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Benvenuti a Chamlija, il paradiso dei vini turchi: così Mustafa Camlica scrive la storia

Benvenuti a Chamlija, il paradiso dei vini turchi così Mustafa Camlica scrive la storia del vino in Turchia
La colonna sonora di Star Wars parte a tutto volume mentre la Tesla di Mustafa Camlica si lascia alle spalle i vigneti di Chardonnay, Pinot Nero e Kelecik Karasi, su cui batte un sole d’inferno. Il parco del massiccio dello Strandja, confine naturale tra Turchia e Bulgaria, sembra d’improvviso quella «galassia lontana, lontana» immaginata sul finire degli anni Settanta da George Lucas. Le rocce granitiche riflettono una luce magmatica accecante lungo la strada piena di buche – d’improvviso così simili a crateri lunari – che il produttore schiva con maestria.

«E adesso perché questa musica? Questa macchina fa tutto da sola», borbotta il re dei vini turchi, poco avvezzo al display della sua auto elettrica. Se la cava decisamente meglio in vigna e in cantina, Mustafa Camlica. I 100 ettari di Chamlija, azienda a conduzione famigliare alla terza generazione, sono l’insieme delle sfumature di suoli studiati sino all’ultimo granello di polvere, per individuare la varietà migliore da piantare, con relativo portainnesto.

CHAMLIJA E IL RE DEI VINI TURCHI, MUSTAFA CAMLICA

Si passa dalle terre bianche scelte per le varietà borgognotte, alle terre rosse in cui i vitigni bordolesi e del Rodano hanno attecchito con risultati straordinari. Tanto da far guadagnare al brand Chamlija un posto d’onore tra i pochi “fine wines” turchi noti a livello internazionale. Undici i villaggi della Strandja Mountain (in turco Yıldız Dağları o Istranca Dağları) in cui Camlica ha acquistato terreni, a partire dal 2008.

«Nella nostra regione – spiega abbassando il volume della radio, smorzando “l’effetto Star Wars” – si producono i vini più costosi della Turchia. Dopo di me sono arrivati qui altri imprenditori. tutti turchi. Comprare anche solo terra nuda, da queste parti, è diventato molto costoso. Del resto, abbiamo i suoli migliori di tutto il Paese».

La “Montagna delle Stelle” – questa la traduzione di Yıldız Dağları – è così chiamata per la presenza di quarzo lungo le pendici, che la farebbe riluccicare. Scendendo verso valle ecco più calcare, misto a detriti marini e conchiglie, con pochi centimetri di terra fertile e argilla (le terre bianche) e formazioni contraddistinte da depositi alluvionali sassosi, dove le concentrazioni di ossidi colorano la superficie, intaccando profondi strati di suolo (le terre rosse).

VINI TURCHI? ZONAZIONE E STUDIO DEI SUOLI PER PRODURRE “FINE WINES”

«Non abbiamo lasciato nulla al caso – commenta Mustafa Camlica con un sorriso fiero stampato sul volto – perché l’idea iniziale di Chamlija, che ancora portiamo avanti, è quella di produrre “fine wines”, non vini qualunque. Cosa serve per produrre “fine wines”? Tre cose: innanzitutto l’individuazione del luogo adatto in cui piantare la varietà corretta; la seconda regola è l’individuazione del luogo adatto in cui piantare la varietà corretta; la terza regola è l’individuazione del luogo adatto in cui piantare la varietà corretta. Petrus – esemplifica il patron di Chamlija – non sarebbe Petrus senza luogo. L’ho imparato nella mia precedente vita da mediatore di vini di lusso ed è la mia, la nostra, dottrina».

L’approccio alla parcellizzazione e alla zonazione non è poi così diffuso in Turchia – Paese in cui si contano poco più di 350 mila ettari di vigneto complessivo, l’Italia ne ha circa 630 mila – ma sembra essere una delle caratteristiche che accomunano le cantine che propongono vini di qualità superiore. Il mercato interno non offre grandi soddisfazioni, per ovvi motivi (religiosi). Per questo, le aziende più lungimiranti e ambiziose, come Chamlija, puntano sulla valorizzazione delle peculiarità di suoli e microclimi vocatissimi alla viticoltura.

CHAMLIJA, PRESENTE E FUTURO DEL VINO IN TURCHIA

«L’investimento della nostra cantina Chamlija in nuovi cloni di Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon, nonché in nuovi vitigni come Touriga Nacional, Assyrtiko, Xynomavro e Kadarka – sostiene con sicurezza il re dei vini turchi, Mustafa Camlica – plasmerà l’industria vinicola turca nei prossimi decenni. I recenti impianti, che superano i 20 ettari, sono uno dei più grandi investimenti effettuati da una cantina in Turchia». 

Parole confermate dalla prova dei calici, in cui le varietà francesi – senza dimenticare Albariño e Riesling, quest’ultimo fresco di medaglia d’oro alla Balkans International Wine Competition and Festival 2024 – al pari delle varietà autoctone turche – Papaskarasi, per citare una tra le più promettenti – e di quelle greche e originarie dei Balcani (come il Mavrud) paiono aver trovato una nuova dimensione internazionale da queste parti.

Ovvero tra vigneti come Akoren, İslambeyli, Poyrali Parpara, Poyrali Duzdag, Poyrali Kartalkaya, Poyrali Camtepe, Poyrali Dikalan, Poyrali Karadere, Sogucak-Kurtçatagi, Tozaklı, Sutluce, Akçakoy e Kuçukkariştiran, tutti posti tra i 115 e i 450 metri sul livello del mare, nel circondario del massiccio dello Strandja. È il “nuovo” che si fa largo e che farà certamente parlare di sé, anche in Italia: tutto tranne che una «galassia lontana, lontana».

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L’altra faccia di Barolo: i migliori assaggi a Vini Corsari 2017

BAROLO – Sono i vini europei i veri protagonisti dell’edizione 2017 di Vini Corsari, evento “alternativo” che di anno in anno anima il Castello di Barolo, nei primi giorni di dicembre. Una kermesse che, quest’anno, ha fatto da contraltare italiano a “Vini di Vignaioli à Paris”.

Buono il riscontro del pubblico. Circa 500 presenze domenica 3 (soprattutto eno appassionati) e 250 ingressi lunedì 4 dicembre (per lo più professionisti del settore). Dall’appuntamento di domenica 3 e lunedì 4 escono a testa alta i Riesling della Mosella, nonché gli autoctoni spagnoli e portoghesi.

Anche quest’anno, Marta Rinaldi e i suoi collaboratori (portoghesi e italiani) sono riusciti a pescare bene nel cestello della Francia (sugli scudi con una maison di Champagne in grado di esaltare come poche il Pinot Meunier in purezza) e in quello nostrano, spaziando in maniera convincente in 8 regioni.

Una vocazione europea, quella di Vini Corsari, confermata dall’organizzazione. “Quest’anno – commenta Marta Rinaldi (nella foto) – abbiamo quasi del tutto rinnovato il parterre dei vignaioli corsari, rafforzando la presenza di produttori dalla Germania e dall’Austria e limitando Francia e Italia. Per scelta, ancora nessun Barolo a Vini Corsari, perché mi piaceva l’idea di esaltare Barolo come paese, come castello e come Denominazione, ospitando i vini di altre regioni, Stati e territori. Per noi, del resto, l’aspetto umano di questo festival è fondamentale: lo scambio culturale e linguistico tra vignaioli provenienti da diverse nazioni è importantissimo, oltre ai risvolti professionali di un’esperienza simile”.

Domanda d’obbligo, allora, sulla vendemmia 2017 a Barolo, di cui Marta Rinaldi è stata protagonista con l’azienda di famiglia, la Giuseppe Rinaldi. “E’ stata un’annata piuttosto anomala e curiosa: abbiamo patito le condizioni climatiche, dal gelo della primavera alla siccità estiva. Con il giusto tempismo in vendemmia abbiamo controllato i rischi di grandi concentrazioni e cali di acidità, anticipando la raccolta al 14 settembre in terreni sabbiosi o meglio esposti come Cannubi e Le Coste e finendo il 29 settembre con Ravera e Brunate. Un’annata in cui ha contato molto, dunque, l’esperienza pregressa del singolo viticoltore e le dimensioni delle aziende”.

I MIGLIORI ASSAGGI A VINI CORSARI 2017
Vini spumanti
1) Champagne Extra Brut Blanc de Noirs 2014 “Les Murgiers”, Francis Boulard. Versione Extra Brut (ma Boulard produce anche il Brut Nature, non in degustazione a Barolo) dosata 3-5 grammi litro, Pinot Meunier in purezza, vinificato in bianco. Un vero e proprio emblema della maison e del suo titolare.

La vinificazione del solo succo della prima spremitura avviene in legno di diverse dimensioni, dalla barrique alla botte grande. La fermentazione alcolica è spontanea, con lieviti indigeni. Fondamentali i batonnage, ogni 10 giorni. II risultato è uno Champagne di grande equilibrio tra frutta, legno e acidità.

2) Vino bianco frizzante Sur Lie “Bolle Bandite”, Carolina Gatti. La regina del Raboso (nella foto) presenta a Vini Corsari il suo “Prosecco”. Ottenuto al 100% dall’antico “Prosecco tondo”, clone Balbi, caratterizzato da acini tondi, di dimensioni irregolari (acinellatura). A Valdobbiadene è invece più comune l’acino lungo, più produttivo.

Un anno in cemento per queste “Bolle” che, fino al 2012, godevano della Doc. In quell’anno, su 10 mila bottiglie, solo 2 mila passarono l’esame della commissione. Il frizzante in degustazione è dunque un Prosecco non convenzionale, sin dal colore giallo paglierino velato, tutto giocato su note “dritte”, di agrumi. Un vino graffiante, come chi lo produce: piacevolmente irriverente e senza peli sulla lingua.

Vini bianchi
1) Riesling 2014 “Ellergrub”, Immich-Batterieberg
. Dopo tanti assaggi di Riesling (molti dei quali validissimi) a Vini Corsari 2017, quello di Immich-Batterieberg risulta il più convincente. Siamo a Enkirch, in Mosella, Germania. Giallo dorato limpidissimo, riflessi tenui tendenti al verdolino.

Al naso una lieve nota di idrocarburo, oltre a una vena fruttata ed erbacea profonda. Palato sorprendente, nel modo in cui riesce a giocare sull’altalena tra morbidezze e acidità: note citriche in incontro-scontro con percezioni di frutta esotica matura. Retro olfattivo pacato, col vino che si spegne su una nota erbacea.

2) Riesling 2016 “Vade Retro”, Melsheimer. “Il nostro Riesling senza solfiti”. Lo presenta così Thorsten Melsheimer, omone alto quasi come le campate del Castello Falletti di Barolo. Restiamo nella tedesca Mosella, ma ci spostiamo a Reil. Un anno in barrique per “Vade Retro”. Si vede (dal colore, tra l’orange e l’ambrato) e si sente (al naso): arachidi, frutta secca in generale, ma anche datteri, fichi.

In bocca va giù come una lama, riempiendo come un boccone dato in pasto a un affamato. Note citriche, che poi virano sulla frutta esotica matura, in particolare sull’ananas. Uno spettacolo.

3) Neuburger Freyheit 2016, Weingut Heinrich. Una delle due sorprese, tra i bianchi di Vini Corsari 2017. Tutta interessante la linea di Weingut Heinrich. Ma è il “vino base”, quello proposto per primo, a colpire maggiormente. Diciotto euro davvero ben spesi. Quando lo diciamo a Philine Dienger, sembra non crederci dalla gioia. Di fatto, questo è un vino simbolo per la cantina di Gols, zona orientale dell’Austria, nei pressi del confine con Slovacchia e Ungheria.

Neuburger in purezza, 12%, 0,9 grammi di residuo zuccherino. Giallo dorato velato nel calice, con riflessi verdolini. Naso di passion fruit e mele mature, su sottofondo d’erbe di montagna e scorza di lime. Un altro eccellente esempio di come si possa produrre vini tanto grassi quanto rinfrescanti.

Corrispondente al palato, dove regala anche note minerali (selce, grafite) e ridondanti ritorni di ananas e papaya matura, tutt’altro che stucchevoli. Il segreto di questo vino, forse, oltre al terroir di scisto e calcare, sta nella macerazione iniziale con i raspi (per 48 ore).

4) Langhe Bianco Doc 2013 “Coste di Riavolo”, San Fereolo. Quarantamila bottiglie complessive, su una superficie di 14 ettari, danno la “misura” dell’impegno di Nicoletta Bocca nella zona del Dogliani. Basse le rese delle vigne vecchie di Dolcetto, ma anche di Riesling e Gewurztraminer.

Se i Dogliani di San Fereolo (2016, 2010 e 2006) sono pezzi d’arte già riconosciuti nel panorama enologico nazionale dei “Vini veri”, è il Langhe Bianco 2013 ottenuto dal blend tra Riesling renano (70%) e Gewurztraminer (30%) a colpire l’attenzione a Vini Corsari 2017.

“Mica ho fatto studi sui terreni prima di decidere di impiantarli”, ammette con schiettezza Nicoletta Bocca, sistemandosi gli occhiali sul naso e accennando a un sorriso. Del resto, certe cose, certi vignaioli, le sentono dentro. Poi le fanno e basta.

E il risultato è eccellente. Un orange leggero colora il calice corsaro, che allontana ancor più – geograficamente – l’Alto Adige e il Trentino dal Piemonte. Come a segnare una linea di demarcazione visiva, che sintetizzi una filosofia produttiva diametralmente opposta a quella convenzionale. Niente aromaticità e “dolcezze” nel Langhe Bianco di San Fereolo, per intenderci.

Macerazione e pigiatura in vasche d’acciaio, con le bucce, poi fermentazione in legno da 25 ettolitri, dove resta per altri due anni. Un altro lo fa in bottiglia, prima della commercializzazione. I 13 euro (prezzo corsaro) sono un vero e proprio regalo.

Vini rossi
1) Baixo Corgo 2015 “Trans Douro Express”, Mateus Nicolau de Almeida. Si chiama “Trans Douro Express” la linea di vini di Mateus Nicolau de Almeida, vignaiolo portoghese che a Barolo regala un vero e proprio “viaggio” nelle diverse subregioni del Douro português. E allora tutti sul treno. Anche senza biglietto. Tanto guida lui, che è uno alla mano.

Dieci uvaggi compongono il miglior rosso degustato a Vini Corsari 2017, con prevalenza di Touriga nacional e Touriga franca. Una pratica comune, in Douro, l’allevamento di diverse varietà nello stesso appezzamento. Di fatto, questo blend, esalta la varietà principe del Porto.

Trovando un ottimo equilibrio tra “ruvidità” e una certa eleganza aromatica. In questo quadro, l’apporto erbaceo del Tinta Roriz (cugino portoghese del Tempranillo spagnolo) si fa sentire eccome. Ciliegina sulla torta? Rapporto qualità prezzo eccezionale.

2) Viño tinto “Camino de la Frontera” 2016, Da Terra Viticultores. Siamo in Val du Bibei,  nella Ribeira Sacra della Galicia, in Spagna. I capelli “rasta” di Laura Lorenzo sono forse l’immagine più fulgida dell’intera ciurma di Corsari messa assieme dalla banda capitanata dalla Elizabeth Swann di Barolo, Marta Rinaldi.

Laura si vergogna a farsi inquadrare dall’obiettivo della macchina fotografica. Ma quando parla di vino, del suo vino, è un vulcano. Ci innamoriamo di lei quando versa nel calice Camino de la frontera 2016, blend in cui la parte del leone lo fa l’uvaggio Juan Garcia.

Sembra di risalire sul treno condotto nel Douro da Mateus Nicolau de Almeida. Valicando i confini portoghesi, giungendo in Spagna. Nel calice, il fil rouge è evidente. Il vino di Laura è meno strutturato, ma può contare su una vena minerale che fa strabuzzare gli occhi dalle orbite. Completano il quadro rimandi erbacei profondi, tendenti al balsamico, che richiamano la mentuccia e il timo. Un vino che non smetteresti mai di bere.

3) Cornalin 2015 “L’Enfer du Calcaire”, Histoire d’Enfer. Il Vallese, vinialsuper, lo ha girato in lungo e in largo. Vini Corsari 2017 regala una chicca dell’area vitivinicola più ampia della Svizzera: il Cornalin di Histoire d’Enfer. Un rosso tutto giocato sull’eleganza dei piccoli frutti a bacca rossa. Naso avvolgente e palato di ribes e lamponi.

La “prontezza” delle note fruttate trae in inganno solo di primo acchito, seguita da una freschezza (acidità) che rende questo Cornalin davvero tipico e di livello, anche nel tempo: i vini di Historie d’Enfer, del resto, offrono spesso ampie garanzie in termini di longevità.

4) Merlot 2015 “Masot”, Fattoria Sociale La Costa e Motor América 2016, 4 Kilos Vinícola: l’italiano (dal Veneto) e lo spagnolo (da Mallorca) si guadagnano un posto nella nostra speciale classifica dei migliori assaggi di Vini Corsari 2017 come “vini quotidiani”.

Vini rossi dall’ottimo rapporto qualità prezzo (inferiore ai 10-15 euro) e dalla grande facilità di beva, prodotti nel primo caso con un uvaggio internazionale e nel secondo con il Callet, autoctono delle isole Baleari.

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Prowein 2017: dieci vini internazionali da non perdere

In una mano lo smartphone. Nell’altra un Mc Cafè d’asporto: tanto lungo d’arrivarti fin sotto le narici, scialbo e sciacquato. L’identikit del tedesco “medio” sembra ormai una fotocopia sbiadita dell’americano “tipo”. Con qualche chilo in meno, of course.

Per strada, in aeroporto. Oppure sui mezzi pubblici. Dove il teutonico gentil sesso sfodera, in un affollato tête-à-tête, anacronistici Eau de Toilette alla cipria. Evidentemente di moda nel regno della Merkel. Il tutto, fuori dal Prowein.

Già, perché a Dusseldorf la Germania si infila frac e cilindro delle grandi occasioni. E mostra, in 9 padiglioni luccicanti, tutta la sua grandezza: 6.250 espositori provenienti da 60 Paesi, capaci di attirare dal 19 al 21 marzo ben 58.500 visitatori specializzati da 130 Paesi del mondo. Un record assoluto quello segnato dall’edizione 2017. Che, senza senza e senza ma, conferma Prowein ai vertici mondiali delle fiere del vino globale.

Grandi gruppi capaci di muovere equilibri sottilissimi nei territori in cui operano. Ma anche realtà di dimensioni più modeste, vogliose di imporsi sullo scenario internazionale. Questa la sintesi di una Wine and Spirits Trade Fair alla quale non siamo voluti mancare. Dimenticandoci per un attimo dell’Italia, che tratteremo ampiamente in occasione del prossimo Vinitaly, ecco i nostri migliori assaggi.

TOP WINES – QUALITA’ PREZZO
In un’ottica di rapporto qualità-prezzo, è un nome noto a farla da padrone. Voliamo in America per parlarvi appunto della Francis Ford Coppola Winery di Geyserville, California. La casa vinicola del regista statunitense sbalordisce (letteralmente) non per il top di gamma, in linea con il “gusto Usa.” per i vini un po’ ruffiani. Piuttosto per le basi. Lo Chardonnay Votre Santé 2014 (California Appelation Controlée), ottenuto affinandone il 40% in barrique francesi nuove, è sul mercato per 12 dollari. Semplice da bere, ma per nulla banale.

Capace di coniugare la freschezza delle note di frutta a polpa bianca con note evolute (dal legno) di grande carattere, in un sottofondo minerale. Rosso & Bianco 2014 (versione rossa ottenuta dal blend tra Cabernet Sauvignon, Zinfandel e una manciata di Syrah) costa invece 11 dollari. Provate a pensare a un vino concepito come quotidiano, ma in grado di evolversi nel calice di minuto in minuto, sfoderando una complessità da leone: eccolo.

TOP WINES – VINI BIANCHI
Al vertice delle nostre degustazioni si piazza The 12th Man 2016, altro Chardonnay, prodotto in Australia da Wirra Wirra Vineyars. La cantina, che si definisce una “tribù” capace di “divertirsi seriamente”, opera in McLaren Vale e sulle colline di Adelaide con uno stile iconoclasta e sopra le righe del conformismo. “Ma con i piedi ben saldi sulla nostra terra – spiega il general manager Sam Temme – a partire dal nome ‘Wirra Wirra’, espressione aborigena che significa ‘Dentro l’albero della gomma’. Un modo per legarci inscindibilmente alle nostre origini nella costruzione di un futuro sostenibile”.

The 12th Man (35 dollari australiani, 24 euro) è un 100% Chardonnay ottenuto da vigne di 20 anni. Giallo carico con riflessi verdolini, va scaldato leggermente durante la degustazione al Prowein per mostrare al naso i propri aromi, ricchi e profondi: crema di limone, buccia d’arancia, mandorla, lievito. Pare una brioche ripiena. Ricorda per certi versi lo stile di certi bianchi dell’Occitania francese (Pays d’Oc). Premesse olfattive che poi trovano perfetto compimento in un palato cremoso, morbido ma serio, in pieno stile Wirra Wirra. Agrumi, di nuovo, e frutta fresca in un sottofondo minerale, in cui la barrique gioca in perfetto equilibrio con i varietali, spinti da una lunga macerazione sulle bucce. Una caramellina per palati esigenti.

Restiamo in Australia per il blend Duffe Punkt 2016 della Chaffey Bros Wine Company, base nella rinomata Barossa Valley. Un mix perfetto, in quanto ad aromaticità ed eleganza, di Gewurztraminer, Riesling e Kerner (Weißer Herold), di cui i Chaffey possiedono una delle due uniche vigne in Australia.

A condurre la degustazione un entusiasta Theo Engela. E se pensate che il mix possa risultare stucchevole per aromaticità, vi sbagliate.

Un “Gewurz” che al naso la fa da padrona, lascia spazio al palato a un Riesling dalla mineralità spaziale, perfettamente abbracciato dalle note morbide di litchi, agrumi e accarezzato da una brezza di spezia fine. Un vino gastronomico che merita le luci di una ribalta come quella del Prowein.

Ci spostiamo a Creta per una vera e propria “chicca”. Quella offerta da un “matto” di nome Nikos Douloufakis, che dopo gli studi in enologia ad Alba ha deciso di condurre l’azienda di famiglia all’insegna della continua sperimentazione. Douloufakis Cretan Winery, di fatto, è un vero e proprio laboratorio del vino cretese (clicca qui per leggere la cronaca del nostro wine tour a Creta).

L’ultima trovata di Nikos è il vino in anfora: il Vidiano Amphora 2016. “Si tratta – spiega l’intraprendente produttore – dell’esperimento di riprodurre una vinificazione come l’avrebbe compiuta mio nonno. Ovvero in terracotta, localmente chiamate pithari. Le anfore hanno una capacità di 250-300 litri. La macerazione delle uve Vidiano, autoctone di Creta, si protrae per 3 mesi dopo la fermentazione senza solforosa, senza aggiunta di lieviti e senza nessun intervento da parte mia. Poi separo vino dalle bucce e lo riverso nelle anfore, dove resta per altri 2 mesi. Dunque il vino finisce in barrique, per chiarificarsi in ‘autonomia’. Dopo due o tre mesi imbottiglio, senza filtrare”.

Un Vidiano che risulta così pieno, tosto, tannico. I sentori sono quelli di frutta passita, arance e bergamotto. Lungo. Infinito. E in continua evoluzione nel calice. Una gemma. “Lo dedico ai consumatori più avanzati – commenta Douloufakis (nella foto a sinistra) – che chiedono vini naturali e ‘diversi’. Credo in questo progetto tanto da aver avviato uno studio per ottenere anfore ancora più adeguate in termini di traspirazione”. Vidiano Amphora 2016 sarà in commercio a partire da settembre. Ma Douloufakis produrrà anche una versione con uve a bacca rossa Liatico, che sarà pronto tra un anno.

TOP WINES – SPARKLING
Per la categoria Sparkling, un solo nome: quello di Szigeti Sektkellerei Gols, cantina austriaca situata al confine con l’Ungheria specializzata nella spumantizzazione degli autoctoni con metodo tradizionale. A Clemens Wright brillano gli occhi nel presentare le etichette in degustazione al Prowein. E la passione di quest’uomo si tramuta in nettare dorato se nel calice versa il Gruner Veltliner Brut, ottenuto dall’omonimo vitigno parente di Traminer e St Georgen, il più coltivato d’Austria. A sorprendere, anche in questo caso, è il rapporto qualità prezzo: la bottiglia si porta a casa con 11 euro. I 6 grammi litro scarsi di dosaggio zuccherino non sporcano una beva di mela e pepe bianco, davvero preziosa. La chiusura è elegante nei suoi richiami al limone che invitano al sorso successivo.

Splendido, sempre di Szigeti, anche il Bio Welschriesling Brut. Non si tratta d’altro che di un Riesling italico capace di confondere il naso con note di mela matura, per voi virare al palato su tinte minerali seriose, prima di un finale di mineralità tagliente. Un Brut che si farebbe apprezzare anche dagli amanti del Pas Dosé, con soli 5g/l di residuo.

TOP WINES – ROSE’
In volo sull’Austria viriamo verso sud est e puntiamo nuovamente verso l’Australia, vera e propria nazione rivelazione di questo Prowein. Una terra che ormai ha addosso gli occhi del mondo, a buona ragione.

Basti pensare (anche) al Rosè di Pinot nero che è in grado di mettere sul mercato, al prezzo strepitoso di 7-8 euro, la cantina Jacob’s Creek (Orlando Wines) di Rowland Flat, rappresentata a Dusseldorf dall’ottimo Richard Doumani.

Le Petit Rosè 2016 è in realtà un blend di Pinot Noir, Grenache e Mourvèdre, in pieno stile provenzale. Lo dicono gli aromi. E lo dice un calice che si racconta come semplice ma non banale, sottile ma profondo. Elegante e sbarazzino.

Un rosè fine, divenuto non a caso il simbolo degli Australian Open di tennis, prodotto anche come Frozen “Frosé”: una sorta di sorbetto Rosè. Per una cantina che ora punta a farsi conoscere nel mondo della grande distribuzione organizzata europea.

TOP WINES – RED

Sul podio dei vini rossi salgono gli Stati Uniti d’America, con la vendemmia 2014 di Estate Perigee – Seven Hills Vineyard (Walla Walla Valley). Si tratta di uno dei prodotti di punta de L’ecole N° 41, cantina fondata nel 1983 a Lowden, Stato di Washington, oggi condotta con passione e professionalità da Martin Clubb, attivista della “sostenibilità in vigna”. Estate Perigee 2014 è un blend composto al 60% da Cabernet Sauvignon, 20% di Merlot, 12% di Cabernet Franc, 5% di Petit Verdot e 3% di Malbec.

Un mix ottimamente riuscito tra finezza e struttura. “E’ il vino che rappresenta al meglio le caratteristiche del vigneto Seven Hills”, spiega fiero Martin Clubb. Naso e bocca corrispondenti, in una rincorsa tra note intense di frutti a bacca rossa (amarena e ribes), una punta di tartufo (del Malbec) e sentori terziari di sigaro. Tannino robusto, ma fine. E chiusura minerale. Cosa manca a questo vino? Davvero nulla. E’ reperibile sul mercato americano a un prezzo che si aggira attorno ai 54 dollari (circa 50 euro).

Ottimo, tra i rossi degustati al Prowein, anche lo spagnolo Gran Luna 2013 della cantina Dehesa de Luna. Si tratta di un altro blend di Cabernet Sauvignon, Syrah, Tempranillo, Graciano e Petit Verdot, affinati tra i 15 e i 18 mesi in botti da 225 litri. Un vino potente, ma fine. Lunghissimo al palato e di grande prospettiva per l’evoluzione futura in bottiglia. Un altro blend giocato sull’equilibrio tra la frutta e i terziari. Il gioiello di Dehesa de Luna, cantina fondata da Alfredo Gómez-Torres Gómez-Trénor a La Roda, cittadina della comunità autonoma di Castiglia-La Mancia. E’ in vendita a 36 euro circa.

La “medaglia di bronzo” va a un vino dell’Armenia. E’ ArmAs Karmrahyut Reserve 2013 della cantina Golden Grape ArmAs LlC di Yerevan. Anche in questo caso si tratta di un blend tra le uve autoctone Karmrahyut (92%), Areni, Kakhet e Meghrabuyr (8%). Frutta rossa, spezie, tannini fini. E un finale stupefacente di miele e vaniglia, per nulla stucchevoli. Un capolavoro che pone i riflettori su una terra del vino di grande tradizione, che sta riuscendo a collocarsi sempre meglio sui mercati internazionali. “Grappolo d’Oro”, del resto, è una realtà emergente, fondata nel 2007 da Armenak Aslanian, capace con le figlie di conservare e valorizzare una tradizione famigliare che dura ormai da 80 anni.

TOP SWEET WINES
A rappresentare la cantina Weingut Landauer di Rust, Burgenland – Österreich, costa occidentale del lago di Neusiedl, in Austria, ci sono padre e figlio: Bruno e Stefan Landauer. Si dividono con destrezza tra i numerosi ospiti al banco allestito al Prowein, sfoderando i loro preziosi nettari. Su tutti, un passito. E’ il Ruster Ausbruch Essenz 1995 è una delizia. Ottenuto da uve Riesling Italico, Pinot Blanc e Neuburger (incrocio tra Roter Veltliner e Sylvaner) “attaccate” da Botrytis Cinerea, si presenta di un colore ambrato.

Profondo e minerale al naso, sfoggia sentori di idrocarburo ammalianti, capaci di distrarre dal fil rouge della frutta passita. In bocca i 195 g/litro di zucchero non risultano stucchevoli, anzi. Ventiquattro euro il prezzo del prodotto: li vale tutti. Risulta più “secca”, con i suoi 145 g/l, la versione 2013: miele e frutta sciroppata allo stato puro. Chapeau.

TOP WINERY
Serietà, passione, amore per la propria terra. E’ quello che sono capaci di trasmettere sin dal primo istante Paulo e Rita Tenreiro, padre e figlia che al Prowein 2017 portano sulle spalle l’orgoglio di un’intera nazione: il Portogallo. Heradade da Anta de Cima, per la capacità di tradurre in vino una filosofia, è la “Top Winery” di questa edizione della Fiera di Dusseldorf. I vini di questa cantina nascono nel circondario di Ponte de Sor, comune di 18 mila anime che, sulla cartina, sembra un puntino nel cuore pulsante del Portogallo, nel distretto di Portalegre, regione dell’Alentejo. Terre ricche d’argilla. Ed è proprio questo il nome dei vini di Herdade da Anta de Cima, affinati mediante l’utilizzo di anfore che, localmente, si definiscono “talhas”.

Che siano essi bianchi, oppure rossi, sono tutti “vini di terroir” dal rapporto qualità prezzo straordinario, tra i 5 e i 12,50 euro. Un regalo. Vini in cui la mano della famiglia Tenreiro è chiara ad ogni sorso, nella valorizzazione di vitigni come Alvarinho, Verdelho, Viosinho, Alicante Bouschet, Touriga Nacional, Petit Verdot e Alfrocheiro. Uno su tutti? Il rosso Talha de Argilla 2015, che riporta alla mente il calore del sole del Portogallo, ma anche la freschezza delle note vegetali conferite da una macerazione “spinta” sulle bucce delle uve Alicante Bouschet, Touriga e Petit Verdot. Ed è’ “verde” anche il tannino: in vinificazione, oltre alle bucce, vengono inseriti in anfora piccoli tralci di raspo. Un vino da provare di una cantina da visitare. Di persona.

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