FOTONOTIZIA – “Il Sistema delle ville-fattoria nel Chianti Classico” è stato ufficialmente inserito nell’elenco della Lista propositiva italiana dei siti candidati a Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Si tratta del primo importante passo nel percorso per raggiungere il riconoscimento universale.
La proposta avanzata dalla Regione Toscana è stata ideata e curata dalla Fondazione per la Tutela del Territorio del Chianti Classico E.T.S. con unanime condivisione di tutte le Amministrazioni Comunali del territorio.
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Con 2,7 miliardi di pizze sfornate nel mondo e un fatturato che supera i 15 miliardi di euro all’anno, la pizza si conferma un tesoro del Made in Italy, simbolo del successo della dieta mediterranea nel mondo. La Giornata internazionale della pizza si celebra domani, martedì 17 gennaio, all’insegna di tutte le forme di questo alimento-sinonimo dell’Italia.
Rotonda, quadrata, con o senza “cornicione”, a tranci, sottile, spessa, croccante o soffice, con mozzarella e pomodoro o con fiori di zucca e alici, o con verdure grigliate, la pizza si conferma uno dei piatti storici più versatili della cucina italiana. Tanto che l’Unesco ha proclamato nel 2017 l’Arte dei pizzaiuoli napoletani Patrimonio immateriale dell’Umanità.
LA PIZZA È PATRIMONIO UNESCO
L’Arte, come ricorda la stessa Unesco, è nata a Napoli, dove vivono e lavorano circa 3 mila pizzaiuoli, suddivisi in tre categorie in base all’esperienza e alle capacità. Ogni anno l’Accademia dei Pizzaiuoli Napoletani organizza corsi sulla storia, gli strumenti e la tecnica del’arte con lo scopo di assicurarne la sopravvivenza, ma gli apprendisti possono fare pratica anche nelle loro case, dove l’arte è ampiamente diffusa.
Un alimento, come ricorda Coldiretti alla vigilia del Pizza Day 2023, che è anche la colonna portante di un sistema economico costituto da 121 mila locali in Italia dove si prepara e si serve grazie ad una occupazione stimata dalla Coldiretti in 100 mila addetti a tempo pieno e a di altrettanti 100.000 nel weekend. I 2,7 miliardi di pizze sfornate all’anno, in termini di ingredienti, si traducono in 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di chili di olio di oliva e 260 milioni di chili di salsa di pomodoro.
PIZZA E CAMBIAMENTI CLIMATICI
Un lavoro quotidiano, sul quale pesano però gli effetti dei cambiamenti climatici con i danni provocati dalla siccità e dal maltempo in Italia, che hanno tagliato le produzioni degli alimenti base della dieta mediterranea. Il crollo è stato del 30% per l’extravergine di oliva, del 10% per passate, polpe e salse di pomodoro. Fino al -15% per il grano tenero, da cui si ricava la farina per la pizza.
La passione per la pizza è anche planetaria. Gli americani sono i maggiori consumatori, con 13 chili a testa. Gli italiani guidano la classifica in Europa con 7,8 chili all’anno e staccano spagnoli (4,3), francesi, tedeschi (4,2), britannici (4), belgi (3,8), portoghesi (3,6) e austriaci. La corte di Vienna, con 3,3 chili di pizza pro capite annui, chiude la classifica.
«Una diffusione – rileva Coldiretti alla vigilia del Pizza Day 2023 – che ha favorito lo sviluppo di ricette che nulla hanno a che fare con l’originale, attraverso l’uso degli ingredienti più fantasiosi, a partire proprio dai frutti tropicali come ananas, banane o noce di cocco. Ma anche di dolci, come i marshmellow americani o il creme caramel, di specialità locali come le haggis, le interiora di pecore scozzesi, la carne australiana di canguro e coccodrillo o quella di renna finlandese, fino alle versioni con insetti, dai grilli alle cicale e agli scorpioni».
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Al via la “fase 2” della candidatura Unesco della “tecnica di appassimento delle Uve della Valpolicella“, che oggi ha visto l’intero territorio della denominazione veronese fare squadra a La Collina dei Ciliegi (Grezzana, VR) per rilanciare e testimoniare il supporto della comunità al riconoscimento della pratica enologica come “patrimonio culturale immateriale” dell’umanità.
Presentato lo scorso Vinitaly, il processo di riconoscimento entra ora nel vivo grazie alla call to action organizzata dal Comitato promotore, sotto il coordinamento del Consorzio per la Tutela dei Vini della Valpolicella, con il claim “Appassimento, ritorno al futuro“, sigillo di un impegno intergenerazionale nella valorizzazione di una pratica virtuosa usata per vinificare i rossi migliori del territorio, tra cui l’Amarone e il Recioto, tramandata da oltre 1500 anni.
Per Christian Marchesini, presidente del Consorzio della Valpolicella capofila dell’iniziativa: «L’appassimento delle uve è, non a caso, la prima tecnica vitivinicola ad essere candidata come patrimonio culturale dell’umanità».
Si tratta infatti di un savoir faire che ha scritto la storia ma anche l’economia del nostro territorio, ne ha plasmato i prodotti definendone la qualità, contribuendo a disegnare la geografia e l’evoluzione sociale, l’etica del lavoro e l’imprenditorialità, le festività e i ritmi stagionali. Un tassello fondamentale della nostra identità che non può essere dato per scontato, e che deve essere compreso e valorizzato anche e soprattutto dalle nuove generazioni”.
«Il riconoscimento Unesco rappresenta un’occasione importante per le comunità coinvolte», spiega Pier Luigi Petrillo, presidente dell’organo degli esperti mondiali della convenzione Unesco per il patrimonio culturale immateriale
Oltre a comportare una spinta alla tutela della tradizione e del paesaggio bioculturale in cui viene esercitata, ne assicura la trasmissione alle nuove generazioni e favorisce una fruizione collettiva anche di tradizioni e riti ad essa collegati, stimolando la crescita del territorio e la consapevolezza del patrimonio culturale e identitario».
Per Massimo Gianolli, vicepresidente della Rete Valpantena e presidente de La Collina dei Ciliegi che ha ospitato l’evento: «Appassimento vuol dire non solo vino di qualità, ma anche radici, impresa, valore aggiunto: una vision collettiva che non può non coinvolgere, trasversalmente, tutti gli stakeholders del territorio e che vedrà la Valpantena protagonista nel sostenere il progetto».
E proprio i giovani della Valpolicella, con il neonato Consorzio Gruppo Giovani, si sono schierati in prima fila per sostenere la candidatura e rilanciare la declinazione young del Recioto, il vino più antico della denominazione, con l’evento-degustazione “Call to Recioto”, oggi pomeriggio all’A.M.E.N Panoramic Bar & Food.
Nata su impulso del Consorzio di tutela proprio per intercettare il cambio generazionale del tessuto produttivo del territorio, la compagine riunisce circa 50 protagonisti under 40 impegnati a fare rete e a portare le istanze e prospettive dei più giovani anche all’interno delle policy consortili.
L’Unesco ha fino ad oggi riconosciuto come Patrimonio Immateriale 631 elementi in 140 Paesi del mondo, a rappresentatività della diversità e della creatività umana. Per ottenere il riconoscimento l’elemento candidato deve essere trasmesso da generazione in generazione; deve essere costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in stretta correlazione con l’ambiente circostante e con la sua storia.
Inoltre deve permettere alle comunità, ai gruppi nonché alle singole persone di elaborare dinamicamente il senso di appartenenza sociale e culturale; deve promuovere il rispetto per le diversità culturali e per la creatività umana e, infine, deve diffondere l’osservanza del rispetto dei diritti umani e della sostenibilità dello sviluppo di ciascun paese.
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Cinquanta case associate al Consorzio che producono 80 diverse etichette di Alta Langa Docg. 90 viticoltori, circa 300 ettari di vigneto (1/3 chardonnay, 2/3 pinot nero) e un + 42% di vendite rispetto ai valori pre-pandemia del 2019. Le alte bollicine piemontesi chiudono l’anno con un sold-out che lascia ben sperare per il 2022. Anno in cui gli ettari di vigneto si assesteranno a quota 350, per una produzione attesa di oltre tre milioni di bottiglie.
Nel 2022 tornerà il grande evento di degustazione del Consorzio “La Prima dell’Alta Langa“, che riunisce tutti i produttori e le loro cuvée. Un tasting riservato al trade e alla stampa che farà tappa a Torino, dopo le due edizioni al castello di Grinzane Cavour e a Palazzo Serbelloni a Milano.
ALTA LANGA DOCG E TARTUFO BIANCO D’ALBA
Diverse le attività svolte quest’anno dal Consorzio. Una su tutte l’avvio del progetto pilota di sensibilizzazione dei soci viticoltori per dedicare una porzione di terreno alla piantumazione di alberi simbionti del tartufo. Progetto ideato insieme al Centro Nazionale Studi Tartufo.
“Questi alberi – spiega il presidente del Consorzio Alta Langa Giulio Bava – potranno essere curati direttamente dagli agricoltori o si potranno stabilire accordi con associazioni di trifolao. Il progetto, annunciato lo scorso settembre, acquisisce tanta più importanza in relazione all’iscrizione ufficiale della ‘Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali’ nella lista Unesco del Patrimonio culturale immateriale”.
Il legame tra i vini Alta Langa Docg e il Tartufo Bianco d’Alba in questi anni si è fatto via via più stretto. L’abbinamento l’Alta Langa Docg e il Tartufo Bianco si è fatto strada e si è affermato tra le ricette degli chef e tra i consumatori. Prova ne è stata la fortunata collaborazione, per il sesto anno consecutivo, tra Consorzio e Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba.
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La Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali entra nel patrimonio culturale immateriale dell’umanità tutelato dall’Unesco. Lo ha annunciato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel corso dell’Assemblea nazionale della principale organizzazione agricola europea.
L’inserimento del nuovo “patrimonio” è stato ufficializzato in occasione sedicesima sessione del Comitato intergovernativo Unesco, riunito a Parigi. Un risultato che è stato festeggiato con un maxi vassoio di tagliolini al tartufo per le centinaia di agricoltori insieme ai leader politici dei principali partiti e movimenti presenti in Assemblea.
«L’ingresso del tartufo tra i patrimoni dell’umanità – sottolinea Prandini – è un passo importante per difendere un sistema segnato da uno speciale rapporto con la natura, in un rito ricco di aspetti antropologici e culturali. Una tradizione determinante per molte aree rurali montane e svantaggiate, anche dal punto di vista turistico e gastronomico».
Non a caso, al tartufo guarda con molta attenzione anche il mondo del vino. Il Consorzio di Tutela degli spumanti piemontesi Alta Langa ha annunciato a settembre 2021 un progetto che intensifica il rapporto delle pregiate “bollicine” Metodo classico con il tartufo.
L’ente, in collaborazione con il Centro Nazionale Studi Tartufo, intende così sensibilizzare i viticoltori, invitandoli a destinare una porzione di terreno alla piantumazione di alberi simbionti del tartufo. Non solo. Ad occuparsi dei terreni sono le associazioni di trifolao, con l’obiettivo di «favorire buone pratiche di sviluppo e mantenimento delle tartufaie sul territorio delle colline alte di Langa».
LA CERCA DEL TARTUFO
Più in generale, l’arte della Cerca del tartufo coinvolge in Italia una rete nazionale composta da circa 73.600 detentori e praticanti, chiamati tartufai. A concorrere alla cifra sono 45 gruppi associati nella Federazione Nazionale Associazioni Tartufai Italiani (Fnati), ma anche singoli tartufai non riuniti in associazioni (44.600 unità). Esistono altre 12 Associazioni di tartufai che insieme all’Associazione Nazionale Città del Tartufo (Anct) coinvolgono circa 20 mila liberi cercatori e cavatori.
Una vasta comunità, distribuita nei diversi territori regionali italiani. «Il rapporto cavatore-cane – sottolinea Coldiretti – è in armonia con la natura ed è una delle basi della trasmissione di conoscenze e tecniche legate alla cerca e cavatura, individuate come una pratica sostenibile». In ambito famigliare è ancora il singolo tartufaio più anziano, nonno o padre, che insegna alle nuove generazioni i segreti, gli accorgimenti, i luoghi e le tecniche della cerca e della cavatura.
IL TARTUFO IN ITALIA
Dal Piemonte alle Marche, dalla Toscana all’Umbria, dall’Abruzzo al Molise, ma anche nel Lazio e in Calabria sono numerosi i territori battuti dai ricercatori. La ricerca dei tartufi praticata già dai Sumeri svolge una funzione economica a sostegno delle aree interne boschive.
Una importante integrazione di reddito per le comunità locali, con effetti positivi sugli afflussi turistici come dimostrano le numerose occasioni di festeggiamento organizzate in suo onore. Ed è il tartufo in sé a poter essere condisiderato un ecosistema. Si tratta infatti di un fungo che vive sotto terra ed è costituito in alta percentuale da acqua e da sali minerali assorbiti dal terreno tramite le radici dell’albero con cui vive in simbiosi.
Nascendo e sviluppandosi vicino alle radici di alberi come il pino, il leccio, la sughera e la quercia – spiega la Coldiretti – il tartufo deve le sue caratteristiche (colorazione, sapore e profumo) proprio dal tipo di albero presso il quale si è sviluppato. La forma, invece dipende dal tipo di terreno».
Se soffice, il tartufo si presenterà più liscio. Se compatto, diventerà nodoso e bitorzoluto per la difficoltà di farsi spazio. I tartufi sono noti per il loro forte potere afrodisiaco e in cucina il tartufo bianco (Tuber Magnatum Pico) si gusta a crudo su noti cibi come la fonduta, i tajarin al burro e i risotti.
GLI ALTRI PATRIMONI UNESCO ITALIANI
L’arte italiana della ricerca del tartufo entra nella lista Unesco del patrimonio culturale immateriale dell’umanità al fianco di molti tesori italiani già iscritti. Dall’Opera dei pupi (iscritta nel 2008) al Canto a tenore (2008), dalla Dieta mediterranea (2010) all’Arte del violino a Cremona (2012), dalle macchine a spalla per la processione (2013) alla vite ad alberello di Pantelleria (2014).
E ancora: dall’arte dei pizzaiuoli napoletani (2017) alla la Falconeria fino all’Arte dei muretti a secco, ma non mancano neppure luoghi simbolo tutelati dall’Unesco come le Colline del Prosecco e le faggete dell’Aspromonte e del Pollino.
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Nella più grande area terrazzata vitata d’Italia, dove l’arte dei muri a secco è patrimonio Unesco dal 2018, nasce la Rete dei Giardini Sospesi. Innovativa rete di imprese della filiera del vino con un approccio unico per il settore in Valtellina.
L’iniziativa, voluta dall’azienda Mamete Prevostini, unisce nove viticoltori storici. Scopo dell’iniziativa è dar vita a una virtuosa filiera nella quale condividere competenze, risorse e visioni. L’obiettivo è valorizzare la storia e la qualità della viticoltura del territorio portandola verso alti standard di sostenibilità, sia a livello ambientale che agro ecologico e economico.
«Con la Rete dei Giardini Sospesi, – spiega Mamete Prevostini – diamo valore a una figura professionale, ormai rara nel nostro territorio: il viticoltore a tempo pieno. Offriamo la possibilità generale, soprattutto ai giovani, di diventare produttori di uva a pieno titolo».
«Questo lavoro deve essere economicamente sostenibile e permettere a chi lo intraprende di rimanere in Valtellina, migliorare la qualità della propria vita e accrescere le eccellenze del territorio. Vogliamo dare un messaggio ottimistico alle nuove generazioni. Scommettere sulla bellezza del vino significa investire nell’estetica futura del paesaggio», conclude Prevostini.
LA RETE DEI GIARDINI SOSPESI
La Rete dei Giardini Sospesi nasce per ribadire il rapporto di fiducia che lega da sempre Mamete Prevostini ai viticoltori e alle loro famiglie. Donne e uomini che vivono i terrazzamenti vitati come giardini a tutela della bellezza del paesaggio e del territorio. Perché dall’amore, dalla cura e dalla passione nasce l’eccellenza dell’interpretazione del Nebbiolo tipica della Valtellina.
La scelta, razionale e lungimirante, è quella di investire sul “saper fare” e sull’originale interpretazione delle uve nebbiolo. Uve coltivate per il 50% da parte dei viticoltori della rete e per l’altro 50% da parte dei collaboratori che gestiscono i vigneti di proprietà dell’azienda Mamete Prevostini.
Grazie alla Rete dei Giardini Sospesi la filiera godrà di un continuo miglioramento della qualità dei suoi prodotti, di uno sviluppo delle proprie capacità produttive e dell’efficienza dei processi di coltivazione dei vigneti.
LA CONDIVISIONE DELLE COMPETENZE
Gli obiettivi verranno raggiunti grazie all’integrazione delle risorse e alla condivisione del know-how fra gli aderenti, diffondendo così una cultura orientata ai valori della sostenibilità ambientale, economica e sociale.
La Rete metterà a disposizione dei propri soci le pratiche di vigna condivise in anni di lavoro e sperimentazione. I produttori aderenti garantiranno assistenza agronomica mirata alla salvaguardia degli impianti dei vigneti e al continuo miglioramento dei prodotti ottenuti.
Verrà fornita assistenza nei principali processi di coltivazione e innovazione per ottimizzare così costi e risultati. Un’idea concreta di economia circolare che renderà la produzione di uva un’attività economicamente vantaggiosa e ne incentiverà la produzione sul territorio.
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Auspichiamo – dice la Presidente – di incontrare in tempi stretti la nuova guida del Consorzio del Prosecco Docg per programmare insieme l’attività comune di tutela e promozione di un patrimonio dell’Umanità naturale e umano unico al mondo.
«Rafforzare sempre più la sinergia tra le nostre due realtà – conclude Marina Montedoro sull’elezione di Elvira Bortolomiol – è fondamentale per dare il giusto valore al territorio e riconoscere il lavoro quotidiano dei nostri viticoltori eroici, veri custodi del territori».
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Il Roero punta diventare la prima zona vinicola del Piemonte «libera dal diserbo». Lo comunica il Consorzio di Tutela. L’obiettivo è la «salvaguardia della biodiversità e del paesaggio», da raggiungere attraverso accordi con i Comuni della zona. Un modo per valorizzare il territorio della Docg, patrimonio Unesco.
L’ente che tutela i vini del Roero ha presentato ai sindaci e alle commissioni agricole comunali una proposta per «far inserire nei regolamenti della Polizia Rurale il divieto di utilizzo di prodotti chimici per il diserbo».
«I trattamenti chimici per il diserbo – ammonisce il presidente Francesco Monchiero – mettono a rischio la varietà di specie vegetali e animali che popolano naturalmente l’ambiente e il vigneto, depauperandolo della sua capacità di autoregolarsi e danneggiando il paesaggio».
«In questo momento storico in cui anche il consumatore è più attento alla sostenibilità – continua il numero uno del Consorzio Tutela Vini del Roero – vogliamo assumerci la responsabilità di ridurre il nostro impatto ambientale».
«Sono molto orgoglioso del coraggio che i soci hanno dimostrato nel perseguire un obiettivo non semplice, ma necessario: è una prova del nostro amore per queste terre», conclude Monchiero.
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È già stata ribattezzata “La Corriera delle Langhe“. Un progetto che unisce cantine, produttori di vino, aziende di trasporti, logistica e informatica nella zona Unesco del Piemonte, capitale di grandi vini come Barolo e Barbaresco, riconosciuti e apprezzati in tutto il mondo.
L’ambizione del Consorzio di Tutela e della Coldiretti Cuneo – capofila di Ecolog, questo il nome ufficiale dell’iniziativa presentata via web, in mattinata – è quella di ridurre il numero di camion per le strade dei piccoli borghi delle Langhe. Incrementando al contempo la vendita diretta ai turisti stranieri, che avranno la possibilità di vedersi recapitato il vino a casa, anche Oltreoceano, dopo averlo degustato e ordinato in cantina.
Trenta le winery che hanno aderito alla fase sperimentale del progetto. La Corriera delle Langhe entra ora nel vivo, con l’appello a tutte le aziende del territorio ad «aderire a un percorso virtuoso, che va ben oltre l’attenzione alla sostenibilità in vigna e in cantina».
I PARTNER DI ECOLOG
Sandri Trasporti, con il capoprogetto Andrea Beggio, si occupa della movimentazione dei vini con automezzi ecologici refrigerati, nonché della logistica, potendo contare su un magazzino iper-tecnologico alimentato da un impianto fotovoltaico nel Comune di Santa Vittoria d’Alba. Qui avverrà consegna degli ordini e lo stoccaggio, sempre a temperatura controllata.
L’altra azienda piemontese Tesisquare, sotto la guida del Ceo Giuseppe Pacotto, si concentra invece sulla supply chain, garantendo l’efficienza dei processi digitali di comunicazione tra produttori di vino e autotrasportatori, nonché tra vignaioli e cliente finale: l’enoturista, specie quello straniero, a cui sarà recapitato l’ordine nel giorno desiderato. Direttamente a domicilio.
Nel nostro areale – ha spiegato Matteo Ascheri, presidente Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani – si producono complessivamente circa 80 milioni di bottiglie.
Con Ecolog, rivolgendoci soprattutto alle cantine più piccole, situate in luoghi difficili da raggiungere ma responsabili del 60% della produzione complessiva, ci prefiggiamo di movimentare non meno di 30-40 milioni di bottiglie annue, riducendo l’impatto del trasporto sull’ambiente».
Secondo le stime, i singoli trasportatori compiono un percorso di 300 chilometri per la presa degli ordini nelle varie aziende agricole. L’obiettivo è di ottimizzare le tratte, riducendo il tragitto a 250 chilometri.
«Non una riduzione ragguardevole – ha sottolineato Ascheri – ma il vero scopo dell’iniziativa è ridurre i mezzi in transito tra le cantine, passando dai circa 30 a 20. Si assisterà così a una riduzione delle emissioni del 40%. Per le cantine e per tutto il territorio delle Langhe questo è un investimento, che porterà a benefici tangibili».
Ne è convinto anche Fabiano Porcu, direttore di Coldiretti Cuneo: «La congestione del territorio dovuta al traffico di mezzi di trasporto, anche pesanti – ha dichiarato – mal si coniuga con l’enoturismo. Ecolog mira a risolvere questo problema e non solo, affiancando le cantine nella vendita diretta al consumatore, specie estero. Un aspetto, quest’ultimo, su cui stiamo spingendo molto nell’ottica della semplificazione burocratica».
I BORGHI DELLE LANGHE SEMPRE PIÙ “CAR FREE” [metaslider id=57746]
Un aiuto arriverà a breve anche dalla Regione Piemonte, che plaude all’iniziativa con il presidente Alberto Cirio. «Bruno Ceretto – ha dichiarato il numero uno di Via Farigliano 9 – dice sempre che il miglior auspicio è che i turisti arrivino nelle Langhe con il Suv: non tanto per lo status sociale, ma perché questi autoveicoli hanno tanto spazio per il vino, nel bagagliaio!».
Scherzi a parte, con Ecolog le Langhe si muovono nell’unica direzione possibile: quella dello sviluppo e della crescita sostenibile, in un momento in cui la parola “sostenibilità” è divenuta quasi più importante, nel mondo delle Doc e delle Docg».
In quest’ottica, Regione Piemonte darà presto il suo appoggio concreto all’iniziativa. «Nella prossima programmazione del Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) – ha annunciato Cirio – inseriremo stanziamenti ad hoc per rendere i Comuni delle Langhe aree pedonali, “car free”, attraverso la realizzazione di parcheggi, specie interrati e integrati nell’ambiente, come vuole la normativa delle aree Unesco, all’ingresso dei vari borghi».
«L’innovazione introdotta da Ecolog – ha aggiunto l’assessore regionale all’Agricoltura, Cibo, Caccia e Pesca Marco Protopapa – può diventare un esempio per tutti i territori italiani vocati a specifiche colture e alla tutela del paesaggio».
PRIMI COMMENTI DALLE CANTINE
Positivi i primi commenti che arrivano dai 30 produttori coinvolti nella fase sperimentale del progetto, sin dallo scorso anno. Come Livia Fontana della storica Azienda Agricola Ettore Fontana di Castiglione Falletto (CN).
Il periodo segnato dalla pandemia Covid-19 – ha commentato – è stato paradossalmente propizio per sviluppare questa iniziativa, vista l’assenza di turisti nelle Langhe.
La piattaforma è facilissima da usare, il ritiro dei vini è sempre stato super puntuale ed efficiente, oltre ad essere compiuto con mezzi ecologici e in grado di non interrompere la catena del freddo, dalla cantina al magazzino».
«Credo che Ecolog sia un progetto che meriti di poter essere allargato ad altri settori – ha aggiunto – e che aiuti i produttori a incrementare le vendite con gli enoturisti stranieri, soddisfacendo finalmente le tante richieste di acquisto che rimanevano inevase. Più siamo, più saremo, meglio sarà».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Sostegni e misure per i viticoltori eroici pesantemente colpiti dalla pandemia, ma anche l’attuazione del decreto della viticoltura eroica. Sono questi in sintesi i temi al centro dell’incontro fra il Cervim e il sottosegretario alle Politiche agricole Gian Marco Centinaio, che ha visto anche la partecipazione del coordinatore e dello staff dell’assessore all’Agricoltura e Risorse naturali della Regione autonoma Valle d’Aosta.
«Un confronto molto proficuo – commenta il presidente Cervim, Stefano Celi – sulle forme di sostegno che potranno essere messe in atto per consentire alla viticoltura eroica di sopravvivere e permettere ai viticoltori di mantenere il loro indispensabile presidio sul territorio».
«C’è la necessità – sottolinea il sottosegretario Centinaio – di aiutare economicamente gli agricoltori eroici in quanto necessitano di interventi mirati, dati alti costi di gestione, per evitare lo spopolamento delle aree rurali montane. Questa pandemia ha praticamente bloccato il turismo ed il canale Horeca, che sono i maggiori mercati di riferimento di questa filiera”.
“Altro tema – prosegue il sottosegretario – la necessità di riconoscere ulteriormente il grande lavoro fatto dal Cervim anche a livello ministeriale e infine una veloce regolamentazione del registro dei vigneti eroici e storici per dare un riconoscimento all’importanza di chi ha creduto in un certo tipo di agricoltura».
Secondo il Cervim servono azioni di promozione sui mercati, anche esteri, specificatamente pensati per le caratteristiche delle piccole aziende eroiche nonché un sostegno per la realizzazione e manutenzione di tutte le infrastrutture necessarie per la coltivazione e mantenimento dei terreni caratteristici della viticoltura eroica.
«Il Cervim – aggiunge il presidente Celi – auspica che possano essere assunti specifici provvedimenti a tutela di questo settore. Misure specifiche che tengano conto delle ridotte produzione e dell’alto valore dei vini eroici. Inoltre sostegni adeguati e proporzionati al valore delle produzioni e finanziamenti a tasso agevolato specifici per la peculiarità delle aziende a viticoltura eroica».
Il Cervim inoltre attende l’attuazione del decreto per la salvaguardia dei vigneti eroici e storici entrato in vigore dopo la pubblicazione a fine settembre sulla Gazzetta Ufficiale.
«Il decreto – spiega Roberto Gaudio, del Cda Cervim – rappresenta un punto di partenza, un riconoscimento che deve tradursi in un’azione concreta di rilancio. I viticoltori eroici svolgono un ruolo insostituibile per la sorveglianza e il mantenimento del territorio.
“Con la manutenzione di tutte le infrastrutture di sostegno dei terreni – conclude Gaudio – a partire dai muretti a secco, patrimonio dell’umanità riconosciuto dall’Unesco, e dalla regimazione delle acque i viticoltori contribuiscono alla prevenzione di fenomeni di dissesto idrogeologico e di degrado dei territori, a vantaggio dell’intera comunità nazionale».
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Si è conclusa ieri l’istruttoria delle proposte di candidature che ha portato il Rito del caffè espresso italiano tradizionale e la Cultura del caffè espresso napoletano ad essere già inserite nell’Inventario dei Prodotti agroalimentari italiani (Inpai).
Ora il Mipaaf presenta le candidature a patrimonio culturale immateriale dell’umanità del Rito del caffè espresso italiano tradizionale, che è anche vera e propria arte, e in subordine quella della Cultura del caffè napoletano, realtà tra rito e socialità.
Il Gruppo di lavoro Unesco del Mipaaf ha quindi deciso all’unanimità di proporre le candidature e di inviare la documentazione alla Commissione Nazionale dell’Unesco che dovrà decidere l’avvio del procedimento per l’inserimento nel patrimonio immateriale dell’umanità di un elemento che ha importanti risvolti culturali, sociali, storici e di tradizione.
La priorità per l’elemento Rito del caffè espresso italiano tradizionale, a parità degli elementi costitutivi del dossier, è stata determinata dalla presentazione della relativa proposta all’inizio del 2019 mentre quella della Cultura del caffè espresso napoletano è stata presentata alla metà dello scorso anno.
«Siamo consapevoli che la strada da percorrere non è finita e che ora la palla passerà alla Commissione Nazionale Unesco, e poi ancora a Parigi – dichiara Giorgio Caballini di Sassoferrato, Presidente del Consorzio di tutela del caffè espresso Italiano Tradizionale – Eppure questo è un riconoscimento importante da parte delle Istituzioni che fa seguito all’appoggio trasversale dimostrato da tutte le parti politiche già dallo scorso 2019».
Dopo la scadenza del termine per la presentazione delle candidature, prevista per il 31 marzo, l’Unesco sarà chiamata a pronunciarsi sulla proposta di candidatura.
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Il Mipaaf presenta le candidature a patrimonio culturale immateriale dell’umanità del Rito del caffè espresso italiano tradizionale, che è anche vera e propria arte, e in subordine quella della Cultura del caffè napoletano, realtà tra rito e socialità.
Si è infatti conclusa ieri l’istruttoria delle proposte di candidature che ha portato il Rito del caffè espresso italiano tradizionale e la Cultura del caffè espresso napoletano ad essere già inserite nell’Inventario dei Prodotti agroalimentari italiani (Inpai).
Il Gruppo di lavoro Unesco del Mipaaf ha quindi deciso all’unanimità di proporre le candidature e di inviare la documentazione alla Commissione Nazionale dell’Unesco che dovrà decidere l’avvio del procedimento per l’inserimento nel patrimonio immateriale dell’umanità di un elemento che ha importanti risvolti culturali, sociali, storici e di tradizione.
La priorità per l’elemento Rito del caffè espresso italiano tradizionale, a parità degli elementi costitutivi del dossier, è stata determinata dalla presentazione della relativa proposta all’inizio del 2019 mentre quella della Cultura del caffè espresso napoletano è stata presentata alla metà dello scorso anno.
«Siamo consapevoli che la strada da percorrere non è finita e che ora la palla passerà alla Commissione Nazionale Unesco, e poi ancora a Parigi – dichiara Giorgio Caballini di Sassoferrato, Presidente del Consorzio di tutela del caffè espresso Italiano Tradizionale – Eppure questo è un riconoscimento importante da parte delle Istituzioni che fa seguito all’appoggio trasversale dimostrato da tutte le parti politiche già dallo scorso 2019».
Dopo la scadenza del termine per la presentazione delle candidature, prevista per il 31 marzo, l’Unesco sarà chiamata a pronunciarsi sulla proposta di candidatura.
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Nato nel 2018, quando i produttori del Consorzio Vini Pantelleria Doc reagirono al furto dell’uva subito da Marco De Bartoli, il “Passito della Solidarietà” si arricchisce di un nuovo significato: un valore aggiunto per i giovani che studieranno Viticoltura ed Enologia.
Parte del ricavato delle vendite sarà trasformato in borse di studio da assegnare ai futuri “winemaker” panteschi. Quella di Pantelleria è infatti una viticoltura eroica che deve fare i conti con l’apporto di mano d’opera qualificata e fortemente motivata.
Sull’isola del sole e del vento, la pratica agricola della coltivazione dello Zibibbo ad alberello ha ricevuto il prestigioso riconoscimento Unesco. Affinché questo straordinario “patrimonio immateriale” abbia un futuro, come sottolinea il Consorzio Vini Pantelleria, è «fondamentale che i giovani studino viticoltura e poi tornino sull’isola per mettere a frutto le competenze acquisite».
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Regione Lombardia candiderà il panettone come Patrimonio immateriale dell’umanità Unesco. Il dolce rappresenta Milano, la Lombardia e l’Italia nel mondo. «È il risultato di una forma d’arte – commenta l’assessore regionale Fabio Rolfi – che si tramanda da secoli e che è conservata e valorizzata dai nostri maestri pasticcieri, che saranno ambasciatori straordinari di questa candidatura».
Abbiamo già avviato interlocuzioni con le associazioni di categoria e con gli altri enti istituzionali. C’è unità di intenti per dare la giusta valorizzazione a un simbolo del nostro territorio. Il panettone è cultura e tradizione, ma anche economia. Crediamo che l’arte artigianale con cui viene realizzato meriti un riconoscimento mondiale».
Rolfi, assessore all’Agricoltura, Alimentazione e Sistemi verdi della Regione Lombardia, ha partecipato oggi a palazzo Bovara, a Milano, alla finale Italia della Coppa del mondo di panettone.
«La collaborazione della Regione Lombardia con Confcommercio e con l’associazione Maestro Martino è sempre più stretta e fattiva – ha aggiunto – con l’obiettivo unico di promuovere i prodotti di eccellenza del nostro territorio, grazie ai quali la Lombardia si fa conoscere a livello internazionale per qualità e sicurezza alimentare».
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EDITORIALE – I Vini bianchi con macerazione, noti anche come “Orange wine“, hanno pari dignità dei “vini di ghiaccio” – gli Ice Wine cari a Paesi come Canada e Germania – e dei vini liquorosi come Marsala, Sherry e Porto. A stabilirlo è l’Oiv, l’Organizzazione internazionale della Vigna e del Vino, che li ha inseriti nella lista dei “Vini speciali“.
Un provvedimento che tiene conto – con qualche anno di ritardo – dell’iscrizione del metodo georgiano di vinificazione in qvevri, le anfore interrate utilizzate dalla notte dei tempi in Georgia, nella Lista dei Patrimoni culturali immateriali dell’Umanità dell’Unesco, avvenuta nel 2013.
L’Assemblea generale dell’Oiv ha adottato la decisione attraverso risoluzione 647-2020, con il conseguente inserimento della tipologia di produzione nel “Codice internazionale delle pratiche enologiche” riconosciute.
La definizione dei nuovi “Vini speciali” è precisa: “I vini bianchi con macerazione sono ottenuti dalla fermentazione alcolica di un mosto a contatto prolungato con le vinacce, compresi bucce, polpa, vinaccioli ed eventualmente raspi”.
Diverse le prescrizioni: “Si elaborano esclusivamente a partire da varietà di uva a bacca bianca; la macerazione viene condotta a contatto con le vinacce; la durata minima della fase di macerazione è di un mese; il ‘vino bianco con macerazione’ può essere caratterizzato da un colore arancione-ambrato e da un gusto tannico“.
La definizione della una nuova categoria di prodotti – dichiara l’Oiv – permetterà di far conoscere i vini in qvevri / kwevri a professionisti e consumatori, affinché vengano giudicati e apprezzati tenendo conto delle loro modalità di produzione e particolarità organolettiche“.
“Il gusto tannico e il colore arancione-ambrato – continua l’Oiv – potranno pertanto essere spiegati meglio ai consumatori e ai professionisti. Altrettanto possibile sarà la distinzione nei concorsi di vini quale categoria a sé stante”.
Dichiarazioni che arrivano, forse non a caso, dopo la bufera scatenata dalle parole del professor Luigi Moio sui “vini naturali” e la (s)connessione tra terroir e ossidazione. Di certo, la risoluzione dell’Oiv sui “Vini bianchi con macerazione” non gioca solo a favore dei vignaioli e delle piccole realtà artigianali sparse per il mondo.
Sono infatti numerose le cantine di stampo “industriale” che, in Georgia, accostano il “Metodo tradizionale” di vinificazione in qvevri alle pratiche enologiche tipiche del metodo europeo e internazionale, come l’utilizzo di serbatoi di acciaio e botti di legno.
Si tratta di realtà come Ktw, acronimo dietro al quale si cela il colosso “Kakhetian Traditional Winemaking Group”: solo una delle cantine capaci di di produrre milioni di bottiglie ogni anno, tra l’altro con l’utilizzo di chips (legali in Georgia) in fase di affinamento.
Dietro (o dentro) le qvevri, la Georgia sarà sempre più in grado di dare ulteriore spinta a produzioni industriali firmate anche da enologi di fama europea ed internazionale, un po’ come sta avvenendo per il vino della Cina.
Tra i professionisti impegnati nel Caucaso anche l’italiano Donato Lanati, che ha all’attivo una collaborazione con Badagoni Wine Factory proprio nel Kakheti, patria delle anfore georgiane: 4 milioni di bottiglie l’anno per la cantina di Akhmeta. Un dettaglio che non sarà certo sfuggito al dogmatico bureau dell’Oiv.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Il Prosecco Superiore Docg di Conegliano Valdobbiadene tiene a freno l’emergenza Covid sui mercati, nonostante il peso della riconferma sui livelli record del 2019 (92 milioni di bottiglie per un giro di affari di 525 milioni di euro). Non solo: si rivela terra fertile per l’enoturismo internazionale, con tassi di decrescita inferiori a quelli di altri territori del vino italiano e della stessa media della regione Veneto.
È il frutto di una “programmazione territoriale” che non parte certo da ieri e che riguarda a 360° il mondo del Prosecco Docg, spinto dal riconoscimento Unesco alle Colline patrimonio dell’Umanità.
Misure come la riduzione delle rese e lo stoccaggio obbligatorio delle vendemmie 2019 e 2020, assieme allo stop alle riserve vendemmiali, alla rinuncia al glifosato e agli investimenti green hanno contribuito, per dirla con il presidente del Consorzio Innocente Nardi (nella foto sopra), “a trasformare Conegliano Valdobbiadene in un laboratorio di sostenibilità ambientale“.
Il tutto – spiega il numero uno dell’ente di Pieve di Soligo (TV) – in una logica di leadership nazionale: il riconoscimento Unesco ci pone nelle condizioni di guidare un percorso di valorizzazione dei nostri prodotti legati alla bellezza del territorio e i numeri di questo 2020, con gli imbottigliamenti in sostanziale pareggio rispetto allo scorso anno, sono la conferma che abbiamo intrapreso la strada giusta”.
Un percorso che si potrà compiere, sempre secondo Nardi, “solo uscendo dalla logica della singola azienda, cercando di consolidare un approccio legato alla comunità di imprese, intendendo per ‘comunità’ l’insieme di soggetti di un territorio che si riconoscono attorno a un’identità culturale e attorno a valori comuni”.
Dall’incontro digitale intitolato “Unicità, autenticità e comunità: la forza del distretto del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg verso il 2021”, è emerso l’andamento positivo della Denominazione, nel 2020.
Come sottolineato dal professor Eugenio Pomarici del Centro Interdipartimentale per la Ricerca in Viticoltura ed Enologia (Cirve) dell’Università di Padova, i primi mesi dell’anno si sono contraddistinti per un’alta disponibilità di prodotto, abbinata e prezzi appetibili dai mercati nazionali e internazionali.
Gli imbottigliamenti hanno subito una battuta d’arresto nel mese di maggio, riprendendo un andamento regolare, in alcuni casi addirittura superiore al 2019. Le restrizioni imposte all’Horeca, calata del 30% in volume, hanno riversato nella Grande distribuzione organizzata circa 6-8 milioni di bottiglie tra gennaio e agosto 2020. Due milioni in più rispetto allo stesso periodo del 2019.
La parte restante, sempre secondo la relazione di Pomarici, è stata rilocata sugli e-commerce, nonché nei negozi di prossimità e nell’importante fenomeno delle consegne dirette, da parte delle cantine ai consumatori finali.
Si confermano stabili i prezzi delle uve nel 2020, seppur al ribasso. La forbice si restringe tra gli 1,70 euro minimi e i 2 euro massimi di media del 2020, rispetto a un più ampio 1,80 – 2,50 euro del 2019. In sostanza, nel 2020 si è riverberata la picchiata del trimestre settembre-novembre 2019, senza ulteriori aggravi.
Interessante, sempre sul fronte delle uve, la tenuta degli spumanti base Glera sul mercato, rispetto agli altri Metodo italiano come Müller-Thurgau, Ribolla Gialla, Pinot.
Un dato ufficiale snocciolato in occasione dell’incontro online dalla Client Growth Delivered Senior Account Manager dell’Istituto di RicercaIri, Simonetta Melis, riferito alla grande distribuzione organizzata (cluster Iper+, Super+ e Libero Servizio Piccolo).
La crescita generale degli spumanti, di fatto, è guidata dal buon andamento del Prosecco (Doc e Docg), che ha ripreso la sua corsa dopo la flessione del mese di aprile 2020, segnato da una Pasqua mancata, causa Covid-19.
Il peso a valore delle Denominazioni veneto-friulane è del 53,7%. A seguire gli altri Charmat secchi, con un quota del 20,8%, il Metodo classico italiano al 16,6% e lo Charmat dolce all’8,7%.
Il progressivo al 22 novembre 2020 vede crescere del 16,4% il Prosecco, del 4,1% gli altri Charmat secchi e del 9% lo Champenoise. Crollo per gli Charmat dolci, le bollicine per l’appunto “da ricorrenza”, come appunto la Pasqua: – 8,7%.
Positivo il trend delle vendite a volume del Prosecco (+19,9%), così come degli altri Charmat secchi (+4,2%) e del Metodo classico italiano (7,8%) e conferma del crollo degli spumanti dolci, con un – 9,1%. Doc e le Docg, dunque, consolidano la loro leadership in termini di peso totale sul mercato e sui volumi complessivi.
Non solo. Nei primi undici mesi del 2020, il Prosecco Superiore registra un andamento migliore degli spumanti, sia a valore sia a volume. In aumento, tuttavia, anche la pressione promozionale: sale di 3 punti e si assesta sul 55,4%.
Bene, di conseguenza, le vendite del Conegliano Valdobbiadene: +15% da gennaio a novembre. Cambiano, come attendibile, i canali di acquisto. A crescere maggiormente è l’online, con un + 130%, ma il segno “più” riguarda anche Ipermercati (+ 11,7%), Supermercati (+ 16,8%) e Libero servizio piccolo (+ 8,5%).
Buone, dunque, anche le prospettive per la rinascita del territorio che ospita il vigneto del Prosecco Superiore. “Secondo le stime internazionali ci vorranno dai 2 ai 4 anni per tornare sui livelli precedenti”, riferisce Erica Minotto del Ciset – Consulenza e ricerca su turismo, impatti economici e marketing territoriale per imprese ed enti pubblici.
“Ma il territorio del Conegliano Valdobbiadene – continua – ha retto meglio di altri alla crisi del turismo e dell’enoturismo. Al – 58% degli arrivi in Veneto nei primi nove mesi 2020, con la provincia di Treviso più marcata a – 67%, le colline Unesco rispondono con un -51,5% degli arrivi e un calo nei Comuni del distretto pari al – 48%”.
Nel 2019 il turismo è cresciuto nella zona dell’1,9%, con un ulteriore consolidamento del tasso di internazionalizzazione: circa il 45% degli arrivi sono risultati da Pesi stranieri, soprattutto Germani, Austria, Francia, Regno Unito e Usa.
Il tutto grazie a un aumento dell’offerta ricettiva, verificatasi soprattutto nell’extralberghiero. Lo scorso anno i visitatori delle cantine del Distretto del Prosecco Superiore di Conegliano Valdobbiadene sono stati più di 380 mila, raddoppiati nell’arco degli ultimi 10 anni.
Il consolidamento dell’offerta e dei servizi alla clientela da parte delle aziende vitivinicole, come eventi dedicati, degustazioni tematiche e visite che legano la cantina al territorio, sono i driver da cui la zona può ripartire e guardare il futuro con meno preoccupazione.
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Ottimizzare i flussi dei trasporti di vino in area Unesco riducendo l’impatto del traffico e delle emissioni in atmosfera e, attraverso un hub logistico, agevolare la vendita diretta a distanza anche attraverso l’e-commerce, nonché rendendo il territorio più vivibile per i cittadini e più godibile per i turisti. Sono questi gli obiettivi dell’ambizioso progetto, in studio da oltre un anno, messo a punto in stretta sinergia da Coldiretti Cuneo e Consorzio di tutela Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani, con la collaborazione di partner operativi per i trasporti, la logistica e l’informatica.
“Le strade e le colline vitate – dichiara il Presidente del Consorzio del Barolo Matteo Ascheri – sono sempre più frequentate, oltre che dai turisti tradizionali, dai cicloturisti, sull’onda del boom delle e-bike: un trend in crescita che ottimizza la fruizione delle attrazioni naturali e antropiche del territorio ma che mal si concilia con la circolazione di grossi mezzi quali autoarticolati o Tir”.
Si prevede allora un servizio di ritiro e consegna delle merci programmato nelle cantine, modificabile al bisogno, con automezzi di ridotte dimensioni e green, e il temporaneo stoccaggio in appositi magazzini condizionati e organizzati (hub) per la preparazione del groupage in attesa del carico sul mezzo, in genere di grande portata, verso la destinazione finale con percorrenza delle grandi arterie viarie”.
Il progetto, condiviso da tutti i componenti del gruppo di lavoro, intende offrire alle cantine un servizio per la movimentazione e la gestione delle merci in fase di vendita, fondato sulla sostenibilità, grazie all’utilizzo di mezzi idonei a ridurre il decongestionamento del traffico con possibile estensione ad altre aree, a beneficio di chi vive queste terre e di chi viene a scoprirle, attratto dalle opportunità di enoturismo offerte dai vitivinicoltori.
“In stretta connessione con questa attività – aggiunge il Direttore di Coldiretti Cuneo Fabiano Porcu – il gruppo di lavoro sta lavorando ad una rete che realizzi un servizio d’appoggio per le vendite oltre confine, anche tramite l’utilizzo di canali e-commerce, che durante il lockdown hanno dimostrato particolare efficacia. Un incentivo, dunque, alla vendita rivolta al consumatore finale, oggi ostacolata da formalità fiscali, doganali, burocratiche, oltre che da oggettive complicanze logistiche distributive”.
Raccolto il consenso dei rappresentanti dei Sindaci e dell’Associazione dei Paesaggi Unesco, Coldiretti Cuneo e Consorzio del Barolo sono pronti a realizzare il protocollo sperimentale che vedrà coinvolte alcune cantine, prima di estendere l’operazione all’intero territorio interessato.
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Un anno fa, a Baku, in Azerbaigian, le Colline del Prosecco di Conegliano Valdobbiadene venivano iscritte tra gli 8 Siti Unesco del Veneto e i 55 italiani. Solo l’inizio di un percorso che, dai prossimi mesi, prevede la redazione del “Piano di gestione del Sito“ con il supporto del Comitato scientifico, la definizione del piano di comunicazione e la classificazione degli edifici rurali. Questi ultimi “andranno valorizzati da un punto di vista architettonico e urbanistico per strutturare un’accoglienza diffusa”.
È quanto rende noto Marina Montedoro, presidente dell’Associazione per il patrimonio delle Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene. “Il riconoscimento Unesco – spiega – è il punto di partenza di un lavoro che vede oggi impegnati l’Associazione e tutti i portatori di interesse dell’area per garantire tutela e valorizzazione al patrimonio inestimabile che le generazioni passate hanno affidato alle generazioni presenti per tramandarle a quelle future”.
L’iter, iniziato nel 2008 con la presentazione del progetto di candidatura da parte del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg, è stato lungo e non privo di difficoltà. La promozione è arrivata il 7 luglio 2019, con delibera unanime dei 21 Stati membri del Comitato, a conferma dell’alta qualità della candidatura italiana.
Nel gennaio 2020 si è costituita l’Associazione per il patrimonio delle Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, ente a cui è stato affidato il compito di gestire il Sito, promuovere la cooperazione, curare la comunicazione e lo scambio d’informazioni e documenti tra i vari soggetti coinvolti.
La squadra si è completata lo scorso giugno con la nomina del Comitato scientifico che affiancherà l’Associazione nella gestione e conservazione del Sito. Tutti capitoli ancora da scrivere, con riflessi economici e culturali non solo sul Veneto.
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Una “Festa Granda” in onore di tutti i protagonisti della Primavera del Prosecco Superiore che quest’anno ha dovuto fermarsi a causa dell’emergenza Covid-19. È questo l’appuntamento “live” organizzato dalla Primavera del Prosecco Superiore che si svolgerà domenica 21 giugno 2020, giorno del Solstizio d’Estate.
Un evento che vede le Mostre della Primavera del Prosecco Superiore, in collaborazione con le cantine del territorio, ristoratori, strutture alberghiere, Consorzi, Enti ed autorità, dare vita ad un evento diffuso nelle Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene Patrimonio dell’Umanità.
Dall’alba all’ora dell’aperitivo, l’intera giornata animerà il territorio con degustazioni, brindisi e passeggiate – sempre nel rispetto delle regole attualmente vigenti – vivendo anche sui canali Facebook ed Instagram della Primavera del Prosecco Superiore, dove i principali appuntamenti si potranno seguire in diretta Live.
Dal benvenuto al sole nascente del Solstizio d’Estate all’omaggio musicale alla Colline Patrimonio dell’Umanità, senza tralasciare il brindisi a più voci di saluto alla Primavera, Festa Granda, racconterà la grande ospitalità di un territorio che vuole ripartire con entusiasmo. La situazione emergenziale causata dal Covid-19, infatti, non ha scalfito la volontà di Pro Loco, ristoratori, produttori, guide naturalistiche e turistiche del territorio di aprire le proprie porte.
Il sole che sorge è un’immagine bella ed evocativa, che rappresenta la rinascita – spiega Giovanni Follador, presidente del Comitato Organizzatore della Primavera del Prosecco – quella rinascita che ora, come territorio, affrontiamo con grande slancio e voglia di raccontarci”.
“Solstizio d’estate, il giorno più lungo e la notte più corta dell’anno, la luce che vince sul buio: non esiste immagine migliore per descrivere i sentimenti che stiamo vivendo in questo inizio d’estate 2020”, sottolinea l’assessore regionale al Turismo, Federico Caner.
Potrà non essere una festa come quelle che conoscevamo, ma già riparlare di Festa è un sollievo, è un’aria che torniamo a inalare avidamente perché ci è mancata per troppi, lunghi giorni. ‘Respirare’ è l’invocazione planetaria di oggi, che vale per gli uomini e per la terra, e tra queste colline di una bellezza unica è il respiro all’unisono del luogo e di chi lo abita, è l’accumulo di fiato che prelude a una gioiosa esclamazione di rinascita”.
“Partecipare alla Festa Granda, evento che darà risalto alla bellezza del nostro territorio – afferma Innocente Nardi, presidente del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg – è un modo per celebrare il suo prodotto principe, il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg”.
Le vigne infatti contribuiscono in modo determinante a disegnare il suggestivo paesaggio in cui abbiamo la fortuna di vivere immersi. Tutti i visitatori e i partecipanti a questo evento ritroveranno questa bellezza in ogni calice e il nostro auspicio è che ogni sorso, anche futuro, evochi in loro le nostre magnifiche colline”.
“In questa fase di ripresa post emergenza sanitaria – commenta Marina Montedoro, presidente dell’Associazione per il Patrimonio delle colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene – riteniamo che questo evento possa rappresentare un importante momento per fare ‘comunità’ attorno alle Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene”.
Un evento che incoraggia la scoperta e la visita del territorio, oggi patrimonio Unesco, anche da parte dei nostri concittadini. Per tale ragione, apprezzando anche lo sforzo di organizzare in pochissimi giorni un evento di questo genere, l’Associazione ha deciso di sostenerlo, auspicandone il miglior successo”.
GLI EVENTI
Brindisi, degustazioni e visite guidate, ma anche tour, aperture straordinarie e mostre d’arte. Festa Granda è una ghiotta occasione per scoprire, e riscoprire, un territorio Patrimonio dell’Umanità.
07.30 – InCanto del Solstizio: concerto all’alba del solstizio d’estate. Un momento di intrattenimento musicale per accogliere la nuova stagione presso Malga Mariech (Pianezze), con il piacevole intrattenimento della Banda Cittadina di Valdobbiadene
11.00 – Saluto alla Primavera: brindisi diffuso. Tutta la comunità brinda al territorio in un momento di festa esteso e condiviso, per mostrare come le Colline siano pronte ad accogliere i residenti e i visitatori. Il brindisi partirà alle ore 11.00 da San Pietro di Feletto e con diretta Facebook in collegamento con gli altri punti del territorio dove Mostre e Pro Loco si ritroveranno a brindare.
17.00 – Omaggio alle Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene. La Pieve San Pietro di Feletto sarà il palcoscenico di un inno al territorio che si apre alla comunità e ai visitatori, nel grande abbraccio del Conegliano Valdobbiadene Patrimonio UNESCO. Il concerto “The best of MOVIETRIO” proporrà musiche di Morricone, Piovani e Nino Rota.
E ANCORA
Le Mostre del vino proporranno tour, mostre d’arte e visite guidate: https://bit.ly/37Dm10a
Tanti luoghi apertiesclusivamente nella giornata di domenica, grazie alla Primavera del Prosecco Superiore: https://bit.ly/2N6jsde
Festa Granda è anche sinonimo di brindisi: i produttori vinicoli apriranno le porte delle loro cantine per brindare al ritorno alla normalità: https://bit.ly/3hrgb6m
Agriturismi e ristoratori offriranno i migliori piatti e sapori localihttps://bit.ly/2B9iOZY
Festa Granda è anche l’occasione per trascorrere un weekend nelle Colline Patrimonio dell’Umanità, andando alla scoperta del territorio e delle tante strutture ricettive di pregio: https://bit.ly/2CdZxan
Infine,piccoli produttori locali, fattorie didattiche e vecchie botteghe di paese faranno vivere le tradizioni locali e lo spirito magico di queste terre: https://bit.ly/3hvilSt
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VERONA – Il colore simbolo è quello del rosso Amarone, ma nei 19 comuni della Doc Valpolicella si fa sempre più largo il verde, quello della sostenibilità.
È quanto emerge – alla vigilia di Anteprima Amarone – dalle rilevazioni di Avepa (l’Agenzia veneta per i pagamenti in agricoltura), che registra una repentina rivoluzione verde nelle aree enologiche simbolo del veronese.
In pochi anni (dal 2012 a fine 2019) il biologico in vigna è infatti cresciuto del 152% in termini di superficie, con un’impennata solo nell’ultimo anno di circa il 14% a fronte di una media nazionale ferma nel 2019 a +1%. “Una tendenza bio – ha detto il direttore del Consorzio tutela vini Valpolicella, Olga Bussinello – cominciata forse un po’ tardi ma che ora non accenna a rallentare, se si considera che anche gli ettari in conversione sono cresciuti nell’ultimo anno del 10,5%”.
Ma a trainare i vigneti green in Valpolicella è soprattutto il progetto RRR (Riduci, Risparmia, Rispetta), la certificazione voluta per le aziende dal Consorzio a tutela dell’ambiente, che prevede l’adozione di tecniche innovative in vigneto ma anche la sostenibilità sociale e la tutela del paesaggio. Anche qui la crescita è in doppia cifra: +31% gli ettari RRR dall’inizio della certificazione, il 2017, a oggi.
Complessivamente, rileva Avepa, in un’area di poco meno di 8.300 ettari Dop, poco meno di 1/4 sono green o lo stanno per diventare ufficialmente dopo il periodo in conversione (dati Sian, Avepa, Consorzio Valpolicella).
Anteprima Amarone 2016 (Verona, Palazzo della Gran Guardia, 1-2 febbraio) vedrà protagonista una delle annate più promettenti degli ultimi anni per il Re di un territorio che vanta un giro d’affari da circa 600 milioni di euro l’anno, per oltre la metà ascrivibile alle vendite del Grande Rosso.
L’economia dell’Amarone nei 19 comuni della Valpolicella è portata avanti da un microcosmo di 2.273 produttori di uve e 272 aziende imbottigliatrici con 373 fruttai destinati all’appassimento – la tecnica enologica candidata a rientrare sotto la protezione Unesco – per un giro d’affari che, secondo l’indagine interna svolta da Nomisma Wine Monitor, nel 2019 sfiora i 345 milioni di euro. Circa 15 milioni le nuove bottiglie di Amarone che entreranno in commercio quest’anno.
Tra le iniziative del Consorzio in tema di monitoraggio, è in arrivo anche la stipula di un protocollo d’intesa con Avepa per la creazione dell’ “Osservatorio Valpolicella“. Un outlook che consentirà di tenere sotto controllo le dinamiche socioeconomiche della filiera.
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TREVISO – “Nessuna nuova costruzione sulle colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, bene Unesco“. Anzi no: possibili alcuni ampliamenti dei vecchi immobili rurali, per accogliere “un milione di turisti nei prossimi 10 anni”. Regna il caos, in Veneto, tra i proclami del presidente Luca Zaia e i tentativi di smentita di Andrea Zanoni (Pd), vicepresidente della commissione Ambiente.
In occasione del convegno di domenica 20 ottobre a Pieve di Soligo (TV) sulle prospettive per il nuovo territorio Unesco, il governatore è stato chiaro: “La mia idea è sempre stata quella di non autorizzare nuove costruzioni per l’ospitalità turistica, ma di valorizzare quanto già esiste”.
La vera sfida urbanistica – ha poi precisato Zaia – sarà catalogare i piccoli immobili rurali presenti e permettere ai loro proprietari di riqualificarli con destinazione turistica. Ricordo che il turismo sarà una delle sfide future, sia sul fronte della sostenibilità e sia della gestione dei flussi”.
“In attesa di partire con il piano di gestione – ha aggiunto il presidente della Regione Veneto – oggi è stata l’occasione per fare il punto della situazione, ringraziare tutti coloro che hanno lavorato per questo ambito traguardo, che vede le Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene inserite nella lista dei Patrimoni dell’Umanità, e dare avvio ad un nuovo percorso identitario sotto l’egida dell’Unesco”.
Di tutt’altro avviso Andrea Zanoni: “Zaia ecosostenibile contro Zaia cementificatore. Sulle Colline del Prosecco stiamo assistendo a un surreale sdoppiamento del presidente della Regione che prova a smentire se stesso e la sua maggioranza consiliare, negando l’evidenza“. Al centro della querelle, la legge numero 29 approvata lo scorso 17 luglio dalla Regione Veneto.
“L’articolo 13 ha come obiettivo principale l’area Unesco, per rilanciare il turismo. La nuova normativa consentirà a chi ha un’attività agricola ampliamenti in deroga a tutti gli strumenti urbanistici e territoriali e ai regolamenti edilizi comunali e addirittura alla legge sul consumo di suolo. Perché Zaia continua a prendere in giro i veneti?”.
“L’emendamento Montagnoli – continua Zanoni – permetterà di trasformare in piccoli alberghi diffusi sul territorio stalle e pollai, porcilaie e fienili o ancora, ricoveri per attrezzi agricoli. Diventeranno costruzioni di tutt’altro genere, comprensive di camere da letto, bagni e cucina per i turisti con una bizzarria unica: non è previsto il cambio di destinazione d’uso dal punto di vista catastale”.
“Al comma 6, sempre secondo quanto riferisce il vicepresidente della Commissione Ambiente del Venento – sono infatti previsti ampliamenti fino a 120 metri cubi per ogni edificio. Perciò un ricovero attrezzi agricoli da 30 metri cubi potrà essere ampliato e diventare un edificio da 150, quintuplicando di fatto la cubatura”.
“Proprio quello di cui aveva bisogno una zona appena dichiarata Patrimonio Unesco”, ironizza infine Andrea Zanoni. Sempre al convegno di Pieve di Soligo, il presidente dell’Associazione temporanea di scopo (Ats), nonché presidente del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg, Innocente Nardi, ha invitato all’unità.
“Il riconoscimento Unesco è motivo di orgoglio non solo del territorio ma italiano. Un riconoscimento per il paesaggio come espressione culturale di una comunità. Un’ulteriore opportunità, questa, per i cittadini del territorio di dimostrare la capacità di fare squadra e lavorare per un unico obiettivo: le colline di Conegliano Valdobbiadene dovranno diventare il salotto culturale di un fenomeno che si chiama Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
VALDOBBIADENE – Ha mantenuto le promesse la vendemmia 2019 del Prosecco Superiore Docg di Conegliano Valdobbiadene. Si tratta della prima raccolta dal riconoscimento a Patrimonio dell’Umanità Unesco per le colline eroiche trevigiane. In cantina, secondo quanto riferiscono i tecnici del Consorzio di Tutela della Docg, sono arrivati “grappoli dall’acidità e dal pH ideale per ottenere un ottimo risultato in bottiglia”. Tanto da far parlare di “una vendemmia davvero eccezionale sul fronte della qualità” per il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg.
L’eccellenza qualitativa della vendemmia 2019 – conferma Innocente Nardi, presidente del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco – premia per la fatica di un anno intero ed è il coronamento di un percorso fatto di impegno ma anche di successi che hanno avuto eco internazionale: a partire dal riconoscimento Unesco, passando per i Cinquant’anni della Denominazione, fino al no al glifosato, che ci ha reso la zona più estesa di Europa a rinunciare al noto fitofarmaco”.
“È stato un mese di lavoro intenso, questo appena trascorso sulle Rive e tra i filari – conclude Nardi – ma per noi viticoltori si tratta del momento più importante dell’anno”.
L’ANDAMENTO DELLA VENDEMMIA 2019
Del resto, la vendemmia 2019 “è cominciata sotto il segno della qualità, già evidente dai rilievi pre-raccolta effettuati dai tecnici del Consorzio di Tutela”. Le uve sono maturate con dieci giorni di ritardo rispetto agli ultimi anni, in linea con la media storica.
La raccolta è avvenuta in condizioni climatiche ideali come ideale è stato il clima primaverile ed estivo che ha permesso la perfetta maturazione dei grappoli, evidenzia il Consorzio. Le condizioni climatiche dell’anno hanno condizionato sia i tempi della raccolta, sia le caratteristiche organolettiche degli acini.
Si registra un pH medio al 3,30 (nel 2018: 3,26) e acidità al 6,55 (nel 2018: 5,92) caratteristiche particolarmente vantaggiose per la produzione di spumanti come il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg.
Per quanto riguarda la quantità raccolta, si evidenzia una diminuzione del 3-5% rispetto all’anno scorso, dovuta alla grandine, che riporta la raccolta nella media degli anni precedenti al 2018.
Dopo un inverno piuttosto fresco, che ha registrato temperature in linea con il periodo, il territorio ha subìto una primavera più fresca e piovosa della media che ha causato un ritardo nel germogliamento e a seguire in tutte le fasi fenologiche.
È seguita un’estate giustamente calda, precisano ancora i tecnici del Consorzio, con un andamento termico tipico della stagione, che ha in parte consentito il recupero fenologico che si era perso nel mese di maggio. Inoltre, anche durante il periodo di raccolto il meteo è stato clemente e ha permesso di portare in cantina grappoli particolarmente sani.
LE ORE DI LAVORO DELLA VENDEMMIA EROICA
Date le caratteristiche del territorio, contraddistinto da pendii molto ripidi e da saliscendi difficilmente accessibili ai macchinari, nel Conegliano Valdobbiadene sono richieste 6/700 ore per ettaro l’anno di lavoro manuale, rispetto alle medie di 150/200 ore lavoro per ettaro delle zone pianeggianti – come quelle del Prosecco Doc – dove la meccanizzazione è avanzata.
Per questo – sottolinea il Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Docg – la vendemmia eroica rappresenta il momento di massima ingegnosità dei viticoltori del territorio”.
La raccolta, come previsto e come di consueto, ha coinvolto prima la zona più orientale, sui versanti maggiormente esposti al sole, come a San Pietro di Feletto, successivamente la zona più centrale della denominazione: come a Refrontolo, Pieve di Soligo, Col San Martino e anche la pregiata zona del Cartizze e infine quella di Valdobbiadene.
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La prima vendemmia sulle colline riconosciute dall’Unesco festeggia l’aumento del 50% delle vendite in Francia che spinge l’export del Prosecco al record storico di sempre sui mercati mondiali, per un valore complessivo di ben 458 milioni nel primo semestre del 2019.
E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti su dati Istat presentata in occasione del distacco del primo grappolo di uva Glera dell’anno per il Prosecco nella Tenuta Astoria a Refrontolo (TV), dopo l’avvenuta iscrizione del sito veneto “Le colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene” nella Lista dei Patrimoni Mondiali dell’Unesco.
Con un aumento del 17% delle esportazioni il Prosecco conquista nel 2019 il primato di vino italiano più consumato all’estero grazie all’alta qualità e capacità produttiva con le pregiate bollicine che – sottolinea la Coldiretti – sono protagoniste di un vero a proprio boom negli Usa.
Gli Stati Uniti, con un aumento in valore del 41%, diventano il principale cliente davanti alla Gran Bretagna e alla Francia mentre al quarto posto si piazza la Germania dove l’aumento è più contenuto (+7%). Ma un incoraggiante aumento del 66% del valore delle vendite si registra anche in Cina dove però la domanda è ancora molto contenuta per la tradizionale preferenza accordata nel gigante asiatico ai vini rossi.
Il gradimento dei cugini d’Oltralpe è significativo del successo conquistato anche nei confronti della concorrenza dello champagne. A pesare sul successo mondiale del Prosecco è però il proliferare nei diversi continenti di falsi di ogni tipo con le imitazioni diffuse in tutti i Paesi, dal Meer-secco al Kressecco, dal Semisecco e al Consecco, ma è stata smascherata le vendita anche del Whitesecco e del Crisecco.
Occorre tutelare le esportazioni di vino Made in Italy di fronte ai numerosi tentativi di banalizzazione delle produzioni nazionali” – ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che – “oltre alla perdita economica, è soprattutto grave il danno di immagine che mette a rischio ulteriori e nuove opportunità di penetrazione dei mercati”.
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Le sedi aziendali distano appena 30 chilometri, percorribili in una quarantina di minuti tra le colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, patrimonio Unesco. Eppure sono diametralmente opposte le politiche di marketing e comunicazione delle cantine venete Col Vetoraz e Carpené Malvolti.
La prima ha ribadito oggi la propria convinzione di “rinunciare definitivamente al termine Prosecco, prediligendo invece ‘Valdobbiadene DOCG’, per applicarlo a tutti gli strumenti commerciali, come packaging o etichette, e a tutte le azioni di comunicazione sia tradizionale che digitale”. Una scelta intrapresa dalla vendemmia 2017.
L’azione intrapresa da Col Vetoraz – evidenzia la cantina di Francesco Miotto, Loris Dall’Acqua e Paolo De Bortoli (nella foto) – è a difesa di un’identità territoriale unica e non confondibile, costruita in anni di lavoro scrupoloso e appassionato, di ascolto e adattamento ai cicli naturali puntando all’eccellenza che oggi è il fiore all’occhiello di questa realtà di Santo Stefano di Valdobbiadene”.
Di tutt’altro avviso Carpenè Malvolti. A metà settembre partirà infatti il tour internazionale per la presentazione del “1924 Prosecco“, l’ultima declinazione del Prosecco Superiore Docg firmato dalla storica casa spumantistica di Conegliano.
Una “bollicina” voluta per celebrare il 95° Anniversario dalla prima iscrizione in etichetta del termine “Prosecco”, avvenuta proprio nel 1924 per mano della seconda Generazione dei Carpenè, Etile.
Nell’attuale selezione, unica e prima ottenuta per il 90% da uve Glera e per il restante 10% da altri storici vitigni a bacca bianca del Territorio Trevigiano – spiegano i referenti della cantina – la Carpenè Malvolti ha scelto di riproporre i canoni qualitativi e sensoriali in linea con le caratteristiche del vino originario”.
LA POSIZIONE DI COL VETORAZ
Sarà il mercato a dire chi avrà compiuto la scelta migliore. Dal canto suo, Col Vetoraz parla di “una scelta coraggiosa, pienamente consapevole pur se non facile, con un obiettivo chiaro e significativo: rimarcare il valore della propria identità territoriale e diffondere un messaggio chiave che, ora più che mai, diventa necessario far arrivare al pubblico di consumatori italiano ma anche estero”.
Noi produciamo ciò che siamo – affermano in casa Col Vetoraz – e in ogni calice di spumante si trovano tutte le nostre radici, di una terra che ci ha visto nascere ed evolvere fino ad arrivare a produrre 1.200.000 di bottiglie”.
“Quella delle colline del Conegliano Valdobbiadene – continua la casa spumantistica di Valdobbiadene – è una storia secolare che improvvisamente, nel 2009, ha ricevuto un violento scossone. Per una scelta esclusivamente di natura politico-economica, Prosecco da quel momento non è più la vite che ottocento anni fa ha trovato qui dimora ideale, ma è diventata una denominazione estesa su nove province tra Veneto e Friuli”.
Territori privi di storia – continua Col Vetoraz – dove la coltivazione della vite non è tramandata di generazione in generazione dalla sapienza dei vecchi, ma ha assunto una visione prettamente industriale”.
Tutto ciò, sempre secondo quanto afferma la cantina attraverso un comunicato stampa diffuso in mattinata, “ha generato una situazione caotica, dove la semplice distinzione tra ‘Prosecco’ (vino prodotto nei territori creati nel recente 2009) e ‘Prosecco superiore’ (vino prodotto sulle colline storiche di Valdobbiadene e Conegliano) non è sufficiente per trasmettere in modo chiaro una precisa identità“.
Col Vetoraz rincara poi la dose. “Oggi la parola ‘Prosecco’ è diventata generalizzante, col rischio reale di banalizzare e cancellare la secolare storia e vocazione delle colline di Valdobbiadene e Conegliano”.
“Le colline che si estendono tra Valdobbiadene e Conegliano – ricorda Col Vetoraz – da più di ottocento anni ospitano la coltivazione della vite. La storia di un vino, soprattutto se di origine antica, è intimamente legata non solo alla terra che lo produce, ma anche agli uomini e alle donne che con esso sono cresciuti”.
“Terra, clima, vino, costumi, tradizioni: in tutto questo sta il vero significato di terroir. Solo rispettando l’integrità originaria infatti si possono mantenere gli equilibri naturali, l’armonia e l’eleganza”.
IL TOUR DI CARPENÈ MALVOLTI
Proprio alle origini dello spumante delle colline trevigiane vuole tornare anche Carpenè Malvolti, con “1924Prosecco“. Su tale premessa si è quindi costruito il tour internazionale per la presentazione della selezione, che prenderà avvio il prossimo 13 settembre da Londra, con un evento per il debutto ufficiale nel Regno Unito.
I successivi appuntamenti si terranno nei principali mercati della casa di Conegliano. Il primo è previsto in Canada, dal 17 al 19 settembre, dove saranno toccate le città di Ottawa, St. Cathrines e Toronto. A fine Ottobre sono quindi previste le tappe in Florida, New York City, California ed Illinois.
Si proseguirà in diversi Paesi Europei tra cui naturalmente l’Italia, il Belgio e la Francia. Il tour di Carpenè Malvolti continuerà ancora nel mese di novembre, con tre appuntamenti in altrettanti Paesi dell’Asia e dell’Oceania. Approderà infatti a Seoul in Korea, a Tokyo in Giappone per poi concludersi a Sidney, in Australia.
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Dopo più di quarant’anni di attività, Merotto ha inaugurato sabato 7 settembre il “Merotto Space“. Una vera e propria finestra sulle colline del Prosecco Superiore di Conegliano Valdobbiadene, divenute patrimonio Unesco.
Non solo un punto vendita, ma uno spazio in cui accogliere i visitatori, enoturisti, winelover e clienti abituali, in modo informale e coinvolgente. Merotto Space, a Col San Martino (TV), nasce in una vecchia casa contadina in pietra locale, risalente a circa 200 anni fa.
Un progetto di recupero in linea con la direttiva della Regione Veneto, che non prevede nuove edificazioni nell’area ma una riconversione e riqualificazione di strutture già esistenti: le tipiche case coloniche tradizionalmente composte da un unico ambiente in cui abitazione, stalla e fienile erano integrati in un unico edificio.
IL MEROTTO SPACE
Una struttura collegata alla storica cantina di vinificazione, attraverso un sentiero di poche centinaia di metri, che attraversa le vigne. Al piano inferiore un piccolo ma completo show room e un angolo adibito a wine bar. Luogo dal design minimal e pulito, in cui conoscere ed acquistare i prodotti aziendali.
Al piano superiore una grande sala degustazione e ricevimenti; un ambiente unico e spazioso con grandi vetrate ai lati in cui la vista apre sulle colline vitate italiane che danno vita allo spumante italiano più bevuto al mondo. Un unicum visivo in cui il “dentro” ed il “fuori” si fondono coinvolgendo il visitatore a 360 gradi.
È Graziano Merotto, patron e fondatore dell’azienda, a fare gli onori di casa e ad introdurre alla degustazione delle etichette della cantina. Sguardo sereno, sorriso appena accennato, ma nel quale leggi grande apertura d’animo.
Mani grandi, dalla stretta possente ma accogliente. Una storia che parte da lontano la sua, legata al territorio come le radici di quelle viti che fanno l’occhiolino da sotto la pioggia.
Diploma alla Scuola Enologica di Conegliano e una avventura che inizia nel 1972, quando Graziano Merotto fonda la sua cantina, anche se l’amore per la terra gli era già stato trasmesso tempo addietro, dal nonno Agostino.
Già l’anno seguente, nel 1973, l’acquisto di un appezzamento, la Particella 86, ancora oggi fiore all’occhiello dell’azienda. Anni a produrre vini col fondo a rifermentazione naturale in bottiglia, rigorosamente da uve Glera, fino all’introduzione, nel 1979, della prima autoclave in azienda.
Sempre con un obiettivo, allora come oggi – ci tiene a precisare Graziano Merotto – che è quello di fare un prodotto di una certa qualità…”
Un totale di 600 mila bottiglie annue, divise fra le varie etichette commercializzate al 70% sul mercato italiano. L’estero si concentra in Europa, Stati Uniti e Russia con una recente apertura verso Giappone e Messico.
Trenta ettari, suddivisi in 9 località differenti (tutte collinari), croce e delizia di questa realtà come dice Mark Merotto enologo della cantina. La fortuna di poter vinificare da areali diversi, la sfortuna di non poter gestire tutto in un’unica soluzione.
Alle uve di proprietà si affiancano quelle acquistate dai conferitori, seguiti dallo stesso perito agrario per garantire uniformità qualitativa. Parlare con Mark è un modo per conoscere non solo la realtà di Merotto ma anche le differenze e le sfumature di un territorio spesso non compreso fino in fondo dal consumatore.
Diventa così chiaro come forse sarebbe più corretto parlare “dei Prosecchi” più che “del Prosecco“. Perché sono profonde le differenze fra le uve e i vini prodotti in pianura e quelli prodotti nell’area collinare e prealpina (quella ormai famosa come patrimonio Unesco).
Differenze legate a terreni, clima, età delle viti, tecniche di coltivazione e raccolta. Differenze fondamentali che generano, inevitabilmente, vini diversi. Non solo macro differenza fra collina e pianura, ma anche micro differenze fra i vari mappali in collina.
Ecco quindi la scelta di Merotto di vinificare separatamente per zona di provenienza delle uve. Macerazione pellicolare direttamente in pressa per evitare l’intervento di organi meccanici, decantazione statica e 30 ora di ossidazione.
Il tutto alla ricerca della pienezza del frutto e dei suoi sentori. Differenze di terroir, tecniche di vinificazione e scelte produttive che ci attendono al varco perchè, al solito, è “il calice” ad avere l’ultima parola.
LA DEGUSTAZIONE Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Brut 2018 “Integral”. Ultimo nato in casa Merotto, presentato a Vinitaly 2019, rappresenta la sfida delle cantina nel voler produrre un Prosecco dallo scarsissimo residuo zuccherino: solo 2,7 g/l, praticamente un Pas Dosè. Integaralmente Glera da un unico vigneto di oltre 40 anni, fermentazione in autoclave di 60 giorni ed ulteriori 120 giorni di permanenza sui lieviti per cercare struttura anche in assenza di zuccheri aggiunti.
Paglierino e brillante ha naso fresco e floreale ma è in bocca che da il meglio di se dove si dimostra più ricco e generoso. Perlage piacevole, quasi croccante, un buon retro nasale di frutti bianchi ed un chiusura sapida e minerale che le rendono pericolosamente beverino.
Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Brut “Bareta”. Espressione Brut (8 g/l) della gamma Merotto prende il nome da un nomignolo locale, essendo “Merotto” un cognome assai comune in zona. Si presenta delicato al naso con note di fiori bianchi ed un piacevole fruttato di mela verde. Sapido e ben equilibrato, aromatico quanto basta, è una bolla che può trovare piacevole collocazione a tavola.
Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Extra Dry “Colbello”. Extra Dry “alto” da 16 g/l è forse quello che nell’immaginario collettivo è l’idea del “Prosecco”. Delicato al naso e dai sentori primaverili, dal sapore abboccato quel tanto da non essere stucchevole. Morbido e non molto persistente incarna il concetto di “aperitivo”, di “vino dell’accoglienza”.
Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Extra Dry 2018 “Castè”. Nome preso dalla zona di produzione nota come “Colle il Castello”, collina dalle forti pendenze in cui la Glera ha ricavato il proprio spazio vitale. Extra Dry “basso” (12 g/l) è ottenuto con un’unica vinificazione. È il mosto infatti ad essere direttamente vinificato in autoclave eseguendo in un unica ripresa vino base e presa di spuma.
Più pieno di Colbello, più coinvolgente col suo naso più intenso dai vivi richiami alla mela golden ed alla pera matura. Facile e scorrevole al sorso ha un buon corpo ed una viva acidità che maschera piacevolmente il residuo zuccherino. Piacevole ed ordinata la persistenza.
Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Dry 2018 “La Primavera di Barbara”. Dedicato alla figlia di Graziano, Barbara per l’appunto, si compone al 90% di Glera ed al 10% di Perera. Un Prosecco dall’importate residuo zuccherino di 21 g/l pensato per essere morbido ed avvolgente. E cosi è, con profumo dolci di frutta matura ed un sorso in cui è la morbidezza a vincere sull’acidità senza però sforare nella grassezza, senza perdere di nerbo.
Valdobbiadene Prosecco Superiore di Cartizze Docg Dry 2018. Vellutato e fragrante come un Cartizze deve essere se la gioca sulle note di pesca e pera Williams. Viva freschezza che sposa i 26 g/l rendendolo largo ma non pastoso ne tanto meno stucchevole.
LA VERTICALE DI “CUVEE DEL FONDATORE” Vino emblema della volontà di Graziano Merotto di creare un Prosecco d’alto livello, un brut che non abbia nulla da invidiare ai più blasonati Metodo Classico. Anni di prove e ricerche culminati nella prima vendemmi utile nel 2009, proprio l’anno di creazione della Docg.
Le uve provengono da un unico vigneto, proprio quella Particella 86 proprietà aziendale dal 1973 e parte della storia della cantina. Uve che subiscono un processo particolare di maturazione noto come DMR (Doppia Maturazione Ragionata), una tecnica nata in Nuova Zelanda e qui adottata ed adattata alla Glera.
In sintesi il 20 giorni prima della vendemmia il 20% dei tralci viene reciso lasciando però i grappoli in pianta. Questi grappoli subiscono così un leggero processo di appassimento concentrando gli aromi senza però perdere di acidità.
Il restante 80% dei grappoli per contro matureranno ricevendo più sostanze nutrienti dovendo la pianta “distribuirle” a 20 grappoli su 100 in meno. Una doppia maturazione che porta le uve allo stato ideale per un processo di vinificazione e presa di spuma in unico passaggio, direttamente da mosto come per Castè.
Lunga giacenza sui lieviti per arricchire il vino grazie all’auto lisi, dosaggio di 6,9 g/l ed un contenuto di solforosa fra i più bassi (inferiore agli 80 g/l) per un Prosecco che si accinge a sfidare il tempo. Cinque le annate proposte: 2018, 2016, 2014, 2012, 2010.
Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Brut “Cuvée del Fondatore” 2018. Figlio di un’annata climaticamente “normale” è un Prosecco potente, aromatico, ricco. Colpisce subito al naso mostrando non solo una certa presenza di aromi ma anche una leggera nota verde, acerba, che fa subito pensare che si tratti ancora di “un bambino”. Sensazione confermata in bocca dove l’acidità seppur non fastidiosa risulta viva e quasi “dura”.
Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Brut “Cuvée del Fondatore” 2016. L’annata si rivelò un poco calda sul finale in generale dall’andamento regolare. In questo calice tutta la potenza e l’eleganza che la Glera può offrire.
Il colore leggermente più marcato rispetto al ’18 e gli aromi vivi e freschi di frutta bianca ed agrumi confermano l’impressione precedente: forse questo Fondatore ha bisogno un paio d’anni di bottiglia per potersi esprimere al meglio, a dispetto di ciò che solitamente si dice dei prosecchi.
Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Brut “Cuvée del Fondatore” 2014. Annata notoriamente difficile, bestia nera per la maggior parte di vignaioli ed enologi specialmente da queste parti. Ne risulta il vino più minerale della batteria carico di quelle note che i sommelier amano definire di “pietra focaia” o “idrocarburo”. Nonostante tutto morbido ha una chiusura di sorso lievemente amaricante.
Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Brut “Cuvée del Fondatore” 2012. Caratterizzata da un ritardo in fioritura, come il 2019, l’annata ha generato il vino più coinvolgente della batteria. Naso ricco di note evolute come miele d’acacia e frutta molto matura con una leggera nota di marmellata d’arancia. Rotondo in bocca ma supportato da una buona acidità e da grande mineralità che donano una verticalità non trascurabile. La prova provata che anche un Prosecco può invecchiare e può farlo bene.
Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Brut “Cuvée del Fondatore” 2010. Al naso risulta un po’ stanco, come se si stesse approntando alla sua parabola discendente. Ricco di note mielose e fruttate non ha difetti o cattivi sentori ma manca un pizzico di slancio. In bocca invece si mantiene vivo. Le note terziarie donano calore e rotondità, la freschezza resta presente anche se meno vivace. Piacevolissima la persistenza.
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EDITORIALE – Altro che italian sounding, italian fake, Glera brasiliana, siciliana o australiana. I nemici più temibili del Prosecco di qualità superiore potrebbero annidarsi proprio nella culla, il Veneto. È quanto rischia di suggerire l’ultima “trovata” della casa vinicola Antonio Facchin & Figli – Vitivinicoltori dal 1870 di San Polo di Piave, in provincia di Treviso.
La cantina, sull’onda del recente riconoscimento Unesco alle colline di Conegliano e Valdobbiadene, ha pubblicizzato una propria etichetta di Prosecco Doc – dunque non Docg, unica tipologia coinvolta per zona di produzione dal world heritage – come frutto “di una viticoltura eroica tra le colline da poco patrimonio dell’Unesco“.
L’occasione di quello che solo indossando lenti “buoniste” può essere considerato un ingenuo epic fail è la 76a Rassegna del Cinema di Venezia, ovvero la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica in programma dal prossimo 27 agosto al 7 settembre 2019, sotto l’egida della Biennale di Venezia.
LO SPOT INCRIMINATO
“Brindiamo al grande cinema italiano!”, recita la pubblicità della cantina Antonio Facchin 1870. “Orgogliosi di rappresentare il territorio alla 76a Rassegna del Cinema di Venezia con il Prosecco frutto di una viticoltura eroica tra le colline del Prosecco da poco patrimonio dell’Unesco”.
“Da queste uve, grazie ad una tradizione secolare unita a tecnologia e ricerca continua, otteniamo la bollicina italiana più famosa del mondo, partner ideale per i momenti di festa e allegria di qualsiasi occasione”, si legge ancora sul manifesto pubblicitario della cantina trevigiana.
Il tutto corredato dalla fotografia della bottiglia di Prosecco Doc Treviso Millesimato Brut “Dalla Balla nob. Giuseppina“, prodotto appunto fuori dalla zona Unesco, che interessa esclusivamente il Prosecco Superiore Docg (Conegliano Valdobbiadene).
Un po’ come se un produttore di Langa, alla Mostra internazionale del Tartufo di Alba, parlasse delle qualità strepitose del Barolo, scegliendo però la fotografia di un’etichetta di Nebbiolo. Fuorviante, no?
I DATI
Del resto, come riferisce Coldiretti, sono bastate le voci dell’ormai prossimo riconoscimento a far impennare le vendite di Prosecco (soprattutto nella tipologia Doc) nel mondo, già da inizio anno.
In particolare, l’aumento record si è assestato sul 21% in valore nel 2019 sui mercati esteri, dove il Prosecco è il vino Made in Italy maggiormente esportato. Tocca ora ai Consorzi di tutela delle Docg del Prosecco spiegare le differenze tra una tipologia e l’altra, partendo proprio – secondo noi – dai mercati nazionali.
Perché non sfruttare, per esempio, la potenza di fuoco del canale Gdo, in termini di capillarità sul suolo nazionale e contatto diretto con gli acquirenti finali? Per evitare figuracce internazionali e incrementare il valore dell’export serve maggiore consapevolezza in Italia, a partire dai luoghi (i supermercati, per l’appunto) dove viene acquistato il 90% del vino in bottiglia. Cin, cin.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
L’Unesco fa bene al Prosecco. L’aumento record del 21% delle vendite in valore nel 2019 sui mercati esteri, dove il Prosecco è il vino Made in Italy maggiormente esportato, è la diretta conseguenza del riconoscimento da parte dell’Unesco alle bollicine italiane più popolari. A guadagnarci, infatti, è anche la Doc.
È quanto sottolinea il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nell’annunciare l’avvenuta iscrizione del sito veneto “Le colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene” nella Lista dei Patrimoni Mondiali dell’Unesco, approvata nel corso 43esima sessione dal World Heritage Committee riunito a Baku, capitale dell’Azerbaijan.
“Un risultato atteso – commenta il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – che riconosce l’importanza di un territorio dallo straordinario valore storico, culturale e paesaggistico in grado di esprimere una produzione che ha saputo conquistare apprezzamenti su scala mondiale”.
Delle 464 milioni di bottiglie Doc vendute lo scorso anno, prodotte su oltre 24 mila ettari di vigneti tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, circa 2 su 3 sono state vendute all’estero dove la Gran Bretagna è di gran lunga il Paese che ne consuma di più.” La produzione della Docg – continua Prandini – è intimamente connessa con le caratteristiche del territorio e del meraviglioso paesaggio delle Colline del Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene”.
PRIMATO RAFFORZATO
L’iscrizione delle colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, rafforza il primato dell’Italia che vanta il maggior numero di siti riconosciuti a livello mondiale, ma il Belpaese può contare anche su molti tesori iscritti nella Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’Unesco.
Come l’Opera dei pupi (iscritta nel 2008), il Canto a tenore (2008), la Dieta mediterranea (2010) l’Arte del violino a Cremona (2012) le macchine a spalla per la processione (2013) e la vite ad alberello di Pantelleria (2014).
E ancora: l’arte dei pizzaioli napoletani (2017), la Falconeria, iniziativa cui l’Italia partecipa assieme ad altri 17 Paesi e dal novembre 2018 l'”Arte dei muretti a secco” sulla base della candidatura avanzata dall’Italia con Croazia, Cipro, Francia, Grecia, Slovenia, Spagna e Svizzera.
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Dal 6 al 9 giugno si terrà l’ottava edizione di Barolo Boys in…Fuorigioco, la manifestazione organizzata dai Barolo Boys. Un incontro di una delle più raffinate produzioni vitivinicole italiane, quella del Barolo di Monforte d’Alba, con altre importanti realtà produttive del mondo del vino italiano e straniero. Fra partite di calcio, momenti di approfondimento e cene gourmet.
Protagonisti dell’incontro vitivinicolo dell’ottava edizione della manifestazione tre grandi vini: due Docg piemontesi, l’Alta Langa e l’Erbaluce di Caluso e una DOC emiliana, il Romagna Sangiovese. Ma non solo: la quattro giorni monfortina sarà anche occasione per approfondire i temi della cultura del vino e dintorni.
Il programma si apre giovedì 6 giugno al campo sportivo di Gallo Grinzane alle ore 20 con la tradizionale sfida amichevole internazionale fra i Barolo Boys e i Danese Wine Boys: la squadra di calcio di casa affronta la compagine di ex calciatori professionisti danesi.
Venerdì 7 giugno, sulla magnifica terrazza del Moda Ristorante Venue di Monforte d’Alba è in programma la cena dei Campioni che consentirà a tutti gli ospiti di sedere a tavola con i vignaioli presenti alla manifestazione e assaporare insieme a loro i piatti della tradizione, cucinati da quattro grandi chef, abbinati ai grandi vini protagonisti dell’evento.
Il primo antipasto sarà preparato da Sara Bordin, la chef padrona di casa che guida il team di cucina del Moda Ristorante Venue, il secondo antipasto sarà cucinato da Mariangela Susigan, chef del Ristorante Gardenia di Caluso (una stella Michelin).
Massimiliano Mascia, chef del Ristorante San Domenico di Imola, 2 stelle Michelin, cucinerà il primo piatto, il secondo piatto, che accompagnerà i Barolo padroni di casa, sarà cucinato da Valerio Arione, chef del Ristorante I Rebbi di Monforte. Infine il dessert sarà preparato dal pasticcere Federico Molinari del Laboratorio di Resistenza Dolciaria di Alba.
Sabato 8 giugno dalle 11 alle 18 nel borgo antico di Monforte d’Alba tra il Moda Ristorante Venue e Le Case della Saracca il cuore della manifestazione. Sarà infatti possibile partecipare ad un percorso di degustazione dei grandi vini protagonisti di Barolo Boys in…Fuorigioco accompagnato da un’accurata selezione di formaggi, salumi e altre specialità delle Langhe (il costo è di 40 euro).
Grande novità dell’anno saranno tre brevi master class, aperte al pubblico e ai produttori presenti, per scoprire territori, vitigni e caratteristiche organolettiche dei vini protagonisti di questa edizione.
Accanto alle tradizionali degustazioni tre master class arricchiranno il programma e forniranno informazioni sui tre territori, e i tre vini, ospiti: la storia, le tradizioni, la cultura e l’innovazione che li contraddistingue, gli stili di vinificazione.
Il racconto sarà affidato a tre dei produttori presenti: per l’Alta Langa alle ore 12 sarà Valter Bera, titolare della storica cantina di Neviglie, dell’Erbaluce di Caluso alle ore 13 si occuperà Camillo Favaro (anche autore di libri dedicati alla Borgogna e al Lambrusco) mentre Cristina Gemignani, agronoma proprietaria della Fattoria Zerbina, parlerà del Romagna Sangiovese alle ore 14.
Le lezioni sono gratuite e si terranno all’interno del percorso di degustazione, negli spazi dedicati ai tre vini ospiti. Tra i vari stand che accompagnano il visitatore, ci sarà uno spazio che ospiterà i quadri di Ryta Barbero, la pittrice torinese che dipinge con il vino. Accanto al Barolo dei produttori monfortini si degusteranno quest’anno tre straordinari vini italiani.
I VINI
Si inizia con le bollicine piemontesi: l’Alta Langa prodotto nelle province di Cuneo, Asti e Alessandria, su terreni che si trovano alla destra del fiume Tanaro. È uno spumante millesimato di uve Pinot Nero e Chardonnay prodotto seguendo il metodo classico. Nonostante sia nato nell’Ottocento, ha ottenuto la DOCG solo nel 2011 dopo che alcuni vignaioli avevano ricominciato a produrlo cercando innanzitutto la qualità.
Dal Piemonte del Nord arriva l’Erbaluce di Caluso, prodotto dall’omonimo vitigno autoctono a bacca bianca, nell’area collinare delle province di Torino, Vercelli e Biella. Questo vino vanta una storia antica, deve il suo nome ad una leggenda mitologica, è stato tra i primi vini ad ottenere la DOC nel 1967, dal 2010 è una delle 17 DOCG piemontesi.
E per chiudere il Romagna Sangiovese DOC, vino rosso prodotto tra il mare e gli Appennini nelle province di Forlì-Cesena, Ravenna, Rimini e Bologna. Il Sangiovese, coltivato su 70mila ettari, è il vitigno più diffuso in Italia che qui assume un “carattere schietto e ruvido ma al contempo delicato e aperto”, proprio come i romagnoli.
Quante cose possono avere in comune il calcio e i migliori vini del mondo? I Barolo Boys sanno che la risposta è passione, impegno, dedizione. Con tanto coraggio e un pizzico di follia.
Il programma dell’edizione 2019 si chiude con l’ormai classico incontro con uno degli “intramontabili” ovvero i personaggi straordinari con i quali i calciatori-produttori di Barolo di Monforte hanno costruito un olimpo di grandi sportivi e di grandi vignaioli.
Domenica 9 giugno alle 18 nella Chiesa di Sant’Agostino sarà il leggendario “uomo di Langa” Giacomo Oddero a dialogare con il giornalista Gigi Garanzini. Oddero, novantatré anni portati con disinvoltura, è stato capace di coniugare l’impegno nella storica cantina di famiglia, la Poderi e Cantine Oddero di La Morra, con la professione di farmacista e i molti ruoli nella pubblica amministrazione.
Soprattutto, è stato uomo di straordinarie intuizioni, da quella che diede vita all’Acquedotto delle Langhe alla nascita del Centro Nazionale Studi sul Tartufo di Alba. E poi la certificazione delle DOC e la regolamentazione di altri prodotti tipici del territorio, in particolare i formaggi e la nocciola.
Senza contare i 15 anni durante i quali, ricoprendo l’incarico di Presidente della Fondazione CRC, ha contribuito alle attività di associazioni di volontariato operanti nel campo sanitario, di protezione dei beni artistici e di eventi culturali, dando così un formidabile impulso allo sviluppo del nostro territorio.
Quello di Giacomo Oddero è il racconto di un periodo pionieristico che ancora oggi è il fondamentale punto di partenza per i paesaggi vitivinicoli di Langa, patrimonio mondiale UNESCO e top in travel 2019 per le guide Lonely Planet.
Introdurrà l’incontro, dopo il saluto inaugurale del sindaco di Monforte Livio Genesio, il presidente della CIA di Cuneo, Claudio Conterno. Al termine sarà offerto un aperitivo che sigillerà l’ottava edizione della manifestazione Barolo Boys in… fuorigioco e fisserà l’appuntamento per la prossima: dal 28 al 31 maggio 2020.
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Si definisce il vino “più bello del mondo” l’Orcia Doc, denominazione di origine controllata che rappresenta i produttori del territorio della Val d’Orcia, patrimonio Unesco dal 2004, proprio per la sua bellezza unica.
Queste terre saranno nuovamente protagoniste, dal 25 al 28 aprile ,dell’Orcia Wine Festival, giunto ormai alla sua decima edizione.
La manifestazione, destinata a winelovers, famiglie anche con bambini piccoli al seguito, amanti dei viaggi e del buon vivere avrà come leit motiv la “Francigena di Vino”, il pellegrinaggio per antonomasia di questi territori, meta da sempre di molti turisti ed enoturisti.
IL PROGRAMMA In programma il 25 aprile una conferenza a cura di Giampietro Comolli, fondatore dell’Osservatorio Vini Spumanti Effervescenti, in cui si parlerà di come è cambiato il mondo degli spumanti in crescita vertiginosa, anche in vista del cambiamento di disciplinare dell’Orcia Doc.
Il 26 Aprile sarà la volta del campione italiano dei sommelier Ais, Simone Loguercio che guiderà una degustazione sull’eleganza del Sangiovese nel territorio dell’Orcia Doc.
Ma l’Orcia Wine Festival è anche mostra mercato promossa dal Comune di San Quirico d’Orcia, in collaborazione con il Consorzio del Vino Orcia e Onav Siena. Quest’ultima curerà le degustazioni guidate nelle suggestive sale seicentesche di Palazzo Chigi Zondadari, con i vini di oltre 20 aziende del territorio ai banchi di assaggio.
Tra gli eventi collaterali cene tematiche nei ristoranti del territorio, trekking urbano sulla Francigena, cortometraggi, laboratori culinari per i più piccoli e l’esposizione di auto d’epoca lungo la Francigena.
Naturalmente saranno anche possibili visite in cantina in bici ed anche in treno a vapore in partenza da Siena verso San Quirico.
ORCIA DOC E VAL D’ORCIA Le uve che danno i vini della denominazione sono in gran parte coltivate in Val d’Orcia, zona che registra mediamente ogni anno 1,4 milioni di presenze turistiche, con un milione di escursionisti.
Non a caso il 65% delle aziende vitivinicole dell’Orcia Doc è impegnata nell’ospitalità con agriturismi o servizi di ristorazione.
I NUMERI DELLA DOC Nata nel febbraio del 2000, l’Orcia Doc raccoglie nella sua area di produzione dodici comuni a sud di Siena (Buonconvento, Castiglione d’Orcia, Pienza, Radicofani, San Quirico d’Orcia, Trequanda, parte dei territori di Abbadia San Salvatore, Chianciano Terme, Montalcino, San Casciano dei Bagni, Sarteano e Torrita di Siena).
Il disciplinare di produzione prevede la tipologia Orcia (uve rosse con almeno il 60% di Sangiovese), l’Orcia Sangiovese (con almeno il 90% di Sangiovese) entrambe anche con la menzione Riserva per prolungato invecchiamento (rispettivamente 24 e 30 mesi tra botte di legno e bottiglia). Fanno inoltre parte della Doc anche il bianco, il rosato e il Vin Santo.
Sono 153 gli ettari di vigneti dichiarati su un totale potenziale di 400 ettari. La produzione media annua si attesta intorno alle 240 mila bottiglie realizzate dalle circa 60 cantine nel territorio di cui oltre 40 socie del Consorzio di tutela che dal 2014 ha l’incarico di vigilanza e promozione Erga Omnes nei confronti di tutti i produttori della denominazione.
Il Consorzio di tutela si occupa di promuovere la denominazione attraverso varie azioni, tra cui anche eventi territoriali come l’Orcia Wine Festival.
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CASTAGNOLE MONFERRATO – Montalbera, storica azienda vitivinicola situata tra Monferrato e Langhe, da sempre di proprietà della Famiglia Morando e guidata oggi da Franco Morando ha un nuovo Direttore Commerciale Italia, Vincenzo Serbello.
Quest’ultimo dopo una lunga esperienza nel settore Ho.re.ca Italia, ha ricoperto negli ultimi dieci anni ruoli manageriali per alcune delle più prestigiose aziende vitivinicole italiane tra cui Contratto, Fontanafredda, Mionetto e Barone Ricasoli.
“Con l’inserimento di un manager di alto profilo ed una migliore organizzazione” ha dichiarato Franco Morando “possiamo affrontare con maggiore incisività le nuove sfide in un mondo profondamente cambiato. Abbiamo tutti gli strumenti adeguati per farlo e lo faremo”.
L’AZIENDA MONTALBERA Nata all’inizio del ventesimo secolo, l’azienda vinicola Montalbera si trova in un territorio compreso tra i sette comuni del Monferrato astigiano con al centro Castagnole Monferrato.
Di proprietà della famiglia Morando da sei generazioni, si pone di diritto tra le grandi realtà vinicole del Piemonte con il più grande numero di ettari accorpati in un unico appezzamento. Due le proprietà: 160 ettari a Castagnole Monferrato, in un territorio dichiarato da Unesco Patrimonio dell’Umanità e 15 ettari a Castiglione Tinella in Langa.
Dal 2003 si dedica alla valorizzazione del vitigno autoctono Ruchè, principale interprete, propria icona e uno dei motori di crescita sul mercato nazionale e internazionale. Tra i principali vini prodotti dall’azienda il Ruchè di Castagnole Monferrato Docg Laccento, il vino Barbera d’Asti Superiore Docg Nuda e il Grignolino d’Asti DOC Lanfora.
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