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Gli Editoriali news news ed eventi

Terre d’Oltrepò, vendemmia bollente: Callegari minaccia i soci e chiude Casteggio


EDITORIALE –
Estate bollente per le cooperative vinicole in Italia, con i casi di Moncaro, nelle Marche, e Cantine Europa, in Sicilia, che paiono sempre meno isolati. Nonostante le rassicurazioni del mese di luglio, la situazione starebbe rischiando di giungere a un punto di non ritorno anche a Terre d’Oltrepò, in vista della vendemmia 2024. La notizia è delle scorse ore. La cantina sociale, che opera su tre stabilimenti, si ritrova a dover fare i conti con «
un’ulteriore riduzione delle quantità presenti nei vigneti e una diminuzione dei pesi» conferiti nei primi due giorni di raccolta delle uve. Per questo motivo, l’ad Umberto Callegari ha comunicato ai soci la chiusura dello stabilimento di Casteggio.

«Sebbene il clima (inteso come meteo, ndr) sia fuori dal nostro controllo – scrive l’amministratore delegato in una missiva inviata ai soci di Terre d’Oltrepò – possiamo gestire la cantina in modo più efficiente, nell’interesse di tutti. Per questo motivo, a partire da venerdì 23 agosto compreso, la raccolta sarà concentrata esclusivamente nello stabilimento di Broni, anche per i soci di Casteggio (a 12 km di distanza, ndr). Questa decisione ci consentirà di risparmiare oltre 25 mila euro al giorno (equivalenti a circa 500 mila euro nell’arco della vendemmia). Ottimizzando così l’efficienza delle operazioni. Le attività nello stabilimento di Santa Maria continueranno regolarmente».

Inoltre, il management della cooperativa oltrepadana ha deciso di posticipare di una settimana la produzione dei vini kosher. Ufficialmente, si legge, «per permettere la maturazione ottimale delle uve». «Agire con razionalità per massimizzare i guadagni dei soci – continua la missiva – è la scelta più corretta. Siamo certi della vostra collaborazione». La chiusura dei cancelli dello stabilimento di Casteggio per le operazioni di vendemmia – ovvero di uno dei tre poli di Terre d’Oltrepò/La Versa in provincia di Pavia – non sarebbe tuttavia dettata solo dal «clima fuori controllo».

CALLEGARI ACCUSA I SOCI E MINACCIA: «TOLLERANZA ZERO»

Ad ammettere ufficialmente il malumore dei soci della cooperativa Terre d’Oltrepò è nientemeno che l’ad Umberto Callegari, figlio del presidente in carica, Lorenzo Callegari. In un lungo comunicato apparso su un sito-web della provincia di Pavia, l’amministratore delegato della cantina sociale ipotizza comportamenti definiti nell’articolo «irresponsabili», ad opera di alcuni viticoltori della zona.

«Per i disonesti e gli sparlatori – minaccia testualmente Callegari – ci sarà tolleranza zero. Stiamo parlando di pochi casi, ma non è giusto che rischino anche solo di depotenziare i risultati dell’onesto lavoro della maggioranza dei soci onesti e responsabili». L’ipotesi, avvalorata dal comunicato, è che i primi giorni di vendemmia abbiano «portato alla luce alcuni casi di pirateria ad opera di una minoranza che continua a minare la solidità del mondo cooperativo».

UMBERTO CALLEGARI A MUSO DURO CON GLI INFEDELI. POI VA AL MEETING DI RIMINI

«Alcuni viticoltori – si legge ancora – stanno già cercando di eludere l’obbligo di conferimento totale, vendendo le uve al di fuori dei circuiti cooperativi. Questi comportamenti irresponsabili, oltre a violare il patto che lega i soci alle loro stesse cooperative, rischiano di compromettere seriamente gli sforzi di rilancio intrapresi da Terre d’Oltrepò, la principale cooperativa vitivinicola del territorio». Le conseguenze a cui potrebbero andare incontro questi viticoltori? Sanzioni e azzeramento del saldo 2025. Nei mesi scorsi, come già riportato da winemag.it in un articolo finito duramente nel mirino della cooperativa, erano state decine le richieste di disdetta dei soci di Terre d’Oltrepò, per la stragrande maggioranza respinte dalla cantina.

Nel frattempo, il Ceo di Terre d’Oltrepò è intervenuto ieri, 21 agosto, al Meeting di Rimini (qui il video integrale). Sostanzialmente, per parlare di sé. «Invitato» dagli organizzatori a dire la sua durante uno dei talk, Callegari ha raccontato la propria conversione da «manager mondiale» di una multinazionale dell’informatica ad amministratore delegato di Terre d’Oltrepò. Dopo una sorta di folgorazione sulla via di Damasco, dettata dal richiamo della (bisognosa, ha lasciato intendere senza mezzi termini) azienda della zona natia, il 42enne avrebbe accettato di «ridursi dell’80% lo stipendio». Un viaggio di ritorno (nelle terre dei padri) che rischia ora d’esser vano, se non arriverà uva in cantina. Ma, sempre da Rimini, ecco la rassicurazione: «Non credo che rischierò il burnout». Prosit.

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«Più soci, bottiglie e mercati»: la Cantina Negrar del nuovo presidente Brunelli


Giampaolo Brunelli
 è il nuovo presidente di Cantina Valpolicella Negrar, il numero 14 nella storia della cooperativa veneta. Ad affiancarlo nel suo mandato triennale in qualità di vice presidente sarà Alessia Ceschi, 33 anni, avvocato a Verona. Entrambi sono nati a Negrar di Valpolicella, sono figli di viticoltori soci pluridecennali della cantina e hanno già avuto esperienza direzionale nei trascorsi direttivi. Brunelli è dal 2014 all’interno del collegio sindacale e Ceschi dal 2020, in qualità di consigliere.
Tra i progetti del nuovo corso, la realizzazione di una trentina di vasche dalla capacità di 53 mila ettolitri, entro il 2025.

L’obiettivo è «aumentare la capacità di stoccaggio di vini che necessitano un lungo affinamento». Sarà inoltre concluso l’ampliamento della cantina per altri 2.700 metri quadrati, da destinare a magazzino e all’impianto di imbottigliamento da 12 mila bottiglie all’ora. Altra mission del nuovo presidente è l’allargamento della base sociale – oggi i soci sono 230, per oltre 700 ettari di vigneto – in modo da «rafforzare la capacità produttiva e allargare i mercati». Ultimo progetto è quello di «gettare le basi per realizzare un bilancio di sostenibilità».

«Abbiamo di fronte situazioni molto complesse sia dal punto di vista economico che sociale – commenta il nuovo presidente di Cantina Valpolicella Negrar, Giampaolo Brunelli – a cui però intendiamo rispondere non chiudendoci a riccio, ma con lo slancio e l’energia propri a una compagine “giovane”, che guarda a un futuro migliore, desiderosa di portare la cantina a bissare i primi 90 anni». «Nel mio mandato, in linea con il presidente e il consiglio – aggiunge Alessia Ceschi, prima donna a ricoprire la carica di vice presidente della cantina – porterò la mia professionalità e la mia sensibilità verso il cambiamento, a beneficio dei soci e del territorio».

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Cantina Santadi è Cantina dell’anno per la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024


È Cantina Santadi la Cantina dell’anno per la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024 di winemag.it (disponibile in prevendita a questo link).
Cantina di Santadi si trova nel Sulcis, nella zona sud-occidentale della Sardegna, a pochi chilometri dalle meravigliose spiagge e dune bianche di Porto Pino. Nata nel 1960, assume un nuovo un nuovo volto con l’arrivo di un nuovo gruppo dirigente, che ne solleva le sorti sino a renderla un vanto non solo per la Sardegna, ma per l’Italia intera. Il vitigno Carignano è da allora al centro del progetto enologico, senza tuttavia trascurare i vitigni a bacca bianca tradizionali della Sardegna come Vermentino, Nuragus e Nasco.

Il desiderio di imporsi sui mercati con qualità è dimostrato dall’arrivo a Cantina Santadi dell’enologo di fama internazionale Giacomo Tachis, oggi compianto. Erano gli anni Ottanta. L’impronta lasciata dal creatore di vini icona dell’enologia italiana come Sassicaia, del Tignanello e del Solaia si fa ancora sentire a Santadi in vini come Terre Brune (primo vino barricato della Sardegna che in questa Guida si aggiudica 96/100, con l’annata 2019), Rocca Rubia, Noras, Araja, Grotta Rossa e Antigua, oltre che nei bianchi Villa di Chiesa, Cala Silente, Pedraia, Villa Solais e Latinia.

La cantina è presieduta dal 1976 da Antonello Pilloni, socio di Santadi dal 1974 e coadiuvato da un Cda che mira a dare all’azienda una forma «snella, dinamica e puntuale». Negli anni Duemila l’altra grande rivoluzione. Con l’obiettivo di produrre vini di maggior qualità viene costruito un moderno e funzionale laboratorio per le analisi, vengono implementati il reparto vinificazione, la sala barrique, il magazzino per il confezionato e vengono aggiunte una serie di vasche in cemento. Non viene mai dimenticato il rispetto e la tutela dell’ambiente e quest’ultima trance di lavori include un impianto fotovoltaico e un moderno depuratore. Cantina Santadi conta oggi 200 soci viticoltori che, insieme, coltivano 600 ettari di vigneto nell’areale del Sulcis.

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Fisar, il presidente Luigi Terzago ai saluti: dal 2023 sarà il turno di Roberto Donadini


Tempo di saluti per Luigi Terzago. Il presidente Fisar lascerà il posto a Roberto Donadini, uscito vincitore dalle elezioni 2022 (qui la squadra completa) e pronto ad entrare in carica dal 2023, in seguito alla ratifica del nuovo Consiglio nazionale della Federazione italiana Sommelier, Albergatori e Ristoratori. Di seguito le parole di saluto e congedo espresse da Luigi Terzago ai soci Fisar.

Grazie, Grazie, Grazie! Termino il mio mandato con il sorriso sulle labbra e molta soddisfazione nel cuore! Cari associate/i, siamo giunti ai saluti finali, che annunciano il naturale passaggio di consegne a chi si accinge a “governare” la nostra associazione a cui porgo i miei più sentiti auguri.

Mi sento un po’ come nell’ultimo giorno di scuola, forse perché è più quello che ho imparato da presidente piuttosto che quello che ho dispensato come conoscenza. E, forse con un paragone all’apparenza incoerente ma alquanto intenso e veritiero, posso dirvi che mi rivedo fortemente in questa citazione: «La scuola (in questo caso l’associazione) è imparare ciò che non sapevi nemmeno di non sapere».

Ho pensato spesso alle parole che avrei scritto nel mio ultimo editoriale. E sicuramente mai avrei pensato di arrivarci provato fisicamente e psicologicamente da questi difficili anni di pandemia, che speriamo di far diventare a breve un brutto ricordo. Ero consapevole della estrema difficoltà che mi attendeva nel ruolo che assumevo da presidente. Ho affrontato questi quattro anni con impeto ed impegno, affiancato dal Consiglio nazionale in un tutt’uno che ci ha permesso di portare a compimento gran parte degli impegni presi in occasione del programma proposto nelle scorse elezioni del 2018 e per questo ringrazio tutti sentitamente.

La domanda iniziale era stata: credi nella Fisar ed in un ruolo attivo della nostra associazione? La mia risposta era stata un sì incondizionato, motivo di accettazione di un incarico non ricercato ma del quale ho sentito da subito una grande responsabilità. La successiva, a seguire, se credi nella Fisar e nella sua missione, quali sono le strade più nobili da intraprendere? A questa domanda le risposte non mi risultarono subito chiare: ho puntato su una forte riaffermazione dello stile associativo, della dignità insita nella accettazione di portare il nostro marchio.

Ho lavorato per un miglioramento del clima interno, un ambiente dove tutti i Soci abbiano pari dignità e si sentano sempre a proprio agio, informati, coinvolti, partecipativi, rilassati e ascoltati. Una attenzione sempre maggiore verso la Fisar da parte delle Istituzioni, Associazioni, realtà imprenditoriali e produttive cittadine e territoriali. A 66 anni il percorso della propria vita è già arrivato ai suoi 2/3 e non vi è più necessità di correre dietro alle gratificazioni esterne ma, piuttosto, di vivere intensamente le gioie interiori e penso alla famiglia ed agli amici.

E nell’associazionismo, ricordo, uno dei valori fondanti è l’amicizia fisariana. Sono convinto di lasciare al nuovo presidente e al nuovo consiglio nazionale una Fisar in salute, consapevole della ricchezza umana reciproca tra i Soci e del sempre maggiore senso di responsabilità verso la nostra associazione. Posso dire di terminare il mio mandato con il sorriso sulle labbra e molta soddisfazione nel cuore! Il mio tempo è passato ma sono certo che la nostra associazione continuerà nella sua opera incessante, per Voi, per chi verrà dopo di Voi e per il bene della Fisar. Un abbraccio a tutti e grazie!

Roberto Donadini eletto nuovo presidente Fisar: «Ora formazione ed enoturismo»

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Veronafiere, obiettivo «snellire la gestione»: ampliate le deleghe di Maurizio Danese


L’Assemblea dei Soci di Veronafiere riunitasi oggi ha dato il via libera al nuovo assetto della governance della Spa di Viale del Lavoro. Il Consiglio di amministrazione ha deciso di ampliare le deleghe di Maurizio Danese, rinunciando alla nomina di un nuovo direttore generale, ruolo ricoperto dal 2001 da Giovanni Mantovani.

Nominato all’unanimità amministratore delegato nel giugno scorso dal Cda, già ai vertici della Fiera dal 2015 a maggio 2022 e attualmente anche presidente di Aefi, l’Associazione di riferimento dell’industria fieristica italiana, Danese ricoprirà in sostanza anche il ruolo di general manager.

Nel corso dell’assemblea ai Soci sono stati illustrati anche il piano di razionalizzazione delle società del gruppo. L’obiettivo, come spiega Veronafiere in una nota, è «snellire la gestione, renderla più efficiente accorciando la linea decisionale garantendo al contempo un efficientamento dei costi».

Le novità riguardano anche l’assetto organizzativo interno, che prevede l’ingresso di due nuove figure dirigenziali. «Opereranno in stretto contatto con l’amministratore delegato – spiega la Spa di Viale del Lavoro presieduta da Federico Bricolo – una delle quali proveniente da una società interamente di proprietà del Gruppo e che sarà assorbita da Veronafiere nel corso del 2023».

Così la compagine societaria Veronafiere SpA: Comune di Verona (39,483%), Fondazione Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona (24,078%), Camera di Commercio di Verona (12,985%), Cattolica Assicurazioni (7,075%), Banco BPM Spa (7,009%), Agenzia Veneta per l’Innovazione nel Settore Primario (5,379%), Provincia di Verona (1,401%), Intesa Sanpaolo Spa (1,354%), Banca Veronese Cooperativo di Concamarise (0,883%), Immobiliare Magazzini Srl (0,188%) e Regione Veneto (0,161%).

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«Ecco perché siamo usciti dal Consorzio Vini Colli Euganei»: lettera di 9 cantine padovane

Con la presente le aziende Alla Costiera, Ca’ Lustra, Quota 101, Reassi, San Nazario, Villa Sceriman, Vignale di Cecilia, Vignalta e Vigna Roda, sono a comunicare le motivazioni che le hanno indotte ad interrompere la carica di socio del Consorzio Volontario per la Tutela e la Promozione dei vini DOC e DOCG Colli Euganei.

La prima ragione risiede nella convinzione che l’eventuale cessione della Doc Serprino alla Doc Prosecco potrebbe causare una grave perdita di identità territoriale. E non si intende solo dell’identità del Serprino ma anche, e soprattutto, delle altre Doc Colli Euganei, primi fra tutti i rossi. Gli interventi usciti nella stampa nel recente periodo, non fanno altro che avvalorare questa tesi, e preoccupante è la dichiarazione rilasciata dal Presidente Marco Calaon, il quale afferma che nella sua visione futura vedrebbe i Colli Euganei come immagine bandiera della Prosecco Doc. (il mattino di Padova del 8.11.22).

Questo è esattamente il pericolo che vorremmo si evitasse, in quanto una menzione così forte inevitabilmente offuscherebbe tutte le altre radicate tipicità del nostro luogo, anziché trainarle, come alcuni sostengono. Le aziende sopra citate ritengono opportuno che decisioni così importanti per i Colli Euganei, che segnano in modo marcato il futuro di un territorio, debbano necessariamente essere discusse il più ampiamente possibile dagli imbottigliatori e dalla base sociale, cosa che invece in questa occasione non è mai avvenuta, essendo l’Assemblea stata posta dinnanzi a scelte quasi obbligate senza un dibattito costruttivo nell’interesse di tutti.

Tutto questo è reso possibile dal fatto che esiste all’interno del Consorzio un problema di rappresentatività che porta di fatto in assemblea ad un forte sbilanciamento della capacità decisionale verso la cooperativa locale. La consapevolezza da parte degli organi amministrativi di avere i numeri per far approvare qualunque decisione sia appoggiata dalla Cantina Sociale, sembra che nell’ultimo periodo abbia fatto perdere l’interesse anche al solo ascolto dell’opinione della minoranza, rappresentata da un certo numero di medio/piccole aziende imbottigliatrici che cercano di far conoscere la qualità enologica dei Colli Euganei».

GLI ANTEFATTI

Polveriera Colli Euganei: otto cantine escono dal Consorzio Vini

Colli Euganei come “Asolo” del Prosecco Doc, Zanette conferma: «Trattative aperte tra Consorzi»

Quando metteremo Rovolon sulla mappa dei grandi vini rossi italiani?

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Campari, “orange” passion: pronto il trasferimento della sede in Olanda

MILANO – Da rosso italiano ad “orange” olandese, il passo è breve. L’Assemblea degli azionisti di Davide Campari ha deliberato il trasferimento della sede sociale in Olanda, per l’esattezza nella capitale, Amsterdam.

Valigie pronte, insomma, per il Gruppo di Sesto San Giovanni (MI) quotato in Borsa dal 2001, simbolo mondiale dell’italianità con il Bitter e altre storiche etichette. Il mercato, condizionato dall’emergenza Covid-19, sta generando un significativo sconto del prezzo corrente dell’azione, rispetto al prezzo di recesso di 8,376 euro.

L’assemblea di Campari informa il trasferimento in Olanda potrebbe “saltare” solo se “l’ammontare in denaro che Campari dovrà eventualmente pagare agli azionisti che esercitino il diritto di recesso non ecceda complessivamente l’importo di 150 milioni di euro“.

Il Gruppo ha comunque raccomandato ai propri azionisti di revocare la delibera approvata dell’assemblea del 27 marzo 2020, “nel caso il numero di azioni oggetto di recesso non fosse trascurabile“. Gli azionisti verranno convocati nuovamente il 30 giugno 2020, data in cui è stata fissata un’assemblea straordinaria.

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Vini al supermercato

Approvato il bilancio 2018/2019 di Cantina di Soave: oltre 74 milioni di euro distribuiti ai soci

Approvato all’unanimità lo scorso 8 novembre,  il bilancio d’esercizio 2018/2019 di Cantina di Soave. Un risultato positivo che ha portato alla distribuzione di oltre 74 milioni di euro ai 2300 soci  e ad una redditività media per ettaro di quasi 13.500 euro.

I DATI IN SINTESI
Nonostante un mercato in discesa sui prezzi il fatturato di Cantina di Soave si è attestato sui 136 milioni di euro, sviluppati per il 65% dalle vendite nazionali e per il 35% dai mercati internazionali.

Quest’ultimi, hanno registrato un leggero aumento a livello europeo (+6%) grazie alle buone performance di Germania, Svizzera e Austria che hanno compensato le sofferenze di UK e Danimarca. Incrementi anche su Canada (+71%), grazie ai consumi di vini rossi come Ripasso e Amarone e dal Giappone (+154%) dove si apprezza il Soave.

Rilevanti i valori medi/litro sui prodotti imbottigliati a marchio come Rocca Sveva (+9%) e Cadis (+15%) nonostante le quotazioni dei vini in calo a causa degli elevati volumi produttivi dell’annata.

Sostanziale equilibrio le vendite di imbottigliato e sfuso, rispettivamente il 42% e il 58% del fatturato. Per lo sfuso si registra un +9% in volume dovuto alla vendemmia 2018 particolarmente abbondante e un -6% in valore.

L’imbottigliato invece mostra un aumento del 13% in volume e dell’11% in valore. Dato significativo considerata la complessa situazione del mercato e le difficoltà tecniche legate alla sostituzione, nel corso dell’esercizio, delle linee di imbottigliamento della sede principale di Viale della Vittoria, a Soave e che ha garantito la salvaguardia del prezzo medio.

Per quanto concerne l’imbottigliato la ripartizione tra le vendite a marchio e le private label è stata rispettivamente del 46% e 54%.

Supera i 65 milioni di euro il patrimonio netto, a fronte di un cash flow operativo di 9,5 milioni di euro e un utile di esercizio di 1,9 milioni di euro. Buona la disponibilità liquida di 25,4 milioni di euro, pur in presenza di investimenti nel corso dell’esercizio per 18 milioni di euro.

Il totale dei conferimenti risulta pari a 91 milioni di euro ed è da record la liquidazione destinata alla remunerazione delle uve conferite dai soci viticoltori: oltre 74 milioni di euro.

LA SODDISFAZIONE DEL MANAGEMENT
“Cantina di Soave in questi anni ha subito profonde trasformazioni – spiega il Direttore Generale Bruno Trentini è stata definita una strategia generale focalizzata sulla valorizzazione delle nostre denominazioni e una decisa politica commerciale per i brand aziendali. Questo al fine di dare valore alle denominazioni e al territorio. Il perseguimento di tali strategie ha portato nel corso degli anni alle incorporazioni delle Cantine di Cazzano di Tramigna, Illasi e Montecchia che hanno consentito di allargare gli orizzonti territoriali e ampliare la gamma”.

“Questo sviluppo – continua Trentini – ci ha soprattutto permesso di consolidare il nostro status di azienda a tutta filiera dal grappolo alla bottiglia, a partire da uve di proprietà. Questa è la principale garanzia di qualità della Cantina ed è al contempo una sicurezza per i soci che sanno di avere alle spalle una struttura solida su cui poter fare affidamento. Questo percorso di crescita è stato portato avanti negli anni garantendo sempre una remunerazione delle uve ben al di sopra del valore di mercato e dei competitors”.

Cantina di Soave ha investito ammodernando i centri di conferimento e le sedi produttive, acquisendo nuove strutture e, recentemente, realizzando l’ampliamento della sede principale di Viale della Vittoria che vede Cantina di Soave proiettata verso il futuro con una struttura ultra-efficiente e moderna. Sono 18 i milioni di euro spesi, per quanto riguarda l’esercizio appena concluso. Nel complesso, negli ultimi tre anni, l’investimento è stato di circa 90 milioni di euro, uno dei più rilevanti del settore nel panorama nazionale dell’ultimo decennio.

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Cantina di Soave, +20% di fatturato. Record: 70 milioni ai soci

SOAVE Centoquarantuno milioni di euro di fatturato consolidato e 70 milioni distribuiti ai soci. E’ stato approvato all’unanimità il bilancio d’esercizio 2017/2018 di Cantina di Soave, in occasione dell’assemblea che ha segnato il passaggio di consegne della presidenza da Attilio Carlesso a Roberto Soriolo.

LE CIFRE
La vendemmia 2017, pari a 860 mila quintali di uva conferita, ha determinato un fatturato del 20% superiore rispetto al precedente esercizio. All’interno del venduto complessivo, è di rilievo il +39% in valore del prodotto sfuso, soprattutto grazie alle vendite di vini Dop e Igp che hanno mantenuto buone performance.

L’imbottigliato cresce in volume (+11%) e in valore (+9%). In linea con le strategie aziendali portate avanti negli ultimi anni, le vendite di prodotto imbottigliato rappresentano il 50% dell’intero fatturato, di cui ben il 52% deriva da prodotto a marchio, contro il 48% determinato dalla vendita di prodotti a private label.

La ripartizione tra le vendite Italia ed estero è rispettivamente del 63% e del 37%. Per i vini bianchi, Soave e Pinot Grigio, i mercati di riferimento rimangono Regno Unito, Germania e Austria, mentre per i rossi a più alto valore aggiunto, Ripasso e Amarone, i mercati più importanti si confermano Scandinavia e Svizzera, seguiti dal Regno Unito che ha visto una crescita del +12% rispetto all’anno precedente.

In tema di capitalizzazione aziendale, il patrimonio netto supera i 62 milioni di euro, a fronte di un cash flow operativo di oltre 9,5 milioni di euro e un utile di esercizio di 3,3 milioni di euro. La disponibilità liquida, pur in presenza di investimenti nel corso dell’esercizio per 32,4 milioni di euro, passa da 38,2 a 39,3 milioni di euro.

Il totale dei conferimenti aumenta a 98,5 milioni di euro ed è da record la liquidazione destinata alla remunerazione delle uve conferite dai soci viticoltori. “I nostri 2200 soci – evidenzia Bruno Trentini, Direttore generale di Cantina di Soave – quest’anno hanno visto la liquidazione delle uve salire a 70 milioni di euro e la redditività media per ettaro a sfiorare i 13 mila euro. Risultati straordinari che ci gratificano enormemente: siamo una cantina cooperativa e la soddisfazione dei soci conferitori per noi è fondamentale”.

IL COMMENTO
“La situazione dell’azienda – continua Trentini – appare più che mai solida ed equilibrata in tutte le sue componenti. Abbiamo raggiunto e superato gli obiettivi che ci eravamo prefissati. L’ottima performance dei vini imbottigliati, in particolare quella dei prodotti a marchio aziendale, è un risultato importante”.

“Nel corso dell’esercizio l’azienda ha infatti proseguito nella sua politica commerciale sia in Italia che all’estero, rafforzando i brand già esistenti e creandone di nuovi, al fine di consolidare le attuali posizioni di mercato e conquistarne altre”.

Soddisfazione della dirigenza di Cantina di Soave anche per le operazioni di gestione attuate nel corso dell’esercizio 2017/2018, in linea con quelle degli anni passati, “in un’ottica di valorizzazione delle denominazioni territoriali, al fine di garantire il massimo del reddito alla base sociale”.

“L’80% della nostra produzione – evidenzia Trentini – deriva da vitigni autoctoni. Gestire una denominazione significa stabilire la quantità di prodotto da immettere sul mercato senza creare esuberi e definire il posizionamento più corretto per la stessa”.

LE DENOMINAZIONI
“Questo è quello che stiamo facendo per le tipologie Soave (gestiamo il 48% dell’intera Doc Soave e il 43% della Doc Soave Classico), Valpolicella (gestiamo il 49% dell’intera DOC Valpolicella) e successivamente per il Lessini Durello (gestiamo il 70% dell’intera DOC Lessini Durello) e Garda, con il risultato che queste denominazioni sono oggi tra le più remunerative per il viticoltore nel panorama nazionale: il confronto con il passato parla da sé”, sottolinea ancora il direttore generale.

Nel corso dell’ultimo esercizio sono proseguiti imponenti lavori di ampliamento di tutte le strutture produttive di Cantina di Soave, che si completeranno prossima primavera. Un investimento di 32,4 milioni di euro.

“Un dato estremamente significativo – evidenzia Bruno Trentini – dal momento che a fronte di questo notevole esborso, la disponibilità liquida ha registrato un aumento, seppur leggero, passando dai 38,2 milioni di euro dello scorso esercizio ai 39,3 milioni di euro di quello appena concluso, anche grazie al ricorso al finanziamento bancario. Questo dimostra una grande capacità, da parte dell’azienda, di generare liquidità”.

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Vendemmia Terre d’Oltrepò: superati i 500 mila quintali di uva

BRONI – Orgoglio e soddisfazione espresso da Andrea Giorgi, Presidente di Terre d’Oltrepò e La Versa sulla vendemmia 2018 giunta quasi al termine.

Tramite un comunicato video diffuso sui canali social della cantina ha parlato ai soci dell’importante traguardo raggiunto.

Ecco la trascrizione delle sue dichiarazioni.

“Abbiamo superato i 500.000 quintali di uva conferita dai soci, vecchi e nuovi.  Ci accingiamo a portare a termine quella che è una vendemmia epocale, dovete essere orgogliosi della vostra Cantina, del vostro lavoro; la Cantina esprimerà prodotti, vino,  che sono frutto anche della vostra fatica. Da questa vendemmia usciranno delle grandissime basi spumanti e dei grandissimi rossi che presto arriveranno sulle tavole di tutti i nostri consumatori.  Anticipando i disciplinari abbiamo realizzato anche la vendemmia del Pinot Nero in cassetta, un prodotto che ci ha dato una grandissima soddisfazione considerando il livello dei vini delle basi spumante che questa primavera verranno tirate presso la Cantina La Versa e da cui uscirà un Testarossa di grandissima qualità.”

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Terre D’Oltrepò: 12 milioni di euro sotto l’albero di Natale dei soci

BRONI – Dodici milioni di euro distribuiti ai soci negli ultimi due mesi. Quattro scadenze per i prossimi acconti, già fissate da dicembre 2017 all’estate 2018. Buone notizie sotto l’albero di Natale di Terre d’Oltrepò, il colosso che assieme a Cavit Trento sta tentando il rilancio della storica cantina pavese La Versa 1905.

“Pagamenti vitali per il sostentamento delle imprese vitivinicole dell’Oltrepò, specie in un’annata così difficile”, dicono dalle parti di Broni (PV). La prima “rata” alle oltre 700 famiglie di viticoltori è attesa per il 31 dicembre. La seconda il 31 marzo 2018. Per il 31 luglio 2018 la terza, mentre l’ultimo pagamento avverrà “entro 10 giorni dall’approvazione del prossimo Bilancio d’esercizio”.

Per sostenere queste uscite la Cantina ha utilizzato le proprie forze. “Siamo quasi tutti piccoli viticoltori – afferma Andrea Giorgi, presidente di Terre d’Oltrepò – gente che sa bene cosa significhi lavorare in vigneto portando avanti un’azienda. La nostra Cantina rappresenta viticoltori che non possono più sottostare al capriccio o all’interesse dei parassiti che fino ad oggi hanno vissuto sulle loro spalle”.

“Le problematiche di quest’anno – continua Giorgi – hanno messo a dura prova la viticoltura oltrepadana ed è nostro dovere fare tutto il possibile per stare vicino ai produttori, con ogni mezzo. Soprattutto non facendo mancare loro il sostentamento economico”.

Durante l’ultimo Consiglio sono state discusse anche le questioni sollevate in occasione dei quattro incontri del mese di dicembre con i soci delle diverse zone (Pietra de Giorgi, Montù Beccaria, Casteggio, Borgoratto Mormorolo).

“Abbiamo visto una grande partecipazione – sottolinea Marco Forlino, vicepresidente di Terre d’Oltrepò – in alcuni casi, come a Casteggio, addirittura sale gremite. Siamo molto soddisfatti degli esiti di queste prime riunioni. Cominciamo finalmente a vedere nella nostra base quel coinvolgimento che riteniamo assolutamente vitale per la condivisione e la legittimazione dell’intero processo decisionale della cantina”.

“Nei prossimi mesi fisseremo nuovi incontri zonali – continua Forlino – in Comuni diversi. Il nostro intento è sempre stato e rimane quello di creare dei momenti informativi e di confronto periodici con i nostri soci. Momenti fondamentali per dare vigore ad uno spirito di appartenenza che in passato è troppo spesso mancato, in Cantina come nel territorio”.

“Quest’anno abbiamo vissuto momenti difficili – conclude il presidente Giorgi – ma li abbiamo superati con l’appoggio dei soci. E con lo stesso appoggio andremo avanti su ogni nuovo iniziativa, collaborando con chi vorrà unirsi a noi, ignorando il resto”.

Se da un lato Giorgi scansa le polemiche e affonda la lama nelle critiche, dall’altro deve fare i conti con una nuova magagna burocratica.

Tra le cantine coinvolte nella maxi operazione dei Carabinieri dei Reparti Tutela Agroalimentare sul suolo nazionale c’è anche la Cantina sociale di Casteggio, una delle due unità produttive di Terre d’Oltrepò.

Tra i 41.048 ettolitri totali finiti sotto sequestro, oltre 3 mila sono stati “sigillati” dai militari nella cantina pavese, perché privi della regolare documentazione relativa alla provenienza delle uve.

Nessun problema di tipo sanitario per il vino posto sotto sequestro. Piuttosto l’ennesima batosta (questa volta amministrativa) per un Oltrepò pavese del vino che spera nella definitiva consacrazione sul panorama nazionale.

“In merito al sequestro amministrativo delle due cisterne presso la Cantina di Casteggio operato dai Reparti Tutela Agroalimentare – commenta Terre d’Oltrepò – ci preme segnalare che nei giorni successivi al controllo abbiamo fornito entro i termini richiesti tutta la documentazione richiesta. Siamo pertanto in attesa che il vino in questione venga dissequestrato, cosa che presumibilmente avverrà appena dopo le feste”.

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Un tram che si chiama La Versa. Ultima chiamata per l’Oltrepò

Diciotto milioni di euro netti di ricavi nel 2009. Poi giù. Nel buio più profondo. Fino ad arrivare a una voragine dal diametro impressionante.

Un buco (finanziario) da 12 milioni di euro, consolidato dal bilancio 2016. E un vuoto (morale) ancora più disorientante, allo scattare delle manette ai polsi dell’eterno presunto Messia, giunto dalla Franciacorta: quell’Abele Lanzanova capace, secondo la GdF, di “appropriarsi di ingenti somme sottraendole alle scarse risorse finanziarie della Cantina, peraltro già interessata da procedimenti prefallimentari”. Era il 21 luglio 2016.

L’araba Fenice dell’Oltrepò pavese ha un nome solo ed è La Versa. Evocativo. Tattile. Come i trattori dei contadini in canottiera che, nella culla del Pinot Nero italiano, passano accanto a quel blocco di cemento di 15 mila metri quadrati, pronti a tornare a popolarsi di uomini, di passioni, di idee.

Ci credono in molti – ma forse ancora in troppo pochi – nel rilancio della storica cantina pavese ad opera della nuova società costituita da Terre d’Oltrepò e Cavit. In questo quadro, in una terra che da troppi anni è un puzzle di buoni propositi e di ottimi progetti individuali annegati nell’incapacità di “fare rete”, la cooperazione pare l’unico asso nella manica.

Lo sa bene Andrea Giorgi, personaggio a metà tra il cow boy e il sindaco sceriffo: presidente della newco scioglilingua “Valle della Versa”, partecipata al 70% dai lombardi e al 30 dai trentini. Ironia sottile, silenzi dosati. Risposte mai banali o scontate. A volte pungenti. Un giardiniere pronto a seminare nel deserto. Un minuto Gandhi, il minuto dopo William Wallace (a parole) prima di Bannokburn. Senza però sfociare nel bipolarismo.

Al suo fianco Marco Stenico, il mediatore. Il direttore commerciale per antonomasia. Trentino d’origine, è lui il braccio destro di Giorgi. L’uomo perfetto per riconquistare il mercato.

E non importa se, al 24 agosto, i due non sappiano ancora quali siano, esattamente, i bottoni da premere sul quadro elettrico per accendere la luce nel “caveau” di La Versa, intitolato allo storico presidente duca Antonio Denari. Per risorgere ci vuole tempo. E occorre fiducia. La ricetta? Ripartire dal passato, in chiave moderna.

“Questa è un’azienda nuova – precisa Stenico – costituita dai due soci. Terre d’Oltrepò e Cavit si sono prese carico, ognuna per le proprie competenze, di alcune attività. Noi seguiremo la parte commerciale, mentre i nostri partner trentini la parte tecnica, la vinificazione e la parte industriale, che sta per essere messa in attività a partire già da settembre”.

Dalla scorsa settimana, i conferitori della zona di Santa Maria della Versa e di Golferenzo hanno ricominciato a portare le loro uve a La Versa. “Tutto raccolto a mano – evidenzia Stenico – Pinot Nero, Riesling e Moscato”. La prima vendemmia della nuova società si assesta sui 25 mila quintali di uva. Masse certamente inferiori ai 450-500 mila quintali che Terre d’Oltrepò e i suoi soci sono in grado di produrre annualmente. Ma siamo, appunto, solo all’inizio.

La parte del leone spetta al Pinot Nero, con oltre 10 mila quintali. A seguire il Riesling, 5 mila. E infine il Moscato, con 7-8 mila quintali. Quantità risicate da maltempo e gelate che hanno interessato l’Italia, travolgendo anche l’Oltrepò Pavese. Cento i soci conferitori di quella che fu La Versa, cui si andrà a sommare la base sociale di Terre d’Oltrepò, costituita da oltre 700 soci. Tradotto in vigneto: 6 dei 13 mila ettari complessivi sono controllati da Valle della Versa, con un potenziale produttivo che supera il 55% dell’intera zona.

“Da questa vendemmia – commenta Andrea Giorgi – ci aspettiamo un prodotto da collocare nel più breve tempo possibile sul mercato con il marchio La Versa. Un’operazione strategica per Terre d’Oltrepò, che ha già due stabilimenti: uno a Broni, l’altro a Casteggio. Il primo ha un grande potenziale dal punto di vista tecnologico, che arriva fino alla trasformazione di 15 mila quintali di prodotto al giorno. Casteggio si sta invece specializzando nell’imbottigliamento di prodotti fermi. Qui a Santa Maria La Versa vogliamo invece sviluppare il marchio e destinarlo a prodotti spumanti e a frizzanti in genere”.

Il mercato di riferimento è chiaro. “Nella nostra strategia complessiva – risponde Giorgi – visti i quantitativi enunciati, possiamo abbracciare tutta la gamma, dalle enoteche ai supermercati, passando dai ristoranti. Stiamo accuratamente selezionando i canali nei quali entrare nel modo più redditizio possibile, per creare uno zoccolo duro sul mercato italiano e sviluppare l’estero, dal momento che l’export, oggi, riguarda solo una piccola parte. Quello che vogliamo fare è accontentare i diversi target di clientela, dando senso al lavoro delle nostre centinaia di conferitori”.

Al canale moderno, quello della distribuzione e della grande distribuzione organizzata (Do-Gdo) sarà affidato il 70-75% della produzione. Il resto alla nicchia della ristorazione e delle enoteche. Diverso il discorso per il marchio La Versa. Ed è qui che si gioca una delle partite fondamentali per il rilancio della cantina pavese.

IL TESORO NEGLI ABISSI
Nei due piani sotterranei della cantina sono infatti custodite oltre un milione di bottiglie di metodo Classico oltrepadano (o futuro tale). Voci incontrollate assegnerebbero a questo scrigno un valore di 4,2 milioni di euro. Lo stesso per il quale la newco si è aggiudicata l’asta.

Una cifra che Giorgi e Stenico non confermano. E che, anzi, sembrano ridimensionare. Cosa ne sarà di questo bottino, vera carta da giocare anche nei confronti delle resistenze sull’operazione di Cavit in Oltrepò, da parte di una frangia di vignaioli delle Dolomiti? Cinque le annate custodite nel Caveau, comprese tra la 2004 e la 2015 , tra Docg e Vsq.

“Vorremmo identificare il posizionamento del prodotto in una fascia alta – precisa il direttore commerciale -. Canalizzeremo in Gdo La Versa, fatta eccezione per marchi storici come Testarossa e Cuvée storica, che invece saranno appannaggio del canale tradizionale. Sintetizzando, sia per la Gdo sia per l’Horeca, un posizionamento alto per i prodotti La Versa e numeri più bassi. Ristoranti, enoteche e bar di prestigio avranno l’esclusiva del top di gamma di La Versa, protetto dalle logiche dei facili volumi, su livelli dei grandi Franciacorta e dei grandi TrentoDoc”.

“A partire da ottobre inoltrato – dichiara Marco Stenico – saranno immesse sul mercato le prime 5-10 mila bottiglie selezionate in maniera tecnica e precisa, capaci di garantire senza ombra di dubbio quella qualità che avremo sicuramente fra tre anni. Il resto dello stock sarà venduto come prodotto di semi lavorazione ad altri produttori. Per noi questo milione di bottiglie ha un valore enorme e vogliamo portarlo a casa tutto. Devono essere il biglietto da visita di La Versa, ma soprattutto dell’intero Oltrepò, per il quale ci candidiamo a un ruolo di vero e proprio traino”.

LE ETICHETTE
Le etichette, specie quelle destinate alla Gdo, sono ancora in fase di elaborazione. Sarà un lavoro di mediazione che interesserà le stesse insegne, avvezze a richiedere ai clienti layout ben precisi, secondo le moderne frontiere del neuromarketing.

Le prime bottiglie oggetto di restyling dovrebbero spuntare sugli scaffali di una nota catena italiana a cavallo tra i mesi di ottobre e novembre (manca solo la firma sul contratto). Saranno invece tutelate da qualsiasi ingerenza le etichette storiche di La Versa, cui sarà garantita “un’identità vecchio stile, o comunque della vecchia bottiglia”.

“Faremo dei piccoli cambiamenti – annuncia Marco Stenico – ma senza togliere riconoscibilità al marchio”. Grande attenzione al mercato italiano. Ma nel mirino, per l’estero, oltre agli Stati Uniti, si affiancheranno missioni su piazze importanti, come Germania e Inghilterra.

L’aspettativa? “Innanzitutto – risponde Stenico – portare a casa la pagnotta. Ma i nostri piani industriali prevedono una crescita di 6 milioni nel primo anno e di 10 nei prossimi 3-4 anni, con redditività”. Una parola magica, “redditività”, che riguarderà soprattutto un’oculata gestione dei costi e delle risorse.

Di fatto erano trentacinque i dipendenti de La Versa colata a picco. Sette i milioni di fatturato nel 2015, scesi poi a poco più di 4 milioni nel 2016, per pagare stipendi e mantenere gli standard infrastrutturali. Di fatto, oggi sono 6 i dipendenti effettivi di La Versa (un enologo e 5 cantinieri). E se di numeri si parla, basti pensare che Terre d’Oltrepò, con un fatturato di 40 milioni, ha oggi in carico 48 dipendenti.

“Una gestione scellerata quella del passato – evidenzia il presidente Andrea Giorgi – che ha portato alla distruzione del fatturato di La Versa. Scelte imprenditoriali e commerciali errate hanno condotto la società a un’esposizione esagerata. Ma tra le cause del fallimento bisogna citare anche una componente politica, perché è impossibile immaginare 35 dipendenti in una realtà da 4,5 milioni euro annui”.

IL CONSORZIO
“La ripartenza di La Versa – dichiara Emanuele Bottiroli, direttore del Consorzio di Tutela Vini Oltrepò – è un nuovo inizio per un Oltrepò spesso percepito come schiavo di mille padroni e incapace di governare il proprio mercato. All’Oltrepò Pavese serve un marchio collettivo leader, La Versa può esserlo. In Oltrepò ci sono il Pinot nero, la storia spumantistica dal 1865, i terreni collinari tra i più vocati d’Italia, i borghi del vino più caratteristici e l’anima vera di ‘contadini diventati imprenditori’, come ricordava Carlo Boatti”.

“Tutti – prosegue Bottiroli – ripetono come dischi rotti che manca una strategia d’insieme. Per me, ferme restando le identità di tanti singoli produttori di filiera e le loro maestose composizioni, manca un direttore d’orchestra. Manca un leader che sposi un progetto di marketing e posizionamento a valore, forte dei numeri per competere in Italia e nel mondo”.

“In altre parole possiamo trascorrere i prossimi 10 anni a cercare di mettere insieme 1700 aziende vitivinicole, 300 delle quali vanno sul mercato con le loro etichette e un imbottigliamento significativo di una miriade di tipologie, oppure collaborare al rilancio di La Versa, perché torni a svolgere il ruolo di autorevole ambasciatore di un Oltrepò di alta gamma, come avveniva ai tempi del Duca Denari”.

La Versa, evidenzia Bottiroli, “ha testimoniato con il suo impegno e la sua storia l’eleganza e la longevità unica che può arrivare ad avere un grande ‘Testarossa, marchio La Versa per l’Oltrepò Pavese Docg Metodo Classico, pura espressione del Pinot nero d’Oltrepò. Ne abbiamo 3.000 ettari”.

“La nuova proprietà – esorta il direttore del Consorzio – deve coinvolgere il territorio in un percorso in cui tutti devono credere con passione, perché ripartire richiede progetti, massa critica, continuità e tempo. La Versa deve tornare a raccontare ed affermare cosa sia un grande spumante Metodo Classico italiano e un superlativo vino dell’Oltrepò”.

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Vini al supermercato

Pinot Nero Sudtirol Alto Adige Doc 2013, Cantina Cortaccia

(5 / 5) Etichetta impegnativa per il pubblico non ‘germanofono’, quella del Blauburgunder Kurtatsch. Per chi mastica solo italiano, aiutano le scritte Pinot Nero (Blau burgunder, appunto) e Cortaccia (Kurtatsch), la cantina produttrice.

Disquisizioni linguistiche e di marketing del vino a parte, quel che conta è il contenuto. E il Blauburgunder Pinot Nero 2013 della cantina Kurtatsch, vale proprio la pena d’essere acquistato e stappato.

Si aggira tra gli 8 e i 9 euro, di fatto, il prezzo di questo prezioso nettare della Doc Sudtirol Alto Adige, sugli scaffali dei supermercati. E questo è il momento perfetto per assaporarne l’evoluzione in bottiglia, a tre anni dalla vendemmia e dall’immissione in vetro.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Pinot Nero Cortaccia 2013 si presenta del tipico rosso rubino. Meno trasparente, tuttavia, rispetto ad altri vini ottenuti dallo stesso vitigno. Al naso i richiami sono quelli attesi: sottobosco, piccoli frutti a bacca rossa e nera. Sentori intensi, fini, decisi ma delicati.

Un naso, dunque, che disegna un palato capace di confermare le attese: le note fruttate si mescolano a una sensazione di velluto che rende piacevole la beva. Alla delicatezza della frutta fa spazio un’acidità piacevole, rinfrescante. E una sapidità percettibile, ma dosata e pacata.

Una volta deglutito, il Pinot Nero 2013 di cantina Cortaccia si rivela lungo, su note  che si fanno vagamente speziate, ad accompagnare i frutti di bosco. Buon vino da meditazione, accompagna al meglio ricchi primi piatti e secondi di carne rossa, alla griglia o arrosto, oltre alla selvaggina e ai formaggi stagionati. La temperatura di servizio deve aggirarsi fra i 16 e i 17 gradi.

LA VINIFICAZIONE
Tra i prodotto di punta della linea “Selection” di Cantina Cortaccia, questo Pinot Nero è ottenuto al 100% dalle omonime uve originarie dalle Borgogna francese, che da oltre un secolo hanno trovato una seconda, accogliente casa nei terreni del Sudtirolo.

In particolare, la zona produttiva si trova nel comune di Montagna, in località Gleno, provincia di Bolzano: uno splendido paesino situato a 500 metri sul livello del mare, ai piedi del Monte Cislon, il cui paesaggio è dominato da vigne e folti boschi. Il terreno è misto sabbioso e argilloso, caratteristiche che in bottiglia si traducono nel giusto compromesso tra una pronta bevibilità del prodotto e una complessità non banale.

La vinificazione del Pinot Nero Cortaccia prevede una fermentazione a temperatura controllata in vasche aperte e un successivo affinamento in legno grande, meno invasivo delle piccole barrique. Cantina Cortaccia conta oggi 190 soci, che coltivano 190 ettari di terreni, dislocati tra i 220 e i 900 metri di altitudine.

Prezzo: 8,90 euro
Acquistato presso: Il Gigante

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Vini al supermercato

Pinot Bianco Colterrae Alto Adige Doc 2015, Cantina Colterenzio

(4,5 / 5) Un vero “affare” trovare in promozione al supermercato il Pinot Bianco Colterrae Alto Adige Doc 2015 di Cantina Colterenzio (Kellerei Schreckbichl).

Un vino straordinario, anche nel rapporto qualità prezzo pieno. Certamente uno dei migliori vini sotto i 10 euro presenti sugli scaffali dei supermercati italiani. Nel calice, il vino si presenta di un giallo paglierino tenue, con riflessi verdolini.

Al naso, intense e schiette note floreali, fruttate e minerali. Mela e pera sembrano diluirsi in una delicata soluzione salina, a esaltazione dello speciale terroir altoatesino in cui opera la Cantina Colterenzio. Ma è in bocca che il Pinot Bianco Colterrae Alto Adige Doc 2015 offre le emozioni più sincere. Un fil rouge sembra collegare ingresso e chiusura di una beva sapida, in crescendo verso il finale, e dall’acidità elegante.

Le note fruttate fresche, già avvertite al naso, fanno da splendido contorno. Ecco riaffiorare mela, pera, ma anche sentori di pesca e agrumi maturi. Una volta ingerito, il nettare rivela un retro olfattivo dalle tinte lievemente speziate, di pepe bianco. Delizioso aperitivo, il Pinot Bianco Colterenzio si abbina alla perfezione con gli antipasti, il pesce e le carni bianche di moderata elaborazione, anche speziate. Da servire, rigorosamente, a una temperatura di 10-12 gradi.

LA VINIFICAZIONE
I vigneti di Pinot Bianco sono allevati a un’altezza compresa tra i 450 e i 550 metri sul livello del mare. Una zona particolarmente vocate per il Pinot bianco quella in cui opera la Cantina Colterenzio, con terreni ghiaiosi e in parte dalla spiccata presenza di calcare. Il microclima fresco e le forti escursioni termiche tra giorno e notte assicurano un perfetto risultato in bottiglia e contribuiscono a rendere corposo (13,5%) questo Pinot Bianco.

La resa per ettaro si aggira attorno ai 70 ettolitri. Il mosto fermenta a una temperatura controllata di 18 gradi in acciaio e affina per alcuni mesi sui lieviti. Prima della commercializzazione è previsto un altro breve periodo di affinamento in bottiglia.

Cantina Colterenzio sorge in un territorio le cui radici affondano nella viticoltura. Le prime tracce risalgono già al 15 a.C., quando il colono romano Cornelius riconobbe la straordinaria fertilità di questa terra e decise di stabilirvisi, gettando le basi dell’attuale vocazione vitivinicola di Colterenzio. Il suo podere “Cornelianum” diede il nome al paese di Cornaiano.

L’antica tradizione fu rinnovata nel 1960, quando 28 vignaioli fondarono la Cantina Colterenzio. A questi se ne unirono altri nel corso degli anni. Ad oggi Colterenzio conta quasi 300 soci viticoltori che conferiscono le uve provenienti da circa 300 ettari di vigneto di loro proprietà.

Prezzo pieno: 9,36 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Al Mercato dei Vini Fivi verticale di Barbacarlo e Collio

Torna, negli spazi di Piacenza Expo di via Tirotti 11, sabato 26 e domenica 27 novembre 2016 la sesta edizione del Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti. La Fivi (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti) è l’associazione che raccoglie e rappresenta i vignaioli che seguono l’intera filiera produttiva del vino: coltivano le vigne, imbottigliano il vino, seguendo e curando personalmente il proprio prodotto. Saranno circa 400 quest’anno i vignaioli, provenienti da ogni regione d’Italia, che durante i due giorni incontreranno il pubblico per far conoscere non solo i propri vini, espressione della terra che coltivano con passione, ma anche le proprie storie. Due giorni di festa dove si potranno assaggiare e acquistare i vini direttamente agli stand dei produttori, veri custodi del vino come espressione diretta del territorio e della sua cultura. Come l’anno scorso le quattro degustazioni proposte saranno condotte direttamente dai vignaioli. Un’occasione in più per conoscere il loro mondo attraverso gli occhi dei colleghi.

LE VERTICALI
Due le verticali previste, una di Barbacarlo di Lino Maga e una di Collio di Edi Keber e due degustazioni che sembrano un viaggio attraverso l’Italia, dal Trentino di Pojer e Sandri alla Calabria di ‘A Vita. Oltre al vino si potranno degustare le specialità gastronomiche degli Artigiani del cibo, ancor più numerosi rispetto all’anno scorso, che porteranno salumi e formaggi, pani, dolciumi e specialità gastronomiche da diversi angoli d’Italia. Durante la manifestazione verrà consegnato il Premio Romano Levi, giunto alla terza edizione, al Vignaiolo dell’Anno e saranno premiate le foto vincitrici del contest #chinonbeveincompagnia, indetto sui canali social della Fivi. Gli orari di apertura del Mercato dei vini sono: sabato dalle 12.30 alle 19.30 e domenica dalle 11.00 alle 19.00. Ingresso € 15.00 (ridotto € 10 per i soci Ais – Fis – Fisar – Onav e Slow Food).

GLI ORGANIZZATORI
La Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti (Fivi) è un’associazione nata nel 2008 con lo scopo di rappresentare la figura del viticoltore di fronte alle istituzioni, promuovendo la qualità e autenticità dei vini italiani. Per statuto, possono aderire alla Fivi solo i produttori che soddisfano alcuni precisi criteri: “Il Vignaiolo FIVI coltiva le sue vigne, imbottiglia il proprio vino, curando personalmente il proprio prodotto. Vende tutto o parte del suo raccolto in bottiglia, sotto la sua responsabilità, con il suo nome e la sua etichetta”. Attualmente sono quasi 1000 i produttori associati, da tutte le regioni italiane, per un totale di circa 10.000 ettari di vigneto, per una media di circa 10 ettari vitati per azienda agricola. 70 sono i milioni di bottiglie commercializzate e il fatturato totale supera 0,7 miliardi di euro, per un valore in termini di export di 240 milioni di euro. I 10.000 ettari di vigneto sono condotti per il 49 % in regime biologico/biodinamico, per il 20 % secondo i principi della lotta integrata e per il 31 % secondo la viticoltura convenzionale.

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Veneto shock: Valpolicella Classica pronta alla scissione dal Consorzio. A Soave prezzi del vino al ribasso

Davide contro Golia, “ciak si gira”. In Veneto. Alle porte della vendemmia 2016, la regione vinicola più produttiva d’Italia è in subbuglio. L’ennesima riduzione della percentuale delle uve da mettere a riposo per Amarone e Recioto, paventata dal Consorzio di Tutela Vini della Valpolicella e ormai in via di ufficializzazione, rischia di generare una scissione da parte dei produttori della zona Classica.

E a Verona, in occasione dell’evento clou del programma di Soave Versus, andato in scena ieri al Palazzo del Gran Guardia, serpeggia il malumore tra i piccoli produttori. Costretti “a mantenere bassi i prezzi dei loro vini per l’esistenza di un ‘cartello’ che limita, di fatto, la concorrenza leale”.

Parole forti quelle che volano in Valpolicella e a Soave. Confermate da diversi produttori, che preferiscono mantenere l’anonimato. Ma andiamo con ordine. “Con un’annata come questa che si preannuncia eccezionale – evidenziano alcuni vignaioli della Valpolicella, sentiti in esclusiva da vinialsupermercato.it – la riduzione delle rese delle uve ci colpisce ancora di più. Tutti si aspettavano dal Consorzio di Tutela Vini della Valpolicella un aumento della percentuale di uve da mettere a riposo per Amarone e Recioto, proprio per l’abbondanza e la qualità che registreremo in vendemmia. Invece ci ritroveremo con l’ennesima diminuzione. E alla domanda: perché? Ci hanno risposto che ci sono numerose cantine con Amarone in abbondanza, invenduto. Una decisione presa dunque per mantenere in equilibrio il rapporto tra domanda e offerta in Valpolicella”.

Peccato che, come sottolinea ancora il gruppo di produttori, “le cantine della Valpolicella Classica registrano il problema inverso”. “Praticamente nessuno di noi ha dell’Amarone invenduto e dunque non si capisce perché dobbiamo sottostare a questa misura, che taglierà ulteriormente le gambe all’economia dei piccoli produttori, per difendere gli interessi dei grandi gruppi e delle cantine sociali della zona allargata. Di certo sappiamo che neppure la cantina sociale della zona Classica (Negrar) ha dell’Amarone invenduto: figurarsi i piccoli produttori. E i prezzi, qui da noi, non sono certo al ribasso”.

“Il problema di fondo – continuano i viticoltori – è far capire ai consumatori finali che esistono diversi tipi di Amarone: nella zona classica abbiamo da sempre valori aggiunti in termini di stile e qualità. Nonostante ciò, non siamo abbastanza rappresentati numericamente nel Consorzio per far valere le nostre ragioni. L’unica soluzione, dunque, sarebbe quella di una scissione dal Consorzio della Valpolicella, con la creazione di un altro ente che si prenda cura, alla stessa maniera, di tutti: piccoli e grandi”.

Il nuovo Consorzio, o distretto, sull’esempio di quanto avvenuto in Oltrepò Pavese con la creazione del Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese, guarderebbe gli interessi delle aziende dei Comuni di Fumane, Marano di Valpolicella, Negrar, San Pietro in Cariano e Sant’Ambrogio di Valpolicella, che producono Valpolicella classico, Valpolicella classico superiore, Valpolicella Ripasso classico, Valpolicella Ripasso classico superiore, Amarone della Valpolicella classico e Recioto della Valpolicella classico.

PIU’ QUALITA’ CHE PREZZO A SOAVE

Non si parla di secessione, invece, tra i produttori di Soave intervenuti al grande evento al Palazzo della Gran Guardia di Verona. Ma monta il malumore. A far traboccare il vaso, di stand in stand, è la nostra domanda sul prezzo delle singole bottiglie presentate in degustazione. Costi davvero irrisori per la qualità espressa da alcuni Soave Classico o Superiore. Una situazione invitante per la grande distribuzione organizzata (Gdo), che arriva a proporre ai vignaioli una media di 1,30 euro a bottiglia. Prezzo che sullo scaffale, a margini e Iva applicati, lieviterebbe comunque a soli 3,50 euro, per il cliente finale.

Davvero troppo poco per dei Soave che prevedono raccolte vendemmiali tardive, appassimenti in cassetta di percentuali d’uva e, in alcuni casi, anche brevi passaggi in legno. “Il perché è semplice – spiegano uno dopo l’altro i vignaioli intervistati – e va ricercato nel fatto che a comandare sui prezzi nella zona del Soave sono poche cantine, che dettano legge per tutti. Bisogna essere abbastanza potenti per poter contrastare queste aziende e provare, per esempio, a proporre sul mercato vini innovativi, diversi: perché in quel caso, qualcuno si sentirebbe scavalcato, vedendosi ‘derubato’ di fette di mercato. Il Soave, nel mondo, è stato bistrattato e proposto all’estero con prezzi assurdi, anche inferiori all’euro, nei supermercati. La crisi non basta a giustificare tutto ciò”.

I produttori di Soave interpellati denunciano poi la sussistenza di un “conflitto d’interessi nelle alte leve del vino di Soave”. Il presidente del Consorzio, Arturo Stocchetti, è anche il presidente dell’Unione Consorzi Vini Veneti Doc e Docg (U.Vi.Ve, che sul proprio sito web omette l’organigramma). Arturo Stocchetti, inoltre, è presidente di Cantina Castello (eccolo, questa volta, in foto in home page assieme alla famiglia). Uno dei soci di Stocchetti in Cantina Castello ricoprirebbe infine un ruolo di primo piano nella cantina sociale di Soave.

Una stoccata all’assessore all’Agricoltura della Regione Veneto, Giuseppe Pan, arriva invece – sempre in occasione di Soave Versus 2016 – da parte di Paolo Menapace, presidente della Strada del Vino Soave: “Benissimo promuovere il territorio di Soave, ma la Regione dovrebbe elargire contributi speciali a chi reimpianta la pergola, vero e proprio simbolo della viticoltura tradizionale locale, rinunciando alla spalliera”.

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Viticoltori Friulani La Delizia: inaugurata la cantina di 11 mila metri quadri

Viticoltori Friulani La Delizia, la più grande cantina del Friuli Venezia Giulia, raddoppia nell’anno del suo 85° anniversario dalla fondazione. Ieri, 19 agosto, l’apertura della nuova area produttiva di Orcenico Inferiore di Zoppola. La struttura, unita alla sede storica di Casarsa della Delizia, che rimarrà pienamente operativa, ha portato alla nascita del più grande polo per la vinificazione e spumantizzazione dell’intero Friuli Venezia Giulia. Che diventa così uno dei maggiori d’Italia. “La logica con cui si è sviluppato questo nuovo sito – ha spiegato il presidente Flavio Bellomo, di fronte a un nutrito pubblico, tra cui quasi tutti i 450 soci della cantina – è stata quella di affrontare nell’immediato le esigenze produttive e logistiche conseguenti a questi anni di crescita, ma è una logica legata anche ad una visione a medio e lungo termine, cercando di predisporre il tutto per uno sviluppo razionale e organico che può avvenire nei prossimi anni. Questo nuovo stabilimento – ha proseguito Bellomo – deve essere un punto di partenza per costruire il nostro futuro, fedeli alle radici del nostro passato che ha come punti di forza la produzione di vino di qualità che racconta il territorio friulano in cui nasce e la presenza nei mercati esteri”.

L’ESPANSIONE
Dai pionieri di 85 anni fa (era il 7 maggio 1981 quando settanta viticoltori decisero di unire le forze in una cooperativa che gli permettesse di dare un futuro stabile alle proprie famiglie) si giunge ai 450 soci attuali, le cui vigne coprono un territorio che va da Pordenone fino a Cervignano del Friuli. L’allora Cantina Sociale Cooperativa Destra Tagliamento – questo il nome assunto agli esordi – è stata capace di superare la Seconda guerra mondiale, nella quale fu bombardata, e il terremoto del 1976, durante il quale subì la rottura dei serbatoi. La cantina continuò a crescere per tutta la seconda metà del Novecento, cambiando nome a partire dagli anni Ottanta in Viticoltori Friulani La Delizia, dopo l’incorporazione di altre cantine. Investimenti continui nella qualità e tecnologia di produzione hanno infine portato La Delizia a essere una realtà capace di commercializzare il proprio vino a livello internazionale. Tutti i soci aderiscono al percorso tecnico-agronomico della cantina, che punta “alla qualità del prodotto e alla gestione rispettosa e mirata dell’ambiente e del territorio”. Al loro fianco i 60 dipendenti della cantina, che effettuano a 360 gradi le operazioni necessarie alla trasformazione dell’uva in vino: dai controlli in vigna alla vinificazione, dalla spumantizzazione all’imbottigliamento fino alla commercializzazione del prodotto. Al direttore de La Deliza, Pietro Biscontin, il compito di illustrare il progetto dello stabilimento di Zoppola. “Con un investimento di 12,5 milioni di euro – ha spiegato – La Delizia ha avviato la nascita di questa nuova area produttiva in posizione strategica sulla strada statale Pontebbana. Un progetto che rappresenta un volano per l’economia locale (nel cantiere hanno operato in questa prima fase 12 aziende, ndr) nonché la riqualificazione di un’area industriale dismessa per diversi anni, quella dell’ex cantina Friulvini”. Su un’area di 80 mila metri quadri totali, attualmente sono 11 mila i metri quadri coperti. Un’ampiezza di quasi due campi da calcio, nei quali trova spazio un impianto di vinificazione e stoccaggio da 90 mila ettolitri di Pinot Grigio e Prosecco, i vini più richiesti del momento. Cuore dell’impianto i 50 “giganti”: serbatoi dalla capacità di 1.900, 1.600 e 900 ettolitri e alti 12 metri, realizzati in acciaio inossidabile austenitico e dotati di un moderno sistema di controllo della temperatura, gestibile anche in remoto dalla sede di Casarsa. “Lo sviluppo della sede di Zoppola – ha annunciato Biscontin – che sarà utilizzata già dalla vendemmia 2016, proseguirà nei prossimi anni. Prevedendo, tra i futuri step, anche la gestione logistica dei vini imbottigliati a inizio 2017”.

GLI INTERVENTI
“Un esempio di qualità e coraggio imprenditoriale”: così la presidente della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani ha definito durante la cerimonia di inaugurazione la cantina La Delizia di Casarsa, aggiungendo che “questa è la più grande cantina del Friuli Venezia Giulia che oggi aumenta notevolmente la propria produzione grazie alla sua espansione avvenuta con il recupero di un vecchio stabilimento. Un’azienda sana, con un fatturato assolutamente positivo e un export estremamente interessante, esempio di qualità sia per i mercati in cui opera sia per la capacità di compiere nuovi investimenti, grazie ai 12,5 milioni di euro utilizzati che inevitabilmente si ripercuotono positivamente tanto nel territorio quanto nei soci”. Secondo il vicepresidente regionale e assessore alle Attività produttive Sergio Bolzonello questa realtà rappresenta un’eccellenza perché “è capace di comprendere che la forte dinamicità dei mercati si può affrontare solo attraverso importanti investimenti. E quello compiuto a Orcenico – ha aggiunto Bolzonello – è straordinario non solo per il valore economico ma anche per la qualità di ciò che viene messo a disposizione di un sistema vitivinicolo regionale che qui ora ha a disposizione la più grande realtà nel campo della vinificazione”.

Parole di elogio sono giunte anche da Carlo Dalmonte, presidente di Caviro (la più grande cantina cooperativa italiana) che ha rilanciato sulle sinergie già in essere tra le due realtà vitivinicole intervenendo all’interno della tavola rotonda sulla cooperazione agricola condotta dal direttore del Messaggero Veneto Omar Monestier. Le comunità di appartenenza della Cantina, Casarsa e Zoppola, sono state rappresentate nel loro saluto rispettivamente dalla sindaca Lavinia Clarotto e dalla sindaca Francesca Papais. Presente anche il presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, Franco Iacop, numerosi consiglieri regionali, sindaci e amministratori del territorio nonché i rappresentanti delle categorie economiche. Non sono mancati i numeri. Il 55% della produzione de La Delizia è richiesto all’estero, più esattamente in 30 Paesi. Oltre ai canali distributivi consolidati in Usa, Canada, Germania e Regno Unito (dove recenti statistiche di mercato indicano come il Prosecco sia richiesto tanto quanto lo champagne francese), altre aree del mondo stanno iniziando a premiare la cantina friulana come l’Europa dell’Est (con la Russia in primis) e la Cina, alle quali si aggiungono mercati vinicoli emergenti dal Messico al Sudest asiatico. Il 45% della produzione destinata al mercato nazionale è richiesta principalmente dal canale Horeca (Hotellerie-Restaurant-Café) e dalla grande distribuzione.

I PREMI
Nell’occasione sono stati consegnati dei riconoscimenti ad alcune persone che rappresentano la storia di questa realtà divenuta, grazie all’impegno loro come di tutti gli altri soci, amministratori e dipendenti, tra le più importanti dell’intero Friuli Venezia Giulia, sia dal punto di vista economico che sociale: a Mara Nacci per i suoi 36 anni di lavoro nella Cantina, dipendente donna da più tempo all’interno de La Delizia; a Paolo Bertolin per i suoi 38 anni di lavoro nella Cantina, dipendente uomo da più tempo all’interno de La Delizia; a Giocondo Bozzetto nato come i Vini La Delizia nel 1931 e socio conferitore della Cantina da più tempo (66 anni ininterrotti); e infine al cavaliere Noè Bertolin per i suoi 29 anni da presidente dei Vini La Delizia, fondamentali per la crescita internazionale e la modernizzazione della Cantina. Don Ugo Gaspardo parroco di Orcenico Inferiore e don Roberto Stefanon (già cantiniere della stessa La Delizia) hanno impartito la benedizione al nuovo stabilimento prima del taglio del nastro (presente durante la cerimonia pure don Lorenzo Camporese parroco di Casarsa). Il direttore de La Delizia Pietro Biscontin ha inoltre presentato i positivi dati della cantina. Nella vendemmia 2015 sono stati lavorati 2 mila ettari di vigneti (compresi quelli dell’Azienda speciale regionale di Pantianicco gestita dalla cantina) nelle zone Doc Friuli Grave e Prosecco (per quest’ultima gli ettari lavorati sono 500), per una produzione di 300 mila quintali di uve. Da esse sono stati prodotti 22 milioni di litri di vino, di cui 8 milioni di Prosecco Doc e altri spumanti, sempre più richiesti dal mercato. L’ultimo bilancio è stato chiuso con un fatturato di 45,5 milioni di euro, +20% rispetto all’anno precedente. Numeri che, per la vendemmia 2016 pronta a partire a fine agosto, sono previsti in crescita visto anche l’avvio della nuova Doc Friuli. Attualmente La Delizia propone 6 linee di vino (Naonis, Naonis Collection, Sass Ter, La Delizia, La Delizia Aquila, Vigneti) con 42 etichette. Inoltre è stata lanciata un’anticipazione sul ritorno nel mercato del marchio Friulvini.

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Numeri del vino cooperative: l’unione fa la forza

187 aziende di natura cooperativa,  in rappresentanza delle principali Dop Italiane saranno presenti al Vinitaly a raccontare i loro prodotti. Il vino delle cooperative è un business che vale 4,3 miliardi di euro l’anno, di cui 1,8 miliardi di esportazioni. Proprio in occasione dell’appuntamento di Verona, l’Alleanza delle Cooperative Italiane  ha tracciato il quadro di quello che è il peso del vino della cooperazione, nelle diverse Dop e Igp italiane, prendendo spunto da una rilevazione Ismea che attribuisce al vino cooperativo il 52% del vino totale nazionale Dop ed il 65% del vino Igp.

Ecco i numeri del vino made in coop: l’unione che fa la forza

Quote addirittura superiori al peso delle cooperative sui vini comuni (50%). Fuori dal generico, cooperative Cantine riunite & Civ (547 milioni di ricavi nel 2015), Caviro (226 milioni), Cavit (167 milioni), Gruppo Cevico (112 milioni). Del Prosecco, è risultato che la metà della vinificazione è fatta da cooperative. Lo stesso accade nella vicina Valpolicella dove 3 bottiglie su 5 hanno origine sociale. Sempre in Veneto, l’80% del Soave Doc e il 53% del bianco di Custoza arrivano da coop. In Trentino le cooperative sono una forte presenza con oltre il 90% del prodotto per le Doc di Teroldego Rotaliano, Trentino, Valdadige e Casteller e un 24% per lo spumante Trentodoc.
Ma anche in alcune regioni considerate fuori dal coro le cooperative hanno un peso discreto. Per il Piemonte, Barolo 20%, Barbaresco 22% e Dolcetto di Dogliani 42%. Per la Toscana a seconda delle denominazioni: solo 10% della produzione per Brunello di Montalcino, il 20% per il Chianti Classico Docg e il 50%  per il Nobile di Montepulciano. Non sorprende l’Emilia Romagna, la patria delle cooperative, con il 90% del Lambrusco e il 75% del Sangiovese di Romagna made in coop. Nel Lazio la Doc Vignanello è vinificata solo da cooperative e anche praticamente la Igt Colli Cimini a quota  98%. Scenario che si ripete in Puglia, dove si contano 6 Doc con valori pari all’80% dell’intera produzione, mentre il Primitivo di Manduria raggiunge quota 40%.
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