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Esteri - News & Wine news news ed eventi

Svizzera, enotecario aggredisce chi compra vino estero (video)

Un uomo di si avvicina agli scaffali del vino estero di un’enoteca. Sceglie una bottiglia di vino spagnolo, ma l’enotecario lo aggredisce con un placcaggio da rugby. Di lì a poco una coppia scherza davanti all’espositore di vini iberici. L’imponente enotecario gonfia il petto, minaccioso. E fa loro desistere, indirizzandoli verso lo scaffale del vino svizzero. È lo spot diffuso nelle ultime ore dall’Office de promotion dell’Interprofession de la Vigne et du Vin du Valais, organismo che rappresenta i viticoltori del canton Vallese.

Ad accompagnare il video, realizzato da un e-commerce e wine tour operator locale, è una frase emblematica: «Voici un petit rappel de la mère et du père Noël, valable pour tous les vins du Valais». Tradotto: «Ecco un piccolo promemoria di mamma e Babbo Natale, valido su tutti i vini del Vallese».

Lo spot cela di fatto il grave stato di crisi della viticoltura nel cantone di Sion. Secondo quanto riferisce l’emittente radiofonica svizzera Rts, i viticoltori locali si stanno liberano delle loro vigne addirittura «per la cifra simbolica di un franco».

CEMENTO AL POSTO DELL’UVA: PERSI 800 ETTARI IN 35 ANNI

Svizzera enotecario aggredisce chi compra vino estero spot che cela la crisi della viticoltura Vallese Valais

Sempre secondo l’inchiesta, si prevede che entro il 2022 saranno abbandonati 300 ettari di vigneti. Un dato fornito ad Rts dalla stessa Interprofession de la Vigne et du Vin du Valais, sulla base di un sondaggio effettuato fra i viticoltori locali.

L’abbandono dei vigneti riguarda soprattutto le aree meno meccanizzabili. La viticoltura eroica non costituisce dunque un’attrattiva per il governo svizzero e per le autorità del Vallese. A dimostrarlo sono i 500 ettari di vigneti spariti dal 1989 al 2019, in favore di progetti edili, più redditizi.

Cemento al posto dell’uva, insomma, in un’areale che oggi conta 4.804 ettari complessivi (dato 2018), pari al 33% della superficie vitata della Svizzera. Le varietà più allevate nel Vallese (61%) sono quelle a bacca rossa (tra cui Pinot Noir, Gamay, Syrah e Cornalin) accanto a un 39% di varietà a bacca bianca, perlopiù autoctone (Chasselas, Sylvaner, Arvine, Savagnin Blanc).

Per tentare di salvare la viticoltura del Vallese, l’Interprofession de la Vigne et du Vin du Valais, presieduta da Yvan Aymon, ha scritto al Consiglio di Stato, «proponendo una serie di misure, fra cui il raddoppio dei pagamenti diretti».

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Gli Editoriali news news ed eventi

Perché, se fossi vignaiolo, lo spot di Muccino sulla Calabria mi farebbe incazzare

EDITORIALECalabria Terra Mia è lo “spot” che la Regione ha commissionato a Gabriele Muccino, per promuovere le bellezze della Calabria. Il noto regista si prende 6,09 minuti di vita degli spettatori per raccontare, tra l’altro in ordine sparso e ripetuto, 20 concetti nel binomio testo-immagini.

Mare, montagna, bergamotto (“L’oro della Calabria”), coppola, clementine, cedri, mare, mare, clementine, asini, coppola, Adelaide (nome di persona), soppressata col finocchietto, Penelope (nome di persona), arance, “alla salute” (unico riferimento al vino, passando davanti a un’osteria), mare, mare, sole, fichi, mare.

Ce ne sarebbe qualcuno di più, ma questi sono i più immediati, che possono saltare all’occhio di chi guarda, anche solo distrattamente, il video. Se fossi un vignaiolo calabrese, sarei incazzato come un cinghiale. Non con Muccino, bensì con Regione Calabria.

Quello dell’amministrazione reggina è un tentativo sbiadito di mecenatismo, che per certi versi offende alcuni territori calabresi d’eccellenza, dove le tradizioni stanno scomparendo nel nome del vile Dio denaro.

Penso a vignaioli come Santino Lucà (a sinistra, nella foto, con i colleghi Cataldo Calabretta e Nino Altomonte) che nella sua Bianco (RC) si trova circondato da intere spianate di bergamotto, che pian, piano stanno sostituendo la vigna, riprendendosi lo spazio di un tempo. Qualcun altro dipinge il bergamotto come il vero “Oro della Calabria”: a quale lobby giova questo accostamento?

Non è certo colpa di un arrapato Raoul Bova o di una stralunata Rocìo Munoz Morales se, nel cortometraggio di Muccino, presentato da poche ore alla Festa del Cinema di Roma, pare più d’essere in Sicilia che in Calabria. Mi viene allora il dubbio che il punto sia questo.

La Calabria dei governanti non è ancora pronta ad essere se stessa. Non ha ancora trovato la sua strada. Non è ancora capace di commissionare un video che la racconti nel profondo. E per questo ricorre alle similitudini, con le regioni che negli anni hanno saputo costruire un brand forte. La Sicilia, per l’appunto, ancor più della Puglia.

Manca il vino, è vero, nel corto “Calabria Terra mia” di Gabriele Muccino. Ma questa è un’interpretazione di nicchia: esattamente quello che non va fatto, specie al cospetto di uno spot che punta ad attirare, genericamente, turismo internazionale.

Il vero problema è che, in questo spot, la Calabria appare sbiadita. La brutta copia di qualcosa che, il turista, sa già bene di poter trovare altrove. Magari abbinata a un bel calice di Grillo, Nero d’Avola o Negroamaro. Ma una domanda, su tutte, mi risuona nella testa: quante “Penelope” e “Adelaide” conoscete, voi, in Calabria?

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Vini al supermercato

Perché l’ultimo spot del Tavernello di Caviro è un autogol pazzesco (dei testimonial)

EDITORIALE – Tre sommelier esperti fanno degustare alla cieca quattro vini a degli aspiranti sommelier. Unico indizio fornito: tre sono vini costosi, uno è Tavernello. In realtà si scopre che sono tutti Tavernello. Basterebbe la trama dello spot per capire quanto i tre sommelier ingaggiati da Caviro siano stati oggetto di un autogol pazzesco, giustificabile (forse) solo dal compenso offerto per girare il video, in qualità di testimonial.

Già, perché l’ultima trovata di Caviro giova solo a chi l’ha promossa: ovvero a Caviro stessa. Dopo aver usato (per alcuni ab-usato) sapientemente lo storytelling per raccontare Tavernello come il frutto del sudore dei propri conferitori (spot dell’aprile 2018, a sua volta oggetto di critiche feroci da parte dei leoni del web) il colosso di Forlì, abilissimo nel marketing, ha pensato bene di armare i sommelier. Contro i sommelier.

La mia impressione, infatti, è che il target del video non siano i consumatori – ai quali Caviro intenderebbe raccontare il Tavernello come vino buono, a dispetto del pensare comune – bensì gli stessi sommelier.

La cooperativa non lo ammetterà mai, ma sarebbe meglio parlare di un vero e proprio “bersaglio“. Una rivisitazione in salsa Tetra Pak dell’Eneide di Virgilio, da leggere in quel passaggio in cui Laocoonte avverte i Troiani: “Timeo Danaos et dona ferentes”, “Temo i Dànai anche quando portano doni”.

Grazie ai tre professionisti che hanno girato lo spot, Caviro arma il proprio cannone contro le associazioni professionali, “colpevoli” di formare nuove schiere di enofighetti che bevono etichette, più che vini. Lo fa con classe, in punta di piedi.

Mettendosi addirittura in una posizione subalterna rispetto a quella delle tre pedine, scelte come vittime sacrificali, da esporre al prevedibile fuoco incrociato di critiche e ritorsioni.

Caviro, nell’ultimo spot, si traveste dietro le quinte da vecchio saggio che gioca a scacchi davanti al camino, con la coperta di lana sulle ginocchia. Mentre fuori piove a dirotto, sulla crapa di tre sventurati.

Manda loro a dire alla sommellerie che “così non va bene, suvvia”. Tanto è vero che i tre giudici fanno la ramanzina a quelli che vengono dipinti come il prototipo dei futuri sommelier: gente che, in fondo – pare suggerire lo spot – non capisce più di tanto di vino e si fa condizionare dal prezzo e dal marketing.

A guardar bene, il video, così come è costruito, non ha altro senso logico. Ci avete pensato? In una vera degustazione alla cieca non si conosce nessuno dei vini “coperti”, tanto meno il prezzo. Il solo suggerimento che uno dei vini in degustazione possa essere Tavernello rende vano lo scopo più alto del tasting alla cieca.

Per di più, anticipare che tre dei quattro vini siano costosi, non fa altro che disorientare ulteriormente gli sfortunati degustatori. Peraltro: aspiranti sommelier di quali associazioni? Non si sa. E il punto è proprio questo.

Con la scusa di una “blind”, Caviro arma genericamente tre sommelier contro le associazioni della sommellerie italiana. Senza neppure citarle. Facendo incazzare non poco – peraltro – uno come Daniele Cernilli (affezionato uomo Ais) che ha allontanato dal panel della sua guida uno dei tre testimonial, con cui collaborava in Toscana.

Il messaggio lanciato dall’azienda del Tavernello è chiaro e più che mai condivisibile. Di discutibile, forse, c’è solo la scelta dei tre sommelier, che si sono prestati a un attacco generalizzato e banale alla sommellerie, più che al mondo dei consumatori di vino distratti dalle variabili del formato, del prezzo e del segmento di vendita.

Ma del resto si sa: a questo mondo (at)tira più un contratto da testimonial che un carro di buo…ne intenzioni super partes. E allora cin, cin. Col brik, da stappare a la (B)olé. Altro che Champagne.

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birra

Birra Messina cristalli di sale

Uno spot pubblicitario, in onda dallo scorso 16 giugno, che scomoda una delle più emozionanti colonne sonore del maestro Morricone, mostra la dura bellezza della Sicilia e la racconta attraverso una poesia in dialetto siciliano. Dietro lo spot non solo un nuovo prodotto, Birra Messina cristalli di sale, ma anche un vero e proprio progetto industriale.

LA STORIA DI BIRRIFICIO MESSINA
Nata a Messina nel 1923, come “Birra Trinacria“, Birra Messina ha visto crescere la propria produzione soddisfando la domanda del sud Italia fino agli anni ’80 quando, a causa della concorrenza di marchi stranieri, si ebbero le prime avvisaglie di crisi. Nel 1988 marchio e stabilimento vengono acquistati da Dreher, gruppo Heineken. La produzione venne progressivamente spostata sull’impianto Dreher-Heineken di Massafra (Taranto) fino a giungere nel 2007 alla dismissione dell’impianto messinese.

Vicende alterne e vari tentativi di recupero fra il 2007 ed il 2011, anno delle definitiva chiusura. Nel 2013 15 ex operai decidono di investire il loro TFR per rilevare il birrificio fondando la “Cooperativa Birrificio Messina” per far riprendere la produzione di marchi locali.

Nel 2016 un nuovo impianto ed a gennaio 2019 la svolta: un accordo quinquennale con Heineken per produrre 25 mila ettolitri anno (la restante quota continuerà ad essere prodotta a Massafra) della nuova Birra Messina cristalli di sale.

Una bella storia di coraggio ed imprenditoria locale per la salvaguardia del lavoro, del territorio, dell’identità culturale. Ma dietro al progetto industriale, dietro alla nuova etichetta luminosa nel suo giocare col bianco e l’azzurro, coi decori tipici del barocco siciliano e con la nave simbolo di un luogo fulcro della comunicazione, com’è questa nuova birra? Winemag l’ha assaggiata per voi.

LA DEGUSTAZIONE
Birra di malto a bassa fermentazione stile Lager la Cristalli di sale vede nella propria ricetta proprio l’utilizzo di sale marino delle saline di Trapani. Piccole quantità aggiunte col luppolo a fine bollitura per esaltare i sapori senza rendere la birra “salata”.

Colore dorato, leggermente opaco ma al contempo luminoso. Schiuma bianca, soffice e compatta. Non particolarmente intesa al naso ha profumi freschi, agrumati e floreali. In bocca si comporta meglio che al naso regalando un sorso morbido e vellutato.

Piuttosto pieno il corpo se paragonato ad altri marchi industriali dello stesso gruppo. Piacevole e delicata lascia la bocca pulita con una punta di salinità (chissà, forse data proprio da quel pizzico di sale in ricetta) che invita al sorso successivo.

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Doc Sicilia: ridotte le rese per ettaro del Grillo

MENFI – Il Consorzio di Tutela vini Doc Sicilia ha deciso di abbassare a 110 quintali per ettaro la resa delle uve della varietà di Grillo che saranno vendemmiate quest’anno.

La scelta, deliberata dall’assemblea dei soci riunitisi il 24 luglio, è motivata dalle previsioni di una vendemmia che darà buoni risultati in linea con l’obiettivo che la Doc persegue fin dalla sua nascita: puntare sulla qualità delle uve.

Una linea che viene premiata da un crescente apprezzamento da parte dei consumatori di Grillo Doc, un vino che continua ad aumentare i volumi delle vendite anche grazie alla campagna pubblicitaria in tv e sul web lanciata ad inizio di luglio.

“Il grande riconoscimento che sta ottenendo il Grillo da parte dei consumatori – dice il Presidente del Consorzio di tutela vini Doc Sicilia, Antonio Rallo “ci ha spinti a realizzare una promozionale estiva in tv e sul web con uno spot che mette in risalto la grande versatilità di un vino capace di racchiudere in sé un mosaico di sapori e colori che sa esprimere il meglio della viticoltura siciliana”.

“Nei primi 6 mesi di quest’anno il trend dell’imbottigliato del Grillo ha già raggiunto il +26% rispetto allo stesso periodo del 2018, anno in cui sono state prodotte 15 milioni di bottiglie” ha detto Filippo Paladino, Vicepresidente del Consorzio di Tutela vini Doc Sicilia.

LO SPOT DEL GRILLO
Girato tra i faraglioni di Scopello e i grattacieli di Milano, lo spot “Il Grillo della Doc Sicilia è un vino che ti sorprende ogni volta” è in onda sulle reti tv Rai, Mediaset e Sky, ed è visibile anche sui principali siti internet di informazione, food & wine, lifestyle.

Lo spot sul Grillo è una delle azioni di promozione che il Consorzio di Tutela vini Doc Sicilia ha organizzato in Italia e che si aggiunge alle attività di marketing ed informazione in Usa, Cina e Germania dedicate ai principali stakeholder e alla promozione B2C mirata ai consumatori.

La Doc Sicilia nel 2018 ha prodotto 80 milioni di bottiglie.

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birra news

Borghese in abbazia con Birra Leffe: chi si beve lo spot?

Da poco più di un mese è in rotazione sulle principali reti televisive e sui social la nuova campagna pubblicitaria di Birra Leffe. Protagonista degli spot lo chef e personaggio televisivo Alessandro Borghese.

La serie di spot (spot 1, spot 2, spot 3) gioca su parole che evocano concetti di tradizione, scoperta, storia e cultura. Le immagini fanno altrettanto, con riprese ambientate all’interno dell’abbazia belga di Leffe e la presenza di un monaco – tale Frate Hervé – che spiega a chef Alessandro Borghese le caratteristiche della birra dell’abbazia.

Nulla di male in tutto questo. Non fosse per un dettaglio: la Birra Leffe non è prodotta in monastero, non è prodotta dai monaci e di tradizionale, ormai, le è rimasto ben poco! Leffe è infatti un marchio prodotto da AB InBev, la più grande multinazionale della birra. Un prodotto industriale.

Nulla contro Birra Leffe in sé, capace di proporsi sul mercato con etichette più che dignitose – specie al supermercato – dall’interessante rapporto qualità prezzo. Birre di cui già ci siamo occupati anche noi di vinialsuper, recensendo positivamente le versioni Royale Whitbread GoldingRoyale Mount Hood (ed altre ne seguiranno).

Troviamo però fuorviante accostare il marchio Leffe all’ambientazione monastica. Il rischio è quello di illudere il “consumatore medio”. Occorre quindi fare un minimo di chiarezza su cos’è la “birra d’abbazia” e su quali birre sono effettivamente prodotte da una comunità monastica e quali, invece, no.

BIRRA TRAPPISTA E BIRRA D’ABBAZIA
Esistono infatti birre prodotte da Abbazie. Sono le così dette “Birre Trappiste”, prodotte da monaci Cistercensi della Stretta Osservanza (o Trappisti). Una birra, per potersi definire “Trappista”, deve rispondere a tre regole.

  1. Deve essere prodotta all’interno delle mura di un’abbazia trappista, da parte di monaci trappisti o sotto il loro diretto controllo
  2. La produzione e l’orientamento commerciale devono dipendere direttamente dalla comunità monastica
  3. I ricavi devono essere destinati al sostentamento dei monaci ed alla beneficenza

Sono 11 i monasteri al mondo che rispondono a queste regole (6 in Belgio, 2 in Olanda, uno in Austria, uno negli USA ed uno in Italia). Le loro birre le riconoscete facilmente: riportano in etichetta il logo esagonale “Authentic Trappist Product”.

Differente discorso per le “Birre d’Abbazia” (come Leffe). Queste sono birre industriali che si fregiano del nome e marchio di una Abbazia, con o senza accordi commerciali con monasteri esistenti o estinti.

Birre che non necessariamente si rifanno a ricette tradizionali di quell’abbazia. Per esempio proprio le due sopra citate, Leffe Royale Whitbread Golding e Royale Mount Hood, o la nuova Leffe Ambrèe (lanciata da Borghese e Leffe attraverso i nuovi spot) rispondono a ricette di recente concezione, nate per soddisfare determinati segmenti di mercato.

LA STORIA DI LEFFE
La storia di Leffe ci aiuta a capire come un prodotto, nato fra le mura di un’abbazia, sia diventato un prodotto industriale. Fondata nel 1152, l’abbazia di Notre Dame de Leffe a Leffe, oggi quartiere di Dinant in Vallonia, iniziò a produrre birra nel 1240.

Lo scopo era quello di ottenere una bevanda sana, in un periodo di continue e pericolose epidemie. L’abbazia conobbe periodi di crescita e splendore fino alla rivoluzione francese, durante la quale il birrificio venne distrutto.

La produzione di birra ripartì solo nel 1952, grazie alla collaborazione con un birrificio di Bruxelles, successivamente acquisito dalla multinazionale AB InBev.

LUCI ED OMBRE
Un’iniziativa pubblicitaria a chiaroscuri, quindi. Accostare il nome di Leffe ai valori ed alla tradizione brassicola monacale nordeuropea è, evidentemente, una forzatura prettamente commerciale.

Dall’altro lato il fatto che uno chef “televisivo” come Alessandro Borghese metta il volto a favore di una birra che, una volta tanto, non sia la solita lager bionda, può nobilitare (speriamo) la percezione della birra al grande pubblico.

Luci ed ombre. Ombre poiché viene da chiedersi se, in un Paese che conta quasi mille birrifici artigianali che costantemente cercano tipicità e particolarità nelle loro produzioni, chef, influencer, critici gourmet e personaggi televisivi vari non possano – una volta tanto – spendere una parola a favore di un movimento in continua crescita. In continuo fermento (ci sia perdonato il gioco di parole).

Quando lo chef Carlo Cracco ha associato il proprio volto agli spot delle patatine della milanese San Carlo, da ogni dove si sono sollevate critiche. Operatori del settore e semplici consumatori sono rimasti interdetti di fronte al binomio “chef stellato – patatine in busta”.

Perché non capita altrettanto col binomio “chef – birra commerciale“? Probabilmente perché nessuno considera la birra un bene che possa essere “non commerciale”, un bere “nobile”. Ci auguriamo che questa serie di spot possa contribuire ad uscire da questa errata percezione.

Luci, quindi. Luci all’orizzonte. Vogliamo sperare che a partire da Borghese molti chef, stellati o meno, vogliano iniziare a trattare la birra alla pari del vino. Ad inserirla nelle proprie carte dei vini col rispetto che merita.

A considerarla negli abbinamenti coi loro piatti. A considerarla come ingrediente di cucina non solo per lo “stinco alla birra”. Avete notato la penuria di offerta brassicola nelle carte dei vini dei ristoranti?

E pensare che ogni regione italiana ha vari birrifici artigianali che fanno della territorialità (o anche dell’internazionalità) il loro punto di forza. Basterebbe davvero un minimo sforzo per iniziare a valorizzarli anche all’interno della ristorazione.

Ci piace pensare che anche una campagna pubblicitaria “furba”, come quella di Leffe, possa in qualche modo aiutare il mondo il della Birra ad uscire dall’anonimato.

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Vini al supermercato

Lode al nuovo spot Tavernello

C’è una parte (cospicua) di mondo del vino italiano (commentatori, esperti, presunti tali, simpatizzanti e produttori, convenzionali e non) che è convinta che il Tavernello sia una specie di spremuta di merda prodotta da stronzi in dissenteria cronica. Un giorno si sono svegliati e, non sapendo che altro fare, hanno iniziato a produrre vino in brik per i supermercati.

E’ a tutta questa fetta di pubblico italiano che parla il nuovo spot del Tavernello. Un’idea di Lorenzo Marini Group, l’azienda pubblicitaria che ha convinto maggiormente Caviro tra le quattro in “gara” a inizio anno.

Della pianificazione della campagna pubblicitaria, in onda da domenica 8 aprile in tv, sulla carta stampata e sui mezzi di comunicazione digitale, si occupa invece Media Italia.

Due agenzie di grido, insomma. Perché è un “grido” che lancia Caviro. Che tenta con questo spot un riposizionamento concettuale – quasi filosofico – del brand. La risposta (pacata) del gigante a tante formichine insolenti.

E il vero scandalo è proprio questo. Ovvero che una Cooperativa da 300 milioni di fatturato debba investire denaro per spiegare a qualcuno che non sta vendendo merda, o veleno. Ma vino. “Vino vero”. “Il prodotto della fermentazione alcolica di mosto d’uva”, come insegnano ai ragazzini delle scuole alberghiere, o ai corsi sommelier.

Caviro deve difendere, attraverso uno spot, il prodotto che l’ha resa la prima cantina italiana nel mondo: il Tavernello. Frutto del lavoro di 13 mila viticoltori, che arriva sulle tavole di 4 milioni di italiani.

E allora ecco che questo, più che uno spot, pare tanto una preghiera. Un inno al rispetto non tanto del brand, o del vino in sé, col marchio Tavernello – che sia in brik o in bottiglia – ma chi ci sta “dietro”.

Un inno al rispetto di chi “lavora la terra”. Un inno a chi la “coltiva, pota le viti e raccogliere i suoi frutti”. Un inno a chi “controlla gli acini, aspetta la pioggia se non arriva” e si “brucia la pelle se c’è troppo sole”. Perché la Cooperativa paga per la qualità dell’uva conferita. E allora è meglio fare un buon lavoro in vigna.

Un inno al rispetto di chi, orgogliosamente, lavora per Caviro e per il suo indotto. Non è un’iperbole, per tutta questa gente, parlare di Tavernello come di un “vino che fa battere il cuore”, o che “gonfia il petto” e “non ti fa sentire mai stanco”. Per tutte queste famiglie, il Tavernello, è davvero un motivo “orgoglio”.

“Quello che tu trovi semplice, noi lo troviamo difficile”, recita la prima frase dello spot, in apertura di quello che la stessa Caviro descrive come uno “storytelling emotivo“. Una vera e propria chiamata alla riflessione. Per superare le facili ironie che, quasi quotidianamente, vedono Tavernello protagonista.

Il gigante, così, fa un passo indietro. E mostra le sue 13 mila facce. Deridere il vino in brik vuol dire prendersi gioco di tutti loro. Di chi si sveglia quotidianamente per produrlo. Dalla vigna ai laboratori enologici. Vuol dire deridere le anime di 30 cantine della galassia Caviro. E un interno team di enologi, tra i migliori al mondo.

Una squadra che, nello stabilimento di Forlì, effettua campionature e assaggi alla cieca con cadenza pressoché settimanale, per garantire la continuità del gusto di un prodotto che non vuole esprimere tipicità, ma piuttosto semplicità e memoria gusto-olfattiva.

Quello di Caviro, con Tavernello, è un altro modo di concepire il vino. Lo stesso utilizzato per altri prodotti, come per esempio il caffè. Andate al supermercato e dirigetevi nella corsia dedicata. Cercate tra i tanti caffè uno dei più amati dagli italiani: il Lavazza Qualità Rossa.

Fatto? Girate la confezione e leggete cosa c’è scritto nell’angolo, in basso, a destra. Vi aiutiamo noi: “Al fine di mantenere la perfetta costanza del gusto, l’origine geografica del caffè può variare a seconda delle caratteristiche annuali del raccolto”.

Nulla di più normale. Per chi punta a produrre un prodotto “standard”, la regola numero uno è la continuità del gusto. Una continuità organolettica che il Tavernello garantisce da Milano a Palermo, da New York a Hong Kong. Ma non attraverso chissà quali aggiunte chimiche vietate, o magheggi enologici di laboratorio.

Il segreto del gusto “standard” di Tavernello sono i 30 territori delle 30 cantine da cui può attingere Caviro per la produzione del suo vino simbolo. Un puzzle di vigneti situati da Nord a Sud Italia, da dove poter pescare uve qualitativamente atte a garantire il medesimo risultato. Di anno in anno. E di vendemmia in vendemmia.

Immaginate di avere a disposizione uve da tutto il Paese per produrre il vostro vino: usereste anche voi quelle migliori, raccogliendole dai territori dove il clima ha garantito le perfette condizioni di maturazione. Questo è Tavernello. Semplicemente questo.

E allora ecco di seguito il testo dello nuovo spot, dedicato a tutti quelli che nei bar social, dall’8 aprile, si sono sono lasciati andare alle solite, facili, ritrite ironie.

Troviamo duro lavorare la terra con tutto il rispetto che merita. Troviamo duro coltivare, potare, tagliare e raccogliere i suoi frutti. Troviamo duro selezionare le viti, controllare gli acini, aspettare la pioggia se non arriva, bruciare la pelle se c’è troppo sole.

Siamo in tredicimila, raccogliamo il nostro lavoro in 30 cantine, in tutto il paese. Dalla creatività della primavera alla generosità dell’autunno. Senza mai risparmiare sul tempo. Che un vino nasce dalla generosità. Ma anche dall’orgoglio. Quello che ti fa battere il cuore, che ti gonfia il petto, che non ti fa sentire mai stanco.

Quello che ti fa diventare il più grande produttore italiano di vini,  che ti fa portare nelle tavole di tutta Italia un vino vero, un vino forte, un vino di casa.

Dalle nostre cantine nasce questo sangue della terra color rubino. Morbido come il velluto e buono come il pane. Semplice come il vento e armonioso come un canto. Forte come l’amore. Ma quello che tu trovi semplice, per noi non è cosi facile. Noi di Caviro, la più grande cantina d’Italia. Tavernello. Semplice non vuol dire Facile.

http://www.vinialsupermercato.it/caviro-gigante-del-tavernello-slow-wine-rock-n-roll/

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Bellavista Alma Gran Cuvée in regalo all’Esselunga: in palio 60 mila bottiglie

MILANO – Nuovo concorso riservato ai clienti Esselunga. Dal 14 al 24 dicembre sarà possibile vincere in cassa una delle 60 mila spese gratuite in palio. Ma anche una delle 60 mila bottiglie Franciacorta Docg “Alma Gran Cuvée” di Bellavista.

Il montepremi complessivo ammonta a circa 5 milioni di euro. Il concorso Esselunga sarà veicolato anche attraverso uno spot televisivo della durata di 15 secondi realizzato da Armando Testa e ispirato alla nuova creatività basata sugli emoji.

Dopo il successo dell’iniziativa 2016 (51 milioni di Rollinz distribuiti, 300 mila download della App gioco dedicata, 600 mila raccoglitori venduti) Esselunga lancia così una nuova edizione della collezione Rollinz di Star Wars. Bagnandola con uno dei brand più noti della Franciacorta.

Giusto o sbagliato? Ai clienti piacerà di sicuro. Di fatto, il Franciacorta Docg “Alma Gran Cuvée” Bellavista è in vendita a circa 24 euro nei supermercati Esselunga. Lo stesso vino, in formato magnum, è presente sul volantino “Sotto l’albero – Idee regalo per un magico Natale” dell’insegna milanese, a 59 euro (prezzo pieno).

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Gerry Scotti senza vergogna: altro spot a Caduta Libera. Interverrà l’Antitrust?

Nuova edizione, stesso copione. A Caduta Libera, il vignaiolo (in affitto) Gerry Scotti sfida ancora l’Antitrust. Con l’ennesima réclame dei suoi (costosi) vini, in vendita al supermercato.

Una trama già vista nei mesi scorsi, riproposta dal conduttore pavese a un quarto d’ora dall’inizio della trasmissione andata in onda ieri, giovedì 14 settembre.

A offrire il pretesto a Scotti è, come di consueto, una domanda a tema “vino” indirizzata a uno dei partecipanti al quiz. “Travasare un vino rosso di pregio per favorirne la decantazione”. Dieci lettere. La risposta è “Scaraffare”. La concorrente non risponde e finisce nella botola. Non prima di sorbirsi lo spot dello Zio Gerry.

“Tu prendi uno dei miei vini. Sai che faccio vino nel tempo libero? L’hai assaggiato già? Vuoi assaggiare il rosso, il bianco o il rosè? Alla salute!”.

Secondo il listino “Autunno 2017” di Publitalia ’80, concessionaria esclusiva del Gruppo Mediaset per le trasmissioni delle reti in chiaro, 30 secondi di pubblicità su Canale 5 – durante Caduta Libera – costano da 26 a 56 mila euro. Un bel risparmio per lo Scotti nazionale. Non resta che visionare il video-frammento della puntata, con una previsione: entro Natale, a Caduta Libera, si parlerà di spumante.

*disclaimer
Questo è l’ultimo articolo-denuncia che la testata vinialsupermercato.it dedica a Gerry Scotti. In un Paese con la “P” maiuscola, un’Antitrust con la “A” maiuscola sarebbe già intervenuta, ammonendo formalmente il conduttore. Confidando in un pronto intervento delle istituzioni e nel rispetto delle migliaia di lettori che confermano quotidianamente la fiducia alle presenti “colonne digitali”, vinialsuper eviterà di trattare ancora il tema Scotti per non offrire al conduttore ulteriore spazio-pubblicità gratuito, evidentemente necessario alla spinta delle vendite di vini costosi e poco rappresentativi dell’Oltrepò pavese

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Luca Gardini, spot per i vini del discount Eurospin: l’intervista

Il miglior sommelier del mondo presta il volto per pubblicizzare i vini di un discount. Non è una barzelletta. Succede per davvero. A 6 anni dal prestigioso riconoscimento della Worldwide Sommelier Association, Luca Gardini si rimette in gioco. E lo fa con Eurospin. La nota catena di discount italiani ha sottoposto al 35enne di Cervia una serie di assaggi. “Alcuni – spiega Gardini – mi hanno piacevolmente sorpreso al primo sorso. Su altri ci siamo confrontati e siamo giunti alla selezione finale. Da lì il progetto di realizzare una linea ‘garantita’, ma in pieno spirito Eurospin, senza brand per contenere i prezzi”. Così, il ‘mezzobusto’ del sommelier emiliano finisce dritto sulla home page del sito web del colosso di San Martino Buon Albergo (Verona). E sui volantini cartacei. Tra una confezione di prosciutto di San Daniele e quattro cotolette agli spinaci a prezzo stracciato, of course.

“Vini Doc, Igt e Docg integralmente prodotti in alcune delle più vocate zone viti-vinicole italiane”, quelli selezionati da Luca Gardini per Eurospin. Si passa dal Barbera D’Asti Docg Superiore a 2,39 euro al Nero D’Avola Terre Siciliane Igt a 1,85. Spazio anche per i vini bianchi. Come il Muller Thurgau Vigneti delle Dolomiti Igt a 2,99 euro, o il Fiano del Sannio Dop a 4,29 euro. Senza dimenticare rosati come quello del Salento, a 1,99. O vini frizzanti come il Pignoletto del Reno Igt a 2,29 euro, o il Verduzzo del Veneto Igt a 1,69. Gardini si materializza in persona in brevi video, sempre sul web, e ne presenta le caratteristiche. Consigliando gli abbinamenti. E tra un bicchiere e l’altro, trova il tempo per rispondere alle domande di vinialsupermercato.it.

Luca Gardini, miglior sommelier del mondo 2010, presta la sua figura per pubblicizzare i vini di un “discount”: com’è nata l’iniziativa?
Credo che tutti abbiano il diritto di bere vino e, anche se non possono o non sono disposti a spendere molto, debbano avvicinarcisi informati, consapevoli, incuriositi

Il miglior vino della cantina Eurospin nel rapporto qualità-prezzo? Nei mesi scorsi, noi abbiamo scovato un buon Aglianico del Salento
A voi la scelta, sono tutti vini che raccontano territori diversi, non ne esiste un preferito, ma di sicuro c’è il preferito per ogni occasione. Potrei comunque fare quello politicamente scorretto e scegliere il Lambrusco della mia Romagna.

Il vino e la Gdo moderna: qual è la sua opinione?
Il tempo a disposizione è sempre meno e poter trovare tutto ciò di cui abbiamo bisogno in un unico luogo, il supermercato per l’appunto, è un vantaggio di questi tempi moderni. La Gdo sta crescendo e non si interessa di vini solo a buon mercato, ma è sempre più attenta alla qualità e alla cura del cliente. Quest’esperienza ne è stato un esempio

In Italia esistono ancora vini “da discount” o “da supermercato”, nell’accezione negativa del termine?
Esisteranno sempre, ovunque. Penso sia per questo che figure come la mia vengono interpellate

Come si sceglie un buon vino al supermercato?
Documentandosi senza dubbio, e poi “sperimentando”. Ognuno ha il suo palato e va rispettato, non finirò mai di ripeterlo. Importantissimi sono anche la presentazione e lo stato di conservazione del vino o del prodotto alimentare che sia

Luca Gardini acquista vini al supermercato? Se sì, quali?
Confesso di avere poco tempo per andare al supermercato. Per fortuna ho qualcuno che ci va al posto mio, ma quando sono in viaggio mi soffermo sempre a guardare quali vini (e come) supermercati e Autogrill propongono al pubblico in giro per l’Italia e per il mondo

Vino e marketing: quanto conta oggi l’immagine e quanto la sostanza?
Quando l’immagine è sinonimo di garanzia non faccio distinzioni. Ricordiamoci che stiamo parlando di prodotti alimentari, la sicurezza prima di tutto. E poi, senza sostanza, l’immagine sarebbe bidimensionale. Non so se mi spiego…

Lo stato di “salute” del vino in Italia: una fotografia di Luca Gardini. Quali prospettive per il vino italiano nel mondo?
Il vino italiano nel mondo non ha ancora la posizione che merita. Dobbiamo collaborare tra italiani, produttori – giornalisti – testimonial, e unire le forze per farlo conoscere sempre di più. Perché chi lo prova, poi non torna più indietro

L’area vitivinicola più sottovalutata d’Italia? Quella, invece, più sopravvalutata
Sottovalutata forse la Sicilia. Ho bevuto grandi Nero d’Avola negli ultimi anni. Con mio grande piacere uno è anche arrivato al 4° posto della classifica Tws-Biwa, di cui sono fondatore con Andrea Grignaffini, che vede premiati i 50 migliori vini italiani da parte di una giuria di esperti internazionale. Sopravvalutata non saprei: amo troppo il vino per dire che qualcosa è “troppo”.

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