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Toscana Igt 2022 Bianco Fedespina, Podere Fedespina

Toscana Igt 2022 Bianco Fedespina, Podere Fedespina. Dalla Guida Top 100 Migliori Vini italiani 2025 di Winemag
Dalla Guida Top 100 Migliori vini italiani 2025 di Winemag: Toscana Igt 2022 Bianco, Podere Fedespina (12%).

Fiore: 7.5
Frutto: 8
Spezie, erbe: 7.5
Freschezza: 8.5
Tannino: 0
Sapidità: 7
Percezione alcolica: 5
Armonia complessiva: 9
Facilità di beva: 9.5
A tavola: 8 Quando lo bevo: subito / entro 3 anni

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degustati da noi vini#02

Toscana Igt 2018 Leggenda, Podere Casanova

Dalla Guida Top 100 Migliori Vini italiani 2025 di Winemag: Toscana Igt 2018 Leggenda, Podere Casanova (15%).

Fiore: 8
Frutto: 9
Spezie, erbe: 8.5
Freschezza: 7.5
Tannino: 7.5
Sapidità: 7.5
Percezione alcolica: 6
Armonia complessiva: 9.5
Facilità di beva: 7.5
A tavola: 9.5
Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni

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degustati da noi vini#02

Toscana Igt 2021 Franchesato, Terre del Marchesato


Dalla Guida Top 100 Migliori Vini italiani 2025 di Winemag: Toscana Igt 2021 Franchesato, Terre del Marchesato (14%).

Fiore: 8
Frutto: 9
Spezie, erbe: 9.5
Freschezza: 8.5
Tannino: 7.5
Sapidità: 7.5
Percezione alcolica: 5.5
Armonia complessiva: 9.5
Facilità di beva: 7
A tavola: 9.5
Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni

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degustati da noi news news ed eventi vini#02

La lezione di Jac


Jac
 come Jacopo (Di Battista). Diminutivo, non acronimo: chi si aspetta Just another cabernet, insomma, sbaglia due volte. Si chiama così l’ultimo vino della cantina Querceto di Castellina. Un Toscana Igt Cabernet Franc 2021 con cui l’azienda agricola bio di Castellina in Chianti (Siena) si proietta fuori dalla dimensione del Gallo Nero in cui ha già dimostrato di saper eccellere, con il Chianti Classico Gran Selezione “Sei” (vero capolavoro, di annata in annata).

Jac, sì. Tre lettere e una dedica personale, che Jacopo Di Battista si regala subito dopo il giro di boa dei 25 anni di Querceto. Come a voler provare d’essere maturo. D’essere cresciuto, esorcizzando quel nomignolo, Jac, che gli veniva affibbiato dagli amici, da ragazzino. D’esser pronto a spingersi oltre. Misurandosi con i grandissimi (toscani e non solo) che già interpretano il Cabernet Franc in purezza. Un vino, Jac, che è prima di tutto coraggioso e sfidante.

JAC CABERNET FRANC: IL NUOVO VINO DI QUERCETO DI CASTELLINA

Di fatto sbaglia, assai, chi cerca analogie. Jac non è come gli altri toscani. Non è come i Franc della Loira: non è né léger, né complexe. E non è neppure come i francesi di Bordeaux, il territorio “galeotto” che diede a Jacopo Di Battista, agli inizi degli anni Duemila, l’idea di produrre un Cabernet Franc in purezza a Castellina in Chianti, divenuta realtà oltre 20 anni dopo, reinnestando la varietà su 3 mila ceppi di un vigneto di oltre 10 anni. Cos’è, allora, Jac? Se stesso e basta. Un vino che ti sbatte in faccia la propria unicità, un secondo prima d’iniziare a farti pensare a qualsiasi paragone.

Illude, è vero, quel gran bel frutto che si presenta al naso, più sulla bacca rossa croccante, che nera. Illude pure quella bella speziatura candida, elegantissima, in sottofondo. Cosa sarà? Chi sarà il modello? Il palato non mente. Porta dritto in azienda, a Castellina in Chianti. Alla verticalità e alla tensione acida che contraddistingue tutti i vini di Querceto e la mano (leggera, dosatissima) dell’enologa Gioia Cresti, capace di restituire nel calice le specificità dei terreni al confine esatto con Radda.

L’ETICHETTA DI JAC

Jac è tutto tranne che qualcun altro. È un Cabernet Franc divisivo, che può piacere tanto quanto deludere nell’annata specifica (la 2021, prima annata ufficiale), proprio per quel suo essere carico d’aspettative tradite dall’impossibilità d’un assonanza. Jac è se stesso. Il via libera a una nuova frontiera per i vigneti “d’altitudine” del Chianti Classico, al di là del Sangiovese? Un Franc quasi “di montagna”, lontano dalle logiche e dai cliché sul vitigno. Quasi sottile, per quel tannino fitto che non sembra trovare il giusto contraltare nella polpa, al di là della spiccata gioventù attuale.

Eppure bello da bere, nel suo essere fresco e rusticamente raffinato. Ossimori che si riflettono persino sull’etichetta realizzata «dopo quasi un anno di ricerca» dallo studio milanese Aldo Segat & Partners. C’è chi ci vede un soffice grappolo d’uva; chi una sequenza d’acini (di Franc?) maturi. E chi, giustamente, la stilizzazione di un motore V8 cilindri, a sintetizzare la grande passione di Jacopo Di Battista per le auto e i motori. Cosa s’era detto? Tutto tranne che Just another cabernet, il buon Jac. Sin dall’etichetta.

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Miglior vino biologico italiano Guida Winemag 2025: Pa’Ro orange, Buccia Nera

Il Miglior vino biologico italiano è Pa’Ro orange della cantina Buccia Nera, Toscana Igt non filtrato. Lo hanno stabilito le degustazioni alla cieca della Guida Winemag 2025, Top 100 Migliori vini italiani. Un “premio speciale” che viene assegnato alla cantina di Arezzo che si pone come baluardo della biodiversità, ormai da cinque generazioni. Di seguito il profilo del Miglior vino biologico italiano, ottenuto da uve Trebbiano (50%) e Grechetto (50%), a cui è stato assegnato un punteggio di 95/100.

TOSCANA IGT NON FILTRATO 2022 PA’RO ORANGE, BUCCIA NERA

  • Fiore: 8
  • Frutto: 8.5
  • Spezie, erbe: 8.5
  • Freschezza: 8
  • Tannino: 7.5
  • Sapidità: 7.5
  • Percezione alcolica: 6
  • Armonia complessiva: 8
  • Facilità di beva: 7
  • A tavola: 8.5
  • Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni
  • Punteggio Winemag: 95/100 (Miglior vino biologico italiano per la Guida Winemag 2025)

Buccia Nera

Loc. Campriano, 10
52100 Arezzo
Tel. +39 0575 1696461
Email: info@buccianera.it

CANTINA BUCCIA NERA AREZZO: SUO IL MIGLIOR VINO BIOLOGICO ITALIANO

È della cantina Buccia Nera di Arezzo il miglior vino biologico italiano della Guida Winemag 2025. «La nostra azienda agricola porta il nome del bisnonno Amadio, detto il Buccia Nera per il colore della sua pelle, così scura perché bruciata dal sole. Da più di cinque generazioni, ci identifichiamo con la passione e la fatica che il lavoro della terra richiede. Ancora oggi siamo i custodi di queste colline, degli uliveti e delle vigne, che per noi rappresentano un patrimonio collettivo da preservare. Oggi custodiamo una terra preziosa, mantenendo l’alternanza di boschi, oliveti e frutteti, che ci garantiscono una corretta biodiversità e un ambiente salubre che stanno alla base delle nostre produzioni biologiche, nel pieno rispetto della natura. Autentica sensibilità per la conservazione della biodiversità».

PA’RO ORANGE TOSCANA IGT 2022 MIGLIOR VINO BIOLOGICO ITALIANO

UVE: Trebbiano 50%, Grechetto 50%. VIGNETI: 15-50 anni. ALTITUDINE: 350 – 450 mt. slm. TERRENO: Medio impasto con prevalenza di argilla e ghiaia. ESPOSIZIONE: Sud-Ovest. SISTEMA DI ALLEVAMENTO: Guyot e cordone speronato. EPOCA DI VENDEMMIA: Metà Ottobre. VINIFICAZIONE: Le uve diraspate rimangono in macerazione sulle bucce durante tutta la fermentazione alcolica circa 40 giorni. La fermentazione alcolica avviene interamente in botti di acciaio inox a temperatura controllata di 18°C. AFFINAMENTO: In acciaio inox per 8 mesi e in bottiglia per minimo 2 mesi. GRADAZIONE ALCOLICA: 13% vol.

PRODUZIONE: 4.000 bottiglie. TEMPERATURA DI SERVIZIO: 13°C. COLORE: Oro intenso con riflessi dorati tendenti all’arancio. OLFATTO: Al naso è un vino affascinante che non finisce mai di regalare aromi mano amano che rimane nel bicchiere. Tra le note dominanti troviamo pesca gialla, albicocca candita, foglie di tè, radice di zenzero. GUSTO: In bocca morbido dona una gradevole sensazione di calore data dal buon tenore alcolico bilanciato dall’acidità e dalla mineralità. La leggera presenza del tannino lascia la bocca gradevolmente asciutta. E’ un vino mediamente persistente. ABBINAMENTI: Formaggi stagionati, erborinati, carni bianche elaborate e funghi, spezie.

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Miglior vino rosso italiano Guida Winemag 2025: Il Pareto, Tenuta di Nozzole (Folonari)


Il Miglior vino rosso italiano della Guida Winemag 2025 è il Toscana Igt 2020 Il Pareto di Tenuta di Nozzole, proprietà di Ambrogio e Giovanni Folonari Tenute. Il punteggio di 97/100 garantisce a questo Cabernet Sauvignon in purezza, prodotto nell’area del Chianti Classico Docg, di assicurarsi uno dei massimi riconoscimenti dell’annuale Guida
Top 100 Migliori vini italiani di Winemag. Di seguito il profilo del vino.

TOSCANA IGT 2020 IL PARETO, TENUTA DI NOZZOLE (AMBROGIO E GIOVANNI FOLONARI TENUTE)

  • Fiore: 8
  • Frutto: 9
  • Spezie, erbe: 8
  • Freschezza: 8
  • Tannino: 7.5
  • Sapidità: 8.5
  • Percezione alcolica: 6.5
  • Armonia complessiva: 9
  • Facilità di beva: 7
  • A tavola: 9.5
  • Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni
  • Punteggio Winemag: 97/100 (Miglior vino rosso italiano per la Guida Winemag 2025)

Tenuta di Nozzole (Ambrogio e Giovanni Folonari Tenute)

Via di Nozzole 12
Località Passo dei Pecorai
50022 Greve in Chianti (Firenze)
Tel. 055 859811
Email folonari@tenutefolonari.com

MIGLIOR VINO ROSSO ITALIANO: IL PARETO DI TENUTA DI NOZZOLE – TENUTE FOLONARI

Il Pareto, Cabernet Sauvignon in purezza, miglior vino rosso italiano per la Guida Winemag 2025, nasce negli anni ’80 come progetto Supertuscan e, fin dalla prima annata, è una dimostrazione di forza, potenza e purezza sensoriale. Questo vino rientra in una nuova visione della viticoltura, dove si passa dallo studio dei vitigni autoctoni allo studio della vocazionalità del territorio. Non è il vitigno che si è adeguato al territorio ne Il Pareto, quindi, quanto la scoperta che il territorio ha la vocazionalità per produzioni limitate ma di altissima complessità sensoriale, dove vengono mantenute le caratteristiche tipiche del vitigno arricchendole di accenti e di struttura, corpo ed eleganza.

Dimensioni sensoriali eccezionali. Nel bicchiere appare rosso porpora, cristallino sull’unghia quasi impenetrabile, Naso molto intenso e avvolgente per Il Pareto, miglior vino rosso italiano. Descrittori riconducibili a frutti rossi, melograno, marasca, prugna secca con sfumature di incenso, alloro e pepe nero. Al palato si presenta assolutamente asciutto con grande corpo profondo, salino e retrogusto di aromi terziari speziati. Vino di grande complessità fin dalla sua attuale giovinezza. Prima Vendemmia Il Pareto: 1987. Shelf life: fino a 30 anni.

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Rosso Toscana Igt 2019 “La Historia d’Italia”, Conte Guicciardini

Il Rosso Toscana Igt 2019La Historia d’Italia” della cantina Conte Guicciardini è uno dei vini rossi presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 di winemag.it. Un’etichetta che tributa il politico, diplomatico e statista Francesco Guicciardini attraverso il Merlot e la sua espressione di Poppiano, casa natia di questa figura centrale nella storia d’Italia.

Premesse sufficienti per garantire un nettare che appaghi sotto ogni profilo, in particolar modo nel riflettere e combinare, l’anima e legante e al contempo golosa del vitigno bordolese. Alla vista, “La Historia d’Italia” si presenta di un Rubino intenso.

Frutto rosso protagonista al naso (ciliegia, lampone), terziari in sottofondo. Vino importantissimo al palato, strutturato, connotato da terziari che avvolgono la frutta e donano ulteriore slancio vitale a questa vendemmia 2019. Pregevole e centratissima la vena di sapidità che fa da filo conduttore al sorso, prima della chiusura freschissima, balsamica.

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Frascole, Pinot Nero da favola in Toscana: quando il vino naturale fa centro

In Toscana c’è una cantina che produce un Pinot Nero da favola. Si tratta di Frascole, piccola realtà di Dicomano, in provincia di Firenze. Il suo Igt Toscana Pinot Nero sorprende (almeno) due volte. La prima perché si tratta di un “vino naturale” che mette da parte “puzzette” e alibi ormai retaggio dei vignaioli più bravi a vender “fuffa per ultras” che a produrre “vino” degno di questo nome; la seconda perché la piccola produzione di Pinot Nero prende vita nell’area del Chianti Rufina, mai così vicina ai canoni stilistici della Borgogna, tra Val di Sieve e Mugello.

Siamo in alta collina. Vigneti e oliveti sono posti tra i 300 e i 500 metri di altitudine, quali appendici dell’Appenino toscano. Agricoltura biologica e artigianalità – in vigna e cantina – consentono a Frascole di produrre «vini autentici ed originali». Ciliegina sulla torta sono la pratica e gli studi compiuti in Borgogna da Cosimo Lippi, figlio di Elisa Santoni ed Enrico Lippi, fondatori della cantina di Dicomano, attiva dal 1992.

IL TOSCANA IGT PINOT NERO 2018 DI FRASCOLE

Due le annate di Igt Toscana Pinot Nero di Frascole in degustazione a Vi.Na.Ri – Vignaioli Natuali riuniti, evento che ha visto per la prima volta insieme i produttori delle due associazioni Vinnatur e Vi.te – Vignaioli e Territori, lo scorso 12 e 13 febbraio, a Milano.

Se la 2017 è da considerare come un’altra annata di studio del vitigno, il Pinot Nero 2018 di Frascole – in commercio a partire dalla prossima primavera – è un punto d’arrivo, segnato in maniera netta dalla giovane mano e dalla fresca firma di Cosimo Lippi.

Oltre alla vendemmia compiuta insieme alla famiglia, il 27enne winemaker ha partecipato nel 2020 all’assemblaggio dell’annata 2018, nel bel mezzo della sua esperienza formativa e professionale in Borgogna: laurea magistrale all’Université de Bourgogne di Dijon, in Côte-d’Or, ed esperienze in tre diverse piccole cantine locali (Meo Camuzet, Jacques Prieur e Hubert Lignier, senza dimenticare Cave de Tain nella Valle del Rodano).

L’AMORE DI COSIMO LIPPI PER LA BORGOGNA

Il Pinot Nero – racconta Cosimo Lippi a winemag.it – è un vitigno che esprime al massimo la mia idea di vino che deve essere elegante, raffinato e di gran beva. La Borgogna è la sua terra d’elezione ed ero sicuro di poter esplorare quell’approccio all’enologia poco interventista, che privilegia il lavoro in vigna, molto vicino ai canoni della nostra cantina in Toscana. Un’esperienza che ha ripagato».

La produzione di Pinot Noir di Frascole, vera e propria nicchia tra gli altrettanto eleganti e raccomandati Chianti Rufina, non potrà che continuare a crescere (1.500 bottiglie nel 2016, già 2.500 nell’annata 2018; 27 euro il prezzo Horeca). Consolidandosi come punto di riferimento assoluto per il Pinot Nero della regione. E, perché no? D’Italia. Le premesse ci sono tutte.

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Toscana Igt 2017 “Giramonte”, Frescobaldi

Merlot e Sangiovese per il Toscana Igt “Giramonte” 2017 di Frescobaldi, dalla Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022 di Winemag.it. Maturazione barrique nuove di rovere francese per un vino che si presenta rosso rubino, mediamente trasparente.

Piacevolissime note fruttate aprono il quadro olfattivo. Un frutto vivo, pieno e croccante. Ciliegia e lampone succoso, su uno sfondo di caffè e accenni di cuoio. Viva nota agrumata di cedro, tanto al naso quanto nel retro olfattivo.

Il Toscana Igt “Giramonte” 2017 di Frescobaldi è piacevolissimo in bocca dove risulta ricco e stratificato, verticale e sapido ma ingentilito da un legno presente e non invasivo. Un vino ancora giovanissimo, di lunga prospettiva, già oggi estremamente godibile.

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Vitigni autoctoni della Toscana: via libera al Nocchianello Nero riscoperto da Sassotondo

Una vecchia vigna, quella del “San Lorenzo”. Una famiglia di vignaioli toscani, il duo Benini-Ventimiglia, in arte Sassotondo. Una scoperta, dettata dalla cocciutaggine di chi vuole valorizzare la tradizione. Ed avere sottomano la carta d’identità di ogni granello di terra che calpesta; di ogni foglia di vite dalla quale produce vino.

Rinasce così o, meglio, viene riscoperto così il Nocchianello Nero, tra i vitigni autoctoni della Toscana dalle maggiori potenzialità. Ne è riprova Monte Rosso, una delle chicche prodotte da Sassotondo tra le colline di tufo di Sovana e Pitigliano.

Siamo in provincia di Grosseto, in Maremma. Così come cantina e bottaia sono scavate nella roccia vulcanica, Carla Benini e il marito Edoardo Ventimiglia hanno “scavato” nel Dna di quelle piante rinvenute a macchia di leopardo nel vecchio vigneto del loro Ciliegiolo di punta, il San Lorenzo.

Grazie alle analisi, hanno scoperto che si trattava proprio del Nocchianello. In realtà “famiglia di vitigni”, sia bianchi che rossi, citati per la prima volta nel 1975, in una ricerca dei professori Scalabrelli e Grasselli.

IL NOCCHIANELLO VERSO LA CONSACRAZIONE

Oggi, i suoi primi interpreti sono pronti a scrivere nuove pagine dell’autoctono toscano. Regione Toscana ha dato il via libera al vitigno mediante il decreto n. 491 del 18 gennaio 2018, recependo l’iscrizione nel Registro nazionale delle varietà di vite avvenuta il 2/11/2017 (G.U. n°256). Nelle ultime settimane anche Artea, l’Azienda Regionale Toscana per le erogazioni in agricoltura, ha inserito il Nocchianello Nero (e Bianco) in elenco.

Un provvedimento che permetterà a chiunque di poterne riportare il nome in etichetta. Non senza strascichi polemici. «Finalmente il vitigno è stato iscritto – commenta Ventimiglia – ma le segnalazioni e richieste ripetute ad Artea negli ultimi 3 anni, guarda caso, hanno dato i loro frutti solo a fronte dell’interessamento degli organi di stampa. Che si tratti di poche bottiglie non può essere una scusante».

«Tralasciando la burocrazia e concentrandoci sul vitigno – spiegano Carla Benini e il marito – l’uva che regala è molto bella, pruinosa, resistente e croccante. Buono l’accumulo di zuccheri, con l’acidità che rimane ragionevole. In vinificazione non c’è molta cessione di colore. Abbiamo fatto piccole vinificazioni a partire dal 2011, la più interessante nel 2015. Un’annata benedetta dal clima, che ci ha dato quantità e qualità mai più ritrovate negli anni successivi. Fino al 2019».

L’ultima annata di Monterosso è stata infatti premiata dalle degustazioni alla cieca di WineMag.it, con l’inserimento nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022. Un riconoscimento all’eccellenza del calice, innanzitutto. Ma anche un premio alla testardaggine di Sassotondo. «Abbiamo riportato alla coltivazione il Nocchianello nel 2010 – ricordano Benini e Ventimiglia – ben consapevoli che si trattasse di un vitigno totalmente autoctono, senza alcuna parentela genetica con vitigni conosciuti».

Oltre che da qualche vecchia pianta ritrovata nella Vigna San Lorenzo, insieme al nostro vecchio Ciliegiolo, siamo ricorsi alla collezione del Crea di Arezzo, che lo aveva a suo tempo recuperato dai vecchi vigneti della zona, innestandolo su qualche filare».

IL NOCCHIANELLO MATURA DOPO IL SANGIOVESE

«È un vitigno che, negli ambienti di origine, ovvero nei magri tufi di Pitigliano – continuano i patron di Sassotondo – ha caratteristiche agronomiche piuttosto diverse rispetto alle fertili piane aretine, dove si trova la collezione del Crea di Arezzo. Il grappolo è piuttosto piccolo e mediamente compatto. La fertilità delle gemme basali non è alta. L’acino è duro e occupato da semi piuttosto grossi. Forse da qui il nome “Nocchianello”: da “nocchia”, ovvero “nocciola”».

Una varietà vigorosa, che ha le carte in regola per resistere piuttosto bene alle principali malattie della vite. La foglia spessa ricorda la foglia del fico. I tralci crescono e si allungano molto, come le pianta da pergola. L’uva matura tardivamente, almeno 10 giorni dopo il Sangiovese.

«Un aspetto – precisano Benini e Ventimiglia – che può essere interessante in queste situazioni di clima impazzito, con anticipo della maturazione generalizzato. La possibilità di avere una vite che matura l’uva con temperature non eccessive, teoricamente, permette una migliore espressione degli aromi». Dalla teoria alla pratica il passaggio è breve a Sassotondo, cantina certificata biologica dal 1994 che, dal 2007, ha introdotto alcune pratiche di viticoltura biodinamica. Il Nocchianello, da queste parti, è in buone mani.

LA DEGUSTAZIONE
Toscana Igt 2019 Monterosso, Sassotondo (dalla Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022 di WineMag.it)

Nocchianello Nero in purezza. Nel calice si presenta di un rosso rubino luminoso, mediamente penetrabile. Al naso, l’ampio ventaglio di spezie (netto il pepe) e le precisissime percezioni vegetali (radice di liquirizia, accenni di muschio) stuzzicano un frutto rosso di croccante maturità. Un quadro che si ripresenta in maniera del tutto corrispondente al palato, trascinato da un torrente di vulcanica sapidità.

Non a caso il vino è stato dedicato da Carla Benini ed Edoardo Ventimiglia all’omonimo “Monte Rosso”, parte del complesso vulcanico dei Monti Vulsini. I vigneti di Sovana ne riflettono perfettamente le caratteristiche, attraverso un vino che rende onore all’antico vitigno delle città del tufo.

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Toscana Igt 2013 “Rosso del Pievano”, Tenuta Morinello

Il Toscana Igt 2013 Rosso del Pievano di Tenuta Morinello è il “Supertuscan” di casa Moriniello. Uno dei vini presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022 di Winemag.it.

Il “Rosso del Pievano” apre con un naso sui frutti rossi e neri maturi, come ciliegia e mora di rovo. Terziari molto ben integrati incedono su note di cioccolato, cannella, chiodi di garofano e burro salato. Una leggera nota “selvatica” dona ulteriore spessore.

In bocca grande corrispondenza con il naso e una splendida freschezza, capace di donare tensione al sorso. Lungo il finale. Un rosso che porta immediatamente la mente a piatti di carne della tradizione Toscana.

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Toscana Igt Pinot Nero 2013 “Temerario”, Casavyc

Il Toscana Igt 2013Temerario” di Casavyc è uno dei vini presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022 di Winemag.it. Un Pinot Nero che accoglie lo sguardo col suo colore rosso rubino carico.

Al naso frutta rossa sotto spirito, fragola, erbe mediterranee, foglie di tè. Un tocco di spezia scura dona profondità e incomplessisce il profilo. L’ingresso fresco anticipa un sorso che fa della succosità del frutto la sua forza. Non manca un tannino elegante, capace di regalare ulteriore equilibrio.

Il Toscana Igt Pinot Nero 2013 “Temerario” di Casavyc è un Pinot Nero sanguigno, vero e territoriale. Indubbi i margini di lungo affinamento di un vino che, già ora, racconta bene la zona di appartenenza.

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Cinque vini rossi per Natale dalla Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it

Cinque vini rossi per Natale dalla Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it, la Guida Vini edita dalla nostra testata indipendente, grazie a una rigorosa degustazione alla cieca.

  • Barbera d’Asti Superiore Docg 2016 “Litina”, Cascina Castlet
    Inconfondibilmente Barbera. Frutto succoso, grondante, ben sostenuto da accenni di spezia e freschezza. In bocca gioca a fare la preziosa, svelandosi poco a poco. Bell’allungo speziato. Eleganza pura.
  • Amarone della Valpolicella Docg Classico Bio 2011 “Morar”, Valentina Cubi
    Colore seducente. Naso di frutto, di cuoio, sanguigno, ferroso, spezia, bacca di ginepro. Tutti profumi portati su da un alcol che fa da sprint ed è tutt’altro che disturbante. In bocca perfetta armonia tra note di frutta matura ed i ritorni di cuoio e liquirizia. Chiude sulla bacca di ginepro ed un tocco di prugna.
  • Colli Euganei Doc Merlot 2018 “Poggio alle Setole”, Vigne al Colle
    Rosso rubino, riflessi violacei. Un Merlot particolarmente espressivo, vero, tipico. Accenni verdi che donano freschezza alla parte di frutto maturo ed alla spezie dolce, liquirizia soprattutto. Grande bevibilità.
  • Toscana Igt 2015 “Cà”, Podere Fedespina
    Bel colore carico, gran bel frutto per un vino figlio della sua terra, anzi del suo terreno. Radici profonde che si fan largo tra il calcare. Ne risulta un sorso asciutto, di gran prospettiva, tra la pienezza dei primari e una riequilibrante verticalità. Quando si dice “in vino veritas”.
  • Colli di Salerno Igt Aglianico 2016 “Borgomastro”, Lunarossa
    Rosso rubino splendido. Al naso un gran frutto di bosco, tocchi di spezia nera e macchia mediterranea. In bocca meravigliosamente coinvolgente con le sue note di frutta croccante. Gran lunghezza. Un vino che sorprende per precisione.

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Toscana Igt rosato 2016 “Operandi”, Piandaccoli


Ebbene sì. Il vino rosato “invecchia” e lo fa benissimo se si tratta del Toscana Igt “Operandi” di Piandaccoli. La vendemmia 2016 di questo rosato da uve Sangiovese offre il meglio di sé, nel 2019. Provare per credere.

LA DEGUSTAZIONE
Un vino invitante già dal colore: buccia di cipolla luminoso, con riflessi aranciati, che non cade affatto nei facili richiami delle sirene provenzali e commerciali. Al naso è intenso e piuttosto complesso, nel susseguirsi tra note precisissime di piccoli frutti a bacca rossa e nera, macchia mediterranea ed agrumi (arancio e buccia di lime).

Il vitigno e le sue caratteristiche risultano preponderanti al palato, segno di una lavorazione più che mai rispettosa del varietale. Un altro punto in più, in un mondo di rosati slavati e uniformati. Già, perché quella dei rosati, in Italia, è una professione. Mica un hobby.

E allora ecco la bocca riempirsi del rosso Sangiovese a tutti noto, in tutti i suoi risvolti. Compresi i tannini, che si avvertono ancora pur essendo perfettamente integrati al resto dei descrittori.

Quanto al corredo di “Operandi”, ancora agrumi, frutta rossa, macchia mediterranea e una gran freschezza, impreziosita da una chiusura tra l’agrumato, il frutto rosso e lo speziato finissimo. Non manca la sapidità.

Una nota iodica che si avverte chiaramente nei Chianti di Piandaccoli, realtà toscana guidata da un imprenditore illuminato come Giampaolo Bruni, che può contare su un parco vigneti invidiabile dal punto di vista vocazionale e qualitativo, oltre che su evidenti abilità enologiche in cantina.

LA VINIFICAZIONE
Uve Sangiovese grosso in purezza per il rosato “Operandi” 2016, frutto dell’assemblaggio dei vigneti Fattoria e Pozzo. La vinificazione avviene in maniera piuttosto classica, con breve contatto sulle bucce, affinamento in acciaio di 12 mesi e ulteriore maturazione in vetro di 4 mesi, prima della commercializzazione. Solo 4 mila le bottiglie prodotte.

Novanta ettari complessivi per Piandaccoli, che ha sede a Calenzano, a pochi chilometri da Firenze. I suoli dei vigneti sono estremamente variegati: ciottolosi, ricchi di minerali, limo e sabbia e tendenti all’argilla.

I vitigni allevati sono prevalentemente autoctoni toscani: Sangiovese, Foglia Tonda, Pugnitello, Barsaglina, Mammolo, Colorino, Malvasia Toscana e Chardonnay. Il terroir è caratterizzato da profondi “borri”, ovvero spaccature più o meno profonde del suolo, che concorrono alla formazione di un microclima unico.

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I migliori assaggi al Merano Wine Festival 2017

Due giorni di degustazioni al Merano Wine Festival 2017. E l’imbarazzo della scelta nello stilare una “classifica” dei migliori assaggi. Si è chiusa martedì pomeriggio in grande stile, al Kurhaus, con Catwalk Champagne (100 etichette di 40 aziende francesi tra le più note e prestigiose) l’edizione 2017 del “salotto bene” del vino italiano.

Organizzazione pressoché impeccabile nelle varie location che hanno ospitato il ricco calendario di eventi. Tanti professionisti, pochi curiosi. Biglietti da visita che finiscono in poche ore, tra un assaggio e l’altro.

Perché il Wine Festival di Helmuth Köcher, per il vino italiano, sta al business quasi quanto il Prowein di Dusseldorf. Per le sale, a caccia di “chicche”, tanto importatori, distributori ed enotecari quanto buyer della Gdo (segnalata la presenza, tra gli altri, dell’attento buyer di Coop).

Peraltro, con un occhio alla sostenibilità delle pratiche agricole in vigna, visto l’ampio spazio dedicato ai vini naturali, biologici, biodinamici e Piwi dall’evento d’apertura “Bio&Dynamica”. Una classifica, quella dei migliori vini degustati al Merano Wine Festival 2017 da vinialsuper, che tiene conto anche di questo aspetto.

I MIGLIORI SPUMANTI
1) Riserva Extra Brut Alto Adige Doc 2011 “1919”, Kettmeir. Sul podio una bollicina altoatesina da vertigini. A produrla è Kettmeir, azienda del gruppo vinicolo Santa Margherita di stanza in via Cantine 4, a Caldaro.

Sessanta ettari complessivi, per una produzione che si aggira attorno alle 400 mila bottiglie: 120 mila sono di spumante, di cui 70 mila metodo classico. Il progetto, come spiega l’enologo Josef Romen, è quello di incrementare ulteriormente gli sparkling nei prossimi anni, “senza perdere territorialità”.

Naso fine ed elegante per la Riserva Extra Brut 2011 “1919”, tra il candito d’arancia e l’arnica. Il blend di Chardonnay (60%) e Pinot Nero (40%) funziona, al palato, al ritmo di una bollicina che esalta nuovamente note d’agrumi, questa volta in grado di ricordare la buccia del lime. E una balsamicità tendente alla spezia.

Il Pinot Nero, raccolto in un vigneto circondato dai boschi, a 700 metri sul livello del mare, ci mette i muscoli e la “zappa” sulla lingua. Lo Chardonnay la cravatta e il savoir-faire. Immaginate una Ricola buttata in un bicchiere d’acqua e sale: eccolo lì, questo tagliente Extra Brut. Sul gradino più alto del podio. “E’ una prova – chiosa Romen – per capire fino a dove possiamo arrivare”. Di questa cantina se ne sentirà parlare bene e a lungo. Purché si decida a cambiare colore alla Riserva in questione: sembra quella di uno spumante rosè.

2) Blanc de Blanc Extra Brut Franciacorta Docg 2011 “Elite”, Mirabella. Interessante realtà della Franciacorta “alternativa”, la cantina Mirabella. Si presenta ai banchi di Merano con un “Senza Solfiti” che ti sfida sin dall’etichetta, essenziale ma pretenziosa, con quel nome di fantasia che chiama i tempi dei cavalieri. Ma è una dama dalla chioma bionda, l’export manager Marta Poli, a servire la sfida nel calice.

Sboccatura 2016, 48 mesi sui lieviti per questo Chardonnay in purezza. “Elite” si presenta di un giallo invitante. Al naso crema pasticcera, burro, arancia candita, liquirizia. Palato pieno, secco, corrispondente nei sentori. Chiusura di gran pulizia su una bocca di pompelmo, prima del nuovo capolino della crema pasticcera. A colpire è l’evoluzione di questo spumante nel calice, sensibilissimo alle temperature di servizio.

Gioca col termometro questo figlio della Franciacorta che avanza, giovane e dinamica. Scaldandosi, libera note di erbe aromatiche e di macchia mediterranea. E la crema pasticcera, mista a quella speziatura dolce di liquirizia, diventa crème brûlée: la parte alta, quella col caramello elegantemente bruciacchiato. Chapeau.

Aggiungi al curriculum che si tratta di un “Senza Solfiti” (fra 3 e 6 mg/l). Che è il frutto di 10 anni di sperimentazioni da cui sono scaturite quatto tesi universitarie. Che è il “primo metodo classico italiano Docg senza solfiti e senza allergeni”. E il quadro è davvero completo.

3) Alto Adige Doc Extra Brut 2012 “Cuvée Marianna”, Arunda. Sessanta mesi sui lieviti per questo metodo classico altoatesino della nota casa di Molten (Meltina, BZ), 4 g/l di dosaggio: 80% Chardonnay elaborato al 100% in barrique (dal primo al quinto passaggio), più un 20% di Pinot Nero vinificato in bianco, che fa solo acciaio.

Vini base da Terlano e Salorno, vendemmie 2009, 2010 e 2011. E’ lo sparkling dedicato a “Marianna”, moglie di Joseph Reiterer: i due decidono assieme come bilanciare la cuvée, prima di metterla in commercio. Cinque, massimo 6 mila bottiglia totali.

Giallo dorato nel calice, naso di frutta a polpa gialla (albicocca non matura), lime, bergamotto. Non manca una vena balsamica, che porta il naso tra le montagne: in particolare ai sentori mentolati tipici dei semi dell’angelica. Una gran freschezza, insomma, che al palato si tramuta in un gran carattere: buccia di arancia, ricordi di menta, una punta di liquirizia.

Piacevolmente tagliente il gioco tra l’acidità e la sapidità spinta. Poi, d’un tratto, “Cuvée Marianna” sembra ammorbidirsi: siamo tra il finale e il retro olfattivo, che assume tinte di vaniglia bourbon. Un signor spumante, dal rapporto qualità prezzo eccezionale.

Segnalazioni
Bianco dell’Emilia Igt Frizzante Secco 2016 “L’Ancestrale nativo”, Terraquila:
Sboccatura à la volée per questo frizzante di Terraquila. Siamo in Emilia Romagna, per un blend di Pignoletto e Trebbiano che non può mancare nella cantina degli amanti dei vini dritti, diretti, “salati”.

Moscato Giallo Igt Veneto 2016, Maeli: Vino frizzante dei Colli Euganei, più esattamente ottenuto sui Colli di Luvigliano, tra le Dolomiti e Venezia. Una realtà, Maeli, che punta tutto sul Fior d’Arancio, nome locale del Moscato Giallo che, nell’occasione, si presenta in un calice capace di sfoderare note sulfuree, di grafite e fruttate di nettarina matura. Corrispondente al palato, tra il sale e la frutta.

VINI BIANCHI
1) Vigneti delle Dolomiti Igt 2008 “Julian”, Weingut Lieselehof. E’ l’edizione del Merano Wine Festival che segnerà la definitiva consacrazione sul mercato di molti vini Piwi, acronimo di Pilzwiderstandfähig, riferito alle “viti resistenti” a malattie come oidio, peronospora e botrite, tutte originate da funghi.

Weingut Lieselehof, cantina della famiglia Werner Morandell situata a Caldaro, in Alto Adige, è all’avanguardia da questo punto di vista. E sul podio dei vini bianchi di viniasuper finisce proprio “Julian”, vendemmia 2008: un blend tra due varietà Piwi qualità hyperbio: Bronner (60%) e Johanniter (40%).

Se il Bronner, per certi versi, ricorda lo Chardonnay, è il Johanniter a dare l’impronta (soprattutto olfattiva, ma anche gustativa) del Riesling. Un sinonimo di longevità che ritroviamo appunto anche nella degustazione del blend Julian, straordinariamente vivo. A partire dal colore: un giallo dorato stupendo.

Alle note di idrocarburo fanno eco richiami di erbe di montagna, camomilla e miele. Di primo acchito, al naso, questo bianco di casa Lieselehof sembra aver fatto barrique. In realtà è solo chiuso e necessita tempo per aprirsi, scaldandosi un poco tra le mani.

Acidità ancora viva (rinvigorita da ricordi di agrumi come il pompelmo, ingentiliti da quelli della pesca matura) per un vino destinato a durare ancora a lungo nel tempo. Lungo il retro olfattivo, tutto giocato sul rincorrersi di freschi sentori di erbe mediche.

2) Secondo posto nella nostra speciale classifica per due vini, pari merito. Li elenchiamo in ordine di assaggio. Il primo è il Grillo Terre Siciliane Igt Canaddunaschi 2016, della Società agricola Le sette Aje di Cannata Rosalia e S.lle. Biodinamico non certificato per questa piccola cantina di Santa Margherita di Belice, in provincia di Agrigento, che utilizza i principi dell’omeopatia in vigna, sottoponendo le piante a veri e propri “vaccini” contro le malattie.

Una realtà tutta al femminile, presa sotto l’ala “protettiva” da una delle donne del vino simbolo della regione: Marilena Barbera, presso la quale avviene la vinificazione delle uve Grillo de Le Sette Aje, in vasche d’acciaio di proprietà. Il risultato è eccezionale. Tremilacinquecento bottiglie in totale per l’annata 2016. Qualcuna di più per la 2017.

Giallo dorato ammaliante e naso intrigante, tutto giocato sulle erbe aromatiche. Macchia mediterranea in primo piano, ma anche mentuccia. In bocca è una vera e propria esplosione: un Grillo pieno, ricco, carico, caldo: corrispondente al naso per le sensazioni che conferiscono una freschezza e un corpo da campione, assieme a una bilanciata sapidità.

Chiude lungo, riuscendo a sorprendere ancora nello sfoderare inattese note di burro e crema pasticcera. Un contrasto interessantissimo tra le durezze e le morbidezze, che regala un sorso unico. A 15 euro circa (al consumatore) uno dei migliori bianchi in circolazione in Italia, per l’annata 2016.

Gli mettiamo accanto un altro vino difficile da dimenticare. Per farlo saliamo dalla Sicilia alla Campania. Raggiungiamo il beneventano per il racconto della Falanghina 2016 “Donnalaura” di Masseria Frattasi. Siamo nella terra d’elezione della Falangina, a Montesarchio, dove la cantina coltiva il biotipo campano e un altro clone, ancora più raro, dotato di una vena acida ulteriormente accentuata. Siamo poco sotto i 920 metri sul livello del mare, per un vino estremo, di “montagna”.

Donna Laura è la nonna di Pasquale Clemente, patron di Masseria Frattasi a cui è dedicato questo bianco dalle caratteristiche uniche. Si tratta infatti di una Falanghina da vendemmia tardiva. Le uve restano sulla pianta fino al 15 novembre, concentrando così zuccheri e aromi. Vengono poi vinificate in acciaio e, prima dell’imbottigliamento, passano 6 mesi in barrique nuove di rovere francese.

Una scommessa perfettamente riuscita quella di compensare con la concentrazione su pianta la vena tipicamente acida della Falanghina. Il risultato è un vino che si presenta di un giallo paglierino molto carico. Naso eccezionalmente fine e “montano”: arnica, resina di pino, liquirizia, una lieve nota dolciastra che ricorda per certi versi quelle della veneta Glera e un richiamo sottile di vaniglia, assimilabile al legno della barrique.

In bocca, l’ingresso è di quelli tipici dell’uvaggio: caldo, acido, quasi tagliente. Una sensazione accentuata dal sollevarsi delle note balsamiche già percepite al naso, che rinfrescano ulteriormente il sorso. Grande lunghezza per un retro olfattivo che fa emergere note delicate di surmaturazione, con ricordi di miele d’eucalipto.

3) Frühroter Veltliner 2015, Schmelzer Weingut. Ci spostiamo in Austria per questo “orange” capace di regalare vere e proprie emozioni. Più esattamente a Gols, piccolo Comune a sud est di Vienna, non lontano dai confini con Slovacchia e Ungheria.

Il vitigno in considerazione è il Frühroter Veltliner, autoctono austriaco nato dall’incrocio spontaneo tra Grüner Sylvaner (Silvaner verde) e Roter Veltliner (Veltliner Rosso). Solo una delle ottime etichette prodotte da Georg ed Elisabeth Schmelzer, in stretto regime biodinamico.

Cinque settimane di fermentazione in barrique di rovere aperte, con batonnage due volte al giorno. Il succo viene poi trasferito in altre barrique, a riposare per un anno. Quindi, il Frühroter Veltliner di Schmelzer viene imbottigliato. Ne risulta un orange velato, che sprigiona sentori pieni, intensi, di zenzero e arancia candita, ma anche di frutta tropicale matura: ananas, papaya.

Bocca corrispondente, ma con bella vena sapida: le note agrumate dominano il palato, ben bilanciate da quelle dolci, esotiche. Un vino gastronomico di grande interesse. Rimanendo tra i “bianchi” di casa Schmelzer, ottimo anche il Gruner 2016, con le sue note di fiori secchi e una vena sapida, rude.

4) Trentino Doc Gewurztraminer 2016, Cantina Endrizzi. Medaglia di “legno” per il coraggio di questa cantina di San Michele all’Adige. Capace di andare controcorrente, proponendo sul mercato un Gewurztraminer dal taglio serio, senza la stucchevolezza “piaciona” in voga tra i tanti competitor (grandi nomi compresi). Per di più, il rapporto qualità prezzo è eccezionale.

E’ ottenuto dai vigneti Masetto e Maso Kinderleit, situati in zona collinare, attorno alla cittadina della provincia di Trento. Un Gewurz, quello di Endrizzi, che conserva tutta l’aromaticità tipica del vitigno, svestita di qualsiasi risvolto pacchiano. Gran pienezza in un sorso che risulta caldo, visti i 14 gradi, tutti di “sostanza”, quasi di “materia tattile”, e non della morbida lascivia dello zucchero. Un bianco che non stanca mai.

Segnalazioni
Langhe Doc Nascetta 2013 “Se'” e 2016, Poderi Cellario: le potenzialità di “invecchiamento” dell’autoctono piemontese sono evidenti nella mini verticale proposta da Fausto Cellario, appassionato vignaiolo che sa trasmettere entusiasmo e amore per la propria terra;

Bianco fermo 2016 “89-90”, La Piotta: si discosta in maniera elegante dalla media dei vini bianchi passati in barrique questo vino bio e vegan dell’Azienda Agricola La Piotta. Utilizzo ineccepibile del legno sullo Chardonnay, a smorzare le asperità del Riesling. Luca Padroggi è un giovane che farà parlare (bene) dell’Oltrepò pavese, a lungo.

Lugana Dop Bio 2016, Perla del Garda: “Cru” di 4 ettari per dare vita a una Lugana potente, tanto piena e intensa quanto fine, con fresche note di mentuccia ad accostare la vena tipicamente sapida.

Vernaccia di San Gimignano Docg 2016, Fattoria di Pancole: Come molte delle aziende presenti al Merano Wine Festival 2017, Fattoria di Pancole fa Gdo (per l’esattezza con Conad in Toscana, 25 mila bottiglie l’anno). Si presenta al banco con la Vernaccia top di gamma, capace di esaltare appieno le caratteristiche del vitigno, presentando ottimi margini di affinamento futuro.

Igt Marche Bianco 2016 “Corniale”, Conventino: Non poteva mancare la segnalazione di un vino bianco quotidiano. Per farlo voliamo nella zona Nord delle Marche, da Conventino. Siamo a Monteciccardo, in provincia di Pesaro e Urbino. Semplice ma tutt’altro che banale il suo Corniale 2016. Acidità al rintocco di sentori di kiwi, mela verde, lime e pompelmo, ben calibrati con una bocca beverina, giustamente sapida. Davvero un bell’Incrocio Bruni 54.


VINI ROSSI
1) Beneventano Igt Aglianico 2015 “Kapnios”, Masseria Frattasi. Di nuovo questa straordinaria cantina campana sul podio del Merano Wine Festiaval 2017 di vinialsuper. Il miglior rosso è ottenuto da uve Aglianico amaro del Taburno in purezza, allevate nella zona di Montesarchio, Tocco e Bonea, a un’altitudine compresa tra i 500 e i 600 metri sul livello del mare.

Le uve, raccolte a metà novembre, vengono appassite in due modi: in parte appese e in parte su graticci, all’interno di un piccolo caseggiato coperto da tegole di terracotta. Passaggio in rovere nuovo, prima dell’ulteriore affinamento in bottiglia, per un anno.

Ne scaturisce un vino dal rosso rubino intrigante, sgargiante. Il naso è di quelli che ti fanno innamorare del bordo del calice: piccoli frutti a bacca rossa e nera, erbe di montagna, ginepro, miele d’eucalipto. Un’infinità di sentori, pronti a spuntare di minuto in minuto. E il palato non delude: caldo, esageratamente pieno, di frutta fragrante e liquirizia dolce, ma anche di caffé tostato. Un vino di cui innamorarsi.

Straordinario – ancor di più in ottica futura – anche il Cabernet Sauvignon 2015 “Kylyx” di Masseria Frattasi. Viti appositamente innestate su portinnesto debole: se ne portano in cantina solo 2 grappoli. Mille bottiglie in totale per la vendemmia 2015 (2016 non prodotto).

Acciaio prima e barrique di rovere francese poi (14 mesi) per questo Cab ottenuto dal recupero di un terreno abbandonato, circondato dal bosco. Naso che esalta appieno le caratteristiche del vitigno, con la sua vena sia vegetale sia piccante. Tannini e acidità di immensa prospettiva, ben corroborati da una mineralità unica.

2) Alto Adige Doc Pinot Nero 2007 “Villa Nigra”, Colterenzio Schreckbichl. Cornell è la linea dei “cru” di cantina Colterenzio, dalla quale peschiamo l’argento della nostra speciale classifica dei migliori vini degustati al Merano Wine Festival. In particolare, a colpire, è il Pinot Nero vendemmia 2007 ottenuto – come tutti i vini della “Selezione” Schreckbichl (Colterenzio) – da vigneti che godono di particolari condizioni d’eccellenza: altitudine di 400 metri, esposizione a sud ovest su terreni ghiaiosi e calcarei di origine morenica, con microclima fresco. Resa di 35 ettolitri per ettaro.

Nel calice, il Pinot Nero 2007 di Colterenzio di presenta ancora come un giovincello: il classico rubino di buona trasparenza, tipico del re degli uvaggi altoatesini a bacca rossa. Un naso finissimo di mirtillo e fragolina di bosco, ma anche di ciliegia, con una punta leggerissima di pepe, anticipa sentori più evoluti tendenti al dolce (miele d’acacia), senza mai trascinare il quadro olfattivo in disomogenee percezioni di marmellata.

Nel calice c’è il bosco. E lo si capisce anche dai richiami “vegetali” al muschio e alla menta. In bocca, questo Pinot Nero è più che corrispondente: la spalla acida è ancora muscolosa, il tannino levigato ma ancora in grado di dire la sua. A completare il quadro, richiami minerali salini che contribuiscono a chiamare il sorso successivo. Beva eccezionale per questo vino che ha ancora davanti diversi anni sulla cresta dell’onda.

3) Vigneti delle Dolomiti Igt Teroldego 2012 “Gran Masetto”, Cantina Endrizzi. Conquista il podio, dopo la medaglia di “legno” tra i vini bianchi, Cantina Endrizzi con il suo prodotto di punta: un Teroldego fatto alla maniera dell’Amarone, col 50% delle uve diraspate e sottoposte per circa tre mesi ad appassimento in celle refrigerate, alla temperatura di 10 gradi.

Uve raccolte nello storico vigneto di Masetto, tra i Comuni di Mezzolombardo e Mezzocorona, in provincia di Trento. Il risultato è un vero e proprio Teroldego alla seconda. Colore rosso purpureo, impenetrabile. Naso tipico, rinvigorito dai sentori affascinanti del parziale appassimento, che non coprono la fragranza della ciliegia e della prugna per il quale si fa apprezzare il re dei vini rossi trentini.

Grande pulizia ed eleganza anche in un palato corrispondente, arricchito da preziosi richiami di polvere di cacao. Un vino che fa venir voglia d’aver davanti un piatto di selvaggina. O, perché no? Un buon libro.

Segnalazioni
Toscana Igt “Argena”, Orlandini Aziende Agricole Forestali (verticale). In degustazione le annate 2000, 2001, 2003, 2004, 2005 e 2006. Un vino unico, prodotto dalla famiglia Orlandini da un vecchio vigneto di Sangiovese con piccole quantità di Cabernet Sauvignon. Un microclima particolare, circondato da boschi, sulle colline situate tra il Castello di Gargonza ed il Castello del Calcione, a metà tra Arezzo e Siena.

Tutte le annate di Argena conservano le caratteristiche dell’annata, a riprova del metodo col quale opera la famiglia Orlandini, che non ama “uniformare” al gusto comune i propri gioielli. Anzi. Tra tutte le etichette, segnaliamo quelle di Argena 2004 e 2005: “nasi” pregevoli, tra la frutta (ciliegia) e la macchia mediterranea (rosmarino) e sapore armonico, corroborato da tannini tutt’altro che mansueti.

Barbera d’Alba Doc Superiore 2015 Vigna Serraboella, Rivetti Massimo. Siamo a Neive, in provincia di Cuneo, Piemonte. L’azienda agricola Massimo Rivetti sfodera due Barbaresco 2013 diversi ma ugualmente meritevoli di attenzione: il primo, Froi, è di “easy” e di “pronta beva”; il secondo, “Serraboella”, ottenuto da un cru sulla stessa collina di “Froi”, è incredibilmente fine e presenta tannino e acidità di gran prospettiva.

Ma è l’outsider Barbera d’Alba Superiore 2015 “Serraboella” a fare davvero centro nel cuore. Si tratta di una selezione ottenuta da una singola vigna di 75 anni, la più vecchia dell’azienda, nel cru “Serraboella”. Due anni in barrique di rovere francese 1/3 nuove e 2/3 di secondo passaggio. Naso da campione, tra il frutto rosso e la liquirizia dolce, con un accenno di cuoio e un sottofondo di erbe di montagna. Corrispondente al palato, dove si conferma una Barbera destinata ad essere molto longeva.

Zweigelt 2015, Schmelzer Weingut. Abbiamo già incontrato questa cantina austriaca tra i migliori vini bianchi. Tra tutti i vini proposti in degustazione, a colpire c’è anche un rosso: lo Zweigelt. Si tratta di un incrocio tra St. Laurent con il Blaufränkisch, noto anche con il nome di Blauer Zweigelt, Rotburger e Zweigeltrebe.

In sintesi? Un vino da provare, destinato al pubblico (sempre più vasto) degli amanti dei vini naturali. Colore rosso rubino poco trasparente, ovviamente velato, trattandosi di un non filtrato. Alle note di piccoli frutti a bacca rossa, risponde al naso una vena di iodio che ritroveremo al palato: more mature, ribes nero maturo, una nota amarognola tipica di erbe come il rabarbaro. Tannino vigoroso, sapidità straordinariamente bilanciata col resto dei descrittori. Un “vino wow”.

Nebbiolo d’Alba “Il Donato”, La Torricella di Diego Pressenda. Vino di grande prospettiva questo Nebbiolo prodotto a Monforte d’Alba da La Torricella. Frutti rossi, frutta secca, pepe, tabacco dolce. Tannino equlibrato, ma in chiara evoluzione. Ottimo anche il Barolo 2013.

PASSITI E VINO COTTO
1) Bronner “Sweet Claire”, Weingut Lieselehof. Si tratta di un passito da Bronner, vitigno Piwi di qualità hyperbio. E siamo sempre in casa Lieselehof, già premiata tra i bianchi per lo strepitoso “Julian 2008”.

In questo caso, uve Bronner in purezza essiccate in inverno e pressate a febbraio. Giallo oro luccicante, note di agrumi (lime e limone), pesca e albicocca sciroppata, una punta di idrocarburo. In bocca c’è corrispondenza, arricchita ulteriormente dalla freschezza di note di menta piperita pressata, quasi concentrata. Stra-or-di-na-rio.

2) Erbaluce di Caluso Doc Passito 2009 “Alladium”, Cieck. Cieck è sinonimo di Erbaluce di Caluso, uno dei grandi vini bianchi piemontesi, capaci di prestarsi a un ottimo invecchiamento. Sul podio di vinialsuper finisce nella categoria passiti con “Alladium”. Deliziosamente avvolgente al naso, con le sue note agrumate e candite. Caldo e freddo allo stesso tempo, come quando si mette il naso nel talco. Corrispondente al palato, con un finale fresco.

3) Vino Cotto Stravecchio “Occhio di Gallo”, Cantina Tiberi David. Vera e propria “chicca” al Merano Wine Festival 2017, prossimamente tra i banchi del Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi 2017. Parliamo della cantina Tiberi David di Loro Piceno (MC), patria del “vino cotto”, localmente chiamato “lu vi cottu”.

Un vino dalle origini nobili, che questa bella realtà a conduzione famigliare (nella foto sopra Emanuela Tiberi con il figlio Daniele Fortuna) è riuscita a far apprezzare nei salotti del Kurahus, con la stessa genuinità del prodotto. Tipico colore “occhio di gallo” (ambra) nel calice per le annate 2003 e 2005, ottenute dalla “cottura” di uve Verdicchio, Trebbiano, Montepulciano e Sangiovese.

Grande complessità in un naso e in un palato corrispondenti, con note di frutta passita e spezie calde. Perfetto accompagnamento per una vasta gamma di dessert, ma anche per i formaggi.

Fotogallery dei migliori assaggi al Merano Wine Festival 2017, compresi fuori classifica

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