La piccola (ma solo per dimensioni) cantina italiana Villa Corniole ha battuto in tribunale nientemeno che il colosso francese Barons de Rothschild (Lafite). I francesi avevano portato in corte i trentini per via del nome fittizio di uno dei loro Pinot Nero: “Sagum” avrebbe imitato la linea di Bordeaux “Saga R”. Il giudice ha però dato ragione all’azienda italiana. Stabilendo che «non c’è alcun rischio di confusione tra le due etichette, da parte dei consumatori». Il nome “Sagum”, d’altro canto, deriva da “Jugum” – poi traslato appunto in “Sagum” – antico nome con cui veniva identificato il comune di Giovo, in cui vengono coltivate le uve Pinot Nero di Villa Corniole. Domaines Barons de Rothschild (Lafite) dovrà pagare le spese legali del procedimento, per un ammontare che sfiora i 4 mila euro.
«Dopo un lungo percorso – commenta la cantina guidata da Maddalena Nardin – possiamo dire che la nostra piccola cantina vince finalmente il ricorso contro il colosso francese che contestava il nome del nostro Pinot Nero Sagum. È stato difficile, ma la giustizia ha prevalso. Continueremo a produrre il nostro vino con lo stesso amore e impegno, fieri di portare avanti il nostro nome. Tutto questo ci insegna che a volte anche Davide può vincere contro Golia, il piccolo può vincere contro il colosso. Non ci resta che brindare a questo trionfo, che ci rende ancora più orgogliosi delle nostre radici e del nostro territorio cembrano. Ringraziamo di cuore lo studio legale Botteon che ci ha assistiti al meglio in questo percorso».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
«Auguri di Natale» inattesi e amari per Terre d’Oltrepò. Attraverso una “lettera di auguri”, l’ex presidente Andrea Giorgi comunica all’attuale dirigenza della cooperativa oltrepadana la sentenza del Tribunale di Milano che annulla la querela mossa nei suoi confronti dal Cda e cancella la delibera di esclusione da socio votata all’unanimità nel mese di luglio.
«Sono felice della sentenza del Tribunale di Milano che annulla la delibera del consiglio di Amministrazione di Terre d’Oltrepò e impone la mia reintegrazione nella Compagine sociale. Il Tribunale – commenta l’ex presidente Andrea Giorgi – ha accolto completamente le richieste portate avanti dai miei legali e ha fatto emergere come la decisione consigliare fosse unicamente una persecuzione nei miei confronti».
Ringrazio i miei avvocati per la loro professionalità e tutti i numerosi soci che mi sono restati vicini in questi mesi. Con forza in questi anni ho difeso gli interessi di Terre d’Oltrepò come Presidente, ora, con altrettanta forza difendo e difenderò i miei interessi.
È molto Triste che in un momento cosi difficile il consiglio di amministrazione di Terre d’Oltrepò sperperi denari in improbabili cause nei miei confronti quando la cooperativa attraversa un duro momento sotto tutti i punti di vista».
«In particolare – conclude Andrea Giorgi – il mio pensiero va ai dipendenti a cui viene imposto un contratto di solidarietà che, in linea con altre discutibili decisioni, segnerà in negativo le sorti della cooperativa. Con l’occasione porgo a tutti i miei auguri di Buon Natale».
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FOTONOTIZIA – Dopo il caso della cantina toscana, scagionata dall’accusa di aver copiato la bottiglia dorata, un’altra tegola per Bottega nelle aule dei tribunali. L’azienda trevigiana fa sapere di aver «preso atto con perplessità ed amarezza del proscioglimento della ditta Santero», potata in giudizio da Sandro Bottega per aver «copiato Petalo Moscato Vino dell’Amore, marchio storico dell’azienda Bottega, con il vino spumante Moscato Tempo».
«Il reato di utilizzo di segni ingannevoli ex art. 517 CP risulta essersi prescritto», evidenzia il patron della cantina veneta, commentando le motivazioni della sentenza della Cassazione Penale. Un caso iniziato nel marzo 2012 con la denuncia da parte di Bottega e oggi giunto all’epilogo.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
FOTONOTIZIA – Si è conclusa dopo sette anni la disputa legale tra Bottega e una cantina toscana, accusata di aver imitato le note bottiglie “gold” di Prosecco. Il Tribunale di Pistoia ha assolto con formula piena il presidente della cantina toscana.
È stato inoltre disposto il dissequestro di tutte le bottiglie sottoposte a vincolo cautelare, sino alla sentenza. Ora è il momento del contrattacco. Per i «gravi danni subiti dall’azione legale», l’azienda toscana «si riserva di agire nelle sedi competenti».
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Cantina Toblino deve reintegrare gli enologi licenziati a ottobre 2020. Lo ha stabilito la duplice ordinanza del Tribunale civile di Trento, accogliendo il ricorso di Lorenzo Tomazzoli e Marco Pederzolli, assistiti dall’avvocato Osvaldo Cantone.
I due winemaker sono tornati sul libro paga della cooperativa trentina il 28 dicembre, per effetto della decisione del giudice del Lavoro Giorgio Flaim. Una chiusura di sipario 2021 indigesta per la cantina della Valle dei Laghi presieduta da Bruno Luterotti e diretta da Carlo De Biasi. Il testo del provvedimento è durissimo: il licenziamento è stato dettato da «fatti inesistenti».
«L’ordinanza del Tribunale civile di Trento – commenta in esclusiva a WineMag.it l’avvocato Osvaldo Cantone – parla da sé. Quello che ci rende più soddisfatti, al di là del reintegro sul posto di lavoro, è che le motivazioni addotte da Cantina Toblino per giustificare il licenziamento sono state definite “inesistenti”. Il giudice ha restituito dignità professionale a due enologi di chiara fama, dopo un licenziamento fortemente lesivo per la loro reputazione».
CANTINA TOBLINO, ENOLOGI LICENZIATI PER «FATTI INESISTENTI»
Oltre al pagamento delle mensilità e dei contributi previdenziali arretrati, la cooperativa dovrà pagare le spese di giudizio. Rigettata, invece, la domanda di risarcimento del danno per diffamazione e ingiuria, generato dalle accuse alla base del licenziamento.
Calcolatrice alla mano, l’ammontare complessivo del risarcimento supera i 150 mila euro. Cantina Toblino stimava invece in 420 mila euro il danno causato dai due enologi, per aver declassato circa 2.500 quintali di uve destinate alla produzione di vini IgtVigneti delle Dolomiti: Nosiola, Schiava e Müller-Thurgau della Valle dei Laghi.
«Come evidenziato nei mesi scorsi anche dal presidente di Assoenologi Riccardo Cotarella – commenta Lorenzo Tomazzoli – l’enologo di una cantina si rifà alle decisioni dei titolari. Nel nostro caso, come confermato dall’ordinanza, abbiamo eseguito alla lettera le direttive del Cda, declassando le uve conferite dai soci con un grado inferiore a 9% naturali».
In questo senso, la decisione del giudice del Tribunale civile di Trento entra nella storia e fa giurisprudenza. Non è solo una vittoria nostra, ma di tutta la classe degli enologi e degli enotecnici italiani».
TOMAZZOLI: «GLI ENOLOGI? SPESSO SOLO TOPI DI CANTINA»
«Persone che lavorano nelle retrovie – chiosa Lorenzo Tomazzoli – veri e propri “topi di cantina” a cui spesso non vengono riconosciuti i meriti, attribuiti ad altri. Io e il collega Marco Pederzolli non vediamo l’ora di tornare sul nostro posto di lavoro, per ricominciare da dove avevamo lasciato. A testa alta».
Parole tutt’altro che scontate quelle del noto e pluripremiato enologo trentino. «Sono stati 14 mesi durissimi per me e per la mia famiglia – confessa ancora l’enologo a WineMag.it -. In attesa della decisione del giudice mi sono proposto alle due maggiori cantine trentine, Mezzacorona e Cavit».
«Entrambe si sono dichiarate disposte ad accogliermi a braccia aperte, una volta chiuso definitivamente il capitolo giudiziario. Tornerò invece a Cantina Toblino, forte del fatto che le accuse mosse nei nostri confronti siano state ritenute infondate. Fra tre anni andrò in pensione senza macchie sul curriculum».
LICENZIAMENTO ENOLOGI CANTINA TOBLINO: GLI STRASCICHI
Ad occuparsi della vicenda del licenziamento degli enologi di Cantina Toblino era stato anche il Consiglio provinciale di Trento. Come riportato da WineMag.it – unica testata nazionale di settore ad aver dato spazio al caso, ndr – nel novembre 2020 il consigliere Filippo Degasperi (Gruppo Consiliare Onda Civica Trentino) chiamava in causa la cooperativa di Sarche di Madruzzo, attraverso un’interrogazione rivolta al presidente Walter Kaswalder.
Oggi, a commentare l’esito della duplice ordinanza firmata dal giudice Giorgio Flaim è la Flai-Cgil, sindacato di categoria di riferimento per i lavoratori agricoli e dell’industria di trasformazione alimentare.
Non solo i licenziamenti sono stati annullati – evidenzia il segretario generale del Trentino, Elisa Cattani – ma Cantina Toblino è stata condannata al reintegro sul posto di lavoro di Lorenzo Tomazzoli e Marco Pederzolli, ad un cospicuo risarcimento economico, al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegra e alla refusione di tutte le spese legali sostenute dagli enologi».
«Riteniamo si tratti di un’enorme vittoria per tutte le lavoratrici e i lavoratori, enologi in primis in questo caso, che non debbono mai smettere di credere nella possibilità di vedere rispettati e tutelati i propri diritti», conclude Elisa Cattani.
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BIBANO – I marchi tridimensionali di Bottega Gold e Bottega Rose Gold sono legittimi e di proprietà esclusiva dell’azienda di Bibano (TV). Lo ha stabilito mercoledì 8 maggio il Tribunale dell’Unione Europea presso la Corte di Giustizia di Lussemburgo, in merito ad alcuni episodi di imitazione di cui è vittima da anni la cantina veneta.
Confermata dunque la decisione dell’Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale (Euipo), che il 14 marzo 2018 aveva riconosciuto la validità dei marchi, la forma della bottiglia e l’effetto specchiato dei colori (oro e rosa) come “elementi propri dei marchi di Bottega, addirittura prevalenti su altre componenti in rilievo” e “l’etichetta a forma di fiammella, propria dei vini Bottega”. Dettagli che, sempre secondo la sentenza, “in quanto tali non possono essere utilizzati da terzi”.
I MARCHI BOTTEGA “Una decisione importante – commentano i vertici della casa di Bibano – che conferma una volta in più le ragioni di tutela del marchio che Bottega pone alla base delle sue rivendicazioni”. Di contrario avviso il Tribunale di Padova che qualche giorno fa ha assolto dal reato di contraffazione i responsabili dell’azienda vinicola Tombacco di Trebaseleghe (PD) sul presupposto che i marchi di Bottega hanno come unico elemento distintivo la lettera B, posta in rilievo sul collo della bottiglia.
Motivazioni, quelle della sentenza del Tribunale Ue, che non state considerate utili dal Tribunale di Padova nell’orientare e motivare la propria decisione. L’istanza di Bottega è stata infatti rigettata dal giudice padovano, che ha depositato direttamente in udienza le motivazioni della sentenza.
“Poiché la contraffazione è punita sia in sede penale che in sede civile – annuncia Bottega Spa – l’azienda proporrà sicuramente appello contro la sentenza del Tribunale di Padova, riservandosi di agire anche in sede civile considerato che lo stesso Tribunale di Padova ha prospettato l’esistenza di una possibile imitazione servile, per noi poco onorevole”.
Bottega ha ideato le bottiglie verniciate a partire dal 2001. Da allora, la cantina e distilleria trevigiana è stata vittima di diverse imitazioni in tutto il mondo. “La validità dei marchi registrati – ricordano i vertici aziendali – è stata riconosciuta in Italia e in Europa dai diversi organi competenti, anche se nel corso degli anni ci sono state delle difficoltà nella loro protezione che hanno portato Bottega Spa ad adire in diverse occasioni l’autorità giudiziaria per le azioni scorrette di alcune aziende concorrenti”.
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Scarpe, immobili, champagne. E adesso pure il Brunello di Montalcino. La scalata della holding francese Epi al mondo del lusso sembra inarrestabile. Il gruppo familiare indipendente guidato da Christopher Descours (nella foto) sbarca ora in Italia. Più esattamente a Montalcino. Per aggiudicarsi una fetta di maggioranza del Brunello Biondi Santi.
“Un’alleanza strategica”, come la definisce il patron Jacopo Biondi Santi, che avrebbe l’obiettivo di rilanciare a livello internazionale la distribuzione del più noto tra i vini italiani. L’ammontare della transazione è “confidenziale”. “Questa non è un’operazione ostile come Vivendi con Mediaset – commenta ancora il figlio di Franco Biondi Santi, il Gentleman del Brunello scomparso nel 2013 -. Si tratta di un’alleanza per il futuro. Eravamo troppo piccoli e stavamo cercando un partner per investire nella distribuzione e vedere in grande”.
I DETTAGLI
Le voci di un possibile passaggio di mano della Biondi Santi si rincorrevano da tempo. La valutazione iniziale di 55 milioni di euro è lievitata, sino a toccare punte di 120 milioni. Il progetto, ora, prevede la creazione di tre società: una holding, una produttiva e una commerciale. L’operazione, come precisa Jacopo Biondi Santi, dovrebbe andare in porto a fine gennaio 2017. Nuovi scenari si aprono così sul fronte del castello di Montepò.
Il maniero che domina Scansano, attualmente in mano al tribunale di Grosseto, potrebbe clamorosamente tornare di proprietà di Jacopo Biondi Santi. Il 23 novembre è andata deserta l’asta che prevedeva l’acquisizione del maniero per la cifra di 17,2 milioni di euro. La prossima battuta è prevista per il 1° febbraio. Chissà che arrivi un’offerta dal duo Biondi Santi (debitore) – Descours, che così potrebbe riappropriarsi del castello, finito al Monte dei Paschi di Siena.
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Fuori uno. Gruppo Italiano Vini (Giv) non parteciperà all’asta per l’acquisizione della cantina pavese La Versa. Lo assicura in una nota inviata a vinialsupermercato.it la Spa veronese di Calmasino, mediante la portavoce Tiziana Mori. Tra le domande che dovranno pervenire al curatore fallimentare Luigi Spagnolo entro le ore 17 di venerdì 25 novembre, non ci sarà dunque quella della prima azienda vitivinicola italiana, già titolare di 15 cantine sparse per il Belpaese e implicata in importanti “partecipazioni strategiche” a livello mondiale, dagli Usa al Regno Unito, passando per Francia, Germania e Belgio.
A meno di sorprese dell’ultima ora, si riducono a due i potenziali acquirenti della cantina di Santa Maria della Versa. Con Cavit, Cantina Viticoltori del Trentino, che secondo i ben informati sarebbe in vantaggio su Cantine Pirovano, Srl di Calco (Lecco) già proprietaria dal 1997 di Tenuta Bentivoglio a Santa Giulietta, al confine tra Broni e Casteggio. La base d’asta è di 5,6 milioni di euro – oltre imposte di legge – e comprende il marchio, gli immobili e le attrezzature de La Versa Viticoltori dal 1905 Spa, ad eccezione del Wine Point Montescano. Interessate all’acquisto risultano anche due cooperative locali: la Cantina sociale di Canneto Pavese e Terre d’Oltrepò, coop nata dalla fusione delle cantine di Broni e Casteggio, a sua volta già sconvolta da uno scandalo.
IL FALLIMENTO DE LA VERSA Da possibile salvatore, a cui era stato affidato il rilancio della cantina La Versa, alle accuse di “frode e autoriciclaggio basato su fatture relative a operazioni inesistenti”. Questa la parabola discendente che vede come protagonista Abele Lanzanova, amministratore delegato de La Versa Spa, finito in manette il 21 luglio scorso.
Il giorno successivo, anche la figlia dell’ad, Elena Lanzanova, è stata arrestata dalla Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Pavia. Nella sua abitazione sono stati rinvenuti 7 chilogrammi di marijuana. I militari stavano cercando possibili intrecci della donna con le attività illecite del padre, quando hanno scoperto la droga all’interno della sua abitazione di Urago D’Oglio, in provincia di Brescia.
Abele Lanzanova, secondo quanto riportano le forze dell’ordine, “si sarebbe appropriato di ingenti somme sottraendole alle scarse risorse finanziarie della Cantina, peraltro già interessata da procedimenti prefallimentari”. L’ad bresciano avrebbe riciclato denaro per alzare il capitale della cantina, trasferendolo sui conti correnti de La Versa Financial International Spa.
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