Angelo Gaja ha espiantato circa 1,14 dei 4,34 ettari di vecchie piante di Nebbiolo del suo vigneto Sorì San Lorenzo. Si tratta della parcella dalla quale nasce l’omonimo Barbaresco, tra i vini simbolo della cantina, nonché icona della regione vinicola piemontese. Un vino ricercato da collezionisti di tutto il mondo, entrato nel mito per il suo legame viscerale con il noto produttore. Forse anche per questo, Gaja è restio a commentare la decisione.
«La mia cantina non ha un sito web, figurarsi se voglio comunicare i dettagli sui lavori in corso al vigneto», sono le pochissime parole che l’imprenditore classe 1940 concede al telefono prima di riagganciare, salutando con la fretta di chi non vuole rilasciare alcuna dichiarazione. Un invito (indiretto) ad approfondire ancora più da vicino la notizia. Sul posto, di fatto, il (nuovo) colpo d’occhio del vigneto parla da sé.
Gli 1,14 ettari estirpati di Sorì San Lorenzo, nel cru Secondine, si presentano come la tavola spoglia di un ristorante stellato. Una macchia di colore marrone chiaro, con venature biancastre, tra le verdi file delle piante risparmiate dall’estirpo, e il bosco che scivola a valle. Il suolo si trova da giorni sotto l’assedio di pesanti cingolati. Sono almeno due gli operai intenti a livellare il vigneto, molto ripido, in attesa del probabile reimpianto.
Un cumulo di vecchie viti strappate dalla terra fa mostra di sé prima della fine della strada, a pochi passi dal cartello che indica il Cru Secondine. Una seconda catasta si trova sotto un albero, ai piedi del vigneto. È l’immagine perfetta di un pezzo di storia che se ne va. Un po’ per vecchiaia. Un po’, forse, per via una scelta imprenditoriale che sta facendo certamente discutere in tutta la zona. Senza spiegazioni ufficiali, è solo possibile ipotizzare quali siano le ragioni che hanno portato Angelo Gaja a sradicare un terzo del suo iconico vigneto di Nebbiolo.
GAJA E L’ICONICO BARBARESCO SORÌ SAN LORENZO
Siamo sul versante occidentale della denominazione, a pochi passi dalle sponde del fiume Tanaro, che divide Langhe e Roero. Una zona mitigata dalla presenza del corso d’acqua, in cui le piante di Nebbiolo, con età media di 75 anni, maturavano prima rispetto a molte altre zone di Barbaresco. Qualche vicino racconta come Gaja fosse tra i primi a raccogliere le sue uve in zona, raggiungendo ottimali gradi di maturazione senza il rischio di compromettere la qualità, a causa delle piogge. Quello che anni fa poteva essere un vantaggio, potrebbe poi essere diventato un ostacolo a fronte dei cambiamenti climatici.
Ecco perché è possibile ipotizzare che l’estirpo degli 1,14 ettari di Sorì San Lorenzo possano essere dettati, oltre che dall’anzianità delle piante, anche dalla scelta di impiantare un diverso clone di Nebbiolo, a maturazione tardiva: del resto sono 95 quelli ammessi all’interno della Denominazione. Da escludere, in merito al prossimo colpo d’occhio del vigneto, l’ipotesi del cosiddetto “ritocchino”, non più praticabile nelle Langhe divenute patrimonio Unesco.
Questa tecnica, infatti, prevede sì la disposizione dei filari nel verso della massima pendenza (nel caso specifico si raggiunge almeno il 30%) ma causa tuttavia problemi di erosione. Gli stessi che sono già ben visibili nella parte alta della porzione di vigneto espiantata, di proprietà di proprietà di altri vignaioli, dove è presente una scarpata piuttosto ripida.
GLI ALTRI PRODUTTORI DEL CRU SECONDINE
Di fatto, Angelo Gaja non è il solo a possedere vigneti all’interno del cru Secondine. Oltre a lui, capace di dare notorietà alla zona proprio grazie al suo vino Sorì San Lorenzo, ci sono La Spinona, i Produttori di Barbaresco e, da qualche anno, Stefano Sarotto, che alleva il vigneto di proprietà della moglie, Nora Negri (il primo Barbaresco, secondo indiscrezioni, porterà l’annata 2020 in etichetta).
Piccolissime porzioni sono poi di proprietà di altri privati. Non c’è solo Nebbiolo nel Cru Secondine, situato tra i 170 e i 245 metri sul livello del mare. Del 76% attualmente piantato a vigna, solo il 70% è da iscrivere al vitigno principe delle Langhe del Barolo e del Barbaresco. Il 15% è Barbera, l’8 a Langhe rosso 8% (Freisa, per esempio).
La parte restante è a Langhe Bianco, dunque a varietà di uve a bacca bianca (per esempio Chardonnay). I ben informati sanno che è lo stesso Gaja ad aver prodotto nella storia, in alcune annate, il suo Sorì San Lorenzo come Langhe Nebbiolo, al posto di Barbaresco. Il tutto giustificato con l’aggiunta di un 5% di Barbera al Nebbiolo. Una scelta che, almeno potenzialmente, avrebbe consentito un cospicuo surplus di produzione, calcolabile in media attorno al 25% in più.
Il tutto senza cambiare il prezzo, essendo Sorì San Lorenzo un vino icona, entrato nella storia dei grandi vini rossi italiani capaci di conquistare il mondo. E se è vero che “Sorì”, in piemontese, indica la porzione di vigneto più calda, perché ben esposta al sole, il futuro non potrà che essere luminoso. Anche in seguito all’estirpo.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Il nome Piemonte deriva dal latino Pedemontium, cioè la regione situata “ai piedi dei monti”. In origine tale nome era limitato a un territorio molto più ristretto dell’attuale, compreso tra il corso superiore del Po e il Sangone.
In seguito si estese sempre più, seguendo le fortune dei Savoia, fino a comprendere il Canavese, il Monferrato, le Langhe, le valli alpine, il Vercellese e il Novarese.
Proprio le Langhe e il suo vitigno principe, il Nebbiolo, sono l’oggetto del nostro wine tour. L’etimo del nome “Langa”, che in piemontese indica proprio la collina, è incerto. L’ipotesi più accreditata è quella di “lanka” con il significato di “conca, avvallamento”.
Le Langhe sono una regione del Piemonte situata a cavallo delle provincie di Cuneo e di Asti, confinante con altre regioni storiche del Piemonte, quali il Monferrato ed il Roero ed è costituita da un esteso sistema collinare delimitato dai fiumi Tanaro, Belbo, Bormida di Millesimo e Bormida di Spigno.
IL NEBBIOLO
L’origine del nome, un tempo scritto “Nebiolo”, pare derivare dal latino “nebia”, probabilmente dovuto al fatto che il periodo di raccolta è quello in cui le prime nebbie iniziano a salire dal fiume Tanaro verso la sommità delle colline.
Un’alternativa a tale ipotesi è collegata alla pruina biancastra che ricopre gli acini: la “pruina”, una cera secreta che produce un rivestimento biancastro sugli acini, concentrando sulla loro superficie i lieviti.
Il termine Nebbiolo apparve per la prima volta nelle Langhe il primo dicembre 1431, ed era riferito ad una varietà di vitis vinifera che qui aveva trovato il suo habitat naturale, e dai cui grappoli si otteneva un vino già allora lodato ed apprezzato.
In tutto il territorio delle Langhe il Nebbiolo viene considerato il re dei vitigni: ad esso vengono riservati i terreni migliori, vale a dire i versanti collinari esposti a mezzogiorno, con altitudine compresa tra i 200 e i 400 m slm.
Si tratta di una varietà molto vigorosa che richiede potatura lunga con 10-12 gemme, il cui bisogno di spazi si accentua grazie alla sterilità delle prime 2-3 gemme, che impediscono un infittimento d’impianto sul singolo filare; a tale scopo è possibile ridurre la distanza tra i filari.
Le Langhe si sono formate durante il Miocene (da 15 a 7 milioni di anni fa), per sedimentazioni successive di rocce prevalentemente terrigene (conglomerati, arenarie, argille).
I terreni delle zone del Barolo e del Barbaresco, formatisi in età Elveziana (era geologica che va da 15,97 a 13,82 milioni di anni fa, e Tortoniana, che va tra 7, 24 e 11,60 milioni di anni fa) sono composti da marne argillo- calcaree sedimentarie intervallati da strati di sabbia più o meno compatta e da arenarie di colore grigio- bruno.
BAROLO E BARBARESCO I terreni delle zone del Barolo e del Barbaresco si sono venuti a formare in Età Elveziana e Tortoniana e sono prevalentemente composti da marne argillo- calcaree sedimentarie, intercalate in strati di marne più o meno importanti di colore grigio- azzurro (dette Marne di Sant’Agata) e da strati di sabbia o arenarie di colore grigio- bruno e giallastro ( le così dette Arenarie di Diano).
Le Marne di Sant’ Agata che troviamo nei comuni di La Morra e Barolo danno origine a vini eleganti, profumati dalla maturazione un po’ più veloce, mentre le Arenarie di Diano (presenti nelle zone di Castiglione Falletto e in parte in quelle di Monforte) danno origine a vini più alcolici, più robusti e più longevi. Nella zona del Barbaresco predominano le Marne di Sant’Agata di origine tortoniana.
Nell’ambito di una zona completamente caratterizzata dal clima continentale temperato, i dati termici dimostrano che il comprensorio del Barbaresco gode di temperature lievemente superiori, rispetto ai comuni di Barolo con conseguente anticipazione della maturazione delle uve e della vendemmia di circa una settimana.
Nelle Langhe il mese più piovoso è maggio che registra precipitazioni medie vicine ai 100 millimetri, seguito da aprile (circa 80) e settembre (vicino ai 70). È evidente che l’influenza della pioggia può essere notevole sia in fase di fioritura (dove è in grado di determinare riduzioni produttive anche consistenti) sia in fase di raccolta (dove periodi di pioggia prolungata possono comportare problemi di muffe o marciumi).
Più in generale, modificando sensibilmente la qualità del prodotto finale. L’eccesso di pioggia nel periodo pre vendemmiale può, provocare una caduta di acidità non supportata da un incremento di zuccheri. Il Nebbiolo è senza dubbio un vitigno resistente, la zona è caratterizzata da una luminosità decisamente alta, che garantisce l’ottimale svolgimento della fotosintesi clorofilliana.
Altro fenomeno meteorologico di particolare rilievo è costituito dalla grandine, che può avere conseguenze sia sulla quantità dell’uva: in annate particolarmente flagellate si può arrivare a riduzioni complessive del 20-30%, con alcune zone in cui l’uva viene completamente rovinata, come è avvenuto nei raccolti del 1986 e del 1995. Per fortuna, la grandine non si avverte mai in modo generalizzato su tutta la zona, limitandosi a qualche fascia collinare.
GASTRONOMIA NELLE LANGHE: GLI ABBINAMENTI CIBO-VINO “Non di solo pane vive l’uomo”, Matteo 4,4 e Luca 4,4. Ma resistere, in Langa, è quasi impossibile. La cucina piemontese ha sicuramente risentito, nel corso dei secoli della vicinanza di quella francese, ma pur subendone l’influsso, ha conservato una sua inconfondibile fisionomia di schiettezza ed originalità.
Il Piemonte è una regione che offre ai visitatori una vastissima gamma di antipasti caldi e freddi, come i crostini di tartufo d’ Alba, il carpaccio di carne cruda condita con olio extra vergine d’oliva e una spolverata di pepe nero, i salumi crudi e cotti nel cui impasto viene messo spesso del vino nobile maturo come Barolo, Barbaresco, e Barbera d’Alba. Per gli antipasti sarebbe opportuno stappare un buon Barbera.
Tra i primi piatti, i più importanti e ricercati sono gli agnolotti del plin, nome che deriva dal gesto fatto per chiudere la pasta, ripiena in più versioni con carne magra, arrosto o al tartufo.
Da non dimenticare i tajarin al tartufo, pasta fatta in casa con 30 tuorli d’ uovo per chilo di farina, tagliata molto fine, condita con abbondante burro, parmigiano reggiano e sottili scaglie di tartufo. Da abbinare un Barbaresco.
Passando alle pietanze più ricercate dagli amanti della buona cucina, ricordiamo il brasato al Barolo, manzo marinato e stufato lentamente nel vino omonimo da abbinarsi con lo stesso Barolo con cui si è marinata la carne.
GAJA: LA STORIA La famiglia Gaja si stabilì in Piemonte a metà del diciassettesimo secolo. Cinque generazioni si sono alternate nella produzione di vino da quando Giovanni Gaja, nel 1859, fondò la cantina a Barbaresco, nelle Langhe.
Il bisnonno di Angelo, Giovanni, titolare di una fiorente attività di trasporti che sa far rendere il duro lavoro suo e dei suoi figli, cinque maschi e due femmine. tanto da lasciare in eredità una cascina ad ognuno di loro. Tre dei suoi figli la dilapideranno al gioco.
Fu nonna Tildin, vedova dal 1944, a reggere le redini della cantina che allora vendeva vino soltanto a privati. Privati illustri, come i Somaini di Milano, gli Zegna, i Nasi: famiglie con lo chef in cucina e la cantina colma di grandi vini francesi, che ordinavano le damigiane di Barbaresco per il consumo “da pasto”.
Il vino si vendeva, dunque, con cadenze tranquille, senza affanni: poteva restare anche dieci anni in vasca, in attesa che arrivassero i compratori. Già da allora, per volere di nonna Tildin si seguiva una politica di rigore di produzione, votata all’alta qualità.
Quando Angelo Gaja entra in azienda, nel 1961, trova una situazione economica invidiabile, un nome già famoso in Italia, oltre a 33 ettari di splendide vigne nell’areale di Barbaresco. Quando nel 1965-66 sente l’esigenza di entrare nella grande ristorazione, ha già a disposizione un’eccellente gamma di vini.
Poi nascono i cru: il primo, Sorì San Lorenzo, è del 1967. Nel 1970 entra in azienda l’enotecnico Rivella; nasce nello stesso anno Sorì Tildin, seguito nel 1978 da Costa Russi. Nel territorio delle Langhe vi sono terreni ed esposizioni dalla vocazione straordinaria, non soltanto atti a produrre grandi vini, da varietà autoctone, ma anche in grado di esprimere vini di qualità superiore anche da varietà non tradizionali, quali: Chardonnay e Sauvignon blanc.
LA DEGUSTAZIONE 1) BARBARESCO 2011 DOCG Uve: Nebbiolo 100% Titolo alc. Vol. 14,5%. Barrique e botte grande. Prezzo: 135 euro
Nel calice si presenta di colore rosso rubino, i suoi profumi sono di note scure, eleganti e profondi. Si percepiscono nettamente sentori di humus, funghi, sottobosco, foglie, in successione si presentano note fruttate di giuggiole, e note floreali di violetta oltre ad una leggera volatile.
Alla gustativa non delude rispecchiando alla perfezione tutto ciò che si è percepito all’olfattiva: il tannino è presente, ma non invadente, la freschezza e l’acidità si sorreggono e spalleggiano formando in degustazione due binari paralleli e ben distinti.
2) SORI’ SAN LORENZO 2011 LANGHE NEBBIOLO DOC Uve: Nebbiolo 95% Barbera 5% Titolo alc. Vol 14,5% Barrique e botte grande. Prezzo: 300 euro Granato non impenetrabile. Forte presenza di note scure di humus foglia di tabacco, legno di cedro; in seconda battuta sentori di erbe aromatiche. Le componenti olfattive sono di notevole spessore ed eleganza.
Anche all’assaggio a farla da padrona sono queste note scure: sapido e piacevolmente tannico, chiude con un finale di bocca pulito.
3) SORI’ SAN LORENZO 2004 LANGHE NEBBIOLO DOC Uve: Nebbiolo 95% Barbera 5% Titolo alc. Vol 14,5% Barrique e botte grande. Prezzo: 220 euro Granato luminoso. Impianto olfattivo molto generoso e complesso con note di arancia rossa, bouquet salino-salmastro con sentori di conchiglia, salamoia. Alla gustativa vi è una buona interazione tra parte acida, sapidità e tannino. La parte acida si percepisce in maniere preponderante sorreggendo l’intero vino.
4) GAYA&REY 1993 MAGNUM Uve: Chardonnay 100% Titolo alc.Vol 13,5% Botte grande.
Colore oro-verde brillante. Naso burroso, fumè, minerale con sentori riconoscibili nella frutta secca, frutta esotica, canna di fucile. Alla gustativa si percepisce una buona tridimensionalità, con freschezza centrale che racchiude una buona morbidezza e sapidità con una nota lunga burrosa in chiusura.
CANTINA CAVALLOTTO, TENUTA VITIVINICOLA BRICCO BOSCHIS La Tenuta Cavallotto si trova alle porte di Castiglione Falletto, nel cuore della zona del Barolo, sul Bricco Boschis, ed occupa una superficie di 23 ettari vitati.
I Cavallotto sono proprietari e produttori da generazioni: Giacomo ed i figli Giuseppe e Marcello acquistano nel 1928 la tenuta Bricco Boschis ed insieme continuarono a lavorare come viticoltori nei vigneti attorno alla cantina.
A quel tempo, gran parte delle uve era venduta alle cantine commerciali e solo una parte di essa vinificata nella proprietà per la vendita in bottiglia e in damigiana.
Nel 1944, Giuseppe e i figli Olivio e Gildo decisero di vinificare interamente le uve prodotte e nel 1948 nacque, ufficialmente, la Cantina Cavallotto con la commercializzazione delle proprie bottiglie etichettate. Ad oggi i figli di Olivio, Laura e i fratelli Giuseppe ed Alfio, entrambi enologi continuano a vinificare esclusivamente le uve prodotte nella tenuta e da loro dipende l’impostazione tecnica dell’azienda e la produzione dei vini.
Il pregio di questi vini deriva da un’interessante combinazione di svariati fenomeni: l’uomo con il suo attaccamento alla terra e a una civiltà contadina che dalla terra ha tratto le sue origini più remote; la lunga esperienza sul vino maturata negli anni; gli sviluppi costanti e la crescita della tecnica enologica e agronomica; e soprattutto, le condizioni pedoclimatiche di cui gode questa zona di Langa.
LA DEGUSTAZIONE 1) BARBERA D’ALBA SUPERIORE 2011 Vigna del Cuculo Uve: Barbera 100% Titolo alc. Vol. 14,5% Maturazioni in botte di Slavonia per 2 anni. Prezzo: 24 euro Rosso granato. Al naso si percepisce nettamente un frutto croccante molto accentuato (ciliegia, fragola, marasca), ma anche sentori di terziarizzazione quali cuoio, pellame, spezie dolci (ginepro). Alla gustativa si percepisce un tannino lieve e vellutato ed una marcata acidità. Un vino di gran classe.
LANGHE NEBBIOLO 2011 Uve: Nebbiolo 100% Titolo alc Vol. 14,5% Botte grande per 18 mesi. Prezzo:17 euro Colore granato. All’olfattiva si percepiscono sentori scuri e che escono con difficoltà dopo una lunga areazione nel bicchiere, di china, spezie, liquirizia, frutti maturi di prugna, ciliegia, pera. Alla gustativa si percepisce un calore leggermente cadente sull’acidità. Sfuma con erbe mediterranee. Lascia in bocca una sensazione alcolica troppo presente.
BAROLO RISERVA VIGNOLO 2008 Uve: Nebbiolo 100% Titolo alc. Vol. 14,5%. Quattro anni in grandi botti di rovere di Slavonia da 50 hl. Prezzo: 75 euro Rosso granato. Bouquet fruttato floreale si percepiscono note delicate e gradevoli di rosa, miele, prugna matura, giuggiole. Al gusto è “monocorde” esclusivamente fruttato con un tannino presente, ma levigato e piacevole. Uno splendido vino, un Barolo di assoluto riferimento.
CONCLUSIONI
Il 22 giugno 2014 durante la trentottesima sessione di comitato Unesco a Doha, le Langhe sono state ufficialmente incluse, insieme a Roero e Monferrato nella lista dei beni Patrimonio Mondiale dell’Unesco.
Svegliandosi a La Morra, spostando le tende oscuranti per far entrare la luce del giorno, ti si palesa davanti uno spettacolo mozzafiato, con vigneti a perdita d’occhio. Ricoperti da una nebbia fitta, ma sottile.ù
A rendere emozionante questa visuale è stata proprio la nebbia. Nebbia che nei giorni successivi riesce a farsi odiare, restandoti incollata addosso. Un po’ come il sole delle Puglie, che ti entra nelle ossa, ma con effetti differenti.
Che il Barolo sia il re dei vini è ormai noto a tutti. Ma quello che non sanno tutti è che anche la cucina langarola non è da meno. E si sposa magnificamente con un qualsiasi vino ottenuto da Nebbiolo. Che sia Barolo, Barbaresco, giovane o invecchiato.
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