(3 / 5) Lidl si affida a una consolidata realtà del Piacentino per proporre alla propria clientela – sempre più eterogenea – quello che per l’Emilia Romagna del vino è un vero e proprio must: il Trebbianino Val Trebbia Doc Colli Piacentini. A produrlo, e nella versione bio, sono le Cantine Bonelli di via Roma 86 a Rivergaro, borgo a 20 chilometri da Piacenza. Un blend composto al 60% da Ortrugo, 30% Malvasia di Candia aromatica, più un 10% di Trebbiano e Sauvignon.
Nel calice, il vino si presenta di un giallo paglierino brillante. La frizzantatura, ottenuta mediante metodo Charmat per la durata di tre mesi, regala “sfere” di pregevole finezza. Al naso, questo Trebbianino si rivela corrispondente alle attese: pulito, anche se non intenso. A impreziosirlo è certamente la Malvasia di Candia, con la sua aromaticità. Ad un’attenta analisi, anche il Moscato contribuisce a rendere piacevole il bouquet.
Il palato è lineare, semplice. Come dev’essere quello di un Trebbianino “quotidiano”. L’aggiunta limitata di solforosa non pesa affatto sulla beva, che sfodera anzi maggiore carattere rispetto all’olfatto. Un vino di facile abbinamento in occasione dell’aperitivo, tanto versatile da risultare utile a tutto pasto. Da consumarsi a una temperatura di servizio tra gli 8 e i 10 gradi.
LA VINIFICAZIONE
Il Trebbianino Val Trebbia Doc Colli Piacentini proposto da Lidl e imbottigliato da Cantine Bonelli è ottenuto mediante tradizionale vinificazione in bianco. La separazione dalle bucce è immediata. La fermentazione è lenta, a temperatura controllata di circa 15 gradi. Non a caso, il Trebbianino è il vino più rappresentativo di Cantine Bonelli. Il fondatore Anacleto lo creò negli anni Cinquanta e lo intitolò alla Val Trebbia, sua zona di produzione. Ha ottenuto la Doc nel 1975 e da sempre l’etichetta è caratterizzata dalla mappa stilizzata del territorio. “Il nostro impegno nella sostenibilità del territorio – spiega l’azienda, oggi gestita dai nipoti – ci ha spinti a produrre il Trebbianino Val Trebbia D.O.C. Colli Piacentini in versione Bio”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Frank e Cindy ti guardano stralunati. Pesci fuor d’acqua. Con in mano un calice di vino. Vuoto. “We’re looking for american Barbera. We love american Barbera. Where is it?”. Vaglielo a spiegare, alla coppia agée d’americani in tour a Barolo, che alla rassegna di Vignaioli Corsari in programma a Castello Falletti non figurano aziende a stelle e strisce. Tradotto: scordatevi la vostra Barbera. Glielo fai capire con le buone. Mentre il discorso vira, lento come i fumi dell’alcol, verso altri lidi: “We love Barbera, and we love Donald Trump. He’s a good person. Hillary Clinton is fake. Believe in us!”. Lo faremo. Ma da domani. Oggi, piuttosto, è il giorno dei bilanci per la rassegna di vini europei organizzata dall’Associazione culturale Giulia Falletti al Castello di Barolo. Affluenza a tre zeri che soddisfa i promotori dell’evento, con i sotterranei del maniero letteralmente presi d’assalto da un pubblico eterogeneo, tra cui figurano tanti giovani.
“Siamo molto contenti di vedere volti nuovi rispetto alla scorsa edizione – commenta Marta Rinaldi – con ottocento persone ai nostri banchi d’assaggio, tra le giornate di domenica 4 e lunedì 5 dicembre. I produttori sono sempre 30, ma quest’anno abbiamo avuto il piacere di ospitarne di nuovi, rappresentando zone d’Europa prima non considerate. Lo spirito è rimasto lo stesso: prima di tutto l’amicizia. E poi lo scambio di esperienze tra diversi produttori. Vini Corsari non è solo un festival per un pubblico amante dei vini artigianali, ma anche un’occasione per i vignaioli di incontrarsi e scambiare parecchio, tra di loro e con il territorio del Barolo”. Una zona volutamente non rappresentata ai banchi d’assaggio, che non hanno visto intervenire nessuno dei grandi interpreti locali delle uve Nebbiolo e Barbera. “Però – sottolinea ancora Marta Rinaldi – sono molti i produttori delle Langhe che hanno partecipato alle degustazione e alle cene con i loro colleghi europei”. Una quarta edizione che ha visto la collaborazione di “amici” portoghesi e francesi, al fianco dell’Associazione culturale Giulia Falletti. E un risultato, a conti fatti, davvero prezioso per l’accuratezza della selezione di produttori intervenuti. Tutti capaci di esprimere un livello qualitativo altissimo, attraverso le loro opere: i loro vini.
LA DEGUSTAZIONE Con fatica, noi di vinialsuper proviamo a identificare qualche vino ‘sopra le righe’ degustato alla quarta edizione di Vini Corsari. Tra gli italiani, una menzione speciale per i vini rossi va di diritto a Cristiana Galasso di Feudo D’Ugni. Memorabile il suo Montepulciano d’Abruzzo 2013 “Rudero”, ottenuto da vendemmia tardiva. Vino rosso da tavola, di quelli che si scordano i Consorzi delle Doc. Troppo bello per essere vero il frutto rosso che si materializza al naso, sotto forma di sublime confettura. Una concentrazione e una carica gusto olfattiva di rara bellezza, per un vino capace di accompagnare piatti della tradizione abruzzese, tanto quanto non sfigurerebbe in un ristorante stellato di qualsiasi capitale del mondo.
Ma Cristiana Galasso di professione fa la “vignaiola fiammiferaia”. E se le fai i complimenti, arrossisce. Del Montepulciano d’Abruzzo 2013 ne ha prodotte solo 300 bottiglie. In ognuna deve averci lasciato un pezzo del cuore umile sfoggiato a Barolo. Bottiglia dal valore inestimabile. Da amare, sorso dopo sorso. Così come splendido è il Cerasuolo da uve Montepulciano rimaste poche ore a contatto con le bucce e vinificato in cemento e acciaio. Imbottigliamento dopo 15 mesi, con un pizzico di solforosa.
Un rosato indimenticabile, per struttura e intensità. Capace, al contempo, di assicurare la beva leggera, estiva, caratteristica delle vinificazioni in bianco. Tra gli altri rossi a Barolo, una menzione speciale va all’intera elegante produzione della Tenuta di Valgiano, Lucca, che con Moreno Petrini ha portato in degustazione gli ottimi “Tenuta di Valgiano Rosso” 2013 e 2011 e, soprattutto, “Palistorti” 2012.
Dall’altra parte della sala degustazioni allestita a Castello Falletti, ecco il nostro eroe dei vini bianchi italiani presenti in rassegna. E’ Patrick Uccelli di Tenuta Dornach, Salorno (Bolzano), Alto Adige. Uno capace di mettere il punto sul Gewurztraminer con il suo “G.”, vendemmia 2015. Nel senso che ti manda a capo, tanto è in grado di spiazzarti in un gioco quasi diabolico tra un naso più che convenzionale (ma curioso) dominato dal litchi e un palato dirompente, persistente, di sorprendente tannicità verde. Quel colore rosato, dovuto al contatto di un mese con le bucce dello splendido uvaggio autoctono altoatesino, non poteva che portare a tale conclusione. Ma te ne rendi conto troppo tardi. Proprio per colpa di quell’olfatto così convenzionale. Poi la bocca ti frega. E sono pernacchie che ti ricorderai a lungo.
Tre ettari e mezzo che nel 2017 diventeranno 4,5, per Tenuta Dornach. E una filosofia spiegata con chiarezza dal quell’eterno Peter Pan che sembra essere il 42enne Patrick Uccelli, vignaiolo giocoliere. “Io e la mia famiglia produciamo tutto in biodinamico dal 2009 e speriamo che un giorno tutto il mondo del vino operi in questo regime. Ma il cambiamento è assurdo pensarlo in tempo reale. Sarebbe arrogante. Ci vuole pazienza, è inutile forzare le tappe”.
A pari merito con Dornach, impossibile, tra i vini bianchi italiani, non citare l’intera produzione de La Castellada di Giorgio e Nicolò Bensa, realtà che opera in Friuli Venezia Giulia. Più esattamente a Oslavia, Gorizia. Tutti vini importanti, da aspettare, quelli presenti al banco degustazione corsaro. Il Collio Doc 2010 Bianco della Castellada è sublime. Ottenuto da un 50% Pinot Grigio, un 30% Chardonnay e un 20% Sauvignon da vigne di età compresa tra i 20 e 50 anni, pare una caramellina al palato. Per poi accendersi d’improvviso, come il fuoco su un terreno impregnato di benzina, svelandosi caldo, strutturato, poderoso. E dotato di un finale senza fine. Il Pinot Grigio, come spiega al banco di degustazione il preparatissimo Stefano Bensa, viene colto e subito pressato. Il mosto viene fatto dunque fermentare in barrique, con lieviti indigeni. Chardonnay e Sauvignon fermentano a contatto con le bucce per 4 giorni.
Poi vengono travasati in barrique per completare la fermentazione. Seguono 11 mesi in barrique e 12 mesi in vasca d’acciaio inox di affinamento, più ulteriori 12 mesi in bottiglia, senza filtrazione. Sontuoso il Collio Doc Bianco Riserva 2006 “Vrh”: un blend ottenuto al 75% da Chardonnay, cui viene sommato un 25% Sauvignon di vigne di 45 anni di marna Eocenica. I grappoli vengono diraspati e il pigiato posto a fermentare in tini aperti di rovere di Slavonia, per 2 mesi. Fermentazione alcoolica e malolattica a contatto con le bucce. Seguono 36 mesi in botte grande di rovere di Slavonia, 12 mesi in vasca d’acciaio inox. In bottiglia senza filtrazione, esprime un 14,5% di alcol in volume. Dieci ettari di vigneto per La Castellada nel goriziano, per un totale di 25-30 mila bottiglie prodotte annualmente. Azienda tutta da scoprire e da amare al primo sorso.
Rimaniamo in Italia per segnalare altri due bianchi coraggiosi. Il Liguria di Levante Igt “Poggi Alti” 2015 dell’Azienda Agricola Santa Caterina di Sarzana è un vino di grande prospettiva, capace di far tornare alla mente i grandi bianchi liguri di quel genio anarchico di Fausto De Andreis, one man company di Rocche del Gatto. “Fermentazione in tini aperti d’acciaio e maturazione in gres”, spiega Andrea Kihlgren, che così mira a preservare e valorizzare i varietali del Vermentino. “Facevo altro nella vita – continua il vignaiolo dal cognome svedese, tramandato dal padre – ma quando ho deciso di dedicarmi a tutto tondo al vino ho capito subito che una via ‘tiepida’ non faceva per me. Questo è un lavoro che bisogna sentire dentro e che fa fatto con coscienza, oppure bisognerebbe fare altro”. Un degno compagno di De Andreis, insomma. Dentro e fuori dal calice. Ad accomunarli, ovviamente, anche i problemi con il Consorzio per il riconoscimento di una Denominazione d’origine controllata a cui, entrambi, hanno ormai rinunciato su parte della produzione.
Merita un plauso, infine, il coraggio di Les Petits Riens di Regione Chabloz, Aosta, piccola realtà a metà tra Morgex e Saint Vincent. L’unica ad allevare, nell’intera Valle d’Aosta, l’Erbaluce di Caluso. Nasce così Petit Bout De Lun 2014, un bianco curioso, la cui vinificazione avviene all’80% in acciaio e al 20% in barrique, dove resterà a maturare 15 mesi, prima dell’imbottigliamento. Un vitigno, l’Erbaluce, scelto per conferire acidità a uno Chardonnay altrimenti stanco. Altra curiosità: i vini de Les Petits Riens sono tutti turati con il sughero, ricoperto da cera d’api. Un altro modo per sottolineare il profondo legame del vino con il territorio d’origine.
Tra le bollicine presenti a Vini Corsari 2016, non poteva che spuntarla il sontuoso Franciacorta Docg Pas Dosé 2011 “Il Contestatore” dell’Azienda Agricola Il Pendio di Michele Loda (Monticelli Brusati, Brescia). Un Metodo Classico ottenuto in purezza da uve Chardonnay, provenienti dai gradoni più alti della vigna. Capace di surclassare l’unica maison di Champagne presente ai banchi di degustazione, La Closerie, con il solo “Le Beguines” (prezzo tra gli 80 e i 90 euro) a discostarsi da una produzione fin troppo piaciona e commerciale, fondata sul Pinot Meunier.
GLI STRANIERI C’è una cantina che più delle altre ha saputo convincere tra i Corsari 2016. L’avreste mai immaginato? Proviene dalla Svizzera. Più esattamente dal Vallese. Quel Valais che, in estate, vi abbiamo raccontato in lungo e in largo (vedi qui). Dimenticandoci, però, di uno come Olivier Pittet di Fully (d’altronde, con centosessantadue vini degustati in diciotto differenti cantine, poste su un percorso di circa 250 chilometri, siamo sicuri potrete perdonarci). Il Fendant 2014 di Pittet è divino. Si scosta dalla semplicità intrinseca del vitigno Chasselas, per assumere al naso sentori complessi, che segnano tutta l’esperienza olfattiva con Pittet: quelli vegetali, erbacei, in bilico tra l’erba fresca e il fieno, tra i fiori e le aromatiche alpine, sino alla camomilla secca.
Note che nel Petit Arvine 2014 diventano quasi piccanti, con il peperone giallo a verde a spuntare nel mucchio composto di sentori delicati. Una caratteristica che, qui, ritroveremo anche in bocca. Chimere 2014 è il più gastronomico dei vini di Olivier Pittet, quello di più facile abbinamento in cucina. A.R.H. 2014 è invece il sorprendente blend tra Petite Arvine (50%) e un clone sconosciuto derivante da un incrocio di quattro vitigni, tra cui l’autoctono Rèze (Resi) e l’Humagne Blanc: un vino dal residuo zuccherino elevato (12 g/l).
Per completezza e qualità nella produzione non può essere dimenticato anche Aleks Klinec, vignaiolo bio del Collio sloveno, impiantato a Medana. Il fil rouge che lega i vini è quello di una consistente sapidità, quasi croccante, da mordere. Ma a convincere più di tutti – per presente e prospettive future – è Jakot 2012, ottenuto da fermentazione spontanea con quattro giorni di contatto con le bucce delle omonime uve, dimenticate per 3 anni in botti di acacia. Tipico colore aranciato e grande intensità e finezza olfattiva, che richiama fiori e frutta esotica matura. Un naso suadente, che al palato rompe gli indugi sfoderando muscoli d’acciaio: di alcolicità calda, almeno al percepito, controbilanciata alla perfezione da una freschezza e da una sapidità invidiabili. Vino che stupisce, appunto, per il suo grande equilibrio.
Ottima anche la Malvazia Istriana 2012 di Klinec, più profonda al palato rispetto a Jakot, per la presenza di un’acidità ancora più spinta e un tannino astringente. In Gardelin 2012 è ancora più marcata la vena sapida, evidentemente per l’assenza dei tannini in un uvaggio come il Pinot Grigio. La Ribolla 2012 (14 giorni di macerazione e 3 anni in botte per estrarre al meglio le proprietà di un’uva dalla buccia spessa come l’orgoglio del popolo sloveno) è un altro luminoso esempio della grandezza dei vini della vicina Slovenia. Infine, ma non ultima, la Riserva 2006 Klinec con base Verduzzo Friulano, in blend con Ribolla, Malvasia e Tocai. Un Barolo bianco, potremmo azzardare. Estratto secco che pesa come un macigno, sulla lingua. E 14,9% di alcol in volume a completare il quadro. Chapeau.
Segnaliamo, tra gli altri, anche la cantina portoghese Encosta da Quinta, 80 chilometri a nord di Lisbona. Vino di facile beva ma di cui non ci si dimentica affatto il bianco Humus 2015, proposto in degustazione dal timido Rodrigo Filipe. Un blend ottenuto dai vitigni autoctoni del Portogallo Arinto e Fernao Pires. A chiudere la rassegna dei migliori vini degustati tra i Corsari 2016 anche lo Chardonnay du Hasard, Vin de Voile di Domaine Labet, Jura, Francia. Un bianco unico, in cui alle note ossidative fanno da contraltare sorprendenti note fruttate fresche. Spazio anche per un vino a prezzi pazzi: il blend di Trebbiano e Trebbiano di Spagna di Vittorio Graziano (Castelvetro di Modena): 13 euro per un’esperienza sensoriale giocata sul filo sottile dell’equilibrio tra le note macerative e quelle fruttate mature.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Dwight Stanford, un lavoro ce l’aveva. In America. Chirurgo generale. Apriva e ricuciva pazienti, nella sua clinica di Kansas City, Missouri. Poi, la svolta. Anche Antonella Lonardo, un lavoro l’avrebbe avuto. Una cattedra all’Università di Napoli. Docente ordinaria, dopo la laurea in Archeologia. Ebbene. Ci ha rinunciato. Ancor prima di cominciare. Il richiamo della terra è una questione di vita o di morte per i vignaioli Fivi. L’americano che molla tutto e si trasferisce a Offida, nella sperduta provincia di Ascoli. E l’avellinese che dopo tanti sacrifici sui libri capisce cosa vuole davvero: proseguire il cammino segnato dai genitori, titolari di un’azienda agricola ben avviata, a Taurasi. Storie di vino. Storie di vignaioli che, nel weekend scorso, si sono resi protagonisti del Mercato dei Vini della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti (Fivi), nei padiglioni di Piacenza Expo, pronto ora allo storico sbarco nella capitale, Roma, il 13 e 14 maggio 2017 all’Eur.
“Sopra la stessa zolla. Sotto la stessa goccia. Nello stesso letame”: questo il messaggio lanciato dai viticoltori nel corso della sesta edizione della manifestazione, che ha chiuso con più di 9 mila ingressi la due giorni nel capoluogo emiliano (+50% rispetto all’edizione 2015). Citazione della retroetichetta delle bottiglie di Prosecco di Luigi Gregoletto, vignaiolo Fivi dell’anno. Un segnale forte, in un periodo in cui il vino e i vignaioli sono sotto accusa, in particolare nella zona di Conegliano-Valdobbiadene. In un’arena piena di colleghi il vignaiolo di Miane, premiato come Vignaiolo dell’anno, ha commosso i presenti con il suo discorso. Un inno alla terra e al suo rispetto.
“Dalla mia vita e dalle mie esperienze – ha raccontato Gregoletto – posso dire che la terra va rispettata, va amata, perché la terra è madre e sa ricompensare. Anche oggi che produrre molto è facile e produrre poco è altrettanto facile. Produrre equilibrato nel rispetto della terra, della sua conservazione e della qualità del prodotto, è molto più difficile. Ma sono convinto che questa sia la via da affrontare e sono altrettanto convinto che la terra non delude. La terra ti può fare meno ricco, ma sicuramente più signore”.
I MIGLIORI VINI DEGUSTATI Signori vini, quelli in degustazione al “Mercato” di Piacenza. I bianchi di Ermes Pavese, vignaiolo valdostano di Morgex, mostrano tutte le potenzialità del vitigno autoctono Prié Blanc. Il metodo classico Pas Dosé, 24 mesi sui lieviti si rivela complesso, sapido, minerale, di persistenza balsamica. Più pronto del Pas Dosé 18 mesi, ancora giovane, come evidenzia un’acidità spiccata e di prospettiva. Anche Nathan, il barricato di casa Pavese, è un buon compagno da dimenticare in cantina e riscoprire tra qualche anno.
Dalla Valle D’Aosta ci spostiamo in Friuli Venezia Giulia, dai Vignai Da Duline. La cantina di Villanova (Udine), visitata nelle scorse settimane da Angelo Gaja e dal suo staff, porta sugli scudi Malvasia Istriana e, soprattutto, Friulano Giallo: antico biotipo di Tocai, risulta meno produttivo ma più resistente alle malattie. Duecento ceppi in totale, che nelle annate migliori i coniugi Lorenzo Mocchiutti e Federica Magrini tramutano in magnum d’occasione. Memorabile la vendemmia 2015 di Giallo di Tocai, in degustazione: note speziate di zenzero e curcuma si legano a doppio filo ai terziari conferiti dal legno. Naso rigoglioso, cui fa eco un palato morbido, ricco, carico di vitalità. Da provare anche Morus Alba, unione tra i cru di Malvasia Istriana e Sauvignon che esprime l’idea di territorialità dei Vignai Da Duline.
Un passo più in là ecco Weingut Abraham. A presentarla Martin Abraham. Personaggio schivo, presenta in degustazione una batteria interessantissima. Tra i Pinot Bianco svetta la vendemmia 2013. Lungo periodo sulle fecce e due anni in botte seguono una raccolta dei migliori grappoli, da viti del 1955. L’acidità spiccata gioca con note esotiche che, tanto al naso quanto in bocca, spaziano dal mango alla banana. Un Pinot Bianco salino, che darà il meglio di sé nei prossimi due, tre anni. Solo 600 le bottiglie prodotte. Una vera perla.
Straordinario anche il Traminer 2014 di Martin Abraham. Meno aromatico di quanto ci si possa aspettare, spariglia le carte con un olfatto tipico e un palato che, al contrario, spinge maggiormente sulla mineralità. La vendemmia 2013 di Traminer è ancora più concentrata, ma conserva i medesimi tratti. Ottimi anche i rossi del vignaiolo altoatesino di Appiano (Bolzano). Upupa Rot 2013 è il blend tra Schiava (95%) e Pinot Nero (5%), vino “dritto” sulle acidità più che sulle note fruttate tipiche dei due vitigni. Sublime il tannino espresso, così come elegante risulta quello del 100% Pinot Nero 2013, timido in ingresso, pronto poi ad aprirsi sul classico bouquet di sottobosco.
Ecco dunque Edi Keber, friulano di Cormons, Gorizia. Il suo Collio 2015 è fresco e fruttato. In degustazione anche una più evoluta vendemmia 2012, che mostra tutta la potenzialità d’invecchiamento dell’uvaggio storico Tocai, Malvasia Istriana e Ribolla. Giallo dorato, naso minerale che richiama il terroir, frutta meno stucchevole e meglio bilanciata da un’acidità viva. “Un vino da aspettare”, come conferma al banco il giovane vignaiolo Kristian Keber.
Non poteva mancare la Lombardia, con una vera e propria “chicca”. E’ Bastian Contrario, 100% Trebbiano dell’azienda Lazzari di Capriano del Colle, provincia di Brescia. Novecentotrenta bottiglie, numerate. La vendemmia in degustazione è la 2014. Giallo dorato, naso di miele millefiori e tipica nota botritica. Al palato pieno, sapido ed elegante. Morbido, nonostante l’acidità spiccata. Fondamentali i diradamenti dei tralci di Trebbiano, in vigne di età superiore ai 20 anni. “L’obiettivo – spiega Davide Lazzari – è quello di ridurre il carico produttivo fino a non più di 60 quintali di uva per ettaro: si spinge così sulla surmaturazione con vendemmia tardiva a fine ottobre. Attendiamo dunque l’attacco botritico, che contribuisce a un’ulteriore concentrazione delle rese. Il 50% del mosto fermenta direttamente nella barrique in cui resterà in affinamento per 12 mesi”. L’abbinamento perfetto? Quello con i formaggi grassi delle valle Orobiche.
Ecco dunque l’incontro che non t’aspetti. Quello con Ps Winery di Offida, Ascoli Piceno. Una cantina a metà tra le Marche e gli Stati Uniti d’America. Chiedere per credere ai due soci fondatori, Raffaele Paolini e Dwight Stanford. Galeotto fu il master di Scienze Gastronomiche organizzato da Slow Food del 2006, presso la Reggia di Colorno. I due si conoscono lì e la passione per il vino fa il resto.
“Dopo 25 anni di lavoro in clinica ero un po’ stanco – spiega Dwight (nella foto con la moglie, conosciuta al Bravio delle Botti di Montepulciano) – volevo un anno sabbatico. Ho deciso così di aderire al master di Slow Food. Mi avevano assicurato che tutte le slide sarebbero state in inglese. Ma quando sono arrivato, mi sono reso conto che non era così! Passavo i pomeriggi a tradurre i pochi appunti, studiando su Internet cosa fosse esattamente, per esempio, il Parmigiano Reggiano. Proprio in quei giorni mia madre è venuta a mancare e ho deciso di reinvestire l’eredità, assieme ai soldi che avevo messo da parte in tanti anni di lavoro, nell’acquisto di alcuni terreni, assieme al mio compagno di corso Raffaele”. I due scelgono i cloni, le varietà. E trasformano interi campi coltivati a erbe mediche in vigna. “Il primo anno è stato fantastico – ammette Dwight – anche se abbiamo dovuto mandare via l’enologo. A quello poi ho ovviato io, laureandomi in enologia”.
Da provare l’Incrocio Bruni 54 di Ps Winery, dal prezzo strabiliante di 10 euro (in cantina). Si tratta del risultato dell’incrocio, per impollinazione, di Verdicchio di Jesi e Sauvignon Blanc. “Una pianta legnosissima – spiega Raffaele Paolini – tutt’altro che elastica, già a maggio. Delicatissima nel periodo della fioritura, ha un grappolo spargolo”. Solo 14, in tutta la regione, le cantine che lo allevano. Ps Winery ne ha 1.500 ceppi, distribuiti su un quarto di ettaro. Di colore giallo paglierino con riflessi dorati, il Marche incrocio Bruni 54 Igt di Ps Winery richiama il Verdicchio e la sua carica minerale, al naso. Al palato è un concentrato di struttura e di calore, ben espresso dagli oltre 15 gradi di percentuale d’alcol in volume. La sapidità è il secondo tratto distintivo del magnifico terroir Marche, espresso anche in questo Incrocio.
Di Ps Winery splendido anche il Syrah 2013 (24 mesi tra barrique e tonneau). Ai frutti rossi maturi rispondono a livello olfattivo percezioni floreali di viola, che poi lasciano spazio a complessi terziari di vaniglia, tabacco, liquirizia. Non manca uno spunto vegetale, che richiama la macchia mediterranea (alloro, rosmarino). Di grande freschezza in ingresso, rivela al palato la potenza (elegante) di un tannino ben bilanciato che nobilita la beva e chiama il sorso successivo. Ancora verde il tannino del Montepulciano 2011 Igt di Ps Winery: altro prodotto di assoluto valore, ma da attendere.
Rimaniamo nelle Marche per scoprire un altro vignaiolo che ha fatto della sperimentazione il proprio credo. E’ Giuseppe Infriccioli dell’Azienda agricola biologica Pantaleone, che lascia a bocca aperta con il suo Bordò. Si tratta di un biotipo storico appartenente alla famiglia dei Grenache. Utilizzato in purezza (100%), dà vita all’Igt Marche Rosso La Ribalta, di cui apprezziamo in particolare le vendemmie 2012 e 2010.
Di colore rosso rosso granato intenso, impenetrabile, si rivela speziato al naso: alle note fruttate rosse fanno da preponderante contorno liquirizia, chiodi di garofano, ginger e una spruzzata di pepe nero. Il tannino è presente, ma non disturba la beva in una vendemmia 2012 che, a conti fatti, risulta di grande eleganza e avvolgenza, anche nel finale tendente nuovamente al fruttato. Più complessa, come da aspettative, l’evoluzione della vendemmia 2010. Naso e bocca tendono al peperone verde e al cetriolo sotto aceto. Tutt’altro che un difetto, anzi: vino da provare, almeno una volta nella vita, per accompagnare grigliate, stufati, arrosti, brasati, cacciagione e selvaggina, nonché formaggi stagionati.
E’ di Contrade di Taurasi – Cantine Lonardo, provincia di Avellino, l’ultimo vino che segnaliamo tra i migliori assaggi al Mercato dei Vini Fivi 2016. Ventimila bottiglie la produzione totale della cantina oggi condotta in regime biologico dall’ex archeologa Antonella Lonardo, avviata dal padre Alessandro Lonardo e dalla madre Rosanna Cori: lui professore di Lettere in pensione e sommelier, lei insegnante di educazione Tecnica a Napoli. Cinque ettari, coltivati prettamente ad Aglianico. Ed è proprio un Taurasi Docg a centrare nel segno. Si tratta del cru Coste, vendemmia 2011.
Vino elegante, maestoso, che esprime tutta la magnificenza del grande vitigno avellinese. Difficile non pensare a una ricca tavola imbandita, sorseggiandolo a Piacenza: perfetto l’abbinamento con piatti elaborati a base di carne (dal brasato alla selvaggina) o accostato a formaggi stagionati. “L’annata 2016 è stata dura – commenta Rosanna Cori – le piogge ci hanno fatto temere addirittura per l’intero raccolto. Abbiamo vendemmiato quasi grappolo per grappolo, non appena compariva un po’ di sole. Il nostro enologo si è meravigliato quando ha visto le condizioni perfette delle uve condotte in cantina”.
Contrade di Taurasi produce vino ma svolge anche un ruolo sociale ed educativo nell’avellinese, nell’indole dei suoi fondatori. “Ogni anno ospitiamo un tirocinante dell’Università di Palermo – evidenzia ancora Rosanna Cori – che può formarsi al fianco del nostro piccolo staff scientifico, di cui fanno pare il professor Giancarlo Moschetti e il professor Nicola Francesca, microbiologi dell’Università di Palermo”. Loro il merito di aver estratto i lieviti indigeni che rendono così unici i vini di Cantine Lonardo, capace – se non bastasse – di recuperare anche un vitigno abbandonato come il Grecomusc, unico bianco di questa validissima realtà avellinese.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Avevamo un po’ dimenticato i vini sardi, per lasciarci conquistare da qualche bianco del nord-est o qualche rosso del sud-est. Ma siamo sempre pronti a scoprire nuove realtà enologiche come il Vermentino di Sardegna Doc Don Giovanni, prodotto dalla cantina sociale di Mogoro. Alla vista si presenta di un colore giallo intenso che richiama il dorato, con una limpidezza e una brillantezza molto apprezzabili. L’esame olfattivo è spiazzante, in positivo. Sentori di passion fruit e banana si mescolano a quelli di fiori di sambuco.
Quindi note di frutta e floreali che non ci saremmo aspettati in questo vermentino, che fa tornare alla mente qualche buon Sauvignon, dai profumi bilanciati e gradevoli. La prima sensazione che si avverte in ingresso, al palato, è il gran corpo del Vermentino di Sardegna Doc Don Giovanni. Naturalmente fa seguito una sapidità spiccata e molto percettibile, che sconfina nella mandorla e accompagna un pizzico di balsamicità, data da sentori di zenzero.
LA VINIFICAZIONE
Questo vino nasce nei vigneti del Don Giovanni del comune di Mogoro, in provincia di Oristano, che si sviluppano su una superficie sia collinare sia pianeggiante, su un suolo mediamente calcareo alternato a sabbie quaternarie. Il clima nel quale la vite si sviluppa è ovviamente mediterraneo, con inverni miti ed estati calde, mitigate da un vento salino di Maestrale. La raccolta delle uve avviene manualmente, con un ammostamento condotto entro poche ore dalla vendemmia. Dopo una breve macerazione pellicolare, la vinificazione prosegue evitando il contatto con l’ossigeno, per preservare le caratteristiche gusto-olfattive del vitigno. Continui battonage in serbatoi di acciaio accompagnano per 40 giorni la fermentazione.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Calice importante, quello del Toscana Igt Rosso Lucente 2010 dell’azienda Luce della Vite di Montalcino – Marchesi de’ Frescobaldi. Il vino si presenta di un rosso rubino con riflessi leggermente granati, limpido. La buona alcoolicità si percepisce dagli archi stretti, mentre le “lacrime” seguono una discesa lenta, data dalla concentrazione degli zuccheri. Aspetto che ci fa intuire una buona presenza di glicerolo. Al naso, una forte impronta di tabacco e cacao, appena avvicinato il calice. Seguono sentori di frutti rossi, tra cui è facilmente riconoscibile la prugna. E richiami speziati, di pepe e cannella.
La complessità di questo rosso toscano è “Lucente”. E aumenta con sentori balsamici, di menta. Vino ancora giovane e vigoroso, si esprime al palato in potenza e tannicità. Il corpo è medio, aspetto che ne conferma l’eleganza e una beva che non stanca. Lucente di Luce della Vite si rivela rotondo: un nettare che avvolge tutte le sensazioni gustative, con una buona intensità. Il retrogusto è di confetture e spezie, che ricordano il cacao. L’abbinamento perfetto? Quello con le carni rosse e i formaggi stagionati.
LA VINIFICAZIONE
Lucente è il secondo vino della gamma “Luce” della cantina Luce della Vite di Montalcino. Nasce dagli stessi vigneti dell’omonimo Luce, vino contemporaneo che cresce nella tenuta dei Frescobaldi a Montalcino. Un prodotto relativamente giovane, nato nel 2000 da un blend composto al 50% da Merlot, 35% Sangiovese e 15% da Cabernet Sauvignon. Il vigneto si sviluppa ad un’altitudine compresa tra i 250 e 400 metri sul livello del mare, su un terreno misto: galestro per le uve Sangiovese e ricco di calcio e argilla per il Merlot. La pigiatura è soffice e la fermentazione avviene in vasche in acciaio inox a circa 30°, per un periodo di 12 giorni. Segue un affinamento in barrique per 12 mesi: 55% legni nuovi di rovere francese, 5% nuovi di rovere americano, 40% di rovere francese di 2° passaggio. Prima della commercializzazione, Lucente di Luce della Vite affina in bottiglia per 8 mesi.
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(5 / 5)Ottimo Cabernet per qualità prezzo da Esselunga. Parliamo del Cabernet Friuli Colli Orientali Doc Volpe Pasini, imbottigliato all’origine dall’omonima società agricola di Emilio Rotolo e Figli di Torreano, Udine. La vendemmia sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it è la 2013, mentre l’ultima vendemmia in commercio è la 2015. Una degustazione dalla quale il Cabernet Volpe Pasini esce a pieni voti, dimostrando le sue buone potenzialità, anche in termini di ulteriore affinamento negli anni, in bottiglia. Nel calice, il vino si presenta di un rosso rubino intenso, poco trasparente. Intenso al naso, sprigiona sentori densi di sottobosco (ribes) e spezie, che con l’ossigenazione si arricchiscono di spunti erbacei tipici del Cabernet Franc (si tratta infatti di un blend tra Cabernet Sauvignon e Franc). Così come tipico è il richiamo (flebile) al peperone giallo. Al palato, il Cabernet Volpe Pasini si rivela caldo (13,5% gradi di alcol in volume, per nulla fastidiosi), pieno, di una rotondità di velluto. Tannino vivo, ma tutt’altro che allappante. E un’acidità ancora evidente, caratteristica che ha consentito la buona riuscita dell’affinamento in vetro di questo nettare friulano. Vino persistente anche nel retro olfattivo, chiude sulle note vegetali. L’abbinamento perfetto? Quello con le carni, specie se di selvaggina. A una temperatura di servizio di 18-20 gradi, quella dei grandi vini rossi.
LA VINIFICAZIONE Come anticipato, le uve che compongono il blend sono per l’85% quelle Cabernet Sauvignon e per il restante 15% Cabernet Franc. Dopo la raccolta, nei vigneti di proprietà della società agricola Volpe Pasini, tutti situati nel Comune di Togliano, si passa a una vinificazione tradizionale in rosso. Particolare attenzione viene data alla fase di macerazione, che si protrae a lungo per conferire intensità al colore del futuro vino e consentire, al contempo, il rilascio di tutte le sostanze che consentiranno al vino di durare a lungo nel tempo (oltre i 5 anni). La fermentazione avviene avviene in vasche di acciaio. Il vino affina per alcuni mesi in bottiglia, prima della commercializzazione. Volpe Pasini è una delle più antiche cantine del Nord Est italia, oggi proiettata sui mercati esteri, che concorrono per il 50% al bilancio aziendale.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(3,5 / 5) Sotto la lente di Vinialsuper il Brut De Meyran Blanc de Blancs Méthode Traditionnelle (Metodo Classico) in vendita nei supermercati Esselunga. Uno spumante, il “Caves Elisabeth”, prodotto da Veuve Amiot, attiva sin dal 1884 a Saint-Hilaire-Saint Florent, Saumur Cedex.
Positivo il giudizio della degustazione. Una bollicina profumata, fresca e fragrante quella prodotta dalla maison Veuve Amiot per i supermercati di Caprotti. Il nome “Caves Elisabeth” ricorda la vedova di Armand Amiot, Elisabeth per l’appunto, che diede avvio al successo dell’azienda, sul finire dell’Ottocento. Un appunto a Esselunga: giusto pretendere dai propri fornitori retro etichette in italiano.
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E’ una salita fra gli alti cipressi, tanto ripida quanto romantica, a condurre all’azienda agricola Col di Bacche. Siamo a Magliano in Toscana, piccolo comune in provincia di Grosseto. E quell’irto, faticoso cammino, che conduce al punto più alto di strada di Cupi, nella piccola frazione di Montiano, è il simbolo più fulgido dell’avventura di Alberto Carnasciali e Franca Buzzegoli. Marito e moglie, uniti anche nella cantina fondata nel 1998. Anno in cui Alberto Carnasciali si sfila di dosso l’abito da imprenditore edile e decide di sognare ad occhi aperti. Dando vita a Col di Bacche. La prima vendemmia, nel cuore delle terre del Morellino di Scansano, risale al 2001. Sono passati 15 anni, ormai. Quindici anni che hanno incoronato Col di Bacche tra le cantine dell’Olimpo Toscano del vino. Ne è consapevole Franca Buzzegoli, che ci accoglie in cantina con la fierezza di chi sa d’aver svoltato. Non solo nella vita. “Noi siamo di origine chiantigiana – spiega – nati e vissuti nel Chianti fino alla fine degli anni Novanta, quando abbiamo deciso di cominciare questa avventura in Maremma. Mio marito era titolare di un’impresa edile e, anche per questo, sapevamo che intraprendere un’attività nel settore vitivinicolo nella nostra zona era molto complicato. Ma abbiamo sempre bazzicato in Maremma. Quando siamo arrivati qui, non c’era niente. O meglio: c’era un poggio vuoto, che faceva parte di un podere. Ci piacque tantissimo questa location e così l’acquistammo. Nel ’98 impiantammo i primi vigneti. Poi – prosegue Franca Buzzegoli – costruimmo l’annesso agricolo che oggi ospita la prima cantina. Nel 2001 gli ultimi vigneti, che hanno subito reso troppo piccoli i locali per la vinificazione. Diciamo che ci siamo fatti prendere un po’ la mano! E così, tra il 2004 e il 2005, abbiamo realizzato la cantina attuale, trasformando la prima cantina in sala per le degustazioni e adattandola ad altre funzioni”. Sessantanni lui, cinquantadue lei. L’età giusta per sognare, ancora. Sin dagli albori, Col di Bacche si avvale dell’esperienza dell’enologo Lorenzo Landi, che assieme ad Alberto Carnasciali, sommelier Ais, impianta ad uno ad uno quattordici ettari totali di terreno. Si tratta principalmente di Sangiovese. Ma anche di Syrah e Cabernet Sauvignon. Nella parte bassa dell’azienda, dove il Sangiovese non maturerebbe bene, i coniugi Carnasciali decidono di allevare Merlot. Una scelta più che mai azzeccata. Il riscontro di critica e mercato di Cupinero, Merlot Igt Maremma Toscana, è sin da subito eccezionale. Il vero e proprio fiore all’occhiello dell’azienda agricola Col di Bacche. Un Merlot impiantato a cordone speronato alto, con sistema fogliario libero di crescere sulla ‘testa’ del grappolo. Accorgimenti che evitano a un vitigno precoce nella maturazione di assumere sentori di confettura che poco avrebbero a che fare con la ricerca di eleganza e finezza di Cupinero. Ma il vero segreto della ‘chicca’ di casa Col di Bacche è il ruscello che scorre a pochi metri dal Merlot. Garantendo un’efficace e benevola escursione termica.
LA FILOSOFIA Terreni ricchi di scheletro e sabbiosi, situati dai 120 ai 230 metri sul livello del mare, sono l’habitat dei vini di quest’azienda agricola toscana che fa della riduzione delle rese del vigneto un vero dogma. “Prendiamo ad esempio il Morellino di Scansano – commenta Franca Buzzegoli -. Il disciplinare ci consentirebbe una resa di 90 quintali per ettaro, mentre noi lo produciamo a 60-70. I nostri sono vini territoriali che aspirano a dimostrare come in Maremma si possano ottenere produzioni molto interessanti, pur non essendo la zona nota al grande pubblico, come quella del Chianti. In Toscana ci sono denominazioni più prestigiose rispetto a quelle maremmane, ma non è detto che tutte le aziende che operano in contesti prestigiosi lavorino secondo il principio della qualità. Quello che noi cerchiamo invece di fare quotidianamente”. Ogni anno, Col di Bacche sforna dai suoi 14 ettari di vigneti circa 60 mila bottiglie annue. Il Morellino ‘base’ costituisce il cuore della produzione, assestandosi sul 40%. Seguono Morellino Riserva, Merlot e, da quattro anni, Vermentino di Toscana. Prodotto inizialmente acquistando uve da terzi, Col di Bacche si è resa nel tempo autosufficiente, impiantando appositi vigneti: neppure un ettaro, che garantisce una produzione di circa 5.500 bottiglie l’anno. “Un bianco che sta andando molto bene – evidenzia Franca Buzzegoli – ottenuto da due particelle che non sono esattamente adiacenti al resto dell’azienda agricola, ma che si trovano in un’ottima posizione, con un’ottima esposizione”. Il mercato di Col di Bacche si svolge per il 65% in Italia. Il business funziona, ma Franca Buzzegoli non risparmia qualche stoccata al ‘sistema’. “In questa zona – evidenzia la ‘donna del vino’ – lottiamo con il fatto che quella del Morellino di Scansano è una denominazione che si è un po’ fermata negli ultimi anni. Grandi aziende sono venute qui a investire da tutta Italia, ma gli sforzi economici compiuti non sono affatto ricaduti sul territorio, o sulla valorizzazione della denominazione di origine controllata e garantita. I prezzi, anche a causa dell’arrivo di questi colossi, sono al ribasso. E non è facile competere. Fare vino in Toscana è un privilegio, pone in una situazione di intrinseca superiorità rispetto ad altre regioni italiane – ammette Franca Buzzegoli – soprattutto quando si va a proporre i propri vini nel mondo. Ma a livello di Consorzio si potrebbe fare ancora di più, soprattutto nelle politiche che riguardano gli imbottigliatori. Così come si potrebbe fare di più a livello di promozione del territorio, che è basata principalmente su pochi eventi, tutti molto costosi per le aziende e, per questo, sempre appannaggio dei soliti pochi noti”. Il futuro di Col di Bacche è comunque luminoso, con il figlio 24enne, laureando in Storia dell’Arte, pronto a rimboccarsi le maniche in un settore diverso da quello degli studi. Eppure così affine: un buon vino, non è forse un’opera d’arte?
LA PRODUZIONE COL DI BACCHE La degustazione, guidata da Franca Buzzegoli, inizia come si consueto bianco. In questo caso con il Vermentino Igt Toscana 2015. Le uve vengono vendemmiate nel corso della prima decade del mese di settembre. La vinificazione avviene in acciaio, a temperatura controllata. Il Vermentino Col di Bacche affina per 6 mesi, sempre in acciaio. Prima della commercializzazione, un ulteriore affinamento in bottiglia. Ottimo per l’aperitivo, il Vermentino Col di Bacche si abbina a piatti di pesce e carne bianca. Franca Buzzegoli propone poi l’assaggio del Morellino di Scansano 2014. La vendemmia del Sangiovese (90%) e degli altri vitigni a bacca nera (un 10% tra Syrah, Cabernet Sauvignon e Merlot) avviene tra la seconda metà di settembre e la prima settimana di ottobre: una vendemmia verde, in corrispondenza dell’invaiatura. La fermentazione si compie a temperatura controllata, per 20 giorni. L’affinamento è affidato all’acciaio per il 60% del vino; la parte restante matura in barriques di terzo e quarto anno. Un passaggio, questo, che rende il Morellino ‘base’ Col di Bacche apprezzabile con le sue caratteristiche peculiari anche a distanza di qualche anno dall’imbottigliamento. La grande centralità del frutto nella beva e la particolare attenzione alla pulizia negli esercizi di cantina sono palpabili e completano un quadro più che apprezzabile. Perfetto con i primi saporiti della cucina tradizionale toscana, si fa apprezzare a tutto pasto e con formaggi salati, di media stagionatura. Saliamo i gradini dell’eccellenza con Rovente 2012, il Morellino di Scansano Riserva Col di Bacche. Un prodotto ottenuto da un 90% di Sangiovese addizionato a un 10% di Syrah, vendemmiati tra la seconda metà di settembre e la prima settimana di ottobre da vigneti che registrano una resa di 55 quintali per ettaro, diradati sino al 50% in corrispondenza dell’invaiatura, ovvero nel periodo in cui gli acini iniziano ad assumere il colore tipico dell’uva. La vinificazione prevede una diraspapigiatura soffice e una fermentazione alcolica in serbatoi di acciaio inox a temperatura controllata, variabile tra i 28 e i 30 gradi. Continui rimontaggi e délestages precedono la macerazione sulle bucce, che si prolunga tra i 18 e i 21 giorni. L’affinamento del Rovente avviene in barriques di rovere francese, in parte nuove e in parte usate, per circa 12 mesi. Un ulteriore affinamento in bottiglia anticipa la commercializzazione. E sul mercato finisce un vino dall’ottimo rapporto qualità prezzo (13 euro all’horeca), con note fruttate fresche intense impreziosite da una delicata speziatura, un tannino elegante e rotondo e una capacità di invecchiamento medio lunga. In cucina ama piatti corposi, con cui mettere alla prova la un’ottima struttura: la cacciagione e i formaggi stagionati sono solo alcuni degli abbinamenti utili a valorizzare Rovente. Nella ‘verticale’ della produzione Col di Bacche, ecco arrivati a Cuponero, l’indicazione geografica tipica Maremma Toscana, vero fiore all’occhiello della vinicola di Magliano. La base (90%) è costituita come detto dal fortunato Merlot, cui viene aggiunto un 10% di Sauvignon: una percentuale variabile di anno in anno. La vendemmia proposta è la 2011, in grande forma già all’esame visivo col suo rosso rubino intenso. Al naso, alle note di frutta rossa fa eco un fresco sottobosco, invitante. Corrispondente al palato, regala un elegante e persistente finale. La vinificazione di Cupinero comincia dall’attenzione riservata agli acini durante il loro sviluppo. Le uve subiscono una diraspapigiatura soffice e una fermentazione alcolica in serbatoi di acciaio inox, a temperatura controllata variabile tra i 28 e i 30 gradi. Si cerca di favorire l’estrazione delle sostanze fenoliche con rimontaggi e délestages, prima di una macerazione sulle bucce della durata variabile tra i 18 e i 21 giorni. L’affinamento di Cupinero prevede l’utilizzo di barriques di rovere francese, in parte nuove ed in parte usate. Dura circa un anno. Alcuni mesi di ulteriore affinamento in bottiglia regalano agli amanti del Merlot (ma non solo) un’espressione unica del vitigno. L’espressione maremmana. Tutto da provare anche il Passito di Sangiovese Col di Bacche, ottenuto col classico metodo dell’appassimento delle uve al sole, cui viene fatto seguire l’affinamento in barrique. Ottima anche la grappa Riserva di Merlot, distillata dalle vinacce di Cupinero e affinata per 18 mesi in barrique.
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Sentiamo spesso parlare di vini neozelandesi. Vini che, ormai, è facile reperire anche sul mercato italiano. Vinialsupermercato.it, come al solito, cerca di aiutarvi nelle scelte in campo enologico. E oggi racconta di un Sauvignon Blanc proveniente proprio dalla Nuova Zelanda. Si tratta del Sauvignon Blanc 2013 Insight, “single vineyard” Marlborough, prodotto dalla cantina Vinultra nella Waihopai Valley. Il vino si presenta di un colore giallo paglierino, di buona limpidezza. Al naso esprime un bouquet estremamente ampio e accattivante, molto “femminile” e floreale. Si passa dal passion fruit alla classica foglia di pomodoro, fino alle note di zenzero fresco. Un naso prezioso, che anticipa un sorso ancora più soddisfacente. La frutta esotica torna prepotentemente, il che potrebbe far risultare questo vino stucchevole. Ma immediatamente sopraggiungono note agrumate di pompelmo rosa, a bilanciare il tutto. Completano il quadro note speziate e minerali. Il ritorno, una volta deglutito il vino, è di quello di piacevoli e persistenti foglie di pomodoro, oltre agli onnipresenti agrumi e alle spezie.
LA VINIFICAZIONE L’azienda Vinultra è situata a Malborough, sulla East coast della Waihopai Valley, uno dei territori più conosciuti e vocati alla coltivazione della vite in Nuova Zelanda. Il vitigno scelto per la produzione di questa etichetta si sviluppa su due terrazze differenti: quella inferiore è estremamente ricca di sassi, un terreno limoso e argilloso. Quella superiore, invece, sempre composta di argilla e limo, presenta in abbondanza grandi blocchi di ghiaia, in questo caso friabile. Il sistema di allevamento è la controspalliera e la raccolta delle uve Sauvignon Blanc avviene tra la fine del mese di aprile e l’inizio di maggio. La diraspatura è seguita da una pressatura con pressa pneumatica. Le uve subiscono poi criomacerazione per 48 ore, processo utile alla conservazione degli aromi varietali dell’uva. La fermentazione avviene in vasche d’acciaio e il vino riposa sur lies, ovvero “sulle bucce”, per diversi mesi prima di essere imbottigliato.
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Ottimo vino, soprattutto nel rapporto qualità prezzo, il Rosso Riserva Colli Euganei Doc della Società Agricola Vignalta di Arquà Petrarca, Padova. Sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it, la vendemmia 2010. Nel calice si presenta di un rosso intenso con riflessi granati. Buona consistenza e intensità. Al naso questo rosso del Veneto si rivela vino molto intenso. Nonostante due anni in botte, conserva una certa freschezza e vinosità. Eppure riesce a essere molto armonico ed elegante, grazie a note marcate di sottobosco e bacche mature. Il Merlot, vitigno predominante, utilizzato nel blend con il Cabernet Sauvignon, conferisce all’olfatto il giusto spunto vegetale e speziato. Al palato, il Rosso Riserva Colli Euganei Doc Vignalta 2010 conferma le attese: buona struttura, vino avvolgente caldo. Il terreno si fa sentire prepotentemente: il suolo vulcanico dà la giusta mineralità, la botte lo rende rotondo, ma comunque conserva una certa ripetibilità nella bevuta. Un rosso importante, anche nell’alcolicità (14%) che tuttavia non stanca, né risulta pesante. La tannicità ben si lega comunque a una freschezza inaspettata e sorprendente per un vino Riserva. I ritorni di confettura di frutta e peperone verde, oltre alla buona persistenza, sono i tratti distintivi del quadro retro olfattivo. Un rosso che può addentrarsi sicuramente in un medio lungo invecchiamento. Questo importante rosso veneto si abbina a portate di carne, sia bianche sia rosse, servito a una temperatura ideale di 18 gradi.
LA VINIFICAZIONE
L’area di produzione del Rosso Riserva 2010 Vignalta è quella dei Colli Euganei, tra Arquà Petrarca, Baone, Cinto Euganeo e Teolo. Prende vita da vigneti di età media compresa tra i 13 e i 21 anni, con esposizione Sud Sud-Ovest. Il suolo è ricco di calcare e argilla calcarea, con sabbia di lava disgregata. La tecnica d’impianto è quella del cordone speronato e Sylvaz, con una densità di 2000-4000 piante e una resa di 70 quintali per ettaro. Come anticipato, le varietà che compongono il blend sono il Merlot per il 60% e il Cabernet Sauvignon per il 40%. La vinificazione prevede 14 giorni di fermentazione e macerazione in serbatoi d’acciaio con lieviti selezionati. Vengono dunque effettuati quattro rimontaggi al giorno, mentre la temperatura non si discosta dai 27 gradi. L’affinamento del Rosso Colli Euganei Vignalta ha luogo in botte di rovere (Allier e Slavonia) da 500 litri, per 24 mesi. Terminato questo periodo, il vino non subisce alcuna stabilizzazione. La filtrazione grossolana e gli ulteriori 6 mesi di affinamento in bottiglia, anticipano la commercializzazione. Ogni anno, ne vengono prodotte in media 100 mila bottiglie da 750 ml, ma la cantina produttrice lo rende disponibile anche nei formati da 0.375 e da 1.5 litri.
Acquistato presso: Alìper Ipermercati
Prezzo: 12.90 euro
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(4 / 5) A proposito di vini dall’ottimo rapporto qualità prezzo al supermercato, ecco il Sauvignon Sudtirol Alto Adige Doc Kossler, linea gdo della Cantina Produttori San Paolo di Appiano Gentile, Bolzano.
LA DEGUSTAZIONE
Di un giallo paglierino scarico, conferma al naso le attese di un vino molto profumato. Si va dalle note floreali di fiori di sambuco a quelle fruttate esotiche: ananas, melone, mango.Note che ritroviamo anche al palato, dove il Sauvignon Kossler, vendemmia 2014, stupisce per l’ottima sapidità. Le note minerali conferiscono ulteriore freschezza alla beva. L’alcolicità calda non infastidisce.
E i sorsi si rincorrono, intercalati da una persistenza più che sufficiente. Fondamentale il servizio di questo vino a una temperatura tra gli 8 e i 10 gradi. L’abbinamento per antonomasia è quello con gli asparagi. Ma il Sauvignon Sudtirol Alto Adige Doc Kossler si abbina in generale alle verdure cotte e grigliate, oltre al pesce e ai formaggi. Matura, dal punto di vista dell’evoluzione, la vendemmia 2014.
LA VINIFICAZIONE
Il nobile Sauvignon, allevato in molti angoli del pianeta, si esprime benissimo in Alto Adige, grazie alle caratteristiche del terreno. In particolare, i vigneti Kossler – Cantina Produttori San Paolo di Appiano affondano le radici in terre ricche di calcare e ciottoli, nei comuni di Missiano e San Paolo. Ci troviamo a un’altezza variabile tra i 450 e i 550 metri sul livello del mare, dove il Sauvignon viene allevato a Guyot. La vinificazione prevede una fermentazione a temperatura controllata in vasche di acciaio inox e un affinamento per 5-7 mesi sui lieviti fini, senza fermentazione malolattica. Kossler ha origine nel 1631 e dal 2005 è stata integrata nella struttura della cantina di San Paolo di Appiano, operando sotto forma di società agricola cooperativa.
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Il Conte della Vipera, blend composto all’80% da Sauvignon Blanc e al 20% da Sémillon, è uno dei vini bianchi che la nota casa vitivinicola toscana Antinori “regala” agli scaffali della grande distribuzione organizzata. Una presenza che, di per sé, dà lustro all’intero segmento. Siamo di fronte a un Umbria Igt, vendemmia 2012. Il vino, prodotto a partire dal 1997, prende il nome dai primi proprietari del Castello della Sala, la famiglia Monaldeschi della Vipera. E l’etichetta riporta un disegno della Cappella di San Giovanni, del XV secolo, situata all’interno delle tenute. Nel calice, Conte della Vipera 2012 Antinori si presenta di un giallo paglierino con riflessi dorati. Anche al naso conferma l’evoluzione avvenuta in bottiglia nel corso degli anni, rispetto alle caratteristiche di freschezza iniziale: note leggere di sambuco, bosso, mandorla e agrumi che si ripresentano anche al palato, in un finale mediamente persistente che ricorda il pompelmo. Al palato risulta morbido e rotondo, in un crescendo di sapidità che accompagna verso le note agrumate finali. Difficile prevedere un ulteriore miglioramento in bottiglia per un prodotto che, ottenuto dalla vendemmia 2012, risulta più che mai apprezzabile, ma ormai maturo. L’abbinamento consigliato è quello con gli antipasti e i piatti di pesce, oltre alla pasta al pesto e alle preparazioni a base di verdure, in particolare gli asparagi.
LA VINIFICAZIONE
I vigneti destinati al Conte della Vipera sono situati a un’altezza che varia dai 250 ai 350 metri sul livello del mare, in suoli ricchi di sedimenti fossili marini con infiltrazioni di argilla che conferiscono mineralità e sapidità all’uva. Nel 2012, annata connotata da un inverno freddo e privo di piogge e un’estate calda e secca, il Sauvignon Blanc è stato vendemmiato al momento del perfetto equilibrio tra concentrazione zuccherina e massima espressione dei profumi varietali dell’uva. I grappoli, raccolti manualmente, sono stati immediatamente trasferiti in cantina e raffreddati attraverso il passaggio in un convogliatore refrigerato che ne ha abbassato la temperatura. Le uve sono state poi pressate in maniera soffice, in modo da mantenere inalterate le caratteristiche varietali. Il mosto è stato mantenuto per alcune ore ad una temperatura di 10 gradi, consentendo l’illimpidimento naturale. E’ seguito il travaso in serbatoi di acciaio inox a temperatura controllata, dove si è svolta la fermentazione alcolica a una temperatura non superiore ai 16 gradi. Completata questa operazione, il vino è stato conservato ad una temperatura di circa 10 gradi per impedire lo svolgimento della fermentazione malolattica e conservare inalterate le caratteristiche organolettiche. Il Sauvignon Blanc è stato poi assemblato con il Sémillon per accentuarne la sapidità e conferirgli rotondità. E anche per il Sémillon, Antinori ha proceduto alla classica vinificazione in bianco. Appena dopo la raccolta, verso la seconda metà di settembre, le uve sono state diraspate e immediatamente pigiate in maniera soffice. Dopo l’illimpidimento statico, il mosto limpido è stato spillato e inoculato con lieviti selezionati. Dando così inizio a una lenta fermentazione a 16 gradi, per preservare la componente aromatica. Terminata la fermentazione alcolica, il vino è stato travasato con una modesta quantità di lieviti ancora in sospensione. Dopo una serie di travasi, ecco il taglio con il Sauvignon.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Proseguono le scommesse del winemaker d’eccellenza della cantina San Michele Appiano, Hans Terzer. Dopo la creazione nel corso del 2014 di De Piano Alto Adige Merlot Cabernet 2011, nel 2015 di Appius 2010 proveniente da vigneti storici, e di Appius 2011 che sarà presentato al 50° Vinitaly di quest’anno, Terzer è pronto alla creazione di una nuova cuvèe Merlot-Cabernet 2013. Il blend in stile bordolese sarà presentato entro la fine di quest’anno. Intanto Terzer fa il punto sull’annata 2015, con tanto sole e caldo, che ha regalato alla cantina San Michele-Appiano vini rossi di grande struttura, dal colore intenso e profumo spiccato. Anche i vini bianchi come Schulthauser, Pinot Grigio e Sauvignon Sanct Valentin ne hanno giovato in profumo e struttura. “Le temperature alte che hanno caratterizzato tutto l’anno fino alla vendemmia – spiega Terzer – ci hanno regalato uve sane e molto mature, pronte per la produzione di vini bianchi e rossi importanti. Sono convinto che i vini della cantina San Michele-Appiano miglioreranno ulteriormente. Abbiamo tanti vigneti ancora giovani che, man mano che invecchieranno, ci regaleranno grande qualità”.
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(5 / 5) Novità sugli scaffali del Penny Market, ben tre etichette dell’azienda agricola Castello di Corbara di Orvieto in Umbria. Il posizionamento prezzo non è proprio da discount, anche se il Penny Market si definisce da sempre discount di qualità.
Con l’entusiasmo che contraddistingue la nostra “mission”, “bere bene al supermercato”, scegliamo un bianco ed andiamo virtualmente in provincia di Terni, con l’Orzalume Grechetto Sauvignon Igt prodotto dall’azienda agricola Castello di Corbara di Orvieto. Si tratta di un vino fermo, gradazione 13%, vendemmia 2013.
LA DEGUSTAZIONE
Il vino Orzalume Igt Castello di Corbara si presenta nel calice di colore giallo paglierino, leggermente tendente al dorato. Quello che stupisce da subito è il bouquet, davvero intrigante ed aromatico: frutta matura a polpa gialla, pera, albicocca, banana, vaniglia e note minerali. Complesso ed intenso.
Il vino Orzalume Igt del Castello di Corbara è gradevole. Lo troviamo solo un po’ debole di corpo, nonostante la sua gradazione. Il finale è piacevole, leggermente sapido, l’acidità un po’ mitigata dal passaggio in legno, sufficientemente equilibrato. Si abbina a piatti della cucina asiatica, speziata, carni bianche e formaggi poco stagionati.
LA VINIFICAZIONE Orzalume Igt dell’azienda agricola Castello di Corbara è un blend di uve Grechetto e Sauvignon. Il Grechetto è un vitigno autoctono molto diffuso nell’Italia centrale, soprattutto in Umbria. Normalmente dà vita a vini di moderata acidità.
Il Sauvignon, spesso utilizzato per tagli, ha la struttura per garantire nel tempo bouquet intensi e complessi. Insomma, un matrimonio particolare tra i due uvaggi. Per Orzalume Igt, la vendemmia viene fatta a mano tra metà e fine settembre. Viene affinato 5 mesi in barrique e altri 4 mesi in bottiglia prima di essere commercializzato.
LA CANTINA
Simbolo della casa vinicola che lo produce è il Castello di Corbara (premiata “Miglior cantina 2017” da vinialsuper), cantina che ha come simbolo un edificio storico che risale al 1200. Dal 1997 è di proprietà di un gruppo imprenditoriale che si è posto come obiettivo il rilancio del brand e del territorio, con particolare attenzione alla valorizzazione dei vitigni autoctoni, come il Grechetto.
La cantina, di elevata tecnologia, è stata progettata nel 2002 al centro di un’azienda che conta 100 ettari vitati, per garantire che le uve, raccolte a mano, vengano conferite in meno di trenta minuti. L’azienda agricola Castello di Corbara sarà presente al prossimo ProWein di Dusseldorf e al Vinitaly 2016.
Molto attenta ai mercati esteri, curiosamente il loro sito parla solo inglese, con la possibilità di scaricare due presentazioni pdf solo in cinese e russo. In italiano solo le indicazioni stradali. Quindi, se volete approfondire la storia dell’azienda agricola Castello di Corbara, la domanda che dovrete porvi è la seguente: “Do you speak english?”.
Prezzo pieno: 6,99 euro
Acquistato presso: Penny Market
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
(3,5 / 5) E’ prodotto da uno dei colossi italiani della viticoltura, anche se in etichetta non compare direttamente. Il Cabernet Sauvignon Friuli Doc Aquileia della Tenuta Ca’ Vescovo è da annoverare tra i vini in vendita al supermercato prodotti da Zonin 1821, storica casa di viticoltori che opera in base al principio “ad ogni regione la sua tradizione, ad ogni regione il suo vino”, ispirato sin dagli anni Sessanta dall’attuale presidente Gianni Zonin. Il Cabernet Sauvignon in questione è di fatto il riflesso vinicolo della parte occidentale della città di Aquileia, in provincia di Udine, dove la Tenuta Ca’ Vescovo opera dal 1420, dapprima come proprietà dei Patriarchi, per poi passare ai Dogi di Venezia. Fino all’acquisizione da parte di Zonin. Passiamo dunque all’analisi organolettica. Vendemmiato nel 2014, il Cabernet Sauvignon Friuli Doc Aquileia Ca’ Vescovo si presenta nel calice di un rosso rubino carico, con unghia tendente al viola. Scorrevole, intenso. Al naso schietto, fine e sottile, regala note di frutti di bosco con predominanza della bacca rossa, che lasciano spazio a un finale piacevolmente sapido. Vino di corpo, caldo, rotondo, questo Cabernet Sauvignon è giustamente tannico ed equilibrato. Sensazioni retro olfattive intense, qualità mediamente fine, persistenza sufficiente. Un vino da abbinare a piatti non troppo elaborati a base di carne (in arrosto o alla griglia), da annoverare tra i prodotti perfetti per chi cerca qualcosa di più di un semplice vino da tavola, al giusto prezzo. Il Cabernet Sauvignon Friuli Doc Aquileia della Tenuta Ca’ Vescovo è ottenuto in purezza, dal frutto delle vigne situate a Cervignano del Friuli. Le uve vengono vinificate all’interno di tradizionali vasche orizzontali, nelle quali ha luogo una fermentazione sulle bucce della durata di 7-10 giorni. A fermentazione malolattica conclusa, ovvero quando l’acido malico (duro e aspro) si trasforma in acido lattico, il vino affina per 6 mesi in botti di rovere di Slavonia, guadagnando in armonia e complessità.
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(5 / 5)Tre anni di sperimentazioni. E poi eccolo qui il Langhe Doc Bianco Divin Natura dell’azienda agricola Teo Costa, selezione Giobbe: il primo vino ottenuto senza aggiunta di anidride solforosa, dunque senza solfiti aggiunti. Si tratta di un blend composto per l’80% da Sauvignon blanc, cui viene aggiunto un 20% di Roero Arneis. Il risultato è un vino beverino, fresco, ma tutt’altro che banale. Grande carica all’olfatto. E piena soddisfazione per il palato. Sono lontani, insomma, i tempi in cui i vini biologici, compresi quelli presenti sugli scaffali dei supermercati italiani, potevano essere considerati meno soddisfacenti di quelli “tradizionali”. Nel calice, Langhe Doc Bianco Divin Natura di Teo Costa si veste d’un giallo paglierino scarico, con riflessi verdognoli. Al naso arriva complesso, carico di aromi intensi e variegati. Si passa dalla salvia alla noce moscata, poi all’albicocca sciroppata, alla mela e allo zenzero, con richiami floreali di geranio e gelsomino. In bocca entra con carattere, per una lieve predominanza di note che paiono speziate e che ricordano nuovamente il ginger. Per poi scivolare armonioso, verso un finale sufficientemente persistente, che fa pensare alle erbe aromatiche: ecco di nuovo la salvia e il rinfrescante rosmarino. Vino di buon corpo, quasi da mordere più che da assaporare. Rotondo, secco, con acidità e sapidità perfettamente bilanciate, ben equilibrato.
Decisamente pronto con l’annata 2014, che registra una percentuale alcolica di 12,5. Il Langhe Doc Bianco Divin Natura Teo Costa è vino a tutto pasto, accostabile anche col pesce o con le carni bianche, o utilizzabile anche solo come aperitivo. I vigneti in cui viene prodotto sono situati nel Comune di Castellinaldo d’Alba, località Gallarini, in provincia di Cuneo, dove opera l’azienda agricola piemontese. Il terreno è di tipo sabbioso, con marne bianche, vene di argilla es esposizione a Sud-Ovest. La raccolta delle uve avviene a freddo, riponendo gli acini migliori a contatto col ghiaccio secco. La vinificazione è il vero segreto di questo Langhe Bianco, basata sul metodo brevettato Teo Costa: criomacerazione contemporanea di Sauvignon e Arneis in ambiente privo di ossigeno, sfruttando l’anidride carbonica prodotta naturalmente durante la fermentazione. Prima della commercializzazione, sono previsti tre mesi di ulteriore affinamento in bottiglia.
Prezzo pieno: 8,10 euro
Acquistato presso: Esselunga / Carrefour
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(4 / 5) Non me ne vogliano i puristi. Ma l’annata 2013, in quei di Frescobaldi, regala più soddisfazioni con Rèmole piuttosto che col più rinomato Campone – Rosso di Montalcino. Parere del tutto personale, che si fonda soprattutto sul rapporto in termini di prezzo tra i due prodotti, attorno al 40 per cento.
Rèmole 2013 è una poesia. Un vino che si apre, fruttato (more e lamponi) e morbido, così come lo descrive sul proprio sito la stessa Frescobaldi, ma che lascia il segno definitivo con la propria unica intensità. Caratteristiche che si mescolano alla perfezione, in un concerto armonioso, delicato e indimenticabile. Perfetto l’abbinamento con carni rosse, che ne esaltano il retrogusto speziato (pepe e anice su tutte).
Ma Remole (mix di Sangiovese con un 15% di Cabernet Sauvignon) inizia a conquistare già nel calice, col suo rosso intenso, porpora. Che ne fa presagire l’eleganza e la persistenza.
Come “elegante”, del resto, è la zona stessa di produzione: quella Villa di Remole che da 700 anni è la culla delle tradizioni vinicola di Frescobaldi, nel cuore pulsante della splendida Toscana.
Prezzo: 5,60 euro Acquistato presso:Il Gigante, Assago Milanofiori (MI)
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