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Vipava Valley: il paradiso nascosto dei vini macerati della Slovenia

Vipava Valley vini macerati sloveni 10 top orange wine Slovenia da assaggiare paradiso nascosto vini macerati Slovenia Valle del Vipava valle del Vipacco Vipavska Dolina
Potesse avere una bandiera tutta sua, la Vipava Valley – o
Valle del Vipava o del Vipacco, in sloveno Vipavska Dolina – sceglierebbe la via minimalista. Monocromo. Un vessillo di un unico colore. L’arancione. Quello dei suoi orange wine. Già perché la vallata della Slovenia che prende il nome dal fiume Vipava è un vero e proprio paradiso dei vini macerati. Tra il villaggio di Podnanos, ad est, e il confine con l’Italia, ad ovest, Madre Natura ha collocato qui due varietà di uve autoctone ancora poco note, perfette per la produzione di alcuni tra i vini macerati più fini al mondo. Si tratta dello Zelèn e della Pinela. Cenerentole con cui si può fare conoscenza a pochi minuti dal Collio friulano, altro Eldorado degli orange wine. La Vipavska Dolina – parte integrante della regione vinicola di Primorska – si trova infatti appena dopo il Collio sloveno (Goriška Brda), proseguendo verso Est. Sopra all’altra subregione del Kras (Carso), con cui confina nella parte sud-orientale.

«In mezzora si può attraversare la Vipava Valley in auto», ricorda Robert Gorjak, comunicatore ed ambasciatore dei vini della Slovenia. Una gemma che conta, per l’esattezza, 2.098 ettari complessivi e due aree geografiche ben distinte: la Upper Vipava Valley, ovvero la parte più occidentale; e la Lower Vipava Valley, più vicina a Nova Gorica (Gorizia). «Proprio come nel Collio italiano – continua Gorjak – è difficile incasellare i vini della Valle del Vipava in un’unica categoria. È un’area in cui convivono più vitigni e più stili. Dagli internazionali agli autoctoni. E dalle cuvée ai vini da singola varietà. Ma una cosa è certa. In Vipava Valley si producono ottimi vini da macerazione sulle bucce. E, qui come in altre zone della Slovenia, la produzione biologica e biodinamica sta crescendo molto negli ultimi anni».

I VINI MACERATI DELLA VIPAVA VALLEY: TRADIZIONE SECOLARE

Non è nuova della Valle del Vipacco la macerazione. Un processo enologico che prevede il contatto prolungato del mosto con le bucce, i vinaccioli e – talvolta – i raspi dell’uva, durante la fermentazione. Sebbene sia una pratica comune nella vinificazione dei vini rossi, l’utilizzo di questa tecnica sulle uve bianche è ciò che dà origine ai vini macerati, noti nel mondo come orange wines. Durante la macerazione, composti fenolici come tannini e antociani vengono estratti dalle bucce, conferendo al vino caratteristiche distintive in termini di colore, struttura e complessità aromatica.

In Vipava Valley – zona menzionata per la prima volta nel 1844 dal sacerdote Matija Vertovec, nel manuale di viticoltura ed enologia che porta proprio la sua firma – la macerazione delle uve bianche è una tradizione secolare. Questa pratica è stata preservata nel tempo, grazie alla dedizione di viticoltori che hanno affinato il metodo, nel corso dei decenni. Al punto di riuscire a valorizzare le caratteristiche delle uve e dei loro suoli, anche a fronte di una tecnica che tende a omologare i sentori e a rendere tutti uguali i vini macerati (ovviamente quelli fatti male).

ZELÈN E PINELA: DUE UVE AUTOCTONE PER I MACERATI SLOVENI

Colore paglierino con riflessi verdolini. Un bouquet floreale fresco e fruttato, con ricordi di pera e mela. Sono le caratteristiche dei vini ottenuti da uve Zelèn. Una varietà che si distingue dall’altro vitigno autoctono Pinela, che dà vini più freschi ed aromatici, con note di frutta a polpa bianca e una acidità più marcata. Un’accoppiata perfetta per i vini macerati della Vipava Valley, in un’epoca in cui la differenziazione e l’unicità della base ampelografica sono assi nella manica dei viticoltori, in chiave marketing e storytelling internazionale. Oltre alle varietà autoctone, i viticoltori della Valle del Vipava sperimentano con successo la macerazione su uve internazionali. Come Sauvignon Blanc, Chardonnay e Ribolla Gialla.

Importante anche la riscossa di un altro vitigno a bacca bianca: il Riesling italico (molto diffuso anche in Italia, con ben 1.200 ettari in Oltrepò pavese, dove non viene valorizzato a dovere). Per la prima volta nella storia dei vini della Slovenia, il noto produttore Primož Lavrenčič della cantina Burja si prepara ad immettere sul mercato – proprio entro la primavera 2025 – un vino che menziona l’Italico con il nome tradizionale “Grašica”, al posto del più noto (commercialmente) Laški Rizling. Segnando, così, l’inizio di una nuova era per un vitigno che, a sua volta, si presta in maniera genuina alla tradizione della macerazione sulle bucce della Vipava Valley. Lo stesso vale per i vitigni Piwi, introdotti di recente nella zona dalla cantina Marlon Batič.

10 VINI DELLA VIPAVA VALLEY DA ASSAGGIARE

  • Zelèn 2022, Pasji Rep
    Curioso il nome di questa cantina: Pasji Rep significa “Coda di cane” ed è un inno a uno dei “cru” più apprezzati della Vipava Valley. Un vino che scardina i teoremi sul vitigno autoctono Zelèn, solitamente meno aromatico e meno fresco/acido di così. Magistrale la macerazione, che dà corpo e spina dorsale al nettare. Vino da bere a secchiate.
  • MR. 21, Vinska klet Miška
    Ribolla e Malvasia, fermentate spontaneamente. Altra macerazione gestita divinamente, tanto da abbinarsi alle note aromatiche come una cravatta sulla camicia. Ricordi di frutta tropicale, dal naso al palato, sino alle memorie d’agrumi, in chiusura. Altro vino di gran beva, pur mai banale in ogni sua sfaccettatura.
  • Pinela 2023, Guerila
    C’è più ampiezza al naso, come nelle attese, rispetto ai vini prodotti con l’altro vitigno autoctono Zelèn. È l’aromaticità della Pinela, perfettamente espressa. Palato materico, oleoso, dominato dal frutto bianco (pera) ma impreziosito da netti ricordi di erbe selvatiche. Macerazione che qui non viene compiuta, in quanto si tratta del vino di ingresso all’interessantissima gamma della cantina.
  • Malvazija 2021, Krapež
    Classiche note della Malvasia (secca), con la magia regalata da 7 giorni di fermentazione sulle bucce. L’annata è di quelle buone e il vino si concede tra aromaticità, tensione acida e una polpa che si fa quasi “masticare”. Sapidità finale che non guasta, in termini di gastronomicità.
  • Retro Selection 2021, Guerila
    Ecco una cuvée coi fiocchi, a dimostrazione di quanto la Vipava Valley sia terra da single variety, tanto quanto da field blend. Ben quattro le varietà, qui: Pinela, Zelèn, Rebula (Ribolla) e Malvazija dal cru Pri Pili, con macerazione di una settimana. Un nettare ammaliante, di gran complessità e stratificazione, in cui a dominare non è una singola nota, ma un concerto di percezioni che va dal suolo (minerale, roccia) al frutto candito, sul consueto sottofondo di erbe aromatiche e finocchietto selvatico.

  • Rebula Maximilian I 2020, Svetlik
    Un anno in barrique per aggiungere ancora più corpo e struttura a un orange wine che convince per precisione, aromaticità e complessità. Splendida, al palato, la trama tannica che accompagna il sorso, contribuendo – insieme a una netta mineralità – ad un equilibrio perfetto con le note di frutta matura, esotica. Ottimo il potenziale evolutivo.
  • Stranice 2020, Burja
    Primož Lavrenčič si conferma maestro nelle macerazioni, con questo orange wine di assoluta raffinatezza, prodotto dall’ennesimo assemblaggio ben riuscito, con uve tipiche della Vipava Valley: Malvasia, Ribolla e Riesling italico. Piante di 60 anni, che affondano le radici in terreni marnosi. Gran pienezza dal primo naso al retro olfattivo, tanto sul frutto (mela, pera, frutta tropicale) e generosi rintocchi di erbe aromatiche. Zenzero per la componente speziata, abbinata a un leggero tocco fumé in chiusura.
  • Moser Cuvée, Pasji Rep
    In una parola, un altro capolavoro dalla Vipava Valley. Uve Malvasia, Ribolla, Riesling italico e Zelèn provenienti da una singola vigna, contraddistinta da una pendenza del 60% e da suoli poveri, rocciosi e sabbiosi. Vino sapido, dritto, verticale per definizione, con il plus di 7 giorni di macerazione a conferire polpa e materia al sorso. Chiusura sulle consuete note di finocchietto selvatico, a regalare un tocco di balsamicità che rende ancora più irresistibile la beva. Chapeau.
  • Klarnica, Kmetija Cigoj
    Segnalazione che vale un plauso all’eroica operazione di recupero della varietà Klarnica, da parte dell’azienda agricola Cigoj (da provare anche i loro insaccati da maiali mangalica). Si tratta di un vitigno a bacca bianca locale, di cui esistono solo 5 ettari. Bella aromaticità al sorso, sostenuto da un corpo non banale e da un finale che ricorda in maniera netta il miele d’acacia.
  • Zelèn 2021, Fedora Natural Wine Estate
    Splendida espressione del vitigno Zelèn, qui con sette giorni di macerazione sulle bucce. La varietà esprime così la classica nota fruttata gentile, su sottofondo di finocchietto selvatico. Consistenza oleosa in centro bocca e gran freschezza nel finale, delineata da ricordi di mentuccia che contribuiscono a chiamare irresistibilmente il sorso successivo.

NON SOLO VINO NELLA VALLE DEL VIPAVA

Come in ogni regione vinicola che si rispetti, anche la Vipava Valley ha una tradizione gastronomica importante. I tipici vini macerati della zona si sposano perfettamente con i piatti locali. Da provare la Jota della Valle del Vipava, una zuppa a base di crauti o rape macerate nelle vinacce, patate e fagioli, arricchita da carne essiccata o affumicata. C’è poi il Prosciutto Crudo della Valle del Vipava. Stagionato lentamente da maestri artigiani che portano avanti da decenni questa tradizione, ha un sapore delicato e una consistenza di velluto. Impossibile poi non farsi conquistare dagli Štruklji della Valle del Vipava, rotoli di pasta farciti con ripieni dolci o salati (ricotta e noci, erbe selvatiche, patate e pancetta o mele e cannella), che vengono poi cotti in acqua, al vapore, al forno oppure fritti.

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Mercato Fivi 2024, ecco le date: elenco e posizione dei vignaioli a Bologna Fiere


Ufficiali le date del Mercato Fivi 2024, che si terrà a Bologna Fiere dal 23 al 25 novembre 2024. Per l’esattezza 1.007 vignaioli da tutta Italia animeranno la prossima edizione del Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi.
Ospiti dell’edizione – la seconda a Bologna dopo le storiche edizioni a Piacenza Expo – i rappresentanti dei Vignaioli Indipendenti della Slovenia (noti come Neodvisni vinogradniki-vinarji o družinsko posestvo) e dei Vignaioli Indipendenti della Bulgaria. Insieme a loro, trentadue olivicoltori iscritti alla Federazione italiana Olivicoltori indipendenti (Fioi), per un «gemellaggio nel nome delle produzioni agricole di qualità, artigianali e di territorio». Qui lelenco dei vignaioli e la mappa degli espositori al Mercato Fivi 2024 di Bologna Fiere.

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Al di là del Collio: la Vipava Valley svolta su Riesling Italico e Piwi con Burja e Marlon Batič

Anche la Slovenia svolta sul Riesling italico e sui vitigni resistenti Piwi. All’inizio del prossimo anno, Burja – tra le cantine icona della Vipava Valley,  poco lontano dal confine con l’Italia – immetterà sul mercato il primo vino che menziona l’Italico con il nome tradizionale Grašica, al posto del più comune Laški rizling (Riesling italico, per l’appunto). Il nome di fantasia richiama in realtà la tradizione e si avvicina al termine Graševina utilizzato in Croazia e, ancor più, al termine Grašac, declinazione di “Riesling italico” in Serbia.

È una rivoluzione silenziosa per la Slovenia quella che Burja ha deciso di avviare, che farà la storia della viticoltura e dell’enologia nel paese e che potrebbe avere risvolti anche in Italia, qualora l’Oltrepò pavese seguisse l’esempio e decidesse di dare il via a un percorso per l’individuazione di un sinonimo utile a costruire un marketing efficace sui vini prodotti con l’Italico. Nel Pavese sono infatti presenti oltre 1200 ettari di Riesling italico, varietà neppure menzionabile in etichetta e spesso, erroneamente, confusa con il Riesling Renano, con cui l’Italico non ha nulla a che fare dal punto di vista ampelografico.

IL GRAŠICA 2023 BATIČ E LA CUVÉ PIWI DI MARLON BATIČ

Un’altra notizia arriva dalla Slovenia e, in particolare, dalla Vipava Valley. Riguarda il Piwi prodotto da Miha Batič (Marlon Batič), in vendita a circa 50 euro. Un prezzo che dice molto sull’interesse per il movimento che riguarda i “vitigni resistenti” e il loro lento ma progressivo posizionamento accanto ai vini da varietà tradizionali, anche nel segmento top di gamma.

I due vini – Grašica 2023 di Burja e Kakovostno Vino Belo Suho Zgp Vipava di Batič, ottenuta da una “cuvée segreta” di Piwi – costituiscono un ottimo esempio della vitalità enologica della Vipava Valley (in italiano Valle di Vipacco), regione vinicola slovena che brilla per un utilizzo sapientemente dosato della macerazione, al punto da elevare all’ennesima potenza le caratteristiche primarie delle varietà locali, internazionali e dei vitigni resistenti alle malattie fungine.

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Aceto Balsamico Made in Slovenia: «Scippo da 1 miliardo di euro»

«L’inaccettabile scippo del nome di “aceto balsamico” da parte della Slovenia mette a rischio un miliardo di euro di valore al consumo e rappresenta un attacco all’intero sistema del Made in Italy di qualità». È quanto denuncia la Coldiretti nel commentare la decisione del Governo sloveno di varare una norma con la quale qualsiasi miscela di aceto di vino con mosto concentrato si potrà chiamare, e vendere, come “aceto balsamico”.

Una scelta, peraltro già notificata alla Commissione Europea, «che va contro – rileva Coldiretti – le attuali norme comunitarie che tutelano Dop e Igp e disciplinano il sistema di etichettatura e informazione del consumatore».

La questione è arrivata sul tavolo del neo Ministro delle Politiche Agricole, Senatore Stefano Patuanelli e proprio in queste ultime ore, la Direzione Qualità del Mipaaf sta predisponendo la documentazione tecnica necessaria per completare il dossier che dovrà essere notificato alla Commissione.

Il tempo non è molto perché l’atto di opposizione dovrà essere notificato in Commissione entro il 3 marzo 2021 e la preoccupazione dei Consorzi cresce con il passare dei giorni.

Secondo la Confederazione nazionale Coltivatori diretti, l’iniziativa slovena «rischia di andare a ingrossare il mercato internazionale del falso Made in Italy, che fattura già oltre 100 miliardi di euro utilizzando impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che, secondo un’analisi Coldiretti e Filiera Italia, si richiamano all’Italia per prodotti taroccati che non hanno nulla a che fare con la realtà nazionale».

Un’industria del falso sempre più fiorente che ha i suoi centri principali in Paesi come Australia, Canada e Stati Uniti e in tutto il Sudamerica. Una spinta importante alle imitazioni sarebbe stata data proprio dai dazi aggiuntivi nei confronti dei formaggi e salumi italiani, che hanno favorito le “brutte copie” locali.

La manovra slovena sull’aceto balsamico rischia dunque di diventare un precedente pericoloso contro il quale occorre – sottolinea Coldiretti – attivarsi immediatamente a livello comunitario per garantire la difesa di uno dei prodotti simbolo del Made in Italy».

Sono riconosciuti e tutelati dall’Unione Europea l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop, l’Aceto Balsamico di Modena Igp (Indicazione Geografica Protetta), l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Dop, e l’Aceto Balsamico di Reggio Emilia Igp. Prodotti ottenuti nel rispetto di specifici disciplinari di produzione, il cui savoir-faire è trasmesso di generazione in generazione.

LE REAZIONI DEL SETTORE

Non ci gira attorno il il direttore del Consorzio Aceto Balsamico di Modena, Federico Desimoni, che parla di «grande offesa della tradizione e degli sforzi fatti dai produttori delle eccellenze modenesi e dell’insieme di attività di divulgazione dei Consorzi, che lo hanno reso famoso nel mondo».

L’operazione della Slovenia viene definita «illegittima ed in contrasto con i regolamenti comunitari che tutelano Dop e Igp e disciplinano il sistema di etichettatura e informazione del consumatore». Un «attacco diretto al sistema agroalimentare di qualità europeo, al diritto dei consumatori ad un’informazione corretta e trasparente e degli operatori commerciali ad una concorrenza leale».

Ci troviamo nuovamente di fronte ad una situazione che rischia di danneggiare non solo il comparto dell’Aceto Balsamico di Modena ma tutto il sistema delle Dop e delle Igp italiane – commenta il Presidente del Consorzio di Tutela dell’Aceto Balsamico di Modena Igp Mariangela Grosoli – e sarà fondamentale, anche stavolta, fare leva sulla collaborazione delle Istituzioni».

Il riferimento è al Ministero Politiche Agricole, ed in particolare la Direzione Qualità, che Grosoli ringrazia «per il prezioso sostegno nella tutela del nostro settore, già direttamente coinvolta e al lavoro sul dossier».

Grande sostegno è arrivato dall’associazione di riferimento dei Consorzi di Tutela, OriGIn Italia, che si è immediatamente attivata chiedendo al Governo di opporsi formalmente a livello comunitario alla proposta slovena.

«Chiediamo al Governo che formalizzi al più presto l’atto di opposizione – afferma il Presidente del Consorzio di Tutela dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Enrico Corsini – e con l’occasione rivolgiamo a nome dei due Consorzi i più sentiti auguri di buon lavoro al nuovo titolare del Dicastero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali».

Alla voce dei Consorzi si affianca quella della politica a difesa del mondo delle Dop e Igp, e in particolare dell’Aceto Balsamico di Modena: “La problematica evidenziata dal Consorzio è grave ed urgente e rappresenta una priorità per la tutela del sistema Paese ed in particolare di un asset fondamentale del sistema economico nazionale», afferma con decisione l’onorevole Benedetta Fiorini, Segretario della Commissione Attività Produttive.

Proprio per questo chiediamo al Governo di assicurare un intervento formale puntale e tempestivo che garantisca una tutela efficace. La salvaguardia delle produzioni tipiche italiane, vere eccellenze nel mondo come l’aceto balsamico di Modena, deve essere una assoluta priorità.

Inoltre, è necessario rafforzare concretamente l’azione di tutte le strutture della filiera per garantire sostegno, tutela e promozione. Tutelare la qualità significa garantire identità».

Il supporto e la richiesta di un’azione decisa e tempestiva del Governo arriva anche dalla Regione Emilia-Romagna. «Le due Dop dell’Aceto Balsamico tradizionale, di Modena e di Reggio Emilia, e l’Igp Aceto Balsamico di Modena rappresentano un solidissimo legame con il territorio emiliano e una risorsa preziosa per l’economia regionale», sottolinea l’assessore regionale all’Agricoltura Alessio Mammi.

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Untouched by light: in Slovenia il primo vino spumante senza esposizione alla luce

“Abbiamo lodato e adorato il vino per secoli. Eppure oggi, con tutte le conoscenze tecnologiche acquisite, lo trattiamo come merda“. La cantina slovena Radgonske Gorice è partita da questo presupposto – incipit di un video promozionale diffuso su Vimeo – per produrre il primo vino spumante al mondo “Untouched by light“, ovvero “senza alcuna esposizione alla luce solare“.

Solo a prima vista un progetto innovativo, frutto di studi approfonditi, ultramoderni. Il paradosso sta infatti alle fondamenta del nuovo brand, tutto marketing (nell’accezione negativa del termine) e poca sostanza.

Già, perché alla base dell’idea che ai nostri giorni si “tratti il vino come merda”, esponendolo alla luce del Sole, c’è una ricerca, quella condotta dal professor Emerita Ann C. Noble, che risale al 1989. Non esattamente ieri.

Secondo l’ex docente dell’Università di Davis, in California, “l’esposizione del vino alla luce del giorno o all’illuminazione artificiale produce quelli che sono comunemente noti come aromi luminosi“. In Italia li chiamiamo “Gusto di luce“. In Francia “Goût de lumière“.

Deviazioni che Noble ha approfondito a lungo, arrivando tra l’altro a creare la “Wine Aroma Wheel“, la “Ruota degli aromi del vino”. Uno strumento prezioso, che aiuta a descrivere nel dettaglio le sensazioni che è possibile percepire nei vini bianchi e nei vini rossi.

La ricerca “Sensory study of the effect of fluorescent light on a sparkling wine and its base wine”, pubblicata dall’American Journal of Enology and Viticulture (Vol. 40, No. 4), per l’appunto nel 1989, è il pretesto che giustificherebbe la cantina slovena a vendere il proprio spumante alla bellezza di 100 euro a bottiglia. Spese di spedizione escluse, of course.

Appena 2 mila i pezzi prodotti per la vendemmia 2016, con dosaggio Brut (6 g/l). Quanto alle uve utilizzate, si tratta di un Blanc de Blancs, dunque di uno Chardonnay in purezza. La bottiglia che contiene il nettare è nera opaca, protetta da una confezione sottovuoto, a sua volta dark, che la protegge dalla luce del sole sino al consumo.

L’enologa di Radgonske Gorice, Klavdija Topolovec Špur, spiega: “Untouched by Light è un vino spumante d’ispirazione. Vendemmia speciale notturna, quando fa freddo, utilizzando piccole cassette. Il metodo di lavorazione dell’uva, ma soprattutto la maturazione del vino in completa oscurità, si ritrova incorporato nel carattere di questo Metodo classico”.

“Ora – aggiunge la winemaker della cantina di Gornja Radgona – possiamo assaporare sia il vino che la pienezza del suo terroir. L’ultimo pezzo del puzzle è la tradizione nella produzione di spumante da parte di Radgonske Gorice, sostenuta da una profonda conoscenza e da una tecnologia all’avanguardia”.

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Vinifera 2019 a Trento: torna l’appuntamento con i vini di montagna

Vinifera, il Salone dei vini artigianali dell’arco alpino, torna per la sua seconda edizione alla Fiera di Trento, sabato 23 e domenica 24 marzo 2019. L’evento non sarà un semplice banco d’assaggio, ma l’occasione per appassionati e curiosi di scoprire e approfondire la conoscenza di oltre 60 produttori provenienti dal territorio alpino e prealpino, dell’Italia ma anche di Austria, Francia, Svizzera e Slovenia. Ad accompagnarli, una selezione di produttori artigianali di cibo provenienti dal Trentino e dall’Alto Adige/Südtirol. In entrambi i casi, sarà possibile acquistare i prodotti direttamente al banco dei produttori.

La due giorni del Salone sarà anticipata dal Forum, una serie di appuntamenti che si svolgeranno in varie località della provincia nelle settimane precedenti, con eventi dedicati all’effetto dei cambiamenti climatici sulla viticoltura, degustazioni alla cieca, focus territoriali come quello sulla Valle d’Aosta e su nicchie produttive come quella del vermouth.

Tra gli approfondimenti già confermati in fiera, Matteo Gallello, caporedattore di Porthos, guiderà i presenti in una degustazione geosensoriale secondo il metodo proposto dal professore Jacky Rigaux nel libro Il Vino Capovolto.

Un secondo laboratorio si concentrerà sui vitigni resistenti, esplorando lo stato dell’arte delle ricerche e della sperimentazione in quest’ambito e le prospettive future di questo settore.

Ai Dolomitici – il gruppo nato per valorizzare l’originalità e la diversità della viticoltura trentina – toccherà il compito di presentare il Perciso, il vino simbolo della sapienza contadina nato da un progetto condiviso da 10 tra le migliori realtà vitivinicole del Trentino.

I Dolomitici hanno infatti deciso di unire le forze per garantire la conservazione di un antico vigneto e produrvi un vino che esprima l’essenza di questa antica varietà e il sapore della terra in cui affonda le sue radici. Un’altra degustazione, guidata da Gianpaolo Giacobbo, sarà dedicata ai vini rifermentati in bottiglia sui lieviti provenienti dall’Arco Alpino, dalla Liguria fino alla Slovenia.

I MIGLIORI ASSAGGI DELL’EDIZIONE 2018

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Klet Brda, la cooperativa slovena che fa incetta di premi al Mondial des Vins Extrêmes

TORINO – Difficile da pronunciare, facilissima da bere. E’ Klet Brda, cooperativa vinicola della Slovenia che ha fatto incetta di premi al Mondial des Vins Extrêmes 2018. Sette le medaglie consegnate ieri dal Cervim al direttore Silvan Peršolja, in occasione della cerimonia di premiazione avvenuta a Palazzo Madama, in centro Torino.

Tra i riconoscimenti spicca la Gran Medaglia d’oro al Zgp Goriska Brda Merlot 2013 “Bagueri“. Medaglia d’oro per il Zgp Goriska Brda Cabernet Sauvignon 2016 “Quercus” e per un altro rosso, il Zgp Goriska Brda Pinot Nero 2016 “Krasno“.

Tra i bianchi di Klet Brda che hanno convinto a giura del Mondial des Vins Extrêmes 2018 c’è la Zgp Goriska Brda Rebula 2014 “Krasno”. Premiati anche due vini da dessert: Zgp Goriska Brda 2013 “Markiz” (blend 80% Rebula, 20% Chardonnay) e Zgp Goriska Brda Muskat 2017 “Peneci” (spumante base Moscato Giallo).

“Siamo una cooperativa di oltre 400 famiglie di viticoltori del Collio sloveno – ha spiegato il direttore direttore Silvan Peršolja alla consegna del premio – di cui solo 30 vivono esclusivamente di viticoltura. Per tutti gli altri si tratta di un’attività secondaria, portata avanti da generazioni”.

“Quello che ci preme sottolineare – ha aggiunto Peršolja – è che il nostro combustibile non è tanto l’economia generata dal vigneto, bensì la passione che ci guida ogni giorno. La viticoltura eroica, per noi, è una missione”.

La media si aggira attorno ai due o tre ettari di terreni per famiglia, situati perlopiù su versanti ripidi, lavorabili solo mano e senza l’ausilio di grandi macchinari. Difficoltà che non impediscono a Klet Brda di risultare il maggiore produttore ed esportatore di vino della Slovenia.

E convincono tutti i vini premiati al Mondial des Vins Extrêmes 2018. Il fil rouge che li lega è quello dell’eleganza e della centralità del frutto: vini croccanti e verticali che non stancano mai.

In particolare, tra i rossi, colpiscono il Cabernet Sauvignon 2016 “Quercus” e il Pinot Nero 2016 “Krasno”. Ottimo anche il vino da meditazione “Markiz”, blend Rebula-Chardonnay vendemmia 2013. Da provare.

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Live Wine Milano 2018: i migliori assaggi

Si è conclusa da una settimana la rassegna enologica milanese Live Wine 2018. Quattromila i visitatori, tra pubblico di appassionati di vini naturali e operatori.

Per alcuni un’edizione sottotono, nonostante il gran traffico al Palazzo del Ghiaccio di via Piranesi. A contribuire a questo giudizio, forse, le tante novità.

Tra queste, l’esordio di molte cantine estere, accanto ai soliti nomi e a qualche new entry nostrana.

I MIGLIORI ASSAGGI  A LIVE WINE 2018
Quest’anno siamo andati anche noi a caccia di novità. Pescando soprattutto fuori dai confini italiani. Sempre lontani dai soliti cliché enofighetti e dalle convenzioni della “Milano da Bere”. La prima “bollicina” che segnaliamo – non a caso – è un Cava, il Metodo Classico spagnolo.

Azienda sorprendente quella di Recaredo, 50 ettari di vigneto a conduzione famigliare nella zona del Riu de Bitlles, comarca de l’Alt Penedès, vicino Barcelona. La linea offre interessanti variazioni sul tema e sugli affinamenti.

Magnifico il Terrers 2012 Brut Nature (58% Macabeo, 39% Xarel-lo, 3% Parellada) rimasto per 57 mesi sui lieviti. C’e tutto in questo prodotto di ingresso della cantina. Perlage finissimo, freschezza e sapidità spiccanti,  mineralità data dal terreno calcareo. Poi note di frutta bianca e gialla con qualche accenno fumè. Bocca cremosa e mediamente persistente. Ottimo finale.

Gran reserva 2007 (64% Macabeo, 36 Xarel-lo), 117 mesi di affinamento sui lieviti. Qui l’espressività del territorio e la freschezza del frutto lasciano spazio alla complessità e alle note evolute. Giallo dorato dal finissimo perlage, note di pane tostato, biscotti, frutta secca poi agrumi e anice. Bottiglia completa.

Serral del Vell Brut Nature 2008 è quello dei tre che ci convince di meno, ma merita comunque una menzione. Sempre combinazione di Macebeo e Xarel-lo in diverse percentuali. Quest’ultimo fermenta parzialmente in barrique poi la seconda fermentazione in bottiglia e la sosta per 96 mesi. Vino potente e al tempo stesso raffinato, pasticceria, nocciole tostate, agrumi canditi. Lunga la  persistenza. Una bolla cremosa, complessa.

Ci spostiamo su un distributore che presenta sparkling francesi. Champagne in prevalenza, ma noi vi consigliamo il Best/buy del banchetto .

Domaine des Marnes Blanches e il suo Cremant du Jura 100% Chardonnay. Due giovani ragazzi che lavorano in biologico dieci ettari di vigneti (alcuni dei quali hanno 100 anni) situati nel sud del Revermont, a Saint Agnes.

Pressatura soffice delle uve e fermentazione in vasche d’acciaio per 6 mesi, mentre la seconda fermentazione avviene in bottiglia per 18 mesi. Giallo paglierino intenso, bollicina fine e persistente.

All’olfatto richiama aromi fruttati e di agrumi. In bocca si nota subito la bollicina cremosa, frutta acidula , arancia, limone, ribes, ben equilibrati tra loro.

Crémant Brut Nature Flèche Saignante, Domaine Brand & Fils (40% Pinot Blanc, 30 % Pinot Gris, 30% Pinot Noir). Zero dosato. Diciotto mesi sui lieviti in barrique. Aromi intensi e fortissimo carattere minerale per questo gioiellino, abbinabile a tutto pasto.

Impossibile non citare l’Azienda Agricola TerreVive Bergianti  con il suo “Per Franco”, metodo classico di Lambrusco Salamino 100% del 2015. Fermentazione in cemento con lieviti indigeni e rifermentazione in bottiglia con sosta di 36 mesi. Rosato brillante, fragoline in esplosione , poi violette e fiori di campo. Freschezza da non farne mai a meno. Da avere sempre pronto a temperatura a 8° dalla pizza ai salumi al pesce. Incredibile.

Nando Wine si trova invece a cavallo tra il Carso italiano e quello sloveno. Dei 5,5 ettari totali, infatti, il 60% è nel Collio italiano, il 40% a Pleviso, Brda, nella regione della Primorska.

Clima mediterraneo e vigne di famiglia da sempre, con età massima intorno ai 40 anni. Proviamo un po’ tutta la linea ma quello che ci rimane di più è la magnifica semplicità della Rebula 2016. Pochi giorni di macerazione poi acciaio dove matura per 6 mesi.

Bocca setosa , palato morbido ma aromatico , paglia , fieno e frutta gialla fino al mango sorretti da una freschezza e da una mineralità ben bilanciate. Altro best/buy.

Torniamo a riassaggiare i vitigni Piwi – ovvero vitigni resistenti agli attacchi fungini e quindi meno esposti alle temibili malattie dell’oidio e della peronospora – del giovane Thomas Niedermayr titolare del maso Hof Gandberg di Appiano (BZ).

Straordinario il Solaris 2016 uno degli ultimi nati in casa. Piante ancora molto giovani ma dalla grande prospettiva. Fermentazione spontanea del mosto, 8 mesi di maturazione con le fecce in acciaio, 14 settimane in botte di rovere usata da 500 litri.

Imbottigliato in agosto 2017, non filtrato. Aromatico, fresco, sapido e minerale, bouquet di fiori, sambuco, poi frutta bianca come l’uva spina, mela, fino a note tropicali di ananas. Caleidoscopico nel bicchiere.

Allo stand dell’Azienda Agricola Nino Barraco ci lasciamo conquistare non dai soliti (splendidi) bianchi o dalle vendemmie tardive tipiche della tradizione di Marsala, ma da quello che c’è sotto il banchetto.

Un metodo classico di nero d’Avola fuori commercio, ormai rimaste pochissime bottiglie in cantina, che Nino ci confida non rifarà più. Almeno per ora. Sessanta mesi di permanenza sui lieviti. Colore rosato e tutta la gamma dei frutti piccoli rossi caldi del sud esplodono nel bicchiere. Persistenza lunghissima, freschezza e acidità.

Assaggiamo poi tutta la gamma di Frank Cornelissen cercando di soffermarci sui singoli cru in degustazione. Sette per la precisione. Ogni cru una vigna, una contrada, un’altezza dei vigneti, un suolo, un’esposizione. E’ come giocare al cubo di Rubik. Mille sfaccettature di un terroir che è il più stimolante di tutto lo stivale: l’Etna.

A colpirci sono Zottorinoto, cru Chiusa Spagnolo 2016, 700 metri versante nord, vigne di oltre 60 anni a piede franco. Lunga macerazione di 2 mesi e affinamento in vasche neutre di resina da 1500 a 2500 litri per diversi mesi.

Di colore rosso rubino. Al naso intensi profumi di frutta rossa e note di spezie dolci, poi salamoia. Al sorso è fine, elegante, corposo, equilibrato con un finale lungo e profondo.

Campo Re 2016, Nerello 100%, vigne di oltre 70 anni. Snche qui macerazione per due mesi. Colore rosso rubino. Molto più intensa la nota di frutta rossa, in particolare di ribes e di mora. A seguire note speziate molto gradevoli. Morbido, caldo ben equilibrato dalla freschezza e dalla trama tannica.

Sempre Sicilia, sempre Etna, sempre un mosaico affascinante quello di Etnella i vini di Davide Bentivegna, già segnalato da vinialsuper tra i migliori assaggi a VinNatur 2017.

Assaggiamo Anatema 2016, assemblaggio di Nerello Mascalese (85%) e Nerello Cappuccio (15%) da parcelle allevate ad alberello con oltre 30 anni di età situate in contrada Porcaria a Passopisciaro, a circa 700 metri di altitudine sul versante nord dell’Etna.

La particolarità in questo cru è che dopo la macerazione di circa una settimana e la fermentazione alcolica, si passa a un affinamento per circa 12 mesi in botti grandi di castagno. E’ meno varietale rispetto al Kaos ma la rotondità conferita dal legno scarico ne completa la complessità.

Incredibile l’intreccio di frutta rossa come ribes, amarena e della tipica macchia mediterranea siciliana, ginestra, cappero. Il retro olfattivo è un esplosione di mirtillo e amarena. Kaos 2016 è un intreccio di vendemmie, una in agosto, una in settembre, una in ottobre per cogliere il meglio di ogni fase di maturazione.

Una precoce, una matura e una surmatura. Anche qui un passaggio in castagno grande, poi torna in acciaio e infine affina in bottiglia. Fantastico perché il gioco è il perfetto bilanciamento tra la parte più acida della vendemmia prematura e il frutto della fase tardiva.

Un blend meraviglioso per una esplosione di frutta con trama fresca e acida sorretta da un tannino non invadente. Al naso sentori di frutta rossa matura, confettura di amarena e di ciliegie, prugna, poi esce il balsamico come liquirizia e sullo sfondo cannella.

Chiudiamo al nord, più esattamente nelle Langhe, in Piemonte. Con il Barbaresco 2014 di Cascina Roccalini. E chi parlava di un’annata debole, a Barbaresco, dovrà ricredersi. Il solito bellissimo frutto rosso, la solita eleganza, la solita acidità.

Quando c’è il tocco sapiente del produttore, il vino esce sempre bene. Sessanta giorni di macerazione a cappello sommerso, poi solo botte grande. Un grandissimo vino.

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Enoturismo al vaglio del Consiglio europeo

Il Parlamento europeo sottoporrà a breve una Oral Question al Consiglio (composto dagli Stati Membri) sul tema dell’enoturismo.

È questo il risultato di una colazione di lavoro che si è svolta su iniziativa della deputata europea, l’On. Isabella De Monte (Italia – S&D, membro della Commissione TRAN, Trasporti e Turismo del Parlamento Europeo), e a cui la Cevi (Confederazione Europea Vignaioli Indipendenti) è stata invitata per portare la testimonianza dei Vignaioli europei.

Questa procedura potrebbe in seguito far scattare una discussione durante la sessione Plenaria di Strasburgo davanti a tutti i Parlamentari europei riuniti. Al fine di rafforzare il messaggio, nel 2018 sarà anche prevista una conferenza al Parlamento Europeo sull’enoturismo.

Al termine della riunione il Presidente CEVI Thomas Montagne ha dichiarato: “I nostri vini, rispettosi del terroir sul quale crescono, incarnano la diversità. Sono molto felice di vedere che il Parlamento Europeo ha deciso di sostenerci nella condivisione di questa diversità attraverso il turismo del vino. Considerato il forte impatto che l’enoturismo ha sullo sviluppo rurale, riteniamo che possa diventare presto un tema di discussione delle istituzioni europee”.

Alla presenza anche dell’On. István Ujhelyi (Ungheria – S&D) e dell’on. Claudia Ţapardel (Romania – S&D) la CEVI ha portato alla luce il fatto che in Europa l’enoturismo è ostacolato da barriere burocratiche, amministrative, fiscali e legislative che solo una legge ad hoc potrebbe abbattere. In Italia ad esempio un vignaiolo che vuole praticare dell’enoturismo si vede costretto a scegliere tra l’apertura di una s.r.l. oppure di un agriturismo; in Francia il reddito derivante da prestazioni enoturistiche non può superare il massimale di 50.000 euro annui, pena il passaggio a un regime fiscale molto più oneroso rispetto a quello agricolo; in Bulgaria senza la licenza di ristorazione è vietato offrire anche solo un pezzo di pane per accompagnare la degustazione. Una situazione che necessita urgentemente di un intervento risolutore da parte delle istituzioni europee.

La Cevi è l’organizzazione che riunisce e rappresenta i vignaioli indipendenti europei, ma non solo. Ne fanno parte le singole associazioni di Italia, Francia, Portogallo, Lussemburgo, Svizzera, Ungheria, Rioja, Slovenia, Bulgaria e Quebec.

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Radici del Sud 2017: i migliori vini degustati

Riflettori accesi sul vino del Meridione d’Italia a Radici del Sud. Alla XII edizione del Salone dei vini e degli oli meridionali, in scena il 4 e 5 giugno al Castello di Sannicandro di Bari, in passerella la viticoltura delle regioni Puglia, Basilicata, Campania, Calabria e Sicilia.

Un livello medio alto quello riscontrato ai banchi di degustazione, allestiti dall’associazione ProPapilla, capitanata da Nicola Campanile, in tre sale dello splendido maniero Normanno-Svevo.

Novantaquattro aziende rappresentate, capaci presentare in concorso 350 vini, settanta dei quali approdati alle finalissime di fine mese. Questi, invece, i migliori vini degustati a Radici del Sud dalla redazione di vinialsuper

SPUMANTI
1)
Un assortimento completo, profondo, pregiato, fa di Colli della Murgia – realtà da 200 mila bottiglie l’anno certificata biologica con base a Gravina in Puglia (BA) – la cantina più interessante dell’intera costellazione di Radici del Sud 2017. Sbaraglia a mani basse la concorrenza nella sezione spumanti, con lo statuario Metodo Classico Brut 2012 “Amore Protetto”.

“Si tratta dell’evoluzione della scommessa della nostra azienda – spiega Saverio Pepe – dai risvolti ‘sociali’: produrre una bollicina che contrastasse il proliferare del Prosecco, ormai divenuto anche in Puglia sinonimo di ‘bollicina’. Siamo partiti così da uno Charmat, per poi evolverci nella direzione di questo Metodo Classico, a completamento del nostro percorso”.

Una manovra più che riuscita, con la marcia della qualità ingranata. “Amore Protetto” è una chicca da conservare per le migliori occasioni. Prodotto con uve Fiano Minutolo raccolte a mano e pressate direttamente, svela nel calice un perlage finissimo, in un tripudio giallo paglierino brillante, con riflessi verdolini.

Naso marcato di miele millefiori, con richiami a metà tra l’agrumato, l’esotico e la frutta candita, in un quadro di grande finezza che si ritrova anche al palato. Qui, a sorprendere, è la freschezza quasi balsamica della beva, unita a una buona sapidità. Ciliegina sulla torta? Una persistenza pressoché infinita.

VINI BIANCHI
1) Il Basilicata Bianco Igt 2016 “Accamilla” di Camerlengo è l’unico vino bianco dell’azienda agricola di Antonio Cascarano a Rapolla, in provincia di Potenza. Un mix di tre uve a bacca bianca trattate in vinificazione alla stregua dei rossi, alla maniera degli “Orange wine”.

L’apporto predominante (60%) è quello della Malvasia, raccolta in vigna una volta raggiunta una leggera surmaturazione. Completano il blend un antico clone di Fiano, il Santa Sofia, e il Cinguli, altro clone di Trebbiano Toscano. Tini di castagno per la macerazione, con le prime ore di follature che interessano anche i raspi delle tre uve.

Che dire? Il Castello di Sannicandro di Bari sembra sparire tra i profumi di questo calice che porta idealmente al Collio friulano e alla Slovenia. Un apporto, dunque, di tipo aromatico e tannico ben costruito, per un vino messo in bottiglia da circa cinque mesi. Non manca, anzi è ben marcata, la firma del terroir vulcanico in cui opera la cantina Camerlengo. Un sorso di eccezionale rarità.

2) Secondo gradino del podio per il Fiano di Avellino Docg 2014 “Numero Primo” di VentitréFilari, preziosa realtà di “artigiani del vino” di Montefredane, in provincia di Avellino. “Ventitré come l’anno 1923 – spiega Rosa Puorro – in cui nonno Alfonso nasceva. E ventitré come il numero di filari del nostro vigneto”. Un marketing efficace, che regge.

Anche (e soprattutto) in un calice che mostra un’evoluzione sostanziale rispetto al primo vino proposto: la stessa etichetta di Fiano, vendemmia 2015 (appena messa in commercio, ma con altrettante potenzialità d’affinamento). Il giallo dorato di cui si tinge il vetro è un inno al buon bere in Campania.

L’equilibrio tra acidità e sapidità fa il resto, in un contesto tutto sommato rotondo, morbido. Il segreto di questo Fiano? Nove mesi sulle fecce, che ne fanno un vero e proprio concentrato dell’essenza del grande vitigno irpino.

3) Sul bigliettino da visita di Mario Notaroberto c’è scritto in chiare lettere: “Contadino”. Un marchio di fabbrica genuino, che si ritrova anche nel Fiano Cilento Dop Valmezzana 2015 della sua cantina, Albamarina. Siamo in località Badia nel Comune di Centola, una sessantina di chilometri a Sud di Agropoli, in provincia di Salerno. Un progetto “contadino”, quello di Mario Notaroberto, che mira al rilancio del Cilento nel nome di un’enogastronomia fondata sul valore della “terra”.

E di “terra” ne troviamo tanta nel suo Fiano. Due le annate in degustazione, con la 2015 che – rispetto alla 2016 – evidenzia un’evoluzione già netta, tutt’altro che completa. Note floreali e fruttate si mescolano a richiami erbacei decisi, naturali. Sembra d’essere in piena campagna quando al naso giungono richiami d’idrocarburo, spiazzanti. In bocca gran calore e pienezza: l’acidità rinfrescante ben si calibra con una mineralità degna di nota. Un vino da aspettare, il Fiano Cilento Dop Valmezzana di Albamarina, come dimostrerebbe – secondo Notaroberto – il vendemmia 2012, “ancora in progressione in bottiglia”.

VINI ROSSI
1) E’ di Elda Cantine il miglior rosso di Radici del Sud 2017: si tratta del Nero di Troia Puglia Igp 2014 “Ettore”. Lo premiamo per la grande rappresentatività del vitigno che sa offrire nel calice e per l’utilizzo moderato di un legno che, in altri assaggi, ha distolto l’attenzione dalla vera potenzialità del Nero di Troia: il binomio tra frutta e spezia.

Giova a Elda Cantine la scommessa pressoché totale su questo uvaggio, con il claim aziendale “dalle radici al suo profumo” che, in realtà, è la sintesi della scoperta della “vocazione innata” di Marcello Salvatori. Un progetto del 2000 dedicato alla madre Elda.

Siamo sui Monti Dauni, più precisamente a Troia, in provincia di Foggia. Qui Elda Cantine ha recuperato ed alleva uno dei vigneti più alti dell’intera regione Puglia, situato a 400 metri sul livello del mare. Il Nero di Troia Puglia Igp 2014 “Ettore” è vinificato in acciaio, prima di passare in botti di rovere per 12 mesi.

2) Riscomodiamo Antonio Cascarano per il racconto dell’Aglianico del Vulture Doc 2012 Camerlengo, vino simbolo della sua cantina di Rapolla, in Basilicata. Una sintesi perfetta tra potenza ed eleganza: forse tra le più belle espressioni del vitigno attualmente in commercio in Italia. La corrispondenza gusto-olfattiva è pressoché perfetta: naso e bocca assistono a un rincorrersi tra note marasca, ribes, lamponi, prima di una chiusura delicata di vaniglia, che nel retrolfattivo vira su terziari di cacao e tabacco dolce.

Al palato l’impronta del terroir più evidente: una spiccata mineralità che allarga lo spettro dei sentori, chiamando il sorso successivo e accompagnando verso un finale lunghissimo, tra il fruttato e il sapido. Dodici mesi in barrique di primo, secondo e terzo passaggio, più un affinamento di 8 mesi in bottiglia. Nessuna chiarifica e nessuna filtrazione. Da provare.

3) Per la piacevolezza della beva ecco il Syrah Vino Rosso Doc Sicilia 2014 di Fondo Antico, azienda agricola di proprietà della famiglia Polizzotti Scuderi situata in frazione Rilievo, a Trapani. Un vino dall’interessantissimo rapporto qualità prezzo, che dimostra come il Sud del vino possa concedersi anche prodotti non troppo elaborati, “quotidiani”, ma di qualità. Gran bel naso di frutti rossi puliti, con richiami caratteristici di pepe e macchia mediterranea. In bocca una piacevole morbidezza giocata di nuovo sui frutti rossi, unita a una grande freschezza che chiama il sorso successivo.

VINI ROSATI
Altra menzione per Colli della Murgia, tra i vini rosati. E non solo per il coraggio di mettere in bottiglia, in Puglia, un rosè dallo stile provenzale. Profumi intensi, acidità, freschezza. Questi i tratti distintivi del Rosato Igp Puglia 2016 Sellaia, ottenuto al 100% da uve Primitivo. Colore cerasuolo didattico, colpisce al naso per la pulizia delle note di frutta rossa e floreali di rosa. Una finissima delicatezza che ritroviamo anche al palato, in perfetto equilibrio tra durezze e morbidezze. Buona la persistenza. Uno schiaffo alla Puglia dei rosati ruffiani, che stancano al secondo sorso.

IL FUTURO DI RADICI DEL SUD
Già si conoscono le date della prossima edizione di Radici del Sud, che dal 5 all’11 giugno 2018 tornerà ad occupare le sale del Castello Normanno Svevo della cittadina barese. Già confermato l’impianto, con i consueti incontri BtoB dedicati alle aziende, il concorso dei vini e la due giorni dedicata al pubblico.

La vera novità riguarderà il panel di degustazione, che si amplierà anche all’olio con tre diverse giurie: una composta da tecnici olivicoli, una da massaie e l’ultima da studenti delle scuole alberghiere. “Un modo nuovo di avere a disposizione punti di vista diversi su un mondo, quello dell’olio, con un potenziale ancora fortemente inespresso”, commentano gli organizzatori del Salone.

Altra novità riguarda la due giorni dedicata al pubblico. Il Salone si trasformerà in un vero e proprio mercato del vino e dell’olio, durante il quale i visitatori, oltre ad assaggiare, potranno anche comprare i prodotti delle aziende.

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Enjoy Collio (14-18 giugno): il Friuli del vino guarda al futuro

“Un nuovo percorso per pensare al Collio nel Futuro, forte dei suoi valori e della sua storia”. Così il Consorzio Tutela Vini Collio sintetizza “Enjoy Collio – Persone, vino, territorio”, l’evento in programma da mercoledì 14 a sabato 18 giugno. Un viaggio nella magia dei vini della rinomata area vinicola del Friuli Venezia Giulia.

In provincia di Gorizia, a ridosso del confine con la Slovenia, nasce il Collio, zona di produzione di pregiati vini ai quali nel 1968 è stata riconosciuta la Doc. Un territorio ideale per una vacanza “slow”, tra storia, cultura ed enogastronomia.

Il “Tempo” è il tema del primo evento del Collio all’interno della nuova strategia di posizionamento “Enjoy Collio Experience”. Per i dettagli è ancora presto. Quel che è certo è che i visitatori saranno coinvolti (“enjoy”) per conoscere un prodotto di eccellenza, immergendosi nel Collio per comprenderne storia e valori (“experience”) dove le tradizioni e la natura si raccontano e si svelano. Una “esperienza” incentrata sul “valore del Tempo” come storia, presente e soprattutto futuro, ma anche del vino: il tempo della natura ed il tempo delle persone.

IL CONSORZIO
“Dentro Enjoy – spiega il Consorzio Tutela Vini – c’è la magia del Collio, fatta di persone che con le loro vite hanno vestito questa terra della sua cultura, coi suoi confini in movimento, con i vigneti che si arrampicano sulle colline regalandoci vini straordinari”.

“I 1500 ettari vitati – evidenzia il Consorzio – si alternano a piccoli borghi in un territorio fatto di sole colline, piene di vite, che si raccontano nei vini. Passione, impegno, tradizione, cultura e clima, convivono in equilibrio con un ecosistema che vince la sfida col tempo, e che con i suoi vini guarda al futuro, con una visione forte e condivisa, retta dalla propria storia e dal coraggio dei produttori”.

“Il Consorzio tutela vini Collio, terzo consorzio per fondazione in Italia, ottiene il riconoscimento della DOC nel 1968. Rappresenta 166 aziende di questo straordinario territorio. Un’oasi di vita immersa tra dolci e lussureggianti colline – evidenzia ancora il Consorzio – accarezzate dai vigneti curati come giardini. La vocazione alla coltura della vite ha radici antiche e qui nascono i vini bianchi tra i più pregiati al mondo vere e proprie opere d’arte contadina. È l’amore per questa terra che guida il cuore dei produttori, lo stesso amore che si respira guardandosi attorno. Armonia ed equilibrio con la natura in un tempo scandito da antichi ritmi rurali che ricordano come l’agricoltura sia l’arte di saper aspettare”.

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Live Wine 2017: percorso “anarco-emozionale” tra i vini artigianali

Chiudono oggi a Milano i battenti di LiveWine 2017, salone mercato dei vini artigianali giunto alla sua terza edizione. Evento diventato tappa obbligatoria per winelovers alla ricerca di emozioni nuove nel bicchiere, non sempre positive, talvolta omologate – checché se ne dica – e a volte davvero sconvolgenti. Difficile, per esempio nei panni dei neofiti, approcciare un percorso “lineare” tra i banchi d’assaggio presi d’assalto già dalle prime ore del mattino della prima giornata, sabato 18 febbraio.

“La vite è una pianta anarchica, va assecondata”, parole di Aurelio del Bono di Casa Caterina che intercettiamo al suo banco. Ed è assolutamente anarchico il nostro viaggio a LiveWine. “Via tacchi e taccuini” è il nostro motto della giornata: facciamoci trasportare dall’intuito.

Cominciamo il nostro tour con il vino del momento, il Prosecco. Non quello da spritz e aperitivo pre-serata.  Il nostro entrée è un Prosecco fuori dal comune, che tutti quelli che amano Prosecco dovrebbero provare per capire il tipo di evoluzione e la longevità che può avere l’uva Glera. Si tratta del Prosecco Colfondo di Casa Belfi. Vino bianco frizzante prodotto con uve glera 100% fermentato in acciaio con lieviti indigeni ed imbottigliato in primavera secondo il calendario biodinamico di Maria Thun. Una sorta di vinho verde “Made in Veneto“, ma non da consumare entro l’anno, tutt’altro.

 

 

 

 

 

 

Il colore è intenso  come il naso, esplosione di frutti e fiori con accentuate note sulfuree. In bocca discreto. Troviamo più interessante la versione in anfora, il naso è ancora più sulfureo e minerale e con invitanti sentori di crosta di pane. Per questa versione, l’uva diraspata viene posta in anfore di terracotta con macerazione  sulle bucce per 8 giorni cui segue pressatura soffice e fermentazione, sempre in anfora, a contatto con i propri lieviti fino a primavera . Il fascino dell’anfora fa la sua parte, ma in bocca risulta più equilibrato e godibile. Una buona spalla acida ed un corpo più  in carne del precedente.

Passiamo dal Veneto alla vicina Slovenia e raggiungiamo il banco di Movia azienda di ventidue ettari al confine con l’Italia. Stare lì davanti è come partecipare ad uno show. Polona, ammaliante presenza femminile al banco, maneggia con destrezza gli originali decanter. I calici col fondo sembrano crema whisky. Tre i vini proposti in degustazione. Il primo è un Lunar 2008 Ribolla, prodotto con uve da vendemmie tardive, raccolte a mano e messe a macerare ed affinare sulle bucce per otto mesi in botti di rovere.  Il secondo uno Chardonnay, stesso tipo di vinificazione.

Il terzo vino è uno spumante. Si tratta di “Puro”, blend di Ribolla e Chardonnay. Il vino base, viene fatto maturare 4 anni in barrique, ma a differenza dei metodo classico tradizionali, il liquer de tirage è semplicemente mosto. Una volta imbottigliato, Puro, nasce e vive a contatto con i suo lieviti fino alla sboccatura che viene fatta al momento di bere. E al dègorgement live, che si fa a testa in giù, con il collo della bottiglia nell’acqua e con l’ausilio di una specie di piede di porco da spumante (anche con l’aiuto di una mano maschile che non guasta) assistiamo. Per i vini di Movia non ci sono parole, schede a punti e parametri. Unici. Da provare.

 

 

 

 

 

 

Dirottiamo verso uno stand piemontese. Scegliamo Ezio Cerruti, piccolo produttore conosciuto in particolare per il suo Moscato Passito. Cerruti produce anche una versione di moscato secco e fermo. L’Asti Spumante e il Moscato d’Asti non gli piacevano, ci racconta, e con la stessa uva ha deciso di produrre qualcosa di diverso. Ha iniziato a produrlo nel 2012  non avendo idea di quanto durasse nel tempo. Ha scoperto recentemente che è anche un vino longevo. Ha prodotto 18 bottiglie per il suo consumo personale durante l’anno e, “pur non volendo bestemmiare”, sostiene che il 2012 che ha appena aperto “rieslingheggia”.

Scherziamo con Ezio Cerruti sul naso del Fol Moscato, che nonostante evidenti note minerali è assolutamente varietale. “E voglio ben vedere – ci risponde – se no sarebbe uno Chardonnay”. Il Moscato Fol di Cerruti in bocca è assolutamente gradevole. Una buona acidità sostiene una beva non banale. In versione passita ammalia con il suo colore ambrato intenso. Il naso è frutta secca pura. In bocca per niente stucchevole, fresco e con un finale ammandorlato e persistente.

 

 

 

 

 

 

Il nostro viaggio anarchico, da nord a sud, approda in Sicilia. Vicini di casa, anche qui agli stand due grandi aziende sicule. Marco De Bartoli di Contrada Samperi a 14 km da Marsala e Nino Barraco, altra contrada, sempre a Marsala. Il primo vino che degustiamo è il Grillo Terre Siciliane Igt di De Bartoli, in parte affinato in anfora. Un vino giovane e fragrante dal colore intenso e dalla spiccata mineralità. Tanta salinità, note iodate e agrumate: una grande freschezza a dispetto dell’alcolicità. Il secondo assaggio lo Zibibbo Terre Siciliane Igt.

Prodotto da vigneti allevati ad alberello pantesco, affina in fusti di rovere francese per almeno dieci mesi sulle fecce fini tenute in sospensione. Al naso “stende” con la sua complessità: note dolci di frutta, pesca ed albicocca disidratata in primis, seguiti, in bocca,  da una sferzata sapida e salmastra per un finale dalla persistenza disarmante. Emozionante,  in una sola parola. Quasi impossibile acquistarlo, sono in crisi al banco di De Bartoli per accontentare i winelovers.

Prima di spostarci dal vicino Barraco, un goccio del Vecchio Samperi del quale si è già detto tutto quanto si possa dire. Sublime al naso e al palato: caffè, tabacco, caramello, fichi, un gusto ed una finezza inimitabili. Ma non possiamo esimerci dall’esprimere anche due parole su Bukkuram. Un signor vino passito da uva zibibbo. Sontuoso al naso con sentori di miele, datteri, fichi secchi e marmellata di albicocche. Una complessità indubbia che viene confermata in bocca dove stravince per la morbidezza e con la spinta data dall’ottima acidità che bilancia il notevole residuo zuccherino. Persistente fino alla morte. Un vino da abbinare alla piccola pasticceria e dolci tipici siciliani. Dato il grande livello, un vino perfetto con formaggi stagionati oppure da abbinare al “nulla”, ergo,  da assaporare in maniera “contemplativa”.


“Seconda stella a destra questo è il cammino…”. E alla destra di De Bartoli troviamo l’azienda Nino Barraco. Non basterebbe un articolo intero per descrivere tutti i suoi vini. A Live Wine si presenta con una squadra e un modulo di gioco da finale di Champions League. Un crescendo di emozioni dai vini bianchi, nei quali sono eccellenti, ai rossi. L’idea aziendale di Barraco non è quella del vino “perfetto”, ma di un vino riconoscibile per personalità, in cui le note dissonanti partecipano prepotentemente alla caratterizzazione dello stesso. Missione compiuta.

Dal primo all’ultimo giocatore, ognuno ha la sua personalità. Il Catarratto in purezza 2015 al naso fonde perfettamente la pesca, l’albicocca, l’arancia e lo zolfo risultando ancora più intrigante al palato. Il Pignatello al naso è un mazzolino di timo e rosmarino. L’apice lo raggiungono due esperimenti, Si tratta di due rossi prodotti in purezza da vitigni autoctoni siciliani riscoperti recentemente del quale Barraco ha già intuito le potenzialità. Si chiamano Vitrarolo e Orisi. All’assaggio il Vitrarolo è una spremuta di liquirizia sostenuta da un buon corpo (molto meglio del Nero d’Avola). Impressionante la facilità della beva. Altrettanto speziato, con sentori di chiodi di garofano e pepe nero  l’Orisi. Una beva altrettanto facile, ma un corpo leggermente più debole. Rimandano a Pinot Nero e Nebbiolo per eleganza e finezza. Chapeau. Un battaglione fiero di vini eccellenti.


Tappa imprescindibile di LiveWine è Principiano, azienda tra Langhe e Monferrato. Cominciamo il nostro giro con una bollicina da uve Barbera, di nome“Belen”, Niente a che vedere con le farfalline, Belen è il nome della moglie. Si tratta di uno spumante rosè metodo classico prodotto da uve Barbera di Serralunga e Monforte. Per la presa di spuma viene utilizzato mosto delle stesse uve. Un prodotto tutto centrato sulle durezze. Acidità e mineralità di piacevole freschezza. Il secondo vino è il  Nebbiolo che fa solo acciaio. Prodotto dalle uve allevate sulle parti più basse, non vocate per il Barolo. Un Barolo declassato a Nebbiolo. Molto fresco e beverino, con note di rosa e frutti rossi. Buona qualità in un corpo medio.

Ma il prodotto top di Principiano è sicuramente il Barolo. Assaggiamo il Barolo Serralunga 2013: il classico Barolo con un ottimo rapporto qualità prezzo. Prodotto senza inoculo di lieviti e senza solforosa per circa un mese, l’affinamento di ventiquattro mesi avviene in botti di 20 e 40 ettolitri e successivamente nelle circa 20.000 bottiglie prodotte. Ad un prezzo al pubblico di circa 25 euro, Ferdinando Principiano lo ha pensato anche per la coppia giovane che al ristorante vuole prendere un Barolo senza “svenarsi”. Prezzo abbordabile, ma prodotto non banale. Di altra stoffa il Barolo Boscareto 2012,  fratello maggiore.

Nel bicchiere il colore è classico del Nebbiolo, di bella trasparenza e luminosità. Il profilo aromatico è di maggiore complessità rispetto al Serralunga 2013. Naso tutto giocato sulla frutta matura, in bocca è energia pura ed agilità pur mantenendo spessore. Un beva ben diversa da quella del Boscareto di annate precedenti, da quando Ferdinando ha cambiato il metodo di vinificazione, utilizzando uve con tutti i raspi. Barolo pronto, ma con ampia prospettiva.

 

 

 

 

 

 

Non possiamo non spendere due parole anche per Thomas Niedermayr, artigiano del vino che si crea addirittura i vitigni. La sua azienda si trova a San Michele Appiano.  Con il suo accento altoatesino ci introduce al suo mondo fantascientifico. I suoi sono vini da vitigni Piwi, acronimo tedesco che indica vitigni resistenti contro i crittogami.  Si tratta di incroci tra vitis vinifere e viti selvatiche. In etichetta il nome è l’anno di messa in produzione dell’impianto. Il nome, un codice, apparentemente freddo cela invece vini caldi. Tutti semi aromatici che rimandano a tanti vini. Sono tra loro simili eppure diversi per complessità.

Alcuni hanno principalmente rimandi fruttati esotici, spezie dolci. Tra il Gewurtztraminer, il Riesling, il Pinot, indefinibili, ma tutti con una bella cremosità. Molto bevibili, difficile scegliere il migliore. Dopo tutti questi bianchi non possiamo andare via senza Pinot Nero. Lo chiediamo a Thomas che ci guarda stralunato. Gaffe. Per noi il Pinot Nero sta all’Alto Adige come il Lambrusco al salame. Invece il rosso in degustazione è un’altra combinazione misteriosa di vitigni Piwi. Leggero e fruttato, un po’ in fondo ci sembra il Pinot Nero, sarà suggestione, fatto sta che ci conquista.

 

 

 

 

 

 

Non basta una sola giornata al Live Wine. Nel pomeriggio aumenta notevolmente la folla e diventa difficile avere informazioni dai produttori o solo ascoltare per il gran brusio nella sala. Ci vorrebbe una “seconda puntata”, per raccontare tutti i 138 vini che abbiamo degustato. Due appunti sull’organizzazione dobbiamo farli però. Il primo è che non è prevista tasca porta bicchiere, un po’ scomodo portarsi il bicchiere in mano. Prossima volta si porta da casa.

Secondo appunto sul salone-mercato. Di fatto sono pochissimi i produttori a vendere, nonostante il carrello verde indicato su tutti i banchetti (errore di stampa?). La povera Polona di Movia tenta in modo un po’ artigianale di comunicare anche visivamente che non vende.

Quelli che hanno capito tutto del salone mercato sono i francesi del Sauternes. I loro banchetti sembrano la cassa della sala scommesse,  addirittura dotati di Pos. Troppo avanti. Chi chiede un’annata a destra, chi a sinistra. I prezzi sono davvero competitivi. 25 euro per una Demi bouteille del 1975: quando ci ricapita a noi italiani?

 

 

 

 

 

 

Vino e cibo vanno di pari passo. Per fare “fondo” ai vini degustati merita una menzione speciale la parte street food di Live Wine. E per noi ha vinto lui su tutto, anche sui vini, il panino alla barese polpo e patate di Pantura.

 

 

 

 

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