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I vini vulcanici di Gambellara, tra identità e futuro: il distretto della Garganega è qui

I vini vulcanici di Gambellara, tra identità e futuro: il distretto della Garganega è qui

Una zona, un vitigno. Un vigneto, un vino. Se in Italia c’è un’area vinicola che sa dove andare, quella è Gambellara. Dei vini vulcanici base Garganega prodotti nell’area collinare classica si parla ancora troppo poco, persino nel Bel paese.

In compenso, è dal 2008 che il Consorzio di Tutela ha concluso uno dei più efficaci progetti di zonazione su scala nazionale. Sono 6 le sottozone individuate: Creari, Taibane, Monti di Mezzo, Selva, San Marco e Faldeo.

Da citare anche la mappatura dell’area di “Pianura”, nella quale i produttori sembrano credere sempre meno, col passare degli anni. A confermarlo è il direttore del Consorzio, Giovanni Ponchia: «La Denominazione – rivela a WineMag.it – ha ormai preso una strada identitaria: quella dei vini vulcanici di collina».

Nel nostro areale si producono sempre più vini bianchi secchi monovarietali, da uve Garganega. E sempre meno vini Doc di pianura, in favore della crescente utilizzo del “Doc classico”, riferita all’area “classica” delle colline, su cui ricadono i cru individuati oltre 10 anni fa».

«Ci sono produttori che ci credono di più – continua Giovanni Ponchia – e produttori che ci credono meno. In linea di massima, si continua a insistere sulla Garganega in purezza, con periodi di sosta sui lieviti abbastanza prolungati, in vinificazione. Per gli affinamenti si predilige l’acciaio, con pochissimo utilizzo dei legni».

I NUMERI DELLA GARGANEGA DI GAMBELLARA

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La produzione annuale di Gambellara si assesta attorno alle 300-450 mila bottiglie, con gli ettari rivendicati che variano da circa 200 a 380 in base all’annata. «La zona è piuttosto circoscritta e ormai tutta vitata – sottolinea ancora il direttore del Consorzio – soprattutto nella parte collinare che sta alimentando sempre più la Denominazione».

«Il Gambellara – continua – è sostanzialmente un vino di collina da monovitigno. Possiamo dire che questo è il distretto in cui la Garganega offre l’espressione più schietta e più franca, esente da “contaminazioni” di altre uve». Un ecosistema in grado di riversare nel calice le caratteristiche del terreno. Nello specifico, quello di matrice vulcanica.

«I cru del Gambellara – evidenzia Giovanni Ponchia – sono lo strumento più efficace in mano ai nostri viticoltori per mostrare le peculiarità tradizionali, toponomastiche e produttive delle sottozone. Bevendo Gambellara classico si comprende perfettamente cosa siano i “vini vulcanici”, rispetto a quelli prodotti in altri tipi di terreni».

LA DOC GAMBELLARA IN 8 BIANCHI DA UVE GARGANEGA

Gambellara Doc Garganega 2020 Ca’ Fischele, Dal Maso

Giallo paglierino piuttosto intenso, riflessi dorati. Al naso un mix elegante di frutta esotica matura, agrumi, ricordi di erbe della macchia mediterranea, mentuccia, verbena e venature iodiche. In bocca la Garganega è generosa ma equilibrata.

Ampia sul frutto (pesca gialla matura, agrumi), tanto quanto nuovamente tesa, fresca, salina. Buona persistenza per un vino che conferma la parola d’ordine “equilibrio”, in tutte le fasi. Buono oggi, ancora meglio domani, per chi ha il piacere di attenderlo.

Gambellara Doc Classico 2017 Creari, Cavazza

Giallo dorato dovuto a una macerazione prolungata sulle bucce. Naso generoso, su note compostissime di frutta stramatura. Si spazia dall’albicocca alla pesca gialla, dall’ananas alla papaia.

Si concede e stratifica lentamente al naso, dopo la generosa overture. E vale proprio la pena di attendere, perché l’ossigenazione libera sbuffi di spezie calde (vaniglia bourbon, zafferano), tanto quanto cremosi ricordi di pasticceria, uvetta e agrumi canditi.

Sullo sfondo, la matrice vulcanico-calcarea del terreno. Una “vulcanicità” che invece appare da subito netta al sorso, di sorprendente tensione e finezza tattile, sin dall’ingresso. Qualcosa difficile da immaginare, dopo un naso giocato principalmente sulle componenti aeree (i frutti), con il “terreno” in sordina.

Non manca però l’equilibrio. Sale e tensione fresco-acida lasciano il giusto spazio all’espressione delle parti morbide, compresa l’alcolicità (13% vol.). Vino in evoluzione, di sicura longevità.

Gambellara Doc Classico 2020 Bocara, Cavazza

Giallo paglierino luminoso. Sin dal primo naso è chiaro come ci si trovi di fronte a un vino che abbina frutto ed essenza minerale-vulcanica. Generosissime e croccanti le note di frutta a polpa bianca (pera) e gialla (pesca, ricordi di albicocca appena matura, susina, melone).

Sull’altro versante, un profilo chiaro, ma ancora non del tutto espresso: il vulcano spinge al naso note pietrose che necessitano tempo e ulteriore affinamento in bottiglia per esprimersi ai massimi della pienezza.

Perfetta sin d’ora la corrispondenza gusto olfattiva, con la frutta protagonista del sorso dall’ingresso alla chiusura. Interessante il profilo minerale del palato, in netta evoluzione. Ne è un emblema la chiusura asciutta ed elegante, sui ritorni pietrosi avvertiti al naso.

Gambellara Doc Classico 2018 Rivalonga, Menti Vini

Giallo paglierino, alla vista. Un vino che è la riprova della longevità dei vini da terroir vulcanico e di quanto il “vulcano” stesso, dalle parti di Gambellara, sia una componente da attendere, prima che si mostri nel calice con estrema eleganza.

Nel Rivalonga di Menti, il binomio frutto-mineralità è ai massimi livelli. Ma il bouquet si arricchisce di preziosi ricordi erbacei, ottima spalla per una salinità che deve sostenere la polpa bianca e gialla di pesca, melone, pera e ananas. Tutta frutta perfettamente matura.

In definitiva un vino in equilibrio estremo, che abbina a una spiccata mineralità e a un “senso” profondo del terroir vulcanico delle colline di Selva, la «dolcezza» e il «sapore» di una terra generosa come Gambellara.

Gambellara Doc Classico 2018 Capitel Vicenzi, Azienda Agricola Virgilio Vignato

Giallo paglierino, riflessi dorati. Al naso netta impronta minerale, cui si accostano prima ricordi di erbe della macchia mediterranea (mai così netti, nel tasting, il rosmarino e il timo) e, poi, l’ampio bouquet di frutta. Ecco la pesca gialla, l’albicocca, il melone, la susina, tanto quanto una pera matura, grondante di succo.

Non manca una componente agrumata, accostabile più al cedro che al limone, tra polpa e scorza. Splendida corrispondenza gusto olfattiva, con i 13% di alcol in volume che sono una manna dal cielo, nell’ottica del perfetto equilibrio del sorso.

Salinità e freschezza strabordanti, per un vino che entra in bocca come una lama e poi si ammorbidisce, sull’alcol e sulla frutta. Applausi scroscianti per l’epoca di raccolta delle uve Garganega utili alla produzione di questo vino. Uno di quei nettari che esaltano primari dell’uva e terroir, tanto quanto il savoir-faire agronomico ed enologico del vignaiolo.

Gambellara Doc Classico 2019 Col di Mezzo, Natalina Grandi

Giallo paglierino, riflessi dorati. Al naso tutto quello che ci si deve aspettare da un nettare di Gambellara, con un tocco in più di balsamicità, tanto da sfiorare i ricordi di eucalipto e liquirizia. Primo naso comunque dritto sulla matrice vulcanico-salina-pietrosa.

Poi la frutta, generosa e ricca, tra la polpa gialla e quella bianca, abbracciata dal corredo fresco-balsamico. Perfetta corrispondenza gusto olfattiva, anche in termini di stratificazione e coerenza nello sviluppo – quasi sequenziale – dei descrittori. Forse un po’ troppa esuberanza della balsamica, nel retro olfattivo.

Ma la frutta matura e l’alcol aiutano a riequilibrare un sorso saporitissimo, gustoso, tra i più goduriosi del tasting. Attenzione all’abbinamento, che deve essere di pari importanza ed esuberanza gustativa. Con Col di Mezzo, del resto, si può giocare a tavola in termini di temperatura di servizio, più o meno fresca in base al piatto (meglio ricchi primi che secondi a base di pesce).

Gambellara Doc Classico 2020, Azienda Agricola Sordato Lino

Giallo paglierino luminoso. Al naso, mai così netto il sentore di pera matura, cui fa eco la tipica mineralità dei bianchi di Gambellara. In bocca si conferma vino agile e beverino, diretto, giocato sull’immediatezza più che sulla stratificazione. Il vino glou-glou della batteria: guardi la bottiglia ed è finita.

Gambellara Doc Classico 2020 Corte dei Mèi, Azienda Vitivinicola Marchetto

Giallo paglierino intenso, dai leggeri riflessi dorati. Naso apparentemente semplice, che si svela pian, piano, con l’ossigenazione. Spazia dalla pera alla pesca e si concede generoso sulle note erbacee mediterranee, prima ancora di rivelare la matrice vulcanica del terreno (Eureka!)

Al palato un tocco leggerissimo d’ossidazione non penalizza, al momento, il resto del corredo. Anzi, lo rende ancora più complesso, accostandosi alle note di frutta matura già avvertite al naso e alla bella vena minerale. Chiude asciutto, salino, tanto da chiamare il sorso successivo. Altro vino dalla grande agilità di beva.

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Il Durello (Charmat o Metodo Classico) e la stampa che si guarda allo specchio


SELVA –
Cambiar nome, (ri)partire da zero, o quasi. E pensare che il mercato stia aspettando proprio te e il tuo (risicato) milioncino di bottiglie. La tavola rotonda “Durello: utopia o la nuova frontiera?” organizzata dall’Azienda agricola Dal Maso di Selva (VI), voleva essere un momento di riflessione sulle prospettive della Denominazione veneta, che di recente ha deciso di dare un nuovo nome agli spumanti Metodo Classico: Monti Lessini.

Un incontro riservato a stampa tecnica e operatori della ristorazione, che si è invece trasformato nel consueto sfoggio elitario di una buona parte dei rappresentanti della critica enogastronomica.

Scatta addirittura l’applauso quando Nicola Dal Maso (nella foto sotto) annuncia che “non produrrà più la versione Martinotti-Charmat del Durello”, per promuovere esclusivamente il Metodo classico “Monti Lessini”. Manco avesse rinunciato al Napalm in vigna, per combattere l’Oidio.

Una versione – tra l’altro – poi corretta dallo stesso produttore ai microfoni di WineMag: “Punteremo tutto sul Durello Metodo classico con la prima Riserva Pas Dosé 2015, in uscita a maggio. Ma in futuro, quando il parco vigneti sarà più ampio, ricominceremo a produrre anche il Durello Charmat”. Game. Set. Match.

Per qualcuno, in particolare per la stampa locale, il Consorzio dovrebbe dimenticarsi della versione Martinotti e virare esclusivamente sul Metodo Classico. Raddoppiando (come per magia, puff!) la produzione di Champenoise (a proposito: da quando la stampa fa i conti con i portafogli dei produttori?) o portandola addirittura a un sostanziale pareggio con la versione Martinotti. Fifty-fifty.

Oggi, invece, i 400 ettari vitati su terreno collinare, garantiscono alle 34 aziende del Consorzio una produzione di circa 1 milione di bottiglie, il 30% delle quali sono Metodo classico. Una cifra in lievitazione, anno dopo anno, ma che non basta a tener botta nei confronti delle grandi Denominazioni della spumantistica, a livello nazionale. Figurarsi nel marasma di bollicine globali.

PARLANO I NUMERI
Proprio per questo dimenticarsi dello Charmat sarebbe un vero e proprio autogol. E a confermarlo sono i numeri snocciolati dal presidente del Consorzio di Tutela, Alberto Marchisio, direttore di ViteVis Cantine. Mille soci, 38 milioni di euro di fatturato, è seconda solo a Cantina di Soave per ettari vitati di Durella (circa 130, in crescita) e numero di bottiglie di Durello prodotte (300 mila).

“Siamo l’azienda della zona che più ha creduto nel Lessini Durello Charmat – commenta Marchisio – e oggi possiamo dire che il cliente lo viene a cercare proprio per la sua precisa identità. Viene letto come uno spumante ottenuto da una buona uva, originale e caratterizzante della zona di produzione”.

“Una bollicina perfetta a tutto pasto – continua Marchisio – che ben si abbina alle abitudini culinarie del territorio. I numeri stanno crescendo, così come la consapevolezza dei consumatori. Del resto, chi cerca uno spumante generico si indirizza ormai senza esitazioni sul Prosecco”.

Ma anche la cooperativa ViteVis produce un Metodo classico da uve Durella. “Negli ultimi due, tre anni – commenta Alberto Marchisio – le vendite sono triplicate per questa tipologia, raggiungendo le 7 mila unità. Si acquista a 9,90 euro in cantina e lo si trova a 18-22 euro al ristorante, a differenza dello Charmat, che nei supermercati è reperibile a circa 5 euro”.

Il cammino da percorrere, secondo Marchisio, è tracciato: “La vera sfida della Denominazione, secondo me, non è eliminare il Durello Charmat, ma fare in modo che il suo prezzo si alzi a scaffale, pian piano, di 60-70 centesimi. Allora sì che potremo dire di avere fatto centro, anche nel nome della versione Metodo Classico, che a sua volta godrebbe di un incremento”.

“Del resto – chiosa il direttore della cooperativa – lo dico sempre: il nostro compito è quello di produrre vino per il consumo dal lunedì al venerdì. Per il sabato la domenica è giusto che i consumatori puntino a produzioni artigianali, di piccoli produttori. Ma non per questo i vini ‘base’ non devono essere perfetti, esprimendo tipicità dell’uva e del territorio, come nel caso del nostro Charmat. Il vino quotidiano non è banale”.

Chi acquista, invece, il Metodo Classico Monti Lessini? “Lo stesso consumatore che compra il Lessini Durello Charmat – risponde un determinato Marchisio – e non solo in Italia. Abbiamo un importatore scandinavo che da un ordine di 20 mila bottiglie di Charmat, è passato al Metodo classico, proponendo le due etichette una accanto all’altra, raccontandole a dovere per le loro diverse peculiarità”.

Il Durello Martinotti di ViteVis, di fatto, è un prodotto che stacca – qualitativamente – la media espressa dalle etichette di Prosecco presenti in Gdo. L’uva è riconoscibile, con la sua caratteristica acidità e durezza.

CHARMAT NON FA FIGO, “COL FONDO” (FORSE) SÌ
Nella rincorsa alla spumantizzazione cui si sta assistendo in tutta Italia, il Durello Charmat è la bollicina più sensata, tipica e capace di rappresentare il vitigno nel calice, senza le storpiature e gli impersonali scimmiottamenti del Prosecco (mai assaggiato, per esempio, qualche Passerina o Negroamaro vinificato in bianco? Meglio per voi, nel 95% dei casi).

Eppure non fa figo. Non accontenta gli elitari palati di mezza stampa tecnica (specie locale), evidentemente dotata di portafogli più gonfio della media degli italiani che fanno la spesa al supermercato, nel fine settimana.

Il dubbio è che se si trattasse di “rifermentati in bottiglia” o di un torbido “Durello col fondo” – più “radical” e più “chic” dei bistrattati “Charmat” degni del consumatore sfigato della Gdo – tutti (stampa compresa) ne berrebbero e godrebbero amabilmente, consigliandola urbi et orbi. Con buona pace del Metodo Classico e dei Monti Lessini. Cin, Cin.

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