Dalla Guida Top 100 Migliori Vini italiani 2025 di Winemag: Aglianico del Vulture Docg Superiore 2020 Don Anselmo, Paternoster (14%).
Frutto: 8.5 Spezie, erbe: 8.5 Freschezza: 7.5 Tannino: 7.5 Sapidità: 8 Percezione alcolica: 5.5 Armonia complessiva: 9 Facilità di beva: 7.5 A tavola: 9.5 Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Più fenoli nei rossi e più acidità nelle basi spumanti. L’ultima ricerca sui portainnesti M rivela che non fungono solo da barriera contro la siccità e il calcare, ma rappresentano un vero e proprio veicolo «per ottenere una qualità superiore nei vini». Lo studio è stato condotto dal team dell’Università di Milano guidato dai professori Attilio Scienza e Lucio Brancadoro, con il supporto di Winegraft, società che riunisce alcune delle principali realtà vitivinicole italiane.
La nuova generazione dei portainnesti M si sta così rivelando una soluzione efficace non più solo per gestire le conseguenze dei cambiamenti climatici, ma anche per affrontare in modo diverso il complessivo cambio di orientamenti del gusto da parte dei consumatori in tutti i mercati mondiali. La tipologia contrassegnata dalla sigla M è associata principalmente alla ricerca e allo sviluppo in viticoltura condotto dall’Istituto di Miglioramento Genetico della Vite di Montpellier, in Francia. Grazie al lavoro di Vivai Cooperativi Rauscedo, la diffusione dei portainnesti M è ormai ottimale in tutti i principali territori vitati d’Italia.
PORTAINNESTI M: LA NUOVA FRONTIERA PER LA QUALITÀ DEI VINI
La sorprendente scoperta arriva dopo oltre venti anni di sperimentazioni e microvinificazioni in dieci diverse aree produttive, dal Piemonte alla Sicilia. Lo studio ha dimostrato che i “4 moschettieri” della serie M (M.1, M.2, M.4, M.5) non solo garantiscono resistenza agli stress ambientali, ma offrono anche prestazioni produttive e qualitative superiori, influenzando aspetti chiave come il vigore, la maturazione tecnologica, fenolica e aromatica delle uve. «La portata di questa ricerca è davvero rivoluzionaria», ha dichiarato Marcello Lunelli, presidente di Winegraft,Winegraftla società che da dieci anni sostiene lo sviluppo dei portainnesti M, distribuiti in esclusiva dai Vivai Cooperativi Rauscedo. Vivai Cooperativi Rauscedo
«Da oggi – ha aggiunto – non dobbiamo più considerare i portainnesti solo come una barriera contro fillossera, siccità e altre avversità, ma come strumenti biologici per migliorare la qualità dell’uva e del vino». Attilio Scienza ha sottolineato come questa scoperta porti la viticoltura in linea con altri ambiti delle colture arboree, dove il portainnesto è riconosciuto come un fattore cruciale per il miglioramento qualitativo. «È stato un lavoro complesso e lungo oltre due decenni – ha spiegato – a causa delle molteplici interazioni tra portainnesto, ambiente di coltivazione e vitigni. Tuttavia, abbiamo finalmente dimostrato che il portainnesto può influire in maniera diretta sulla qualità delle uve e dei vini».
Lucio Brancadoro, coautore dello studio, ha evidenziato come la ricerca abbia permesso di chiarire l’impatto dei portainnesti M sulle performance produttive e qualitative della vite. «In diverse combinazioni d’innesto con vitigni rossi e bianchi – ha spiegato – abbiamo osservato non solo l’estrema adattabilità dei portainnesti M ai vari ambienti italiani, ma anche la loro capacità di regolare le risposte della vite agli stress abiotici, sempre più estremi a causa del cambiamento climatico». Questa regolazione permette un decorso maturativo più favorevole, premessa essenziale per ottenere vini di alta qualità.
RISULTATI CONCRETI: FENOLI NEI ROSSI E ACIDITÀ NEGLI SPUMANTI
Le sperimentazioni condotte su vitigni iconici come Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Nero d’Avola e Sangiovese hanno confermato le straordinarie potenzialità dei portainnesti M.
Nel Cabernet Sauvignon, i portainnesti M hanno garantito risultati produttivi bilanciati, con elevati livelli di zuccheri e concentrazione fenolica.
Per lo Chardonnay in Franciacorta e Trento Doc, si è registrata una maggiore acidità titolabile, con prevalenza di acido malico, e un pH inferiore, elementi fondamentali per la produzione spumantistica di qualità. I vini ottenuti sono risultati più intensi, aromatici e con una struttura olfattiva complessa, arricchita da note di frutta tropicale.
Un aspetto determinante è emerso anche nei vini rossi. Nei campi sperimentali, le uve di Nero d’Avola, Cabernet Sauvignon e Sangiovese hanno mostrato una maggiore concentrazione di polifenoli, una tonalità più accesa delle sostanze coloranti e una persistenza cromatica superiore durante l’affinamento. Questi parametri influenzano direttamente la qualità dei vini, rendendoli più strutturati e longevi.
«PORTAINNESTI M PER VINI DI QUALITÀ SUPERIORE»
Un altro aspetto innovativo riguarda la composizione aromatica delle uve. «I portainnesti M influenzano il metabolismo secondario della vite, con effetti diretti sulla qualità aromatica», spiega Brancadoro. Le analisi su Chardonnay e Sangiovese hanno rilevato incrementi significativi di composti aromatici come tioli, esteri etilici, fenoli e norisoprenoidi, che contribuiscono alla complessità dei vini ottenuti.
«Questa scoperta – conclude Marcello Lunelli – ci porta a riconsiderare completamente il nostro approccio ai portainnesti. La prova scientifica del loro ruolo nella qualità del vino sottolinea l’importanza di una scelta oculata della combinazione d’innesto, che tenga conto non solo delle caratteristiche varietali e ambientali, ma anche degli obiettivi enologici da raggiungere». Con i portainnesti M, una buona parte della viticoltura italiana promette di entrare in una nuova era. In cui sostenibilità e qualità si uniscono, per affrontare le sfide di un mercato sempre più esigente e di un clima in continuo cambiamento.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Una produzione di oltre 61 milioni di bottiglie nel 2023 tra Valpolicella, Valpolicella Ripasso, Amarone e Recioto destinate per il 60% all’export in 87 Paesi del mondo. È l’istantanea del Consorzio vini Valpolicella – 8.617 ettari su 19 comuni che, dalle colline, si estendono fino a Verona; 2.200 viticoltori, 316 imbottigliatori e 6 cantine sociali – che oggi, nell’ambito di “Venezia Superiore”, che oggi ha presentato il focus socioeconomico della principale denominazione Rossa del Veneto. Il dossier di 40 pagine fotografa l’evoluzione del vigneto in Valpolicella, con un fatturato di 600 milioni di euro l’anno.
«In un momento sfidante come quello attuale, soprattutto per i vini Rossi – ha commentato in conferenza stampa il presidente dell’ente di tutela vini Valpolicella, Christian Marchesini – è importante infatti monitorare non solo i mercati ma anche la capacità di risposta e di adattamento del territorio e dei produttori. In questo contesto, il dossier è uno strumento strategico di analisi e di lettura delle tendenze, a partire da quella che coinvolge proprio il vino di territorio per antonomasia, il Valpolicella Superiore, che grazie alla sua versatilità sta scalando nuove quote di mercato».
Protagonista dell’evento “Venezia Superiore”, il Valpolicella si sta rivelando il vino ‘trendy’ della denominazione veronese anche sui mercati internazionali che valgono il 61% delle vendite, con Canada (39%) e Usa (15%) in testa alla classifica dell’export. Nel primo semestre di quest’anno il Valpolicella, che si candida a conquistare i giovani winelover della generazione meno incline al consumo di vino di sempre, ha raggiunto una produzione di quasi 9,5milioni di bottiglie (+0,4% rispetto allo stesso periodo del 2023), un dato sostanzialmente in linea con quello pre-pandemico del 2019.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Il Miglior Vino biologico italiano per la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024 è il Bianchello del Metauro Doc Superiore 2020 Andy’20 di Valentino Fiorini. Il riconoscimento arriva grazie ai 95/100 assegnati in occasione delle degustazioni alla cieca di categoria della redazione di winemag.it. A guidare la cantina di Terre Roveresche, in provincia di Pesaro e Urbino, nelle Marche, è l’enologa Carla Fiorini, figlia del fondatore Valentino e nipote di Luigi Fiorini, capostipite della generazione di vignaioli con l’acquisto della tenuta di Barchi, nel 1930.
TOP 100 WINEMAG.IT: IL VINO BIO DELL’ANNO È UN FARO SUL BIANCHELLO DEL METAURO
Il Vino biologico dell’anno per nostra Guida 2024 è una selezione delle migliori uve Bianchello a disposizione dell’Azienda Agraria Fiorini nei 45 ettari aziendali. Fermentazione in tonneau nuovi di rovere di allier, sei mesi sulle fecce, imbottigliato senza filtrazione. Un vino che – come suggerisce a buona ragione la stessa cantina – dà il meglio di sé fresco, non freddo, in ampi calici.
Alla vista, il Bianchello del Metauro Doc Superiore 2020 Andy’20 si presenta di un giallo paglierino intenso, con riflessi dorati. Al naso un bel profilo oleoso, con la componente di erbe della macchia mediterranea che ricopre un ruolo centrale, quasi avvolgendo la frutta (timo, rosmarino, ma anche mentuccia): pesca gialla, frutta esotica come l’ananas, un bel profilo floreale fresco. Terziari da legno molto composti, su note burrose e speziate calde che ricordano il curry.
Più il nettare si scalda nel calice, più la componente balsamica prende spazio sul palco. Al palato una gran conferma del profilo oleoso avvertito al naso. Si ripercorrono, una ad una, le percezioni fruttate e di erbe aromatiche. Freschezza e sapidità giocano un ruolo fondamentale nell’equilibrio di un sorso molto bilanciato tra morbidezze e durezze. Vino ancora giovane, con ampie chance di dare il meglio di sé negli anni a venire, mostrando la straordinarietà di un’uva e di una denominazione ancora poco conosciuta, ma tutta da scoprire.
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Valpolicella Superiore: liberi di degustarlo così, senza dover attendere il suo invecchiamento, servito fresco, in abbinamento al pesce e a piatti di mare come tartare di ricciola, capesante, bigoli allo scoglio, risotto con le vongole e filetto di branzino alla griglia, con erbe aromatiche. Una proposta innovativa che è stata al centro di “Venezia Superiore“, la due giorni organizzata in Laguna dal Consorzio Tutela Vini Valpolicella, interamente dedicata (e intitolata) al rosso del territorio veronese. «Vogliamo valorizzare e ampliare il consumo di Valpolicella Superiore – sintetizza il presidente Christian Marchesini – aprendo frontiere e rompendo schemi ancora presenti, per cambiare lo stile di intendere gli abbinamenti col pesce e con gli aperitivi di un vino che rappresenta poco più del 7 % della produzione».
Un percorso che l’ente di Verona ha avviato in primis con l’Amarone, dedicando una (riuscitissima) masterclass all’abbinamento con la cucina marittima internazionale, in occasione di Amarone Opera prima 2022. Ora tocca al Superiore. Un vino decantato anche da Ernest Hemingway, che si rifugiava a Locanda Cipriani, sull’Isola di Torcello, sorseggiando un calice di Valpolicella Superiore. A distanza di svariati decenni, il Consorzio ha pensato di ambientare in questo luogo magico, incastonato nell’azzurro della Laguna di Venezia, ad un’ora di motoscafo da Piazza San Marco, il nuovo capitolo del vino più rappresentativo del territorio, con una produzione di 4,8 milioni di bottiglie (sui 18,1 milioni complessivi di Valpolicella Doc, dato ufficiale riferito agli imbottigliamenti 2022) a partire dai tre vitigni principali della denominazione: Corvina, Corvinone e Rondinella.
VALPOLICELLA SUPERIORE E PESCE: L’ABBINAMENTO FUNZIONA
Ecco dunque servite capesante scottate alla griglia, bigoli di grano tenero allo scoglio, filetto di branzino alla griglia alle erbe aromatiche con verdure ai ferri e torta “Casanova” allo zabaione. In accompagnamento una wine list che includeva vini giovanissimi (vendemmia 2021) e altri di annate meno recenti, per concludere con un 2013 ancora in forma smagliante. Tutti i Valpolicella Superiore in passerella sul red carpet veneziano sono stati serviti a temperatura di 13-16 gradi, freschi e conservati in glacette refrigeranti. Pairing che hanno soddisfatto tutti, ma proprio tutti. Tanto da chiedersi se, effettivamente, gli abbinamenti classici del Valpolicella Superiore siano diventati ormai desueti.
La due giorni del Consorzio Vini Valpolicella a Venezia è proseguita a Hostaria in Certosa – Alajmo, sull’isola di Certosa. Qui è andato in scena un altro abbinamento da favola: tartare di ricciola con salsa tartara e insalata di gallinelle con Valpolicella Superiore 2021 e 2020. La finezza e la piacevolezza dei vini proposti è stata pari alla delicatezza del piatto presentato dallo chef Silvio Giavedoni e servito dal giovane team coordinato da Michele Pozzani. Che dire poi del risotto alle vongole con pomodoro, basilico e limone, a cui sono stati abbinati altri Valpolicella Superiore in grado di regalare sensazioni magiche al meglio in bocca. Il gusto tipico dello scartosso de pesse, con fiori di zucchina e salsa romesco sembrava disegnato per l’uvaggio veronese, declinato in una ricchissima wine list in cui il vino più datato risaliva al 2016.
TUTTI I PERCHÈ DEL VALPOLICELLA SUPERIORE
Spazio anche a momenti specificatamente tecnici in Laguna, nel corso di Venezia Superiore. Come sottolineato nel corso della masterclass condotta da J.C. Viens, la Valpolicella si estende in provincia di Verona, su un territorio collinare che supera i 450-500 metri di altitudine. Da un punto di vista climatico, la zona risulta condizionata da diversi elementi, come la vicinanza al mare, al Lago di Garda e alla montagna. I vigneti sono costantemente baciati dal sole e accarezzati da correnti di aria fresca, con le escursioni termiche che giocano un altro ruolo fondamentale. Le uve allevate in Valpolicella e utilizzate per Valpolicella, Ripasso, Amarone e Recioto sono Corvina, Corvinone e Rondinella e in misura minore Molinara, Oseleta e Croatina.
Il Valpolicella Superiore viene prodotto con uve scelte nei vigneti migliori, talvolta con leggeri appassimenti che portano il vino ad alcolicità e strutture più sostenute. Vini che devono invecchiare almeno un anno. Alla vista, il vino si presenta generalmente di un colore rosso rubino, anche intenso. Al naso ha sentori di ciliegia, mandorla amara, rosa canina e spezie. Al palato sprigiona tutta la sua armonicità. È vellutato, elegante, equilibrato, fresco e piacevolmente tannico, senza eccessi. Il Valpolicella Superiore è un vino identitario, che sa esprimere la peculiarità del territorio, che rappresenta con la sua intensità e i suoi profumi in calice. Non manca una certa poliedricità delle interpretazioni.
Al di là dei tratti comuni, spostandosi da una cantina all’altra possono variare freschezza e corpo, con la presenza o meno di Oseleta o Molinara a fianco di Corvina e Corvinone, modificando gusto e profumi. Un ruolo determinante è anche quello dell’epoca della vendemmia, che qualcuno posticipa alla seconda metà di ottobre, nonché la scelta dell’affinamento – in tonneau o in botti grandi – e la sua durata. Ma la grande sfida del futuro del Valpolicella Superiore sono i cambiamenti climatici, con le temperature in costante aumento in Veneto, dal 1971. Una problematica che non sfugge al Consorzio, costantemente in osservazione insieme ai suoi viticoltori.
Giornalista, ex direttore di giornali e riviste, autore di due libri, blogger, sommelier e da qualche anno viticoltore sulle colline di San Colombano al Lambro. I miei interessi sono focalizzati sul mondo del vino e del buon cibo. Proprio per questo motivo presto molta attenzione ai giusti abbinamenti.
L’Aglianico del Vulture Superiore Docg 2018 “Campo Melograno” di Regio Cantina è uno dei vini rossi presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 di winemag.it. Aglianico in purezza, che si presenta in una veste granata, impenetrabile. Naso quasi interamente sul frutto, concentrato e tendente alla confettura (prugna, amarena) con richiami balsamici alla mentuccia, al fiore di viola e a terziari di vaniglia bourbon e polvere di caffè.
In bocca un Aglianico del Vulture che si lascia già bere con agilità, senza disdegnare la tipica espressione da “maratoneta” del tannino, vivo sul succo, con grande eleganza. “Campo Melograno” è un vino di gran prospettiva, pur già godibile, è ulteriormente valorizzabile da abbinamenti culinari di pari struttura (carni rosse, selvaggina, formaggi stagionati).
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Il Soave Classico Superiore 2020 “Bucciato” di Ca’ Rugate è uno dei vini orange presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 di winemag.it. Garganega in purezza, vinificata “sulle bucce”, come suggerisce il nome. Colore aranciato non particolarmente carico.
Naso e bocca sulla cifra stilistica di Ca’ Rugate: quel sussurrare elegante ogni nota, ogni sentore, ogni sfaccettatura, in un ensemble capace di lasciare il segno. Un pugno che si trasforma in carezza. Morbidezza e carattere, dal naso al retro olfattivo.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Novità per i vini dell’Abruzzo con l’introduzione di un nuovo modello che, a detta del Consorzio di Tutela vini locale, «cambierà il panorama delle denominazioni regionali». In particolare, è stata introdotta la menzione Superiore per quattro territori del vino d’Abruzzo.
Le “appellazioni provinciali” delle Doc d’Abruzzo che potranno fregiarsi delle menzioni Superiore (oltre che Riserva) sono Colline Teramane, Colline Pescaresi, Terre de L’Aquila e Terre di Chieti.
Il via libera, arrivato in questi giorni dal Mipaaf, con l’accoglimento da parte del Comitato Nazionale Vini della proposta avanzata nel 2019 dai produttori del Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo, porterà a ridurre da 8 a 1 sola le Igt.
«Obiettivo del nuovo modello – spiega il Consorzio – è di rafforzare la comune identità dell’enologia regionale. Valorizzando al contempo i singoli territori e rendendo più riconoscibile la scala dei valori».
Sempre secondo l’ente, «il riconoscimento di Superiore permetterà anche di evidenziare in etichetta il riferimento a territori più piccoli e identitari quali quelli provinciali». In futuro, spazio per riconoscimenti ancora più ristretti come i cosiddetti “cru”, le Unità Geografiche Aggiuntive (Uga / Mga), fino alla singola menzione di “vigna”.
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Il Valpolicella Doc Superiore è il prodotto su cui puntare per il 93% dei produttori della Denominazione. A dirlo, l’indagine interna dell’omonimo Consorzio di tutela vini presentata oggi in occasione di “Valpolicella Superiore – A Territory Opportunity“. Si tratta del secondo evento digitale, dopo la Valpolicella Annual Conference.
«Vogliamo valorizzare il vino che più si identifica con il territorio – ha spiegato il presidente del Consorzio tutela vini Valpolicella, Christian Marchesini – a partire dalla ricostruzione di una identità di prodotto e di una vision condivisa tra tutti i produttori».
In particolare, un segnale di svolta è dato dall’appassimento: 6 imprese su 10 non intendono farlo. I rimanenti ritengono utile solo un breve passaggio. Complessivamente, il 94% delle aziende rispondenti producono o commercializzano Valpolicella doc Superiore.
IL POTENZIALE INESPRESSO
Ma c’è ancora potenziale inespresso, «a partire dalla riconoscibilità e dal posizionamento». Stando ai risultati della survey, che ha coinvolto un campione di circa un terzo dei produttori/imbottigliatori del Consorzio, c’è infatti molto da lavorare sul fronte della conoscenza.
Per il 62,4% dei produttori, i consumatori italiani ignorano o quasi il prodotto, dato che sale a 7 su 10 quando si prendono in considerazione i mercati esteri. Leggermente meglio la stampa italiana, che ha una conoscenza insufficiente per il 43,6% delle aziende, sufficiente per il 41,6% e buona per il restante 14,9%.
Sempre secondo il punto di vista dei produttori, i principali punti di forza del Valpolicella Doc Superiore sono il profilo organolettico (indicato dal 52,5% delle imprese per il mercato interno e dal 46,5% per quello estero) e la versatilità di abbinamento (47,5% in Italia e 38,6% all’estero).
Tra gli elementi di debolezza sotto il profilo commerciale nel mercato domestico, più della metà delle imprese (54,5%) riconosce il peso della molteplicità di stili all’interno della tipologia.
Conta anche la concorrenza di altri vini della Valpolicella (43,6%, con il Ripasso come principale indiziato) o la mancanza di un segmento commerciale definito (43,6%), fattori che sembrano avere un peso importante anche sui mercati esteri.
L’EXPORT E I PREZZI DEL VALPOLICELLA DOC SUPERIORE
E se l’Italia è il primo mercato di sbocco, principale destinazione per oltre i 3/4 dei rispondenti (con l’Horeca che assorbe l’84,2% delle vendite), ad occupare il più alto gradino del podio nella classifica per export è la Germania (meta per un quarto delle imprese).
Seguono Usa (23,2%) e Danimarca (17,9%), mentre Olanda e Svizzera condividono a parimerito il 4° posto. Sul fronte degli investimenti futuri, la metà delle aziende punta a potenziare la presenza negli Usa. Quasi un terzo (31,6%) scommettono su Germania e Svizzera.
Per quanto riguarda i prezzi, il 38,9% delle aziende posiziona il suo prodotto nella fascia oltre i 10 euro a bottiglia (prezzo ex cellar), il 23,2% tra i 6 e gli 8 euro, il 20% tra gli 8 e 10 euro, il 17,9% a meno di 6 euro.
ENOTURISMO: UN’ALTRA OPPORTUNITY
Un posizionamento che si conta di migliorare in futuro, con il 44,2% dei rispondenti che aspirano alla fascia oltre i 10 euro. Per andare poi a scalare progressivamente nelle fasce di prezzo sottostanti.
«Lo spostamento verso la Gdo – ha precisato il presidente Christian Marchesini – continuerà anche dopo la pandemia Covid-19. Diventerà un fattore importante, di confronto, sempre più rilevante. Ma è altrettanto vero che l’ospitalità avrà un incremento per le piccole aziende verticali».
Una Valpolicella, dunque, che crede e punta sull’enoturismo. Un settore che potrà cogliere l’opportunità dell’inserimento nella Lista dei Paesaggi storici, deciso dal Ministero dell’Agricoltura a fine maggio 2021.
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Riduzione della resa, stoccaggio, misure sui vini da taglio, blocco della rivendicazione dei nuovi vigneti e immissione al consumo dal 1° gennaio 2022 dell’annata 2021. Queste le decisioni varate dall’assemblea dei soci del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg, riunitasi ieri a Pieve di Soligo. All’ordine del giorno le tematiche relative alla vendemmia 2020.
In particolare, è stata ridotta a 120 quintali ettaro la resa in vigneto per tutte le tipologie Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg, oltre al supero di campagna del 20% (totale resa ettaro massimo 144 q.li). Lo stoccaggio previsto è di 20 q.li/ha per le tipologie base di Glera e Pinot – Chardonnay atti al taglio e di 10 q.li/ha per la tipologia Rive, per le superfici iscritte all’albo regionale delle vigne e per i prodotti della Denominazione certificati biologico.
Quanto ai vini 2020 atti al taglio (Pinot, Chardonnay) potranno essere utilizzati “per le sole operazioni di taglio con Glera o glera con complementari (verdiso, bianchetta, perera) dell’annata 2020 o successive”, riferisce il Consorzio.
Capitolo centrale il blocco delle rivendicazioni per la campagna vitivinicola 2020/2021 e per le due campagne successive, ovvero fino al 2022/2023, per la Denominazione Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg “per tutti i produttori che nella campagna vitivinicola 2019/2020 hanno rivendicato tale Denominazione”.
“Per coloro invece che si sono avvalsi di rivendicazioni diverse nella campagna vitivinicola 2019-2020 – spiega il Consorzio di Tutela – qualora venisse confermata per la vendemmia 2020 una rivendicazione diversa dal Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg, scatterà il divieto della rivendicazione della Denominazione Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg per le due campagne successive dalla attuale (2020/2021)”.
Le decisioni dell’assemblea riguardano anche l’immissione al consumo dell’annata 2021 dal 1° gennaio 2022, “fermo restando quanto previsto dal disciplinare per le tipologie Rive e Rifermentato sui lieviti”. Misura che dovrà tradursi in una modifica del disciplinare di produzione del Conegliano Valdobbiadene Prosecco.
“Le misure che abbiamo presentato ieri agli associati – spiega il presidente del Consorzio, Innocente Nardi – sono frutto di un’attenta analisi dell’attuale andamento della Denominazione e dei possibili scenari dei prossimi anni nel mondo del vino, soprattutto con riferimento alla Denominazione”.
Sono misure volte a consolidare il valore della Denominazione ed il suo posizionamento sul mercato, a beneficio dei produttori e di tutto il territorio. Queste scelte vanno valutate con una visione d’insieme della Denominazione e non con riguardo al singolo particolare”.
All’incontro hanno preso parte, oltre al presidente del Consorzio, anche il professor Eugenio Pomarici ed il professor Vasco Boatto del Cirve di Conegliano, che hanno esposto i risultati dello studio sull’andamento del mercato vinicolo nazionale ed internazionale ed evidenziato l’importanza strategica del mantenimento del posizionamento della Denominazione sul mercato stesso.
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Due giorni di degustazioni al Merano Wine Festival 2017. E l’imbarazzo della scelta nello stilare una “classifica” dei migliori assaggi. Si è chiusa martedì pomeriggio in grande stile, al Kurhaus, con Catwalk Champagne (100 etichette di 40 aziende francesi tra le più note e prestigiose) l’edizione 2017 del “salotto bene” del vino italiano.
Organizzazione pressoché impeccabile nelle varie location che hanno ospitato il ricco calendario di eventi. Tanti professionisti, pochi curiosi. Biglietti da visita che finiscono in poche ore, tra un assaggio e l’altro.
Perché il Wine Festival di Helmuth Köcher, per il vino italiano, sta al business quasi quanto il Prowein di Dusseldorf. Per le sale, a caccia di “chicche”, tanto importatori, distributori ed enotecari quanto buyer della Gdo (segnalata la presenza, tra gli altri, dell’attento buyer di Coop).
Peraltro, con un occhio alla sostenibilità delle pratiche agricole in vigna, visto l’ampio spazio dedicato ai vini naturali, biologici, biodinamici e Piwi dall’evento d’apertura “Bio&Dynamica”. Una classifica, quella dei migliori vini degustati al Merano Wine Festival 2017 da vinialsuper, che tiene conto anche di questo aspetto.
I MIGLIORI SPUMANTI 1) Riserva Extra Brut Alto Adige Doc 2011 “1919”, Kettmeir. Sul podio una bollicina altoatesina da vertigini. A produrla è Kettmeir, azienda del gruppo vinicolo Santa Margherita di stanza in via Cantine 4, a Caldaro.
Sessanta ettari complessivi, per una produzione che si aggira attorno alle 400 mila bottiglie: 120 mila sono di spumante, di cui 70 mila metodo classico. Il progetto, come spiega l’enologo Josef Romen, è quello di incrementare ulteriormente gli sparkling nei prossimi anni, “senza perdere territorialità”.
Naso fine ed elegante per la Riserva Extra Brut 2011 “1919”, tra il candito d’arancia e l’arnica. Il blend di Chardonnay (60%) e Pinot Nero (40%) funziona, al palato, al ritmo di una bollicina che esalta nuovamente note d’agrumi, questa volta in grado di ricordare la buccia del lime. E una balsamicità tendente alla spezia.
Il Pinot Nero, raccolto in un vigneto circondato dai boschi, a 700 metri sul livello del mare, ci mette i muscoli e la “zappa” sulla lingua. Lo Chardonnay la cravatta e il savoir-faire. Immaginate una Ricola buttata in un bicchiere d’acqua e sale: eccolo lì, questo tagliente Extra Brut. Sul gradino più alto del podio. “E’ una prova – chiosa Romen – per capire fino a dove possiamo arrivare”. Di questa cantina se ne sentirà parlare bene e a lungo. Purché si decida a cambiare colore alla Riserva in questione: sembra quella di uno spumante rosè.
2) Blanc de Blanc Extra Brut Franciacorta Docg 2011 “Elite”, Mirabella. Interessante realtà della Franciacorta “alternativa”, la cantina Mirabella. Si presenta ai banchi di Merano con un “Senza Solfiti” che ti sfida sin dall’etichetta, essenziale ma pretenziosa, con quel nome di fantasia che chiama i tempi dei cavalieri. Ma è una dama dalla chioma bionda, l’export manager Marta Poli, a servire la sfida nel calice.
Sboccatura 2016, 48 mesi sui lieviti per questo Chardonnay in purezza. “Elite” si presenta di un giallo invitante. Al naso crema pasticcera, burro, arancia candita, liquirizia. Palato pieno, secco, corrispondente nei sentori. Chiusura di gran pulizia su una bocca di pompelmo, prima del nuovo capolino della crema pasticcera. A colpire è l’evoluzione di questo spumante nel calice, sensibilissimo alle temperature di servizio.
Gioca col termometro questo figlio della Franciacorta che avanza, giovane e dinamica. Scaldandosi, libera note di erbe aromatiche e di macchia mediterranea. E la crema pasticcera, mista a quella speziatura dolce di liquirizia, diventa crème brûlée: la parte alta, quella col caramello elegantemente bruciacchiato. Chapeau.
Aggiungi al curriculum che si tratta di un “Senza Solfiti” (fra 3 e 6 mg/l). Che è il frutto di 10 anni di sperimentazioni da cui sono scaturite quatto tesi universitarie. Che è il “primo metodo classico italiano Docg senza solfiti e senza allergeni”. E il quadro è davvero completo.
3) Alto Adige Doc Extra Brut 2012 “Cuvée Marianna”, Arunda. Sessanta mesi sui lieviti per questo metodo classico altoatesino della nota casa di Molten (Meltina, BZ), 4 g/l di dosaggio: 80% Chardonnay elaborato al 100% in barrique (dal primo al quinto passaggio), più un 20% di Pinot Nero vinificato in bianco, che fa solo acciaio.
Vini base da Terlano e Salorno, vendemmie 2009, 2010 e 2011. E’ lo sparkling dedicato a “Marianna”, moglie di Joseph Reiterer: i due decidono assieme come bilanciare la cuvée, prima di metterla in commercio. Cinque, massimo 6 mila bottiglia totali.
Giallo dorato nel calice, naso di frutta a polpa gialla (albicocca non matura), lime, bergamotto. Non manca una vena balsamica, che porta il naso tra le montagne: in particolare ai sentori mentolati tipici dei semi dell’angelica. Una gran freschezza, insomma, che al palato si tramuta in un gran carattere: buccia di arancia, ricordi di menta, una punta di liquirizia.
Piacevolmente tagliente il gioco tra l’acidità e la sapidità spinta. Poi, d’un tratto, “Cuvée Marianna” sembra ammorbidirsi: siamo tra il finale e il retro olfattivo, che assume tinte di vaniglia bourbon. Un signor spumante, dal rapporto qualità prezzo eccezionale.
Segnalazioni Bianco dell’Emilia Igt Frizzante Secco 2016 “L’Ancestrale nativo”, Terraquila: Sboccatura à la volée per questo frizzante di Terraquila. Siamo in Emilia Romagna, per un blend di Pignoletto e Trebbiano che non può mancare nella cantina degli amanti dei vini dritti, diretti, “salati”.
Moscato Giallo Igt Veneto 2016, Maeli: Vino frizzante dei Colli Euganei, più esattamente ottenuto sui Colli di Luvigliano, tra le Dolomiti e Venezia. Una realtà, Maeli, che punta tutto sul Fior d’Arancio, nome locale del Moscato Giallo che, nell’occasione, si presenta in un calice capace di sfoderare note sulfuree, di grafite e fruttate di nettarina matura. Corrispondente al palato, tra il sale e la frutta.
VINI BIANCHI 1) Vigneti delle Dolomiti Igt 2008 “Julian”, Weingut Lieselehof. E’ l’edizione del Merano Wine Festival che segnerà la definitiva consacrazione sul mercato di molti vini Piwi, acronimo di Pilzwiderstandfähig, riferito alle “viti resistenti” a malattie come oidio, peronospora e botrite, tutte originate da funghi.
Weingut Lieselehof, cantina della famiglia Werner Morandell situata a Caldaro, in Alto Adige, è all’avanguardia da questo punto di vista. E sul podio dei vini bianchi di viniasuper finisce proprio “Julian”, vendemmia 2008: un blend tra due varietà Piwi qualità hyperbio: Bronner (60%) e Johanniter (40%).
Se il Bronner, per certi versi, ricorda lo Chardonnay, è il Johanniter a dare l’impronta (soprattutto olfattiva, ma anche gustativa) del Riesling. Un sinonimo di longevità che ritroviamo appunto anche nella degustazione del blend Julian, straordinariamente vivo. A partire dal colore: un giallo dorato stupendo.
Alle note di idrocarburo fanno eco richiami di erbe di montagna, camomilla e miele. Di primo acchito, al naso, questo bianco di casa Lieselehof sembra aver fatto barrique. In realtà è solo chiuso e necessita tempo per aprirsi, scaldandosi un poco tra le mani.
Acidità ancora viva (rinvigorita da ricordi di agrumi come il pompelmo, ingentiliti da quelli della pesca matura) per un vino destinato a durare ancora a lungo nel tempo. Lungo il retro olfattivo, tutto giocato sul rincorrersi di freschi sentori di erbe mediche.
2) Secondo posto nella nostra speciale classifica per due vini, pari merito. Li elenchiamo in ordine di assaggio. Il primo è il Grillo Terre Siciliane Igt Canaddunaschi 2016, della Società agricola Le sette Aje di Cannata Rosalia e S.lle. Biodinamico non certificato per questa piccola cantina di Santa Margherita di Belice, in provincia di Agrigento, che utilizza i principi dell’omeopatia in vigna, sottoponendo le piante a veri e propri “vaccini” contro le malattie.
Una realtà tutta al femminile, presa sotto l’ala “protettiva” da una delle donne del vino simbolo della regione: Marilena Barbera, presso la quale avviene la vinificazione delle uve Grillo de Le Sette Aje, in vasche d’acciaio di proprietà. Il risultato è eccezionale. Tremilacinquecento bottiglie in totale per l’annata 2016. Qualcuna di più per la 2017.
Giallo dorato ammaliante e naso intrigante, tutto giocato sulle erbe aromatiche. Macchia mediterranea in primo piano, ma anche mentuccia. In bocca è una vera e propria esplosione: un Grillo pieno, ricco, carico, caldo: corrispondente al naso per le sensazioni che conferiscono una freschezza e un corpo da campione, assieme a una bilanciata sapidità.
Chiude lungo, riuscendo a sorprendere ancora nello sfoderare inattese note di burro e crema pasticcera. Un contrasto interessantissimo tra le durezze e le morbidezze, che regala un sorso unico. A 15 euro circa (al consumatore) uno dei migliori bianchi in circolazione in Italia, per l’annata 2016.
Gli mettiamo accanto un altro vino difficile da dimenticare. Per farlo saliamo dalla Sicilia alla Campania. Raggiungiamo il beneventano per il racconto della Falanghina 2016 “Donnalaura” di Masseria Frattasi. Siamo nella terra d’elezione della Falangina, a Montesarchio, dove la cantina coltiva il biotipo campano e un altro clone, ancora più raro, dotato di una vena acida ulteriormente accentuata. Siamo poco sotto i 920 metri sul livello del mare, per un vino estremo, di “montagna”.
Donna Laura è la nonna di Pasquale Clemente, patron di Masseria Frattasi a cui è dedicato questo bianco dalle caratteristiche uniche. Si tratta infatti di una Falanghina da vendemmia tardiva. Le uve restano sulla pianta fino al 15 novembre, concentrando così zuccheri e aromi. Vengono poi vinificate in acciaio e, prima dell’imbottigliamento, passano 6 mesi in barrique nuove di rovere francese.
Una scommessa perfettamente riuscita quella di compensare con la concentrazione su pianta la vena tipicamente acida della Falanghina. Il risultato è un vino che si presenta di un giallo paglierino molto carico. Naso eccezionalmente fine e “montano”: arnica, resina di pino, liquirizia, una lieve nota dolciastra che ricorda per certi versi quelle della veneta Glera e un richiamo sottile di vaniglia, assimilabile al legno della barrique.
In bocca, l’ingresso è di quelli tipici dell’uvaggio: caldo, acido, quasi tagliente. Una sensazione accentuata dal sollevarsi delle note balsamiche già percepite al naso, che rinfrescano ulteriormente il sorso. Grande lunghezza per un retro olfattivo che fa emergere note delicate di surmaturazione, con ricordi di miele d’eucalipto.
3) Frühroter Veltliner 2015, Schmelzer Weingut. Ci spostiamo in Austria per questo “orange” capace di regalare vere e proprie emozioni. Più esattamente a Gols, piccolo Comune a sud est di Vienna, non lontano dai confini con Slovacchia e Ungheria.
Il vitigno in considerazione è il Frühroter Veltliner, autoctono austriaco nato dall’incrocio spontaneo tra Grüner Sylvaner (Silvaner verde) e Roter Veltliner (Veltliner Rosso). Solo una delle ottime etichette prodotte da Georg ed Elisabeth Schmelzer, in stretto regime biodinamico.
Cinque settimane di fermentazione in barrique di rovere aperte, con batonnage due volte al giorno. Il succo viene poi trasferito in altre barrique, a riposare per un anno. Quindi, il Frühroter Veltliner di Schmelzer viene imbottigliato. Ne risulta un orange velato, che sprigiona sentori pieni, intensi, di zenzero e arancia candita, ma anche di frutta tropicale matura: ananas, papaya.
Bocca corrispondente, ma con bella vena sapida: le note agrumate dominano il palato, ben bilanciate da quelle dolci, esotiche. Un vino gastronomico di grande interesse. Rimanendo tra i “bianchi” di casa Schmelzer, ottimo anche il Gruner 2016, con le sue note di fiori secchi e una vena sapida, rude.
4) Trentino Doc Gewurztraminer 2016, Cantina Endrizzi. Medaglia di “legno” per il coraggio di questa cantina di San Michele all’Adige. Capace di andare controcorrente, proponendo sul mercato un Gewurztraminer dal taglio serio, senza la stucchevolezza “piaciona” in voga tra i tanti competitor (grandi nomi compresi). Per di più, il rapporto qualità prezzo è eccezionale.
E’ ottenuto dai vigneti Masetto e Maso Kinderleit, situati in zona collinare, attorno alla cittadina della provincia di Trento. Un Gewurz, quello di Endrizzi, che conserva tutta l’aromaticità tipica del vitigno, svestita di qualsiasi risvolto pacchiano. Gran pienezza in un sorso che risulta caldo, visti i 14 gradi, tutti di “sostanza”, quasi di “materia tattile”, e non della morbida lascivia dello zucchero. Un bianco che non stanca mai.
Segnalazioni Langhe Doc Nascetta 2013 “Se'” e 2016, Poderi Cellario: le potenzialità di “invecchiamento” dell’autoctono piemontese sono evidenti nella mini verticale proposta da Fausto Cellario, appassionato vignaiolo che sa trasmettere entusiasmo e amore per la propria terra;
Bianco fermo 2016 “89-90”, La Piotta: si discosta in maniera elegante dalla media dei vini bianchi passati in barrique questo vino bio e vegan dell’Azienda Agricola La Piotta. Utilizzo ineccepibile del legno sullo Chardonnay, a smorzare le asperità del Riesling. Luca Padroggi è un giovane che farà parlare (bene) dell’Oltrepò pavese, a lungo.
Lugana Dop Bio 2016, Perla del Garda: “Cru” di 4 ettari per dare vita a una Lugana potente, tanto piena e intensa quanto fine, con fresche note di mentuccia ad accostare la vena tipicamente sapida.
Vernaccia di San Gimignano Docg 2016, Fattoria di Pancole: Come molte delle aziende presenti al Merano Wine Festival 2017, Fattoria di Pancole fa Gdo (per l’esattezza con Conad in Toscana, 25 mila bottiglie l’anno). Si presenta al banco con la Vernaccia top di gamma, capace di esaltare appieno le caratteristiche del vitigno, presentando ottimi margini di affinamento futuro.
Igt Marche Bianco 2016 “Corniale”, Conventino: Non poteva mancare la segnalazione di un vino bianco quotidiano. Per farlo voliamo nella zona Nord delle Marche, da Conventino. Siamo a Monteciccardo, in provincia di Pesaro e Urbino. Semplice ma tutt’altro che banale il suo Corniale 2016. Acidità al rintocco di sentori di kiwi, mela verde, lime e pompelmo, ben calibrati con una bocca beverina, giustamente sapida. Davvero un bell’Incrocio Bruni 54.
VINI ROSSI 1) Beneventano Igt Aglianico 2015 “Kapnios”, Masseria Frattasi. Di nuovo questa straordinaria cantina campana sul podio del Merano Wine Festiaval 2017 di vinialsuper. Il miglior rosso è ottenuto da uve Aglianico amaro del Taburno in purezza, allevate nella zona di Montesarchio, Tocco e Bonea, a un’altitudine compresa tra i 500 e i 600 metri sul livello del mare.
Le uve, raccolte a metà novembre, vengono appassite in due modi: in parte appese e in parte su graticci, all’interno di un piccolo caseggiato coperto da tegole di terracotta. Passaggio in rovere nuovo, prima dell’ulteriore affinamento in bottiglia, per un anno.
Ne scaturisce un vino dal rosso rubino intrigante, sgargiante. Il naso è di quelli che ti fanno innamorare del bordo del calice: piccoli frutti a bacca rossa e nera, erbe di montagna, ginepro, miele d’eucalipto. Un’infinità di sentori, pronti a spuntare di minuto in minuto. E il palato non delude: caldo, esageratamente pieno, di frutta fragrante e liquirizia dolce, ma anche di caffé tostato. Un vino di cui innamorarsi.
Straordinario – ancor di più in ottica futura – anche il Cabernet Sauvignon 2015 “Kylyx” di Masseria Frattasi. Viti appositamente innestate su portinnesto debole: se ne portano in cantina solo 2 grappoli. Mille bottiglie in totale per la vendemmia 2015 (2016 non prodotto).
Acciaio prima e barrique di rovere francese poi (14 mesi) per questo Cab ottenuto dal recupero di un terreno abbandonato, circondato dal bosco. Naso che esalta appieno le caratteristiche del vitigno, con la sua vena sia vegetale sia piccante. Tannini e acidità di immensa prospettiva, ben corroborati da una mineralità unica.
2) Alto Adige Doc Pinot Nero 2007 “Villa Nigra”, Colterenzio Schreckbichl. Cornell è la linea dei “cru” di cantina Colterenzio, dalla quale peschiamo l’argento della nostra speciale classifica dei migliori vini degustati al Merano Wine Festival. In particolare, a colpire, è il Pinot Nero vendemmia 2007 ottenuto – come tutti i vini della “Selezione” Schreckbichl (Colterenzio) – da vigneti che godono di particolari condizioni d’eccellenza: altitudine di 400 metri, esposizione a sud ovest su terreni ghiaiosi e calcarei di origine morenica, con microclima fresco. Resa di 35 ettolitri per ettaro.
Nel calice, il Pinot Nero 2007 di Colterenzio di presenta ancora come un giovincello: il classico rubino di buona trasparenza, tipico del re degli uvaggi altoatesini a bacca rossa. Un naso finissimo di mirtillo e fragolina di bosco, ma anche di ciliegia, con una punta leggerissima di pepe, anticipa sentori più evoluti tendenti al dolce (miele d’acacia), senza mai trascinare il quadro olfattivo in disomogenee percezioni di marmellata.
Nel calice c’è il bosco. E lo si capisce anche dai richiami “vegetali” al muschio e alla menta. In bocca, questo Pinot Nero è più che corrispondente: la spalla acida è ancora muscolosa, il tannino levigato ma ancora in grado di dire la sua. A completare il quadro, richiami minerali salini che contribuiscono a chiamare il sorso successivo. Beva eccezionale per questo vino che ha ancora davanti diversi anni sulla cresta dell’onda.
3) Vigneti delle Dolomiti Igt Teroldego 2012 “Gran Masetto”, Cantina Endrizzi. Conquista il podio, dopo la medaglia di “legno” tra i vini bianchi, Cantina Endrizzi con il suo prodotto di punta: un Teroldego fatto alla maniera dell’Amarone, col 50% delle uve diraspate e sottoposte per circa tre mesi ad appassimento in celle refrigerate, alla temperatura di 10 gradi.
Uve raccolte nello storico vigneto di Masetto, tra i Comuni di Mezzolombardo e Mezzocorona, in provincia di Trento. Il risultato è un vero e proprio Teroldego alla seconda. Colore rosso purpureo, impenetrabile. Naso tipico, rinvigorito dai sentori affascinanti del parziale appassimento, che non coprono la fragranza della ciliegia e della prugna per il quale si fa apprezzare il re dei vini rossi trentini.
Grande pulizia ed eleganza anche in un palato corrispondente, arricchito da preziosi richiami di polvere di cacao. Un vino che fa venir voglia d’aver davanti un piatto di selvaggina. O, perché no? Un buon libro.
Segnalazioni Toscana Igt “Argena”, Orlandini Aziende Agricole Forestali(verticale). In degustazione le annate 2000, 2001, 2003, 2004, 2005 e 2006. Un vino unico, prodotto dalla famiglia Orlandini da un vecchio vigneto di Sangiovese con piccole quantità di Cabernet Sauvignon. Un microclima particolare, circondato da boschi, sulle colline situate tra il Castello di Gargonza ed il Castello del Calcione, a metà tra Arezzo e Siena.
Tutte le annate di Argena conservano le caratteristiche dell’annata, a riprova del metodo col quale opera la famiglia Orlandini, che non ama “uniformare” al gusto comune i propri gioielli. Anzi. Tra tutte le etichette, segnaliamo quelle di Argena 2004 e 2005: “nasi” pregevoli, tra la frutta (ciliegia) e la macchia mediterranea (rosmarino) e sapore armonico, corroborato da tannini tutt’altro che mansueti.
Barbera d’Alba Doc Superiore 2015 Vigna Serraboella, Rivetti Massimo. Siamo a Neive, in provincia di Cuneo, Piemonte. L’azienda agricola Massimo Rivetti sfodera due Barbaresco 2013 diversi ma ugualmente meritevoli di attenzione: il primo, Froi, è di “easy” e di “pronta beva”; il secondo, “Serraboella”, ottenuto da un cru sulla stessa collina di “Froi”, è incredibilmente fine e presenta tannino e acidità di gran prospettiva.
Ma è l’outsider Barbera d’Alba Superiore 2015 “Serraboella” a fare davvero centro nel cuore. Si tratta di una selezione ottenuta da una singola vigna di 75 anni, la più vecchia dell’azienda, nel cru “Serraboella”. Due anni in barrique di rovere francese 1/3 nuove e 2/3 di secondo passaggio. Naso da campione, tra il frutto rosso e la liquirizia dolce, con un accenno di cuoio e un sottofondo di erbe di montagna. Corrispondente al palato, dove si conferma una Barbera destinata ad essere molto longeva.
Zweigelt 2015, Schmelzer Weingut. Abbiamo già incontrato questa cantina austriaca tra i migliori vini bianchi. Tra tutti i vini proposti in degustazione, a colpire c’è anche un rosso: lo Zweigelt. Si tratta di un incrocio tra St. Laurent con il Blaufränkisch, noto anche con il nome di Blauer Zweigelt, Rotburger e Zweigeltrebe.
In sintesi? Un vino da provare, destinato al pubblico (sempre più vasto) degli amanti dei vini naturali. Colore rosso rubino poco trasparente, ovviamente velato, trattandosi di un non filtrato. Alle note di piccoli frutti a bacca rossa, risponde al naso una vena di iodio che ritroveremo al palato: more mature, ribes nero maturo, una nota amarognola tipica di erbe come il rabarbaro. Tannino vigoroso, sapidità straordinariamente bilanciata col resto dei descrittori. Un “vino wow”.
Nebbiolo d’Alba “Il Donato”, La Torricella di Diego Pressenda. Vino di grande prospettiva questo Nebbiolo prodotto a Monforte d’Alba da La Torricella. Frutti rossi, frutta secca, pepe, tabacco dolce. Tannino equlibrato, ma in chiara evoluzione. Ottimo anche il Barolo 2013.
PASSITI E VINO COTTO 1) Bronner “Sweet Claire”, Weingut Lieselehof. Si tratta di un passito da Bronner, vitigno Piwi di qualità hyperbio. E siamo sempre in casa Lieselehof, già premiata tra i bianchi per lo strepitoso “Julian 2008”.
In questo caso, uve Bronner in purezza essiccate in inverno e pressate a febbraio. Giallo oro luccicante, note di agrumi (lime e limone), pesca e albicocca sciroppata, una punta di idrocarburo. In bocca c’è corrispondenza, arricchita ulteriormente dalla freschezza di note di menta piperita pressata, quasi concentrata. Stra-or-di-na-rio.
2) Erbaluce di Caluso Doc Passito 2009 “Alladium”, Cieck. Cieck è sinonimo di Erbaluce di Caluso, uno dei grandi vini bianchi piemontesi, capaci di prestarsi a un ottimo invecchiamento. Sul podio di vinialsuper finisce nella categoria passiti con “Alladium”. Deliziosamente avvolgente al naso, con le sue note agrumate e candite. Caldo e freddo allo stesso tempo, come quando si mette il naso nel talco. Corrispondente al palato, con un finale fresco.
3) Vino Cotto Stravecchio “Occhio di Gallo”, Cantina Tiberi David. Vera e propria “chicca” al Merano Wine Festival 2017, prossimamente tra i banchi del Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi 2017. Parliamo della cantina Tiberi David di Loro Piceno (MC), patria del “vino cotto”, localmente chiamato “lu vi cottu”.
Un vino dalle origini nobili, che questa bella realtà a conduzione famigliare (nella foto sopra Emanuela Tiberi con il figlio Daniele Fortuna) è riuscita a far apprezzare nei salotti del Kurahus, con la stessa genuinità del prodotto. Tipico colore “occhio di gallo” (ambra) nel calice per le annate 2003 e 2005, ottenute dalla “cottura” di uve Verdicchio, Trebbiano, Montepulciano e Sangiovese.
Grande complessità in un naso e in un palato corrispondenti, con note di frutta passita e spezie calde. Perfetto accompagnamento per una vasta gamma di dessert, ma anche per i formaggi.
Fotogallery dei migliori assaggi al Merano Wine Festival 2017, compresi fuori classifica
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Quella che vi propongo oggi è una ricetta molto semplice nella sua preparazione. Oserei dire “già vista”. Ma potrebbe sorprendervi per il gusto e la consistenza particolare. Si tratta di lasagne. Al posto della classica sfoglia useremo il pane carasau, imbevuto in un buon brodo di carne.
GLI INGREDIENTI (4 persone) Carne trita 400 gr (sarebbe ideale un misto di vitello e suino); passata di pomodoro 1,5 lt circa; una cipolla piccola; olio extravergine, circa 30 gr; 2 carote, una costa di sedano. In più: almeno 5 fogli di pane carasau; 700 ml di brodo di carne; due mozzarelle medie; una provoletta affumicata; formaggio pecorino grattugiato; pepe.
LA PREPARAZIONE
Iniziamo dal classico ragù con carne macinata. Innanzitutto prepariamo un trito con carote cipolla e sedano, che faremo rosolare in una casseruola con l’olio. Aggiungiamo il macinato e, dopo qualche minuto, mescoliamo e uniamo un mezzo bicchiere di vino bianco. Lasciamo cuocere per una decina di minuti e poi aggiungiamo la passata di pomodoro.
Continuiamo la cottura per un’ora circa. La consistenza del ragù dovrà risultare non molto densa, in modo che le lasagne restino morbide. A questo punto assembliamo la lasagna. Sul fondo della pirofila distribuiamo qualche cucchiaio di ragù e poi procediamo alternando pane carasau (che bagneremo con il brodo caldo), ragù, pecorino grattugiato, mozzarella e provola tritate. E così via, chiudendo con uno strato di pecorino e pepe macinato, se volete.
Scaldiamo il forno a 180 gradi e cuociamo per circa 30 minuti, avendo cura di coprire con foglio di alluminio, per evitare che le lasagne si asciughino. Non ci resta che sfornare. Buon appetito!
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AAA cercasi make up artist per la Doc Locorotondo: richiesta esperienza pregressa nel settore. Con la cantina sociale in (s)vendita a 4 milioni di euro, dopo uno sciagurato fallimento (pre)annunciato da anni di mancati pagamenti ai conferitori d’uva, in Puglia, c’è chi prova a voltare pagina.
Niente capitali in arrivo dall’estero. Niente joint venture dal sapore mediorientale. La riscossa del Locorotondo prende forma dal cuore della cittadina della provincia di Bari. Più esattamente, dall’altra parte dei binari delle Ferrovie del Sud Est, su cui si affaccia l’immobile – ormai spettrale – della cantina sociale.
A guidare i produttori della Dop verso il rilancio è Marianna Cardone, che con il fratello Vito conduce l’azienda di famiglia, fondata negli anni 70 dal nonno Giuseppe e dal padre Franco. Siamo in via Martiri della Libertà 32, alla Cardone Vini Classici Srl. Duecento metri, in linea d’aria, dal palazzo dello scandalo.
Che “Lady Cardone” abbia preso sul serio la sfida, lo capisci già dalla stretta di mano. Una donna del vino che, per certi versi – carattere, ma anche aspetto fisico – ricorda un’altra vignaiola guerriera: la siciliana Marilena Barbera. Territori e storie diverse, le loro. Ad accomunarle la bellezza lucente della determinazione, negli occhi.
“Come in tutte le migliori storie di vita vissuta – evidenzia Marianna Cardone – ci sono dei momenti di cambiamento. Per il Locorotondo, la chiave di volta è arrivata con la chiusura della cantina sociale di Locorotondo. Negli anni 70, questo vino ha rappresentato per la Puglia l’unico diamante tra i bianchi della regione. Non a caso, questa è la seconda Doc per storicità dopo il Primitivo di Manduria. Ma proprio nel momento in cui il Locorotondo avrebbe dovuto traghettare la Puglia del vino fuori dalle logiche dello sfuso e delle vendita delle masse ad altre regioni, in molti hanno cominciato a sposare la causa della quantità, a dispetto della qualità. All’epoca, chi produceva milioni di bottiglie poteva aspirare a tutto, tranne che al blend originario composto da 50% Verdeca, 45% di Bianco D’Alessano e 5% di uvaggi come il Fiano o Maruggio. In bottiglia si metteva altro, che veniva spacciato per Locorotondo”.
E così che il bianco della Valle d’Itria si guadagna la cattiva fama di “vino del mal di testa”. “La qualità cadde a picco – ricorda Marianna Cardone – e Locorotondo divenne sinonimo di scarsa qualità. Un boomerang negativo che ricadeva anche su produttori come noi, che hanno sempre prodotto nel rispetto del disciplinare e del consumatore. Il vino bandiera della nostra cantina aveva perso completamente appeal“.
Poi, la svolta. “Da circa due, tre anni – commenta Cardone – a ricordarsi della cattiva fama del Locorotondo sono in pochi. Le nuove generazioni, in Italia, neppure sanno che esiste questo vino. All’estero, al contrario, hanno iniziato ad apprezzarlo. Questo blend tra vitigni che sintetizzano alla perfezione la Puglia del vino bianco, del resto, è marcatamente internazionale. Una spinta locale per il rilancio del Locorotondo è invece quella del turismo in Valle d’Itria. Un turismo di altissimo livello, fatto di consumatori curiosi e preparati, si sta avvicinando a questo vino riconoscendogli il valore che merita”.
Per Marianna Cardone, “questi sono gli anni zero del Locorotondo. E’ tutto da ricostruire da capo”. E un campo importante in cui si gioca la partita è quello della Grande distribuzione. “E’ improrante che anche la ‘signora Maria’ possa apprezzare un buon Locorotondo al giusto prezzo – evidenzia Marianna Cardone – ed è per questo che abbiamo pensato a una linea Iside Fine Wine, destinata esclusivamente ai supermercati Coop”. A ottobre il possibile sbarco in Auchan.
Lievissima la differenza tra il Locorotondo Iside e il Locorotondo Castillo, destinato invece al canale Horeca. Ad oggi, delle 20 mila bottiglie di Cardone Vini che finiscono sugli scaffali del supermercato, la metà sono del vino simbolo della cantina.
“Il prezzo di 6,99 euro – precisa Lady C – è comunque medio-alto per i vini bianchi Coop. L’obiettivo della nostra cantina, di fatto, è quello di restituire dignità non solo alla Dop Locorotondo, ma anche a tutti i produttori traditi negli anni scorsi dalla cantina sociale. Come? Pagando le loro uve al giusto prezzo: gli attuali 35 euro a quintale sono una cifra troppo bassa. Questo favorirebbe a sua volta il ritorno alla viticoltura in Valle d’Itria, dove il 70% dei vigneti è andato perduto”.
GLI ALTRI PRODUTTORI Con le sue 300 mila bottiglie totali, la Cardone Vini Classici costituisce una realtà molto importante per il tessuto sociale locale. Ma a sostenere la battaglia per il rilancio del Locorotondo concorrono anche altre cantine. Una di queste è Albea, ad Alberobello.
La cantina di via Due Macelli 8 produce il Locorotondo più costoso sul mercato: il “Il Selva”, in vendita al pubblico a 10 euro. “Un progetto – spiega Tommaso Marangi di Albea – portato avanti dal 2001 e volto alla valorizzazione di una denominazione purtroppo maltrattata. Nel 2016 l’idea di produrre un Locorotondo leggermente più morbido rispetto alle altre annate, ma che conservi comunque le grandi peculiarità del blend”.
La Verdeca resta la componente predominante, con un 35% di Bianco d’Alessano e un 15% di Fiano. La componente aromatica del Minutolo si fa sentire nel calice, così come la scelta di raccogliere le uve in leggera surmaturazione. Il risultato è un Locorotondo tagliente, dalla spiccata acidità e mineralità, ben bilanciate dalla morbidezza delle note fruttate esotiche e da un’alcolicità calda. “Andare a proporre all’estero un Locorotondo a 10 euro – spiega ancora Marangi – non è facile. La media che si aspettano i buyer si aggira attorno ai 2,80 euro. Dubbi che vengono fugati dalla degustazione del nostro Selva: un Locorotondo davvero sui generis“.
Sempre in Valle d’Itria, più esattamente a Castellana Grotte, c’è poi chi punta su un Locorotondo Superiore. E’ la cantina Terre Carsiche 1939. A giustificare tale menzione in etichetta sono soprattutto rese più basse in vigna. “Il disciplinare – spiega il titolare Andrea Insalata – prevede per il Locorotondo Doc una resa per ettaro fino a 140 quintali. Per il Superiore scendiamo invece a 90. Ogni singola pianta, dunque, può produrre 3-4 chili di uva, al posto di 6: ne consegue una maggiore qualità, che poi si traduce nel calice in maggiore ricchezza organolettica”.
L’etichetta di Terre Carsiche è Padre Abate: altro calice che merita la riscoperta e la valorizzazione di questo blend pugliese. “La grande fortuna della Valle d’Itria – aggiunge Insalata – sono gli sbalzi termici tra il giorno e la notte, che consentono la produzione di grandi bianchi come il Locorotondo: un vino che per i suoi profumi e per la mineralità che esprime, merita di affermarsi sempre più, a dispetto di una storia che non sempre gli ha reso il giusto merito”. Insomma: il rilancio della Dop Locorotondo è in buone mani.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(4 / 5) E’ uno dei prodotti di punta della casa vinicola Sartori, nel mondo della Grande distribuzione organizzata. Il Valpolicella Superiore Doc Ripasso Valdimezzo, spesso soggetto a promozioni nelle varie catene di supermercati, è un ottimo prodotto di avvicinamento ai grandi vini della Valpolicella, area nota soprattutto per la produzione dell’Amarone.
Di fatto, il Ripasso è un “cugino” del grande vino del Veneto, portabandiera del Made in Italy nel mondo. Il nome “Ripasso” è dovuto alla particolare tecnica di produzione, che prevede un periodo di macerazione del vino a contatto con le vinacce fermentate di uve atte alla produzione di Amarone (o di Recioto).
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Valpolicella Superiore Doc Ripasso Valdimezzo 2014 Sartori si presenta di un rosso rubino tendente al granato, impenetrabile. Al naso richiami inconfondibili e tipici di frutti di bosco, tra cui dominano quelli a bacca rossa (ribes e lamponi), senza tuttavia coprire i sentori di mora. Anche i terziari sono evidenti all’olfatto: a tre anni dalla vendemmia, ricordano soprattutto il tabacco, ma anche lo stecco di liquirizia. Con l’ossigenazione, il Valpolicella Superiore Doc Ripasso Valdimezzo Sartori guadagna un pregevole spunto di rosmarino.
L’ingresso al palato è caldo, corrispondente all’olfatto nei richiami ai frutti rossi di bosco. Bocca che poi vira sulla sapidità, che assieme a una equilibrata acidità contribuisce a regalare una beva seriosa ma tutto sommato facile, su piatti di media elaborazione a base di carne e selvaggina. Più che sufficiente la persistenza nel retro olfattivo, dove si assiste al ritorno piuttosto prepotente dei frutti di bosco, questa volta in veste più simile alla confettura.
LA VINIFICAZIONE Il Valpolicella Superiore Doc Ripasso Valdimezzo 2014 Sartori è prodotto con uve Corvina (55%), Corvinone (25%), Rondinella (15%) e Croatina (5%), allevate nella zona collinare attorno alla città di Verona. Le radici affondano in terreni di tipo argilloso-calcareo.
In seguito alla selezione delle uve nel vigneto, viene eseguita una delicata pigia-diraspatura e fermentazione a temperatura controllata, per 8-10 giorni. La fase che caratterizza il prodotto, come anticipato, è quella del successivo “ripasso” del vino sulle vinacce dell’Amarone. Un’operazione condotta nel mese di febbraio.
Una seconda fermentazione che favorisce sia l’estrazione dei tannini, sia la longevità, sia l’estrazione degli aromi tipici dell’Amarone. Dopo la fermentazione malolattica inizia l’affinamento di circa 12-18 mesi, che prevede anche un passaggio in botti di medie e grandi dimensioni. Dopo l’imbottigliamento il vino riposa per almeno 6 mesi in bottiglia.
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Altro che tè verde e sakè. La Barbera d’Asti Superiore Nizza “Ru” prodotta da Daniele Chiappone a Nizza Monferrato fa impazzire le donne giapponesi.
Lo dimostra la medaglia d’oro che si è aggiudicata l’azienda vitivinicola Erede di Chiappone Armando al Sakura Award 2017. Solo donne in giuria. Tutte esperte e professioniste del mondo del vino, capitanate dalla Wine consultant, Wine educator e Writer Yumi Tanabe.
La Barbera d’Asti Superiore Nizza “Ru” di Daniele Chiappone si è aggiudicata una delle 899 medaglie d’oro del concorso internazionale, spuntandola tra un totale di 4.212 campioni.
“Un bel risultato che arriva dall’altra parte del mondo – commenta il produttore piemontese – e che dimostra la vocazione internazionale dei nostri prodotti. Ru, in particolare, può essere considerata la nostra bandiera. Fa piacere sapere che una giuria di esperte donne giapponesi l’abbia così apprezzata, anche tra molte altre etichette di produttori italiani”.
Il Sakura Award – Japan Women’s Wine Awards è giunto ormai alla sua quarta edizione. Si tratta del più grande risultato della Wine & Spirits Culture Association, ente che ha come obiettivo l’incremento del consumo responsabile di vino in Giappone, sotto la guida di Yumi Tanabe.
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Cisterna d’Asti è una Doc piemontese praticamente sconosciuta, situata tra Asti, Cuneo e il Roero, con pochissimi produttori rimasti a imbottigliare vino con questa denominazione. Per disciplinare, le uve base devono essere minimo 80% Croatina, vitigno autoctono molto presente anche nell’Oltrepò Pavese e nel Piacentino. Una piccola perla nascosta, dunque, capace di emozionare. Ne è un esempio la versione Superiore 2011 prodotta dalla Azienda Vitivinicola Mo.
Nel bicchiere il vino presenta un colore rosso granato di media intensità e trasparenza, con buona consistenza. Il naso è intenso e complesso, con note fruttate di marasca, more e scorza di arancia, floreali di glicine e lavanda; successivamente incalzano sentori balsamici mentolati e di erbe aromatiche, con l’alloro in prima linea. In bocca regna un ottimo equilibrio, grazie alla buona struttura e a soddisfacente morbidezza, ben contrastate da tannino fine e gradevoli acidità e sapidità.
Buona la persistenza, con note finali di frutta e erbe aromatiche. Vino maturo e molto interessante, da degustare a una temperatura di 16°C in calici di media ampiezza e da abbinare a primi con ragù di carne o a formaggi di media stagionatura.
LA VINIFICAZIONE
Il vino è prodotto da uve Croatina in purezza, dai vigneti siti in Cisterna d’Asti e in Canale coltivati su terreni sabbiosi-argillosi. Dopo la fermentazione alcolica e malolattica, affina per almeno 12 mesi in acciaio, per poi venire imbottigliato. L’azienda Vitivinicola Mo è attiva dagli anni ’60 e si è da sempre dedicata alla coltivazione di vitigni quasi esclusivamente autoctoni, con grande passione e dedizione.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
E’ il “Cru” di Casa Testa, il vino più “esclusivo”. Quello nato da vigneti che godono della migliore esposizione. Parliamo del Gutturnio Superiore Doc la Gobba, prodotto e imbottigliato all’origine dalla Casa Vinicola Cav. Italo Testa Snc di Castell’Arquato, in provincia Piacenza. Abituati dai supermercati – specie nel Nord Italia – a vini Gutturnio mossi, spesso venduti a prezzi risicati che ne denotano la scarsissima qualità, il passaggio a un Gutturnio Superiore, senza “effervescenza”, può costituire un’esperienza unica per i winelovers meno esperti. Una sorta di scoperta delle potenzialità di uvaggi spesso bistrattati, per logiche di commercio, come Croatina e Barbera. Chiariamo, innanzitutto, che al contrario dei “cugini effervescenti”, il Gutturnio Superiore Doc si presta a diversi anni di invecchiamento, proprio perché vinificato alla maniera dei grandi rossi italiani.
Sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it finisce, di fatto, la vendemmia 2011. Tredici gradi e mezzo il titolo alcolometrico. Vino importante, dunque. Che si presenta nel calice di un rosso tra il rubino e il porpora, con riflessi granati. Al naso è schietto, mediamente fine: gli uvaggi si distinguono chiaramente, attraverso note che risultano pulite, nonostante il tempo trascorso in bottiglia. E’ il primo segnale della sublimazione di un prodotto storicamente “contadino” come il Gutturnio, vino della tradizione piacentina, che con il Superiore La Gobba si toglie di dosso le vesti polverose. E indossa la cravatta della domenica.
Al naso fa eco un palato di grande energia. Buona struttura, buon corpo. Con i profumi di ciliegia e prugna che si tramutano in gusto, giocando testa a testa con i fiori di viola e le note evolute di sottobosco (mirtillo, lampone maturo). Spazio, con l’ossigenazione, anche per terziari raffinati di vaniglia e cioccolato, avvolti al palato in tannini morbidi ma tutt’altro che spenti, uniti alla grande freschezza (e chi se l’aspettava, ancora?) conferita da un’acidità autorevole. L’idillio piacentino, da affiancare a importanti portate di carne rossa, dall’arrosto alla cacciagione, passando per la griglia. Alla temperatura dei grandi rossi: 18-20 gradi.
LA VINIFICAZIONE
Non è un caso se il Gutturnio Superiore Doc La Gobba della Casa Vinicola Testa viene prodotto solo nelle annate climaticamente fortunate. Quelle in cui il blend ottenuto al 70% da uve Barbera e al 30% da uve Croatina (Bonarda), garantisce i risultati migliori in bottiglia. I vigneti sono di tipo argilloso e calcareo, con esposizione privilegiata a Sud. L’allevamento a Guyot semplice. La tecnica di vinificazione prevede una pigiadiraspatura delle uve, accuratamente raccolte a mano, la fermentazione con lieviti selezionati in tini di acciaio a temperatura controllata e la macerazione per circa 20 giorni.
L’estrazione di colore, aromi e struttura tannica sono garantiti da rimontaggi giornalieri che evitano la creazione di sgradevoli sentori. L’affinamento si protrae per almeno 38 mesi, con passaggio di 4-6 mesi in botti di rovere di Slavonia, prima di un ulteriore affinamento in bottiglia che precede la commercializzazione. Ottimo vino, il Gutturnio Superiore La Gobba, dopo i 4-5 anni dalla vendemmia.
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(4 / 5) Tra i colossi del vino di Valtellina, la casa vinicola Pietro Nera di Chiuro. Sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it finisce oggi l’Inferno Valtellina Superiore Docg, vendemmia 2011.
LA DEGUSTAZIONE
All’esame visivo, il vino si presenta di un rosso rubino trasparente. L’annata e la tipologia di vino suggeriscono di per sé un’apertura della bottiglia con il giusto anticipo. Il nettare si presenta di fatto piuttosto timido all’olfatto.
Rivela comunque le caratteristiche note di frutti a bacca rossa (lampone) e fiori (viola), su sfondo lievemente speziato, con una punta di resine alpine. Al palato, l’Inferno Nera è asciutto, moderatamente caldo e astringente, più per acidità che per tannino. Un Nebbiolo che sembra aver ormai raggiunto l’apice della maturazione, prima dell’inevitabile “scollinamento”.
Questo Valtellina Superiore Docg conserva tuttavia una buona persistenza, su note di frutta a bacca rossa che si vestono, prima di scomparire, di un’inaspettata sapidità. L’Inferno Nera può essere abbinato a primi con rigogliosi ragù, secondi di carne come arrosti, cacciagione e grigliate, e formaggi di media stagionatura, meglio se Valtellinesi.
LA VINIFICAZIONE
“I vini che fanno parte della linea di produzione ‘classica’ sono destinati a soddisfare il pubblico che ricerca la qualità con particolare attenzione al prezzo”, precisa il produttore sul proprio sito web. Una premessa che fa intuire il posizionamento qualitativo della gamma presente (con etichette diverse) in varie catene della Gdo, rispetto al valore assoluto che è in grado di esprimere l’area vitivinicola valtellinese.
In particolare, l’Inferno Valtellina Superiore Docg Nera è ottenuto da uve del vitigno Nebbiolo, localmente denominate Chiavennasca, con una piccola aggiunta delle autoctone Pignola e Rossola. La resa per ettaro, per quanto riguarda il Nebbiolo, è di 70 quintali.
I vigneti, ricadenti sul versante retico da est a ovest con esposizione a sud, sono situati all’interno della zona di produzione del Valtellina Superiore Inferno, a un’altitudine compresa tra i 300 e i 450 metri sul livello del mare, nei comuni di Montagna in Valtellina, Poggiridenti e Tresivio (Sondrio).
Il terreno in cui affondano le radici le piante è di tipo franco-sabbioso, permeabile all’acqua, moderatamente profondo. La vinificazione prevede una fermentazione a cappello sommerso, con macerazione sulle bucce per circa 10 giorni, a temperatura controllata.
Il disciplinare di produzione del Valtellina Superiore Dogc prevede la maturazione del vino per almeno di 24 mesi di cui 12 in botti di rovere, prima di essere messo in commercio. Di fatto, l’Inferno Nera matura 12 mesi in botti di rovere, per poi essere travasato in serbatoi di acciaio inox e vasche di calcestruzzo, prima dell’imbottigliamento.
Prezzo: 7,89 euro
Acquistato presso: Carrefour / Esselunga
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Il miglior sommelier del mondo presta il volto per pubblicizzare i vini di un discount. Non è una barzelletta. Succede per davvero. A 6 anni dal prestigioso riconoscimento della Worldwide Sommelier Association, Luca Gardini si rimette in gioco. E lo fa con Eurospin. La nota catena di discount italiani ha sottoposto al 35enne di Cervia una serie di assaggi. “Alcuni – spiega Gardini – mi hanno piacevolmente sorpreso al primo sorso. Su altri ci siamo confrontati e siamo giunti alla selezione finale. Da lì il progetto di realizzare una linea ‘garantita’, ma in pieno spirito Eurospin, senza brand per contenere i prezzi”. Così, il ‘mezzobusto’ del sommelier emiliano finisce dritto sulla home page del sito web del colosso di San Martino Buon Albergo (Verona). E sui volantini cartacei. Tra una confezione di prosciutto di San Daniele e quattro cotolette agli spinaci a prezzo stracciato, of course.
“Vini Doc, Igt e Docg integralmente prodotti in alcune delle più vocate zone viti-vinicole italiane”, quelli selezionati da Luca Gardini per Eurospin. Si passa dal Barbera D’Asti Docg Superiore a 2,39 euro al Nero D’Avola Terre Siciliane Igt a 1,85. Spazio anche per i vini bianchi. Come il Muller Thurgau Vigneti delle Dolomiti Igt a 2,99 euro, o il Fiano del Sannio Dop a 4,29 euro. Senza dimenticare rosati come quello del Salento, a 1,99. O vini frizzanti come il Pignoletto del Reno Igt a 2,29 euro, o il Verduzzo del Veneto Igt a 1,69. Gardini si materializza in persona in brevi video, sempre sul web, e ne presenta le caratteristiche. Consigliando gli abbinamenti. E tra un bicchiere e l’altro, trova il tempo per rispondere alle domande di vinialsupermercato.it.
Luca Gardini, miglior sommelier del mondo 2010, presta la sua figura per pubblicizzare i vini di un “discount”: com’è nata l’iniziativa? Credo che tutti abbiano il diritto di bere vino e, anche se non possono o non sono disposti a spendere molto, debbano avvicinarcisi informati, consapevoli, incuriositi
Il miglior vino della cantina Eurospin nel rapporto qualità-prezzo? Nei mesi scorsi, noi abbiamo scovato un buon Aglianico del Salento… A voi la scelta, sono tutti vini che raccontano territori diversi, non ne esiste un preferito, ma di sicuro c’è il preferito per ogni occasione. Potrei comunque fare quello politicamente scorretto e scegliere il Lambrusco della mia Romagna.
Il vino e la Gdo moderna: qual è la sua opinione? Il tempo a disposizione è sempre meno e poter trovare tutto ciò di cui abbiamo bisogno in un unico luogo, il supermercato per l’appunto, è un vantaggio di questi tempi moderni. La Gdo sta crescendo e non si interessa di vini solo a buon mercato, ma è sempre più attenta alla qualità e alla cura del cliente. Quest’esperienza ne è stato un esempio
In Italia esistono ancora vini “da discount” o “da supermercato”, nell’accezione negativa del termine? Esisteranno sempre, ovunque. Penso sia per questo che figure come la mia vengono interpellate
Come si sceglie un buon vino al supermercato? Documentandosi senza dubbio, e poi “sperimentando”. Ognuno ha il suo palato e va rispettato, non finirò mai di ripeterlo. Importantissimi sono anche la presentazione e lo stato di conservazione del vino o del prodotto alimentare che sia
Luca Gardini acquista vini al supermercato? Se sì, quali? Confesso di avere poco tempo per andare al supermercato. Per fortuna ho qualcuno che ci va al posto mio, ma quando sono in viaggio mi soffermo sempre a guardare quali vini (e come) supermercati e Autogrill propongono al pubblico in giro per l’Italia e per il mondo
Vino e marketing: quanto conta oggi l’immagine e quanto la sostanza? Quando l’immagine è sinonimo di garanzia non faccio distinzioni. Ricordiamoci che stiamo parlando di prodotti alimentari, la sicurezza prima di tutto. E poi, senza sostanza, l’immagine sarebbe bidimensionale. Non so se mi spiego…
Lo stato di “salute” del vino in Italia: una fotografia di Luca Gardini. Quali prospettive per il vino italiano nel mondo? Il vino italiano nel mondo non ha ancora la posizione che merita. Dobbiamo collaborare tra italiani, produttori – giornalisti – testimonial, e unire le forze per farlo conoscere sempre di più. Perché chi lo prova, poi non torna più indietro
L’area vitivinicola più sottovalutata d’Italia? Quella, invece, più sopravvalutata Sottovalutata forse la Sicilia. Ho bevuto grandi Nero d’Avola negli ultimi anni. Con mio grande piacere uno è anche arrivato al 4° posto della classifica Tws-Biwa, di cui sono fondatore con Andrea Grignaffini, che vede premiati i 50 migliori vini italiani da parte di una giuria di esperti internazionale. Sopravvalutata non saprei: amo troppo il vino per dire che qualcosa è “troppo”.
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Un programma ricco di iniziative per questo fine settimana del 10 e 11 settembre: tutto nel solco delle celebrazioni per i 50 anni della Strada del Prosecco Superiore. Si parte il sabato con la “Centomiglia“, manifestazione per auto d’epoca che ha conquistato anche il cuore degli stranieri. Gli equipaggi infatti provengono, oltre che dall’Italia, da Austria, Germania, Inghilterra e Svizzera.
Un tour emozionate tra le colline candidate a patrimonio Unesco, con visite a rinomate cantine e alla mostra d’arte dello scultore Valerio De Marchi. La domenica si terrà invece la “Rievocazione storica lungo la Strada del Prosecco Superiore”, con carrozze trainate da cavalli che percorreranno l’itinerario storico della strada del vino con partenza da via XX Settembre, nel centro storico di Conegliano, e soste presso l’Antica Pieve di San Pietro di Feletto, il Molinetto della Croda di Refrontolo, Villa Brandolini in Solighetto, Col San Martino.
Per terminare nel parco della Villa dei Cedri in Valdobbiadene, dove avverrà la pigiatura dell’uva, il saluto dei Sindaci del territorio e l’annullo filatelico della Cartolina Rievocativa appositamente realizzata, in collaborazione con Poste Italiane. Anche la regione tedesca del Palatinato partecipa ai festeggiamenti con la straordinaria presenza della Regina della Deutsche Weinstrasse Julia Kren. La festa sarà animata dai figuranti, tamburini e gli sbandieratori in costume d’epoca dalla Dama Castellana. Molte le cantine aperte per l’occasione lungo la Strada del Vino.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Una bottiglia unica per raccontare l’identità del Consorzio Vini Asolo Montello. È stata presentata sabato 27 agosto nel Comune di Montebellunala nuova bottiglia istituzionale dell’Asolo Montello: un Asolo Docg Superiore nella tipologia Brut prodotto con lieviti indigeni da uve Glera provenienti da soli vigneti dell’area Asolo Montello. “Nato dal lavoro corale del nostro Gruppo Giovani, sarà il Prosecco che rappresenterà tutti noi produttori – spiega Armando Serena, presidente del Consorzio – ma anche il territorio da cui proviene. Per la fermentazione sono stati infatti scelti i lieviti autoctoni selezionati nel corso di una sperimentazione che ha preso il via da qualche anno. Un modo in più per caratterizzare fortemente il nostro prodotto e distinguerlo da quello delle altre denominazioni”. Non solo i ceppi di lieviti indigeni esprimono al meglio le caratteristiche del territorio – aromaticità, struttura e persistenza gustativa – ma anche la scelta di proporre la bottiglia istituzionale nella versione Brut non è casuale. Questa tipologia, infatti, mette in risalto, come sottolinea il Consorzio, “la forte identità delle colline dell’Asolo e Montello, dove il terreno è per natura predisposto a vini di maggiore struttura”. Alte colline, forti escursioni termiche, buona ventilazione e ricchezza minerale, si esprimono al meglio in un Prosecco dal tenore zuccherino mediamente basso. Grazie ad un’azione di co-marketing, supportata da Unindustria Treviso, con altre realtà del territorio per la promozione della denominazione, la bottiglia rientra anche in un progetto più ampio di valorizzazione del territorio. Saranno coinvolte circa quaranta aziende e industrie della zona che non appartengono al settore vinicolo, in modo che la possano utilizzare nel corso di fiere e manifestazioni, soprattutto all’estero. La bottiglia si presenta con un’immagine fresca: etichetta a sfondo bianco con il logo del Consorzio e capsula nera con un bindello applicato per raccontare il progetto.
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Sono aperte le iscrizioni alla undicesima edizione della Centomiglia sulla Strada del Prosecco Superiore, l’evento che sabato 10 settembre 2016 porterà splendide auto d’epoca a percorrere la Strada del Vino più antica d’Italia, che proprio quest’anno compie 50 anni. Un viaggio nello straordinario scenario paesaggistico delle colline trevigiane di Conegliano Valdobbiadene (già candidate a sito patrimonio dell’umanità UNESCO) tra vigneti e borghi storici con soste presso le rinomate cantine del Prosecco Docg. Un’occasione unica per conoscere ed apprezzare i vini, i cibi ed i luoghi di valore di un territorio nominato quest’anno Città Europea del Vino e di recente iscritto nel ‘Registro Nazionale del paesaggio rurale storico’ istituito dal Ministero per le politiche agricole. Modulo di adesione alla manifestazione sul sito www.coneglianovaldobbiadene.it.
IL PROGRAMMA
Venerdì 9 settembre
Ore 15,30 – 19,00 Pieve di Soligo, centro storico. Raduno delle auto d’epoca. Aperitivo di accoglienza. Verifiche tecniche e sportive
Ore 20,30 Cena di Benvenuto
Sabato 10 settembre
Ore 08,00 Valdobbiadene, raduno presso Piazza Marconi
Ore 09,00 Valdobbiadene, partenza primo concorrente
Ore 12,30 Buffet con prodotti tipici locali
Ore 17,30 Conegliano, arrivo primo concorrente
Ore 20,30 Cena Finale con premiazioni
Domenica 11 settembre
In mattinata visita guidata con degustazione presso una rinomata cantina della zona.
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Una giornata per scoprire i segreti che rendono unici i vini dell’Asolo Montello: dalla tutela della biodiversità al recupero di varietà e tradizioni antiche. Domenica 8 maggio torna Asolo Wine Tasting, la quinta edizione dell’evento organizzato dal Consorzio Vini Asolo Montello dedicata alla valorizzazione dei vini del territorio. L’appuntamento è nel borgo medievale di Asolo (Treviso), all’interno della Sala Comunale di Palazzo Beltramini, dalle 10.30 alle 20:00 con la collaborazione di Slow Food e di Ais Veneto. Nella giornata di domenica 8 maggio, tra i banchi di assaggio dei produttori partecipanti, i visitatori potranno scoprire attraverso i vini, tutti i segreti di questa zona vitivinicola. In particolare si potrà scoprire l’attenzione nella tutela della biodiversità: i Colli di Asolo e del Montello sono luoghi integri, dove convivono boschi e fonti d’acqua, dove oltre alla coltura e la cultura della vite ci sono altri prodotti agricoli come patate, mele, ciliegie, piselli, fagioli e altri presidi di eccellenze gastronomiche. Si potrà conoscere inoltre l’Asolo Prosecco Superiore Docg nelle sue diverse versioni, in particolare l’Extra Brut – Asolo è l’unica denominazione nel panorama del Prosecco che può definire la tipologia Extra Brut nelle bottiglie prodotte con la Docg – ed il ColFondo – il Prosecco rifermentato in bottiglia e senza sboccatura, come da tradizione di queste zone. Non solo, tra gli stand anche i vini prodotti in seguito alla ricerca sui lieviti autoctoni del territorio. L’evento è aperto al pubblico. Il costo della degustazione dei vini sarà di 10 euro, comprensivo di tasca e bicchiere souvenir.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(2 / 5) Buona la seconda. Dopo un approccio imbarazzante, dovuto a una bottiglia difettata al ‘sapore’ di sughero, ci cimentiamo nuovamente nella degustazione del Cirò Dop Classico Superiore Riserva di Cantina Lidl, uno dei vini che hanno ottenuto la promozione del Gambero Rosso.
Scegliamo dallo scaffale un lotto differente rispetto a quello della prima bottiglia (L3152C3-30121045) e procediamo all’apertura. Il tappo di sughero si mostra nuovamente non in perfetto stato e, in generale, di bassa qualità.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, questo Cirò Dop Classico Superiore Riserva, annata 2012, scorre denso, di un rosso granato carico. Al naso si evidenziano soprattutto note di ciliegie mature.
Meno persistenti le spezie e l’eucalipto, pur presenti. In bocca è caldo, ma il crescendo della sapidità corrompe incontrovertibilmente la piacevolezza dei sentori di confettura di amarena e mora. Il tannino è ruvido e fastidioso, al limite dell’allappante.
Nel finale, lievemente speziato, torna ormai onnipresente la squilibrata sapidità, che taglia letteralmente le gambe all’intero assaggio. Insomma, questa bottiglia regala solo un lontano ricordo di quello che ci si può (si deve, anzi) aspettare da un Cirò rosso ‘invecchiato’.
Il Gambero Rosso definisce “buono” questo vino e in una scala da uno a tre ‘scudetti’ gliene assegna uno. Noi di vinialsupermercato.it abbiamo trovato questo Cirò decisamente scarso, soprattutto per mancanza di equilibrio. Con cosa abbinarlo, dunque? Semplice: con nulla. In cucina, meglio soli che mal accompagnati.
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(2,5 / 5) Dalla Cantina Lidl Selezione Gambero Rosso, ecco Teroldego Rotaliano Dop 2011 Superiore Riserva. Ci accingiamo all’analisi dopo aver accantonato per un attimo qualsiasi congettura legata alla ‘strana coppia’ costituita dalla catena di supermercati tedeschi e la casa editrice italiana di enogastronomia. Di colore rosso cupo, impenetrabile, questo Teloldego Rotaliano Superiore Riserva 2011 scorre denso nel calice e si presenta al naso in maniera garbata. Note di vaniglia e di frutta come prugna, mora e amarena, a cui fanno da sfondo liquirizia e richiami all’erba e al fieno bagnato. In bocca colpisce per morbidezza. La bevuta è rotonda, grazie soprattutto alle predominanti note di vaniglia. Tanto sostenute da farla sembrare, in bocca, gelatinosa.
Al palato si evidenziano poi note di sottobosco, quali le fragoline. Un buon principio, cui poi non fa seguito un finale altrettanto elegante. Il tannino, di fatto, si mostra entro breve leggermente ruvido. In definitiva il palato è di buona lunghezza, ma non particolarmente strutturato. Con una prolungata ossigenazione, Teroldego Rotaliano Superiore Riserva 2011 della Cantina Lidl guadagna note di liquirizia ancora più spiccate. E la bevuta assume tinte più speziate e balsamiche. Da abbinare a salumi e formaggi. A questa bottiglia, gli esperti del Gambero Rosso assegnano uno scudetto su tre, definendolo “buono” (due scudetti = molto buono; tre scudetti = eccellente). Per noi di vinialsupermercato.it è – quantomeno – “decente”.
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(4 / 5) Non sarà la Bibbia, ma ci sarà un motivo se l’applicazione Vivino Scanner per il vino colloca il Cirò Doc rosso classico superiore riserva di Caparra e Siciliani tra i migliori 20 vini italiani nel rapporto qualità prezzo. Un giudizio scaturito grazie ai voti ottenuti dalle migliaia di utenti e appassionati del settore, col quale vinialsupermercato.it si trova esattamente in linea. Per poco meno di 7 euro, portarsi a casa dal supermercato una bottiglia così è davvero eccezionale. In particolare, l’assaggio si concentra sull’annata 2012. Di colore rosso rubino intenso, il Cirò Doc rosso classico superiore riserva di Caparra e Siciliani presenta al naso note molto eleganti di legno, terra bagnata e frutta. Si avvertono ciliegia matura, mora e piccoli frutti di bosco. L’assaggio è esaltante per equilibrio. La compattezza e finezza dei tannini, unite all’ottima persistenza ricordano, anche se il paragone può risultare ardito e assolutamente fuori tema, certi giovani Barolo. Velluto e carattere allo stesso puro, abbinati alla perfezione. L’uvaggio utilizzato è il Gaglioppo in purezza, che nulla a che fare col Nebbiolo. Originario probabilmente della Grecia, è il vitigno più diffuso attualmente in Calabria, col quale – in base al disciplinare – è consentita la produzione del Cirò rosso calabrese. La vinificazione avviene con metodo tradizionale, cui fa seguito un periodo di affinamento in botti di rovere e un invecchiamento di almeno due anni. La produzione del Cirò rosso riserva è consentita esclusivamente nei Comuni di Cirò Marina, dove opera appunto Caparra e Siciliani, nonché a Cirò, Melissa e Crucoli, tutti situati nella provincia di Crotone. Il Cirò Doc rosso classico superiore riserva si abbina alla perfezione con le carni, da quelle poco cotte all’arrosto, sino alla selvaggina. Si consiglia di stappare la bottiglia almeno un’ora prima di consumarla. In distribuzione esiste anche una versione bianca del Cirò Caparra e Siciliani.
Prezzo pieno: 6,29 euro
Acquistato presso: Il Gigante
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(3,5 / 5) Ed ecco un classico veronese, il Valdimezzo Valpolicella Superiore Doc Ripasso della nota casa vitivinicola Sartori di via Casette 4, Negrar (VR). Un vino dotato soprattutto di straordinaria morbidezza, unita a un grande corpo, conferito dalla particolare lavorazione delle uve. Nel calice si presenta di un rosso granato accesso, con riflessi violacei. Al naso emergono sentori di frutti di bosco e ciliegia matura, oltre a rilievi di legno e liquirizia dolce. Al palato, il Valdimezzo Valpolicella Superiore Doc Ripasso si fa apprezzare per la spiccata morbidezza, riconducibile alla vaniglia, che mitiga le note speziate e legnose e rende armoniose e vellutate le note di piccoli frutti a bacca rossa e ciliegia. Un vino complesso, dunque, che si abbina alla perfezione con le carni alla griglia, la selvaggina, i primi piatti ben saporiti e, in generale, le pietanze molto ‘unte’. Ma la vera particolarità di questa bottiglia è la sua storia. Come da tradizione, il disciplinare prevede per il Valpolicella Superiore Doc Ripasso l’utilizzo di svariati uvaggi: Corvina al 55%, Corvinone al 25%, Rondinella al 15% e Croatina al 5 per cento. Si tratta delle stesse uve con le quali si produce il vino più nobile del Veneto, l’Amarone, che può di fatto essere considerato il ‘fratello maggiore’ del Ripasso. La denominazione di questo vino veronese è dovuta alla pratica del ‘ripasso’ delle uve sopraccitate nei tini dove precedentemente era stato lasciato a macerare l’Amarone pressato. Il tutto, dopo una delicata pigiatura delle uve selezionate da Sartori tra i propri vigneti, sulle colline che circondano Verona. Il Valpolicella Ripasso Superiore Doc Valdimezzo Sartori affina in botti di legno per almeno 12 mesi, a partire dal primo gennaio dell’anno successivo a quello della vendemmia (in questo caso 2013). Va detto, per i più raffinati consumatori di vino acquistabile nei supermercati, che questo prodotto Sartori presenta sostanziali differenze con altri Valpolicella Ripasso Superiore presenti nei circuiti della Grande distribuzione organizzata.
Prezzo pieno: 8,99 euro Acquistato presso: Il Gigante
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(4,5 / 5) Abituati al Barbera come vino frizzante, il Barbera del Monferrato Superiore Serché Docg della Cantina produttori del Monferrato saprà sorprendervi e deliziarvi. E non solo perché si tratta di una versione ‘ferma’ di Barbera, ovvero non frizzante. Ma sopratutto perché questa bottiglia, praticamente introvabile nel mondo della grande distribuzione italiana, va certamente annoverata tra le migliori con un prezzo inferiore ai 10 euro. Insomma: provatela. Di colore rosso granato, Serché evidenzia sin da subito le caratteristiche di un vino piemontese di gran carattere. Al naso è profondo, con sentori di frutti di bosco a bacca nera, impreziositi da note di spezie (pepe nero) e legno, grazie l’affinamento in barrique. In solo aggettivo per riassumere le sensazioni olfattiva: etereo. All’assaggio, Serché è asciutto, ampio. Vino di gran corpo, di grande struttura ed equilibrio tra le note fruttate e quelle più ‘asciutte’, di spezie e legno. Sorprendente per lunghezza, è in grado di esaltare magnificamente piatti di carne rossa al sangue o di selvaggina. Tutte caratteristiche che si ritrovano nei grandi Barbera Superiore del Piemonte.
Si tratta di una Denominazione di origine controllata e garantita della zona collinare piemontese che si estende tra le province di Alessandria e Asti. Terreni argillosi, ricchi di limo, sabbia e calcare che regalano appunto vini unici. La raccolta delle uve avviene in maniera manuale. La vinificazione prevede una fase di macerazione di otto giorni, con mescolamento automatizzato e stabilizzazione naturale a freddo. Segue poi una fase di affinamento di almeno 6 mesi in piccole barrique di rovere, prima dell’affinamento in bottiglia. Serché è senza dubbio il vino rosso di punta nei supermercati della Cantina Produttori del Monferrato, azienda cooperativa sociale nata nel 1950 a Rosignano del Monferrato, in provincia di Alessandria, dall’unione di alcune cantine della zona. Non a caso fu una delle prime, nel 1975, a dotarsi in Piemonte di un impianto di termovinificazione per l’ottenimento di vini più fini e a minore contenuto di alcool metilico. Ad oggi risultano iscritti 1.070 soci, in grado di conferire qualcosa come 2 milioni e 800 mila quintali di uve atte alla vinificazione.
Prezzo pieno: 7,39 euro
Acquistato presso: Il Gigante
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(4 / 5) Una bella sorpresa trovare sugli scaffali del supermercato un Valpolicella Ripasso Classico Superiore Doc in promozione. In particolare quello di Cantina Valpolicella Negrar. Molto più di una bottiglia e molto più di una Doc.
Una vera e propria istituzione in Veneto e tra tutti gli amanti del buon vino. Anche perché, per dar vita al Ripasso, occorrono tecniche specifiche di vinificazione che nobilitano il senso della ‘bevuta’. E si inseriscono direttamente nel solco della grande tradizione e cultura del “far vino” in Italia.
LA DEGUSTAZIONE
Il Valpolicella Ripasso Classico Superiore di Cantina Valpolicella Negrar (Comune di 17 mila anime alle porte di Verona) è un vino rosso che nel calice si presenta di un colore rosso rubino intenso, tendente al viola scuro. L’annata in questione, in particolare, è la 2013, che registra 13,5 % vol.
Già versandolo si esaltano le note di mora, amarena, ciliegia matura e barrique, in un finale tutto speziato tendente al pepe nero. Note speziate che prevalgono all’assaggio nei primi istanti, scaldando piacevolmente il palato e lasciando poi spazio note fruttate di amarena, tabacco e vaniglia.
La sensazione è quella di una morbidezza intensa, anche se parrebbe un ossimoro. Nel finale, lungo, di nuovo le note speziate, assieme a tutto il carattere della barrique francese, in cui le uve sono maturate per almeno dodici mesi. L’abbinamento più consigliato è quello con le carni rosse e con la selvaggina.
Ma questa bottiglia saprà sorprendervi anche accostata a primi piatti saporiti o a secondi di carne bianca ben speziata. Provatela, per esempio, con delle cosce di pollo al curry e curcuma: le note speziate della carne faranno da contraltare alle note speziate del vino, ammorbidendosi grazie ai tannini gentili e avvolgenti. Vale però la pena di spendere altre parole per la grande tradizione veneta del Ripasso.
Come suggerisce il nome stesso di questa Doc, il Valpolicella base (ottenuto secondo disciplinare dalle qualità Corvina, Corvinone, Rondinella e in percentuali inferiori di Forselina, Negrara e Oseleta) viene riversato nei tini dove precedentemente sono state pigiate le uve per l’Amarone, a loro volta precedentemente lasciate appassire al sole, subendo così una delicata fase di rifermentazione.
Circa venti i giorni in cui le vinacce riposano in questa prestigiosa culla. Un procedimento, quello del “ripasso”, che ha del magico. Un’alchimia pari a quella di una storia d’amore, nata da un incontro. Da una scintilla. E il vino così ottenuto viene in seguito affinato in botte. Il Ripasso si trasforma così in una vino maturo, affascinante e coinvolgente. Un vino con una storia da raccontare.
Prezzo pieno: 7,69 euro
Acquistato presso: Esselunga
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(2,5 / 5) Non avere troppe aspettative. Solo con questa premessa ci si può accostare al Chianti Superiore de La Pieve, Borgo Ser Ristoro. Del miglior Chianti manca innanzitutto il carattere, nonché il corpo che contraddistingue praticamente l’intera produzione di vini in Toscana. Le percentuali di utilizzo di uve Sangiovese e di altri uvaggi non vengono indicate in etichetta. Eccessivo il prezzo d’acquisto per una bottiglia che sembra lontana parente della nota Denominazione di origine controllata e garantita. Parere che vale almeno per l’annata 2012, testata oggi. Tredici gradi, colore rosso rubino, profumo delicato e armonioso. Caratteristiche riscontrabili anche al gusto. Un Chianti “leggero”, dunque. Accostabile ai consueti piatti di carne della tradizione toscana e non solo. Ma senza sognare troppo.
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