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Gli enologi hanno deciso: il miglior Pinot Nero 2017 d’Italia è di Elena Walch

Il miglior Pinot Nero 2017 d’Italia è quello di Elena Walch. Lo ha stabilito la commissione di enologi ed enotecnici riunitasi in occasione del 19º Concorso nazionale del Pinot nero d’Italia. La premiazione si è svolta venerdì 10 luglio, al termine delle degustazioni svoltasi secondo le regole dell’emergenza Coronavirus.

Questo il podio della competizione, riservata appunto all’annata 2017:

  1. Elena Walch, Pinot Nero “Ludwig” – 90,3/100 punti
  2. Cantina Terlano, Südtiroler Pinot noir “Monticol” Riserva – 89,1/100 punti
  3. Tiefenbrunner, “Linticlarus” Blauburgunder Riserva – 88,5/100 punti
    a pari merito con Cantina Andriano, Pinot nero “Anrar” – 88,5/100 punti

Le prime dieci posizioni sono racchiuse entro soli 4 centesimi, a riflettere un’edizione di alto livello qualitativo che ha visto giungere in finale ben 21 vini provenienti da Alto Adige, Trentino e Lombardia.

Il Concorso 2020 è andato in scena a Montagna (BZ) il 5 e 6 marzo scorsi, pochi giorni prima che in tutta Italia venisse attivato il lockdown per arginare l’epidemia da Covid-19. La 22ª edizione delle Giornate del Pinot nero, la manifestazione rivolta ai tanti appassionati del nobile vitigno che si doveva svolgere come tradizione nel mese di maggio, è stata invece annullata.

Folto il gruppo dei Pinot neri in gara, 81, tutti italiani, in arrivo da 10 diversi territori vitivinicoli: Friuli Venezia Giulia, Trentino, Alto Adige, Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta, Toscana, Umbria, Abruzzo e Sicilia.

A valutare la qualità di questi vini il Comitato Organizzatore ha chiamato quest’anno 30 tecnici qualificati, esclusivamente enologi ed enotecnici, da Lombardia, Friuli V.G., Trentino, Alto Adige, Piemonte e Toscana, che hanno affrontato due giorni di assaggi coordinati da Ulrich Pedri del Centro Sperimentale Laimburg.

Marc Pfitscher, giovane nuovo vice-presidente del Comitato nonché responsabile dell’organizzazione del Concorso, spiega: “il nostro obiettivo è quello di puntare sulla qualità tecnica dei giurati, sulle loro competenze e la conoscenza del vitigno. In questa direzione ci eravamo mossi già lo scorso anno con la decisione di ripristinare la degustazione individuale, che vede presentati in assaggio ad ogni giurato vini diversi e in sequenza diversa, naturalmente sempre alla cieca”.

In totale ogni degustatore ha valutato 45 vini (su 81) nel primo giorno, e tutti i 21 finalisti nel secondo giorno. In più quest’anno la novità è stata la scelta di ricavare il risultato finale dal calcolo della media aritmetica delle valutazioni di entrambe le giornate. Siamo fiduciosi che queste migliorie rendano ancor più efficace il nostro costante impegno per accrescere il valore tecnico della giuria, la sua precisione e la rappresentatività a livello nazionale”.

Pfitscher conclude con una riflessione su questa situazione, che non ha ovviamente precedenti in oltre vent’anni di storia delle Giornate del Pinot Nero in Alto Adige: “È stato davvero triste non poter condividere gli assaggi di questi 81 Pinot neri italiani con i molti intenditori che partecipano alla nostra manifestazione in maniera sempre appassionata e attenta”.

“Ci sono mancate le loro opinioni e il loro feedback sull’evoluzione della qualità dei vini ottenuti da questo vitigno – conclude Pfitscher – così nobile ed esigente. L’appuntamento però è solo rimandato al prossimo anno, quando ci ritroveremo dal 15 al 17 maggio per celebrare degnamente il re dei vini”.

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Tappo a vite scelta eroica per i produttori: la ristorazione italiana è sugherocentrica

Nell’Italia che riconosce la viticoltura eroica per Decreto solo nel 2020 – la notizia è del primo luglio – si parla forse ancora troppo poco di “tappatura eroica” dei vini: quella col tappo a vite. Lo “screwcap” non è gradito al mondo della ristorazione italiana, ancorata su un’ormai anacronistica posizione sugherocentrica, che condanna (o elegge) ad “eroi” i produttori più sfidanti.

Nella preistoria che imbrattata le carte dei vini di mezzo Paese, il progresso enologico si tiene stretta la sua capitale italiana. È l’Alto Adige, che coi suoi grandi vini bianchi e rossi prova a prendere per le orecchie lo Stivale. Mostrando questa volta la strada maestra che porta al tappo a vite, in alternativa al sughero. Anche per i vini da lungo affinamento.

Il Consorzio Vini Alto Adige ha infatti organizzato ieri una masterclass a sei voci: Cantina Kaltern, Cantina Valle Isarco e Cantina Bolzano per la chiusura “tradizionale”; Falkenstein, Tiefenbrunner e Franz Haas per il tappo a vite. Altrettanti i vini, attorno ai quali è stato animato il dibattito.

Cantina Kaltern Pinot Bianco Quintessenz 2018 sughero
Falkenstein Val Venosta Riesling 2017 vite
Cantina Valle Isarco Valle Isarco Kerner Aristos 2018 sughero
Tiefenbrunner Sauvignon Blanc Turmhof 2017 vite
Franz Haas Pinot Nero 2017 vite
Cantina Bolzano Lagrein Riserva Taber 2015 sughero

Tra gli interventi più significativi quello di Christof Tiefenbrunner (nella foto sotto) pioniere del tappo a vite in Alto Adige. Una scelta adottata sin dal 2007 sul Pinot Grigio destinato all’export, allargata al vino top di gamma dall’anno successivo, “per dare il messaggio che è una tappatura adatta anche a vini di altissima qualità”.

Vendere il Feldmarschall col tappo a vite non è mai stato un problema – ha evidenziato il numero uno di Tiefenbrunner Schlosskellerei – trattandosi di un Müller-Thurgau unico, un marchio. Ma quando abbiamo messo il tappo a vite su altri prodotti abbiamo riscontrato un calo delle vendite del 20%. Negli anni abbiamo sostituito i ristoranti contrari allo screwcap con altri, invece favorevoli”.

Le resistenze sono diminuite, ma non ancora superate. “Questo metodo di tappatura dei vini resta una scelta difficile – ha precisato Tiefenbrunner – ci sono ancora ristoranti che non vogliono vedere il tappo a vite. Negli ultimi 3 anni è più accettato, anche perché consente ai ristoranti di tenere una bottiglia aperta una settimana e ci sono vantaggi anche sul fronte dei solfiti, praticamente dimezzati“.

Significativo anche l’intervento di Andrea Moser, enologo di Kellerei Kaltern: “La nostra cantina – ha dichiarato – ha scelto il tappo a vite soprattutto per i mercati che lo accettano di buon grado. Ma non posso che evidenziare un concetto: il 60-70% degli enologi ormai stufi dei problemi connessi al sughero, non più legati al classico ‘sentore di tappo‘, riconoscibile facilmente dalla maggior parte dei consumatori”.

“Il vero guaio – ha evidenziato Moser – sono le microcessioni di tca, diosmine, pirazine e tannini amari, che portano il consumatore meno esperto a dire che quel vino non è buono, per via di deviazioni olfattive che non attribuisce al tappo, ma al produttore!”.

Il tappo di sughero resta l’ideale, ma il punto è: quanto ce n’è ancora e quanto siamo disposti a pagare per averlo, dal momento che un buon tappo costa 1,20-1,30 euro al pezzo, incidendo troppo sul prezzo finale del vino? Salendo di prezzo non esiste comunque la garanzia assoluta di consegnare al calice il vino come lo abbiamo imbottigliato”.

Dall’altra parte della “bottiglia”, il sommelier Fis Eros Teboni: “Quello del tappo a vite è un argomento sempre attuale e moderno. Ma l’Alto Adige, grazie alla grandissima grandissima varietà di vini bianchi e rossi, atti o meno ai lunghi affinamenti, può fare davvero da portabandiera dei metodi più innovativi di tappatura. Col tappo a vite si perde un po’ di romanticismo nel ‘rito della stappatura’, ma si guadagna nel calice, da godere in compagnia”.

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Se il Sassicaia non piace alla cieca. Il bordolese toscano bocciato a “Cortaccia Rossa”


BOLZANO –
 Nel 2015 era toccato ai vini di Bordeaux. Degustati alla cieca da una trentina di professionisti del settore, in un confronto con i tagli bordolesi altoatesini del team “Cortaccia Rossa“, i vini di Cantina Kurtatsch, Peter Dipoli, Baron Widmann e Tiefenbrunner avevano sbaragliato le etichette di Pomerol, St. Emilion, Pauillac, Margaux e St. Estèphe.

L’ascia del blind tasting, dopo aver falcidiato la Francia dei Cabernet Sauvignon, dei Cabernet Franc e dei Merlot premiati e strapagati a livello mondiale, ha mietuto una vittima eccellente nell’edizione 2019 di “Cortaccia Rossa”, andata in scena ieri pomeriggio al Centro di Sperimentazione Laimburg di Ora, in provincia di Bolzano.

Si tratta del Sassicaia 2016 di Tenuta San Guido, a cui la giuria internazionale – tra cui anche noi di WineMag.it – composta da stampa, sommelier e buyer, ha assegnato la (misera) media di 87,5 punti. Nulla di strano, se non fosse che si tratta della stessa vendemmia giudicata 100/100 da Robert Parker.

Bottiglia sfortunata? Non si direbbe, dal momento che il numero dei giurati è tale da giustificare l’apertura di almeno tre bottiglie della stessa etichetta. Allora, il sospetto, è proprio che la degustazione alla cieca giustifichi la défaillance del “mostro sacro” firmato Tenuta San Guido.

Come è facile intendere, l’edizione 2019 di “Cortaccia Rossa” ha visto protagonista il confronto tra i vini delle quattro cantine altoatesine unite per promuovere le varietà bordolesi dell’areale di Cortaccia (BZ) e il territorio di Bolgheri, ben più affermato a livello nazionale e internazionale.

Quattro “flight”, ovvero quattro sessioni di degustazione alla cieca, in ognuna delle quali si celava un solo vino dell’Alto Adige, accanto a tre vini provenienti dalla nota Denominazione toscana e – nuovamente – dalla Francia (Saint-Émilion, Pessac-Léognan e Saint Estéphe).

Nel primo flight la spunta l’Alto Adige Südtirol Doc 2016 “Frauenriegel” di Weingut Peter Dipoli (Merlot e Cabernet Franc). La media complessiva finale è di 89,3. Naso spiccatamente erbaceo, profondo, sulla spezia nera più che sul frutto. Presenza di Merlot piuttosto preponderante (55% a fronte di un 43% di Franc).

In bocca corrispondente, con frutto rosso e la rinnovata verve erbacea. Gran freschezza, ma un alcol che si deve integrare meglio in un palato in cui la maturità del frutto domina l’ingresso, per poi lasciare spazio alla spezia.

Secondo posto per il Bolgheri Doc 2016 “Camarcanda” (media “Cortaccia Rossa” 88,4/100). Medaglia di bronzo, a pari merito con 87/100, per l’Aoc Saint-Émilion Premier Grand Cru Classé 2016 “Chateau Canon La Gaffelière” e l’Igt Toscana 2016 “Oreno” di Tenuta Sette Ponti.

Interessante il risultato del secondo flight, dove a spuntarla è il Bolgheri Doc Superiore 2016 “Guado al Tasso” (90/100 la media dei degustatori di “Cortaccia Rossa” 2019). Secondo posto per l’Igt Toscana Cabernet Sauvignon 2016 dell’Azienda agricola Isole e Olena (media di 89,1/100).

Terzo l’Alto Adige Südtirol Doc 2016 “Auhof” di Weingut Baron Widmann (88,9 di media): bello il gioco tra morbidezza alcolica, spezie calde e vena erbacea. Vino di grande godibilità e prontezza al palato, dove manca però, per via i un frutto piuttosto maturo (fragola e lampone), un po’ di freschezza.

Quarto ed ultimo, sempre nel terzo flight, l’Aoc Pessac-Léognan 2016 “La Chapelle de la Mission Haut-Brion” con una media di 88,2/100 assegnata dai degustatori di “Cortaccia Rossa” 2019.

Penultimo flight dominato dal Langhe Doc 2016 “Darmagi” 2016 di Gaja (90/100), seguito dall’Alto Adige Südtirol Doc Riserva 2016 “Frienfeld” di Kellerei/Cantina Kurtatsch (89,8/100) tra i più schietti testimoni dell’attitudine di Cortaccia alla “bordolesità”, non ultimo in termini di potenzialità nel lungo affinamento in bottiglia.

Terzo posto per l’Aoc Saint Estèphe 2016 “Chateau Cos d’Estournel” (89,6/100). Quarto ed ultimo posto della batteria assegnato, appunto, al Sassicaia 2016 di Tenuta San Guido, con 87,5/100.

Quarto ed ultimo flight appannaggio dei cugini d’Oltralpe, che la spuntano con l’Aoc Pauillac Grand Cru Classè 2015 “Ch. Pichon Longueville Baron” (90,3/100 assegnati dalla giuria presente a “Cortaccia Rossa” 2019).

A seguire l’Alto Adige Südtirol Doc Riserva 2015 “Vigna Toren” firmato Tiefenbrunner – Schlosskellerei Turmhof (90/100). Bel frutto e spezia nera al naso, bella succosità al palato: un vino che, senza rinunciare a una grandissima godibilità e bevibilità, eccelle in freschezza e mineralità, in una chiusura lunghissima.

Medaglia di bronzo per il secondo Bolgheri Doc Sassicaia in degustazione a “Cortaccia Rossa” 2019: la vendemmia 2015 dell’etichetta di Tenuta San Guido (89,4/100, contro i 97/100 di Robert Parker e i 98/100 di James Suckling). Quarto ed ultimo piazzamento per l’Igt Vigneti delle Dolomiti 2015 “Tenuta San Leonardo”, unico trentino in gara.

IL COMMENTO

“La cosa importante di Cortaccia Rossa – sottolinea Peter Dipoli – è dimostrare che i quattro produttori aderenti a questa iniziativa non hanno invidia uno dell’altro. Nel mondo del vino, spesso, si ha paura di rimetterci qualcosa agendo in sinergia con i vicini di casa. Per noi non è così”.

“I 45 ettari attuali di varietà bordolesi presenti a Cortaccia – continua Dipoli – dimostrano a noi stessi, agli esperti e agli opinion leader del settore che i nostri vini meritano attenzione e hanno un rapporto qualità prezzo incredibile, se comparati con quelli di altri territori ormai affermati in cui si allevano Cabernet e Merlot”.

Le difficoltà dei produttori altoatesini sono soprattutto legate alla mancanza di un “brand bordolese”. “Devi portare la cartina geografica per vendere nel mondo il taglio bordolese della nostra zona – chiosa Dipoli – soprattutto in una fase come quella attuale, in cui sono i vini bianchi che tirano il mercato dei vini dell’Alto Adige”.

Siamo troppo piccoli per avere visibilità all’estero – conclude il vignaiolo – ma ‘Cortaccia Rossa’, con le sue degustazioni comparative svolte rigorosamente alla cieca, è un piccolo passo per dire al mondo che ci siamo anche noi: abbiamo poco vino in confronto ad altri territori, ma costiamo meno di un terzo di quelli con cui ci confrontiamo”.

Il prezzo medio delle etichette “bordolesi” di qualità dell’Alto Adige, di fatto, si aggira attorno ai 40 euro. Nulla in confronto ai blasonati rossi di Bolgheri come il Sassicaia, il cui valore oscilla al netto dei giudizi delle guide.

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