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Tappo a vite, quanto mi costi: perché il futuro dello Stelvin non è in mano ai vignaioli

Tappo a vite, quanto mi costi perché il futuro dello Stelvin non è in mano ai vignaioli
EDITORIALE – Non è passata in sordina, nel settore, l’iniziativa di cinque produttori di vino uniti per promuovere insieme la “cultura” del tappo a vite. L’iniziativa di Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Walter Massa, alias “Gli Svitati“, non ha tuttavia smosso di un centimetro le coscienze dei consumatori. Tantomeno lo ha fatto con quelle dei colleghi vignaioli del quintetto, tra cui già non mancavano diversi convinti sostenitori del tappo a vite (al pari di qualche detrattore). La mia idea è che – su temi come questo – non serva a nulla “parlarsi addosso”, tra addetti ai lavori. Il futuro dello Stelvin in Italia (Stelvin è il nome del brand più noto a livello internazionale, divenuto negli anni sinonimo di “tappo a vite”), a differenza di altre battaglie, non è in mano ai vignaioli ma ai grandi gruppi del mondo del vino, come le cooperative. Il “canale” per cambiare i connotati dei consumatori e dare l’auspicata dignità al tappo a vite non è l’Horeca, ma la Gdo: il mondo dei supermercati.

Per capirlo basta entrare in uno dei punti vendita delle tante insegne presenti in Paesi come l’Inghilterra (da Tesco a Lidl, passando per Aldi e Waitrose) invase da decine di vini tappati con lo Stelvin che i clienti acquistano senza alcun timore. Si tratta principalmente di etichette provenienti dalla Nuova Zelanda e dall’Australia, base Sauvignon Blanc e Syrah / Shiraz, segnale di quanto i due Paesi oceanici abbiano iniziato ormai da decenni a dare importanza al tappo a vite. Vini prodotti principalmente da grandi gruppi e adatti a tutte le tasche, in molti casi addirittura con un rapporto qualità prezzo invidiabilissimo (il che non significa costino necessariamente poco!). Tutto tranne che “vini spazzatura”, insomma.

I COSTI DEI MACCHINARI PER LA TAPPATURA A VITE

L’investimento sui macchinari per la tappatura Stelvin, di fatto, non è alla portata dei vignaioli e delle piccole cantine. A confermare come siano pochi i colleghi degli “Svitati” Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Walter Massa a potersi permettere un tale investimento sono le aziende produttrici di questi macchinari, interpellate su suggerimento di alcuni vignaioli italiani.  Esemplificativo l’intervento di Mirella Simonati, business growth manager di PMR System Group di Bovisio Masciago (MB). «Gli impianti che progettiamo e realizziamo – spiega – partono da soluzioni semi-automatiche da banco per basse produzioni (500/600 pz./h.) ad un costo intorno ai 4 mila euro, fino ad arrivare a soluzioni completamente automatiche, installate in linea, con caricatore automatico dei tappi e una produttività anche superiore ai 4000 pz/h. Si tratta di sistemi che vanno oltre i 100 mila euro».

Walter D’Ippolito di Alfatek Bottling Plants Srl, azienda di Albano Laziale (RM) precisa come esistano «varie tipologie di tappo a vite per il vino, dal tappo vite basso, al tappo Stelvin, fino ad arrivare al tappo Stelvin Lux, soluzione più elegante e moderna. Le macchine automatiche raggiungono una produttività di 2500/2800 bottiglie per ora e il loro costo può variare dai 30 ai 45 mila euro». Conferme sui costi ingenti dei macchinari per la tappatura a vite arrivano anche da Paolo Lucchetti, tra i massimi sostenitori dello Stelvin tra i vignaioli italiani. «Una macchina semplice, con tappo raso, 12 rubinetti, è introvabile al giorno d’oggi a meno di 60, 70 mila euro. Con la doppia chiusura si arriva ad almeno 80 mila euro. Un investimento che non è alla portata di tutti, ma nel prossimo futuro, se questa chiusura prenderà sempre più piede sul mercato nazionale, i costi potrebbero abbattersi».

LE COOPERATIVE VITIVINICOLE E IL FUTURO DEL TAPPO A VITE

E il conto terzi? Anche questa soluzione, secondo diversi vignaioli interpellati, non è praticabile dalle piccole cantine. Le aziende che offrono il servizio di imbottigliamento “a domicilio” offrono questo servizio a partire da 20 mila bottiglie, quantità che inizia ad essere impegnativa per una singola cantina artigianale. «Per quantità inferiori alle 20 mila bottiglie ma superiori alle 10 mila – riferisce un piccolo produttore del Sud Italia – chiedono il doppio del prezzo. Sarebbe utile, come è stato fatto in Piemonte, prendere un macchinario in condivisione, ma mettere d’accordo le varie anime di un territorio non è semplice, così come portare avanti politiche di marketing comuni».

Diventa così ancora più fondamentale l’apertura al tappo Stelvin da parte dei grandi gruppi del settore vitivinicolo italiano. «Siamo favorevoli – commenta Luca Rigotti, Coordinatore Settore Vino di Alleanza Cooperative Agroalimentari – alla possibilità di differenziare e adeguare l’offerta con chiusure e materiali alternativi come il tappo a vite. Un’opzione, quest’ultima, che consente alle imprese vitivinicole di dare risposta alle crescenti richieste del mercato che, in particolare all’estero, come nei paesi del Nord Europa, compresa la Germania e il Regno Unito, è particolarmente apprezzata dai consumatori».

Si tratta di un approccio che deve tenere conto delle esigenze dei mercati e, specie nell’attuale congiuntura, delle voci di costo delle materie prime e degli imballaggi, e che quindi dovrebbe riguardare, oltre alle chiusure, anche i contenitori di capacità inferiore ai 2 litri, per i quali attendiamo un’apertura rispetto all’utilizzabilità, anche per i vini Doc, di materiali alternativi al vetro. Un’apertura comunque ragionata, tenendo conto che, come per altri requisiti, spetterebbe ai disciplinari l’ultima parola e la possibilità di poter prevedere, rispetto alla regola generale, regole più restrittive».

IL TAPPO STELVIN IN GRANDE DISTRUBUZIONE

Della stessa idea Benedetto Marescotti, direttore Marketing di Caviro. «Il tappo a vite o “Stelvin” registra consensi sempre maggiori tra i consumatori dei mercati che frequentiamo, specie in quelli  internazionali. Siamo una filiera, impegnata la massimo nel preservare la qualità del prodotto, dalla vite all’imbottigliamento, per cui non abbiamo certo remore nei confronti di qualsivoglia contenitore o sistema di chiusura, purché di garanzia per mantenere la qualità dei nostri vini, che siano bottiglie classiche nella forma e chiusura col sughero, o con chiusure a vite, sebbene considerate da alcuni meno “tradizionali”».

Ne imbottigliamo già decine di milioni con questa chiusura, pratica e qualitativa al contempo, molto richiesta, se non necessaria, nei mercati anglosassoni in primis. Del resto, se non fossimo “laici” sul confezionamento noi, che abbiamo inventato il vino in brick (Tavernello, ndr), ci sarebbe da stupirsi. Il must è valorizzare i vini delle nostre cantine socie e garantirli fino alla tavola, una sorta di filiera lunga, per la quale anche il tappo in questione ha le carte in regola».

Eppure, la strada è ancora in salita. Dai dati riportati da Stelvin e Guala Closures, oggi quattro bottiglie su dieci sono imbottigliate con tappo a vite, con una percentuale che in Europa Occidentale, storicamente più tradizionalista, è passata dal 29% nel 2015 al 34% nel 2021. L’Italia, ferma al 22%, può contare solo su cooperative – e buyer Gdo – per crescere.

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Tappo a vite e Barolo, il retroscena: come andò quella riunione del Consorzio del 2013

È una norma della comunità europea del 2013 a stabilire che il tappo a vite, conosciuto a livello internazionale come “Screwcap of stelvin type“, può essere utilizzato su tutti i vini a Denominazione dell’Unione. Barolo compreso. Spettava ai singoli consorzi “opporsi”, modificando il disciplinare per proseguire col solo sughero. Lo ha fatto Montalcino, col Brunello; la Valpolicella, con l’Amarone. “Territori diversi dal nostro – spiega a WineMag.it Andrea Ferrero, direttore del Consorzio Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani – molto frammentato. Motivo per il quale la riunione del Consorzio del 16 dicembre 2013 non ha raggiunto il quorum“.

Così, la liberalizzazione del tappo a vite sul “re dei vini italiani” è finita sotto l’albero di Natale dei produttori delle Langhe. “Secondo le normative dell’epoca – precisa Ferrero – per validare l’assemblea e procedere alla modifica del disciplinare relativamente alle chiusure, serviva il 51% dei voti spettanti ai soci del Consorzio che utilizzavano la Denominazione Barolo. Questo perché il Consorzio è autorizzato ad operare Erga Omnes“.

“Non abbiamo raggiunto il quorum previsto e di conseguenza l’assemblea è andata deserta”, ricorda Ferrero. “Quello del tappo a vite – aggiunge il direttore del Consorzio – è un argomento molto dibattuto. Il fatto che i produttori non abbiano dimostrato interesse per la riunione, dimostra come si propenda per la liberalizzazione, o quantomeno per lasciare ai singoli la decisione sul metodo ci tappatura del vino”.

“Il Consorzio del Barolo è fatto da una moltitudine di produttori, ognuno responsabile delle proprie scelte, come in altre zone d’Italia: quanto accaduto fa parte del gioco. Tutti i presenti avrebbero votato in favore del solo sughero, ma la nostra realtà è molto frammentata. Occorrono molte teste per un voto, al contrario di altre zone dove le realtà cooperative mettono assieme il quorum”.

Ferrero non si dice contrario a prescindere al tappo a vite sul Barolo: “Probabilmente, su vini da invecchiamento importante come il Barolo, potrebbe avere qualche limite. Ma sono democratico: saranno il mercato e le strategie delle singole cantine a decidere il da farsi”.

Il direttore del Consorzio di Alba di dice “certo che non assisteremo all’abbandono del tappo in sughero”. “Le richieste di un Barolo con lo ‘Screwcap of stelvin type’ – fa notare – arrivano infatti da un’area ben specifica. I monopoli scandinavi sono spesso fantasiosi, se ne sentono di tutti i colori, come richieste improbabili di vini in bag in box“.

Non era invece in carica, nel 2013, l’attuale presidente Matteo Ascheri, eletto nel 2018: “Il quorum dell’assemblea chiamata ad esprimersi sulle nuove direttive Ue – ribadisce – fu sfiorato, ma non raggiunto. Il nostro problema è assieme la nostra forza: il Consorzio è fatto da tante piccole aziende esclusive, ben 350, con superfici medie bassissime, attorno ai 2 ettari. Difficile, dunque, riunire tutti assieme anche solo il 50% più 1 dei produttori”.

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Barolo col tappo a vite per la Svezia: lo chiede un tender del Systembolaget

Barolo col tappo a vite o, meglio, “Screwcap of stelvin type”. La richiesta è stata messa nero su bianco in un tender del Monopolio della Svezia. Lo Systembolaget, ovvero la rete di 445 negozi che controlla la vendita di alcolici nel Paese scandinavo, chiede mille bottiglie del vino simbolo del Piemonte, vendemmia 2014, 2015 o 2016, rigorosamente “tappate” a vite. È disposto a pagarle tra le 500 e le 999 corone svedesi (Sek): tradotto, tra i 45,54 e i 90,98 euro. Il prezzo di un ottimo Barolo, col tradizionale tappo in sughero. Nessuna operazione al ribasso, dunque.

Quella dello screwcap sul Barolo appare la scelta di un mercato pronto, su tutti i fronti. Consumatori e professionisti del settore (buyer, sommelier, enotecari) sembrano aver ormai digerito tutte le perplessità legate al tappo a vite. Tanto da accettarlo anche su vini rossi da lungo affinamento. Senza storcere il naso.

Il tender del Monopolio svedese contiene tuttavia un errore e dovrà essere riformulato per trovare qualche temerario vignaiolo di Langa disposto a soddisfarne le richieste. Il disciplinare del Barolo Docg, infatti, permette l’utilizzo del tappo a vite solo sui vini senza menzioni, come “base” e “riserva”.

Lo stelvin è vietato, invece, come metodo di tappatura dei Barolo in cui sia presente in etichetta una menzione di “vigna“, una menzione geografica aggiuntiva (Mga) o una menzione comunale.

Al contrario di quanto avvenuto in altri Consorzi italiani – Brunello di Montalcino e Amarone della Valpolicella, per citare altri due vini rossi italiani da lungo affinamento – nelle Langhe non ha raggiunto il quorum l’assemblea del Consorzio chiamata a recepire le indicazioni dell’Unione europea, in materia di chiusure da adottare sui vini comunitari a denominazione (Regolamento Ue n. 1308/2013).

Un aspetto chiarito a WineMag.it dal presidente del Consorzio di Tutela del Barolo, Matteo Ascheri: “Il Barolo con il tappo a vite è ammesso, in quanto il disciplinare di produzione non prevede limitazioni di sorta. I produttori stessi, una decina di anni fa, sono stati chiamati ad esprimersi in merito, ma l’assemblea convocata a riguardo non ha raggiunto il numero legale e quindi si è ammessa una liberalizzazione totale sulle chiusure“.

“Il futuro del Barolo – commenta ancora Ascheri (nella foto, sopra) – non è tuttavia legato al tappo a vite. Tale chiusura può essere ottima per vini con evoluzione breve, ma può dare problemi per vini destinati ad un lungo invecchiamento in bottiglia”.

Altre chiusure alternative al sughero naturale, come il sughero polverizzato e trattato o simili – aggiunge Ascheri – possono rappresentare il giusto compromesso tra neutralità della chiusura e potenziale evolutivo del vino. Oltre a garantire il 100% delle bottiglie prodotte, consentono di salvaguardare il percepito del cliente finale. Un aspetto che non è da sottovalutare”.

Quanto al tender dei Monopoli scandinavi: “Il più delle volte riscontriamo richieste estemporanee, quasi ‘umilianti’ per i produttori – chiosa il presidente del Consorzio piemontese – a volte assurde. Sono mercati importanti anche se ancora relativamente giovani, con consumatori attenti e alla ricerca di prodotti come i nostri. Dispiace che i Monopoli, che sono l’intermediario principale su quei mercati, rappresentino una interlocuzione a volte difficile e contrastante per i produttori stessi”.

Non occorre andare troppo lontano dal territorio d’elezione del Barolo per trovare, invece, grande entusiasmo nei confronti del tender targato Systembolaget. “Il Barolo col tappo a vite – commenta Gianluca Morino, vignaiolo Fivi di Cascina Garitina, a Castel Boglione (AT) – può aprire nuovi scenari per tanti vini e invogliare tanti altri produttori a usare un tappo sicuro”.

“Personalmente estenderei la possibilità di utilizzare lo ‘screwcap of stelvin type‘ anche ai vini con menzione vigna, geografica o comunale – aggiunge Morino – motivo per il quale il tender del mercato svedese dovrà essere modificato per trovare recepimento in Langa. Una forzatura dettata dal fatto che, spesso, i buyer non conoscono i disciplinari con precisione e avanzano richieste insoddisfabili”.

Per aggirare questo ostacolo, Gianluca Morino, così come altri produttori che utilizzano il tappo a vite in Italia, evitano la “menzione” in etichetta. “Sul mio Nizza Docg ‘900’ appare la scritta ‘Margherita‘ come nome di fantasia, ma in realtà si tratta della ‘Vigna Margherita’. Un escamotage che vorrei evitare di usare, se solo le normative me lo consentissero”.

Entusiasta del tender svedese anche un altro strenuo sostenitore del tappo a vite, il re del Timorasso Walter Massa. “Se sommelier, degustatori e importatori del Monopolio scandinavo hanno avanzato una simile richiesta – ipotizza il vignaiolo di Monleale – è certamente perché avranno avuto riscontri positivi sulla tenuta della denominazione, dopo aver effettuato appositi test in loco, ritappando dei Barolo almeno negli ultimi 15 anni“.

“Questo tender rivoluzionario – continua Massa, che a gennaio ha presentato il tappo a vite ‘intelligente’ sui suoi Derthona 2018 – è certamente la risposta dettata da risultati e degustazioni tecniche, ben oltre la mera richiesta del mercato: sfido chiunque a sostenere che gli svedesi propongano ai loro consumatori un vino ‘tarocco’, risultando responsabili in prima persona di questa scelta”.

Si tratta di un’operazione di grande rispetto nei confronti del consumatore finale – aggiunge – oltre che nei confronti del vino e della denominazione. Sono pronto a partire per Stoccolma e offrire al primo produttore di Langa che aderirà a questo tender una bottiglia del suo vino, appena sarà sul mercato!”.

“Anche perché – chiosa Massa – sono stufo di sentir dire che il Derthona è il Barolo bianco. Quest’auspicabile apertura del Barolo al tappo a vite fungerebbe da reale trait d’union tra un vino bianco e un grande vino, per dimostrare che anche i vini bianchi sono grandi vini, capaci di affinare a lungo nel tempo”.

Grande entusiasmo anche in Alto Adige, alla corte di un altro produttore simbolo della battaglia per la diffusione del tappo a vite in Italia: “Sono ormai sono 14 anni che lavoriamo con lo screwcap – commenta Franz Haas (nella foto, sopra) – ovvero dal 2006, senza essercene ancora pentiti. Anzi! Lo usiamo anche per vini importanti e abbiamo le prove che sia di gran lunga migliore del sughero, eliminandone tutte le influenze negative”.

In questi giorni di lockdown dettato dai decreti volti a contenere Covid-19, Haas sta approfittando per assaggiare vecchie annate in cantina. Tappate proprio con lo stelvin. “Ieri sera, in famiglia – rivela a WineMag.it – abbiamo aperto un Pinot Nero del 2001 risultato in condizioni straordinarie: sembrava Borgogna! Più passa il tempo, più il tappo a vite esalta il vino in bottiglia, compresi i vini rossi da invecchiamento”.

“Ben venga se qualcuno, anche in Langa, voglia cogliere l’opportunità di un tender del mercato scandinavo – conclude Haas – contribuendo a propagare la cultura di questa tecnica di tappatura. Più siamo e più importanti sono i vini tappati a vite, prima ci libereremo delle rogne legate al sughero”. Che la Svezia sia foriera di rivoluzioni?

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Tappo di sughero? “Superato”. Le 7 tesi di Walter Massa sulla tappatura del vino

MONLEALE – “E’ da coglioni mettere in vendita 50 mila bottiglie che hanno 50 mila sfumature diverse a causa del tappo, quando uno accarezza la vigna e tratta la cantina come un museo o un santuario per tutto il resto dell’anno”.

Non usa giri di parole Walter Massa, per spiegare il perché della sua ultima battaglia. Nel mirino, questa volta, i problemi dati dalla tappatura del vino con il tradizionale sughero, a fronte di metodi alternativi meno graditi dai consumatori. Più efficaci e, addirittura, più salubri.

A pochi giorni da Natale, giovedì 20 dicembre, il vignaiolo che ha fatto conoscere al mondo il Timorasso ha imbottigliato con 7 tappi diversi 6.600 bottiglie (50 ettolitri) del suo Derthona 2017, vino simbolo dei Colli Tortonesi.

Sette “tesi” differenti, come le ha definite Massa. Per dimostrare analiticamente che una tappatura efficace può aumentare la vita del vino, favorendo un perfetto affinamento in bottiglia. E riducendo al contempo i quantitativi di solforosa: i tanto temuti “solfiti”, che fungono da “conservanti” del vino.

LE SETTE TESI

Un’anteprima della scelta definitiva di Massa, che ha deciso di imbottigliare in sette modi differenti le 60 mila bottiglie di Derthona della vendemmia 2017: 25 mila con Stelvin (tappo a vite), 15 mila con Nomacorc (due tipologie), 15 mila con Diam, 4 mila con Mureddu Sugheri e mille con Bourrassé. Chiudono il cerchio 60 bottiglie di tappo corona: la pennellata finale dell’artista del vino Walter Massa.

Le analisi compiute nel laboratorio della cantina di Monleale, a pochi minuti dall’imbottigliamento, parlano chiaro: con lo Stelvin i livelli di solforosa libera si sono assestati su 22 mg/l, con la solforosa totale a soli 39 mg/l. Valori ben inferiori ai limiti di legge, stabiliti in 200 mg/l per i vini rossi e in 250 mg/l per i vini bianchi in agricoltura convenzionale.

“Il tappo – sottolinea Walter Massa – è la chiosa di tutto il circuito. Non capisco perché dobbiamo continuare, nel 2018 o 2019 che dir si voglia, a giocare a testa e croce. Io sono un artigiano artista del vino e della vigna. Ma la scienza è fondamentale per far godere dell’Italia tutto il mondo, con il vino almeno”.

Sempre giovedì, nella cantina di Massa, era presente Antonino La Placa, Sales manager Italy dell’azienda Vinventions (Nomacorc), specializzata nella produzione di tappi a base vegetale e altre soluzioni come lo Stelvin, garantiti e addirittura personalizzabili dal punto di vista estetico.

Grazie alla somma di Totale Pacchetto di Ossigeno (Tpo), solforosa libera utilizzata dal produttore e tipologia di chiusura scelta – ha spiegato il tecnico – è possibile calcolare in maniera scientifica la shelf-life del vino, ovvero quanto sarà in grado di conservarsi ad ottimi livelli in bottiglia”

Da diversi anni sono sul mercato dei tappi speciali, in grado di garantire scientificamente una micro ossigenazione controllata del vino, in base alle necessità di affinamento. Strumenti che, nella maggior parte dei casi, risultano meno costosi del sughero di qualità.

E IL TAPPO DIVENTA TESI UNIVERSITARIA
Che la questione del tappo del vino sia molto attuale, lo dimostra anche l’attenzione dei giovani studenti italiani di Viticoltura ed Enologia. Carlo Trezzi si laureerà il prossimo anno alla Statale di Milano, dopo il tirocinio effettuato proprio nella cantina piemontese di Walter Massa.

“Ho scelto di improntare la mia tesi sulle varie tappature di Derthona perché ho capito che un vino, per evolversi nel tempo, ha bisogno di uno strumento, il tappo, che non conosciamo ancora appieno”.

“Penso che in Italia ci sia molta disinformazione a riguardo – conclude lo studente – il sughero è un’opzione, ma non è l’unica. Esistono altri metodi, soprattutto per un vino bianco, che possono esaltarlo ancora meglio”.

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