson & CO, unite dall’emblematico claim Experience Italy in a wine glass. A raccogliere l’eredità di Neil
Trevanion Howard Empson saranno la figlia Tara Empson, Ceo di Empson Usa, e la moglie Maria Gemma, di origine italiana. «Mio padre – commenta Tara Empson – era la mia roccia e il mio mentore. Si è dedicato a mia madre, alla nostra famiglia, all’azienda e alle cantine che rappresentava. Mia madre e io sentiremo profondamente la sua mancanza». Fu proprio lui a coniare il termine “Super Tuscan”, riferendosi a uno dei vini del suo catalogo: Le Pergole Torte di Montevertine. Era il 1975.

Neil Empson, presidente e co-fondatore di Empson & Co. (1972), Empson Usa (1991) ed Empson Canada (2000), è stato un pioniere nell’esportazione di vini italiani pregiati negli Stati Uniti, in Canada e non solo. Un visionario, che è riuscito a rappresentare alcuni dei produttori più iconici del mondo del vino italiano nel corso della sua vita. Dando al Made in Italy enologico una posizione di rilievo sulla scena enologica mondiale.

LA CARRIERA DI NEIL EMPSON, IMPORTATORE VISIONARIO DI VINI ITALIANI

«Lui e Maria – evidenzia una nota Empson & CO – sono stati in prima linea nella rivoluzione della qualità, agli esordi dell’esportazione italiana. Hanno continuato a scoprire e a promuovere regioni poco conosciute, che oggi sono diventate punti di riferimento di quella stessa rivoluzione». Ben consci che la qualità non possa essere limitata da alcun confine nazionale, Neil Empson e la moglie Maria Gemma hanno orgogliosamente ampliato il catalogo a vini dell’Oregon, della California, della Nuova Zelanda e del Cile.

Neil Empson è nato il 16 marzo 1939 nel famoso distretto agricolo di Waikato, in Nuova Zelanda. I suoi antenati agricoltori hanno contribuito a formare la sua personalità e il suo modo di approcciarsi al lavoro, trasmettendogli un’eredità di rispetto per le persone e per la terra e una dedizione totale all’eccellenza. Era noto per la sua integrità, il suo carisma e le sue accattivanti capacità di raccontare storie, in grado di ispirare fiducia in qualsiasi situazione, con un entusiasmo contagioso e una buona dose di umorismo.

CHI ERA NEIL EMPSON: LA SUA STORIA

Nel 1969 ha incontrato – e si è innamorato – della donna divenuta sua moglie, l’italo-americana Maria Gemma. Insieme hanno costruito una vita, una famiglia e un’azienda, partendo da un minuscolo appartamento, con una sola camera da letto a Milano. E facendola crescere, fino a diventare il principale esportatore di vino italiano di qualità. Neil Trevanion Howard Empson amava molte cose: il rugby, le auto veloci, le corse, i viaggi, l’arte e molto altro ancora. Ma i suoi tre più grandi amori sono sempre stati la sua famiglia, il team Empson e le aziende vinicole a cui teneva molto.

Neil Empson lascia l’amata moglie e “socia in affari” da oltre 50 anni, Maria Gemma Empson, e i suoi tre figli, Tara Empson (proprietaria/amministratore delegato di Empson & Co, Empson USA e Empson Canada), Tracy Rudich (proprietaria/amministratore delegato di Vinntra Pty Ltd / Intimo), Paul Empson (proprietario/amministratore delegato di Paul Empson Photography), oltre alle sorelle e fratelli Heather, Margaret e Graham, australiani, e i nipoti.

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Più protezione per il Vermouth di Torino negli Usa con il Marchio di Certificazione


Il Consorzio del Vermouth di Torino ha ottenuto il Marchio di Certificazione negli Usa. Una conquista definita «fondamentale» dall’ente guidato dal presidente Roberto Bava e dal direttore Pierstefano Berta, che in occasione degli Stati Generali 2024 del Vermouth di Torino – convocati il 28 giugno all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo – hanno delineato gli obbiettivi raggiunti nell’ultimo periodo in campo nazionale e internazionale. Presenti i soci dell’ente, che rappresentano oltre il 96% della produzione del Vermouth di Torino (circa 6 milioni di bottiglie), commercializzato in 82 Paesi dei 5 continenti.

LA PROTEZIONE DEL VERMOUTH DI TORINO NEGLI USA

Il Marchio di Certificazione, rilasciato dall’United States Patent and Trademark Office (Ufficio Brevetti e Marchi degli Stati Uniti) permette al Consorzio di proteggere e controllare rigorosamente la denominazione “Vermouth di Torino IGP” negli Usa, un mercato di grande rilievo per i Soci del Consorzio. Un obiettivo al pari del marchio consortile, depositato in Italia, in Europa e nei principali mercati internazionali, che ha permesso un’intensa opera di opposizione a impieghi scorretti della denominazione in nazioni europee ed extraeuropee, proteggendo consumatori, produttori, e in generale il Made in Italy.

NOMINATI I NUOVI AMBASCIATORI DEL VERMOUTH DI TORINO

Sempre in occasione degli Stati Generali del Vermouth 2024, sono stati nominati i nuovi “Ambasciatori ed Educatori del Vermouth di Torino”, riconoscimento rivolto a persone che lavorano a vario titolo per la conoscenza e l’apprezzamento del prodotto. A ricevere lo speciale diploma di ambasciatori erano presenti Mariuccia Roggero Ferrero e Diego Crippa, importanti chef canellesi; Sergio Nodone, ambasciatore presso i Cavalieri del Tartufo di Alba; gli “Ambasciatori Educatori” Pauline Rita Rosa, Myles Cunliffe e Samuel Boulton che hanno gestito diversi seminari in occasione degli ultimi eventi internazionali del Consorzio Vermouth di Torino.

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Vinitaly.Usa 2024 raddoppia a Chicago. Veronafiere: «Più cantine e buyer»


Dopo l’esordio dello scorso anno, Vinitaly.Usa 2024 si candida a diventare la prima fiera del vino italiano negli Stati Uniti, con la firma di una «cooperazione compatta» tra Veronafiere, Ice-Agenzia e Camera di Commercio Italiana Americana con sede a Chicago.
Tra gli obiettivi della manifestazione, in programma il 20 e 21 ottobre, c’è infatti quello di raggiungere gli 11 mila mq di superficie espositiva. Non solo. Si punta anche a «raddoppiare sia il contingente di aziende italiane che quello dei buyer americani rispetto all’edizione 2023» e ad «accrescere il programma di promozione bidirezionale». È quanto anticipa oggi Veronafiere, in una nota che conferma il «piano di sviluppo di Vinitaly».

GLI OBIETTIVI DI VERONAFIERE NEGLI USA CON VINITALY.USA

Da un lato, l’obiettivo di Vinitaly.Usa 2024 a Chicago  è la «scalata delle aziende italiane in un’area con ampi margini di crescita». Dall’altro «la profilazione e la selezione di buyer e distributori in vista di Vinitaly 2025 a Verona», in programma dal 6 al 9 aprile (57ª edizione). Un’attività di incoming che all’ultimo Vinitaly, in aprile di quest’anno, ha confermato la pole position degli Stati Uniti nella classifica delle presenze di operatori esteri con 3.700 buyer americani in fiera (+8% sul 2023).

VINITALY.USA 2024 È IN PROGRAMMA A CHICAGO IL 20 E 21 OTTOBRE

In programma, nella due giorni di Chicago, anche masterclass, walk around tasting, seminari e focus di mercato e tre sessioni della Vinitaly international Academy. «Vinitaly.Usa 2024 a Chicago – commenta il presidente di Veronafiere, Federico Bricolo – costituisce un posizionamento chiave e individua in questa metropoli un ponte strategico tra l’Italia e la prima destinazione per il Made in Italy enologico che, nel 2023, ha totalizzato complessivamente circa 2 miliardi di dollari di import. Tutto questo, senza dimenticare che la piazza di Chicago si presta a intercettare buyer anche dal vicino Canada, con ulteriori possibilità di crescita per le nostre aziende».

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Vendite vino italiano al supermercato: Stati Uniti, Germania e Regno Unito in timida ripresa


Le vendite di vino italiano nei supermercati di Stati Uniti, Germania e Regno Unito virano timidamente in territorio positivo: +0,4% nei volumi (era a -0,2% nel semestre), per un valore totale di oltre 3,3 miliardi di euro. Nel complesso, nei tre Paesi scende a volume la domanda tendenziale degli sparkling tricolori (-2%) mentre salgono dell’1,2% i fermi (2,15 miliardi di euro), per un totale di 3,4 milioni di ettolitri pari a 452 milioni di bottiglie da 0,75/litri. È quanto emerge dalle elaborazioni dell’Osservatorio Uiv su base Nielsen-IQ relative ai primi 9 mesi dell’anno nella Grande distribuzione dei 3 principali Paesi buyer.

Il rendimento stazionario si riscontra in tutti i mercati, tra alti e bassi a seconda delle tipologie. Tra le buone notizie, la crescita volumica degli spumanti negli Usa (+3,7%) e quella del mercato dei vini fermi in Germania e Uk (attorno al +4%), grazie anche a sensibili miglioramenti di Primitivo, Montepulciano e Nero d’Avola. Per contro, nel primo mercato al mondo soffrono i fermi del Belpaese (-6,6%), mentre le variazioni degli spumanti in Uk e Germania sono negative e si attestano rispettivamente a -5,9% e a -1,4%. Il computo finale segna Uk stabile (+0,1%), Germania in terreno positivo (+3,9) e Usa ancora in calo (-3,5%).

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Approfondimenti

Cala l’export di vino italiano nei top 12 mercati internazionali


Gli effetti della crisi si fanno sentire anche nel mondo del vino. Nei primi otto mesi di quest’anno, le quantità di vino fermo e frizzante italiano acquistati nei top 12 mercati internazionali risultano in calo dell’8%. Stessa sorte tocca agli spumanti, la categoria che nell’ultimo decennio era invece cresciuta senza soluzione di continuità, che fanno segnare uno speculare -9%. Dati preoccupanti, perché riguardano i mercati che pesano per oltre il 60% sulle importazioni mondiali di vino.

Si tratta di variazioni in linea con la media del mercato, con un trend negativo che risparmia pochi paesi esportatori e che vede anche il nostro primo mercato di sbocco a valore, gli Stati Uniti, ridurre le importazioni dall’Italia del 13%. Gli Stati Uniti e i mercati internazionali hanno rappresentato il primo focus di approfondimento del X Forum Wine Monitor, organizzato da Nomisma e arricchito dai contributi di Federico Zanella, presidente & Ceo di Vias Imports, e di Lamberto Frescobaldi, presidente della Marchesi Frescobaldi.

NEGLI USA CRESCE SOLO IL SAUVIGNON BLANC NEOZELANDESE

«Nel mercato statunitense – evidenzia Denis Pantini, Responsabile Agroalimentare e Wine Monitor di Nomisma – tutti i principali esportatori di vino soffrono a causa di una riduzione nella capacità media di spesa dei consumatori. Solo la Nuova Zelanda, con il suo Sauvignon Blanc, non sembra conoscere crisi, mettendo a segno una crescita delle esportazioni di oltre il 20% nei primi otto mesi di quest’anno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente».

Non va meglio sul mercato nazionale. Le vendite di vino nel canale retail flettono – nel cumulato fino a settembre – di un calo superiore al -2% a volumi, con riduzioni più elevate in Gdo nel caso dei vini fermi (-3,8%). Crescono solamente gli acquisti di spumante (+2,3%) ma il dato nasconde un effetto “sostituzione” che vede aumentare gli spumanti generici (più economici) a scapito di quelli a denominazione, Doc e Docg.

PREVISIONI AL RIBASSO PER IL CONSUMO DI VINO DEGLI ITALIANI

Anche le previsioni sui comportamenti di consumo degli italiani per i prossimi 6 mesi – dedotte da una specifica Consumer Survey condotta da Nomisma – non sono positive: al netto di chi non modificherà gli acquisti di vino rispetto alla situazione attuale (almeno 6 italiani su 10, ma nel contesto di una generalizzata riduzione dei consumi), c’è un 16% di consumatori che prevede di ridurli, nell’obiettivo di risparmiare sulla spesa in generale.

In questo scenario così complesso e incerto, sono soprattutto le piccole imprese vinicole a soffrire di più. Anche a causa di una situazione finanziaria interna sovente minata da pesanti indebitamenti che rischiano di esplodere in conseguenza della stretta in atto sui tassi di interesse applicati. Basti pensare, infatti, che per le società di capitale con fatturato fino a 10 milioni di euro, gli oneri finanziari sull’Ebitda vanno dall’11% per le imprese tra 2 e 10 milioni di euro, al 37% per quelle con fatturato inferiore.

Per quanto piccole, stiamo parlando di realtà che rappresentano l’85% del tessuto imprenditoriale del settore vinicolo, a cui sono riconducibili quasi il 50% degli addetti occupati. E non è solo una questione di struttura finanziaria. Da un’indagine svolta da Wine Monitor sulle imprese vinicole italiane è infatti emerso come tra le esigenze ritenute prioritarie per affrontare le sfide dell’attuale scenario congiunturale figurino la pianificazione strategica, l’ottimizzazione dei processi produttivi e l’internazionalizzazione.

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Vini al supermercato

Usa, Germania e Uk: vino italiano in risalita nella grande distribuzione


Le vendite del vino italiano tra gli scaffali della grande distribuzione e retail nei top 3 mercati al mondo tornano a respirare ossigeno, in tempi di apnea. Nel complesso, secondo l’Osservatorio Uiv-Vinitaly che ha elaborato gli ultimi dati di Nielsen-IQ, le vendite tricolori in Usa, Germania e Uk chiudono il semestre con un risultato tendenziale piatto a volume (-0,2%) e con un lieve incremento a valore (+1,3%, a 2,2 miliardi di euro). La performance è migliore rispetto al primo trimestre (-4% volume e -1% valore) ma ancora insufficiente per dare reale respiro alle imprese di un settore tuttora fortemente penalizzato da un surplus di costi che incide per circa il 10% sul prezzo medio.

Il totale dei volumi commercializzati di vini fermi e frizzanti segna un +0,7%, complici gli incrementi in Uk (+3,2%) e soprattutto in Germania (+4,2%), sostenuta dalla forte domanda di frizzanti “low cost” tricolori. In controtendenza i fermi negli Usa, che cedono il 7,4%. Gli spumanti accusano invece un decremento del 2,8%, con gli Usa positivi (+2%), controbilanciati in negativo da Regno Unito (-6%) e Germania (-3,8%).

OFF TRADE VINO ITALIANO: PRIMATO PER LA GERMANIA

Dei 2,2 miliardi di euro commercializzati, 960 milioni (-0,3% tendenziale, -4,4% i volumi) sono frutto di acquisti di vino made in Italy nella Gdo statunitense. Oltre 840 milioni provengono dalla domanda Uk (+2,4%, con i volumi -0,5%) e 400 milioni dalla Germania (+2,9%, +3,7% i volumi). Il primato dei volumi spetta ai tedeschi (84 milioni di litri venduti su un totale di 231 milioni nei 3 Paesi) ma il prezzo medio allo scaffale di 4,7 euro al litro è 3 volte inferiore a quello degli Stati Uniti (14,3 euro) e meno della metà rispetto al dato Uk (10,5 euro).

In generale, è piatta la crescita dei listini per i fermi/frizzanti (+0,3%) mentre per gli spumanti l’aumento è del 4,9%. Il Prosecco, principale denominazione italiana commercializzata nel mondo, segna un -2% nei volumi (bene negli Usa, ancora negativa in Uk anche se in fase di recupero) e un +3,2% nei valori. Il tutto per un corrispettivo (675 milioni di euro) che incide per il 31% su tutto il vino made in Italy commercializzato sui canali dell’off trade dei 3 Paesi.

IL COMMENTO

«Occorre fare in modo – sottolinea l’ad di Veronafiere, Maurizio Danese – che le difficoltà congiunturali non si trasformino in strutturali. In queste situazioni diventa fondamentale la presenza e la promozione di bandiera del brand enologico italiano». «Rispetto al primo trimestre – aggiunge il segretario generale di Unione italiana vini (Uiv), Paolo Castelletti – riscontriamo una timida risalita, ancora però troppo debole se consideriamo le tensioni vissute dal settore».

Lo scatto in avanti dei volumi commercializzati in Germania è dovuto al raffreddamento dei listini, che nell’ultimo trimestre, anziché aumentare, sono scesi in media del 4%, con una contrazione anche rispetto al primo semestre del 2022. «Variazioni sul prezzo medio – conclude Castelletti – che riteniamo essere troppo deboli anche negli Usa e in Uk, rispettivamente del 4% e del 3%».

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Roco Winery Oregon entra nel portafoglio di Santa Margherita Usa

Roco Winery Oregon  entra nel portafoglio di Santa Margherita Usa, società di importazione e distribuzione di vini pregiati attiva dal 2014. La consociata della veneziana Santa Margherita Gruppo Vinicolo abbraccia così una delle storiche aziende vinicole delle Dundee Hills, nella Willamette Valley. Roco Winery ha un’esperienza trentennale nella produzione di spumante, Pinot Nero e Chardonnay dell’Oregon.

Diventano così undici i brand di Santa Margherita Usa, che rappresentava già Ca’ del Bosco, Masi, Kettmeir, Lamole di Lamole, Sassoregale, Torresella, Feudo Zirtari, Fattoria Sardi, Cà Maiol e Cantina Mesa, oltre agli stessi vini targati Santa Margherita. L’acquisizione riguarda la maggioranza della tenuta americana Roco Winery.

«Il vino dell’Oregon – commenta Beniamino Garofalo, amministratore delegato di Santa Margherita Gruppo Vinicolo – è fiorente. Sapevamo di dover essere in prima linea in una delle regioni vinicole in più rapida ascesa negli Stati Uniti per la nostra prima acquisizione a livello internazionale».

I valori di Roco Winery e di Santa Margherita Gruppo Vinicolo sono armoniosamente allineati, come il focus su terroir regionali e il rispetto per la terra e, in questo quadro, l’esperienza in loco di Rollin e Corby gioca un ruolo importante nella partnership».

«La nostra affinità e ammirazione per gli Stati Uniti – aggiunge Gaetano Marzotto, presidente di Santa Margherita Gruppo Vinicolo – ha reso la ricerca della nostra prima azienda vinicola all’estero una scelta naturale. Il mercato statunitense è molto dinamico. E noi crediamo nella qualità dei vini dell’Oregon, in particolare nella regione di Willamette Valley».

«Siamo entusiasti di entrare a far parte della famiglia Santa Margherita Usa e di restare nel futuro di Roco Winery. Questa nuova partnership ci consentirà di continuare a produrre vini che siano una vera espressione del loro territorio», sottolinea Rollin Soles, fondatore e winemaker di Roco Winery. Nella negoziazione dell’accordo, Stoel Rives Llp ha rappresentato Santa Margherita Usa e Davis Wright Tremaine Llp ha rappresentato Roco Winery nella negoziazione dell’accordo.

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Dazi Usa sul vino Ue, tregua di 5 anni

Cambio di marcia nelle relazioni Ue-Usa, sul fronte dei dazi sul vino. Europa e Stati Uniti hanno trovato l’accordo per la rimozione di tutte le tariffs, vero e proprio spauracchio dell’epoca Trump.

La risoluzione riconosce «l’impatto dannoso dei dazi». Usa e Ue si impegnano inoltre a «lavorare per un ambiente commerciale del vino esente da dazi zero for zero». Il tutto in occasione del vertice tra i presidenti Biden, Von der Leyen e Michel.

“Il vino è un prodotto davvero unico e il commercio esente da dazi avvantaggia le nostre cantine familiari, nonché agricoltori, rivenditori, attività ricettive che compongono il settore, nonché i consumatori su entrambe le sponde dell’Atlantico”, ha affermato Bobby Koch, presidente e Ceo del Wine Institute Usa.

Apprezziamo il Congressional Wine Caucus – continua – e le loro controparti europee per aver guidato questo sforzo per raggiungere zero per zero. Questo, più di ogni altra cosa, contribuirà a migliorare l’impatto positivo delle nostre relazioni commerciali».

LE REAZIONI

«Un ambiente di libero commercio del vino è essenziale per preservare gli sforzi e gli investimenti di lunga data delle nostre aziende vinicole e la sostenibilità dei nostri vigneti”, ha affermato Jean Marie Barillère, presidente del Comité Européen des Entreprises Vins.

Non mancano le reazioni positive dall’Italia. «Apprendiamo con soddisfazione dell’intesa Ue e Usa sulla sospensione per 5 anni dei dazi sull’affaire Boeing e Airbus. Una notizia che è di buon auspicio per le future relazioni commerciali tra due storici partner commerciali», ha detto Ernesto Abbona, presidente di Unione italiana vini (Uiv).

Gli Stati Uniti sono il principale buyer di vino al mondo e i prodotti europei sono i più richiesti con una quota di mercato pari al 74% delle importazioni globali. Il valore medio delle esportazioni di vino Ue verso gli Usa è di quasi 3,5 miliardi di euro l’anno.

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Caviro negli Usa con Volio: Tavernello brik e bottiglia nelle case degli americani

Caviro ha stretto una partnership con Volio, importatore e marketer affermato nel mercato statunitense, per la distribuzione negli Usa di Tavernello, sia nel formato brik che in bottiglia.

La cooperativa leader in Italia nel settore vitivinicolo ha trovato in Volio «un partner ideale per ampliare la propria presenza nello scenario vitivinicolo internazionale». Oltre 70 i Paesi già interessati dall’export, per una vasta gamma di vini italiani destinati ad ogni target di consumo e mercato (Horeca e Gdo).

STRATEGIE CONDIVISE

Un’alleanza strategica, che nasce dalla condivisione degli obiettivi di «innovazione, crescita, qualità e sostenibilità». Da un lato Gruppo Caviro, forte di investimenti in ricerca e sviluppo e innovazione in nuovi formati di packaging, utili a garantire la migliore qualità di prodotto e ampliare la distribuzione all’estero. Una realtà che punta ad essere «portavoce dell’eccellenza del vino italiano sui mercati internazionali».

Dall’altra parte Volio, rinomato importatore statunitense – presente in 45 Stati con 58 distributori – che negli ultimi anni ha incrementato il fatturato dell’85%. Un player concentrato sulle migliori produzioni vitivinicole italiane, forte nel segmento Horeca e interessato a crescere in volume e valore. E, dunque, ad allargare il proprio raggio d’azione anche al canale della Grande distribuzione.

Il risultato è la sigla di un accordo che viene definito “di reciproca soddisfazione”. In Caviro, Volio trova un alleato ideale per rappresentare un prodotto come Tavernello, con una consolidata esperienza nel mercato Gdo. Potendo così rispondere in maniera adeguata all’incremento del consumo domestico.

Caviro con Volio potrà contare su un partner di alto profilo, capace di trasmettere correttamente l’immagine e il vissuto del brand italiano. E con cui poter collaborare, per il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di presidio del mercato.

AL CENTRO LA SOSTENIBILITÀ

Una perfetta corrispondenza nella visione aziendale, focalizzata sul concetto di sostenibilità. Caviro, con il proprio modello completo di economia circolare, ha di recente rinnovato l’impegno in questo ambito, presentando la seconda edizione del Bilancio di Sostenibilità. Un nuovo tassello, divenuto una Best Practice in Italia e all’estero.

Volio è invece impegnato nella riduzione del proprio impatto ambientale ed è certificato Carbon Free dal 2019. La partnership prende il via in un anno particolarmente importante per il gruppo di Forlì, forte di una chiusura di bilancio in positivo e di performance economiche trainate anche dall’export. Un ambito in cui Caviro ha rafforzato le proprie quote.

«Abbiamo trovato in Volio il partner ideale per realizzare questo ambizioso progetto – commenta Massimo D’Isep, Direttore Export Caviro – grazie alla sua esperienza, competenza e passione nei vini italiani e alla profonda conoscenza dei consumatori americani. Il nostro obiettivo è di incrementare la presenza di Caviro negli Usa focalizzandoci sui nostri brands principali.

L’INTERVISTA. D’ISEP: «NEGLI USA CON I NOSTRI VALORI»

Dottor D’Isep, quali sono i risultati dell’analisi di mercato condotta da Caviro negli Usa? In particolare, qual è la situazione attuale dello scaffale, sul fronte dei vini in brik?

La partnership con Volio nasce da un’analisi di mercato e dalla voglia di essere presenti in tutti gli stati con i nostri prodotti e marchi principali, cercando non solo di far crescere le vendite, ma anche riposizionando il nostro marchio con un partner giovane, dinamico e che ha condiviso fin da subito il nostro ambizioso progetto.

Oggi negli Usa vendiamo principalmente bottiglie ma il brik/Bib, anche per dna aziendale, deve essere un focus su cui lavorare in futuro. Le varietà più vendute sono nell’ordine: Pinot Grigio, Cabernet, Chardonnay, Merlot, Moscato, il resto dei vitigni rimane marginale.

Quanto costerà il Tavernello in brik e in bottiglia e in quali catene ed insegne Usa sarà distribuito? Previsioni di vendita e di fatturato?

Da una ricerca effettuata in collaborazione con WineSearcher, il prezzo medio a scaffale per brik 500 ml si attesta tra i $ 3.99 ed i $ 5.99. Ma dal momento che $ 4.99 rappresenta più del 60% del totale, Tavernello sarà posizionato tra $ 4.99 e $ 5.99, a seconda del vino e della linea di riferimento. Le catene di riferimento sono in genere player con presenza nazionale, tra i quali Costco, Target, H-E-B, Trader’s Joe, ABC Stores.

Quali saranno le strategie di comunicazione che intraprenderete per entrare nelle case degli americani con Tavernello in brik e in bottiglia?

Cercheremo di comunicare al cliente finale il nostro progetto di sostenibilità e di filiera controllata e trasparente. Il consumatore pretende sempre più trasparenza e chiarezza sui metodi di produzione e provenienza del vino.

È importante fare in modo che queste informazioni siano di facile reperibilità e a portata di click. Inutile aggiungere che il digitale rappresenta un mezzo indispensabile per veicolare i contenuti di un’azienda come la nostra.

Al contempo, la sostenibilità legata ad un vino/brand ha assunto un ruolo chiave: non basta più parlare del prodotto in sé ma occorre raccontare la filosofia e i valori correlati e collegati al prodotto stesso.

L’etichettatura del brik, secondo la regolamentazione americana, dovrà contenere informazioni particolari o aggiuntive sul processo di produzione, rispetto all’Italia?

Per prodotti “Conventional” deve contenere informazioni aggiuntive relative alla catena di importazione ed alcune diciture specifiche in merito ai “Government Warnings”, ma non informazioni sul processo di produzione, che invece non differisce dagli standard Italiani ed Europei.

Per quanto riguarda invece i prodotti “Organic” la legislazione è completamente diversa. Si richiede una certificazioni specifica dal punto di vista produttivo (divieto totale di utilizzo di solforosa) ed informazioni particolari da riportare in etichetta/brik.

Su quali Denominazioni italiane siete pronti a scommettere, in particolare, negli Usa?

Per quanto riguarda le denominazioni non c’è dubbio che il mercato sia sempre legato al Pinot Grigio piuttosto che al Prosecco- Ma da parte nostra ci dedicheremo come sempre alla crescita dei vini provenienti dalla nostra base sociale, che è presente nella maggior parte delle regioni più vocate alla produzione del vino in Italia.

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Contenzioso Airbus Boeing, Usa sospendono dazi all’Europa: esulta il settore del vino

Via i dazi Usa sul vino europeo per 4 mesi. Le aziende vinicole dell’Ue plaudono all’annuncio della portavoce dell’Ustr, l’Ufficio del Commercio americano, Katherine Tai. La sospensione delle tariffs relative al contenzioso Airbus Boeing sono una boccata d’ossigeno per il settore.

Soddisfatto il CEEV – Comité Européen des Entreprises Vins, che esorta le autorità dell’Ue e degli Stati Uniti a «intensificare gli sforzi e a sfruttare ogni opportunità imminente per risolvere definitivamente questa controversia, che si protrae ormai da troppo tempo». Tradotto, dalla precedente gestione della Casa Bianca, targata Donald Trump.

«Fino a quando ciò non sarà raggiunto – avverte CEEV – il Comitato europeo dei produttori di vino chiede un’estensione sinusoidale della sospensione tariffaria, per fornire agli esportatori, su entrambe le sponde dell’Atlantico, una migliore capacità di previsione degli ordini».

«Ciò è particolarmente importante alla luce dell’avvicinarsi della fine del periodo di sospensione l’11 luglio e dell’ulteriore complicazione della carenza di container, che sta ritardando il commercio su scala globale», conclude Ceev.

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Boeing-Airbus: Stati Uniti e Regno Unito sospendono i dazi per 4 mesi

Dichiarazione congiunta Stati Uniti – Regno Unito per annunciare la sospensione di 4 mesi delle tariffe relative alla controversia sugli aerei civili Boing-Airbus. La decisione, che riguarda anche diversi prodotti del settore agroalimentare, tra cui whisky e formaggi, ha effetto da oggi, 4 marzo 2021.

«Il Regno Unito e gli Stati Uniti stanno intraprendendo una sospensione tariffaria di quattro mesi per alleviare il mercato e compiere un passo coraggioso e congiunto verso la risoluzione delle controversie presso l’Organizzazione mondiale del commercio», recita la nota dell’Ustr.

Il Regno Unito – continua l’ufficio di rappresentanza del Commercio statunitense – ha cessato di applicare dazi in ritorsione alla controversia Boeing dal 1 ° gennaio 2021 per attenuare la questione e creare spazio per una risoluzione negoziata delle controversie Airbus e Boeing.

Gli Stati Uniti sospenderanno ora le tariffs nella controversia Airbus dal 4 marzo 2021 per quattro mesi. Ci sarà così il tempo per concentrarsi sulla negoziazione di una soluzione equilibrata delle controversie e iniziare ad affrontare seriamente le sfide poste dai nuovi operatori del mercato dell’aviazione civile provenienti da economie non di mercato, come la Cina.

«Ciò andrà a vantaggio di un’ampia gamma di industrie su entrambe le sponde dell’Atlantico – conclude l’Ustr – e consentirà negoziati di risoluzione mirati per garantire che le nostre industrie aerospaziali possano finalmente vedere una risoluzione e concentrarsi sul recupero Covid e altri obiettivi condivisi».

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Dazi Usa, conferma a febbraio? Marilena Barbera: «Vino italiano rafforzato»

A due settimane esatte dal carosello di metà febbraio sale la tensione attorno alla revisione dei dazi Usa su vino ed agroalimentare europeo. L’impressione è che l’amministrazione Biden, appena insediatasi e ancora priva di un referente politico all’interno dell’Ufficio per il Commercio degli Stati Uniti, possa decidere di non decidere. Ovvero confermare, per altri 6 mesi, il pacchetto di tariffs ereditato da Donald Trump.

Non solo. Secondo fonti di WineMag.it negli States, l’Ustr potrebbe non aprire il consueto spazio per la ricezione dei commenti pubblici, sin ora utilizzato per raccogliere critiche e proposte di revisione dei dazi.

Per questo l’Us Wine Trade Alliance, l’associazione che riunisce gli operatori del settore vitivinicolo degli States, ha deciso di raccogliere autonomamente le testimonianze, in collaborazione con la Coalizione “Stop Restaurant Tariffs“. Come? Attraverso un modulo Google compilabile entro il 5 febbraio dai professionisti americani del Wine & Food, che sarà recapitato all’Ustr.

«Vorremmo raccogliere brevi testimonianze – spiega il referente dell’Uswta, Ben Aneff – che utilizzeremo per dimostrare i danni causati dalle tariffe aggiuntive. L’obiettivo è mantenere alta la pressione sull’amministrazione».

In un periodo come questo, pieno di turbolenze, questioni come la nostra rischiano di passare in secondo piano a Washington, finendo nel dimenticatoio. Con l’aiuto dei professionisti del settore possiamo assicurarci che l’amministrazione Biden sappia quanto sia urgente la soluzione del problema, aiutandola a provvedere per tempo a una saggia soluzione».

La conferma dei dazi attuali, d’altro canto, potrebbe essere una “buona notizia” per l’Italia. «Per onestà intellettuale – dichiara a WineMag.it la vignaiola siciliana Marilena Barbera, tra le più attente all’evolversi della situazione, sin dallo scorso anno – bisogna ammettere che il vino italiano è l’unico settore che sta uscendo non solo indenne da questa guerra commerciale, ma sostanzialmente rafforzato».

Lo dimostra il fatto che nel 2020 le esportazioni delle nostre etichette hanno superato in valore quelle delle concorrenti francesi – continua – proprio “grazie” ai dazi da cui siamo stati esentati.

Non è bello né corretto gioire delle disgrazie altrui, ma non possiamo non riconoscere che aver schivato quella pericolosa pallottola sta consentendo ai nostri vini di godere di un vantaggio competitivo, provvidenziale in un momento in cui il crollo del mercato interno sta mettendo in seria crisi i bilanci delle aziende vinicole italiane».

Marilena Barbera sottolinea quanto sia «molto probabile che il destino dei dazi sul vino ed altri prodotti alimentari europei non si decida nel carosello di febbraio».

In primis la nomina di Katherine Tai, l’avvocata esperta in diritto commerciale chiamata da Biden a sostituire Robert Lighthizer alla direzione dell’Ustr, non è ancora stata confermata dal Senato: Questo le impedirà, ancora per diversi giorni, di prendere effettivamente servizio e di occuparsi direttamente dell’attuazione della politica presidenziale, in materia di commercio estero.

La seconda ragione riguarda le priorità dichiarate dall’Amministrazione Biden, che in questo momento si concentrano su altri tavoli. Tra questi il rapporto con la Cina, percepito come molto più urgente rispetto alla questione Boeing-Airbus, o l’attuazione del recente accordo commerciale Usmca, sottoscritto con Messico e Canada.

D’altro canto – sottolinea Marilena Barbera – nelle sue dichiarazioni pubbliche Biden ha chiaramente annunciato lo stop immediato alla politica isolazionistica del suo predecessore: la riadesione degli Usa agli Accordi di Parigi ed alla Who vanno chiaramente in questa direzione.

Ma risolvere il problema dei dazi significherà rimettere mano, prioritariamente, al funzionamento dell’Appellate Body, ossia l’organismo “giudicante” della World Trade Organization bloccato proprio da Trump, che ha generato l’escalation che ha portato, come abbiamo visto, all’imposizione dei dazi».

Sempre secondo la vignaiola di Menfi «la questione è molto più complessa di quello che appare a prima vista»: «Probabilmente servirà più tempo di quanto le aziende esportatrici europee e gli importatori americani siano in grado di attendere, soprattutto in un periodo in cui la pandemia da Covid-19 ne ha messo a dura prova la resilienza commerciale».

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Digital tax, Unione italiana vini: «Saggio rinvio del Governo»

Lo stop temporaneo alla Digital tax da parte del Governo è una decisione «tanto saggia quanto importante per il mondo del vino italiano». Parole del segretario generale di Unione italiana vini, Paolo Castelletti, sul rinvio del termine per i versamenti relativi all’imposta sui servizi digitali per il 2020 dal 16 febbraio al 16 marzo 2021 e il rinvio del termine per la presentazione della relativa dichiarazione dal 31 marzo 2021 al 30 aprile 2021.

«Il rischio di vedere, ancora una volta, i prodotti vitivinicoli travolti da una disputa internazionale e da potenziali misure penalizzanti in un momento di estrema indecisione per il contesto economico internazionale era alto», ha aggiunto Castelletti.

La tassa sui servizi digitali (Dst) era destinata ad avere definitivamente i suoi effetti in Italia a partire dal 16 febbraio. Sul tema ha fatto seguito il report del Rappresentante per il Commercio Usa (Ustr) che ha ritenuto discriminatoria l’imposizione italiana nei confronti delle imprese digitali americane, che rappresentano i 2/3 delle aziende da tassare.

Niente dazi Usa su vino italiano, esultano Uiv e Coldiretti. Ora spettro Digital tax

Secondo Unione italiana vini (Uiv), tale impostazione sarebbe stata a forte rischio di azioni ritorsive già arrecate (e poi sospese) ai danni della Francia, anch’essa promotrice della stessa imposta.

Con la tassa sui servizi digitali l’Italia prevede di concretizzare un corrispettivo di circa 700 milioni di euro; il vino italiano, che negli Stati Uniti vende il 30% del proprio export a valore (circa 1,7 miliardi di euro), sarebbe uno dei maggiori indiziati tra i prodotti tricolore a rischio ritorsione.

Secondo l’Osservatorio di Unione italiana vini (base dogane), le importazioni di vini fermi italiani hanno chiuso i primi 11 mesi del 2020 in sostanziale pareggio (-0,1%) sul pari periodo 2019, per un corrispettivo di quasi 1,35 miliardi di dollari.

Un risultato che ha permesso al Belpaese di allungare su Francia (-31,3% a valore), Spagna (-12,3%) e Germania (-33,4%), su cui gravano i dazi aggiuntivi del 25% sui vini disposti dall’Ustr per la vicenda Airbus.

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Dazi Digital Tax, Champagne salvo in “zona Cesarini”. Confagricoltura: «Italia a rischio»

Tra gli ultimi atti dell’amministrazione Trump sarà ricordata la cancellazione dello Champagne dalla lista dei prodotti sottoposti a dazi aggiuntivi, in risposta all’applicazione della Francia della cosiddetta “Digital Tax” che colpisce colossi americani del web come Google, Facebook, Amazon e Apple.

Oltre ai pregiati spumanti, salvi anche altri beni di lusso Made in France. Quello ufficializzato martedì dall’Ustr è in realtà un rinvio delle tariffs che sarebbero dovute entrare in vigore mercoledì 6 gennaio 2021. E l’Italia? Anche Roma è interessata dalla temporanea tregua diplomatica.

Eppure Confagricoltura avverte: «L’indagine avviata dall’Amministrazione Usa nel giugno 2020 sulle disposizioni contenute all’articolo 1, paragrafo 678 della legge italiana n. 160 del 27 dicembre 2019 (Legge di Bilancio 2020) stabilisce che la tassa sui servizi digitali varata dall’Italia è contraria ai principi prevalenti nella tassazione a carattere internazionale e discrimina le imprese degli Stati Uniti d’America».

In attesa di una decisione condivisa in ambito Ocse, è stata disposta una tassa con un’aliquota del 3% sui ricavi dell’anno precedente sulle grandi imprese digitali con un fatturato globale di almeno 750 milioni e incassi on line in Italia di 5,5 milioni di euro.

Digital Tax e nuovo pericolo dazi Usa sul vino italiano, Fivi: “Il Governo deve vigilare”

Per il momento – sottolinea il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti – non è previsto il varo di misure di ritorsione, ma nel comunicato dell’Ufficio del Rappresentante Usa per i negoziati commerciali (Ustr) diffuso il 6 gennaio scorso si precisa che tutte le possibili opzioni restano aperte. Compresa l’imposizione di dazi aggiuntivi sulle esportazioni agroalimentari del nostro Paese».

Sempre secondo Giansanti «vanno assunte tutte le iniziative per evitare un contenzioso diretto tra Italia e Stati Uniti, che andrebbe ad aggiungersi a quelli già in atto a livello europeo. Gli Stati Uniti sono il primo mercato di sbocco fuori dalla Ue per il Made in Italy agroalimentare, con un fatturato annuale che sfiora i 5 miliardi di euro. In particolare, siamo i primi fornitori di vini sul mercato statunitense».

Nel complesso, le esportazioni italiane si attestano attorno a 45,5 miliardi. Da ottobre 2019, nel quadro del contenzioso sugli aiuti pubblici ai gruppi Airbus e Boeing, sono in vigore dazi aggiuntivi Usa su alcuni prodotti agroalimentari esportati dalla Ue.

Per l’Italia i dazi aggiuntivi, pari al 25% del valore, colpiscono formaggi, tra cui Parmigiano Reggiano e Grana Padano, agrumi, salumi e liquori per un controvalore di circa 500 milioni di euro.

«Ci auguriamo che con l’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca possa ripartire la collaborazione tra Stati Uniti e Unione europea per mettere fine ai contenziosi bilaterali e per rilanciare il sistema multilaterale di gestione del commercio internazionale, grazie anche a una profonda riforma del WTO. Le intese commerciali – conclude Giansanti – sono sempre la soluzione migliore rispetto ai dazi e alle misure di ritorsione».

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Nuovi dazi Usa, Confagricoltura: «Cogliamo flessibilità per chiudere contenzioso»

«I prodotti agroalimentari italiani non sono toccati dalla nuova decisione Usa riguardante i dazi importazioni dalla Ue. Tariffe aggiuntive saranno invece applicate su alcuni vini fermi e liquori in arrivo da Francia e Germania». È quanto precisa Confagricoltura in riferimento all’annuncio, da parte dell’Ufficio del Rappresentante per il commercio internazionale (Ustr) dell’ulteriore sviluppo del contenzioso sugli aiuti pubblici ai gruppi Airbus e Boeing.

Secondo l’amministrazione statunitense, l’Unione europea ha scelto un “metodo ingiusto” per calcolare i dazi sull’import dagli USA in vigore dallo scorso novembre per un ammontare di 4 miliardi di dollari in linea con l’autorizzazione accordata a settembre dall’Organizzazione mondiale del commercio (Wto).

In sostanza, sono stati utilizzati i dati commerciali più recenti che hanno risentito delle conseguenze economiche della pandemia. In questo modo, i dazi aggiuntivi UE sono stati applicati su un numero maggiore di prodotti in arrivo dagli Stati Uniti.

Duemila chef e ristoratori scrivono a Biden per rimuovere i dazi sul vino europeo

La Commissione europea si è rifiutata di rivedere il metodo di calcolo. Pertanto gli Usa hanno deciso di rivedere i dazi doganali in vigore, utilizzando gli stessi riferimenti temporali scelti dalla Ue.

«Vanno eliminate le tariffe doganali che incidono sulle nostre esportazioni di formaggi, tra cui Parmigiano Reggiano e Grana Padano, salumi, agrumi e liquori per un controvalore di circa 500 milioni di euro», sottolinea il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti.

La nuova fase politica che sta per partire negli Usa – prosegue – offre anche l’occasione per far ripartire il dialogo bilaterale sul rilancio del sistema multilaterale di gestione del commercio internazionale.

Dalle prime indicazioni programmatiche risulta che il presidente eletto Biden intenda ridare un ruolo centrale al commercio internazionale delle materie prime agricole».

Dall’ottobre 2019 gli Stati Uniti applicano una tariffa aggiuntiva del 25% sulle importazioni agroalimentari dalla UE. Anche a seguito dei dazi aggiuntivi, da gennaio ad agosto di quest’anno le esportazioni della UE hanno fatto registrare un calo di oltre 690 milioni di euro sullo stesso periodo del 2019.

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Duemila chef e ristoratori scrivono a Biden per rimuovere i dazi sul vino europeo

Bruxelles non è sola nella battaglia alle tariffs aggiuntive imposte dagli Stati Uniti, in risposta alla controversia Airbus-Boeing. E gli alleati sono proprio all’ombra della Casa Bianca. Attraverso una lettera inviata al neo presidente Joe Biden, duemila chef e ristoratori di tutti gli Stati americani chiedono al Governo Usa di «eliminare i dazi sul vino europeo».

Si tratta della prima delle azioni della neonata Coalition to Stop Restaurant Tariffs, che si batte non solo per il vino ma tutti i prodotti agroalimentari sottoposti a dazi doganali dall’ormai ex presidente Donald Trump.

A capo della “coalizione” ci sono nomi noti della ristorazione americana come Daniel Boulud, Chris Bianco, Nina Compton, Mark Firth, Andrew Fortgang, Thomas Keller, Cheetie Kumar, Mike Lata, Neal mccarthy, Danny Meyer, Kwame Onwuachi, Steven Satterfield, Chris Shepherd, Alice Waters, nonché Mashama Bailey & Johno Morisano. Una battaglia sostenuta dall’Us Wine Trade Alliance (Uswta).

L’associazione guidata da Benjamin Aneff (nella foto sotto) raccoglie importatori, grossisti, agenti di vendita, ristoranti e produttori di vino americani e ha già ottenuto l’appoggio del Washington Post, che attraverso due editoriali ha esortato il presidente eletto Biden a «rimuovere i dazi sul vino europeo nell’ambito di uno sforzo complessivo volto a portare un rapido sollievo all’industria della ristorazione».

Al contempo, l’Us Wine Trade Alliance lavora già ai “commenti” da sottoporre all’attenzione dell’Ustr all’apertura della discussione delle tariffs di febbraio 2021. Un altro appuntamento fondamentale per migliaia di produttori di vino europei, in cui i dazi potrebbero essere rivisti – al rialzo o al ribasso – eliminati, o confermati senza modifiche.

L’obiettivo dell’Alleanza è fare in modo che il team di Joe Biden faccia il suo ingresso all’agenzia del Commercio degli Stati Uniti (Ustr) accompagnato da un largo movimento di protesta contro le tariffs, sostenuto da più fronti.

Una battaglia contro il tempo, dal momento che l’ufficializzazione della candidatura dell’esponente favorito da Biden e dai Democratici per i vertici dell’Ustr, Katherine Tai, non avverrà in tempo per supervisionare il carosello dei dazi di metà febbraio 2021. Attendere agosto 2021, data successiva per la discussione delle tariffs, sarebbe un azzardo.

Dobbiamo convincere il presidente eletto Biden che lo sgravio tariffario dovrebbe essere una delle principali priorità delle sue prime settimane in carica, e questo non è un compito da poco», ammette Benjamin Aneff per conto dell’United State Wine Trade Alliance».

Dazi Usa sul vino, Coldiretti: “Italia graziata, ora Ue dialoghi con Biden”

Nel frattempo, il 31 dicembre, l’Ustr ha annunciato la revisione dei dazi a carico di Francia e Germania. Nelle modifiche, che vedono ancora una volta graziato il vino italiano, sono incluse le nuove categorie di vini fermi e distillati come il Cognac, provenienti dai due Paesi.

In precedenza venivano calcolate tariffs del 25% sui vini fermi non oltre i 14% di alcol in volume e con formati non superiori ai 2 litri, provenienti da Francia, Germania, Spagna e Regno Unito.

Nell’elenco sono stati inclusi anche i vini fermi di Francia e Germania con una percentuale di alcol superiore ai 14% in volume, oltre a quelli di imbottigliati in contenitori superiori ai 2 litri.

Tra i codici doganali inseriti anche quello che riguarda il “vino frizzante” – dunque non lo spumante – non particolarmente in voga nelle importazioni Usa dall’Ue. I vini provenienti dalla Spagna o dal Regno Unito con una percentuale di alcol superiore al 14% o di dimensioni superiori a 2 litri rimangono esenti da dazi. Lo stesso vale per gli sparkling, compreso lo Champagne.

«Questa non è la notizia che volevamo sentire – commenta Benjamin Aneff – ma sottolinea la necessità per l’amministrazione di Joe Biden di apportare modifiche alle politiche tariffarie ricevute in eredità dal suo predecessore, in particolare quelle che arrecano danni sproporzionati alle imprese statunitensi, in questo momento di crisi».

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Dazi Usa sul vino, Coldiretti: “Italia graziata, ora Ue dialoghi con Biden”

“Con l’elezione del nuovo presidente Usa Biden occorre avviare un dialogo costruttivo ed evitare uno scontro dagli scenari inediti e preoccupanti, che rischia di determinare un pericoloso effetto valanga sull’economia e sulle relazioni tra Paesi alleati, in un momento drammatico per gli effetti della pandemia”.

Lo afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini sui nuovi dazi Usa nei confronti di Francia Germania, che entreranno in vigore dal 12 gennaio 2021. Nella lista, oltre componenti degli aeromobili, anche vino e cognac.

“Gli Stati Uniti – aggiunge Prandini – sono il primo mercato extraeuropeo per i prodotti agroalimentari tricolori per un valore che nel 2019 è risultato pari a 4,7 miliardi, con un ulteriore aumento del 2,8% nei primi nove mesi del 2020″.

Airbus-Boeing, 52 giorni in più di dazi Usa su vino e cognac di Francia e Germania

L’Italia è il principale esportatore di vino negli Stati Uniti, per un valore di oltre 1,5 miliardi di euro nel 2019, in leggero calo del 5% quest’anno per effetto della pandemia Covid-19, secondo l’analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi ai primi nove mesi dell’anno.

L’annuncio delle nuove tariffs a carico dei prodotti di Francia e Germania avviene proprio in occasione dell’accordo tra Ue e Cina sugli investimenti. Un patto non gradito agli Usa, che ha visto protagonisti i leader dei due Paesi europei, Angela Merkel e Emmanuel Macron.

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Airbus-Boeing, 52 giorni in più di dazi Usa su vino e cognac di Francia e Germania

Cinquantadue giorni in più di dazi su vino e cognac di Francia e Germania. Così gli Usa hanno deciso di modificare nuovamente le tariffs sui prodotti Ue, nell’ambito della controversia sugli aeromobili civili di grandi dimensioni Airbus-Boeing. Ancora una volta esclusa l’Italia, che tira un sospiro di sollievo specie nel comparto agroalimentare.

La lista esatta dei prodotti soggetti a dazi aggiuntivi sarà diffusa a gennaio 2021 dall’Ufficio esecutivo dell’United States Trade Representative (Ustr). Oltre a vini e distillati, saranno incluse parti di fabbricazione di aeromobili dei due Paesi dell’Unione europea.

Quello odierno è solo l’ultimo adeguamento degli Usa su alcuni prodotti importati dall’Ue, dopo l’autorizzazione del Wto a imporre dazi per circa 7,5 miliardi di dollari, nell’ottobre 2019.

Gli Stati Uniti ritengono di aver “implementato le proprie contromisure in modo moderato, utilizzando i dati commerciali dell’anno solare precedente per determinare la quantità di prodotti da colpire”.

Nel settembre 2020, l’Ue è stata a sua volta autorizzata dalla World Trade Organization, l’Organizzazione mondiale del Commercio, a imporre tariffs per 4 miliardi di dollari nei confronti dei prodotti importati dagli Stati Uniti.

“Nell’attuazione delle sue tariffe, tuttavia – denuncia l’Ustr – l’Ue ha utilizzato dati commerciali di un periodo in cui i volumi degli scambi erano stati drasticamente ridotti a causa degli orribili effetti sull’economia globale del virus Covid-19”.

Il risultato di questa scelta è stato che l’Europa ha imposto tariffe su molti più prodotti di quelli che sarebbero stati coperti se avesse utilizzato un periodo ‘normale’. Sebbene gli Stati Uniti abbiano spiegato all’Ue l’effetto distorsivo del periodo di tempo selezionato, l’Ue ha rifiutato di modificare il proprio approccio“.

Di conseguenza, “per mantenere le due azioni proporzionate tra loro”, gli Usa sono costretti a cambiare il proprio periodo di riferimento, adottando lo stesso utilizzato dall’Unione Europea.

“Tuttavia, per non aggravare la situazione – sottolinea l’United States Trade Representative – gli Stati Uniti stanno adeguando la copertura del prodotto a un importo inferiore rispetto al totale che sarebbe giustificato utilizzando il periodo di tempo scelto dall’Ue”.

Sempre secondo gli Stati Uniti, l’Unione europea avrebbe “fatto una scelta che ha ingiustamente aumentato la quantità di ritorsioni, escludendo peraltro dal calcolo il commercio nel Regno Unito e aumentando così ingiustamente le ritorsioni per i 52 giorni in cui il Regno Unito è rimasto all’interno dell’Ue a fini tariffari per effetto della Brexit“. “L’Ue – avvertono gli Usa – deve prendere alcune misure per compensare questa ingiustizia“.

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Esteri - News & Wine news news ed eventi

Vino, importatori Usa col fiato sospeso per il Fair Tariff Act sugli ordini pre-dazi

Giorni di tensione per gli importatori di vino negli Usa. L’intero settore è col fiato sospeso per il pronunciamento della Casa Bianca sul Fair Tariff Act, atteso entro la fine della prossima settimana.

La leadership della Camera ha infatti ripreso il disegno di legge che garantirebbe rimborsi parziali delle tariffs aggiuntive sui vini europei acquistati prima dell’entrata in vigore delle misure Airbus-Boeing di Trump, nell’ottobre 2019, ma arrivati negli Stati Uniti a misure ormai approvate.

Grazie al Fair Tariff Act, gli importatori godrebbero di uno “sconto” sui dazi applicati su tutte le merci “on water“, ovvero in viaggio transoceanico sui container provenienti dall’Europa, nel periodo che intercorre tra l’ordine e l’entrata in vigore del provvedimento.

All’annuncio di possibili dazi, molti importatori di vino hanno infatti tentato di aggirare le ritorsioni dell’ormai ex governo americano attraverso cospicui approvvigionamenti. Un’azione che ha avuto ripercussioni sull’export dei vini europei negli Usa, tra cui quello italiano. Un po’ come successo nel Regno Unito, prima della Brexit.

Con il Fair Tariff Act inserito all’interno dei negoziati “Four Corners”, nell’ambito delle misure da approvare dalla Casa Bianca entro fine anno, gli importatori di vino Usa sperano di recuperare un po’ del terreno perduto in termini di operatività sul mercato internazionale.

Non mancano però le resistenze interne. L’ostacolo più ingombrante all’approvazione dell’Act risponde al nome di Charles Ernest “Chuck” Grassley, 87enne senatore dell’Iowa dal 1981, presidente della Commissione Finanze del Senato.

Le associazioni di rappresentanza degli imprenditori, proprio in queste ore decisive che precedono il pronunciamento sul Fair Tariff Act, stanno cercando di fare pressione sui repubblicani, al fine di “incoraggiare” il senatore Grassley a includere il disegno di legge nella discussione.

Secondo fonti di WineMag.it, sarebbero centinaia le email che starebbero giungendo in queste ore ai membri del Senato e della Camera, tra i quali anche alcuni esponenti chiave dei democratici.

La richiesta è concisa: “Sostegno al Fair Tariff Act, la cui approvazione costituirebbe un ristoro determinante per molte aziende in difficoltà per i dazi; pressione sul presidente Grassley e sul suo staff, al fine di includere il disegno di legge tra le misure da approvare entro fine anno”. La partita è aperta, da una parte all’altra dell’Atlantico.

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Joe Biden e i dazi Usa (di Trump) su vino e agroalimentare: l’Italia non è (ancora) salva

La ‘cacciata’ di Trump dalla Casa Bianca non scioglie le incognite sui dazi sul vino e sull’agroalimentare Made in Italy. A sottolinearlo non è solo la Coldiretti. Nel commentare la vittoria del Democratic Party di Joe Biden, anche Michele Geraci, ex sottosegretario allo Sviluppo economico del Governo Conte, Professor of Practice in Economic Policy alla Nottingham University a Ningbo nonché Adjunct Professor alla New York University a Shanghai, invita alla cautela. Un parere autorevole, da testimone diretto delle dinamiche di Asia e Atlantico.

È utile ricordare che una minor pressione sulla Cina, costretta da Trump ad acquistare di più Made in Usa, avrebbe spostato acquisti da parte della Cina dall’America. D’altro lato, però, è probabile che Biden spinga per un approccio sempre più liberista nel commercio, favorendo de-facto i paesi agili, con leggi sul lavoro flessibili, modello anglo-sassone”.

In questo senso, sempre secondo Geraci (nella foto, sotto), “i paesi in ritardo a livello tecnologico o con ancora il mito del ‘lavoro fisso’, come l’Italia, saranno penalizzati se non si adotteranno a livello politico le necessarie contromisure”.

Per questo, ammonisce ancora l’ex sottosegretario, “l’Italia deve quindi essere più proattiva in Commissione Europea dove si decidono le politiche commerciali come dazi e Trattai di libero scambio”.

Deve quindi sviluppare analisi di impatto fattuali, dettagliate e basate sui numeri e non su ideologie. Un approccio che avevo introdotto al MiSE, ma che ora sembra, purtroppo per il nostro Paesi, sia stato abbandonato dal responsabile al governo per le politiche commerciali”.

L’elezione del nuovo presidente Usa arriva di fatto a poco più di un anno dall’’entrata in vigore di tariffs aggiuntive del 25% su una lunga lista di prodotti importati dall’Italia e dall’unione Europea, per iniziativa di Donald Trump.

Era il il 18 ottobre 2019 e il Tycoon reagiva così nell’ambito della disputa nel settore aereonautico che coinvolge l’americana Boeing e l’europea Airbus, in seguito all’autorizzazione all’Ue ad applicare dazi, varata dal Wto. Morbida, al momento, la posizione di Ettore Prandini.

Ci sono le condizioni per superare i dazi aggiuntivi Usa che colpiscono le esportazioni agroalimentari Made in Italy – per un valore di circa mezzo miliardo di euro su prodotti come Grana Padano, Gorgonzola, Asiago, Fontina, Provolone ma anche salami, mortadelle, crostacei, molluschi agrumi, succhi e liquori come amari e limoncello”, è quanto affermato dal presidente della Coldiretti in riferimento all’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti Joe Biden.

“Occorre ora avviare un dialogo costruttivo ed evitare uno scontro dagli scenari inediti e preoccupanti – ammonisce Prandini – che rischia di determinare un pericoloso effetto valanga sull’economia e sulle relazioni tra Paesi alleati in un momento drammatico per gli effetti della pandemia”.

“Gli Stati Uniti sono il primo mercato extraeuropeo per i prodotti agroalimentari tricolori per un valore che nel 2019 è risultato pari a 4,7 miliardi, con un ulteriore aumento del 3,8% nei primi otto mesi del 2020″, conclude Prandini.

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Favori sessuali alla Court of Master Sommeliers Americas: la denuncia di 21 donne

Scandalo internazionale nella Court of Master Sommeliers Americas, dopo la denuncia di 21 donne che sostengono di aver ricevuto richieste di favori sessuali per entrare nella prestigiosa realtà della sommellerie. È quanto riporta il New York Times, che calca la mano: il “Board” era a conoscenza di tali soprusi, ma ha taciuto.

Secondo alcune ricostruzioni, potrebbe trattarsi degli strascichi di un altro scandalo, che ha investito l’associazione nel 2018. La Corte dei Master Sommeliers ha infatti revocato il titolo di MS a 23 dei 24 candidati. Un supervisore dell’esame aveva infatti fornito informazioni sui vini utilizzati nell’esame, degustati “alla cieca”.

In particolare, le 21 donne aspiranti sommelier sarebbero state vittime delle attenzioni di Fred Dame e Geoff Kruth. Due figure di primissimo piano dell’associazione. Dame è fondatore della Court of Master Sommeliers, nonché il primo “master sommelier” americano.

Geoff Kruth, che non a caso ha rassegnato le proprie dimissioni dalla Corte dei Sommelier la scorsa settimana, è uno dei docenti più in vista dell’associazione. Fred Dame è entrato nell’elite della sommellerie americana nel 1984, mentre Kruth nel 2008.

Il titolo di “master sommelier” è riconosciuto a livello internazionale. Solo 155 iscritti hanno superato la dura trafila di esami in America. Tra questi, 24 sono donne. Ed è una storia ricca di capitoli quella della “Corte”.

Il primo esame di Master Sommelier si è tenuto nel Regno Unito nel 1969. La “Court of Master Sommeliers” si è poi allargata al resto d’Europa e in America. Grazie alla supervisione della Vintners Company, sono stati creati, nell’ordine, The Institute of Masters of Wine, The British Hotels & Restaurants Association, The Wine & Spirit Association of Great Britain e The Wholesale Tobacco Trade Association.

Nel 1984, Fred Dame è stato il primo sommelier a superare contemporaneamente tutte e tre le parti dell’esame di Master Sommelier, aggiudicandosi la Krug Cup. Nel 1986 si sono tenuti i primi esami di Master Sommelier negli Stati Uniti. La sezione americana del Cms è stata istituita con il nome di “Court of Master Sommeliers Americas” ed è responsabile anche degli esami e dei seminari in Canada.

Donne del vino e aspiranti sommelier: se il docente (o il capo) è un porco, denunciate

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Valentina vende meno vino “per colpa degli invidiosi”, mica di papà caporale presunto

EDITORIALE – Valentina Passalacqua vende meno vino “per colpa di concorrenti e invidiosi“, mica per la maxi inchiesta sul caporalato che ha coinvolto suo papà Settimio nel Gargano, in Puglia. È quanto di più scioccante si legge nell’intervista di Repubblica dal titolo: «Valentina Passalacqua: ‘Adesso parlo io: diffamata da concorrenti e invidiosi’».

Qualcosa di più simile a un “redazionale” commissionato dai legali della vignaiola pugliese a scopo “redentivo”, che a un articolo degno di un quotidiano nazionale. Del resto, la pubblicazione è utile a capire meglio perché la vignaiola si sia nascosta sino ad oggi dietro ai social, evitando di rispondere a WineMag.it che la cerca sin dalle prime ore dallo scoppio dell’uragano sulle 5 aziende famigliari, a inizio luglio 2020.

Se le responsabilità del padre dovranno essere chiarite dagli inquirenti nelle sedi più opportune, l’intervista di Repubblica consente insindacabilmente alla “Diva” del vino naturale pugliese Valentina Passalacqua di sciorinare sentenze inappellabili. Ovvero senza contraddittorio.

Giudizi camaleontici, tutti utili alla causa innocentista. Da un lato la lagna sulla decisione degli importatori americani di smettere di distribuire i suoi vini negli Usa (nell’ordine Zev Rovine Selections, Jenny & François SelectionsDry Farm Wines) giustificata dagli “attacchi social” e non da una reazione etica e deontologica all’inchiesta in corso:

L’eco mediatica, alimentata sia in Italia che in America da una campagna diffamatoria sui social, ha convinto alcuni importatori a sospendere le importazioni, in attesa di chiarire i collegamenti tra la mia azienda e quella di mio padre Settimio Passalacqua, accusato di caporalato a luglio di quest’anno”, commenta Valentina a Repubblica.

Dall’altro, la minaccia nemmeno troppo velata a chi intende ancora occuparsi del “caso”, facendo sapere (sempre grazie a Repubblica) che qualcuno è già stato querelato per aver “sporcato la nostra immagine in un momento per noi fortunato”: “Adesso stiamo affrontando chi ci attacca con fermezza, tramite i nostri legali”.

Sono stata accusata da Glou Glou Magazine, rivista della società di importazione Super Glou LLC, attraverso un articolo pubblicato sul loro sito web. Il movente economico dietro la campagna mediatica diffamatoria da loro promossa è evidente: tentano di sbarazzarsi di un concorrente. Fa notizia e fa comodo, soprattutto ai nostri competitor, una produttrice di vini naturali che sfrutta i dipendenti”.

Frasi che Repubblica non verifica e riporta alla lettera, senza porre ulteriori domande. “L’affermazione che Glou Glou Magazine fosse motivata da un conflitto di interessi da parte della sua consociata Super Glou – spiega a WineMag.it la fondatrice del Magazine americano, Jennifer Green – è palesemente assurda”.

Super Glou è microscopico rispetto a tutti i maggiori importatori di Valentina Passalacqua nel mercato americano (Zev Rovine Selections, Jenny & François, Dry Farm Wines), con solo quattordici produttori e appena due anni di attività alle spalle”.

“Motivato dalla dichiarazione di Zev Rovine del 24 luglio – continua Green – Glou Glou Magazine ha iniziato a scrivere sul caso, il 26 luglio. Zev Rovine Selections, Jenny & François, Dry Farm Wines e tutti gli importatori e distributori internazionali di Valentina Passalacqua operano indipendentemente da Glou Glou / Super Glou. Sono liberi di esprimere i propri giudizi”.

“Invece di cercare di mettere a tacere i media con la paura e le tattiche intimidatorie simili a quelle di Trump, Valentina Passalacqua dovrebbe concentrarsi su un proprio percorso etico”, conclude la fondatrice di Glou Glou Magazine, nella sua intervista rilasciata a WineMag.it.

Ma Repubblica presta il fianco anche su un altro fronte: “Il primo articolo di Glou Glou Magazine è coinciso con la perdita di mia madre e non avevo la lucidità per combattere tutto questo”, racconta la vignaiola al quotidiano.

Come confermato dal post Facebook della sorella di Valentina Passalacqua, Giuliana Passalacqua, la scomparsa di Grana Grazia in Passalacqua, moglie di Settimio, è avvenuta il 3 agosto a San Nicandro Garganico, in provincia di Foggia. L’articolo (o meglio il posti su Instagram) di Glou Glou Magazine è uscito il 26 luglio: ben 9 giorni prima.

Non basta. Nel “monologo repubblicano”, Passalacqua si affida a un leitmotiv ormai abusato nel mondo del vino italiano: quello della donna che deve a tutti i costi sgomitare per farsi largo tra gli uomini, usurpatori in lungo e in largo, senza se e senza ma, della femminea meritocrazia:

Si è supposto che mio padre fosse anche l’amministratore di fatto della mia società: per molti è difficile pensare che una donna possa gestire una realtà imprenditoriale di successo, soprattutto qui nel profondo sud”.

L’affermazione di Passalacqua, più che a “concorrenti e invidiosi”, pare rivolta in questo caso agli inquirenti, accusati di maschilismo e sessismo per aver inserito tra le società colpite dall’indagine sul caporalato anche la “Valentina Passalacqua Srl”, che di fatto è intestata alla sola figlia di Settimio.

A smentirla ci sarebbe pure un video di La7 del 2015 in cui la vignaiola, che all’epoca preferiva forse farsi chiamare “imprenditrice agricola”, presenta le aziende di famiglia districandosi abilmente tra centinaia di ettari di uve, ortaggi e seminativi (vedi sopra, dal minuto 5.36).

Potrebbe allora essere vero anche il contrario, ovvero che il padre abbia usato Valentina e il suo “buon nome” per curare i propri affari, facendosi “scudo” con una donna? Ipotesi infondata e superficiale, al momento, almeno quanto il j’accuse della produttrice nei confronti delle forze dell’ordine e del Tribunale foggiano.

Non sorprende, a questo punto, vedere i vini di Valentina Passalacqua al supermercato, per l’esattezza alla Coop. Forse un modo, per la produttrice che vanta un “approccio biodinamico-olistico alla viticoltura”, per mostrare la propria formula di “imprenditoria femminile all’avanguardia nel territorio”. Oppure la via più breve per raggiungere l’obiettivo di “democratizzazione del vino naturale“, altro concetto repubblicano espresso appunto su Repubblica.

Domanda: saranno contenti di ciò il distributore italiano Les Caves de Pyrene, che continua a mantenere viva la collaborazione con l’azienda pugliese, o VinNatur, l’associazione fondata da Angiolino Maule a Gambellara, in Veneto, che raccoglie 131 vignaioli naturali con una media di 9 ettari di proprietà, tra cui proprio Passalacqua (che ne ha 80 di ettari)? Ai posteri l’ardua sentenza. Del resto, tra compagni, giusto darsi una mano. Se serve, pure due.

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Trump dimezza alcuni dazi Usa sull’Europa: intatte le tariffs sull’agroalimentare

Gli Usa ridurranno del 50% i dazi su alcuni prodotti esportati dall’Ue, tra cui non figura l’agroalimentare italiano, per un valore commerciale medio annuo di 160 milioni di dollari. Il provvedimento riguarda alcuni alimenti pronti confezionati (prepared meals) oggettistica di vetro e cristallo, vernici e prodotti del ramo dell’edilizia e delle costruzioni, polveri propellenti e accendini.

Le riduzioni tariffarie statunitensi saranno effettuate su base Npf (Most Favored Nation) e retroattive a partire dal 1° agosto 2020. Si tratta delle prime riduzioni dei dazi negoziate tra Stati Uniti e UE in più di due decenni.

Merito dell’accordo annunciato oggi dal rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti (Ustr) Robert Lighthizer con il commissario per il commercio dell’Unione europea Phil Hogan.

Anche l’Europa dovrà fare la sua parte, avendo firmato un “pacchetto di riduzioni tariffarie che aumenterà l’accesso al mercato per centinaia di milioni di dollari nelle esportazioni statunitensi e dell’Ue”.

L’Ue eliminerà i dazi sulle importazioni di aragoste vive e congelate statunitensi. Le esportazioni statunitensi di questi prodotti nell’Ue hanno superato i 111 milioni di dollari nel 2017. L’Ue eliminerà questi dazi su base Npf, anche questa volta con effetto retroattivo, a partire dal 1° agosto 2020.

I dazi dell’UE saranno eliminati per un periodo di cinque anni e la Commissione Europea “avvierà tempestivamente procedure volte a rendere permanenti le modifiche tariffarie”.

“Come parte del miglioramento delle relazioni Ue-Usa – hanno affermato l’Ambasciatore Lighthizer e il Commissario Hogan – questo accordo reciprocamente vantaggioso porterà risultati positivi alle economie sia degli Stati Uniti che dell’Unione Europea. Intendiamo che questo pacchetto di riduzioni tariffarie sia solo l’inizio di un processo che porterà ad accordi aggiuntivi che creeranno un commercio transatlantico più libero, equo e reciproco”.

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Dazi Usa scampati, Bellanova: “Ottima notizia per Italia, basta guerre commerciali”

“Adesso più che mai non è tempo di guerre commerciali“. Così la ministra Teresa Bellanova commenta la decisione dell’Ustr (United States Trade Representative) di non aggiungere dazi ai prodotti italiani, tra cui il vino, nell’ambito della revisione semestrale delle misure adottate inattuazione della sentenza dell’Organizzazione mondiale del Commercio (Wto). Il Mipaaf è ora al lavoro “su misure di sostegno all’export“.

Un’ottima notizia per le nostre filiere agroalimentari – continua Bellanova – soprattutto quelle che negli anni sono state capaci di conquistare quote di mercato sempre più rilevanti nell’export verso gli Usa. La dimostrazione evidente che quando a muoversi è, all’unisono, un intero sistema-Paese, politica e diplomazia, i risultati arrivano, come già era accaduto nei mesi scorsi”.

“Ancora una volta abbiamo scongiurato il rischio di danni irreparabili per le nostre eccellenze agroalimentari e una filiera che la pandemia ha messo duramente a prova. Adesso più che mai nonè tempo di guerre commerciali”, evidenzia Bellanova.

“Già nel gennaio scorso – ricorda la ministra – nell’incontro con il Segretario all’Agricoltura Usa Sonny Perdue avevo sollecitato con forza che l’agroalimentare italiano fosse considerato estraneo, come di fatto è, alla vicenda Airbus e avevo registrato condivisione e disponibilità”.

“L’azione messa in campo a partire dalla Farnesina e che abbiamo esercitato anche nell’interlocuzione diretta con l’Europa conferma la necessità di agire in modo coeso e concertato.

Ed è una lezione che dovremo far valere per convincere l’Amministrazione Usa a rivedere le decisioni ingiustificate e penalizzanti verso alcune delle nostre eccellenze, e che nei prossimi mesi sarà fondamentale proprio nel programma di sostegno all’export su cui stiamo già lavorando”.

Un programma che vedrà impegnata l’Italia anche negli Usa, nella difesa dei propri prodotti e della loro qualità e unicità: “Alle guerre commerciali è preferibile, di gran lunga, la competizione virtuosa, che fa meglio in tutti i sensi e soprattutto parla direttamente ai consumatori, chiamandoli a scegliere la qualità”.

“Continueremo a sostenere e incoraggiare il Commissario Ue al commercio Hogan a compiere ogni sforzo negoziale per la ricerca di una soluzione che garantisca benefici reciproci”, conclude la ministra Teresa Bellanova.

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Approfondimenti

Vino italiano fuori dai dazi Usa di Trump: esultano Chianti e Brunello di Montalcino

Il vino toscano, simbolo del Made in italy enologico, esulta con i Consorzi di rappresentanza dei produttori di Chianti e Brunello di Montalcino. Il motivo? Il vino italiano, comprese di fatto le due importanti denominazioni toscane, si è salvato dall’ultima revisione dei prodotti Ue sottoposti ai dazi Usa di Donald Trump.

Una decisione, quella di non inserire il vino italiano tra le eccellenze europee sottoposte a tariffs supplementari – in ritorsione all’affaire Airbus – che l’Ustr ha assunto ieri a Washington, come evidenziato nella notte da WineMag.it.

“Il vino italiano che si salva dal nuovo round dei dazi aggiuntivi Usa è certamente una gran bella notizia per tutto il Belpaese enologico – sottolinea il Consorzio del vino Brunello di Montalcino con il presidente Fabrizio Bindocci – in particolare per Montalcino”.

Gli Stati Uniti non sono solo il principale mercato di sbocco al mondo per il Brunello con un’incidenza del 30% sulle esportazioni globali, ma anche uno dei simboli del Made in Italy oltreoceano”.

“Come Consorzio – ha aggiunto Bindocci – esprimiamo apprezzamento per il ruolo svolto dalla nostra diplomazia, dal Governo e dalle organizzazioni di settore per il risultato raggiunto. Un punto di ripartenza che mai come ora dovrà essere sostenuto con un’azione forte di promozione e presenza del nostro vino nel suo principale sbocco naturale“.

Sono infatti previsti incrementi solo per alcune categorie di merci provenienti da Francia e Germania, che compensano le riduzioni di tariffe applicate a Grecia e Gran Bretagna. L’ammontare dei dazi resta fissato a 7,5 miliardi di dollari.

“E’ un’ottima notizia – fa eco Giovanni Busi, presidente del Consorzio Vino Chianti – visto che il mercato statunitense per noi è il primo mercato di esportazione. In un momento come questo non avere aumenti di costi da parte degli importatori per noi è un’ottima cosa, che ci permette di riprendere l’attività commerciale per farla tornare ai livelli pre-Covid”.

Abbiamo tutte le possibilità per poter ripartire, nel momento in cui l’America riapre i mercati al 100%. Gli Usa hanno continuato ad acquistare: ci è mancato un po’ il canale Horeca, ma il Chianti è un vino molto presente nella grande distribuzione americana, per cui non ci sono state grandi flessioni”.

Secondo le elaborazioni su base dogane dell’Osservatorio del Vino di Uiv, gli Stati Uniti rappresentano il primo buyer di vino al mondo e l’Italia è il primo Paese fornitore. Il mercato Usa assorbe una quota vicina al 20% della produzione complessiva di Vino Chianti, per un valore stimato intorno ai 100 milioni di euro.

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Niente dazi Usa su vino italiano, esultano Uiv e Coldiretti. Ora spettro Digital tax

Unione italiana vini e Coldiretti accolgono con entusiasmo la decisione degli Usa di non imporre dazi sul vino italiano, comunicata ieri dall’Ustr. “Ancora una volta – commenta il presidente Uiv, Ernesto Abbona – l’Italia del vino rimane fuori dalla disputa commerciale Airbus. Nell’esprimere soddisfazione e gratitudine per quanto fatto in Italia e negli Usa a vari livelli dal settore, dall’indotto e dalle istituzioni, riteniamo questo un successo della diplomazia, fondamentale ma purtroppo non definitivo, in un mercato che vale circa un quarto delle nostre esportazioni di vino nel mondo”.

Un pericolo scampato che non fa dormire comunque sereni. “L’Unione Europea – evidenzia il presidente Coldiretti, Ettore Prandini – ha appoggiato gli Stati Uniti per le sanzioni alla Russia che, come ritorsione, proprio all’inizio di agosto di sei anni fa, ha posto l’embargo totale su molti prodotti agroalimentari, come i formaggi, che è costato al Made in Italy 1,2 miliardi. Ora è paradossale che l’Italia si ritrovi nel mirino proprio dello storico alleato, con pesanti ipoteche sul nostro export negli Usa”.

 

Al danno peraltro si aggiunge la beffa poiché il nostro Paese si ritrova ad essere punito dai dazi Usa che non riguardano il vino, ma prodotti come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Gorgonzola, Asiago, Fontina, Provolone ma anche salami, mortadelle, crostacei, molluschi agrumi, succhi e liquori come amari e limoncello, nonostante la disputa tra Boeing e Airbus, causa scatenante della guerra commerciale, sia essenzialmente un progetto francotedesco al quale si sono aggiunti Spagna ed Gran Bretagna”.

Soddisfatto anche Ivan Scalfarotto, Deputato di Italia Viva e Sottosegretario di Stato al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale: “Revisione semestrale dei dazi Airbus da parte degli Usa senza alcuna tariffa aggiuntiva sui prodotti italiani. Una decisione che premia il lavoro di Farnesina e Ambasciata a Washington a favore delle nostra economia e delle nostre imprese”, ha twittato.

La disputa, però, è ancora lunga. “Ora – precisa ancora Ernesto Abbona – confidiamo che l’azione politico-diplomatica combinata che ha visto protagonisti, tra gli altri, il sottosegretario agli Esteri, Ivan Scalfarotto, e l’Ambasciatore italiano a Washington, Armando Varricchio, e oltre 27 mila commenti anti-dazi pervenuti dai Paesi interessati agli uffici del Commercio americano, si concentri sull’indagine Usa relativa alla cosiddetta digital tax approvata l’anno scorso dal Governo italiano”.

L’obiettivo è scongiurare ancora una volta una ritorsione commerciale che si rivelerebbe perdente per l’Italia, l’Europa e gli Stati Uniti. “Per questo – ha concluso il presidente Uiv – servirà intensificare il dialogo incoraggiando, anche in sede europea e internazionale, un percorso di cooperazione con gli Stati Uniti sui due fronti aperti. Dobbiamo assolutamente evitare che il vino possa divenire nuovamente bersaglio di dispute alle quali è completamente estraneo”.

Secondo le elaborazioni su base dogane dell’Osservatorio del Vino di Uiv, gli Stati Uniti rappresentano il primo buyer di vino al mondo e l’Italia è tornata a essere il primo Paese fornitore, con un valore delle vendite nel primo semestre di quest’anno fissato a quasi 1 miliardo di dollari, in crescita sia a volume (+2,9%) che a valore (+1,8%) sul pari periodo 2019.

La Francia, colpita dai dazi aggiuntivi e principale competitor oltreoceano, nello stesso periodo ha registrato una perdita a valore del 25,3%; anche la Spagna ha pagato dazio alle ritorsioni commerciali accusando un -12,3%.

Tra i vini Made in Italy, il cui risultato è ancor più significativo se si considera anche il calo complessivo delle importazioni di vino negli Usa (-10%, a 2,8 miliardi di dollari), gli spumanti (+4,7%) fanno meglio a valore rispetto ai fermi imbottigliati (+1,3%), che rimangono la tipologia più venduta con un controvalore di 742 milioni di dollari.

In forte difficoltà invece i fermi imbottigliati francesi che, vittime dei dazi aggiuntivi, chiudono il semestre a -37%. Tornando all’Italia, i nuovi dazi avrebbero colpito 3 miliardi di euro di cibo Made in Italy, pari a 2/3 del totale in un momento reso già difficile dall’impatto della pandemia sul commercio globale.

Tra l’altro gli Stati Uniti sono il primo mercato extraeuropeo per i prodotti agroalimentari tricolori per un valore che nel 2019 è risultato pari a 4,7 miliardi, con un ulteriore aumento del 4,8% nei primi sei mesi del 2020, anche se a giugno le difficoltà causate dal Coronavirus hanno fatto segnare una inversione di tendenza (-0,9%).

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