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Milano Coffee Festival all’insegna dello Slow Coffee: il nuovo modo di concepire il caffè

MILANO – Contiene più caffeina un caffè lungo o un espresso? Che sapore ha la caffeina? Quante varietà di caffè esistono, oltre alle note Arabica e Robusta?

Dubbi che si potranno chiarire in un sorso al Milano Coffee Festival, in programma il 19, 20 e 21 maggio. Appuntamento al Base di via Tortona, 54.

Un’occasione per scoprire come la concezione stessa di caffè stia cambiando, anche in Italia. Avvicinandosi al concetto di “slow coffee”. Avete letto bene. Quello che all’apparenza può sembrare un ossimoro, in realtà è l’espressione più moderna della “pausa caffè”. La versione 2.0.

Ad assicurarlo è Francesco Masciullo, campione italiano Baristi 2017 ospitato ieri da Zodio, a Rescaldina (MI). “Città come Londra e Melbourne – evidenzia il 26enne di origini salentine – sono avanti anni luce rispetto all’Italia su un’idea diversa del caffè. Le caffetterie specializzate sono moltissime, nel mondo. Qui da noi se se contano solo una decina”.

Si può trovare Masciullo dietro al bancone di Ditta Artigianale, a Firenze. A Milano i punti di riferimento sono due: Cofficina e Orso Nero. A Brescia c’è Tostato. Il sud è ancora più restio al “cambiamento”. Ma Quarta Caffè di Lecce sta provando a portare vento nuovo, dopo anni di produzione intensiva di caffè base Robusta (meno qualitativa rispetto all’Arabica e dai sentori meno fini, anche se apprezzabilissimi).

“Esistono 150 specialità botaniche di caffè – ricorda Francesco Masciullo – eppure quella che più si adatta per caratteristiche e qualità alla concezione di ‘slow coffee’ è l’Arabica.  Quando parliamo di slow coffee ci riferiamo a un modo nuovo di concepire il caffè: quello che tecnicamente viene definito ‘caffè filtro’ e che, nel gergo comune, è noto come ‘infuso di caffè'”.

Per ottenerlo esistono almeno due metodi: il V 60 e la french press. A differenza dell’espresso classico, che finisce in tazza per pressione, il caffè si ottiene per “macerazione” o, meglio, per “infusione”.

Un procedimento simile a quello del the o del vino, se si pensa al contatto – più o meno prolungato – del filtro con l’acqua calda, o del mosto con le bucce, per favorire l’estrazione di sostanze come polifenoli e antociani.

In realtà, c’è una sostanziale differenza anche tra V 60 e french press. Il V 60 è tecnicamente definito “drip”: il caffè si ottiene per percolazione. La “V” ricorda la forma di questo semplice marchingegno, nel quale si poggia il filtro e si versa l’acqua calda. Il numero 60 rappresenta l’ampiezza dell’angolo di questa sorta di piramide rovesciata.

I METODI SLOW
A differenza del V 60, il metodo per ottenere un buon caffè attraverso la french press prevede due passaggi: infusione ed estrazione. Cambia dunque il gusto. “L’esame visivo non basta per definire la qualità di un caffè – spiega il campione italiano Francesco Masciullo – occorre infatti assaggiarlo, per definirne l’equilibrio e il corretto bilanciamento”.

Dalla french press possiamo aspettarci un corpo maggiore rispetto al V 60. Prevede infatti una fase di pressione (come l’espresso classico, ma ben più delicata e prolungata) operata dallo stantuffo, definito tecnicamente plunger. In particolare sono tre i passaggi necessari per concedersi un caffè con la french press:

1) Blooming: la pre infusione, che serve a eliminare buona parte della Co2 e dei gas volatili contenuti naturalmente nei chicchi di caffè
2) Infusione
3) Estrazione

Fondamentale il giusto tipo di macinatura. In una scala da uno a dieci:

1) La macinatura 1 è quella del’espresso da bar
2) La macinatura 4 è quella della Moka
3) La macinatura 6 è adatta al V 60
4) La macinatura 8 è perfetta per french press e syphon

Perché è importante la macinatura? “Tra un metodo di estrazione e l’altro – spiega Masciullo – il fattore determinante è il ‘tempo di contatto’ del caffè macinato con l’acqua, all’interno del filtro. Più il metodo richiede tempi lunghi di estrazione, più la grana del caffè dev’essere grande”.

Basti pensare che il tempo di estrazione di un caffè espresso classico è di circa 30 secondi (macinatura fine). Occorrono 2-3 minuti per ottenere un caffè da V 60 (macinatura media). Con il syphon, il tempo di estrazione aumenta, toccando soglia 3-3½ minuti (macinatura media-grossa). Il metodo french press prevede infine 4-5 minuti di contatto (grana grossa).

La prima fase di estrazione è la più delicata, in quanto determina i fattori alla base di un buon caffè:

1) Acidità
2) Dolcezza
3) Amarezza

Anche le dosi di caffè ed acqua sono parte di una vera e propria “ricetta”, utile a ottenere un perfetto slow coffee. Il parametro standard è di 60 grammi di caffè per un litro d’acqua.

Quale metodo privilegiare? “Per una tazza delicata e a suo modo corposa – risponde Masciullo – consiglio di usare il metodo V 60, che trasforma il caffè in un vero e proprio rito. Per una tazza standard, quotidiana e più facile da preparare, sceglierei la french press, che potrebbe tranquillamente prendere il posto della moka, se solo iniziassimo a pensare al caffè in maniera innovativa”.

LA TAZZINA GIUSTA
Fa bene Masciullo a parlare di “tazze”. C’è forse un materiale o una forma migliore per godere appieno degli aromi di un caffè? “Per l’espresso classico – assicura il campione italiano Baristi – fidatevi di tazze con la base convessa, più stretta rispetto alla parte alta”.

“Per quanto riguarda il materiale – conclude Masciullo – consiglio la ceramica, che trattiene più calore del vetro. Lo spessore della tazza è invece legata più a un fattore di estetica che alle capacità di garantire una perfetta degustazione”. Già, “degustazione”. Altro che le veloci “pause caffè”. Alzi la mano, allora, chi è pronto per per la slow coffee revolution.

 

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