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Alcohol Duty, aumento tasse sugli alcolici in UK: al pub costano meno del supermercato

Alcohol Duty aumento tasse sugli alcolici in UK: il pub costa meno del supermercatoAumenti record delle accise sugli alcolici nel Regno Unito, con l’eccezione di spumanti e bevande low-alcohol. La misura varata dal governo guidato dal primo ministro Rishi Sunak, annunciata già a primavera, è entrata in vigore ieri, 1 agosto 2023. Gli aumenti – pari in media al 10% e da considerarsi i più consistenti degli ultimi 100 anni – interessano tutti gli alcolici prodotti o importati in UK. Attraverso l’Alcohol Duty, letteralmente imposta sull’alcol, Downing Street si pone l’obiettivo di «sostenere l’industria dell’ospitalità e riconoscere il ruolo vitale che i pub svolgono nelle comunità». E «riconoscere che i pub sono ambienti sorvegliati e meno associati ai danni dell’alcol». Di fatto, la birra alla spina non subirà aumenti. La stangata delle nuove accise non riguarda l’on-trade (pub, bar, ristoranti) ma solo l’off-trade: supermercati e negozi dediti alla vendita di alcolici.

L’aliquota non cambia per le birre con un tenore alcolico (ABV) inferiore all’8,5%, confezionate in contenitori di almeno 20 litri (i fusti). Nell’off-trade l’accisa passerà invece dal dal 5% al 9,2% per birra e sidro e dal 20% al 23% per il vino, gli altri prodotti fermentati – precedentemente vinificati – e i liquori. Una svolta che può dirsi epocale. Le aliquote dell’Alcohol Duty erano rimaste invariate in UK sino al 2020. Il 19 dicembre 2022, il governo ha prorogato l’attuale congelamento dell’Alcohol Duty di 6 mesi, dal 1° febbraio al 1° agosto 2023, «per dare certezza alle imprese». E ieri è arrivato il momento della resa dei conti.

SVOLTA EPOCALE PER LE ACCISE SUGLI ALCOLICI IN UK

Portafogli alla mano, l’accisa su tutti i prodotti alcolici inferiori al 3,5% di alcol in volume (ABV) salirà a 9,27 sterline per litro di alcol contenuto nel prodotto. L’accisa sul sidro fermo con almeno 3,5% e meno dell’8,5% in volume di £ 9,67 per litro di alcol. Il sidro frizzante con un minimo di 3,5% e un massimo di 5,5% di ABV costerà £ 9,67 per litro di alcol nel prodotto. E ancora: £ 21,01/litro sulla birra con almeno il 3,5% e meno dell’8,5%; £ 24,77/litro su su alcolici, vino e altri prodotti fermentati con un minimo di 3,5% e un massimo di 8,5% ABV; £ 24,77 sul sidro spumante con titolo alcolometrico superiore al 5,5% ma inferiore all’8,5%.

L’accisa su tutti i prodotti alcolici con un tenore di ABV non inferiore all’8,5% e non superiore al 22% sarà di £ 28,50 per litro di alcol contenuto nel prodotto. Si sale a £ 31,64/litro per tutti i prodotti alcolici che superano il 22% di ABV. I vini con un ABV compreso tra 11,5% e 14,5%, dunque una buona fetta dei vini italiani, saranno trattati come se avessero 12,5% vol, sino al 1° febbraio 2025. Ecco quindi il capitolo degli sgravi. Il nuovo Draught Relief, previsto tra le norme dell’Alcohol Duty, prevede una riduzione dell’imposta sui “prodotti alla spina qualificati”.

ALCOHOL DUTY: SGRAVI PER I PUB IN UK CON IL DRAUGHT RELIEF

L‘aliquota dell’accisa è stata ridotta su tutti i prodotti alcolici alla spina con meno di 3,5% ABV: costa 8,42 sterline per litro di alcol contenuto nel prodotto; il sidro alla spina con almeno il 3,5% ma meno dell’8,5% di ABV si assesta su 8,78 sterline. Lo stesso vale per il sidro spumante alla spina con un titolo alcolometrico minimo del 3,5% e un titolo alcolometrico massimo del 5,5%. Aliquota ridotta anche su birra, liquori, vino e altri prodotti fermentati alla spina con un titolo alcolometrico minimo del 3,5% e inferiore all’8,5%: £ 19,08 per litro di alcol contenuto nel prodotto. Si sale a £ 19,08 per litro.

Nelle stime del governo, la misura avrà un effetto diretto sull’indice dei prezzi al consumo (IPC). Nell’Economic and Fiscal Outlook (EFO) del marzo 2023, l’Office for Budget Responsibility (OBR) ha stimato una riduzione marginale del tasso di inflazione dell’IPC nel 2023-2024, che si annullerà parzialmente nel 2024 e nel 2025. «I consumatori di prodotti alcolici più forti – ammette Downing Street – pagheranno di più a causa della nuova struttura dell’accisa. Chi consuma prodotti alla spina nei locali “on-trade”, come i pub, pagherà meno tasse rispetto all’equivalente prodotto non alla spina nei locali “off-trade” (come i supermercati)».

ASPRE CRITICHE DALLA WINE AND SPIRIT TRADE ASSOCIATION

Sempre secondo il governo, si prevede che la misura avrà «un impatto trascurabile su un massimo di 10 mila imprese che producono alcolici nel Regno Unito, importano alcolici nel Regno Unito o sono coinvolte nel deposito di alcolici in regime di sospensione del dazio». Quello che il premier Rishi Sunak considera «un costo una tantum trascurabile» viene però duramente criticato dalla Wine and Spirit Trade Association che si dice «profondamente delusa dal fatto che il cancelliere abbia scelto di soffocare le imprese britanniche del Regno Unito, aumentando in modo significativo le imposte sul vino e sugli alcolici». Molto criticato, in particolare, l’approccio al vino.

«L’accisa su una bottiglia di vino fermo – calcola la WSTA – aumenta di 44 pence. Per i vini liquorosi gli aumenti saranno ancora maggiori: il Porto aumenterà di 1,30 sterline a bottiglia e una bottiglia di vodka di 76 pence. I bevitori di vino subiranno il più grande aumento singolo in quasi 50 anni». Ancor più duro Miles Beale, direttore generale della Wine and Spirit Trade Association: «La decisione del governo di punire le aziende e i consumatori di vino e alcolici con un aumento del 10% per gli alcolici e del 20% per il vino, a partire dal 1° agosto, è sconcertante. Si tratta del più grande aumento delle imposte sul vino dal 1975».

WSTA ALL’ATTACCO: «GRAVE DANNO ALLE CANTINE BRITANNICHE»

Questo bilancio contraddice direttamente ciò che il governo sostiene di voler affrontare. Alimenterà ulteriormente l’inflazione. Farà ricadere ulteriori sofferenze sui consumatori. E danneggerà le imprese britanniche, soprattutto quelle della filiera dell’ospitalità, che stanno ancora cercando di riprendersi dalla pandemia. Il doppio aumento delle tasse sul vino è un colpo particolarmente amaro per le aziende vinicole britanniche ricche di PMI. Ci si chiede, ancora una volta, che cosa abbia il governo contro chi sceglie di produrre e bere vino».

Sempre secondo i vertici della Wine and Spirit Trade Association, gli aumenti fiscali inflazionistici si aggiungeranno agli «aumenti furtivi delle tasse» per alcuni prodotti alcolici, che il governo ha inserito nel passaggio alla tassazione degli alcolici in base al titolo alcolometrico. «Dopo tutti gli sforzi per rilanciare le catene di distribuzione dell’ospitalità nel 2022 – attacca la WSTA – il governo non offre alcun aiuto nel 2023 per il commercio del vino e degli alcolici. E, in particolare, per i 33 milioni di bevitori di vino del Regno Unito che vedranno la loro bevanda preferita, e quella della nazione, colpita da un aumento nel bel mezzo di una crisi del costo della vita».

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Web Tax 2020 e ritorsioni Usa: timori per nuovi dazi sul vino. Agosto mese “caldo”

Prevenire anziché combattere. C’è preoccupazione nella filiera del vino italiano per l’apertura di nuove indagini degli Stati Uniti sulla Web Tax, provvedimento al vaglio di molti Paesi dell’Unione europea per regolamentare la tassazione di colossi americani del web come Google, Amazon e Facebook.

L’Italia ha già inserito la Web Tax nel testo della Legge di Bilancio 2020, prevedendo maggiori introiti per oltre 100 milioni di euro. Alto, dunque, il rischio di ritorsioni. Donald Trump potrebbe infatti imporre nuovi dazi sul vino e su altri prodotti Made in Italy, come successo in Francia con lo Champagne.

Sarebbe una vera e propria stangata per il Bel paese in un momento già drammatico per le esportazioni, che risultano in calo del 43,4% ad aprile a causa del lockdown utile ad arginare la pandemia Coronavirus.

A condividere la preoccupazione dei produttori del settore vitivinicolo sono Coldiretti e Unione italiana vini (Uiv). La federazione guidata da Ettore Prandini è stata la prima a fare esplicito riferimento all’apertura di nuove indagini sulle tasse sui servizi digitali da parte dell’Ufficio del Rappresentante al Commercio degli Stati Uniti.

Si tratta appunto dell’Ustr, lo stesso organismo che ad agosto 2020, alla scadenza del Docket Ustr-2019-0003 relativo al contenzioso Boeing-Airbus, potrà nuovamente mettere in discussione la lista di prodotti italiani da sottoporre a una tassazione maggiore. Includendo questa volta anche il vino italiano.

“Le difficoltà economiche – denuncia Coldiretti – sembrano far riemergere tentazioni protezionistiche da parte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, già in difficoltà per le proteste in atto in tutto il paese per la morte dell’afroamericano George Floyd, soffocato durante un arresto a Minneapolis il 25 maggio scorso”.

La minaccia riguarda direttamente l’Italia e l’Unione Europea che nell’ambito del nuovo piano di aiuti da 750 miliardi di euro, il cosiddetto Fondo per la Ripresa o ‘Next Generation Eu, potrebbe anche includere una nuova tassa sul digitale, la cosiddetta Web Tax”.

La nuova guerra commerciale rischia di avere effetti devastanti sul settore agroalimentare Made in Italy, già penalizzato dall’entrata in vigore dei dazi il 18 ottobre 2019, con l’applicazione di tariffe aggiuntive del 25% su circa mezzo miliardo di euro di esportazioni di prodotti agroalimentari nazionali.

Si parla di prodotti come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Gorgonzola, Provolone, Asiago, Fontina, ma anche salami, mortadelle, crostacei, molluschi agrumi, succhi e liquori come amari e limoncello.

“Gli Stati Uniti sono il principale mercato di sbocco dei prodotti agroalimentari Made in Italy fuori dai confini comunitari e il terzo a livello generale dopo Germania e Francia – denuncia il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – occorre dunque impiegare tutte le energie diplomatiche per superare inutili conflitti che rischiano di compromettere la ripresa dell’economia mondiale duramente colpita dall’emergenza Coronavirus”.

Sulla possibilità di nuovi dazi sul vino italiano vigila anche Unione italiana vini (Uiv). “Siamo molto preoccupati dall’apertura negli Usa della nuova indagine sulle tasse sui servizi digitali Web Tax perché rischia di colpire i nostri vini, come successo con gli Champagne nell’analoga vicenda subita dalla Francia”, commenta il segretario generale Paolo Castelletti (nella foto) interpellato da WineMag.it

La coincidenza temporale tra questa nuova ‘indagine’ e la riapertura della public consultation del rappresentante del commercio americano (Ustr) sulla vicenda Airbus-Boeing, che porterà a metà agosto al prossimo ‘carosello’ daziario al quale il vino italiano è scampato lo scorso febbraio, rischia di creare una situazione ulteriormente sfavorevole, che dobbiamo in ogni modo disinnescare“.

“Il vino non può pagare il prezzo di dispute estranee al settore – aggiunge Castelletti – tanto più in questa fase così delicata dei mercati, in cui dobbiamo ricostruire in tempi rapidi quel posizionamento internazionale che la vicenda Covid ha indebolito”.

Unione Italiana Vini si è mobilitata con i suoi partner importatori americani. L’obiettivo è quello di pianificare una serie di interventi nelle prossime settimane, utili a scongiurare l’ipotesi di nuovi dazi.

“Siamo in contatto, altresì, con il nostro governo e l’Ambasciata d’Italia a Washington per avere maggiori informazioni sullo stato dell’arte di queste nuove iniziative che potrebbero creare nuovi ostacoli al commercio dei nostri prodotti negli Stati Uniti”, annuncia ancora Paolo Castelletti a WineMag.it.

Non hanno abbassato la guardia neppure i vignaioli italiani promotori di una raccolta firme durante la prima tornata di paventati dazi, a inizio 2020. Le firme dei produttori, giunte a Roma e Bruxelles, sono servite a fare pressioni sul governo americano e oggi tornano utili.

Così la portavoce Marilena Barbera a WineMag.it: “La nuova tornata di investigazioni da parte dell’Amministrazione Trump sulle digital tax non ci coglie di sorpresa, come accadde invece all’inizio di quest’anno. L’esperienza acquisita sul campo, nell’attività di sensibilizzazione e mobilitazione dell’opinione pubblica e degli esponenti politici sia italiani che europei, gioca a nostro favore”.

Giocano a nostro favore anche i risultati positivi che abbiamo ottenuto: quasi 25 mila firme sulla nostra petizione, consegnata a metà gennaio nella mani della Ministra Teresa Bellanova, la risposta diretta e positiva del Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, il coordinamento con un gruppo molto attivo di importatori americani, con i quali abbiamo condiviso la battaglia sulle due sponde dell’oceano. Risultati importanti, che hanno contribuito a risparmiare al vino italiano l’imposizione di dazi che ancora gravano, invece, sui vini francesi”.

“Il fatto che la procedura sia ancora agli inizi – ammonisce Marilena Barbera – non deve far assopire la nostra attenzione, al contrario! È proprio questo il momento di agire, coinvolgendo nuovamente tutti gli attori che hanno reso possibile il successo della nostra prima iniziativa, presentandoci compatti ai tavoli delle trattative e chiedendo ai nostri rappresentanti istituzionali di essere determinati, oggi come ieri, in difesa del Made in Italy e del nostro lavoro”.

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