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Un tram che si chiama La Versa. Ultima chiamata per l’Oltrepò

Diciotto milioni di euro netti di ricavi nel 2009. Poi giù. Nel buio più profondo. Fino ad arrivare a una voragine dal diametro impressionante.

Un buco (finanziario) da 12 milioni di euro, consolidato dal bilancio 2016. E un vuoto (morale) ancora più disorientante, allo scattare delle manette ai polsi dell’eterno presunto Messia, giunto dalla Franciacorta: quell’Abele Lanzanova capace, secondo la GdF, di “appropriarsi di ingenti somme sottraendole alle scarse risorse finanziarie della Cantina, peraltro già interessata da procedimenti prefallimentari”. Era il 21 luglio 2016.

L’araba Fenice dell’Oltrepò pavese ha un nome solo ed è La Versa. Evocativo. Tattile. Come i trattori dei contadini in canottiera che, nella culla del Pinot Nero italiano, passano accanto a quel blocco di cemento di 15 mila metri quadrati, pronti a tornare a popolarsi di uomini, di passioni, di idee.

Ci credono in molti – ma forse ancora in troppo pochi – nel rilancio della storica cantina pavese ad opera della nuova società costituita da Terre d’Oltrepò e Cavit. In questo quadro, in una terra che da troppi anni è un puzzle di buoni propositi e di ottimi progetti individuali annegati nell’incapacità di “fare rete”, la cooperazione pare l’unico asso nella manica.

Lo sa bene Andrea Giorgi, personaggio a metà tra il cow boy e il sindaco sceriffo: presidente della newco scioglilingua “Valle della Versa”, partecipata al 70% dai lombardi e al 30 dai trentini. Ironia sottile, silenzi dosati. Risposte mai banali o scontate. A volte pungenti. Un giardiniere pronto a seminare nel deserto. Un minuto Gandhi, il minuto dopo William Wallace (a parole) prima di Bannokburn. Senza però sfociare nel bipolarismo.

Al suo fianco Marco Stenico, il mediatore. Il direttore commerciale per antonomasia. Trentino d’origine, è lui il braccio destro di Giorgi. L’uomo perfetto per riconquistare il mercato.

E non importa se, al 24 agosto, i due non sappiano ancora quali siano, esattamente, i bottoni da premere sul quadro elettrico per accendere la luce nel “caveau” di La Versa, intitolato allo storico presidente duca Antonio Denari. Per risorgere ci vuole tempo. E occorre fiducia. La ricetta? Ripartire dal passato, in chiave moderna.

“Questa è un’azienda nuova – precisa Stenico – costituita dai due soci. Terre d’Oltrepò e Cavit si sono prese carico, ognuna per le proprie competenze, di alcune attività. Noi seguiremo la parte commerciale, mentre i nostri partner trentini la parte tecnica, la vinificazione e la parte industriale, che sta per essere messa in attività a partire già da settembre”.

Dalla scorsa settimana, i conferitori della zona di Santa Maria della Versa e di Golferenzo hanno ricominciato a portare le loro uve a La Versa. “Tutto raccolto a mano – evidenzia Stenico – Pinot Nero, Riesling e Moscato”. La prima vendemmia della nuova società si assesta sui 25 mila quintali di uva. Masse certamente inferiori ai 450-500 mila quintali che Terre d’Oltrepò e i suoi soci sono in grado di produrre annualmente. Ma siamo, appunto, solo all’inizio.

La parte del leone spetta al Pinot Nero, con oltre 10 mila quintali. A seguire il Riesling, 5 mila. E infine il Moscato, con 7-8 mila quintali. Quantità risicate da maltempo e gelate che hanno interessato l’Italia, travolgendo anche l’Oltrepò Pavese. Cento i soci conferitori di quella che fu La Versa, cui si andrà a sommare la base sociale di Terre d’Oltrepò, costituita da oltre 700 soci. Tradotto in vigneto: 6 dei 13 mila ettari complessivi sono controllati da Valle della Versa, con un potenziale produttivo che supera il 55% dell’intera zona.

“Da questa vendemmia – commenta Andrea Giorgi – ci aspettiamo un prodotto da collocare nel più breve tempo possibile sul mercato con il marchio La Versa. Un’operazione strategica per Terre d’Oltrepò, che ha già due stabilimenti: uno a Broni, l’altro a Casteggio. Il primo ha un grande potenziale dal punto di vista tecnologico, che arriva fino alla trasformazione di 15 mila quintali di prodotto al giorno. Casteggio si sta invece specializzando nell’imbottigliamento di prodotti fermi. Qui a Santa Maria La Versa vogliamo invece sviluppare il marchio e destinarlo a prodotti spumanti e a frizzanti in genere”.

Il mercato di riferimento è chiaro. “Nella nostra strategia complessiva – risponde Giorgi – visti i quantitativi enunciati, possiamo abbracciare tutta la gamma, dalle enoteche ai supermercati, passando dai ristoranti. Stiamo accuratamente selezionando i canali nei quali entrare nel modo più redditizio possibile, per creare uno zoccolo duro sul mercato italiano e sviluppare l’estero, dal momento che l’export, oggi, riguarda solo una piccola parte. Quello che vogliamo fare è accontentare i diversi target di clientela, dando senso al lavoro delle nostre centinaia di conferitori”.

Al canale moderno, quello della distribuzione e della grande distribuzione organizzata (Do-Gdo) sarà affidato il 70-75% della produzione. Il resto alla nicchia della ristorazione e delle enoteche. Diverso il discorso per il marchio La Versa. Ed è qui che si gioca una delle partite fondamentali per il rilancio della cantina pavese.

IL TESORO NEGLI ABISSI
Nei due piani sotterranei della cantina sono infatti custodite oltre un milione di bottiglie di metodo Classico oltrepadano (o futuro tale). Voci incontrollate assegnerebbero a questo scrigno un valore di 4,2 milioni di euro. Lo stesso per il quale la newco si è aggiudicata l’asta.

Una cifra che Giorgi e Stenico non confermano. E che, anzi, sembrano ridimensionare. Cosa ne sarà di questo bottino, vera carta da giocare anche nei confronti delle resistenze sull’operazione di Cavit in Oltrepò, da parte di una frangia di vignaioli delle Dolomiti? Cinque le annate custodite nel Caveau, comprese tra la 2004 e la 2015 , tra Docg e Vsq.

“Vorremmo identificare il posizionamento del prodotto in una fascia alta – precisa il direttore commerciale -. Canalizzeremo in Gdo La Versa, fatta eccezione per marchi storici come Testarossa e Cuvée storica, che invece saranno appannaggio del canale tradizionale. Sintetizzando, sia per la Gdo sia per l’Horeca, un posizionamento alto per i prodotti La Versa e numeri più bassi. Ristoranti, enoteche e bar di prestigio avranno l’esclusiva del top di gamma di La Versa, protetto dalle logiche dei facili volumi, su livelli dei grandi Franciacorta e dei grandi TrentoDoc”.

“A partire da ottobre inoltrato – dichiara Marco Stenico – saranno immesse sul mercato le prime 5-10 mila bottiglie selezionate in maniera tecnica e precisa, capaci di garantire senza ombra di dubbio quella qualità che avremo sicuramente fra tre anni. Il resto dello stock sarà venduto come prodotto di semi lavorazione ad altri produttori. Per noi questo milione di bottiglie ha un valore enorme e vogliamo portarlo a casa tutto. Devono essere il biglietto da visita di La Versa, ma soprattutto dell’intero Oltrepò, per il quale ci candidiamo a un ruolo di vero e proprio traino”.

LE ETICHETTE
Le etichette, specie quelle destinate alla Gdo, sono ancora in fase di elaborazione. Sarà un lavoro di mediazione che interesserà le stesse insegne, avvezze a richiedere ai clienti layout ben precisi, secondo le moderne frontiere del neuromarketing.

Le prime bottiglie oggetto di restyling dovrebbero spuntare sugli scaffali di una nota catena italiana a cavallo tra i mesi di ottobre e novembre (manca solo la firma sul contratto). Saranno invece tutelate da qualsiasi ingerenza le etichette storiche di La Versa, cui sarà garantita “un’identità vecchio stile, o comunque della vecchia bottiglia”.

“Faremo dei piccoli cambiamenti – annuncia Marco Stenico – ma senza togliere riconoscibilità al marchio”. Grande attenzione al mercato italiano. Ma nel mirino, per l’estero, oltre agli Stati Uniti, si affiancheranno missioni su piazze importanti, come Germania e Inghilterra.

L’aspettativa? “Innanzitutto – risponde Stenico – portare a casa la pagnotta. Ma i nostri piani industriali prevedono una crescita di 6 milioni nel primo anno e di 10 nei prossimi 3-4 anni, con redditività”. Una parola magica, “redditività”, che riguarderà soprattutto un’oculata gestione dei costi e delle risorse.

Di fatto erano trentacinque i dipendenti de La Versa colata a picco. Sette i milioni di fatturato nel 2015, scesi poi a poco più di 4 milioni nel 2016, per pagare stipendi e mantenere gli standard infrastrutturali. Di fatto, oggi sono 6 i dipendenti effettivi di La Versa (un enologo e 5 cantinieri). E se di numeri si parla, basti pensare che Terre d’Oltrepò, con un fatturato di 40 milioni, ha oggi in carico 48 dipendenti.

“Una gestione scellerata quella del passato – evidenzia il presidente Andrea Giorgi – che ha portato alla distruzione del fatturato di La Versa. Scelte imprenditoriali e commerciali errate hanno condotto la società a un’esposizione esagerata. Ma tra le cause del fallimento bisogna citare anche una componente politica, perché è impossibile immaginare 35 dipendenti in una realtà da 4,5 milioni euro annui”.

IL CONSORZIO
“La ripartenza di La Versa – dichiara Emanuele Bottiroli, direttore del Consorzio di Tutela Vini Oltrepò – è un nuovo inizio per un Oltrepò spesso percepito come schiavo di mille padroni e incapace di governare il proprio mercato. All’Oltrepò Pavese serve un marchio collettivo leader, La Versa può esserlo. In Oltrepò ci sono il Pinot nero, la storia spumantistica dal 1865, i terreni collinari tra i più vocati d’Italia, i borghi del vino più caratteristici e l’anima vera di ‘contadini diventati imprenditori’, come ricordava Carlo Boatti”.

“Tutti – prosegue Bottiroli – ripetono come dischi rotti che manca una strategia d’insieme. Per me, ferme restando le identità di tanti singoli produttori di filiera e le loro maestose composizioni, manca un direttore d’orchestra. Manca un leader che sposi un progetto di marketing e posizionamento a valore, forte dei numeri per competere in Italia e nel mondo”.

“In altre parole possiamo trascorrere i prossimi 10 anni a cercare di mettere insieme 1700 aziende vitivinicole, 300 delle quali vanno sul mercato con le loro etichette e un imbottigliamento significativo di una miriade di tipologie, oppure collaborare al rilancio di La Versa, perché torni a svolgere il ruolo di autorevole ambasciatore di un Oltrepò di alta gamma, come avveniva ai tempi del Duca Denari”.

La Versa, evidenzia Bottiroli, “ha testimoniato con il suo impegno e la sua storia l’eleganza e la longevità unica che può arrivare ad avere un grande ‘Testarossa, marchio La Versa per l’Oltrepò Pavese Docg Metodo Classico, pura espressione del Pinot nero d’Oltrepò. Ne abbiamo 3.000 ettari”.

“La nuova proprietà – esorta il direttore del Consorzio – deve coinvolgere il territorio in un percorso in cui tutti devono credere con passione, perché ripartire richiede progetti, massa critica, continuità e tempo. La Versa deve tornare a raccontare ed affermare cosa sia un grande spumante Metodo Classico italiano e un superlativo vino dell’Oltrepò”.

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Franciacorta, grandine sulla vendemmia. Trentino verso lo stato di calamità

In piena vendemmia. La tromba d’aria e la grandine hanno colpito ieri in Franciacorta proprio mentre sono in corso le operazioni della raccolta delle uve, coinvolgendo un’area fra i 30 e i 50 ettari nei comuni di Rovato, Provaglio e Iseo. Sempre a Rovato sono stati sventrati tremila metri quadrati di serre.

Dopo le ultime grandinate che hanno aggravato la situazione nei vigneti e nei meleti, anche in Trentino si corre ai ripari. La Giunta provinciale adotterà in giornata una nuova delibera con la dichiarazione dello stato di calamità ai fini dell’attivazione del fondo di solidarietà nazionale. Per un’analisi più approfondita e puntuale dei danni e delle superfici coltivate colpite dalla grandine stanno lavorando il Servizio agricoltura della Provincia con gli Uffici periferici e la Fondazione Mach.

“Le grandinate vicino alla vendemmia in viticoltura sono le peggiori – osserva Maurizio Bottura, responsabile dell’Unità viticoltura del Centro trasferimento tecnologico della Fondazione Mach – poiché danneggiano gli acini da cui fuoriesce il mosto, che è ricco di zuccheri, substrato favorevole ad attacco di botrite e marciume acido”.

I tecnici sperano in un meteo clemente nei prossimi giorni, così da poter arrivare in vendemmia al momento ottimale, con uve sane. L’alternativa è la vendemmia anticipata.

IN LOMBARDIA
Stessa situazione in Lombardia. I viticoltori corrono a raccogliere i grappoli maturi e fanno gli scongiuri contro altre tempeste. “Dopo le gelate a sorpresa della primavera scorsa – spiega la Coldiretti Lombardia – abbiamo avuto grandinate sparse e trombe da Varese a Brescia, da Lodi a Cremona. Il conto dei danni per le anomalie climatiche a cavallo fra l’inverno più siccitoso che si ricordi e l’estate più calda degli ultimi 30 anni, ammonta a circa 100 milioni di euro in Lombardia e supera i 2 miliardi a livello nazionale”.

“Sempre più spesso – spiega Ettore Prandini, presidente della Coldiretti Lombardia – la grandine non è solo fitta e violenta, ma ha anche chicchi di una certa dimensione che non lasciano scampo a ciò che trovano lungo l loro tragitto, come quelli che sono caduti in provincia di Varese nella notte fra l’8 e il 9 agosto. Adesso questo colpo in Franciacorta, dove le anomalie del clima avevano già tagliato del 30% circa le rese dei vigneti. Per gli agricoltori ogni giorno è un punto di domanda. Negli ultimi dieci anni in Italia abbiamo avuto 14 miliardi di euro di danni per colpa delle anomalie climatiche. Le assicurazioni servono, ma a volte non bastano più neppure quelle”.

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Viticoltori bio: in 300 alla Fondazione Mach

Oltre duecento viticoltori presenti e un centinaio in collegamento streaming. Sono i numeri dei partecipanti alla giornata tecnica sulla viticoltura biologica organizzata dalla Fondazione Edmund Mach.

L’evento si è svolto in collaborazione con il Centro di sperimentazione Laimburg. In programma un incontro in aula magna e la visita ai vigneti sperimentali a San Michele, in località San Donà.

La riunione tecnica, che ha visto intervenire il direttore generale Sergio Menapace e il dirigente del Centro Trasferimento Tecnologico, Michele Pontalti, si inserisce all’interno di un contesto di iniziative e attività intraprese dalla Fondazione Edmund Mach a favore del settore biologico, che vanno dal potenziamento della consulenza tecnica e della sperimentazione al perfezionamento di percorsi formativi sull’agricoltura sostenibile.

Di recente è stato anche sottoscritto il protocollo di intesa con Federbio, che prevede di attivare congiuntamente una serie di attività di ricerca, sperimentazione e formazione nel settore dell’agricoltura biologica e biodinamica, quale uno fra i modelli agricoli per uno sviluppo rurale sostenibile.

GLI INTERVENTI
Enzo Mescalchin ha illustrato i dati del trend positivo che da anni distingue il settore biologico nella viticoltura trentina. La superficie a fine 2016 ammontava, infatti, a 825 ettari, +20% rispetto all’anno precedente, +362% rispetto al 2010. E’ stata poi la volta degli altri tecnici dell’Unità Biologica della FEM.

Roberto Lucin ha riferito sull’attività di consulenza tecnica a favore del biologico effettuata sul territorio, riferendo che la situazione sanitaria delle viti biologiche risulta paragonabile alla produzione integrata.

Luisa Mattedi ha illustrato le prove sperimentali condotte presso i vigneti della Fondazione Mach in tema di difesa da peronospora e oidio, confermando i buoni risultati ottenuti anche quest’anno utilizzando dosi ridotte di rame.

Sono poi seguite relazioni specifiche sul contenimento di Drosophila suzukii con l’applicazione di reti, sulle possibilità di utilizzo di una spazzolatrice meccanica per la riduzione della compattezza del grappolo, il cui prototipo è stato messo a punto dei ricercatori della Stazione Sperimentale di Laimburg, e sul controllo di Scaphoideus titanus, vettore di flavescenza dorata. Marino Gobber, infine, ha riferito sulle esperienze di una tecnica innovativa per contenere i danni da Esca, pericoloso fungo del legno che provoca la prematura morte delle viti.

Come di consueto, al termine delle relazioni i partecipanti hanno potuto visitare i vigneti sperimentali presso i quali sono state realizzate alcune delle prove presentate nella mattinata. Nel pomeriggio spazio alle prove condotte in frutticoltura biologica presso la Stazione Sperimentale di Laimburg. La giornata del biologico, infatti, nasce dalla collaborazione tra i ricercatori della FEM e i colleghi dell’Alto Adige, impegnati nella sperimentazione a favore del biologico.

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Approfondimenti

I migliori wine bar aeroportuali sono di Ferrari

Dimmi dove vai e ti dirò di che bollicina sei. I Ferrari Spazio Bollicine sono stati premiati come “Airport Wine Bar of the Year” agli Airport Food & Beverage (FAB) Awards 2017. Un traguardo annunciato il 22 giugno scorso a Toronto, durante la quindicesima edizione della Airport Food & Beverage (FAB) Conference, che rappresenta l’appuntamento internazionale più importante dedicato al settore della ristorazione aeroportuale.

Si è imposto sia nella sezione “Regional Europe” che “Global” il Ferrari Spazio Bollicine di Milano Malpensa (nella foto a destra), nato nel 2014 dalla collaborazione tra la cantina trentina e Areas Italia, uno dei player internazionali più importanti del travel retail.

“Siamo orgogliosi di aver ricevuto questo premio internazionale – commenta Matteo Lunelli, presidente di Cantine Ferrari – viene riconosciuto il lavoro di tutta la squadra e si conferma il grande apprezzamento per quell’arte di Vivere Italiana di cui Ferrari è espressione e che questi luoghi vogliono raccontare”.

IL CONCEPT
I Ferrari Spazio Bollicine sono luoghi in cui sperimentare il Ferrari Trentodoc in abbinamento a piatti espressione della migliore tradizione gastronomica del nostro paese, in un ambiente caratterizzato dall’eleganza e convivialità tipiche italiane. Gli aeroporti sono apparsi da subito il luogo ideale per far vivere un’esperienza unica a migliaia di passeggeri di profilo internazionale.

Dalla prima apertura nel 2013 al Leonardo da Vinci di Roma Fiumicino all’ultima inaugurazione di Milano Linate (nella foto a sinistra) nel 2015, i Ferrari Spazio Bollicine sono diventati una meta perfetta dove vivere la tradizione dell’aperitivo italiano e si sono contraddistinti per la capacità di coniugare l’altissima qualità dell’offerta di vini e bollicine con una proposta gastronomica semplice ma raffinata, ideata da Alfio Ghezzi, chef di Casa Ferrari, che ha recentemente conquistato le due stelle Michelin con il ristorante Locanda Margon.

Molto apprezzato anche il design del locale, curato dallo Studio Robilant&Associati utilizzando arredi di grandi marchi italiani come Artemide, Bisazza, Kartell e  Poltrona Frau. “Sin dalla loro apertura – precisa Lunelli – i risultati dei Ferrari Spazio Bollicine sono stati estremamente positivi e, grazie alla partnership con Areas Italia, confermano il grande successo di questo format, che oggi viene premiato come ‘Miglior Wine Bar Aeroportuale’ a livello globale”.

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Vini al supermercato

Brut Rosè Trentodoc Le Premier, Cesarini Sforza

(4 / 5) E’ tra i vini spumanti Metodo Classico trentini più diffusi al supermercato. Parliamo del Brut Rosè Trentodoc Le Premier di Cesarini Sforza. La variante rosata del classico Le Premier, prodotto con sole uve Chardonnay.

Per ottenere il colore rosato viene infatti aggiunta una piccola percentuale di Pinot Nero, uva dal grappolo rosso. Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper la sboccatura 2016.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Brut Rosè Trentodoc Le Premier Cesarini Sforza si presenta di un colore buccia di cipolla cristallino, luminoso. Il perlage è fine e persistente. Non resta che avvicinarlo al naso per avvertire l’impronta tipica del Pinot Nero: i frutti rossi come la fragolina di bosco, i lamponi e il ribes fanno tuttavia da sfondo alle più marcate note di lieviti e crosta di pane.

Corrispondente al palato, il Rosè Cesarini Sforza Le Premier sfodera nuovamente la carica delicata e sottile dei frutti rossi già avvertita al naso. Netta, poi, la svolta verso tinte mediamente balsamiche, che ricordano le erbe di montagna. Chiusura sulla mineralità tipica del Trentodoc, capace di ricordare la soluzione salina. Percezioni che, unite in un sorso mediamente caldo e secco, esaltano la sottigliezza di un perlage capace di solleticare delicatamente la lingua. Un bel quadro trentino, di assoluta qualità.

LA VINIFICAZIONE
Il Brut Rosè Le Premier Cesarini Sforza è prodotto all’85% con uve Chardonnay, cui viene addizionato un 15% di Pinot Nero. La zona di produzione, come da disciplinare, è quella della Trento Doc. In particolare, i vigneti hanno esposizione a Sud, Sud-est e sono collocati su una fascia che va dai 450 ai 700 metri sul livello del mare.

La composizione del terreno è di tipo strutturato e profondo, franco argilloso. Le radici della vite affondano in un composto ricco di pietre, sciolti fluvio-glaciali da disfacimento di rocce porfiriche e sabbiosi. La forma di allevamento è il Guyot, a pergola semplice trentina, con una densità di impianto di 4 mila ceppi per ettaro.

La vinificazione prevede la raccolta manuale di Chardonnay e Pinot Nero nella prima decade di settembre, pressatura soffice delle uve intere, decantazione statica dei mosti, fermentazione a temperatura controllata in serbatoi di acciaio inox e affinamento sulle lisi per circa 6 mesi.

Prezzo: 11,70 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Al via l’80a Mostra Vini del Trentino: parola d’ordine “enodiversità”

Dal 1925 al 2017. Con qualche interruzione dovuta a problemi organizzativi o alla guerra, tanta è la strada percorsa dalla Mostra vini del Trentino. Un evento che festeggia in questi giorni l’ottantesima edizione all’insegna della parola d’ordine “enodiversità”. Confermandosi come una delle rassegne enologiche più longeve d’Italia.

Questa mattina a Palazzo Roccabruna si è tenuta la conferenza stampa di presentazione della manifestazione, cui hanno partecipato i rappresentanti degli enti organizzatori: Giovanni Bort, presidente della Cciaa di Trento, Bruno Lutterotti e Graziano Molon, rispettivamente presidente e direttore del Consorzio vini del Trentino, Elda Verones, direttrice dell’ApT di Trento, Monte Bondone e Valle dei Laghi, Roberto Stanchina, assessore comunale alle politiche agricole, Michele Dallapiccola, assessore provinciale all’agricoltura, Francesco Antoniolli, presidente della Strada del vino e dei sapori del Trentino.

“IL VINO E’ CULTURA”
Nell’introdurre l’incontro, Mauro Leveghi, segretario generale della Camera di commercio di Trento, ha ricordato le origini della Mostra, nata nel lontano 1925 allo scopo di far incontrare venditori e acquirenti del mondo del vino, ma trasformatasi negli anni: “Oggi la Mostra  ha un significato prettamente culturale, serve a dar forza al brand Trentino, a sostenere l’immagine del territorio all’interno e all’esterno di esso”.

Giovanni Bort, presidente dell’Ente di via Calepina, ha sottolineato come la Mostra sia da sempre “la cartina al tornasole dell’andamento del settore vitivinicolo locale e il riflesso di quella parte della società trentina che direttamente o indirettamente lavora nel campo vitivinicolo”.

“La Mostra è anche l’occasione per riflettere sulle prospettive del settore. Benché il mercato internazionale sia strategico per molte grandi imprese del vino, il Trentino non può più ragionare solo in termini di fatturato e di volumi”. Così Bruno Lutterotti, presidente del Consorzio, che ha sottolineato come le peculiarità organolettiche dei nostri vini derivino dalla variabilità delle componenti pedoclimatiche del territorio.

“Sarà sempre più importante quindi – evidenzia ancora Lutterotti – continuare con il percorso intrapreso di valorizzazione e tutela dell’ambiente in modo da gettare le basi, anche in termini di formazione, affinché le 6000 aziende del comparto possano essere pronte, se lo vorranno, per fare in futuro un salto verso forme di produzione di tipo anche biologico”.

“UN TRENTINO ENODIVERSO”
A rappresentare il Comune di Trento, l’assessore alle politiche agricole, Roberto Stanchina, che, oltre ad aver evidenziato il legame storico fra la mostra e la città, ha richiamato la necessità di stringere la collaborazione fra istituzioni, cantine ed operatori commerciali perché il vino trentino possa essere sempre più presente nell’offerta locale.

L’assessore provinciale all’agricoltura, Michele Dallapiccola, ha posto l’accento sull’importanza delle “differenze all’interno di un quadro complessivamente unitario”: “Vogliamo un Trentino enodiverso, che promuova la biodiversità in termini di specie viticole e di produzione. In quest’ottica allora perde di senso anche l’opposizione fra grandi cantine e vignaioli perché di fatto essa corrisponde a diverse segmentazioni del mercato. In virtù della propria identità ognuno può trovare la sua collocazione sul mercato rispondendo alle diverse attese del consumatore. Dalla pluralità dei suoi attori il settore trae forza”.

Infine il presidente della Strada del Vino e dei Sapori del Trentino, Francesco Antoniolli e la direttrice dell’Apt di Trento, Monte Bondone e Valle dei Laghi, Elda Verones,  hanno illustrato il contributo al programma offerto dalla rete dei bar, dei ristoranti e degli alberghi con proposte gastronomiche e pacchetti turistici dedicati. Ha concluso Graziano Molon, direttore del Consorzio vini del Trentino passando in rassegna le iniziative della 80^ edizione della Mostra e ricordando la collaborazione con il Movimento Turismo del Vino che nei giorni 27 e 28 maggio celebra la 25^ edizione di “Cantine aperte”.

IL PROGRAMMA DELLA MOSTRA
Le cantine partecipanti sono quarantadue, con oltre 130 etichette in degustazione. Da Palazzo Roccabruna, che è la sede principale dell’evento – nonché dell’enoteca provinciale del Trentino – le iniziative si estendono anche nei 22 locali della Strada del Vino e dei Sapori del Trentino che proporranno aperitivi e menù dedicati, oltreché nelle 18 cantine che aderiranno alla 25^ edizione di Cantine Aperte, consentendo ai visitatori interessanti escursioni nei luoghi in cui il vino nasce con degustazioni enologiche e gastronomiche (www.movimentoturismovino.it).

L’80^ edizione della Mostra offre un calendario ricco di proposte, in cui il vino incrocia la gastronomia, il Jazz ed altre coinvolgenti esperienze sensoriali. Si parte con le degustazioni ai tavoli dell’Enoteca giovedì 25 maggio dalle 17 alle 23. Stesso orario anche venerdì 26 maggio, mentre sabato 27 e domenica 28 maggio si apre alle 11 per chiudere rispettivamente alle 23 e alle 22.

Uno dei momenti qualificanti di questa ottantesima edizione è il talk show condotto da Nereo Pederzolli venerdì 26 maggio alle 17.00 a Palazzo Roccabruna: “Generazioni a confronto. Tra passato e presente uomini e donne del vino trentino”.

Pederzolli farà il punto su ottant’anni di mostra avvalendosi delle testimonianze di Elvio Fronza, Lucia Letrari, Giacomo Malfer, Filippo Scienza e Luigi Togn.

Jazz & Wine è l’appuntamento organizzato nella corte interna dell’Enoteca per trascorrere un’ora in compagnia del vino e del jazz “live” di Matteo Turella (chitarra), Luca Rubertelli (sax) e Giordano Grossi (contrabbasso) giovedì 25 maggio alle 20 e di Franco Testa (contrabbasso), Edoardo Morselli (chitarra) e Stefano Pisetta (batteria) venerdì 26 maggio alle 20.

Per chi invece preferisse un’immersione sensoriale fra luci, colore, musica, spettacolo e degustazione, ritornano anche quest’anno i laboratori del gusto “Divinisensi”, proposti da Carlo Casillo e Mariano De Tassis in collaborazione con il sommelier Mario Dorigatti: giovedì 25 e venerdì 26 maggio alle 19 e alle 21, sabato 27 maggio alle 18 e alle 21 e domenica 28 maggio alle 18 e alle 20 (prenotazioni allo 0461/887101).

Infine l’abbinamento cibo-vino: nella cucina di Palazzo Roccabruna i ristoranti Van Spitz di Frassilongo (venerdì dalle 19.00 alle 23.00) e Cant del Gal di Tonadico (sabato dalle 12.00 alle 23.00) si cimenteranno in piatti gustosi della tradizione abbinati ai vini in mostra.

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La Juventus dei record brinda con Ferrari #LE6END

La Juventus ha scritto oggi la storia del calcio italiano, firmandola con fiumi di bollicine Ferrari che hanno inondato lo spogliatoio, al fischio finale della partita con il Crotone allo Juventus Stadium.

Per il secondo anno consecutivo Ferrari è infatti il brindisi ufficiale della Juventus e l’ha accompagnata in tutte le competizioni. Fino a quest’ultima vittoria. La casa trentina ha voluto dedicare allo storico risultato una bottiglia personalizzata, che riporta lo scudetto numero 35 e l’hashtag #LE6END e che sarà disponibile anche alla vendita, in edizione limitata.

Ancora una volta il grande sport italiano si è celebrato con Ferrari, il brindisi italiano per eccellenza, che da oltre un secolo accompagna i più importanti avvenimenti sportivi, politici e culturali del nostro Paese e non solo.

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Obama brinda con Ferrari al Global Food Innovation di Milano

“Really delicious!”. Così Barack Obama ha commentato il Ferrari degustato in occasione della cena di gala a Palazzo Clerici, organizzata l’8 maggio dalla Obama Foundation e orchestrata dalla famiglia Cerea del ristorante Da Vittorio.

L’ex Presidente USA in questi giorni è a Milano, ospite d’onore di Seeds&Chips – The Global Food Innovation Summit, il summit internazionale sulla food innovation ideato da Marco Gualtieri, dove oggi ha parlato di fronte a una platea di 4 mila persone di alimentazione sana, lotta allo spreco e cibo del futuro insieme allo chef Sam Kass.

In questa occasione Matteo e Camilla Lunelli delle Cantine Ferrari hanno avuto l’onore di incontrare Obama, che ha ribadito il suo apprezzamento per il Ferrari Maximum Brut, che Francesco Cerea ha proposto in apertura della cena a Palazzo Clerici.

Barack Obama aveva già brindato con le bollicine Ferrari in occasione del G8 dell’Aquila nel 2009, ma questa volta lo ha fatto in una veste diversa, dove l’enogastronomia ha giocato indubbiamente un ruolo fondamentale.

Dopo Expo Milano 2015, le Cantine Ferrari partecipano a Milano Food City, in cui rientra anche Seeds& Chips, per riportare l’attenzione sui temi sottoscritti da cittadini e istituzioni nella Carta di Milano, vera eredità culturale dell’Esposizione Internazionale.

Un’ulteriore conferma della profonda attenzione della casa trentina verso i temi della sostenibilità, della qualità della materia prima e del processo produttivo, che l’hanno portata, proprio quest’anno, ad ottenere la certificazione biologica di tutti i vigneti di proprietà.

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Cantine Ferrari punta sul biologico: certificazione per tutti i vigneti Trentodoc

Tutti i vigneti trentini di proprietà del Gruppo Lunelli destinati alla creazione di Ferrari Trentodoc hanno ottenuto la certificazione biologica. “Una notizia attesa – commenta in una nota la casa di Trento – che a pochi giorni dal Vinitaly 2017 e corona l’impegno della famiglia Lunelli nel riportare al centro dell’attività agricola il concetto stesso di fertilità naturale del terreno, il rispetto dell’ambiente e di chi vi lavora”.

“La certificazione biologica di tutti i vigneti trentini della nostra famiglia – commenta Marcello Lunelli, vice presidente delle Cantine Ferrari – rappresenta un grande traguardo che ha ricadute positive su tutto il processo produttivo, e rafforza ulteriormente il nostro impegno in termini di responsabilità sociale verso i territori in cui operiamo”.

Il punto di arrivo di un percorso lungo e impegnativo, iniziato oltre vent’anni fa. Numerosi studi e sperimentazioni in campagna condotti con il supporto della Fondazione Mach di San Michele all’Adige (TN), hanno portato alla convinzione che, una volta ottenuto un adeguato equilibrio del vigneto, sia possibile fare viticoltura biologica anche in territori di montagna.

Negli anni è stato introdotto il divieto totale di utilizzo di diserbanti e concimi chimici, a favore di pratiche tradizionali come il sovescio, di fertilizzanti naturali come il letame e dell’uso esclusivo di fitofarmaci ad alto grado di sicurezza, che prediligono l’impiego di prodotti naturali quali il rame e lo zolfo.

In questo contesto, nel 2014 è iniziato il processo di conversione al biologico di tutti i vigneti di proprietà delle Cantine Ferrari, che è terminato con successo qualche giorno fa.

“Questa cultura della sostenibilità e del rispetto per il territorio – sottolinea Cantine Ferrari – negli anni è stata condivisa anche con le oltre 500 famiglie che ci conferiscono le proprie uve, attraverso un lungo processo di formazione e di educazione da parte del team di agronomi di Casa Ferrari”.

A tutti i conferenti è stato chiesto di seguire un vero e proprio protocollo di viticoltura di montagna salubre e sostenibile denominato “Il Vigneto Ferrari”, elaborato sempre col sostegno scientifico della Fondazione Edmund Mach e certificato da CSQA.

IL TRENTODOC “SOSTENIBILE”
A garantire una migliore qualità della pianta e dell’uva prodotta, queste iniziative hanno avuto importanti ricadute su tutto il territorio circostante, che oggi beneficia di una più ricca biodiversità, confermata anche dalla certificazione “Biodiversity Friend” da parte della Worldwide Biodiversity Association.

Un territorio, quello delle montagne del Trentino, che nei secoli il lavoro dell’uomo ha trasformato, rendendo più dolci i pendii con filari di viti coltivati e mantenuti come giardini.

Oggi questi vigneti di montagna, gli unici ad assicurare l’eccellenza della base spumante Trentodoc, sono ancora più in sintonia con la natura, grazie all’importante traguardo raggiunto dalle Cantine Ferrari, che dimostrano di conservare lo spirito pioneristico del loro fondatore. Fu proprio Giulio Ferrari, infatti, oltre un secolo fa, a individuare le montagne trentine come terreno ideale per la produzione del migliore Chardonnay destinato alla produzione di Metodo Classico.

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Metodo Classico Trentodoc Brut Allini, Lidl

(2,5 / 5) Torniamo a parlare della cantina Lidl, questa volta addentrandoci nel mondo degli spumanti con il Metodo Classico Trentodoc Allini. Di limpidezza cristallina, si presenta di un giallo intenso con riflessi dorati. La grana del perlage è mediamente fine e persistente: le “catenelle” di bollicine scorrono in maniera piuttosto ordinata dal basso verso l’alto.

Al naso, il Trentodoc Allini è intenso e tutto sommato schietto: le note preponderanti richiamano il lievito e la classica crosta di pane. Non mancano sentori di agrumi e un accenno di mineralità. Una qualità, quella olfattiva, che definiremmo mediamente fine, per una complessità sottile.

Le premesse di uno spumante “nella media”, aderente alla fascia prezzo in cui è stato collocato dagli attenti selezionatori Lidl, vengono confermate anche al palato. In bocca, di fatto, il Trentodoc Allini – Brut ottenuto da sole uve Chardonnay – conferma le note fruttate, prima di una mineralità piacevole e una chiusura ammandorlata. Il corpo è di buona struttura, l’alcolicità calda. Buona anche l’acidità, capace di rinfrescare il sorso. A disturbare la beva è piuttosto l’anidride carbonica: troppo aggressiva, al punto da disturbare l’intero pasto.

Al secondo calice, la sensazione sarà quella d’aver bevuto mezza bottiglia d’acqua gassata. Un difetto che, forse, andrà ad attenuarsi nel tempo, col permanere di questo Trentodoc in bottiglia. Uno spumante questo Allini, al netto della sensazione appena descritta, da stappare in occasione di un aperitivo. O da abbinare a tutto pasto a piatti non troppo strutturati della cucina italiana e internazionale, ad eccezione – ovviamente – del dolce.

Prezzo: 6,99 euro
Acquistato presso: Lidl

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Approfondimenti

Wine export management: al via il master Fem

Ha aperto i battenti ieri, alla Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (Trento), il 5° Executive master in Wine export management, il percorso formativo di eccellenza per esperti di commercio estero di vino, con 25 aspiranti manager scelti fra una rosa di 75 candidati provenienti da tutta Italia.

Cerimonia di apertura con presentazione del piano didattico e delle attività, seguita dal seminario sulla professione export manager con l’esperto di commercio internazionale e di processi di internazionalizzazione, Alessio Gambino.

Chi è l’export manager? E’ una figura professionale che segue l’azienda nei mercati di destinazione, con il complessivo obiettivo di sviluppare il business estero. Finora la Fondazione Mach ha formato più di cento esperti. Un bravo Export Manager deve conoscere una o più lingue, avere forti doti commerciali e di negoziazione, conoscere il web e le nuove strategie di comunicazione. Deve essere una persona intraprendente, capace di lavorare per obiettivi.

L’obiettivo del corso è fornire le competenze gestionali che sono indispensabili per l’Export manager, ma che ancora di più sono “vitali” per tutte le aziende che vogliono affacciarsi ai mercati internazionali o potenziarne la loro presenza.

In quest’ottica, ecco la “Formula Executive”. Concepita per conciliare lavoro e studio, grazie alla struttura modulare che comprende lezioni ed esercitazioni in aula il venerdì più il sabato, a settimane alterne, per complessivi 10 appuntamenti (140 ore totali). WEM si svolgerà alla FEM con formula week – end dal 27 gennaio al sabato 27 maggio.

I docenti sono professori universitari, ricercatori, professionisti, consulenti, specialisti del settore enologico e del processo d’internazionalizzazione delle imprese. Il master si avvalerà di testimonianze ed esperienze di Responsabili di alcune primarie aziende vinicole italiane con profilo “export oriented”.

È indirizzato a neolaureati (di primo o secondo livello), addetti commerciali, ma anche a piccoli imprenditori del settore vitivinicolo che ambiscano ad acquisire, o perfezionare, le competenze nella gestione dell’export del vino. Avere competenze di export management può essere un’esigenza di figure professionali molto diverse nel mondo del vino. Il piccolo produttore, magari vitivinicoltore, l’enologo “tuttofare” della piccola cantina, il responsabile commerciale della piccola e media azienda, il proprietario/imprenditore che si occupa a 360° della gestione. Indispensabile buona conoscenza della lingua inglese (riferimento livello B1).

IL PROGRAMMA WEM5
Il percorso formativo del Master è imperniato su 10 moduli che costituiscono le 140 ore di formazione in aula.  Le macro aree di approfondimento sono: scenario vitivinicolo italiano e mondiale: produzione, consumi e tendenze; il nuovo profilo dell’export manager; marketing del mondo del vino; organizzazione dei principali mercati internazionali;la comunicazione del vino on line; attitudini ai consumi di vino e comunicazione interculturale;i canali distributivi;comunicare per vendere;le opportunità delle misure di finanziamento dell’unione europea;il binomio identità-relazione per affrontare i mercati.

“Le imprese vitivinicole – spiega Alessio Gambino – hanno sempre più bisogno di entrare o consolidarsi commercialmente nei mercati esteri. Per poterlo fare in modo duraturo e non occasionale hanno bisogno di figure professionali interne che abbiano le competenze necessarie per supportare i processi di internazionalizzazione”.

Il lavoro di un export manager è complesso, richiede studio, analisi, capacità di ascolto ed osservazione. “Bisogna dedicare energie fisiche e mentali importanti, spesso affrontando viaggi lunghi e frequenti in Paesi con culture diverse e non immediatamente comprensibili. Il supporto dell’impresa diventa fondamentale per per raggiungere i risultati attesi e pertanto anche gli imprenditori devono investire con risorse finanziarie adeguate e sempre più crescenti”.

Alessio Gambino lavora presso CEO IBS ITALIA e Founder Exportiamo.it; esperto di commercio internazionale e di processi di internazionalizzazione, è coordinatore MBA presso l’Università G. Marconi, docente della Business School del Sole24Ore, Exportiamo Academy, NIBI – Nuovo Istituto di Business Internazionale, IPSOA e Tem Academy dell’ICE.

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Vini al supermercato

Teroldego Rotaliano Doc Riserva 2012, Mezzacorona

(5 / 5) “Riserve prodotte solo nelle migliori annate da uve selezionate a mano, destinate al consumo domestico”. E’ in questo solco, fatto di grande responsabilità nei confronti del consumatore nonché delle condizioni climatiche – diverse ogni anno e in grado di modificare l’esito della vendemmia – che si inserisce la produzione del Teroldego Rotaliano Doc Riserva del Gruppo Mezzacorona.

Rapporto prezzo-qualità prepotentemente sbilanciato verso quest’ultima, per una bottiglia che non di rado vede abbassarsi ulteriormente il prezzo di vendita, grazie alle promozioni messe in atto dai supermercati. In particolare, sotto la lente di ingrandimento di #vinialsuper finisce oggi la vendemmia 2012, che precede l’ultima reperibile in commercio (2013).

Nel calice, il Teroldego Rotaliano Riserva Mezzacorona si presenta di un rosso rubino intenso, profondo, poco trasparente. Di consistenza scorrevole, la rotazione si lascia alle spalle archetti fitti. La firma di un’alcolicità importante che, tuttavia, non disturberà affatto la beva. Il naso, complesso, rappresenta l’ulteriore battesimo della qualità del prodotto. Il lungo periodo di affinamento in legno rende i sentori terziari leggermente preponderanti sulle (seppur nette) percezioni fruttate. Quella frutta matura che caratterizza il Teroldego trentino, dal ribes (che esplosione, a proposito, la sua) alla prugna.

Abbiate la pazienza di attendere qualche minuto gli effetti del contatto del nettare con l’ossigeno, per godere dell’evoluzione di sentori ancora più evoluti, come le note di liquirizia e cioccolato, pur sempre in un contorno di frutta matura. Un quadro di ottima finezza. Eccoci all’assaggio, infine. Pieno di aspettative, che trovano tutte confortanti riscontri. Il Teroldego Riserva 2012 Mezzacorona conserva una buona acidità e si presenta al palato caldo, sfoderando un corpo pieno. Perfetto l’equilibrio tra le varie componenti, compresa una tannicità ormai ottimale.

Il sapore è speculare all’olfatto: note di velluto di marmellata di prugna e ribes, per una chiusura che si tinge di spezie, anch’esse dolci. Intenso e fine il retro olfattivo, per una persistenza aromatica più che sufficiente. Un vino, il Riserva di Teroldego 2012 di Mezzacorona, da abbinare in cucina ad arrosti, grigliate o formaggi stagionati, oltre ai bolliti. Piacevole da gustare anche da solo, magari tra una pagina e l’altra di un buon libro.

LA VINIFICAZIONE
Mezzacorona coltiva l’autoctono Teroldego atto a divenire Riserva nella Piana Rotaliana, come ovvio in Trentino. L’uva viene pigiata e separata dai raspi. La macerazione delle bucce avviene con frequenti rimontaggi e la fermentazione si svolge a temperatura controllata attorno ai 25 gradi. Minimo 24 mesi di maturazione, di cui 12 in pregiato legno di rovere. Segue, prima della commercializzazione, un ulteriore periodo di affinamento in bottiglia. Mezzacorona, società cooperativa agricola (Sca) di primo grado, rappresenta la holding capogruppo. Sul retro della bottiglia del Teroldego Riserva compare il nome della subholding Nosio Spa Mezzacorona, che gestisce tutta la fase di investimenti, commercializzazione e sviluppo anche tramite società controllate e specializzate. Un gruppo proprietario tra gli altri del marchio del Trento Doc Rotari, che nel 2015-16 ha registrato un fatturato complessivo di 163,4 milioni di euro.

Prezzo: 6,90 euro
Acquistato presso: Auchan

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La crisi del vino novello spiegata da Cavit

Trecentoquarantamila bottiglie. Si assesta su queste cifre la produzione di vino novello da parte di Cavit, Cantina Viticoltori del Trentino. Cifre in decremento. Così come in picchiata risultano, su scala nazionale, le vendite di vino novello. Una crisi senza fine, quella del corrispettivo italiano del Beaujolais nouveau francese. Il primo nettare della vendemmia, ottenuto (almeno parzialmente) mediante macerazione carbonica, ha perso il fascino di 10 anni fa. In Italia se ne producevano 10 milioni di bottiglie. Oggi 2 milioni. Il minimo storico, come sottolinea la stessa Coldiretti.

“Indubbiamente – spiega Susi Pozzi, direttore Marketing Italia di Cavit S.C. – il mercato del Novello negli anni ha subito un ridimensionamento, sia dal punto di vista delle bottiglie totali sia del numero di produttori. E’ un prodotto che ha raggiunto la fase di maturazione e declino. Le motivazioni sono diverse: un calo generalizzato del consumo di vino, la perdita ‘dell’effetto attesa’, dopo la modifica della data del cosiddetto ‘deblocage‘ del 6 novembre, una costante rincorsa all’anticipo del Natale che ha eroso ‘spazio/tempo’ alla vendita di questo prodotto, in particolare nel canale Gdo”.

Eppure, per Cavit, la produzione di vino novello rappresenta un segmento importante. “Il nostro novello Fiori d’Inverno è leader nel canale Gdo – precisa ancora Pozzi – mentre Terrazze della Luna è dedicato al canale Horeca. Il novello, per Cavit, rappresenta ancora un prodotto importante, che sosteniamo con eventi ad hoc per comunicare al consumatore e agli opinion leader la peculiarità dell’uva Teroldego, particolarmente adatta alla tecnica della macerazione carbonica, oltre alle caratteristiche distintive dei nostri Novelli”.

IL NOVELLO DI CAVIT
L’Igt Vigneti delle Dolomiti “Fiori d’Inverno”, destinato ai supermercati, è un vino di pronta beva, preparato e proposto al consumatore già un mese dopo la fine della vendemmia. La zona di produzione è il Campo Rotaliano, nei comuni di Mezzolombardo, San Michele all’Adige e tra le colline coltivate a vite di Roverè della Luna. In particolare, “Fiori d’Inverno” nasce dalle uve di due vigneti autoctoni trentini: Teroldego e Schiava Gentile, che contribuiscono al blend rispettivamente al 70 e al 30%.

La tecnica usata per la vinificazione del Teroldego è la macerazione carbonica: le uve, perfettamente sane e mature, vengono fatte sostare intere e non pigiate in tini di acciaio inox in ambiente saturo di anidride carbonica. Durante questo periodo avviene la fermentazione intracellulare con estrazione delle sostanze aromatiche più delicate presenti nella buccia. Dopo qualche giorno l’uva viene pressata e il mosto fatto fermentare a temperatura controllata. Unito alla Schiava gentile (che dunque non subisce macerazione carbonica) viene poi sottoposto a un breve affinamento in tini di acciaio inox, prima dell’imbottigliamento e della commercializzazione. Dati analitici: alcool 11,50% vol., acidità totale 4,8 g/l, estratto secco netto 26 g/l, zuccheri residui 7 g/l.

Caratteristiche organolettiche: colore rosso rubino, vivo e brillante. Profumo netto, marcatamente fruttato con sentore di lampone e fragola tipico dei vini ottenuti in macerazione carbonica. Sapore secco, piacevolmente equilibrato, di corpo leggero, ma elegante e vivace. Temperatura di servizio: 12-14° gradi.

Il Novello di Teroldego Igt Vigneti delle Dolomiti “Terrazze della Luna” è vinificato e proposto al consumatore appena dopo un mese dalla vendemmia. “A torto – spiega Susi Pozzi – per la sua giovinezza, è considerato di ‘relativa’ qualità: è invece il frutto di un’attenta selezione delle uve, di una raffinata tecnica enologica e di un efficiente servizio al consumatore più curioso”. La zona di produzione è sempre quella del Campo Rotaliano in Trentino, ossia l’area vitata delimitata dalle Borgate di Mezzolombardo, Mezzocorona e San Michele all’Adige, collocata lungo i fiumi Adige e Noce. “L’esperienza – evidenzia Pozzi – ha dimostrato che il vitigno più adatto all’elaborazione del vino Novello è l’autoctono Teroldego, opportunamente selezionato e vinificato in purezza. La particolare resistenza ‘meccanica’ della buccia consente di mantenere integri gli acini durante la prima fase di vinificazione in macerazione carbonica delle uve intere. Particolare questo molto importante per i processi enzimatici che avvengono in questa prima fase all’interno dell’acino e che conferiscono al vino quel particolare sentore fruttato e fresco, tipico del novello”.

Il metodo di elaborazione è quello della macerazione carbonica. I grappoli maturi e perfettamente sani vengono posti interi, e non pigiati, in piccoli tini di acciaio inox. La macerazione in ambiente chiuso, in totale assenza di ossigeno, favorisce l’estrazione delle sostanze aromatiche e coloranti dalle bucce. Dopo alcuni giorni si passa alla pigiatura delle uve, avviando il mosto alla fermentazione a temperatura controllata. Un breve affinamento in recipiente d’acciaio inox precede imbottigliamento e commercializzazione.

Caratteristiche organolettiche: colore rosso rubino, vivace e brillante; profumo netto con marcato sentore fruttato che ricorda i frutti di bosco e in particolare il lampone. Sapore fresco, armonico, delicato e piacevole. Dati analitici: alcool 12,00% vol, acidità totale 5 g/l, estratto netto 26 g/l, zuccheri residui 6 g/l. Temperatura di servizio: 12-14° gradi.

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Vino italiano, Fem: “L’export migliora la qualità”

“La percentuale del vino italiano che viene venduta all’estero è in crescita e per molte aziende ha oltrepassato la soglia del 50% della produzione. Questo implica che all’interno delle azienda vitivinicola ci siano delle persone con delle competenze specifiche per seguire il lavoro di vendita e promozione sui mercati esteri”. Steve Kim, managing director di Vinitaly International, ha moderato oggi il settimo seminario internazionale di marketing del vino organizzato dalla Fondazione Edmund Mach (Fem) a San Michele all’Adige (Trento) e centrato sui nuovi modelli per l’export.

L’evento, rivolto ad esperti di marketing del vino, produttori e studenti, si inserisce all’interno del percorso formativo di eccellenza “executive master wine export management”, che forma gli specialisti dell’export vini. Professionisti in grado di supportare le aziende del vino nel complesso processo di internazionalizzazione. Oggi, al termine del seminario, si è svolta anche la consegna degli attestati a 24 nuovi manager del vino.

“Abbiamo analizzato quali sono queste competenze, i mercati storici del vino italiano, ma soprattutto quelli nuovi e la Cina in particolare, dove l’Italia del vino non è ancora riuscita ad affermarsi come hanno fatto i cugini d’Oltralpe, ma si stanno facendo enormi sforzi per recuperare terreno” ha detto Kim, l’esperta coreana a capo del braccio strategico internazionale di Vinitaly e impegnata ad utilizzare i canali innovativi per comunicare e celebrare “il vino italiano” all’estero – con un’enfasi creativa sui social media – sempre con un occhio di attenzione per aiutare i produttori italiani a vendere di più di una semplice bottiglia di vino.

LA CRESCITA
L’export vitivinicolo italiano è fortemente cresciuto in quest’ultimo ventennio a dimostrazione del grande appeal internazionale della nostra vitienologia. E’ cresciuta però anche la concorrenza sui mercati internazionali, sono aumentate le problematiche organizzative, si sono fortemente modificati i sistemi distributivi e la stessa rete di importazione si è decisamente evoluta in quest’ultimo quinquennio. Grandi evoluzioni che stanno obbligando le imprese enologiche italiane a grandi sforzi organizzativi e ad aumentare fortemente la loro capacità di gestire la loro presenza sui mercati internazionali.

“Occorre puntare sulla qualità del vino, ma anche creare marchi in grado di esprimere uno stile di vita. Se riusciamo a fare questo le opportunità sono enormi”, ha detto Matteo Lunelli, presidente di Cantine Ferrari nonché direttore dell’International Wine and Spirits Competition IWSC, intervenuto assieme ad Antonio Rallo, presidente di Unione Italiana Vini e titolare della cantina Donnafugata, Emilio Pedron, amministratore delegato di Bertani Domains, Raffaele Boscaini, responsabile Marketing Masi, Francesco Ferreri, presidente di Assovini Sicilia, Matilde Poggi, presidente Fivi e titolare di Le Fraghe, Roberta Crivellaro dello studio legale Whiter.

A conclusione della tavola rotonda si è svolta la consegna degli attestati ai 24 nuovi export manager del vino, provenienti da varie regioni italiane e selezionati da una commissione che ha valutato oltre 70 candidature. Intanto, è tutto pronto per il prossimo corso: il 31 dicembre scadono i termini per iscriversi alla quinta edizione del corso di wine export management.

 

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Trento-Cosenza sulla strada del vino: l’insolito gemellaggio

Un gemellaggio concepito con l’obiettivo di promuovere il territorio a partire dalle sue eccellenze enogastronomiche: un percorso alternativo di vini e sapori che attraversa l’Italia da Nord a Sud per raccontare prospettive, gusti, tradizioni e luoghi lontani. “Terre di Cosenza. Percorsi alternativi: alla scoperta dei mille volti della Calabria”, questo il titolo dell’evento che da gi10ovedì 6 a sabato 8 ottobre ha accompagnato gli ospiti di Palazzo Roccabruna alla scoperta di prodotti e produttori di una terra che vanta ricchezze naturalistiche ed agroalimentari uniche nel loro genere e di antica tradizione: la Calabria. Il frutto di un accordo quadro siglato nel giugno 2016, come hanno spiegato durante la conferenza stampa di presentazione a Palazzo Roccabruna, Trento, Klaus Algieri e Erminia Giorno, rispettivamente presidente e segretario generale della CCIAA di Cosenza, con gli omologhi trentini, Giovanni Bort e Mauro Leveghi.

I DETTAGLI
Come ha sottolineato Klaus Algieri l’intesa prevede “una collaborazione fra le due Camere di commercio per la valorizzazione e la promozione delle rispettive specialità agroalimentari”. “Si tratta – ha aggiunto il presidente – di un unicum a livello nazionale nell’ambito della rete camerale”. Algieri ha anche espresso l’auspicio che l’esempio possa essere seguito da altre Camere di commercio onde dar vita ad un modello virtuoso di collaborazione nella promozione dei vari territori in campo nazionale. Giovanni Bort, presidente della CCIAA di Trento, ha posto l’accento sul ricco patrimonio enogastronomico e culturale dei territori che hanno stipulato l’intesa. Ricordando che il gemellaggio con la CCIAA di Cosenza, ospitata in questi giorni a Palazzo Roccabruna con prodotti e produttori calabresi, prevede la presenza della CCIAA di Trento nel mese di dicembre presso il Castello ducale di Corigliano calabro, per promuovere e far conoscere l’enogastronomia trentina.

SCAMBIO DI SAPERI E SAPORI
Nella tre giorni dei sapori calabresi a Palazzo Roccabruna è stato possibile degustare i vini Doc “Terre di Cosenza” (Greco bianco, Mantonico, Guarnaccia e Pecorello, rosati e rossi di Magliocco, Greco nero, passito di Saracena e spumanti metodo classico), le bacche di Goji, le clementine, l’olio, i formaggi, i salumi, gli agrumi della provincia di Cosenza e tante preparazioni a base di fico e patata.

L’Enoteca ha consentito agli ospiti di abbinare i vini calabresi con frittelle di baccalà, pipi crusckj, cullurielli, polpettine di melanzane, schaicciatine di patate, sciusciellu, ‘nchiampara, pomodori di Belmonte oppure salumi con fichi dottati al miele, crostini con ‘nduja, selezione di formaggi con marmellate di agrumi e miele.

Non sono mancati due interessanti laboratori enogastronomici su “Pasta fresca calabrese… in tutte le salse” e “Vini delle Terre di Cosenza Doc”. La tre giorni si è conclusa sabato sera, con il menù di territorio dal titolo “Eccellenze di Calabria”, a cura degli chef Francesca Narcisi, Carmelo Fabbricatore e Giuseppe Barbino.

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vini#1

Ferrari Perlé 2005 Metodo Classico Trento Doc

Abbiamo trovato per caso questo prodotto di un’annata non più in commercio. Impossibile resistere alla tentazione. Il rischio si è trasformato in una gradevolissima sorpresa. Parliamo di quello che ormai è uno dei prodotti più rappresentativi della famiglia di produttori Lunelli: il Ferrari Perlé. Annata indicata in etichetta: 2005. Sboccatura effettuata nel 2011. Una scommessa, come dicevo, vinta praticamente in partenza. Una “bollicina” evidentemente differente rispetto ai suoi ‘fratelli minori’: 2007, 2008, 2009 non hanno queste caratteristiche. Un vino che ha un suo carattere, facilmente riconoscibile. E anche il prezzo lo ha reso estremamente interessante. Ferrari, insomma, conferma ancora una volta di non avere nulla da invidiare ai cugini francesi. Rendendo questi grandi prodotti alla portata di tutti: una garanzia.

LA DEGUSTAZIONE
Di colore giallo vivo con riflessi dorati, Ferrari Perlé 2005 mostra una spuma compatta e persistente, un perlage elegante, di filari ordinati e fini. Al naso miele di acacia, tanta frutta matura, crosta di pane molto riconoscibile. Un vino armonico, reso ancora più speciale da sentori di melassa da canna da zucchero. Al palato la beva è piena. Una bollicina che centra letteralmente in pieno tutte quelle che sono le caratteristiche da soddisfare per una bevuta piacevole. Armonico ed equilibrato, il Ferrari Perlé 2005 ben bilancia sapidità, acidità e morbidezza del perlage sulla lingua. La mandorla amara domina il retro olfattivo, seguita da sentori di miele e pasta lievitata.

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Trento Doc Brut Cantine Atesine sboccatura 2014

(5 / 5) ”Le cose migliori arrivano quando meno te lo aspetti”. Nel caso specifico la cosa inaspettata è la finezza dello spumante metodo classico Trento Doc Brut prodotto dalle Cantine Atesine di Trento. Nulla da invidiare a nomi altisonanti, cosiddetti leader di prodotto, che si possono trovare in gdo e non solo. Uno spumante classico, il Trento Doc delle Cantine Atesine che, visto così con un’etichetta di poco appeal, passa un po’ inosservato. L’apparenza però spesso inganna, infatti una volta stappato si è rivelato uno spumante di grande personalità. Va detto che le produzioni del Trentino, anche per la gdo, si distinguono sempre. Con le cantine trentine si casca sempre bene.

LA DEGUSTAZIONE
Per quanto riguarda l’analisi organolettica, il Trento Doc Brut Cantine Atesine, nel calice si presenta di un bel giallo paglierino dorato con un perlage mediamente fine ed estremamente persistente, anche se diffuso su più di una catenella. Un naso di grande freschezza, elegante,  con dolci note fruttate di mela e agrumi, fiori delicati, accenni di lieviti e crosta di pane a completare un quadro invitante. Al palato una bollicina incisiva al punto giusto, un buon corpo accompagnato da una vivace vena acidità, sapidità e mineralità per un sorso armonioso. Un finale persistente e retrogusto con sfumature agrumate. Una di quelle bottiglie che con i suoi 12,5% di gradazione, alla giusta temperatura di servizio, si svuota rapidamente. Ma noi di vinialsupermercato, anche se farà inorridire qualcuno, abbiamo conservato (bene) un bicchiere per il giorno successivo, proprio per testarne la tenuta. Ebbene, al secondo giorno sembrava appena stappato e altrettanto gradevole. Lo spumante Trento Doc Brut, ha un residuo zuccherino di 4 g/l. E’ ideale come aperitivo, con pietanze a base di pesce, ma anche a tutto pasto, addirittura con la pizza e la piadina, come viene proposto nei brunch after ski.

LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve 100% Chardonnay da vigneti di accertata vocazionalità situati a nord est di Trento che godono di ottima esposizione. La denominazione di origine controllata ”Trento” identifica il Trentino vitivinicolo ed impone la spumantizzazione secondo il metodo classico di rifermentazione in bottiglia. Le uve sono raccolte a mano. Dopo la diraspatura segue una macerazione sulle bucce di 10/12 ore, illimpidimento naturale del mosto, aggiunta di lieviti selezionati, fermentazione e sosta di 3/4 mesi sui lieviti prima del tiraggio. In primavera viene fatta la cuvée e preparato il vino base che viene posto a rifermentare in bottiglia. per un periodo di sosta minimo sui lieviti di 15 mesi. Lo spumante Trento Doc prodotto da Cantine Atesine riporta in contro etichetta la data di sboccatura 2014, come previsto dal disciplinare. Le produzioni che hanno una sosta sui lieviti inferiore a 24 mesi non possono indicare l’annata, ma devono indicare la sboccatura appunto. Le Cantine Atesine, si trovano a Casteller in provincia di Trento e sono specializzate nella produzione e ingrosso di vini e spumanti.
Prezzo pieno: 6.99
Acquistato presso: Penny Market
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Intreccio Chardonnay Blanc de Blancs spumante Brut, Cavit

(4 / 5)Novità in assortimento da Esselunga e non manchiamo l’appuntamento con la degustazione. Siamo nel mondo delle bollicine trentine Charmat con Intreccio Blanc de Blancs Chardonnay vino spumante Brut della nota casa vinicola Cavit Trento. Uno sparkling wine ottenuto dunque mediante rifermentazione in autoclave (Metodo Martinotti) sulla base della tradizionale esperienza spumantistica di Cavit, che differisce dal Metodo Classico o Champenoise del disciplinare Trento Doc. Passiamo dunque al profilo organolettico. Intreccio Blanc de Blancs Chardonnay vino spumante Brut Cavit si presenta di un colore giallo paglierino con riflessi verdolini. La grana del perlage è mediamente fine e persistente. All’olfatto è intenso, fine e di complessità sottile: ai freschi sentori di mela Golden fa eco una crosta di pane fragrante. Stesse percezioni al palato, che si fa apprezzare per freschezza e corpo. Buona l’alcolicità (12%), morbidezza rotonda, indistinguibile la presenza di zuccheri residui, come vuole un buon Brut. Leggermente sapido, Intreccio Blanc de Blancs Chardonnay Cavit risulta dunque un vino spumante ben equilibrato, che punta tutto sulla freschezza della beva. Aspetto che ritroviamo anche in un retro olfattivo intenso, fine, sufficientemente persistente. Il compagno giusto, insomma, per un aperitivo informale. Può accompagnare anche il pesce, le carni bianche e i formaggi non stagionati.

LA VINIFICAZIONE
Le uve Chardonnay utilizzate per dare vita a Intreccio Blanc de Blancs provengono dalle colline vitate della Vallagarina, in Trentino. Un’area che, dal punto di vista climatico, è caratterizzata da estati calde e buone escursioni termiche nel periodo di maturazione delle uve. Il vitigno Chardonnay, originario della Borgogna e coltivato in Trentino da oltre cent’anni, ha trovato in questa zona un ambiente particolarmente favorevole per esprimere tutto il suo potenziale qualitativo. La complessa gamma aromatica di questa varietà associata ad un buon tenore acidico la rende ideale per l’elaborazione di vini spumanti. Le uve, accuratamente scelte, vengono raccolte esclusivamente a mano. La preparazione del vino di base viene realizzata mediante vinificazione in bianco in piccoli contenitori in acciaio inox a temperatura controllata. Una fase, questa, in cui gli enologi di casa Cavit Trento assicurano di prestare “particolare cura”. Il vino-base ottenuto riposa per alcuni mesi in cantina e viene dunque sottoposto a rifermentazione in autoclave, seguita da un affinamento sui lieviti di sei mesi, prima dell’imbottigliamento. Cavit (Cantina Viticoltori del Trentino) è una cooperativa che riunisce undici cantine sociali trentine, con 4500 viticoltori associati, dalla Valle dell’Adige (Roverè della Luna) alla Vallagarina (Avio).Prezzo pieno: 7,19 euro
Acquistato presso: Esselunga
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Spumante italiano, capodanno 2016 da record. Il metodo Charmat è quello vincente

Per le feste correnti in Italia si stima che salteranno circa 52 milioni di tappi di spumante Made in Italy con consumi in ripresa del 4% per cento. E’ quanto stima la Coldiretti nel sottolineare che è record storico per lo spumante italiano con 242 milioni di bottiglie stappate tra Italia ed estero per le feste di fine anno. Se all’estero salgono a 190 milioni le bottiglie di spumante italiano stappate, con un balzo del 13 per cento nelle bottiglie esportate, in Italia si è di fronte ad una storica inversione di tendenza dopo sette anni di progressive riduzioni. L’ottantasei per cento degli italiani non rinuncia allo spumante, mentre appena il 14 per cento sceglie lo Champagne. A prevalere tra le bollicine italiane sono quelle ottenute con il metodo Charmat che rappresentano circa il 95 per cento della produzione. Il resto con il metodo classico (Champenoise), che prevede la fermentazione in bottiglia con l’introduzione del liqueur de tirage e comporta una lavorazione che può durare fino a tre anni, con un prezzo finale più elevato.

IL PROSECCO
Nella classifica delle bollicine italiane piu’ consumate nel mondo ci sono il Prosecco, l’Asti, il Trento Doc e il Franciacorta che ormai sfidano alla pari il prestigioso Champagne francese. Se lo spumante è il prodotto irrinunciabile del cenone di capodanno quest’anno molto gettonati sono tornati ad essere il cotechino o lo zampone che vengono gustati a tavola da piu’ di due italiani su tre (67 per cento) spesso in accoppiata con le lenticchie (80 per cento). Sul 59 per cento delle tavole ci sarà l’uva, ma il segno di una maggiore attenzione all’economia nazionale e alla sobrietà dei comportamenti viene anche dal fatto che le ostriche rimangono un must per appena il 13 per cento degli italiani, anche se il 58 per cento non rinuncia al salmone, secondo l’indagine Coldiretti/Ixe’. Sulle tavole del Capodanno – conclude la Coldiretti – si prevede che saranno serviti piatti per un totale di 95 euro a famiglia, il 25 per cento in piu’ dello scorso anno anche perché gli italiani quest’anno sembrano preferire una buona cena piuttosto che uscire nelle piazze, al cinema, a teatro, nei concerti o nelle discoteche, dopo i recenti fatti di cronaca.

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Vini al supermercato

Teroldego Rotaliano Doc Mastri Vernacoli Cavit Trento

(3 / 5) Vino amatissimo in Trentino, il Teroldego fu la “bevanda” privilegiata dei banchetti regali dell’imperatore Francesco Giuseppe d’Austria, nell’Ottocento. Ed è proprio da queste terre che deriverebbe il nome Teroldego. Ovvero dall’incrocio delle parole “Tiroler” (Tirolo, l’area geografica a cavallo delle Alpi, tra Italia e Austria-Germania) e “gold” (oro): da qui “Tiroler Gold”, coniugato in italiano in Teroldego. L’oro del Tirolo, denominazione di origine controllata dal 1971. Un “oro liquido” che da tempo, ormai, ha varcato i confini territoriali d’origine, giungendo sulla tavola di tutti gli italiani (e non solo) grazie anche alla grande distribuzione organizzata. Oggi, sotto la lente d’ingrandimento di vinialsupermercato.it, finisce appunto il Teroldego Rotaliano Doc di Cavit, nota azienda vitivinicola di casa a Trento, capoluogo del Trentino. La premessa è che non si tratta certo di uno dei prodotti di punta della cantina in questione, che lo inserisce nella linea “Mastri Vernacoli”: la meno prestigiosa del brend. Siamo comunque di fronte a un ottimo vino da tavola, non convenzionale, che tra l’altro necessita del corretto abbinamento per essere ‘compreso’ appieno. Un vino a buon mercato, ma comunque decisamente di valore; tutt’altro che banale. Nel calice, il Teroldego Rotaliano Doc Mastri Vernacoli Cavit si presenta di un colore rosso intenso, quasi impenetrabile, se non fosse per i riflessi viola accesso che gli fanno da cornice. Il naso è molto intenso, ma allo stesso tempo elegante: si avverte subito un sostenuto richiamo ai frutti di bosco. Fragoline, lamponi, more, mirtilli sotto spirito. Non manca la viola mammola: fresca ed eterea. Al palato, il Teroldego Rotaliano Doc Mastri Vernacoli Cavit si rivela subito quale vino di corpo, al limite del tannico. E’ asciutto, ma allo stesso tempo le note fruttate, con spiccati richiami – oltre ai frutti di bosco – anche alla prugna, conferiscono un certo equilibrio all’assaggio, smorzandone le vene tendenti all’amarognolo che si fanno largo sin dal principio. L’abbinamento perfetto di questo vino potente e forzuto è quello con le carni alla brace, ma anche ai primi piatti della tradizione trentina, come le zuppe, la polenta e il bollito. Vino tutt’altro che ‘facile’, il Teroldego Rotaliano Doc Mastri Vernacoli Cavit è il prodotto dei vigneti che crescono nella zona della Piana Rotaliana, compresa tra i Comuni di San Michele all’Adige (frazione di Grumo), Mezzolombardo e Mezzocorona.Prezzo pieno: 5,70 euro
Acquistato presso: Il Gigante
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Vini al supermercato

Pinot Grigio Trentino DOC 2014 Cavit Mastri Vernacoli

(3 / 5) Tra le molte varietà di Pinot Grigio presenti sugli scaffali dei supermercati italiani, quello di Cavit è certamente un classico. Un modo per andare sul sicuro. La linea è quella dei Mastri Vernacoli, che tra le cantine della società cooperativa di viticoltori trentini è in grado di offrire altri “pezzi” pregiati e altrettanto “classici”, come il Gewurztraminer.
Il Pinot Grigio Trentino Doc Mastri Vernacoli in questione è dell’annata 2014. Un vino giovanissimo, dunque, che conserva tutto l’aroma tipico del genere. Una volta stappato e versato nel calice, a una temperatura consigliata tra i 10 e i 12 gradi, si sprigionano da un chiaro giallo paglierino sentori nettissimi di pera, pesca e limone. Gli stessi che si ritrovano al gusto, tra le vivide note floreali.

Perfetto l’abbinamento con piatti di pesce e minestre. Sorprendente come il corpo di questa bottiglia riesca a “completare” alla perfezione un semplice piatto di cozze, in guazzetto d’alici e capperi.

Un mixaggio sapiente di uve provenienti dai terreni di Roveré della Luna, lungo il fiume Adige, con altri di Vallagarina (2) e della Valle dei Laghi (6), dal Comune di Terlago alla zona del basso fiume Sarca.

Prezzo pieno: 6,28 euro
Acquistato presso: Il Gigante – Assago Milanofiori (MI) https://plus.google.com/u/0/+IlGiganteAssago/posts

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