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L’assurda guerra del Montepulciano tra Abruzzo e Marche: una storia italiana

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EDITORIALE – Tra Abruzzo e Marche è in atto un’assurda guerra sul Montepulciano. Una classica storia italiana,
condita dalla retrograda, testarda e anacronistica difesa del mero nome di un vitigno, più che di un territorio. Un principio su cui le due regioni stanno percorrendo strade diametralmente opposte. Mentre le Marche, con l’Istituto Marchigiano di Tutela Vini presieduto da Michele Bernetti, intendono rendere facoltativo il nome del vitigno Verdicchio sui vini Riserva di Jesi e Matelica (questa sì che è visione e futuro), il Consorzio di Tutela Vini d’Abruzzo, con il presidente Alessandro Nicodemi, chiede al governo Meloni – in particolare al Masaf guidato dal ministro Francesco Lollobrigida – di vietare a tutte le altre denominazioni – non solo ai vicini marchigiani – di nominare il Montepulciano sull’etichetta dei vini, sulle loro schede tecniche e su qualsiasi opuscolo aziendale.

Al suo posto, gli “altri” dovrebbero utilizzare un sinonimo che non è neppure inserito nel Registro nazionale delle varietà di Vite: lo sconosciuto Cordisco. Una vicenda con molti lati oscuri. Quello che Nicodemi non racconta, in primis, è che la guerra è anche interna al “suo” Abruzzo. Già perché, tra le denominazioni a cui vorrebbe vietare l’utilizzo della parola Montepulciano, vi è anche il Cerasuolo d’Abruzzo Doc, prodotto per lo più con Montepulciano in purezza, vinificato “in rosa”. A svelarlo è Enrico Cerulli Irelli, presidente del Consorzio Tutela Vini Colline Teramane – la Docg del Montepulciano d’Abruzzo – che si schiera con il Consorzio Doc nonostante l’ammissione che «il peccato originario è avere tutti i vini regionali che riportano il nome del vitigno, scelta fatta decenni e di cui paghiamo oggi le conseguenze».

CERASUOLO D’ABRUZZO, SCIVOLONE DEI PRESIDENTI ABRUZZESI

Tuttavia, sui siti web ufficiali (come da photogallery, sotto), sia la sua azienda (Tenuta Cerulli Spinozzi) che quella del collega presidente Nicodemi (Fattoria Nicodemi) indicano “Montepulciano” alla voce “uve” dei loro Cerasuolo, contravvenendo – nella forma e nella sostanza – alla normativa attuale (non al nuovo DM, se fosse approvato come da bozza contestata!). Il tutto al pari di numerose aziende marchigiane che, negli ultimi anni, hanno subito sanzioni per l’uso improprio del termine “Montepulciano” (posizioni poi sanate in seguito al ricorso presso il Giudice di Pace, come informa l’Istituto Marchigiano di Tutela Vini). Non solo. Lo stesso Consorzio di Tutela Vini d’Abruzzo utilizza il nome “Montepulciano” in deroga rispetto al Vino Nobile di Montepulciano.

Una causa legale, quella tra Toscana e Abruzzo, spuntata dagli abruzzesi proprio grazie alla larga diffusione del vitigno in diverse regioni del centro-sud Italia (in primis in Abruzzo, con circa 18 mila ettari, e a seguire le Marche, con circa 2 mila ettari). Il “Nobile” viene invece prodotto per la maggior parte con uve Sangiovese. Nel marchio collettivo del Nobile, “Montepulciano” indica la località geografica, mentre per il vino “Montepulciano d’Abruzzo” il mero vitigno. Dopo aver firmato nel 2012 un protocollo d’intesa con il Consorzio del Nobile per l’utilizzo della parola “Montepulciano”, l’Abruzzo di Nicodemi pretende ora che la menzione del vitigno diventi sua esclusiva.

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UN COMUNICATO FUMOSO E IL CLASSICO “COPIA-INCOLLA” DELLA STAMPA

La querelle si è accesa sul finire di luglio 2023, quando il Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo ha diramato una nota stampa che ha finito – come spesso accade – per essere pubblicata col “copia-incolla” da quasi tutte le testate di settore, oltre che da quotidiani generalisti. Un comunicato fumoso, sul quale non sono arrivate delucidazioni valide neppure a fronte di nostre precise richieste. Nel testo veniva infatti menzionato il timore per i contenuti del “DM Etichettatura” e, in particolare, per l’ormai diventato celebre «articolo 16».

Secondo Nicodemi, «la proposta di una sorta di “liberalizzazione indiscriminata” dell’uso dei vitigni in etichetta, senza nessuna eccezione, come previsto invece per altri vitigni e sinonimi, porterebbe un danno incalcolabile non solo in termini economici, ma anche di comunicazione, creando una vera distorsione di mercato. L’utilizzo di un sinonimo garantirebbe sia la corretta informazione al consumatore, sia il patrimonio storico delle denominazioni-vitigno».

A tal proposito il Consorzio, già in data 10 marzo 2023, aveva richiesto al Masaf il reinserimento del sinonimo “Cordisco” per il vitigno “Montepulciano” nel Registro Nazionale Varietà delle Viti, già presente nel 1988 e poi scomparso misteriosamente nella trasformazione dello stesso da cartaceo ad informatico. Con l’inserimento del sinonimo Cordisco nel Registro nazionale delle varietà, le denominazioni riconosciute in altre regioni, che contemplano la presenza del vitigno Montepulciano nella base ampelografica di riferimento delle relative DO, potrebbero colmare il proprio gap informativo verso il consumatore riportando in etichetta il sinonimo».

L’ABRUZZO ATTACCA SUL MONTEPULCIANO. IL MASAF TERGIVERSA

Aggiunge Nicodemi: «Dobbiamo difendere il lavoro di centinaia di operatori che per decenni hanno investito e continuano ad investire importanti risorse sulla promozione e sull’affermazione nei mercati internazionali del Montepulciano d’Abruzzo, da sempre legato in maniera indissolubile ad un vitigno, il Montepulciano, e al nostro territorio che, se non adeguatamente tutelati, rischiano di essere “banalizzati” ed utilizzati da altri operatori solo per “meri fini commerciali”, a danno del radicamento storico e territoriale da tutti unanimemente riconosciuto». Interpellato da winemag.it, l’ufficio stampa del Ministro Lollobrigida si limita a precisare che «nulla è ancora deciso» e che «il Masaf approfondirà ulteriormente la questione prima di procedere con il decreto».

Secondo voci di corridoio, il titolare del dicastero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare e delle Foreste intenderebbe prima promuovere un tavolo di lavoro con gli attori coinvolti nella vicenda (non ultime le forze di governo regionali, in quota FdL e Lega sia in Abruzzo che nelle Marche). Oltre al Consorzio guidato da Nicodemi, l’Abruzzo si mostra compatto nella battaglia con le associazioni Copagri (Leo Spina), Confagricoltura (Mauro Lovato e Camillo Colangelo), Confcooperative (Antonio Marascia), Lega Coop (Andrea Di Fabio), Coldiretti (Roberto Rampazzo e Pier Carmine Tilli), DAQ Vino (Rocco Pasetti), Assoenologi (Gianni Pasquale) e CIA (Domenico Bomba), che «chiederanno la revisione del testo in presentazione, con il mantenimento delle tutele esistenti in materia di utilizzo del nome del vitigno Montepulciano alla sola regione Abruzzo».

LA POSIZIONE DELLE MARCHE CON L’IMT


Di tutt’altro avviso l’Istituto Marchigiano di Tutela Vini. «Il Testo unico del vino – commenta il presidente Michele Bernetti (nella foto, sopra) – prevede l’inserimento in etichetta, con la dovuta regolamentazione, del nome del vitigno utilizzato. Riteniamo perciò, al pari delle principali organizzazioni del vino sia in ambito nazionale che comunitario, che le corrette informazioni in etichetta rappresentino una garanzia a tutela dei consumatori, e quanto stabilito dal Testo unico per i vini Dop e Igp vada in questa direzione».
Secondo l’Imt, la norma orizzontale riguarda tutti i vitigni che compongono i blend dei vini a denominazione, compresi molti marchigiani a partire dal Verdicchio.

Non c’è perciò ragione di fare eccezioni, violando peraltro il principio di eguaglianza, come ipotizzato da un nuovo comma (nr. 16, articolo 5) del decreto attuativo, già criticato dalla maggioranza delle organizzazioni di filiera. Il mondo del vino, come previsto dal Testo unico, deve ambire alla massima trasparenza nei confronti dei consumatori, anche e soprattutto per un vitigno, il Montepulciano, coltivato in quasi tutte le regioni italiane per un totale di 35 mila ettari, 2 Docg, 36 Doc e 88 Igt».

Quanto all’uso del sinonimo Cordisco: «Non esiste neppure – chiosa Bernetti – e sono stupito da questa proposta che giunge dall’Abruzzo, che usa “Montepulciano” in deroga. Pretendere che una regione o un gruppo possa registrare il nome di un vitigno sembra un concetto vicino alle logiche degli OGM, con le multinazionali che registrano un seme e non lo danno a nessuno. Nelle Marche siamo fedeli al nostro territorio e non vogliamo sostituirci o imitare nessuno. Stiamo di fatto raccogliendo materiale per dimostrare la storicità della presenza del Montepulciano nella nostra regione. D’altro canto, come ci stanno insegnando gli stessi americani con le loro nuove denominazioni, il territorio vince sempre sul nome dell’uva. Non intendiamo dunque accettare le condizioni di questa guerra di retroguardia, avendo imboccato, nella nostra regione, la strada opposta». Al Masaf e al ministro Lollobrigida l’ultima parola.

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Gli Editoriali news

Eureka! Ecco perché “Prosecco” è diventato sinonimo di “spumante”

EDITORIALE – “Cià, dai, cosa prendiamo? Prosecchino per tutti?”. Mano alla calcolatrice. Quante volte avete sentito questa domanda al bar, al ristorante o in osteria?

Ogni volta il dubbio amletico che al posto del Prosecco (quello vero) non arrivi una Ribolla Gialla, un Pinot Nero vinificato in bianco, o addirittura un Negroamaro ottenuto col Metodo Martinotti (Charmat), lo stesso delle “bollicine” veneto-friulane.

Sarò anche scemo, ma ci ho messo un po’ a capire qual è (forse) il motivo della confusione dei consumatori che considerano “Prosecco” sinonimo di “Spumante”: troppi Charmat italiani sono uguali tra loro, indipendentemente dalle uve con le quali sono prodotti e dai territori dai quali provengono.

Spumanti tristi. Senza personalità. Standardizzati sullo zucchero, o meglio su un “dosaggio” (l’Extra Dry, proprio come il “vero” Prosecco) che ammazza il varietale nel nome della facilità di… vendita.

Il punto è che non lo consiglia il dottore di produrre spumante. Ma le logiche del mercato, si sa, si giocano tutte sulla domanda e sull’offerta. C’è chi deve arrivare a fine mese con la propria cantina.

LA BEFFA E L’ECCEZIONE
Come tutte le storie tristi, anche questa ha il suo paradosso: il Prosecco autentico, ottenuto da Glera in perfetto stato fitosanitario, magari da vigne vecchie e poco produttive – insomma, il Prosecco senza trucchi e senza inganni – spesso non viene più riconosciuto.

Un problema che non riguarda solo i consumatori, ma anche (e soprattutto) i ristoratori meno attenti. Anche in Veneto e in Friuli. Ci è capitato più volte di incontrare produttori di Glera che preferiscono etichettare come Igt il loro vino, al posto della Doc: “Tanto i ristoratori a cui la propongo mi dicono che non è Prosecco, perché non è dolce”. Game. Set. Match.

Peccato che così perdono un po’ tutti. Tranne una: la Franciacorta, divenuta sinonimo di “Metodo Classico” e di “Champagne”. In parte a buona “ragione”. La Doc bresciana è quella che si mostra più compatta in tutti i contesti, nazionali e internazionali. Anche a costo di sembrare sgarbata e presuntuosa.

Come al recente concorso dedicato agli spumanti italiani andato in scena in Abruzzo (Spumantitalia), dove non ha figurato neppure un’etichetta di Franciacorta. Una scelta degna del Marchese del Grillo. Quando all’estero si parla di spumanti di qualità, è proprio in Franciacorta che va il pensiero. Ubi maior, Prosecco cessat.

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news ed eventi

Lucido, nuovo nome del Catarratto fa discutere. Planeta: “Difendiamo l’interesse della Sicilia”

PALERMO – A partire dalla vendemmia 2018, i produttori siciliani potranno etichettare col sinonimo “Lucido” il Catarratto. Una scelta volontaria, non un obbligo, offerto alle aziende vitivinicole dal Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia, in seguito all’avallo del Ministero giunto a fine novembre.

Una decisione dovuta principalmente alla cacofonia del termine, oltre alla difficoltà di pronuncia da parte degli stranieri. Il nome “Catarratto” limiterebbe l’export e, in generale, le vendite dei vini prodotti con questo straordinario vitigno, tra i più sottovalutati del Sud Italia e forse dell’intero Bel Paese.

PAROLA AI PROMOTORI
A difendere la scelta – contestata da diversi vignaioli siciliani e da una parte dell’opinione pubblica, che la vede come uno “stravolgimento della tradizione” – è Alessio Planeta, presidente di Assovini Sicilia, membro del Consiglio della Doc Sicilia e amministratore delegato dell’omonima cantina che ha sede legale a Menfi (AG).

“Chi critica la scelta di consentire l’utilizzo volontario del sinonimo Lucido per il Catarratto – commenta l’imprenditore – forse non considera che negli ultimi anni la Sicilia ha perso 40 mila ettari vitati, passando da 140 mila a poco più di 100 mila ettari. Di questi 40 mila ettari perduti, gran parte erano di Catarratto”.

“Le grandi detentrici di questo vitigno – precisa ancora Planeta – sono oggi le cantine sociali che da tempo avevano espresso la necessità di utilizzare il sinonimo in etichetta. Noi siamo stati ben contenti di aiutarle in questo percorso che guarda alla salvaguardia del vigneto siciliano”. Chiaro, dunque, che si tratti di un’iniziativa volta a favorire la commercializzazione delle etichette base Catarratto.

“Le cantine sociali – commenta Alessio Planeta – hanno necessità pressanti di vendere grandi quantità di vino, rivolgendosi per questa ragione anche alla Grande distribuzione organizzata. La scelta di un nome come Lucido, non inventato bensì riscontrabile nei più autorevoli testi di ampelografia siciliana, non potrà che agevolarle”.

Secondo le stime fornite da Planeta, le uve Catarratto vengono pagate in Sicilia fra i 30 e i 40 centesimi: “Forse anche meno in alcuni casi, con qualche eccezione dovuta alle zone dove è più difficile praticare la viticoltura”.

“Non si può far finta che vada tutto bene – ammonisce l’ad Planeta – o girarsi dall’altra parte al cospetto di aziende che chiedono una mano al Consorzio”. Questione di mesi, dunque. Poi sarà il mercato a dire chi ha ragione.

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Vini al supermercato

Prosecco al supermercato: migliori e peggiori

Venti bottiglie di Prosecco in degustazione “alla cieca”, per decretare il migliore presente sugli scaffali delle maggiori catene di supermercati italiani.

Da Esselunga a Iper Coop, passando per Auchan, Carrefour, Iper – la grande I, Penny Market e Lidl, senza dimenticare insegne importanti come Il Gigante, Unes e Despar.

Tre i Prosecco che la spuntano, adatti ad accompagnare dall’aperitivo alle carni bianche, passando – perché no? – anche da piatti di pesce non troppo elaborati.

Tre prodotti capaci di accontentare ogni tipo di palato: da quello di neofiti e bevitori occasionali, a quello di chi pretende di più, anche da un “semplice” Prosecco.


I MIGLIORI PROSECCO AL SUPERMERCATO
1) Bel perlage, profumati invitanti. Zucchero dosato al punto giusto, tanto da non stancare mai la beva e chiamare un sorso dopo l’altro. Sul podio dei Prosecco in vendita al supermercato finisce il Prosecco Doc Superiore di Martini & Rossi (gruppo Bacardi). Un Extra Dry da 11,5% vol.

E’ questo il miglior Prosecco “pop”, secondo la redazione di vinialsuper. Rappresenta, cioè, esattamente quello che ci si deve aspettare da un (buon) Prosecco. Semplicità, dunque. Ma anche un certo carattere. Peraltro una bottiglia dall’ottimo rapporto qualità prezzo (5,50 euro circa), in tutte le catene di supermercati che lo espongono in vendita.

Giallo paglierino con riflessi verdolini velati, bollicina fine nel calice, anche se la persistenza delle “catenelle” non è da superstar. Naso tipico, intenso e pulito, che lascia spazio anche a sorprendenti note esotiche di mango, banana e mandarino.

Palato corrispondente dal punto di vista degli aromi, con spuma satinata e cremosa che accompagna, verso la chiusura, un’acidità ben dosata. Buona anche la persistenza, agilmente sopra le soglie della sufficienza.


2) Il Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene Docg di Carpenè Malvolti è la “bollicina” veneta consigliata a chi, al Prosecco, chiede qualcosa di più. Anche in questo caso siamo di fronte a un Extra Dry, mentre la percentuale d’alcol in volume scende di mezzo grado rispetto al Prosecco Doc Martini, assestandosi sugli 11.

L’etichetta, del resto, parla da sola: svecchiata rispetto all’originale, senza perdere tuttavia l’eleganza che contraddistingue da sempre la casa spumantistica di Conegliano (TV). Che di questo Prosecco ha fatto un’icona.

Giallo paglierino con riflessi dorati, il Prosecco Superiore Docg di Carpenè Malvolti sfodera un naso da Metodo classico (la tecnica utilizzata per la produzione dello Champagne). Roba da far sospettare di non essere di fronte a una bottiglia del più venduto degli Charmat al mondo.

Miele d’acacia, fruttato elegante di ananas, una punta di lime. Note che arrivano a sfiorare anche l’idrocarburo. Che ci sia dell’ottimo Chardonnay nel blend con la Glera? Il disciplinare, del resto, lo consentirebbe.

Ingresso di bocca morbido, sul filo di una corrispondenza gusto olfattiva pregevole. L’acidità non manca, anzi. Anticipa (e controbilancia) una sapidità capace di conferire ulteriore “gusto” al sorso. La chiusura richiama ancora una volta il nobile vitigno di origine francese, con le sue percezioni ammandorlate. Chapeau.


3) Last but not least, come direbbero gli inglesi che del Prosecco ne hanno fatto ormai un’ossessione (in Inghilterra lo spumante veneto fa ormai a gara con la birra locale), il Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg di un altro colosso del Wine in Italy, Santa Margherita Spa di Fossalta di Portogruaro (VE). Questa volta siamo di fronte a un Prosecco più secco, un Brut, da 11,5% vol.

Giallo paglierino con riflessi oro, spuma creosa che si dissolve lenta. Fine e persistente il perlage. Dal calice di Prosecco Superiore Docg Santa Margherita si elevano note fruttate dalla leggerissima vena “dolce”, come da attese per uno spumante dal grado zuccherino più modesto rispetto a quello dei compagni Prosecco Extra Dry.

Un naso di eccellente finezza quello del Valdobbiadene Santa Margherita. Lasciato a “riposo” per qualche minuto, l’olfatto arriverà a donare sentori pregevoli di foglia secca di pomodoro. Al palato dominano la morbidezza e la tipicità del Prosecco. Con l’aggiunta di un pizzico di mineralità, che sboccia soprattutto nel retro olfattivo assieme alla pera Williams. Facile berne un bicchiere dietro l’altro, senza mai stancarsi.

A UN PASSO DAL PODIO
A un passo dal podio il Prosecco Doc Zonin: naso elegante, bolla satinata, acidità giocata su note d’arancia, prima di una chiusura lunga. Non male al palato Bellussi (U2 – Unes): bocca pulita, acidità e mineralità piacevolissime, ma solo dopo un naso piuttosto costruito. Olfatto che è anche la croce del Prosecco Doc Mionetto, che invece al palato regala un frutto piacevole e uno zucchero ben dosato, così come una buona persistenza retro olfattiva.

I PEGGIORI
Tra i Prosecco degustati, ci sentiamo di sconsigliarne (tassativamente, o quasi) due in particolare. Ad accomunarli – oltre al costo al limite del sotto-costo – un perlage grossolano, una spuma degna d’una birra, un naso citrico e un palato tra il piatto e l’artificiale.

Si tratta del Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg “Villa de’ Bruni”, in vendita negli store Penny Market, e il Prosecco Doc Allini della catena tedesca di supermercati Lidl.

Male anche alcuni Prosecco di nomi importanti: insufficiente l’Extra Dry di Cescon, così come il Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg “Col del Sol” di Ca’ del Sole Vini, in vendita nei supermercati Il Gigante. Male entrambi i Prosecco (Doc e Docg Valdobbiadene) della linea “Il Viaggiator Goloso” (Finiper – Unes).

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Calici “Champagne Prosecco” Luigi Bormioli: il sinonimo non brilla

Tutto fa brodo nell’industria del Prosecco che diventa – per ragioni di marketing – sinonimo di “spumante”. E allora ecco spuntare sugli scaffali di diversi retailer le confezioni di “6 calici Champagne Prosecco”.

L’ennesimo utilizzo errato di una parola che indica, in realtà, solo quel preciso vino veneto e non tutti i vini bianchi “con le bollicine”.

Nel mirino della campagna #nonsoloprosecco di vinialsuper finisce così un colosso del vetro Made in Italy, la Luigi Bormioli di Parma. Confezione nera ed elegante per l’intera linea “Atelier”, di cui fa parte il pack di 6 calici da 27 cl (9½ oz) su cui la parola “Prosecco” campeggia al posto di “spumante”.

Solo su uno dei quattro lati della scatola compare la dicitura “Sparkling wine“, dall’inglese “spumante”. Seguita però, anche in questo caso, dalla coppia “Champagne Prosecco”.

Una “svista” presente anche sul sito web della Luigi Bormioli: stesso riferimento al Prosecco, accostato genericamente allo Champagne nella sezione dedicata alla collezione “Atelier – Superior Aroma Diffusion”.

In un’altra pagina del portale aziendale della Bormioli appare invece la corretta dicitura “Spumante e Champagne”. Insomma: tanta confusione anche tra i produttori di calici, oltre che tra ristoratori e addetti ai lavori del Food and beverage. Un altro motivo per ribadire (e condividere!) l’hashtag della campagna di vinialsuper #nonsoloprosecco.

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Approfondimenti news

Prosecco non è sinonimo di spumante: la campagna di vinialsuper #nonsoloprosecco

Quante volte vi è capitato di ordinare al bar “un Prosecco”? Ma vi siete mai chiesti se in quel calice c’era davvero del “Prosecco”?

Con il termine “Prosecco”, infatti, non si definisce un qualsiasi “spumante” o vino “con le bollicine”. Bensì quel determinato spumante – Doc o Docg – prodotto in Veneto e in Friuli Venezia Giulia.

Vi sognereste mai di chiamare “Chianti” qualsiasi vino rosso? Crediamo (speriamo) di no. Ecco perché occorre fare un po’ d’ordine: mentale, innanzitutto. E poi culturale.

Vinialsuper lancia quindi la campagna “Prosecco non è sinonimo di spumante” e l’hashtag #nonsoloprosecco, che vi invitiamo a utilizzare. Lo facciamo per voi. Perché vogliamo esser certi che, quando ordinate un “Prosecco”, intendiate proprio quel vino. Condividete l’articolo, ditelo agli amici, fatevi un selfie con la scritta “Prosecco non è sinonimo di spumante”! Insomma: inventatevi qualcosa per diffondere la cultura del vino.

I TRE PROSECCO: DOC E DUE DOCG
Sono tre le “versioni” di Prosecco, prodotte in base a disciplinari ben precisi: una a Denominazione di origine controllata (Doc) e due a Denominazione di origine controllata e garantita (Docg). Per tutti vale il metodo di spumantizzazione delle uve denominato Martinotti o Charmat, che prevede la rifermentazione del mosto in autoclave.

E’ questa la differenza principale con il Metodo Classico, che prevede una seconda fermentazione in bottiglia. Con il Metodo Classico (altrimenti noto come Champenoise) viene infatti prodotto lo Champagne, così come gli spumanti italiani più pregiati: Trento Doc, Franciacorta Docg, Alta Langa Docg e Oltrepò Pavese Docg, per citarne alcuni.

IL PROSECCO “MILLESIMATO”
Anche la definizione “Millesimato” è oggetto di grande confusione: di fatto, tutti i “prosecchi” sono “millesimati”. Questo termine, che non ha nessuna valenza relativa alla qualità della bottiglia, serve a evidenziare che tutte le uve con il quale è stato prodotto lo spumante sono state raccolte nella medesima annata. Frutto, dunque, dello stesso anno di vendemmia.

Ovvio, dunque, che un Prosecco sia “Millesimato”. Non sarebbe invece così scontato di fronte a un Metodo Classico italiano o a uno Champagne, che possono essere prodotti con assemblaggi di più annate.

La scritta “Millesimato” su un Prosecco è dunque un escamotage di marketing (pur consentito dalla legge italiana) con il quale il produttore – giocando sull’ignoranza del consumatore – tenta di dare inutile lustro alla propria etichetta, scimmiottando il Metodo Classico e gli Champagne. Anche se è vero che qualche casa vinicola usa miscelare annate differenti di Glera, per uniformare anno di anno in anno il gusto “di cantina”. Vediamo dunque le varie tipologie dello spumante Prosecco.

Prosecco Doc
Citando il disciplinare: “Il vino a denominazione di origine controllata ‘Prosecco’ deve essere ottenuto da uve provenienti da vigneti costituiti dal vitigno Glera; possono concorrere, in ambito aziendale, da soli o congiuntamente fino ad un massimo del 15%, i seguenti vitigni: Verdiso, Bianchetta trevigiana, Perera, Glera lunga, Chardonnay, Pinot bianco, Pinot grigio e Pinot nero (vinificato in bianco), idonei alla coltivazione per la zona di produzione delle uve (province di Belluno, Gorizia, Padova, Pordenone, Treviso, Trieste, Udine, Venezia e Vicenza”.

Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg
Sempre citando il disciplinare: “La denominazione d’origine controllata e garantita ‘Conegliano Valdobbiadene – Prosecco’, o ‘Conegliano – Prosecco’ o ‘Valdobbiadene – Prosecco’, è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabiliti per le seguenti tipologie: ‘Conegliano Valdobbiadene – Prosecco’, ‘Conegliano Valdobbiadene – Prosecco” frizzante’, ‘Conegliano Valdobbiadene – Prosecco’ spumante, accompagnato dalla menzione ‘Superiore di Cartizze’ se ottenuto nella tradizionale sottozona, nei limiti e alle condizioni stabilite”.

La zona di produzione delle uve atte ad ottenere i vini ‘Conegliano Valdobbiadene – Prosecco’ comprende il territorio collinare dei Comuni di Conegliano, San Vendemiano, Colle Umberto, Vittorio Veneto, Tarzo, Cison di Valmarino, San Pietro di Feletto, Refrontolo – Susegana, Pieve di Soligo, Farra di Soligo, Follina, Miane, Vidor e Valdobbiadene.

Il vino spumante denominato “Cartizze”, ottenuto da uve raccolte nel territorio della frazione di San Pietro di Barbozza del Comune di Valdobbiadene (dove deve avvenire l’intero processo di vinificazione), ha diritto alla sottospecificazione “Superiore di Cartizze” (107 ettari totali di vigneto, il “Cru” del Prosecco).

I vini “Conegliano Valdobbiadene – Prosecco” devono essere ottenuti dalle uve provenienti dai vigneti costituiti dal vitigno Glera. Possono concorrere, in ambito aziendale, fino ad un massimo del 15%, le uve delle seguenti varietà, utilizzate da sole o congiuntamente: Verdiso, Bianchetta trevigiana, Perera e Glera lunga.

Colli Asolani Prosecco (oggi Asolo Prosecco)
Secondo il disciplinare, “la denominazione di origine controllata e garantita ‘Colli Asolani – Prosecco’ o ‘Asolo – Prosecco’ è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione, per le seguenti tipologie: ‘Colli Asolani – Prosecco’ o ‘Asolo – Prosecco’, ‘Colli Asolani – Prosecco’ o ‘Asolo – Prosecco’ spumante, accompagnato dalla menzione superiore e ‘Colli Asolani – Prosecco’ o ‘Asolo – Prosecco’ frizzante”.

“La zona di produzione delle uve atte alla produzione dei vini a Docg ‘Colli Asolani – Prosecco’ o ‘Asolo – Prosecco’ comprende l’intero territorio dei comuni di Castelcucco, Cornuda e Monfumo e parte del territorio dei comuni di Asolo, Caerano San Marco, Cavaso del Tomba, Crocetta del Montello, Fonte, Giavera del Montello, Maser, Montebelluna, Nervesa della Battaglia, Paderno del Grappa, Pederobba, Possagno, San Zenone degli Ezzelini e Volpago del Montello”, con ulteriori delimitazioni geografiche specifiche.

IL PROSECCO ROSÉ? NON ESISTE
Le norme che disciplinano la produzione del Prosecco sono chiare e non lasciano spazio a interpretazione. Ma la comune richiesta di “Prosecco” come sinonimo di “spumante” porta con sé un altro equivoco: quello del “Prosecco rosé”. Semplice smontarlo: non esiste.

La tecnica di vinificazione delle varie tipologie di Prosecco, infatti, vieta l’utilizzo di uve rosse vinificate in rosa, ovvero con breve contatto delle bucce a contatto con il mosto.

Le uve a bacca rossa come il Pinot Nero (per un massimo del 15%) adatte alla produzione del Prosecco, infatti, devono essere vinificate senza buccia, responsabile del rilascio del colore rosso (o rosato), in base alla durata del contatto con il mosto.

La vinificazione in bianco prevede dunque la fermentazione del solo succo d’uva, senza la parte solida costituita dalla buccia.

Se sulla carta dei vini di un ristorante doveste mai leggere “Prosecco Rosé”, come nel caso clamoroso denunciato da vinialsuper che vede come protagonista il Ricci di Milano (ristorante di Belen e Bastianich) sappiate che si tratta di un (patetico) escamotage per vendere qualcosa che non esiste, approfittandosi della riconoscibilità e notorietà, ormai internazionale del “Prosecco”.

In quel caso: rimbalzate la proposta e chiedete lumi al ristoratore. Oppure, meglio: alzatevi e cambiate ristorante. Magari consigliando di leggere questo articolo. #nonsoloprosecco

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