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Il Codice Ateco 74.99.41 per Sommelier ed Enotecari è realtà

Il Codice Ateco 74.99.41 per Sommelier ed Enotecari aspi video messaggio giuseppe vaccarini

Il Codice Ateco 74.99.41 è realtà per Enotecari e SommelierA partire dal 1° aprile 2025, entrerà ufficialmente in vigore il nuovo strumento dedicato esclusivamente alle attività di consulenza fornite da enotecari e sommelier. Si tratta di un traguardo storico per la categoria, che finalmente ottiene un riconoscimento formale all’interno del sistema di classificazione delle attività economiche. L’introduzione di questo codice è il risultato di un intenso lavoro di sensibilizzazione e interlocuzione istituzionale portato avanti da Aspi – Associazione della Sommellerie Professionale Italiana. L’associazione ha collaborato attivamente con il Comitato Istat, dimostrando con dati concreti e analisi approfondite l’importanza di una classificazione specifica per questa professione. Grazie a questo sforzo congiunto, gli operatori del settore potranno ora beneficiare di maggiore tutela normativa, riconoscimento professionale e nuove opportunità di crescita.

IL CODICE ATECO PER SOMMELIER ED ENOTECARI È REALTÀ

L’introduzione del codice Ateco 74.99.41 porta con sé vantaggi concreti per gli enotecari e i sommelier, contribuendo a valorizzare ulteriormente la loro professione. Garantirà chiarezza normativa e tutela professionale, attraverso una classificazione ufficiale che permette di distinguere con precisione il ruolo di enotecari e sommelier, evitando ambiguità e riconoscendo il valore delle loro competenze. I professionisti registrati con il nuovo codice potranno inoltre usufruire di benefici economici e fiscali riservati alle attività riconosciute, come agevolazioni contributive e forme di sostegno specifiche per il settore. Non ultimo, l’inserimento in una categoria economica ben definita rafforza la posizione della sommellerie nel panorama professionale e imprenditoriale, consolidando la sua immagine agli occhi di enti pubblici, aziende e consumatori.

UNO SVILUPPO STRATEGICO PER LA SOMMELLERIE

L’introduzione del codice Ateco 74.99.41 è realtà per Enotecari e Sommelier rappresenta un passo fondamentale per l’evoluzione della professione di sommelier, che potrà ora differenziarsi e affermarsi ulteriormente sia a livello nazionale che internazionale. Aspi continuerà il suo lavoro di supporto ai professionisti, fornendo aggiornamenti, assistenza e strumenti per sfruttare al meglio le opportunità offerte da questa importante novità. Non a caso, il presidente nazionale dell’associazione parla di «una grande conquista per tutti i sommelier italiani».

«Dopo il riconoscimento di Aspi nella lista ufficiale del Ministero delle Imprese del Made in Italy – evidenzia Giuseppe Vaccarini in un videomessaggi indirizzato ai soci – arriva un altro traguardo fondamentale, il nuovo codice Ateco 74.99.41. A partire dal 1 aprile 2025, questo codice entrerà quindi in vigore e finalmente riconoscerà i sommegliei come una professione a sé stante, indipendente e altamente qualificata. Questo è un traguardo storico, come potete ben immaginare. Con il codice Ateco, il sommelier ottiene finalmente il riconoscimento economico e sociale che merita».

NUOVO CODICE ATECO: COSA CAMBIA PER I SOMMELIER?

Cosa cambia per i sommelier? «Innanzitutto – continua il presidente Aspi Giuseppe Vaccarini – il riconoscimento ufficiale della professione, poi la possibilità di accedere a incentivi e agevolazioni fiscali e per ultimo maggiore visibilità e credibilità. I sommelier italiani potranno operare con maggiore sicurezza e professionalità, espandendo le proprie attività nella consulenza, nella formazione, negli eventi e nella comunicazione del vino. Come sapete, Aspi è il punto di riferimento per i sommelier italiani. L’unica associazione di settore – continua Vaccarini – riconosciuta dalla legge, che grazie ad un costante impegno ha saputo costruire un dialogo efficace con le istituzioni per ottenere questo straordinario risultato. Un momento storico che segna l’ inizio di una nuova era per tutta la sommellerie. Brindiamo per Aspi e brindiamo per la sommellerie. Cin!».

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«Sommelier unitevi, il vino è dalla parte del cuore». Parola di Raffaele Fischetti

Ha pubblicato di recente il suo primo libro e ha scelto di mettersi in copertina, per metà. Lo ha intitolato “Il vino dalla parte del cuore“: la sinistra, su cui poggia un elegante calice di vino rosso. Il sogno del sommelier Fis Raffaele Fischetti è quello di mostrare «il lato più nascosto del degustatore, alimentato dalla scintilla della passione». Ma non solo.

L’autore del libro, pugliese di Mattinata (Gargano) da vent’anni in Alto Adige, dove ha iniziato da giovanissimo la carriera negli Alberghi Bolzanini, spera ancor più in un mondo della sommellerie italiana diverso. Unito.

«È una gara di appartenenza a questa o quella associazione ed ogni volta si arriva a discorsi beceri ed inutili per cui la gente, piuttosto che avvicinarsi al mondo del vino, scappa. Anche in privato o a degustazioni miste ho assistito a scene che, credetemi, mi facevano venire il latte alle ginocchia», ha scritto non troppo tempo fa su Facebook.

Raffale Fischetti, prima di entrare “a gamba tesa” nell’argomento, sdrammatizziamo come piace a te (e a noi di WineMag.it): cosa ci fa un pugliese a Bolzano, da vent’anni?

Sono sommelier professionista dal 2006 e dal 2015 ricopro il ruolo di presidente per Fondazione italiana Sommelier Trentino Alto Adige – Bibenda, con immenso orgoglio. Sono docente per i corsi sia del vino che dell’olio, altra mia immensa passione.

Siamo riusciti in questi anni a far partire 5 corsi professionali per la figura del sommelier del vino e uno meraviglioso per diventare sommelier dell’olio: il primo in Trentino Alto Adige oltre a tante altre meravigliose attività. Mi occupo inoltre di Marketing, consulenza e formazione aziendale. Insomma non mi annoio!

Con immenso orgoglio ho compiuto tutta la gavetta negli Alberghi Bolzanini, fino ad arrivare a ricoprire il ruolo di Maitre in locali importanti e la figura di sommelier anche in locali stellati. Faccio il buyer a tempo pieno e per alcuni anni ho selezionato solo vini certificati Bio per i mercati Europei.

Affronti in maniera molto diretta ma oggettiva quella che potrebbe essere chiamata “la guerra” tra associazioni della sommellerie italiana. La gara al “senso di appartenenza” a cui fai accenno, di per sé, dovrebbe essere un valore aggiunto in ogni settore. Perché, a tuo avviso, diventa invece un fattore limitante tra professionisti del vino?

Cerco di rispondere alla tua domanda in punta di fioretto, proprio come ho fatto sulla pagina Facebook “Sommelier: Appunti di degustazione”. La pagina nasce tanti anni fa, proprio per consentire agli appassionati di poter scrivere in maniera libera le loro degustazioni.

Da altre parti e su altre pagine si creavano alcuni attriti quando scriveva qualcuno che non era di una determinata associazione. Nel nucleo principale della nostra pagina figuravano e figurano invece amministratori e moderatori di quasi tutte le associazioni più grandi.

Ad ogni post di qualche iscritto che recitava più o meno così: “Ciao a tutti, sono Raffaele e vorrei iscrivermi ad un corso da sommelier, cosa mi consigliate?”, sembrava di stare allo stadio, ad assistere ad una partita che, come minimo, decideva le sorti del campionato. Si cercava ogni volta di moderare al massimo la conversazione tra gli utenti, ma spesso si finiva in malo modo con toni alticci e altisonanti per restare eleganti.

La goccia da cui è scaturita quella mia frase è stato un messaggio privato dell’ennesimo utente: non capiva il perché di tutte quelle risposte poco eleganti e sosteneva di aver deciso di non approfondire più le sue conoscenze e la sua passione attraverso un corso professionale, proprio per quello. Io vivo di passioni ed emozioni per carattere. Vedere svanito il sogno di alcuni utenti mi ha fatto molto riflettere.

Il mio, insomma, voleva essere un grido accorato e di speranza a tutti quegli appassionati che vogliono curare un seme e farlo diventare una splendida rosa. Continuo a credere fermamente in questo: tutti devono essere liberi di frequentare il corso che reputano più opportuno, a loro deve interessare la rosa che nasce.

Ci sono altri episodi che ti hanno convinto a impegnarti ancora di più per questo obiettivo?

In genere una gara, in termini di “senso di appartenenza”, dovrebbe generare la voglia e l’esigenza di “spingere l’asticella sempre più in alto”, per offrire a tutti i corsisti il massimo, migliorando sempre più la didattica e portandola al passo con i tempi, preparando sempre più i docenti con corsi di approfondimento, scegliendo i vini più rappresentativi per ogni lezione. Questa è la gara 3.0 a cui vorrei assistere, sana, costruttiva.

Il bicchiere, al momento, è “mezzo pieno” o “mezzo vuoto”?

Siamo una nazione dove, di fatto, non esiste un’associazione unita, anzi più si va avanti più se ne creano. Da questo però io vedo anche il “bicchiere mezzo pieno”, da buon sommelier. Le differenze portano ricchezza e la ricchezza è un dono. La soluzione non è dietro l’angolo ma credo che il momento di riflessione sia già in atto da parte di molti.

Al di là dell’aspetto etico e delle scelte compiute per promuovere l’iniziativa, la recente polemica sul “Corso online” della Scuola italiana sommelier rivela come ci siano diversi “nodi scoperti” nel settore: uno di questi è l’impossibilità di passare direttamente da un’associazione all’altra.

Pensi possa essere utile, nonché un segnale di “distensione” tra le varie compagini, l’eliminazione di questo vincolo, oppure le didattiche sono talmente diverse da giustificare le attuali misure?

Non entro in merito alla questione ma dirò in maniera esplicita come la penso. Personalmente non riesco a concepire un corso del vino online senza quella parte emozionale e di racconto che solo durante un corso si può trasmettere. Non credo e non voglio credere che il futuro sia questo.

Per me non ha senso per un corso professionale, sono troppe le variabili che non possono essere controllate. Ricordo sempre le facce delle persone che finiscono il corso e ti guardano come per dirti: “E adesso il martedì sera cosa faccio?”.

Si instaura un rapporto particolare con tutti i corsisti che, per 52 incontri, ti porta a sapere che quel giorno, in quel posto e in quell’orario hai un appuntamento fisso che è stato scelto da loro, fortemente. Molti, alla fine, ne sentono la mancanza.

Fai parte di Fis, una realtà per certi versi “simbolo” delle divisioni e delle lotte, a tratti intestine, tra associazioni della sommellerie.

La storia del settore è costellata da scissioni che hanno portato alla nascita di una costellazione di realtà che promuovono la cultura del vino.

Una promiscuità utile alla causa, oppure il primo dei grandi motivi di quei “discorsi beceri ed inutili per cui la gente piuttosto che avvicinarsi al mondo del vino, scappa”?

Fondazione Italiana Sommelier, per me come per tutto lo staff regionale, è stata un’opportunità, un modo unico per poter esprimere noi stessi, far conoscere a chi ci avrebbe scelto la nostra passione e il nostro entusiasmo. Abbiamo avuto l’onore di avere ospiti meravigliose cantine da tutta Italia e siamo riusciti a portare in giro per il Paese le nostre eccellenze.

Tengo a precisare che tutti i sommelier e tutto lo staff regionale hanno un lavoro fisso e vive di altro. Finiamo di lavorare e ricominciamo a farlo per organizzare le attività che si svolgeranno in regione, sottraendo una marea di tempo ai nostri familiari. Corsi e degustazioni sono tutt’altro che una cosa semplice.

Nessuno, da solo, riuscirebbe a fare tutto questo. La mia fortuna più grande è stata proprio quella di avere un gruppo solido e affidabile, che sostiene tutte le attività e i corsi. La passione è il motore che ci spinge a saltare l’ostacolo. Abbiamo intrapreso la strada giusta, diamo sempre il massimo di noi stessi e sappiamo che dobbiamo ancora migliorare. Per dirla in breve, noi non ci sentiamo proprio arrivati.

Le associazioni sono fatte di uomini e, per questo, ogni delegazione di ogni singola associazione meriterebbe un discorso a sé. Siamo tuttavia a conoscenza di casi in cui le associazioni sembrano voler accentrare sempre più “potere”, giocando sulle sorti degli iscritti e impedendo, di fatto, il processo di “amalgama” tanto auspicato. Che fare?

Le associazioni sono fatte di uomini e sono gli uomini che fanno la differenza, lo dico da sempre. Ho amici e colleghi in tutte le associazioni preparatissimi e seri professionisti che fanno la differenza dove sono.

Per quanto riguarda le iscrizioni da altri corsi, posso dirti che Fis accetta tutti gli iscritti che vogliono finire un percorso. In Alto Adige ho avuto alcuni iscritti che hanno terminato il percorso da noi entusiasti.

Per le altre associazioni non posso esprimermi, non conoscendo a fondo la scelta che ha portato a non far partecipare e terminare i corsi a chi magari, per essersi trasferito, non ha potuto chiudere le sessioni dove le ha iniziate.

Altro tema centrale sollevato dalla Scuola italiana sommelier sono i costi dei corsi delle realtà più accreditate (Ais, Fisar, oltre alla stessa Fis): credi che la critica sia giustificabile?

Anche in questo caso preferisco parlare delle cose che faccio io. Per garantire lo standard che attuiamo in Trentino Alto Adige il corso è al minimo della spesa. Le spese che affrontiamo sui vini (in degustazione i corsisti degustano, tra gli altri, Sassicaia, San Leonardo, Gaja), oltre alla sala, i kit di alta qualità, le tovaglie, i sommelier di servizio e i docenti che arrivano da tutta Italia, giustificano al minimo la somma richiesta. Ovvio che spostando tutto online avrai altre spese. Si eliminano ingenti costi fissi.

La didattica della sommellerie italiana è al passo coi tempi o risponde a logiche che meriterebbero di essere rivoluzionate? Mi spiego: ha ancora senso parlare di “giallo paglierino tenue”?

La didattica deve evolversi ed essere al passo con i tempi. Deve migliorare sempre. In Fondazione ho la fortuna di avere i responsabili alla didattica che stanno lavorando per modificare proprio le lezioni, che in questi ultimi anni sono cambiate in sequenze e fatti, avendo anche un taglio più moderno e attuale. Un punto di forza sicuramente.

Sempre sul fronte della didattica, i corsi sono strutturati in modo da formare allievi in grado di determinare le differenze tra le varie denominazioni più sulla base delle caratteristiche dettate dai disciplinari che sull’assaggio di una moltitudine di vini di “terroir”, in grado di rappresentare i vini prodotti in una determinata zona in tutte le sue più profonde e variegate sfaccettature.

Questo certamente perché il corso da sommelier è solo un punto di partenza, ma non tutti gli allievi hanno “voglia” di andare “oltre” al diploma e di approfondire le proprie conoscenze.

D’altro canto, sempre più produttori che non si riconoscono nei “meccanismi industriali” e “consortili” stanno proponendo sul mercato vini validissimi, interpreti autentici dei territori e dei vitigni.

Non sarebbe il caso che anche la didattica della sommellerie si “distraesse” un poco dai disciplinari (ormai superati) avvicinandosi a forme di viticoltura alternative e fornendo strumenti di comprensione e lettura delle espressioni meno “convenzionali”?

Risposta molto complessa, a cui cerco di rispondere per sommi capi. In primis, il corso da sommelier è un punto di partenza non un punto di arrivo. Credo serva per avere anche a chi lo frequenta “un linguaggio comune tra colleghi”. In genere, in una lezione ci sono tre vini in degustazione che devono “raccontare con il calice la lezione”.

Si cerca quindi di prendere in considerazione vini che raccontano la tipicità di un vitigno, legato anche a sfaccettature particolari di un determinato territorio. Un lavoro certosino che mi è capitato di affrontare ultimamente anche per la carta nazionale dei vini di Fondazione italiana sommelier, per un progetto che partirà presto.

Nella nostra didattica abbiamo aperto anche alle “viticulture alternative”, dando risalto in una lezione specifica ai cosiddetti “vini naturali”, biologici, biodinamici eccetera. Un piccolo passo che verrà seguito sicuramente da altri in seguito.

Restano sempre nozioni da approfondire. Non si può pensare che in due ore si possa dare tutto, ma di certo spingere i corsisti alla curiosità è un primo passo per approfondire in seguito l’argomento. In questa lezione ovviamente si degustano vini di questa tipologia, ricercati per la specificità dell’argomento.

Cosa deve aspettarsi chi si approccia alla lettura del tuo libro “Il vino dalla parte del cuore“, in cui appari in copertina solo per metà? La metà di quello che pensi e vivi, o la parte che conta di più di Raffaele Fischetti?

Per quanto possa sembrare strano per chi mi conosce personalmente, resto nel mio intimo un uomo molto timido. La copertina nasce dall’esigenza specifica di non voler apparire protagonista, ma appunto lasciare in primo piano il vino e la “poesia liquida” che ne scaturisce: il pensiero e le parole che si generano senza vincoli specifici, semplicemente degustando un vino in un determinato momento, in uno specifico posto con determinate persone.

Un contesto che non sarà più perfettamente replicabile in seguito. Questa è la magia anche del vino, per chi sa sognare e guarda al futuro con ottimismo e positività. In tanti lo chiamano “libro”, io lo chiamo “sogno realizzato”, per chi quel sogno lo ha alimentato nel tempo: gli amici, i miei genitori e la mia famiglia che hanno collaborato alla stesura del libro, compresi i miei due figli, con un loro disegno!

Volevo catturare per un attimo, in un’istantanea, queste schegge sparse, ma allo stesso modo lasciarle libere. Mi piace immaginare chi leggerà questo libro cimentarsi a modo suo, con parole e qualsiasi forma di comunicazione, con un calice di vino in mano e non prendendosi troppo sul serio, comunicando emozioni enoiche.

In questo libro racconto il Raffaele più nascosto, quello non impegnato a degustare per lavoro: lì scattano altri bisogni e specifiche. Il degustatore alimentato dalla scintilla della passione.

Mettere il “vino dalla parte del cuore” significa solo in apparenza “leggerlo” in maniera soggettiva. Si può essere sommelier ed esperti di vino mettendo l’emozione in primo piano, oppure la tecnica (la parte destra del tuo corpo, celata in copertina?) deve rimanere sempre il cardine fondamentale nell’assaggio?

Quesito interessante. Tecnicamente nel libro parlo di “degustazione emozionale”. Un racconto per ricordi ed immagini di un determinato assaggio. Una strada da percorrere particolare.

Una degustazione che si scosta completamente da quella fredda del secco-caldo-morbido. Credo che per raccontare un vino in questo modo bisogna padroneggiare le tecniche di degustazione classiche, per poi scegliere una strada tutta propria, che il cuore e la passione ci indica.

Sostieni che “non è importante aver bevuto milioni di calici, è più importate averne bevuti il giusto”. Qual è “il giusto”?

Credo nei casi, in quei momenti scritti da altri che accadono per un motivo particolare. Mi è capitato spesso di capire l’importanza del momento senza riuscire a metterla a fuoco subito. Senti dentro però che è importante, anche in quel momento. Il “giusto” è un concetto personale, diverso per ogni persona.

Il mio “giusto”, nello specifico, in questo momento è approfondire quello che mi incuriosisce e quello che il cuore e la passione mi spingono a fare, anche attraverso nuove sfide e passioni scaturite in un determinato periodo. Proprio strani sti sommelier vero?.

I tre (o più, o meno) vini “avvicinati al cuore” che ti hanno sorpreso di più?

Ci sono dei vini che mi hanno veramente emozionato e che mi hanno colpito in maniera particolare, mi capita spesso soprattutto da vini che non ti aspetti a volte ma che riescono a scuoterti in maniera particolare. Le emozioni forti le ho ricevute sia da vini blasonati sia da vini poco conosciuti.

Tutti quelli presenti nel libro mi hanno donato tanto e alcuni sono stati veramente eccezionali. Sono certo però che quello che ancora mi farà rimanere a bocca aperta e senza parole deve ancora arrivare nel mio calice. In fondo sono un’inguaribile sognatore.

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Corso online, Fisar diffida la Scuola italiana sommelier

Passa dai social agli studi legali la guerra tra associazioni della sommellerie italiana. Fisar ha dato mandato allo studio legale dell’avvocato Andrea Duretti di Ghezzanno (PI) di inviare una lettera di diffida alla Scuola italiana sommelier presieduta da Nicola Ferrazzano.

La Federazione italiana Sommelier, Albergatori e Ristoratori chiede la rimozione del post che pubblicizza il terzo livello del corso, in cui viene citata appunto la Fisar, oltre ad Ais (Associazione italian sommelier).

«Scrivo la presente su incarico di Fisar in relazione alla pubblicazione apparsa su un vostro canale social ove si legge: “Corso online per sommelier professionale di 3° livello in 8 lezioni per chi ha già frequentato il 1° e 2° livello Ais o Fisar”».

Corso sommelier online, è bufera. La Scuola si difende: «Siamo pop, questo è il futuro»

Si precisa che il marchio Fisar è un marchio registrato e viepiù che nessuna autorizzazione è stata concessa da Fisar alla Vostra scuola al fine di utilizzare, per proprio profitto, il marchio Fisar e/o comunque la denominazione della società da me rappresentata»

«Premesso quanto sopra, ad ogni effetto di legge e segnatamente al fine di interrompere la prescrizione, sono con la presente ad intimare la immediata rimozione di qualsiasi riferimento a Fisar nei vostri post o attività promozionali. Il tutto con riserva di adire competenti autorità al fine di vedere tutelati i diritti della Fisar da Voi violati mediante l’inserzione citata», conclude l’avvocato della Federazione.

Di tutta risposta, Ferrazzano ha pubblicato sui social la lettera dell’avvocato, citando nuovamente il «Corso online per sommelier professionale di 3° livello anche per chi ha già frequentato il 1° e 2° Livello Ais o Fisar o Fis o Aspi». E aggiungendo un sintetico: «Voi cosa ne pensate??». Fuochi d’artificio in ritardo per il 2021 della sommellerie italiana.

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Marco Spini, il sommellier di Ba-Restaurant: “Vi racconto la mia quarantena a Milano”

Se c’è un ristorante, a Milano, che interpreta in maniera maniacale la cucina tradizionale cinese, con un tocco prezioso di contemporaneità, quello è Ba-Restaurant. Lo ha aperto nel 2011, in via Raffaello Sanzio 22, la famiglia Liu (Claudio, Marco e Giulia). Ampliando un impero del gusto orientale che annovera anche Iyo e Gong.

Poco prima del lockdown, il tempo di rinnovare gli interni, ma non lo spirito e il personale. In cucina confermato il giovane ed estroso Executive Chef Bryan Hooi. Alle “bottiglie” un sommelier (Aspi) tanto esperto quanto entusiasta e discreto: Marco Spini.

Classe 1968 e una caratteristica che lo rende unico tra i sommelier italiani: il baffo all’insù, alla Salvador Dalí. Ma è unica anche la voglia di continuare ad aggiornare una Carta Vini che conta oggi quasi 500 etichette, nazionali e internazionali. Solo uno dei tanti professionisti costretti al lockdown, in una Milano che ha voglia di tornare normale, dopo la quarantena.

Marco Spini, quei baffi all’insù sono uno dei simboli del Ba. Ma bisogna poterseli permettere, dopo tanti anni di gavetta. Lei può, insomma

Dopo una formazione tecnica e artistica, sono entrato nel mondo del lavoro come impiegato, ma presto ho scoperto altri interessi, come quello per il vino. Nel 1994 mi sono iscritto al Primo livello con Ais. Pochi mesi dopo, la mia passione è diventata un lavoro, in qualità di commis-sommelier a “L’Osteria”, a Milano al fianco di Franco Bisignani, del quale divento da subito la spalla.

L’Osteria è un luogo magico, un vero e proprio antesignano del concetto che verrà molto dopo di Wine Bar: aperto nel 1977 da Franco, è una mescita di vino affiancato da Salumi e Formaggi. Il tutto accuratamente selezionato.  Abbiamo 350 vini in carta con una trentina di vini al bicchiere.

Facciamo costruire un’azotatrice su misura da un artigiano di Alba, che ci permette di servire 8 grandi rossi al calice in mancanza di ossigeno. Tutte le sere si aprono almeno 40, 50 bottiglie, con almeno 3, 4 decantazioni al tavolo ed è un grandissimo successo, la clientela è molto variegata. Negli anni a venire il Naviglio esploderà e si riempirà di locali, siamo solo all’inizio, anni formidabili.

Ogni primo lunedì del mese ci riuniamo in Osteria insieme ad altri professionisti ( tra i quali voglio ricordare Maida Mercuri del Pont de Ferr, Roberto De Feudis de Le Vigne, Fabio Locatelli della Trattoria Madonnina ed il grande amico Gianni Frattola) ed assaggiamo tutti i campioni che ci inviano i commerciali e le aziende, commentandoli e condividendo le nostre impressioni. Ci chiamano “Il Gruppo dei Navigli“.

Insieme ci muoviamo per le fiere e le manifestazioni di settore (Vinitaly e Merano Wine Festival in primis), le degustazioni e le visite in azienda. Nel 1996 mi diplomo Sommelier professionista, nel 2000 con Franco prendo in gestione il locale, dove rimango fino al 2005. Poi mi prendo una piccola pausa.

Poi per 5 anni mi occupo di dirigere un bistrot in Zona Tortona , il “Piquenique” di via Bergognone, dove mi occupo anche della cucina del wine-bar, cui segue un anno presso “La Cantina di Franco” di via Sanzio.

Arrivo poi a “La Dogana del Buongusto”, nel 2013, dove a fianco di Nino Pappalettera, tutt’ora mio maestro di Sommellerie e mentore, entro nello staff del ristorante come chef de rang e sommelier.

Nel 2016 approdo al Ba-Restaurant come Head Sommelier. Marco Liu mi affida la responsabilità del beverage, lasciandomi la massima libertà nella composizione della nuova carta. Nasce da subito un bellissimo rapporto.

Mi occupo del rinnovamento della cantina, che riorganizzo e che poco dopo verrà anche climatizzata, creando una Carta vini che viene modellata sul menù e sulle mie suggestioni, ma con un occhio anche alle preferenze degli ospiti ed un altro alle nuove tendenze del mercato.

Nello specifico?

Al suo interno trovano posto grandi produttori e artigiani, vini rinomati e meno conosciuti, aziende dall’approccio convenzionale, biologico o biodinamico. Tutti i vini sono caratterizzati da finezza ed eleganza, qualità e pulizia delle sensazioni e dalla personalità: si deve sentire la mano che lo ha fatto, la storia da raccontare. Il telling.

In tre anni e oltre di lavoro ho quintuplicato la carta, in maniera graduale, un passo alla volta. La carta dei vini attualmente sfiora le 500 referenze, ed è in continuo divenire.

Al bicchiere oltre 40 vini e una novità: la “Carta dei Tè”. Si è occupato anche di questo?

Con la riapertura del nuovo locale ho implementato la mescita al calice consueta, composta da 5 “bolle”, 5 bianchi, 5 rossi, 11 vini da dessert. E con una proposta di grandi vini al bicchiere: 6 bianchi, 6 rossi, 3 dessert, serviti con Coravin e con rotazione mensile, quindi l’offerta al bicchiere è di oltre 40 vini.

Altra novità inserita la Carta dei Tè, l’abbinamento tradizionale cinese: 10 tè da me selezionati, in base alle caratteristiche di pairing. Al momento sono tre verdi, un bianco, un wulong, tre fermentati: due neri, un rosso,e poi due herbal.

Ovviamente il servizio del tè avviene secondo le regole con le giuste temperature, i giusti tempi di infusione e le quantità di foglie e viene eseguito da noi al tavolo, presentando l’infuso (le foglie bagnate, dopo infusione) e il liquore (la bevanda).

Altro mio importante compito è quello di supervisionare e coordinare il personale di sala in merito alle principali tecniche di sommellerie e di mantenere elevato lo standard di servizio.

Il suo ruolo in Aspi?

Collaboro con l’Associazione Aspi (Associazione della Sommellerie Professionale Italiana, unica referente nazionale di ASI, l’Association de la Sommellerie Internationale ndr), fondata nel 2008 da Giuseppe Vaccarini, grande maestro e riferimento per me importantissimo.

Partecipo attivamente alle attività di Aspi come Formatore, sia per i corsi di formazione rivolti ai professionisti che per quelli delle Scuole Alberghiere. Dal 2015 al 2017 ho rivestito il ruolo di Coordinatore per Milano e Provincia. Attualmente svolgo anche la funzione di Tutor per il Percorso Tutorato di preparazione all’esame di abilitazione professionale.

L’attualità del Ba-Restaurant è però legata al lockdown. Quando avete chiuso?

La prima chiusura è stata dal 26 febbraio al 4 marzo, per poi chiudere nuovamente dall’8 marzo, da disposizioni.

Siete pronti a riaprire? Con che misure?

Francamente siamo in attesa come tutti di attendere una definizione chiara delle nuove disposizioni. Partiamo da un ottima base: sulle questioni normative la policy di Ba è molto rigorosa, da sempre. Per noi, igiene del luogo di lavoro e del personale e il benessere e la sicurezza dell’ospite sono sempre state al primo posto.

Con la riapertura abbiamo ridotto i coperti e quindi già aumentato le distanze tra i tavoli. Andremo a calibrarle ulteriormente. Andremo a gestire ancor meglio i flussi della clientela, utilizzeremo tutte le nuove procedure che verranno stilate, quindi sanificazione, rilevazione della temperatura, monitoraggio degli ingressi, eccetera.

Sarà molto importante trasmettere fiducia e rassicurare il più possibile i nostri ospiti, alzando ancor di più il livello del comfort oltre che quello della sicurezza. Nel frattempo ci stiamo organizzando per il delivery, che sta per partire. E visto che avremo le mascherine (la vorrei coi baffi!) impareremo a sorridere con gli occhi!

Quanti coperti assicuravate al giorno, in media, prima del lockdown?

Un centinaio tra pranzo e cena, su un totale di 64 coperti, tenendo conto che arriviamo da una chiusura di 4 mesi per totale ristrutturazione e che abbiamo riaperto il 10 dicembre 2019.

Quanto calici e bottiglie era abituato a servire, prima del lockdown? Più calici o più bottiglie?

Direi 30-35 bottiglie, più 25-30 calici, tenendo conto anche degli aperitivi e dei vini da dessert.

Più vini italiani o stranieri? Quali sono le aree più richieste?

Sicuramente più italiani, anche se Champagne e Borgogna hanno una buona richiesta, anche se più di nicchia. Per l’Italia sicuramente Alto Adige, Friuli, Piemonte, Toscana, Campania e Sicilia. Per l’estero i già detti Champagne e Borgogna, ma anche qualche escursione su Loira, Alsazia, Cȏte du Rhone e Bordeaux per la Francia; Reno e Mosella per la Germania.

Quali sono i prezzi medi di calici e bottiglie servite?

Si viaggia su una media di 35-40 euro a bottiglia e di 8-10 euro per il calice. I prezzi variano molto a seconda dei vini. La mia carta, peraltro, è tutta consultabile sul sito web di Ba Restaurant.

Oggi cosa fa il sommelier Marco Spini per tenersi in “allenamento”?

Bravo, mi alleno, dice bene: continua come sempre la mia ricerca personale: assaggio nuovi vini e cerco nuovi spunti per il futuro, leggo e mi documento, mi sento con i colleghi. E poi studio:  la formazione continua per un sommelier contemporaneo è fondamentale, gli argomenti sono tantissimi ed il tempo è sempre poco, quindi ne approfitto a piene mani.

Con Aspi, in questo periodo, stiamo continuando con la formazione a distanza e stiamo realizzando una clip quotidiana dove ognuno di noi dà il proprio contributo per fare rete, farci forza e tenerci in contatto in questo particolare momento.

E, per mantenere il buon umore. che è una necessità in questo momento, leggo molto, vedo qualche film, ascolto bella buona musica e mi diverto in cucina, senza dimenticare un po’ di attività fisica quotidiana. Nonostante tutto ripenso alla normale giornata lavorativa: che bello, che nostalgia!

D’accordo, momento confessionale. Si sta concedendo qualche bottiglia in più, in quarantena, oppure non sono cambiate le sue abitudini di consumo?

Ho provato a fare il contrario, per cercare di contenere il peso, ma sono un debole! Ah!

Continuiamo con le confessioni. I tre migliori assaggi ai tempi del lockdown?

Monleale 1995, penultima bottiglia di 24 che presi nel 1997 dalle mani del Walter Massa, che mi consegnava il vino direttamente in Osteria: fantastico, ancora fresco e pungente, come il produttore!

Muller-Thurgau Pacherhof 2018. Novacella, Valle Isarco, bianco con naso esplosivo di frutta, fiori bianchi e spezia, bocca polputa con una bella tensione acido-sapida, nota minerale persistente: gran bella esecuzione!

Saint-Vèran Lieu(Inter)dit 2017 Verget: un bianco del Maconnais che non sfigura per nulla con quelli ben più blasonati della Cote de Beaune, uno Chardonnay perfetto, cristallino come solo i grandi Borgogna sanno essere, con un naso elegantissimo e ampio, una bocca di grande potenza con la terna mineralità-freschezza-sapidità infinite.

Un fuoriclasse del vulcanico Jean-Marie Guffens. Il nome del vino deriva dal fatto che il cru, da sempre, si chiama Cȏte Rotie. Siamo a Davayè, accanto a Macon, nulla a che vedere con la notissima Aoc della Cȏte du Rhone. Ma quest’ultima nel 2016 ha ottenuto “l’esclusiva”, quindi l’eclettico Jean-Marie l’ha chiamato appunto “Luogo(inter)detto”!

Come cambierà la carta del vino del Ba, alla riapertura?

Come detto, la mia carta è, per definizione, in “continuo divenire”. Ho già in mente delle novità… Venite presto a trovarmi, vi aspetto!

Cambieranno i rapporti con i fornitori di vino del Ba-Restaurant?

È presto per fare delle previsioni. Di sicuro credo che saranno maggiormente vicini alle nostre realtà. Anche qui staremo a vedere, tutto dipende da come terrà il settore e da come e da quando ripartirà. Sono comunque ottimista.

Pensi che il conto vendita sia un’opzione profittevole da entrambe le parti del calice?

Potrebbe, ma anche su questo mi riservo di aspettare e vedere come sarà la ripresa.

Di cosa ha bisogno la filiera del vino italiano per ripartire?

Bella domanda! Sono sommelier, quindi posso parlare del mio settore. La situazione è seria e molto complessa e soprattutto mai sperimentata prima: i nostri amministratori stanno affrontando l’emergenza, sono stati commessi degli errori, inizialmente sottovalutazione, ma anche dall’estero ci sono arrivati esempi pessimi.

Gli aiuti promessi sono ancora troppo rallentati dalla burocrazia, mentre la categoria chiede aiuti immediati. Dopo quasi due mesi a incasso zero, molti locali sono a rischio di chiusura. Se tutto va bene si riapre a giugno, ma come è ancora tutto da definire. La vera ripresa avverrà con tempi molto lunghi, temo. Per la tenuta e la ripresa serve un serio e forte sostegno dello Stato e della Ue, su questo non vi è dubbio.

Cambieranno le abitudini dei clienti del Ba? Se sì, in previsione, come?

Domanda difficile, ci provo! Credo che la nostra clientela storica ritornerà. Con qualcuno ho avuto modo di confrontarmi. Verranno nuovi clienti, come sempre. Tutta la nostra ricerca non andrà perduta. Ma anche qui bisognerà vedere come e quando, e in che condizioni, le Autorità ci faranno ripartire.

C’è qualcosa che avrebbe gestito in maniera diversa nel contesto del lockdown della ristorazione?

Gli aiuti dovrebbero essere erogati in tempi rapidi e a fondo perduto, non con prestiti. Pare che in altri Paesi europei sia andata diversamente. Vanno fatti dei significativi sgravi fiscali e possibilmente azzerate o abbassate le imposte: Cosap, Tari, Imu, per citarne alcune.

Gli interventi che vediamo sono rallentati dalla burocrazia e perdono di efficacia. Hanno fatto aumentare la preoccupazione degli attori della ristorazione tutta. Come vado dicendo, dall’inizio di questa pandemia, sono molto più preoccupato da quello che succederà dopo, che dall’emergenza sanitaria in sé, anche se la salute pubblica va indiscutibilmente al primo posto.

Quali sono, a suo avviso, le istanze più urgenti per la ristorazione?

Per riaprire in sicurezza serviranno tamponi per dipendenti e datori di lavoro, divise, mascherine, guanti, sanificatori, monitoraggio in e out del cliente, termoscan del cliente, certificazione procedure, eccetera: quindi, assolutamente, aiuti a fondo perduto per sostenere questi costi.

Bisogna rivedere e snellire tutta la burocrazia connessa ai finanziamenti e alle Cig. Abbassare o annullare le tasse per occupazione suolo pubblico, Tari, Imu. Proseguire con il sostegno Cig.

Le banche dovrebbero da subito rivedere affitti e mutui, erogare crediti a fondo perduto per adeguamento alle nuove normative garantiti dallo Stato, che a sua volta dovrebbe accedere ad aiuti Ue. E poi erogare finanziamenti a reale garanzia pubblica (lo Stato garante) a tassi calmierati.

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*photo credit Ba-Restaurant

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Guerra degli iscritti alla sommellerie: crescono Ais e Fisar. Fis, dati “top secret”

Tra associazioni e iscrizioni non mettere il dito. Vien da dire così per sintetizzare la reticenza della sommellerie italiana nel fornire i dati degli iscritti. Se Fisar risponde in pochi giorni, con l’efficiente ufficio stampa affidato ad Alice Lupi, Ais prende tempo e ci ragiona su. Dopo una telefonata con WineMag.it e un giro di pareri che ha coinvolto (addirittura) la Giunta Esecutiva e i Revisori Legali, Antonello Maietta si è deciso a fornire i numeri.

Clamorosa la posizione degli scissionisti di Fis Fondazione italiana sommelier: “Non possiamo dare informazioni di questo tipo, cordiali saluti”, fa sapere Paola Simonetti, vice presidente del Comitato Scientifico Fis, dopo innumerevoli rimbalzi. Bibenda come la Nasa e la presidenza Onav che manco l’Fbi: neppure risponde alle (due) mail. Saranno finite nello spam? Pec-cato, davvero.

La guerra alle iscrizioni, insomma, si rivela il nervo scoperto delle associazioni della sommellerie italiana. Un braccio di ferro per i tesseramenti che, in alcune regioni, mostra il suo lato più crudo nell’ambito di eventi enogastronomici organizzati con l’ausilio dei sommelier da Consorzi, Comitati e associazioni. Ripicche e “vendette” incrociate tra le “sigle” dei sommelier che fanno male al tessuto sociale, oltre che al vino italiano.

Quanto ai numeri, Ais (Associazione italiana Sommelier) si conferma la più affollata. Secondo i dati forniti a WineMag.it, gli iscritti a fine 2019 risultano 41.877. Erano 37.922 al 31 dicembre 2017 e 39.650 nel 2018.

“Rispetto alle altre organizzazioni della sommellerie che si sono costituite in seguito – commenta Antonello Maietta – Ais è presente capillarmente su tutto il territorio nazionale, attraverso 22 Associazioni Regionali / Territoriali e circa 150 Delegazioni Provinciali / Zonali, che organizzano corsi, degustazioni ed eventi di vario tipo, fornendo anche supporto ad Enti pubblici e privati”.

“Questa posizione di leadership – continua Maietta – impegna di conseguenza l’Ais a una responsabilità maggiore nell’individuare le tendenze di mercato, le aspettative dei consumatori e dei produttori, modulando, aggiornando e innovando costantemente la propria attività didattica, per essere sempre al passo con i tempi“.

La Segreteria Fisar (Federazione italiana sommelier, albergatori e ristoratori) stabilisce invece gli iscritti in 12.537, a fine 2019. Netta la crescita negli ultimi quattro anni: 9.335 nel 2016, 10.262 nel 2017 e 11.787 nel 2018.

“È una Fisar che cresce anche in termini di numero degli associati – commenta il presidente nazionale Luigi Terzago – con il 2019 che ha registrato oltre 12.500 iscritti alla nostra Federazione. Continueremo a lavorare seguendo la strada fino ad ora percorsa per il consolidamento e la crescita associativa”. Finché tastevin non ci separi.

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Paolo Basso e le sue “Pepite” per Carrefour: “Vi racconto la Gdo francese”

LUGANO – Ormai è un dato di fatto. Dev’esserci un nesso eziologico tra la Grande distribuzione organizzata e i migliori sommelier del mondo. Paolo Basso, “Best sommelier of the World 2013″ e “Best sommelier of Europe 2010″, racconta a vinialsuper il suo (duplice) ruolo di selezionatore e testimonial per Carrefour France.

Il sommelier italo-svizzero ne ha fatta di strada da Besnate, paesino di 5 mila anime della provincia di Varese che lo ha visto nascere, 51 anni fa. Dopo il diploma alberghiero alla “Vallesana” di Sondalo, in Valtellina, diventa sommelier con l’Associazione Svizzera dei Sommeliers Professionisti (ASSP).

Sbarca così nel mondo dell’alta sommellerie, come consulente della gruppo Kempinski Hotels – Luxury Five Star Hotels & Resorts, con base a Ginevra. Seleziona inoltre i vini per Air France e collabora con noti brand come Acqua Panna, San Pellegrino e Nespresso.

Quando ha iniziato a collaborare con Carrefour France? In cosa consiste il suo ruolo?
Il 2017 è il secondo di tre anni di collaborazione concordata con Carrefour. Seleziono dei vini che vengono chiamati “Pepite”, in vendita in occasione delle quattro Foire aux vins di Carrefour. Le ‘Fiere del vino’ sono importanti eventi che si svolgono quattro volte all’anno nei punti vendita dell’insegna: primavera, estate, autunno (la più forte) e nel periodo delle feste di Natale.

Inoltre collaboro con il ‘Club Pass’ Carrefour: uno spazio web dedicato ai clienti speciali di Carrefour, che possono accedere a contenuti a loro riservati, via web. Per loro redigo mensilmente dei redazionali su temi legati al mondo del vino e realizzo dei video tutorial sulla degustazione.

Come seleziona i vini in vendita in occasione delle Foire aux vins Carrefour?
Il meccanismo di selezione è complesso e prevede diversi step. In primis, a gennaio, si effettua una grande degustazione alla cieca di migliaia di etichette, alla quale partecipano i buyer Carrefour e gli stessi produttori. In seguito, i buyer effettuano un’ulteriore scrematura, basandosi su criteri qualitativi e di disponibilità effettiva delle singole referenze sul territorio nazionale francese. Per ultimo intervengo io, che senza alcuna pressione da parte di Carrefour seleziono quelle che saranno “Le mie Pepite”.

A quale fascia prezzo appartengono i vini selezionabili?
La fascia prezzo delle “Pepite” varia dai 4 ai 15 euro. Si tratta di vini bianchi, rossi e dolci, senza sforare nelle bollicine che hanno altri prezzi, trattandosi in Francia di Champagne. Nella fase di degustazione alla cieca, oltre ad annotarmi pregi e difetti, cerco di assegnare alle etichette un potenziale prezzo di vendita. Tra le mie “Pepite” finiscono quei vini in cui il rapporto qualità prezzo sia più che bilanciato.

Si può dunque bere bene con 4 euro?
Non ho mai messo il mio “sigillo” su vini di fascia inferiore ai 4 euro: cifra che tiene conto anche degli sconti ai quali può essere sottoposta la singola etichetta. Peraltro non mi è stato imposto alcun criterio legato al prezzo da parte di Carrefour, al momento della selezione. D’altro canto, ritengo di possa davvero bere bene senza spendere cifre fuori dalla portata comune.

Ha ragione allora Luca Gardini, testimonial di vini a 2 euro per Eurospin, decantati come chicche?
Non conosco i dettagli dell’operazione di Gardini con Eurospin, ma ribadisco che, personalmente, non ho mai selezionato vini con prezzi così risicati. Bisogna però mettersi nei panni dei clienti che pensano di “investire” 3-5 euro in un vino: cosa cercano? Magari gli basta la buona bevibilità, senza andare a cercare tipicità o altri fattori legati ad altri palati. Ovvio che non si possa decantare come eccezionali dei vini che risultano molto semplici.

Hanno un fondo di verità i luoghi comuni sulle abitudini di consumo di vino in Francia?
Certamente. Posso confermare che il bordolesi bevono solo bordolese. Che i vini alsaziani in certe zone della Francia sono detestati. E che nel Sud della Francia si gioca la vera partita del vino, in termini di cifra d’affari.

In Italia il ruolo del sommelier viene spesso vissuto (anacronisticamente) come antitetico alla Grande distribuzione. Lei cosa pensa?
Arrivando dal mondo dell’alta ristorazione, mi sono avvicinato in maniera titubante alla Gdo. Lo ammetto. Ma oggi sono più che contento e fiero di aver fatto questa scelta. Il canale moderno è molto interessante e offre ottimi spunti. E’ un settore che definirei “democratico”, a differenza del mio mondo di provenienza.

Avevo un cliente, in hotel, che sosteneva di non considerare “vino” tutto ciò che costasse meno di 200 euro. Ebbene, oggi sostengo di essere fiero di poter mettere a disposizione la mia professionalità e competenza per persone con budget molto più limitati, che hanno tutto il diritto di bere bene, in base alle proprie disponibilità.

Vuole segnalare ai lettori di vinialsuper qualche “Pepita” in particolare?
Certamente. Ecco un elenco di etichette, con prezzi indicativi: 1) Blanc Bourgogne, Mâcon-Fuissé “Vieilles Vignes” Rijckaert F.Rouve 2015, 12 euro; 2) Rouge Vallée du Rhône, Cotes du Rhone Villages Cairanne, Truffes Et Friandises Confidences 2015, 6 euro; 3) Rouge Languedoc / Roussillon, Cotes du Roussillon Promesse Rouge, Mas Amiel 2015, 10 euro; 4) Rouge Languedoc / Roussillon, Languedoc Saint-Drézéry Première, Puech-Haut 2015, 10,90 euro; 5) Rouge Bordeaux, Puisseguin-Saint-Émilion Château Soleil Promesse 2015, 9,90 euro; 6) Rouge Vins Etranger, Espagne Jean Leon 3055 Merlot-Petit Verdot 2015, 18 euro; 7) Rouge Vins Etranger, Aregentine Clos de los Siete 2014, 13 euro; 8) Pouilly Fuissé Domaine du Grand Pré, 2016, 12,90 euro; 9) Tokaji Aszu 5 Puttonyos, 2006 Château Impérial Tokaji, 2006, 17 euro.

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