(4 / 5) Un perfetto incontro tra “vicini di casa” quello tra il Montepulciano e il Sangiovese, protagonisti del blend del Rosso Piceno Superiore Doc Brecciarolo di Velenosi, annata 2014.
La Doc che a breve festeggerà i 50 anni dal riconoscimento, nella versione Superiore si produce solo in una ristretta area identificata ad alta vocazione vinicola, zona di straordinaria bellezza paesaggistica.
LA DEGUSTAZIONE
Rosso rubino leggermente tendente al granato, il Rosso Piceno Superiore Doc 2014 Brecciarolo di Velenosi si presenta ampio e intenso avvicinando il naso al bicchiere.
Il Montepulciano si esprime nettamente con la marasca e la liquirizia, così come si fa vivo il Sangiovese con intense nuances di ciliegia e prugna, ma anche con i tipici profumi di violetta. I sentori terziari sono altrettanto importanti e così, tra la speziatura di vaniglia (prevalente) si fanno strada anche cannella e pizzichi di noce moscata.
Una ricchezza olfattiva che si rispecchia al palato una volta degustato: il sorso è pieno, caldo, impegnativo, ma carezzevole. L’acidità ben si sposa alle morbidezze e la trama tannica è addolcita dal passaggio in legno, binomio che rende il Brecciarolo equilbrato ed elegante.
LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve Montepulciano per il 70% e con Sangiovese per il restante 30%. I vitigni sono dislocati tra i comuni di Offida e Ascoli Piceno, ad un’altezza di 200-300 mt s.l.m. su terreni prevalentemente argillosi e tendenzialmente calcarei. Il sistema di allevamento adottato è il Guyot con densità di impanto di 5.000 ceppi per ettaro, rese per ettaro di 110 q.li di uva circa.
La vendemmia è effettuata a mano, la mattina presto o nel tardo pomeriggio di metà ottobre. Realizzata attraverso piccole cassette riposte, prima di arrivare in cantina, in celle frigorifere. Dopo la diraspatura, le uve vengono convogliate in fermentini in acciaio da 200 Hl, muniti di un sistema per rimontaggi con controllo della temperatura. La macerazione sulle bucce dura circa venti giorni.
Dopo la fermentazione, il vino viene messo in barriques di secondo passaggio, dove l’anno precedente sono stati i vini destinati alla produzione del Roggio (Rosso Piceno Superiore) e Ludi (Offida Docg prodotto con Montepulciano 85 %, Cabernet Souvignon / Merlot 15%).
Velenosi Vini è una delle cantine più famose ed affermate della regione Marche, Nata nel 1984 due anni prima della prima vendemmia imbottigliata del Rosso Piceno Superiore Doc Brecciarolo (1986). Attualmente tra vigneti di proprietà ed in affitto dispone di circa duecento ettari.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
(4,5 / 5) Il Chianti Docg 2015 dell’Azienda Agricola Piandaccoli entra di diritto tra i portabandiera della Toscana al supermercato.
Sempre più difficile trovare “toscani” di qualità, senza spendere una fortuna. Questo rosso si inserisce nel solco. Coniugando qualità e prezzo in maniera esemplare.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Chianti Docg 2015 di Piandaccoli si presenta di un rosso rubino poco trasparente. Un colore che ne sintetizza l’essenza profonda, fatta di un’eleganza tutt’altro che ostentata. Anzi, da scoprire pian piano: come quella delle donne che non amano concedersi al primo “sorso”.
Al naso, le prime olfazioni rimandano dritto al Sangiovese e alle sue note, tipiche, di viola mammola. Poi prendono la scena i frutti di bosco, su un sottofondo a metà tra il vinoso e la soluzione salina: amarena, more, mirtilli, ciliegie.
Timidi quelli che potrebbero sembrare i “terziari” (ma questo Chianti non fa legno), coperti dalla frutta: una spruzzata di zafferano, leggera, e una nuvola di fumo dolce, quando il nettare si è ormai ben ossigenato nel calice. Assieme a richiami di macchia mediterranea, che ricordano l’alloro.
Nel frattempo lo hai già assaggiato, almeno un paio di volte. Ingresso nuovamente a metà tra il fruttato e il minerale “salato” per il Chianti 2015 di Piandaccoli. Bella pienezza offerta dalle note di frutti di bosco, a braccetto con la percezione alcolica (13%). La sensazione è quella della frutta sotto spirito. Eterea, anche se si tratta di un vino – tutto sommato – giovane.
Il tannino è morbido, ben arrotondato e levigato. Mostra ancora qualche riflesso adolescenziale in chiusura, in un retro olfattivo sufficientemente persistente, dominato dalla frutta.
Un Chianti, il Piandaccoli 2015, criticabile solo per la mancanza di una spalla acida degna del resto dei descrittori. Un vino, dunque, pensato per un consumo precoce, piuttosto che per l’affinamento. Ad oggi, il perfetto accompagnamento per piatti a base di carne rossa, nonché di primi al ragù.
LA VINIFICAZIONE
Il Sangiovese coltivato nelle tenute Piandaccoli si caratterizzano per grappoli di grandezza media-grossa con una o due ali, acini sub rotondi, quasi ellissoidali, e buccia pruinosa e sottile, dal peso medio di 300 grammi.
La vendemmia avviene manualmente, sulla base di un’accurata scelta dei grappoli. L’obiettivo è quello di portare in cantina “solo frutti perfettamente sani e maturi”. Le uve raccolte vengono poste in cassette da 13-14 kg ciascuna, per evitare l’avvio di indesiderate fermentazioni. Le caste vengono poi collocate in un camion frigo.
Un accorgimento necessario, dal momento che la cantina è distante circa 20 chilometri dalle vigne Piandaccoli. Una volta giunti nella struttura, i grappoli vengono sottoposti a un’ulteriore scrupolosa diraspatura, durante la quale vengono eliminati eventuali acini difettati.
La cantina in cui avviene la vinificazione è dotata delle più avanzante tecnologie. Il Chianti Docg di Piandaccoli matura generalmente in solo acciaio per 12 mesi, a cui fa seguito un affinamento in bottiglia di 3-4 mesi.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
E’ già possibile fare una stima dei cali produttivi nei 12 comuni della DOC Orcia, nonostante la vendemmia ancora in corso. Caldo e siccità hanno colpito in particolare la zona di Sarteano, ma anche i territori di Trequanda e Buonconvento. Al tempo inclemente si sono sommati, da giugno, attacchi di cinghiali e caprioli che hanno preso di mira le vigne per cibarsi e dissetarsi con l’uva acerba. Un mix di fattori che ha fatto salire all’80% la percentuale delle perdite talvolta uguali o superiori a quella provocati dalla scarsità di piogge. Nell’Orcia infatti, le prime stime sono molto distanti dalla media regionale diffusa a inizio settembre da Ismea e Uiv (32,5% di calo produttivo).
Il BILANCIO DEL CONSORZIO
Uno scacco ”fatale” per il territorio, parzialmente iscritto nel Patrimonio dell’Umanità Unesco per l’integrità dei suoi centri d’arte e del suo paesaggio agricolo, deturpato ora in una langa brulla. Un territorio vasto che comprende i comuni di Buonconvento, Castiglione d’Orcia, Pienza, Radicofani, San Quirico d’Orcia, Trequanda e parte di Abbadia San Salvatore, Chianciano Terme, Montalcino, San Casciano dei Bagni, Sarteano e Torrita di Siena.
”In questa particolare annata l’assenza di piogge e i terreni sabbiosi, presenti in alcune aree della denominazione, hanno trasformato il bellissimo paesaggio in una zona arida con boschi di querce seccati dal sole. Inoltre, come è ben noto, in Toscana la selvaggina di grandi dimensioni è 4 volte superiore alla media nazionale ed è concentrata nella Provincia di Siena dove, per anni, il contenimento degli ungulati è stato particolarmente carente” ha affermato Donatella Cinelli Colombini, Presidente del Consorzio del vino Orcia.
IL FUTURO (SEMPLICE) DEL VINO ”PIU’ BELLO” DEL MONDO
La qualità dell’uva (poca) rimasta in certi vigneti è comunque ottima con grappoli sani e gradazione più elevata dal 2012. La concentrazione di estratti negli acini dal calibro inferiore alla norma è ottima. ”Buone notizie” anche dagli studi condotti dai due enologhi Attilio Scienza e Donato Lanati che rilevano miglior predisposizione all’adattamento alle mutazioni climatiche globali da parte dei vitigni autoctoni. Il Sangiovese in particolare, a Montalcino e in Val d’Orcia reagisce bene. Anche il Foglia Tonda (secondo il Consorzio), vitigno autoctono riscoperto e valorizzato dal 2000 per la produzione di alcuni vini Orcia si sta mostrando vigoroso.
L’ORCIA DOC
La denominazione Orcia, nata il 14 febbraio 2000 e prodotta in circa 60 cantine, nella maggior parte dei casi molto piccole si basa sul Sangiovese e comprende la tipologia Orcia ottenuto da uve rosse con almeno il 60% di Sangiovese e la tipologia “Orcia Sangiovese” con almeno il 90% di questo vitigno unito in blend a vitigni autoctoni. I vini rossi hanno anche la versione “Riserva”, ma la denominazione comprende anche le tipologie Bianco, Rosato e Vin Santo.
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(3,5 / 5) Tre parole: colline fertili, lavoro e passione. Da qui nascono i vini di Umberto Cesari, una sfida iniziata negli anni Sessanta con venti ettari di vigneto nei terreni collinari al confine tra l’Emilia e la Romagna.
Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper finisce oggi il Sangiovese Doc di Cesari, vendemmia 2014, in vendita nei supermercati Interspar.
LA DEGUSTAZIONE Il vino si presenta limpido, color rubino vivace, consistente nel calice. Al naso si percepisce intenso e piuttosto complesso, bouquet fruttato e floreale con frutti maturi di ciliegia e frutti di bosco e fiori come la violetta, sentori di marmellata e marasca e spezie tostate come tabacco e caffè.
In bocca, il Sangiovese Iove di Umberto Cesari è caldo, morbido, pieno ed elegante, abbastanza fresco, leggermente tannico. Di corpo, risulta avvolgente e armonico nel complesso. Piuttosto duttile nell’abbinamento, è particolarmente consigliato con piatti saporiti di carne e selvaggina, ma anche con formaggi stagionati, salumi o primi piatti di pasta ripiena.
LA VINIFICAZIONE
Il vino è classificato come Romagna Doc Sangiovese, ottenuto da uve 100% Sangiovese, con titolo alcolometrico di 12,5%. L’affinamento avviene in vasche di acciaio per 3 mesi.
Le uve usate per produrre Iove Sangiovese Doc vengono raccolte interamente nel podere Parolino, che copre due versanti di una stessa collina, con un’esposizione ottimale tutto l’anno. Nel Podere Parolino si coltivano anche Merlot, Trebbiano e Sauvignon Blanc.
La grande ricchezza dell’azienda sono di fatto 6 poderi (Ca’ Grande, Liano, Laurento, Tauleto, Casetta e Parolino). La Umberto Cesari consta di 175 ettari di vigneti, una cantina di 18 mila metri quadrati, nonché una sede aziendale che accoglie il wine shop e la sala degustazione.
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(3,5 / 5) Un vino a due marce, da aspettare nel calice per comprenderlo fino in fondo. E’ lo Squinzano Dop Rosso Riserva “Corte Aurelio”, marchio Lidl. Una Denominazione raramente riscontrabile sugli scaffali dei supermercati, fuori dai confini della Puglia. Coraggiosa la catena tedesca della grande distribuzione a proporlo nei propri store, al prezzo (sconcertante, per certi versi) di 2,99 euro.
Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper, la vendemmia 2013. Nel calice, lo Squinzano Dop Rosso Riserva Corte Aurelio si presenta di un colore rosso rubino impenetrabile. Una bella tinta, tipica dell’uvaggio Negroamaro. La prima impressione all’olfatto non è invece delle migliori. Si limita, di fatto, al calore dell’alcolicità: la percezione, monocorde e poco definita, è quella dei frutti rossi sotto spirito. Troppo presto, però, per catalogare lo Squinzano di Lidl tra i vini al supermercato meno lodevoli.
Pian piano, di fatto, l’ossigenazione fa il suo lavoro sul nettare. Ecco che le note fruttate cominciano a prendere forme note: domina la scena la ciliegia, accanto a ribes, lamponi e more selvatiche. Netto lo spunto vegetale tipico della macchia mediterranea: salvia, rosmarino, ginepro. Poi, zafferano e pepe nero a folate.
In bocca la complessità non è certo pari a quella espressa al naso. Lo Squinzano Dop Rosso Riserva Corte Aurelio di Lidl si conferma vino di alcolicità sostenuta. Nonostante ciò, un nettare connotato da una grande semplicità di beva.
Alle note fruttate di ciliegia e lampone risponde un tannino vivo ma tutt’altro che “verde”, cui fa eco una bilanciata sapidità. Sufficiente la persistenza. In cucina, ottimo l’abbinamento di questo Squinzano Dop con le carni rosse in generale, con predilezione per le lunghe preparazioni e la selvaggina. Ottimo con primi a base di ricchi ragù di carne.
LA VINIFICAZIONE
Come spesso accade da Lidl, quasi impossibile risalire alla cantina produttrice e all’esatta tecnica di vinificazione. Sull’etichetta, di fatto, è indicato solo l’imbottigliatore: la solita V.E.B. di Bardolino, ovvero Enoitalia.
Di certo la Doc Squinzano, come da disciplinare, racchiude i vini prodotti nell’omonimo Comune della provincia di Lecce, oltre a quelli ottenuti per almeno il 70% dai vigneti di Negroamaro nei comuni di Novoli, San Pietro Vernotico e Torchiarolo e, solo in parte, nei Comuni di Campi Salentina, Cellino San Marco, Lecce, Surbo e Trepuzzi. Tutte realtà della provincia di Lecce e Brindisi.
Possono concorrere al blend la Malvasia nera e altri vitigni a bacca rossa coltivati nella zona. In generale, la predilezione è per il Sangiovese (massimo 15%). Lo Squinzano “Riserva” deve affinare per almeno due anni in cantina, di cui almeno 6 mesi in botti di legno. Da qui la complessità di un calice a due marce, come quello di Corte Aurelio.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Anche Golia ha un cuore. E batte slow. Very slow. Il gigante romagnolo del Tavernello, lo stesso capace di imbottigliare 2 milioni di ettolitri di vino l’anno, si avvale di due enologi attivisti di Slow Food e Slow Wine.
Il gigante in questione di nome fa Caviro, leader indiscusso del mercato nazionale del vino al supermercato. Tra i primi dieci al mondo per fatturato, con 304 milioni di euro. Nulla a che vedere con la Chiocciola di Carlo Petrini? Solo in apparenza. Pietro Cassani e Giacomo Mazzavillani (nella foto, sotto), rispettivamente responsabile del laboratorio enologico e del processo di lavorazione vino alla Caviro di Forlì, sono lì a dimostrare il contrario.
Il volto meno conosciuto della più grande cooperativa agricola italiana. Un impero fondato sui numeri, ma anche sulla qualità. “La costanza nella riconoscibilità dei nostri prodotti sul mercato – spiega Giordano Zinzani, responsabile Normative e Tecniche Enologiche di Caviro – è per noi il primo sinonimo di qualità, che riusciamo a garantire grazie al confronto trentennale con i nostri conferitori di uve e al lavoro dei nostri enologi. Un aspetto che ci viene riconosciuto da 7 milioni e 200 mila famiglie consumatrici in Italia”.
“I nostri standard qualitativi – precisa Zinzani – sono dettati da frequenti panel di assaggio dei prodotti dei nostri competitor internazionali. A livello operativo, invece, stimoliamo le 34 cantine conferitrici, situate da nord a sud del Paese, con un sistema di liquidazione che invogli a fare sempre meglio in vigna, di vendemmia in vendemmia”.
Tredicimila i viticoltori che fanno parte della famiglia Caviro, in sette regioni d’Italia. Trentasette mila gli ettari di vigneti lavorati, in totale. Tradotto: la cooperativa romagnola produce, da sola, l’11% dell’uva italiana. E’ grazie a questa grande disponibilità che i blend Tavernello riescono ad essere sempre uguali negli anni. “Riconoscibili dal consumatore”, per dirla con Zinzani.
Un puzzle, anzi la sintesi, “del meglio della produzione annuale dei vigneti dei conferitori”, assemblati da uno staff di 6 enologi (cinque di stanza a Forlì, uno a Savignano sul Panaro, nei pressi di Modena), tre analisti di laboratorio e quattro impiegati all’Assicurazione qualità.
“Il numero degli enologi, in realtà – spiega Giordano Zinzani – si aggira sulla cinquantina. I primi controlli vengono effettuati dalle nostre cantine associate, in loco. Le uve arrivano a Caviro già vinificate, secondo i rigidi parametri dettati ai viticoltori. Solo in questa fase, si assiste all’intervento diretto del nostro personale, che degusta e testa i campioni e li assembla, dopo aver identificato il blend più consono alle esigenze del mercato di riferimento, che sia italiano o estero”.
Altra faccia della medaglia, la produzione di vini a Indicazione geografica tipica (Igt) e a Denominazione di origine controllata (Doc), “in cui – commenta Zinzani – puntiamo a garantire, valorizzare e conservare la tipicità dei singoli territori”.
LE UVE CAVIRO: IL SISTEMA DI LIQUIDAZIONE
Dal Friuli Venezia Giulia arrivano principalmente Merlot, Cabernet, Refosco, Pinot Grigio, Glera, Chardonnay e Sauvignon (una cantina associata, 1790 ettari). Dall’Emilia Romagna Sangiovese, Lambrusco (principalmente Sorbara), Merlot, Ancellotta, Trebbiano, Chardonnay, Albana e Grechetto Gentile (14 cantine, 19.002 ettari). Dalla Toscana giungono Sangiovese, Brunello, Merlot, Trebbiano e Vermentino (2 cantine, 1.090 ettari).
Dall’Abruzzo Montepulciano, Trebbiano, Pecorino e Chardonnay (9 cantine, 8.218 ettari). Dalla Puglia Primitivo, Negroamaro, Malvasia Nera, Nero di Troia, Chardonnay, Bombino e Verdeca (3 cantine in Salento, 922 ettari). Dalla Sicilia, infine, Nero d’Avola, Syrah, Grillo, Catarratto, Inzolia e Grecanico (6366 ettari, una cantina: la Petrosino di Trapani, seconda per dimensioni in Italia solo a Settesoli).
Uve che hanno un prezzo. Di fatto, è sul terreno della liquidazione dei conferitori che si gioca una delle partite più importanti per Caviro. “Di anno in anno, verso dicembre – spiega Giordano Zinzani – la cooperativa stabilisce un budget per i vini. Viene stabilito un minimo garantito, che viene corretto in base alla conformità agli standard richiesti”.
Le sorti dei viticoltori è delle cantine associate a Caviro sono nelle mani di uno staff di enologi che si riunisce una volta alla settimana, a Forlì. “Tutte le singole partite – evidenzia Zinzani (nella foto) – sono valutate in funzione della qualità specifica di quel campione. Ogni ritiro viene catalogato e degustato da una commissione composta dagli enologi Caviro e da quelli delle stesse cantine associate. Degustazioni che, ovviamente, avvengono alla cieca, sulla base di schede di valutazione Assoenologi, con punteggio in centesimi. Questo punteggio, assieme alla rispondenza dei caratteri analitici, contribuisce alla modifica del prezzo base garantito ai soci”.
Raffaele Drei, presidente della Cooperativa Agrintesa, non ha dubbi. “Oggi Agrintesa è il socio più grande della compagine sociale Caviro e tramite il Consorzio colloca direttamente al consumatore una quota importante del proprio vino. Siamo fortemente impegnati e interessati alla crescita sia come quota di mercato che come modello di filiera vitivinicola integrata”.
“I fattori di successo per i soci Caviro sono stati ben delineati dai direttori delle Cantine intervenuti all’ultimo incontro con la base sociale: Cristian Moretti, direttore generale Agrintesa, Roberto Monti, direttore della Cantina Sociale Forlì e Predappio, Fabio Castellari, direttore della Cantina Sociale Faenza. Tutti hanno sottolineato, come comuni denominatori di crescita e sviluppo, l’avanguardia qualitativa per una buona liquidazione dei soci, l’innovazione e la capacità di differenziare”.
Rispetto alle zone più lontane dalla “base”, ai soci viene riconosciuta una cifra che si aggira attorno ai 35 centesimi al litro. Per i viticoltori dell’Emilia Romagna, si sale sino a 45 centesimi con il Lambrusco. I picchi si toccano con i vini Igt, 60 centesimi al litro, e a Denominazione di origine controllata, valutati in media fino a 1 euro. Cifre che Zinzani snocciola senza timore.
“Fra i principali tratti vincenti – aggiunge Raffaele Drei – sono stati individuati la concentrazione e specializzazione dei centri di vinificazione, la capacità di realizzare velocemente progetti di produzione per vini con caratteristiche diverse e una buona integrazione di pianura e collina. Per i soci di Caviro è di fondamentale importanza poter ragionare in una logica di mercato fatta anche di liquidazioni differenziate su molteplici variabili, come lo stabilimento, l’area di produzione, le giornate di conferimento e l’effettiva qualità. Merito anche di una base sociale caratterizzata da coesione e ricettività, aperta a un ricambio generazionale in grado di garantire uno sguardo sul futuro”.
IL TOUR E che Caviro sia proiettata al futuro, lo si capisce al primo sguardo dello stabilimento di Forlì. Dall’esterno, gli 82 serbatoi del sito produttivo di via Zampeschi 117 offrono bene l’idea delle dimensioni del business della cooperativa, con i loro 340.578 ettolitri di capacità complessiva. All’interno, altri 133 “silos” contenenti vino, per un totale di 126.670 ettolitri. Caviro, per chi non l’avesse capito, è questo, prima di tutto: una delle maggiori cantine italiane, con serbatoi per un totale di 467.248 ettolitri complessivi. E’ qui che staziona il vino prima delle chiarifiche e delle filtrazioni, che anticipano la stabilizzazione.
Centonovantaquattro milioni di litri le vendite a volume del colosso romagnolo nel 2016, suddiviso tra i brand Tavernello, Castellino, Botte Buona, Terre Forti, Romio, VoloRosso, Salvalai, Cantina di Montalcino, Da Vinci, Leonardo, Monna Lisa e Cesari. Export in 70 Paesi. Due le linee per l’imbottigliamento. Quella nuova, inaugurata a settembre dello scorso anno, ha una velocità di 18 mila bottiglie l’ora. La più vecchia risale agli anni ’90 ed è ancora in funzione, anche se in fase di ammodernamento.
In quest’area dello stabilimento, il prodotto finito viene movimentato su pallet da veri e propri robot. “Le chiamiamo navette – precisa l’enologo Pietro Cassani, che guida il tour -. Si muovono autonomamente su percorsi prestabiliti del magazzino di stoccaggio e sono solo uno degli aspetti all’avanguardia del sito produttivo di Forlì”. In uno degli angoli dello stabile, di fatto, sembra aprirsi una porta temporale sul futuro. Roba da farti sentire – almeno per un attimo – un po’ come Donny Darko, alle prese col suo coniglio gigante.
Un magazzino da 10 mila posti pallet completamente robotizzato, col quale alcune catene della Grande distribuzione (o, meglio, i loro Ce.Di, i centri distributivi delle varie insegne) hanno la possibilità di connettersi via web, emettendo ordini che vengono indirizzati direttamente a una delle 14 “ribalte” del magazzino, in base alla destinazione. Ti pizzichi la guancia mentre osservi quel braccio meccanico, senza il minimo controllo umano, andare a pescare proprio quel pallet, lassù.
La voce dell’enologo Cassani, Cicerone per un giorno, ti riporta alla realtà, poco più in là. Davanti alle bobine di Tetra Pak pronte per la sterilizzazione, prima di essere riempite di vino in impianti simili a quelli utili per “inscatolare” latte. Guardi in faccia i dipendenti uno ad uno, credendo che all’improvviso salti fuori Michael J. Fox. Aguzzi le orecchie per sentire qualcosa d’altro (che so? Johnny B. Good, per restare in tema).
Ma il suono, sottile e monotono, è quello della catena di montaggio dei brik di Tavernello. L’unico elemento che, nel suo piccolo, ricorda quella chitarra rosso fiammante. Altro che quattro quarti. Qui si gira al ritmo di 7-8 mila pezzi l’ora, su un totale di 10 linee. Vino in brik pronto per il consumo, “senza pastorizzazione, bensì con filtrazione sterile”, tiene a precisare Cassani. L’enologo del rock’n’roll di Caviro.
Prima di raggiungere i laboratori d’analisi, dove l’intero staff è all’opera sugli ultimi campioni giunti allo stabilimento, ecco l’unica zona inattiva del magazzino: quella per il confezionamento dei “Bag in Box” da 3 e 5 litri, destinati sopratutto al mercato francese. La grandeur. Come formato, s’intende. Biensûr.
IL FENOMENO TAVERNELLO Italiana, italianissima, anzi romagnola (se no si offende), l’inclinazione (linguistica) di Elena Giovannini (nella foto). “L’upgrade qualitativo dei prodotti – commenta la responsabile Marketing Daily di Caviro – è stato uno degli obiettivi perseguiti dalla nostra azienda sin dal 1983, anno in cui abbiamo dato vita al vino in brik. Inizialmente era soltanto Sangiovese o Trebbiano. Poi, chiaramente, i volumi venduti erano talmente elevati che il sourcing non era più sufficiente a coprire la richiesta. I due vitigni sono ancora parte fondamentale dei nostri blend, vino bianco e vino rosso d’Italia”.
Cosa caratterizza questa marca? “Il fatto di garantire uniformità di gusto e una costanza negli anni – replica Giovannini – un grande pregio per i nostri consumatori”. Chi sono? “Il target è ben definito: è chiaro che si parla di quotidianità, ma anche di garanzia di un certo standard qualitativo”. La diversificazione dell’approccio al mercato del vino da parte dei consumatori, anno dopo anno, ha convinto tuttavia Caviro ad allargare la proposta di referenze, riunite sempre sotto lo stesso marchio.
“Nel 2010 lanciamo i frizzanti bianco e rosato – ricorda Elena Giovannini – come naturale prosecuzione della marca generica Tavernello, sempre a base delle nostre cantine sociali socie. Successivamente il lancio dello Chardonnay e, per la prima volta, vini di provenienza siciliana come il Syrah Cabernet: per la prima volta inseriamo vini di provenienza siciliana. Fino ad arrivare alla prima Doc che è il Pignoletto, proveniente dalle colline di Imola. Un vino non molto conosciuto fuori dai confini regionali, che noi abbiamo contribuito a distribuire sul mercato”.
“Facile dunque intendere come sul mercato internazionale il ‘Red blend’ Tavernello giochi un ruolo fondamentale – evidenzia la responsabile Marketing Daily di Caviro – dato che i tanti vitigni italiani non sono semplici da conoscere e da scegliere, per il consumatore straniero. Red blend, dunque, come sintesi della qualità italiana. Ovviamente abbiamo bene in mente qual è il nostro mestiere e il consumatore al quale vogliamo parlare, sia in Italia sia all’estero. E di conseguenza sviluppiamo prodotti adatti a quel tipo di esigenza: quella quotidiana”.
Un’azienda, Caviro, capace di rispondere col Pignoletto al fenomeno Prosecco. Un botta e risposta che lega il vitigno emiliano a quello veneto, anche dal punto di vista dialettico-ampelografico: Glera-Prosecco, Grechetto Gentile-Pignoletto. Inutile precisare che Caviro produca anche il re delle bollicine Charmat, grazie alle rinnovate sinergie con la Viticoltori Friulani La Delizia, in seguito all’inaugurazione della nuova sede di Orcenico Inferiore di Zoppola, il maggiore polo per la spumantizzazione del Friuli Venezia Giulia.
Tra i blend in degustazione segnaliamo, su tutti, il Trebbiano – Pinot Bianco Rubicone Igt 2016. Un mese e mezzo di legno per il Trebbiano, il resto acciaio. Altro vino dall’ottimo rapporto qualità prezzo al supermercato, tra i varietali, il blend tra Sangiovese e Merlot.
GLI ALTRI SEGMENTI DEL BUSINESS
Caviro, in realtà, non significa solo vino. La cooperativa romagnola è un vero e proprio universo circolare. “Il nostro modello di business – commenta Giordano Zinzani, tra l’altro presidente del Consorzio Vini di Romagna – è tale da iniziare in vigna per poi tornarci, con uno scarto sulla produzione quantificabile in un risicato 1%”.
Oltre al vino, la cooperativa romagnola è leader in Italia nel settore distilleria. Una diversificazione che consente a Caviro di inserirsi nel mercato dei farmaci, con la produzione – su tutti – di acido tartarico e delle “basi” alcoliche già addizionate di mentolo per il colluttorio Listerine, commercializzati dall’altro colosso Johnson & Johnson.
“In Francia vendiamo molti alcoli destinati alle liqueur d’expedition degli Champagne”, rivela Zinzani. Non ultimo il business del recupero degli scarti dell’attività di vigna, che consente a Caviro di produrre – oltre a derivati farmaceutici, alimentari e agronomici – anche energia.
Quella prodotta dal sito produttivo di via Zampeschi 117 sarebbe in grado di illuminare a giorno l’intera città di Forlì (120 mila abitanti). Energia che si tramuta in compost e fertilizzanti, chiudendo il cerchio col loro ritorno nelle vigne italiane dei soci. E allora tutto questo è slow, very slow o rock ‘n’ roll? Ai posteri l’ardua sentenza.
Tavernello Caviro Forli slow wine rock n roll visita stabilimento vinialsupermercato 2
Tavernello Caviro Forli slow wine rock n roll visita stabilimento vinialsupermercato 3
Tavernello Caviro Forli slow wine rock n roll visita stabilimento vinialsupermercato 1
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Rifermentazioni indesiderate in bottiglia, acidità volatili altissime, difetti derivanti da macerazioni forzate, ossidazioni incontrollate. Please: reset. E’ tutto quanto ormai relegato al passato. Se il vino biologico galoppa (e in salita) tra le scelte dei consumatori moderni, il merito è di chi sperimenta, innova. Ammoderna e comunica bene la “nicchia”. Nella settimana che incorona il Veneto capitale del vino italiano, con tre eventi di assoluto valore in programma tra le province di Verona e Vicenza tra il 7 e il 12 aprile, una fetta da assoluta protagonista spetta – di fatto – all’edizione numero quattordici di Villa Favorita – Vinnatur 2017.
Qualità media altissima tra i vini dei 170 produttori provenienti da Italia, Austria, Francia, Germania, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Spagna. E una promessa che sa di vittoria per Angiolino Maule: dotare i vignaioli associati a Vinnatur di un vero e proprio disciplinare di produzione. “L’obiettivo iniziale di mettere assieme diverse culture, in modo tale che ognuno si arricchisse di quella dell’altro – spiega il presidente Vinnatur – è stato ampiamente raggiunto già nei primi anni 2000. A quel punto abbiamo capito di essere ormai all’interno del piccolo grande ‘orticello’ del cosiddetto ‘vino bio’. Ora non ci resta che lavorare a un disciplinare, sostenuto da un vero e proprio piano di controlli. Partiremo con una quindicina di aziende pilota, per vedere i punti deboli e quelli forti. Entro il 2018 intendiamo offrire ai consumatori la tracciabilità di tutte le aziende del circuito Vinnatur, dal germogliamento della vite alla messa in bottiglia”.
Si parla di un totale di 1800 ettari, in grado di garantire una produzione di circa 3,5 milioni di bottiglie. Pezzi unici, diversi di vendemmia in vendemmia. Perché il nemico numero uno di chi lavora nel “bio” è la standardizzazione. E tra gli alleati di Vinnatur, anche l’Università. Come quella di Verona, che con le 52 micro vinificazioni condotte per tre anni sui “campioni” della “banda Maule”, ha consentito di studiare da vicino i meccanismi che, oggi, consentono ai vignaioli di produrre vini naturali equilibrati, longevi. E soprattutto privi di difetti. Passi da gigante, insomma, a poco più di dieci anni dalla prima ricerca sulla fertilità biologica dei suoli, condotta nel 2006.
I MIGLIORI VINI DEGUSTATI E allora citiamoli, uno per uno, i migliori vini degustati all’edizione 2017 di Villa Favita – Vinnatur 2017. La palma assoluta va a Podere Sequerciani di Gavorrano, Toscana grossetana. Divino il Vermentino, di cui vengono prodotte circa mille bottiglie l’anno. Affinamento in acciaio e giare di terracotta, con un piccola percentuale affidata invece alla barrique. Di colore giallo oro, offre una complessità aromatica memorabile, sia al naso sia al palato. Da provare anche due rossi di questa cantina della Maremma, specializzata nella coltura (e nella cultura) dei vitigni autoctoni: il Foglia Tonda, uva simile al Sangiovese, che affina per il 70% in giare di terracotta e il Pugnitello, che ricorda vagamente un Montepulciano, affinato invece per la maggior parte in barrique.
Sul podio anche l’Azienda Agricola Davide Spillare di Gambellara (VI), con il suo Bianco Rugoli 2015. Si tratta di un Veneto Igt da 12,5%, ottenuto dalla fermentazione spontanea di uve Garganega e Trebbiano. Un naso difficile da dimenticare e un palato rigoglioso, pieno, ampiamente soddisfacente di sorso in sorso. Un vero e proprio outsider, Davide Spillare, nella terra del Prosecco di massa. “Cerco di ottenere vini che valorizzino al meglio l’autenticità del territorio in cui sono cresciuto”, sostiene il giovane viticoltore cresciuto sull’esempio del pioniere del movimento Vinnatur, Angiolino Maule.
Indimenticabile anche il Sauvignon 2010 di Franco Terpin, azienda agricola friulana di San Floriano Del Collio, al confine con la Slovenia. Al naso incenso, lavanda, timo, verbena, sentori che sembrano librarsi nell’aria, attorno al calice, tanto delicati quanto netti e schietti. Una bocca quasi densa, per quanto corposa e ricca. Un Sauvignon che del Sauvignon “classico” ha ben poche rimembranze, se non per le tenui note erbacee che conferiscono morbidezza alla beva.
Bene, benissimo, anche l’intera produzione di Etnella Società Agricola Presa di San Gregorio di Catania. Siamo in Sicilia, alle pendici del vulcano Etna. Un’azienda condotta magistralmente da Davide Bentivegna, ex impiegato Siemens col pallino della viticoltura naturale. Uno con cui staresti a parlare per ore, davanti a un bicchiere di vino. Notti Stellate è il primo vino prodotto dalla sua cantina, nel 2010. Vigne di 70 anni, con una resa di 25 quintali per ettaro. Dodici giorni sulle bucce per le uve Nerello Mascalese e affinamento in tonneaux da 125.
Un vino di grandissima prospettiva (per la vendemmia 2015 segnare sull’agenda: ‘da riaprire fra 3 anni’) che già oggi si fa apprezzare per la pulizia delle note fruttate, piene, sia al naso sia al palato e la preziosa mineralità, prima soffusa e poi ben presente, soprattutto nel retro olfattivo. Stupendo anche Petrosa, altro rosso, da uve Nerello Cappuccio e Nerello Mascalese cresciute a 800 metri di altezza, su piante di 120 anni. Un signor vino dell’Etna.
Spicca, tra i produttori di spumanti italiani, Cà del Vent di Campiani di Cellatica, Brescia. Il VSQ 2014 Brut Rosè 2010 (sboccatura 2014), ottenuto da uve Cabernet Sauvignon e Sauvignon, regala un naso salino e di grafite, cui risponde un palato tra l’erbaceo e lo speziato: una “bollicina” unica nel suo genere, nel panorama di una Franciacorta che, ultimamente, tende alla standardizzazione.
IL RESTO DELLA PENISOLA Tra gli altri italiani, memorabili anche il Pecorino Doc 2015 Machaon di Ausonia di Atri, Teramo: fermentazione spontanea delle uve Pecorino d’Abruzzo, naso tra l’erbaceo dei fiori secchi e l’etereo dell’arnica e dell’anice, ben calibrati su note agrumate, nonché palato meravigliosamente giocato tra il balsamico e il minerale, su note predominanti d’arnica e di candido verde dalla straordinaria persistenza; il “base” di Musto Carmelitano, Maschito (PZ), Basilicata, vendemmia 2014, è uno dei vini qualità prezzo migliori in assoluto degustati a Villa Favorita – Vinnatur 2017 (9,50 euro), ottenuto in purezza da uve Aglianico.
Menzione anche per la Falanghina Maresa Roccamonfina 2015 di Masseria Starnali, Galluccio, provincia di Caserta: semplice nella sua schiettezza ma tutt’altro che banale, un vino quotidiano per palati fini; risalendo la penisola, uno spazio di diritto spetta all’Emilia Romagna con l’Ortrugo Doc Ciano dell’Azienda agricola Lusenti di Ziano Piacentino, Piacenza: chi conosce e apprezza questo vitigno per la facilità di beva rimarrà colpito dalla pienezza delle note fruttate e da una bocca un po’ ruffiana (viene aggiunto mosto dolce prima dell’imbottigliamento), ma ben calibrata.
Chiude il quadro idilliaco di Villa Favorita – Vinnatur 2017 l’Oltrepò pavese, con l’intera linea Gaggiarone dell’Azienda agricola Alziati Annibale di Scazzolino di Rovescala, Pavia: Riserva, Vigne Vecchie e Dintorni sono tutti Bonarda Doc ottenuti da uve Croatina, capaci di far scordare per un momento il concetto di vino “brioso e quotidiano” legato al rosso oltrepadano più comune, addentrandosi nel mondo dei vini importanti e da lungo affinamento.
Il Gaggiarone Riserva 2005 conserva un tannino aggressivo e ci si chiede tra quanti anni (e se) potrà ammansirsi, mentre la vedemmia 2015 sarà da ricordare per la piacevolezza delle note di frutti rossi, prima che l’onnipresente tannino esca dalla tana, a sgagnarti le gengive; splendido anche il Riesling Vigneto del Pozzo 2012 di Piccolo Bacco dei Quaroni, azienda di Montù Beccaria (PV) che regala un bianco degno dei parenti d’Oltralpe (tedeschi e francesi): interessante valutare nei prossimi anni l’ulteriore evoluzione di un naso tutto idrocarburo, fiori e spezie, cui fa eco un palato di consistenza finemente minerale.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
L’Associazione EnoClub Siena rinnova l’appuntamento con il Sangiovese, con un evento che ormai si ripete da 5 anni, stavolta nel centro storico della nostra città. In questa occasione, i luoghi fulcro dell’iniziativa saranno i due bastioni dell’Enoteca Italiana di Siena, grazie all’aiuto e alla disponibilità dell’Ente Vini. L’Enoteca Italiana è storicamente un centro chiave per la divulgazione della cultura del vino in Italia: qui è nato il Vinitaly ante-litteram, la cosiddetta “Mostra Mercato dei Vini Tipici”, con la prima edizione nel 1933. Ed è proprio adesso che questi spazi necessitano di un programma di riqualificazione e rilancio di alto profilo. Visto che si tratta di un’istituzione culturale della nostra città, ci è sembrata la strada giusta per concretizzare quel “fare sistema” che troppo spesso è solo politichese. E’ quindi importante che un evento itinerante come Sangiovese Purosangue si svolga qui e adesso, puntando a migliorare la fruizione di operatori e comunicatori nazionali e internazionali, con un programma di conferenze più ampio, migliorato rispetto all’esperienza dello scorso anno a Pontignano 2015, con specifici momenti di approfondimento dedicati solo ai professionali.
Le cene saranno momenti opzionali per approfondimenti ulteriori tra produttori e giornalisti/operatori ospiti. Venerdì sera a cena è anche previsto un fuori programma a parte per appassionati di alto livello con una verticale storica di vecchie annate di Chateau d’Yquem, con l’esperto di fama mondiale Christian Roger (Vino e Finanza) come relatore e uno studiato abbinamento cibo-vino a tutto pasto, in modo da offrire ulteriori stimoli per chi deciderà di seguire il nostro evento.
Il programma avrà un’appendice domenica 13 novembre con una giornata intera dedicata alla verticale storica di 16 annate di Brunello di Montalcino Biondi Santi, nella sala eventi della Società Romolo e Remo, Contrada della Lupa.
Giovedì 10 novembre
Un’intera giornata dedicata agli assaggi nella Sala Esposizione dell’Enoteca Italiana, con i soli giornalisti presenti, con servizio sommelier senza produttori e una lista di circa 300 vini base Sangiovese proposti. Ogni degustatore avrà un proprio spazio per assaggi, un elenco dei vini a disposizione, con indicazioni della zona e l’uvaggio. In questa occasione chiederemo ai produttori di proporre, oltre ai vini recenti e alcune vecchie annate, i Sangiovese dell’annata 2006, in occasione del decennale della vendemmia. Un buon momento per una ricognizione tecnica di un’annata specifica, un’ampia orizzontale di Sangiovese delle varie aree.
Venerdì 11 novembre
Nella sala conferenza del bastione San Filippo in Fortezza Medicea-Enoteca Italiana si svolgerà un convegno di aggiornamento con interventi tecnici riservato agli operatori del settore/aziende vitivinicole, a cura di Sistemi ICT. Al pomeriggio inizierà l’attività al pubblico ai banchi di assaggio. I vini da proporre in degustazione li concorderemo al momento dell’iscrizione all’evento. I produttori saranno disposti secondo le zone di provenienza, in modo da comunicare coerenza nell’esposizione dei territori. Per alcuni importanti giornalisti ospiti selezionati, prevista un ulteriore prestigioso momento di approfondimento con la verticale di Brunello de Il Marroneto.
Sabato 12 novembre
La giornata più dinamica e variata. Per la mattina la sede dell’evento si sposta in piazza della Stazione nell’aula magna dell’Università per Stranieri, per la conferenza scientifico/universitaria che abbiamo chiamato “Accademia del Sangiovese”. Si tratta di un’aula ad anfiteatro molto grande, con oltre 350 posti a sedere, modernissima, con una dotazione tecnologica d’avanguardia, che l’Università per Stranieri di Siena ha generosamente messo a disposizione.
PROGRAMMA DELLA MANIFESTAZIONE
Giovedì 10 novembre – ENOTECA ITALIANA, SIENA
Sala Esposizione – Bastione San Francesco
· 10.30 – 13.30 Sale degustazione con servizio sommelier riservate a giornalisti ed operatori, con Sangiovese delle varie aree produttive (solo su invito)
– 13.30 – Buffet toscano a cura di Casa Porciatti, Radda in Chianti
– 14.00 – 19.00 – Ripresa dei lavori pomeridiani, degustazione riservata a giornalisti ed operatori
Venerdì 11 novembre – ENOTECA ITALIANA, SIENA
· 10.00 – Accoglienza, accrediti e registrazione operatori e giornalisti ospiti
Sala Esposizione – Bastione San Francesco
· 10.00 – 13.30 – Degustazione con servizio sommelier riservata a giornalisti ed operatori, con Sangiovese delle varie aree produttive
Sala Conferenze – Bastione San Filippo
· 10.30 – 13.30 – Conferenza con interventi tecnici riservata agli operatori del settore/aziende vitivinicole, a cura di Sistemi IT
· Introduzione a cura di Sistemi
· Organizzazione dei processi di cantina e impatto delle novità normative – Relatore Massimo Marietta, Resp. Sviluppo Sistemi
· E’ semplice essere presenti su internet, ma come emergere dalla massa? – Relatore Ivan Gobetti, Resp. Web Agency
· 13.30 Buffet toscano a cura della macelleria Rapaccini – Ponte a Bozzone, Siena
Sala Esposizione – Bastione San Francesco
SANGIOVESE PUROSANGUE:
MOSTRA MERCATO DEL SANGIOVESE
· 15.30 – 19.30 Degustazione ai banchi con i produttori, divisi per aree produttive Aperta al pubblico, ingresso euro 15. Cauzione bicchiere euro 5
Sala Conferenze – Bastione San Filippo
· 16.30 – 19.30 Verticale storica Brunello di Montalcino Il Marroneto, 16 annate (per invitati e soci Enoclub). Con Alessandro Mori, titolare de Il Marroneto
1980-1982-1987-1989-1992-1994-1995-1998-1999-2000-2001-2003-2004-2008-2010-2012anteprima
OFF SANGIOVESE – FUORI PROGRAMMA OPZIONALE Ristorante Gli Orti di San Domenico – Viale Curtatone 15
ore 20.30 – Verticale Chateau d’Yquem 1966 – 1971 – 1976 – 1990. Condotta da Christian Roger. Include cena in abbinamento. Per 15 persone, o multipli. Costo euro 300
Sabato 12 novembre
AULA MAGNA UNIVERSITA’ PER STRANIERI DI SIENA Piazza Carlo Rosselli, 27/28 – Stazione Ferroviaria
· 9.00 – 9.30 Accoglienza, accrediti e registrazione
ACCADEMIA DEL SANGIOVESE
· 9.45 – 13.30 Conferenza con approfondimenti tecnici sul Sangiovese, aperta al pubblico e fino ad esaurimento posti. Intervengono professori universitari, tecnici, operatori, produttori, giornalisti
RELATORI DELLA CONFERENZA
– Saluto del Rettore dell’Università per Stranieri di Siena, Prof. Pietro Cataldi
– Massimo Vedovelli – Professore Ordinario Università per Stranieri di Siena
“Il Sangiovese: natura, cultura, comunicazione”
– Adriano Zago – Agronomo ed enologo, consuente in agricoltura biodinamica
“L’approccio dell’agricoltura biodinamica in vigneto e in cantina come strumento pratico nel percorso della qualità del Sangiovese”
– Ruggero Mazzilli – Agronomo
“Sangiovese, eccellenza dei biodistretti toscani”
– Claudio D’Onofrio – Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali, Università di Pisa
“Utilizzo di elicitori naturali per stimolare la produzione degli aromi nelle uve di Sangiovese”
– Paolo Storchi – Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’analisi dell’economia agraria Unità di Ricerca per la Viticoltura di Arezzo
“Caratterizzazione e comportamento produttivo dei cloni di Sangiovese”
– Pietro Tonutti – Istituto di Scienze della Vita, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa
“Epoca di raccolta e gestione delle uve Sangiovese in pre-vinificazione: effetti sulla composizione e qualità del vino”
– Fabio Mencarelli – Professore Ordinario Università della Tuscia, Dir. Dipartimento di Innovazione dei Sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali
“Sensoristica per ottimizzare qualitativamente la raccolta del Sangiovese”
– Gianpaolo Andrich – Professore Ordinario Università di Pisa, Dipartimento Scienze Agrarie, Alimentari e agro-alimentari
“La cinetica dell’estrazione dei componenti fenolici nel corso della macerazione di uve Sangiovese”
– Giacomo Buscioni – Agronomo resp. settore microbiologia enologica FoodMicro Team, spin off accademico UniFI
“La fermentazione alcolica spontanea: una scelta che fa la differenza”
– Tommaso Marrocchesi Marzi – Tenuta di Bibbiano, Castellina in Chianti
“La diversità zonale del Chianti Classico come chiave di lettura del territorio e delle sue produzioni”
– Michele Satta – Produttore di Sangiovese a Bolgheri
“Sangiovese nella terra dei bordolesi: sintesi dell’esperienza di vigna e mercato”
ENOTECA ITALIANA, SIENA
Sala Esposizione Bastione San Francesco
SANGIOVESE PUROSANGUE: MOSTRA MERCATO DEL SANGIOVESE
· 16.00 – 19.30 Degustazione ai banchi con i produttori, divisi per aree produttive Aperta al pubblico, ingresso euro 15. Cauzione bicchiere euro 5
Sala Conferenze – Bastione San Filippo
· 17.30 – 19.30 – Seminario guidato con degustazione
Verticale Nobile di Montepulciano Il Nocio
2001-2003-2005-2007-2009-2011 (euro 30)
Domenica 13 novembre – SOCIETÀ ROMOLO E REMO, CONTRADA DELLA LUPA
Degustazione verticale storica di Brunello di Montalcino Biondi Santi 16 annate, a pagamento (costo euro 350, riservato ai soci Enoclub) 1982 – 1987 – 1988 – 1993 -1997 – 1998 – 1999 – 2001 – 2004 – 2005 – 2006 – 2007 – 2008 – 2009 – 2010- 2011 Condotta e animata da Davide Bonucci e Carlo Macchi
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Brunello di Montalcino Docg Riserva 2006 Villa Poggio dei Salvi
(5 / 5) E’ uno dei prodotti top di gamma di Villa Poggio Salvi, secondo solo al Brunello di Montalcino Docg Cru “Pomona”. E, in effetti, il Brunello di Montalcino Docg Riserva 2006 va annoverato tra i migliori vini rossi toscani da invecchiamento presenti nel panorama nazionale della grande distribuzione italiana.
Lo distribuisce, sui propri scaffali, la catena milanese di grandi magazzini e supermercati Il Gigante. Certo, a giocare a favore dell’esito di questa degustazione di vinialsuper c’è la straordinaria annata di questo vino.
Un 2006 che resterà tra le vendemmie da ricordare per il Sangiovese atto alla produzione del Brunello di Montalcino. Per favorire l’apertura degli aromi utilizziamo un decanter. dove il nettare riposa per quasi un’ora.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Riserva 2006 di Villa Poggio dei Salvi si presenta di un rosso rubino ancora intenso, con riflessi granati: il primo “sintomo” di un vino ancora vivo, con ampi margini di miglioramento in bottiglia negli anni, anzi nei decenni.
Al naso si svela pieno, ampio, complesso: note di frutta a bacca rossa, a metà tra la confettura e lo spirito, dominano la scena. Non manca uno spunto floreale di viola. Ma sono ben percettibili, come dalla attese, i richiami terziari (ovvero il bouquet conferito dal periodo di affinamento in legno) a caffé tostato, liquirizia e cacao dolce.
Profumi che evolveranno ulteriormente, col passare dei minuti, per effetto dell’ossigenazione nel calice. Al palato, grande freschezza unita a una sapidità invidiabile: due elementi che, uniti assieme, si mostrano in perfetto equilibrio con le note fruttate di sottobosco. Completa il quadro un tannino elegante, tutt’altro che pungente.
Grande persistenza per il Brunello di Montalcino Docg Riserva 2006 di Villa Poggio dei Salvi, tutta giocata sulle note fruttate, sull’acidità e sulla sapidità. Un quadro davvero perfetto, che può essere reso paradisiaco dal corretto abbinamento in cucina.
Un vino importante, questa riserva toscana, da accostare dunque a piatti dello stesso “peso”: dai primi a base di ragù di selvaggina (cinghiale, per esempio), ai secondi di carne grigliata o a base di cacciagione e selvaggina. Senza dimenticare i formaggi stagionati e il tartufo.
LA VINIFICAZIONE
“Vini tradizionali prodotti con sistemi moderni”: questa la filosofia di Villa Poggio Salvi, azienda agricola che nell’omonima località del Comune di Montalcino, in provincia di Siena, conta 21 ettari di vigneti, tutti impiantati con cloni di Sangiovese Grosso. L’età dei vigneti atti alla produzione del Brunello di Montalcino Riserva varia dai 15 ai 20 anni, situati tra i 300 e i 520 metri sul livello del mare.
L’esposizione è a Sud-Ovest e il terreno è ricco di galestro a larga tessitura. La forma di allevamento è quella del cordone speronato, con una densità di impianto di 5 mila piante per ettaro. La vendemmia avviene sul finire del mese di settembre, a mano, in piccole cassette.
La vinificazione in acciaio, in vasche a temperatura controllata tra i 28 e i 30 gradi, per un periodo che varia fra i 12 e i 14 giorni. Le follature del cappello sono automatizzate, con sistema a pistoni. Fondamentale, poi, la fase di maturazione in legno per il Brunello, come da disciplinare della Denominazione di origine controllata e garantita.
Quaranta mesi in botti di rovere di Slavonia da 50 a 100 ettolitri. Il vino affina poi in bottiglia per un minimo di 6 mesi, prima dell’immissione in commercio. La vendemmia 2006 ha dato vita a circa 7 mila bottiglia di Brunello Riserva.
Villa Poggio Salvi deve il suo nome alla felice posizione sul versante Sud di Montalcino che guarda il mare Tirreno. L’aria pulita, i profumi che arrivano dai folti boschi di lecci che circondano l’Azienda e dalla macchia mediterranea, hanno attirato qui, fin dall’antichità le genti che provenivano dalla Maremma.
Poggio Salvi, appunto, il “Poggio della Salute” in quanto considerato da sempre zona salubre e pura, dove già nei secoli scorsi la gente trovava rifugio per allontanarsi dalle zone più insalubri infestate da malattie. Villa Poggio Salvi per struttura e modernità è un’azienda che guarda al futuro condotta con passione e competenza da Pierluigi Tagliabue e dal nipote Enologo Luca Belingardi.
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Calice importante, quello del Toscana Igt Rosso Lucente 2010 dell’azienda Luce della Vite di Montalcino – Marchesi de’ Frescobaldi. Il vino si presenta di un rosso rubino con riflessi leggermente granati, limpido. La buona alcoolicità si percepisce dagli archi stretti, mentre le “lacrime” seguono una discesa lenta, data dalla concentrazione degli zuccheri. Aspetto che ci fa intuire una buona presenza di glicerolo. Al naso, una forte impronta di tabacco e cacao, appena avvicinato il calice. Seguono sentori di frutti rossi, tra cui è facilmente riconoscibile la prugna. E richiami speziati, di pepe e cannella.
La complessità di questo rosso toscano è “Lucente”. E aumenta con sentori balsamici, di menta. Vino ancora giovane e vigoroso, si esprime al palato in potenza e tannicità. Il corpo è medio, aspetto che ne conferma l’eleganza e una beva che non stanca. Lucente di Luce della Vite si rivela rotondo: un nettare che avvolge tutte le sensazioni gustative, con una buona intensità. Il retrogusto è di confetture e spezie, che ricordano il cacao. L’abbinamento perfetto? Quello con le carni rosse e i formaggi stagionati.
LA VINIFICAZIONE
Lucente è il secondo vino della gamma “Luce” della cantina Luce della Vite di Montalcino. Nasce dagli stessi vigneti dell’omonimo Luce, vino contemporaneo che cresce nella tenuta dei Frescobaldi a Montalcino. Un prodotto relativamente giovane, nato nel 2000 da un blend composto al 50% da Merlot, 35% Sangiovese e 15% da Cabernet Sauvignon. Il vigneto si sviluppa ad un’altitudine compresa tra i 250 e 400 metri sul livello del mare, su un terreno misto: galestro per le uve Sangiovese e ricco di calcio e argilla per il Merlot. La pigiatura è soffice e la fermentazione avviene in vasche in acciaio inox a circa 30°, per un periodo di 12 giorni. Segue un affinamento in barrique per 12 mesi: 55% legni nuovi di rovere francese, 5% nuovi di rovere americano, 40% di rovere francese di 2° passaggio. Prima della commercializzazione, Lucente di Luce della Vite affina in bottiglia per 8 mesi.
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Chianti Docg I Sodi del Paretaiio 2015 Badia di Morrona 276x300 1
Il Chianti non ha bisogno di presentazioni, tra i vini toscani ed italiani è uno tra quelli più conosciuti ed apprezzati al mondo. E si fa apprezzare anche in questa versione 2015 direttamente dalle colline Pisane, una delle sottozone di produzione. Finisce oggi nel nostro calice e sotto la nostra lente di ingrandimento il Chianti Docg “I Sodi del Paretaio”, prodotto da Badia di Morrona.
Nome curioso che sta a rappresentare un toponimo. Rosso rubino, limpido e poco trasparente, denso, all’esame olfattivo risulta intenso: le note fruttate tipiche del Sangiovese si intrecciano a note erbacee, profumi di sottobosco e speziature per un vino che risulta quindi complesso. Al palato è caldo, rotondo e secco.
Dotato di una buona nota acida, il tannino è docile. Un vino morbido, estremamente fine ed elegante con un buon rapporto qualità prezzo sia in cantina che al ristorante e che regala davvero una piacevole beva, finalmente un Chianti che si fa ricordare. Un vino estremamente versatile negli abbinamenti, offre il meglio di sé accompagnato a salumi e carni rosse e formaggi stagionati.
LA VINIFICAZIONE Prodotto con uve Sangiovese per l’85% dei vigneti Poggi e Bacio e per il restante 15% con Cabernet Sauvignon, Syrah e Merlot. La vendemmia viene effettuata intorno al 18/20 settembre per il Sangiovese, prima per le altre uve. La vinificazione avviene a temperatura controllata di circa 24 ° C con circa 7 giorni di macerazione e poi svinatura.
I vini fanno fermentazione malolattica in acciaio e dopo aver fatto l’assemblaggio affinano in vasche di cemento garantendo il mantenimento delle tipiche note fruttate del Sangiovese. Badia di Morrona si trova a Terricciola, sulla strada del Chianti.
Un’azienda di 600 ettari di terreno di cui 110 a vigneto, 40 a oliveto, il resto a bosco e seminativo che dal 1939 la famiglia Gaslini gestisce con passione, dando lustro alla produzione vinicola toscana ed italiana nel mondo.
Una delle maggiori ricchezze aziendali è la qualità dei vigneti, frutto della nuova generazione di impianti cioè quelli fatti con cloni, densità di impianto e sistemi di allevamento individuati in base alla tipologia dei terreni e dei vini che si intende produrre.
La qualità delle uve prodotte è sempre la migliore ottenibile in base all’andamento stagionale e la quantità di vigneti a disposizione consente un ottimo lavoro di selezione. Oltre la metà del 110 ha di vigneto sono impiantati a Sangiovese, vitigno principe della regione.
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L”evento “clou” del cartellone estivo predappiese si avvicina, con i suoi inebrianti profumi, la musica, l’arte, i laboratori e tanto altro ancora. L’appuntamento con l’undicesima edizione de “I Tre Giorni del Sangiovese” va in scena da venerdì 2 a domenica 4 settembre, anticipata da una serie di eventi “Aspettando i Tre Giorni…”.Tre appuntamenti fanno da anteprima alla kermesse: si comincia domenica 28 agosto a San Savino, dove alle ore 7.00 prende il via la sesta tappa dell’Appennino superbike, gara di mountain bike legata alle Terre del Sangiovese. Martedì 30 ci si sposta invece a Predappio, nel parco comunale di palazzo Varano: qui alle ore 21.30 si tiene la proiezione del film “Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese, accompagnata da un pic-nic al cartoccio a base di prodotti del panificio Bassini e degustazione finale di Sangiovese, il tutto al costo di 5,00 euro. La sera successiva, mercoledì 31, il parco Varano si tinge invece di giallo con la “Cena con delitto” presentata dalla Compagnia Ventirose, che intreccia magistralmente interventi teatrali con un accattivante gioco di ruolo tra i partecipanti (costo 25,00 euro). L’anteprima della festa si chiude nella serata di giovedì 1 settembre in piazza Garibaldi a Predappio, con band giovanili in concerto dalle ore 21.00 e stand di prodotti enogastronomici con degustazioni di Sangiovese. Venerdì 2 settembre la manifestazione entra nel vivo dalle ore 20.30, sempre in piazza Garibaldi: per l’ufficiale serata di apertura è prevista la cena a 10 mani dei Cuochi dell’Alleanza, con ospite speciale l’Amburgheria Creativa, che per l’occasione presenta mini würstel di mora romagnola con panzanella di senape puntinata. Le Osterie dell’Alleanza sono invece il Don Abbondio (che a Predappio porta le sue melanzane alla parmigiana con parmigiano reggiano di vacca bianca modenese), laTrattoria Petito (che presenta lasagne verdi al ragù delle due romagnole la mora e la bovina), l’Osteria con Locanda La Campanara (con girello di bovina romagnola e funghi dell’Appennino) e la pizzeria da Piseppo (con il cestino del pane). In abbinamento alla cena, che si chiuderà con uno speciale dolce “a otto mani”, il Sangiovese dell’Associazione per la promozione del Sangiovese di Predappio (quota di partecipazione 30,00 euro a persona, vini inclusi; per prenotazioni: 0543 921700 fino alle ore 14.00; 347 3497668; slowfoodforli@gmail.com). La giornata di sabato 3 settembre si apre invece alle ore 16.00 in teatro comunale dove, alla presenza dei rappresentanti dell’associazione austriaca e delle istituzioni italiane, è prevista la consegna ufficiale dell’Austrian Holocaust Memorial Award” (AHMA) al sindaco Giorgio Frassineti. L’importante premio è stato conferito dall’associazione Servizio austriaco all’estero in riconoscimento all’impegno del primo cittadino di Predappio nella ricerca svolta su fascismo e nazionalsocialismo e per la sua volontà dimostrata nel portare avanti una visione obiettiva attraverso un Centro di Documentazione del Novecento, in fase di realizzazione.Dopo l’evento ufficiale, la giornata proseguirà con la cena itinerante con assaggi di Razionalismo, tra degustazioni e soste presso i luoghi simbolo del Museo Urbano di Predappio (partenza ore 19.00; 20.00; 21.00 e 22.00, su prenotazione, costo 20,00 euro). In piazza Garibaldi, dalle ore 20.30 in poi, non marcherà poi la gastronomia d’eccellenza con i cuochi dei ristoranti Slow-Food presentata dall’Osteria Don Abbondio e Locanda La Campanara, oltre agli stand con i prodotti gastronomici del territorio e alle degustazioni di Sangiovese con i sommeliers di AIS Romagna. Ad accompagnare il tutto sarà la musica dal vivo, con la band dei “Grooviglio”.Ogni partecipante potrà acquistare un calice per degustazioni libere, al costo di 7,00 euro. L’estemporanea di pittura “Terre di Sangiovese” aprirà la mattinata di domenica 4 settembre alle ore 9.00 in piazza Garibaldi, dove sarà anche allestito, fino alle ore 14.00, il Mercato Contadino delle terre del Sangiovese, con prodotti e presidi Slow Food a filiera corta.Alle ore 10.30 prenderà invece il via “Olfattivamente”, laboratorio didattico aperto a tutti gratuitamente sull’analisi sensoriale di profumi, odori, aromi del cibo, a cura dei formatori Slow Food Micaela Mazzoli e Matteo Monti. E sempre dalle 10.30, fino a sera, sarà possibile gustare in piazza gli originali panini dell’Amburgheria Creativa, con gastronomia d’eccellenza presentata dai cuochi dei ristoranti Slow Food dalle ore 20.30 in poi, degustazioni di Sangiovese con AIS Romagna e stand gastronomici del territorio. Nel pomeriggio è prevista la presentazione di un libro e animazioni per bambini, mentre in serata a salire sul palco sarà il gruppo “Manuela Evelyn Quartet”, per un concerto di musica jazz. Come nelle scorse edizioni, non manca anche un programma di laboratori di approfondimento sul tema del vino e della viticoltura, sabato 3 alle ore 15.00 e 18.00 nell’azienda agricola La Pandolfa e domenica 4 alle ore 15.00 e 18.00 nell’azienda Condè. Due dei quattro laboratori in programma saranno dedicati ai vini francesi, allo Champagne e alle vecchie vigne di Borgogna raccontate da Armando Castagno, giornalista, scrittore, storico dell’arte, relatore e docente Ais, grande esperto e conoscitore della Borgogna e delle sue vigne (per informazioni e prenotazioni: 335 8440104; bertiste@gmail.com). Novità di quest’anno, estesa alle giornate di venerdì 2, sabato 3 e domenica 4 settembre, è infine “IndoVINi Predappio?”, gara di abilità che prevede l’assaggio di 10 vini di Predappio alla cieca (costo 5,00 euro): chi riuscirà a riconoscerli tutti vincerà 300 bottiglie di vino Doc.
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Nero, oscuro, ignoto, come il valore di un vino magari scelto a caso sullo scaffale. Il valore, in questo caso, come per tutte le nostre recensioni ve lo sveliamo noi: un ottimo valore intrinseco, ma soprattutto un rapporto qualità prezzo eccellente per quello che risulta essere un’ottima espressione di questo vino marchigiano.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Rosso Piceno Superiore Doc Re Nero si presenta di colore rosso rubino carico, limpido e poco trasparente, “nero” in un certo senso. Di fluidità densa, all’esame olfattivo è intenso e complesso con sentori di fiori appassiti, frutta matura e confettura, spezie e note di vaniglia.
Profumi che ritornano tutti al palato dove si conferma un vino di carattere. Di buon corpo, caldo, con i suoi 13,5% di alcol in volume. Rotondo, secco, di buona freschezza gustativa è leggermente sapido. La tannicità non è graffiante, è moderata seppur percettibile.
Elegante, pulito, asciutto. Il finale di persistenza con aroma di liquirizia. Non è un vino banale, anzi. Se gradite i vini barricati provatelo, se amate il Rosso Piceno questo fa al caso vostro. L’abbinamento ai cibi del Rosso Piceno dipende anche dal grado di maturazione del vino.
Una maggiore maturazione, con conseguente maggiore morbidezza ed equilibrio lo rende idoneo a piatti più saporiti e strutturati per creare armonia tra la ricchezza di gusto del cibo e il vino stesso.
Eccellente l’accostamento a piatti a base di tartufo o aromatizzati con finocchietto selvatico, con sughi di carne, carni alla brace, bovine, suine e ovine, con cacciagione, carni bollite e in umido. Ma il Rosso Piceno Superiore Doc Re Nero è perfetto anche con formaggi stagionati come pecorino e parmigiano.
Da provare col gorgonzola, magari con le noci ovvero con i famosi fritti misti all’ascolana. Va servito ad una temperatura 18 gradi in calici ampi, aperto almeno trenta minuti prima di degustarlo per poter godere appieno delle caratteristiche organolettiche.
LA VINIFICAZIONE
Prodotto con un blend di uve Montepulciano per il 70% e Sangiovese per il restante 30%. I vigneti, sono nei pressi di Ascoli Piceno, nel comune di Castorano. Risalgono al 1994 e si trovano su terreni argillosi calcarei esposti a sud ovest allevati con il metodo guyot. 300 ceppi per ettaro con una resa è di 100 q.li/ha.
La vinificazione avviene con macerazione sulle bucce per otto giorni in vinificatori tradizionali utilizzando la tecnica del delestage. L’affinamento avviene in barriques francesi di media tostatura, 1/3 nuove, 1/3 di secondo passaggio ed 1/3 di terzo passaggio.
Segue invecchiamento di 12 mesi in barrique e di ulteriori tre mesi in bottiglia prima della messa in vendita. Il Crinale è un’azienda relativamente recente, nasce nel 2006 a coronamento di una passione decennale della famiglia Quitadamo nata già negli anni settanta anni in cui la famiglia già si dedicava alla produzione e alla commercializzazione di uva attraverso un negozio di proprietà in Lombardia.
Finalmente dal 2006 ha cominciato la produzione e la commercializzazione del vino prodotto dalle proprie vigne. Oggi, è un’azienda certificata biologica che pone il rispetto dell’ambiente come condizione sine qua non. Vanta una cantina ideale punto di incontro tra tradizione ed innovazione dotata delle più moderne tecnologie.
Le Cantine il Crinale dispongono di 50 ettari coltivati con i vitigni tipici delle Marche, Passerina, Pecorino e Trebbiano per i bianchi, Sangiovese e Montepulciano per i rossi . Nel 2008 a Venezia sono stati premiati con il Leon d’Oro per l’imprenditoria.
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Consorzio Vini di Romagna è sempre impegnato nella promozione e nella valorizzazione dei vini romagnoli, fuori e dentro i confini nazionali. Così dopo le trasferte primaverili al Vinitaly di Verona e al Prowein di Düsseldorf (Germania) e in attesa della trasferta autunnale negli USA, il Consorzio Vini di Romagna in questa estate 2016 punta anche sulla Riviera “di casa” per far conoscere e apprezzare i vini ai tanti turisti che affollano le spiagge emiliano romagnole in questo periodo. Fino al 12 agosto, in quattro stabilimenti balneari si svolge l’iniziativa “Vini di Romagna – DOP ON THE BEACH”. A Cesenatico al Bagno Vally n.53 e al Bagno Nettuno levante n.28, a Milano Marittima al Bagno Dario n.315/316 e a Pinarella di Cervia al Bagno Giardino n.72/73 saranno allestiti dei corner promozionali e, in base a un calendario concordato con le strutture, saranno presenti due giovani enologhe con l’obiettivo di invitare all’assaggio il pubblico. Un assaggio che riguarderà: Romagna Albana DOCG, Romagna Pagadebit DOC nelle versioni fermo e frizzante, Romagna Sangiovese DOC. I corner saranno ben visibili grazie alla presenza di materiale promozionale realizzato ad hoc per l’evento: vele, t-shirt per il personale, depliant-invito all’assaggio dei vini, che verranno serviti in calici serigrafati con il marchio del Passatore, simbolo del Consorzio Vini di Romagna.«La nostra amata riviera romagnola è da oltre cinquant’anni uno dei contesti turistici più visitati dell’estate. Siamo convinti che i vini di qualità della Romagna debbano sempre accompagnare la villeggiatura di chi sosta sulle nostre spiagge, contribuendo a mostrare e far ricordare un territorio orgoglioso e coeso, che vive delle proprie tipicità», sottolinea il Presidente del Consorzio Vini di Romagna, Giordano Zinzani. “Si tratta di una prova rivolta al consumatore per far conoscere alcune tipologie della DOP Romagna e testarne il gradimento in contesti in cui i nostri vini sono ancora poco utilizzati. Siamo certi del valore dei nostri prodotti DOP e pronti a proseguire il progetto qualora confermi le attese”.
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Partito il 14 Luglio, a seguito dell’Assemblea dei soci del Consorzio di tutela vini Maremma l’iter di modifica del disciplinare di produzione della Doc Maremma Toscana, nata nel 2011 e che sta diventando sempre più rilevante.
Tra le principali modifiche la revisione della base ampelografica per la produzione di rossi e bianchi: eliminazione della presenza obbligatoria di un solo vitigno prevalente (Sangiovese per il 40% nella produzione del rosso e del Vermentino o Trebbiano per la produzione del bianco) e possibilità di utilizzo delle prime cinque varietà a bacca rossa e bianca più diffuse sul territorio per un minimo del 60%.
Inserimento di nuove tipologie varietali come Cabernet Franc, Petit Verdot e Pugnitello, vitigno autoctono scoperto nel 1978 che sta diventando di grande interesse per i produttori. Richiesto, come accade già per gli Igt la possibilità di menzionare in etichetta due varietà .Inserimento di tipologia Rosato e Spumante per i vini da uve a bacca rossa come e Syrah e della menzione tradizionale “Governo all’uso toscano” per il vino rosso da uve Sangiovese.
Inserimento della menzione riserva per il rosso con invecchiamento minimo di due anni di cu almeno sei mesi in botte e per il bianco se affinato almeno 12 mesi. Limitazione dell’imbottigliamento alla sola zona di produzione, come i cugini del Chianti, ma con la deroga per le aziende con diritto acquisito di proseguire fuori dalla zona autorizzata.
“Il Consorzio è nato due anni fa, tra l’altro, con l’obiettivo di tutelare e salvaguardare la DOC Maremma Toscana, intervenendo, se necessario, anche sulle regole che ne disciplinano la produzione. Siamo soddisfatti di aver concluso positivamente e in modo così celere la prima parte di questo percorso importante, che porterà la DOC ad un disciplinare di produzione più adeguato alle esigenze del mercato e del territorio”, ha dichiarato Edoardo Donato, Presidente del Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana.
Affinché le modifiche proposte diventino regole verrà presentata domanda al Ministero delle Politiche agricole e potenzialmente le nuove regole potrebbero essere applicate dalla vendemmia 2017.
Il Consorzio vanta 349 aziende per un totale di 4 milioni di bottiglie prodotte in provincia di Grosseto, nella zona compresa tra le pendici del Monte Amiata e la costa, fino all’isola del Giglio. 8.600 ettari di cui, vendemmia 2015 ben 1.630 dedicati alla produzione della Denominazione Maremma Toscana Doc.
Produzione in costante crescita: i dati del 2016 fanno registrare nei primi sei mesi imbottigliamenti per 21.700 ettolitri pari al 70% del totale dei dodici mesi dell’anno precedente.
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God save the wiine (doppia “i” voluta, adesso indovinate la pronuncia). E poi chi se ne frega della regina Elisabetta. Men che meno dei suoi sudditi, divisi tra leave o remain. Il vino unisce tutto. E tutti. Chiedetelo a Luisa Todini.
Presentazioni di rito lunghe come la Bibbia. Piene di contraddizioni a cui solo la fede (per l’anti politica) può dare una spiegazione. Logica, s’intende.
Dal 1994 al 1999 in Forza Italia come eurodeputata, viene proposta da Renzi come presidente di Poste Italiane nel 2014, pur essendo in quota Lega.
Ricopre nel contempo, dal 2012, l’incarico di consigliera nel CdA Rai, dal quale si dimette il 19 novembre 2014. Non prima d’aver votato contro il ricorso al decreto Irpef presentato dal governo italiano (presieduto da Renzi) nel mese di aprile: un ricorso che prevedeva il prelievo forzoso dalle casse dell’azienda televisiva per circa 150 milioni. Chapeau.
Ma è della Todini imprenditrice del vino che c’importa, in fondo. O no? A proposito, ultimo capitolo del curriculum: Luisa Todini è anche la titolare di Cantina Todini, che il 23 giugno ha annunciato a Londra la propria intenzione di “continuare a investire e a scommettere sul mercato britannico”.
DENTRO O FUORI
“Continuiamo comunque a investire in un luogo dove abbiamo sempre investito – dichiarava la Todini a un giorno del voto – e continuiamo a farlo anche ora. La mia speranza è che non ci sia la Brexit. Che tutti gli inglesi capiscano”. Secondo la Todini, il Regno Unito “continuerà a essere una piazza fondamentale per il made in Italy, anche con Brexit.
Io sono qui per raccontare un pezzo di territorio italiano, l’Umbria, e nello specifico Todi, presentando vini d’eccellenza a base di Sangiovese e Grechetto”. Grande risalto per queste dichiarazioni sui media italiani.
Così come grande risonanza è stata data dalla stampa italiana alla presentazione dei vini Todini in occasione di due eventi organizzati ad hoc: uno a Bianco43, ristorante al 43 di Greenwich Church street, Londra; l’altro al Novikov nel Mayfair, esclusivo distretto londinese. Presenti, tra gli altri, l’ambasciatore italiano Pasquale Terracciano e lo chef Giorgio Locatelli. Entrambi i ristoranti hanno i vini Todini in wine list.
“Per noi – evidenzia Luisa Todini al Sole 24 Ore – questo è un grande punto di arrivo, ma vuole essere anche un punto di partenza. Il mercato britannico ha riservato una calorosa accoglienza ai nostri vini Todini: nel giro di un anno, dopo il debutto nel 2015, i vini sono presenti in oltre 25 ristoranti su tutto il territorio, con una vendita di oltre 8 mila bottiglie prodotte da uve autoctone. L’intenzione ora è di ampliare la presenza a un numero ancora più grande di ristoranti e anche di arrivare sugli scaffali di una selezionata grande distribuzione. Le trattative sono già in corso”. Good save the (Todini) wiine.
IL BORDEAUX SALE, I BUYER GONGOLANO Forse più preoccupazione regna in Francia. Secondo gli analisti economici del Regno Unito, il mercato del vino pregiato nel Regno Unito potrebbe registrare un arresto.
Brexit rende di fatto più costoso il vino dei Paesi Ue per gli acquirenti muniti di sterline. In un momento in cui il settore del vino mostrava segni di ripresa, la prima prima vittima del voto Brexit potrebbe essere la campagna francese per l’anteprima del Bordeaux 2015.
“L’incremento dei prezzi del Bordeaux era già stato paventato nelle scorse settimane, prima del referendum – evidenzia Justin Gibbs a Liv-ex, piattaforma di trading di vini con sede a Londra – ma con una sterlina debole possiamo aspettarci un ulteriore incremento del prezzo di oltre il 10%”.
Liv-ex segnala al contempo un boom di ordini di vino durante la scorsa notte. Un boom proveniente prevalentemente da Hong Kong, ma anche degli Stati Uniti. Semplice la spiegazione. I buyer di questi mercati pensano di poter contrattare con il Regno Unito prezzi d’affare per il vino nelle prossime settimane, se la sterlina rimane debole.
“Gli acquirenti muniti di dollaro – evidenzia Gibbs – potrebbero utilizzare questo come un’opportunità per accumulare vini”. L’analista ritiene comunque che “il mercato del vino pregiato è relativamente resistente agli shock rispetto ad altri settori. Le papille gustative dei clienti non sono cambiate durante la notte”.
Will Hargrove, imprenditore del settore del vino nel Regno Unito, sottolinea che “ci vorrà tempo per conoscere le conseguenze di Brexit”. “Chiaramente – prosegue – l’incertezza nei mercati finanziari non giova a nessuno. Sento dire che in autunno sapremo veramente quali sono gli effetti dell’uscita dall’Unione europea. Ma nel frattempo l’anteprima Bordeaux è in gran parte diventata un esercizio di intermediazione”.
Secondo l’imprenditore inglese, il settore del vino britannico “voleva rimanere nell’Ue. Ma il popolo britannico si è espresso in altro modo, decretando l’apertura di un nuovo capitolo della nostra storia. Lavoreremo per aiutare il governo a preservare il nostro accesso al mercato unico, sostenendo le esportazioni e trattando per ottenere i migliori accordi di libero scambio internazionale”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
E’ la persistenza il valore aggiunto del Chianti Classico Docg Pèppoli Marchesi Antinori. Il buon nome della casa vinicola fiorentina costituisce di per sé garanzia di qualità assoluta. E il Chianti Classico Pèppoli è, di fatto, il risultato della ricerca di un prodotto di facile consumazione. Tutt’altro che banale, ma allo stesso tempo (volutamente) non complesso. Un Chianti che sembra voler condurre con una certa fretta al proprio finale, lungo e persistente: non perché ‘consapevole’ d’aver poco da raccontare nel mezzo. Piuttosto per giungere presto al meglio di sé. Sfoderando presto il proprio asso nella manica. Un ospite timido e discreto, pur delizioso e raffinato. Per il quale aggiungere – volentieri – un calice a tavola. La trama del Chianti Classico Pèppoli Antinori inizia a raccontarsi da sola già all’esame visivo. Il colore rosso rubino vivo, intenso, suggerisce la grande centralità delle note fruttate, ricercate e volutamente ‘spinte’, sia al naso sia al palato. Il Sangiovese (90%) sussurra le classiche note di viola che avvolgono i frutti rossi. Merlot e Syrah aggiungono suadenza e nerbo, suggerendo tinte terziarie speziate delicate e vaniglia. Fondamentale in questo senso l’apporto dell’affinamento in barriques. Il Chianti Classico Pèppoli Antinori accompagna trasversalmente, dai primi ai secondi, la cucina di media complessità. Qualche suggerimento? Un ragù saporito, una bistecca alla fiorentina, un formaggio come il Bitto della Valtellina. Da provare anche con le empanadas argentine.
LA VINIFICAZIONE
Questo Chianti Classico di casa Antinori è ottenuto, come anticipato, da uve Sangiovese, Syrah e Merlot. Le varietà vengono vinificate separatamente. Il Sangiovese svolge la macerazione in acciaio per circa 10 giorni, mentre Merlot e Syrah necessitano di più tempo. L’obiettivo è quello di “ottenere tannini soffici e preservare le note fruttate”. La fermentazione malolattica, utile alla trasformazione del ‘duro’ acido malico nel ‘morbido’ acido lattico, avviene prima dell’inverno per tutte e tre le varietà. All’inizio del 2014, il Chianti Classico Docg Pèppoli 2013 Antinori è stato assemblato e immesso in legno grande, dove è rimasto a riposare per circa un anno. L’ulteriore maturazione è avvenuta in botti di rovere di Slavonia, mentre un 10% è stato affidato a piccole barriques. L’imbottigliamento è avvenuto nella primavera 2015. L’annata 2013 è stata caratterizzata da frequenti precipitazioni durante i mesi invernali e temperature sotto la media durante i mesi primaverili. Il germogliamento della vite è avvenuto in ritardo di 10-15 giorni rispetto alla media. Il caldo, sopraggiunto intorno alla metà di luglio, ha accelerato i processi di maturazione delle uve, che sono proseguiti con regolarità durante l’estate. Le alte temperature e le ottime escursioni termiche de mese di settembre hanno permesso di arrivare a una corretta maturazione delle uve. Pèppoli è stato introdotto nel 1988 da Marchesi Antinori, in seguito alla prima vendemmia 1985.
Prezzo: 18,49 euro
Acquistato presso: Iper la grande I, Finiper
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Col di Bacche Vermentino Morellino Riserva Cupinero Passito 1
E’ una salita fra gli alti cipressi, tanto ripida quanto romantica, a condurre all’azienda agricola Col di Bacche. Siamo a Magliano in Toscana, piccolo comune in provincia di Grosseto. E quell’irto, faticoso cammino, che conduce al punto più alto di strada di Cupi, nella piccola frazione di Montiano, è il simbolo più fulgido dell’avventura di Alberto Carnasciali e Franca Buzzegoli. Marito e moglie, uniti anche nella cantina fondata nel 1998. Anno in cui Alberto Carnasciali si sfila di dosso l’abito da imprenditore edile e decide di sognare ad occhi aperti. Dando vita a Col di Bacche. La prima vendemmia, nel cuore delle terre del Morellino di Scansano, risale al 2001. Sono passati 15 anni, ormai. Quindici anni che hanno incoronato Col di Bacche tra le cantine dell’Olimpo Toscano del vino. Ne è consapevole Franca Buzzegoli, che ci accoglie in cantina con la fierezza di chi sa d’aver svoltato. Non solo nella vita. “Noi siamo di origine chiantigiana – spiega – nati e vissuti nel Chianti fino alla fine degli anni Novanta, quando abbiamo deciso di cominciare questa avventura in Maremma. Mio marito era titolare di un’impresa edile e, anche per questo, sapevamo che intraprendere un’attività nel settore vitivinicolo nella nostra zona era molto complicato. Ma abbiamo sempre bazzicato in Maremma. Quando siamo arrivati qui, non c’era niente. O meglio: c’era un poggio vuoto, che faceva parte di un podere. Ci piacque tantissimo questa location e così l’acquistammo. Nel ’98 impiantammo i primi vigneti. Poi – prosegue Franca Buzzegoli – costruimmo l’annesso agricolo che oggi ospita la prima cantina. Nel 2001 gli ultimi vigneti, che hanno subito reso troppo piccoli i locali per la vinificazione. Diciamo che ci siamo fatti prendere un po’ la mano! E così, tra il 2004 e il 2005, abbiamo realizzato la cantina attuale, trasformando la prima cantina in sala per le degustazioni e adattandola ad altre funzioni”. Sessantanni lui, cinquantadue lei. L’età giusta per sognare, ancora. Sin dagli albori, Col di Bacche si avvale dell’esperienza dell’enologo Lorenzo Landi, che assieme ad Alberto Carnasciali, sommelier Ais, impianta ad uno ad uno quattordici ettari totali di terreno. Si tratta principalmente di Sangiovese. Ma anche di Syrah e Cabernet Sauvignon. Nella parte bassa dell’azienda, dove il Sangiovese non maturerebbe bene, i coniugi Carnasciali decidono di allevare Merlot. Una scelta più che mai azzeccata. Il riscontro di critica e mercato di Cupinero, Merlot Igt Maremma Toscana, è sin da subito eccezionale. Il vero e proprio fiore all’occhiello dell’azienda agricola Col di Bacche. Un Merlot impiantato a cordone speronato alto, con sistema fogliario libero di crescere sulla ‘testa’ del grappolo. Accorgimenti che evitano a un vitigno precoce nella maturazione di assumere sentori di confettura che poco avrebbero a che fare con la ricerca di eleganza e finezza di Cupinero. Ma il vero segreto della ‘chicca’ di casa Col di Bacche è il ruscello che scorre a pochi metri dal Merlot. Garantendo un’efficace e benevola escursione termica.
LA FILOSOFIA Terreni ricchi di scheletro e sabbiosi, situati dai 120 ai 230 metri sul livello del mare, sono l’habitat dei vini di quest’azienda agricola toscana che fa della riduzione delle rese del vigneto un vero dogma. “Prendiamo ad esempio il Morellino di Scansano – commenta Franca Buzzegoli -. Il disciplinare ci consentirebbe una resa di 90 quintali per ettaro, mentre noi lo produciamo a 60-70. I nostri sono vini territoriali che aspirano a dimostrare come in Maremma si possano ottenere produzioni molto interessanti, pur non essendo la zona nota al grande pubblico, come quella del Chianti. In Toscana ci sono denominazioni più prestigiose rispetto a quelle maremmane, ma non è detto che tutte le aziende che operano in contesti prestigiosi lavorino secondo il principio della qualità. Quello che noi cerchiamo invece di fare quotidianamente”. Ogni anno, Col di Bacche sforna dai suoi 14 ettari di vigneti circa 60 mila bottiglie annue. Il Morellino ‘base’ costituisce il cuore della produzione, assestandosi sul 40%. Seguono Morellino Riserva, Merlot e, da quattro anni, Vermentino di Toscana. Prodotto inizialmente acquistando uve da terzi, Col di Bacche si è resa nel tempo autosufficiente, impiantando appositi vigneti: neppure un ettaro, che garantisce una produzione di circa 5.500 bottiglie l’anno. “Un bianco che sta andando molto bene – evidenzia Franca Buzzegoli – ottenuto da due particelle che non sono esattamente adiacenti al resto dell’azienda agricola, ma che si trovano in un’ottima posizione, con un’ottima esposizione”. Il mercato di Col di Bacche si svolge per il 65% in Italia. Il business funziona, ma Franca Buzzegoli non risparmia qualche stoccata al ‘sistema’. “In questa zona – evidenzia la ‘donna del vino’ – lottiamo con il fatto che quella del Morellino di Scansano è una denominazione che si è un po’ fermata negli ultimi anni. Grandi aziende sono venute qui a investire da tutta Italia, ma gli sforzi economici compiuti non sono affatto ricaduti sul territorio, o sulla valorizzazione della denominazione di origine controllata e garantita. I prezzi, anche a causa dell’arrivo di questi colossi, sono al ribasso. E non è facile competere. Fare vino in Toscana è un privilegio, pone in una situazione di intrinseca superiorità rispetto ad altre regioni italiane – ammette Franca Buzzegoli – soprattutto quando si va a proporre i propri vini nel mondo. Ma a livello di Consorzio si potrebbe fare ancora di più, soprattutto nelle politiche che riguardano gli imbottigliatori. Così come si potrebbe fare di più a livello di promozione del territorio, che è basata principalmente su pochi eventi, tutti molto costosi per le aziende e, per questo, sempre appannaggio dei soliti pochi noti”. Il futuro di Col di Bacche è comunque luminoso, con il figlio 24enne, laureando in Storia dell’Arte, pronto a rimboccarsi le maniche in un settore diverso da quello degli studi. Eppure così affine: un buon vino, non è forse un’opera d’arte?
LA PRODUZIONE COL DI BACCHE La degustazione, guidata da Franca Buzzegoli, inizia come si consueto bianco. In questo caso con il Vermentino Igt Toscana 2015. Le uve vengono vendemmiate nel corso della prima decade del mese di settembre. La vinificazione avviene in acciaio, a temperatura controllata. Il Vermentino Col di Bacche affina per 6 mesi, sempre in acciaio. Prima della commercializzazione, un ulteriore affinamento in bottiglia. Ottimo per l’aperitivo, il Vermentino Col di Bacche si abbina a piatti di pesce e carne bianca. Franca Buzzegoli propone poi l’assaggio del Morellino di Scansano 2014. La vendemmia del Sangiovese (90%) e degli altri vitigni a bacca nera (un 10% tra Syrah, Cabernet Sauvignon e Merlot) avviene tra la seconda metà di settembre e la prima settimana di ottobre: una vendemmia verde, in corrispondenza dell’invaiatura. La fermentazione si compie a temperatura controllata, per 20 giorni. L’affinamento è affidato all’acciaio per il 60% del vino; la parte restante matura in barriques di terzo e quarto anno. Un passaggio, questo, che rende il Morellino ‘base’ Col di Bacche apprezzabile con le sue caratteristiche peculiari anche a distanza di qualche anno dall’imbottigliamento. La grande centralità del frutto nella beva e la particolare attenzione alla pulizia negli esercizi di cantina sono palpabili e completano un quadro più che apprezzabile. Perfetto con i primi saporiti della cucina tradizionale toscana, si fa apprezzare a tutto pasto e con formaggi salati, di media stagionatura. Saliamo i gradini dell’eccellenza con Rovente 2012, il Morellino di Scansano Riserva Col di Bacche. Un prodotto ottenuto da un 90% di Sangiovese addizionato a un 10% di Syrah, vendemmiati tra la seconda metà di settembre e la prima settimana di ottobre da vigneti che registrano una resa di 55 quintali per ettaro, diradati sino al 50% in corrispondenza dell’invaiatura, ovvero nel periodo in cui gli acini iniziano ad assumere il colore tipico dell’uva. La vinificazione prevede una diraspapigiatura soffice e una fermentazione alcolica in serbatoi di acciaio inox a temperatura controllata, variabile tra i 28 e i 30 gradi. Continui rimontaggi e délestages precedono la macerazione sulle bucce, che si prolunga tra i 18 e i 21 giorni. L’affinamento del Rovente avviene in barriques di rovere francese, in parte nuove e in parte usate, per circa 12 mesi. Un ulteriore affinamento in bottiglia anticipa la commercializzazione. E sul mercato finisce un vino dall’ottimo rapporto qualità prezzo (13 euro all’horeca), con note fruttate fresche intense impreziosite da una delicata speziatura, un tannino elegante e rotondo e una capacità di invecchiamento medio lunga. In cucina ama piatti corposi, con cui mettere alla prova la un’ottima struttura: la cacciagione e i formaggi stagionati sono solo alcuni degli abbinamenti utili a valorizzare Rovente. Nella ‘verticale’ della produzione Col di Bacche, ecco arrivati a Cuponero, l’indicazione geografica tipica Maremma Toscana, vero fiore all’occhiello della vinicola di Magliano. La base (90%) è costituita come detto dal fortunato Merlot, cui viene aggiunto un 10% di Sauvignon: una percentuale variabile di anno in anno. La vendemmia proposta è la 2011, in grande forma già all’esame visivo col suo rosso rubino intenso. Al naso, alle note di frutta rossa fa eco un fresco sottobosco, invitante. Corrispondente al palato, regala un elegante e persistente finale. La vinificazione di Cupinero comincia dall’attenzione riservata agli acini durante il loro sviluppo. Le uve subiscono una diraspapigiatura soffice e una fermentazione alcolica in serbatoi di acciaio inox, a temperatura controllata variabile tra i 28 e i 30 gradi. Si cerca di favorire l’estrazione delle sostanze fenoliche con rimontaggi e délestages, prima di una macerazione sulle bucce della durata variabile tra i 18 e i 21 giorni. L’affinamento di Cupinero prevede l’utilizzo di barriques di rovere francese, in parte nuove ed in parte usate. Dura circa un anno. Alcuni mesi di ulteriore affinamento in bottiglia regalano agli amanti del Merlot (ma non solo) un’espressione unica del vitigno. L’espressione maremmana. Tutto da provare anche il Passito di Sangiovese Col di Bacche, ottenuto col classico metodo dell’appassimento delle uve al sole, cui viene fatto seguire l’affinamento in barrique. Ottima anche la grappa Riserva di Merlot, distillata dalle vinacce di Cupinero e affinata per 18 mesi in barrique.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Arnolfo di Cambio Toscana Igt vino 2009 Fattoria il Palagio e1465333608239
(4,5 / 5) Figlio di Cambio e Perfetta, lo scultore e architetto Arnolfo di Cambio è senza dubbio una delle figure centrali dell’arte Medioevale.
A lui è dedicato l’omonimo Arnolfo di Cambio Sangiovese Toscana Igt della società agricola Fattoria Il Palagio, proprietà dei marchesi Tortoli Matteucci acquistata nel 1979 dalla nota famiglia del vino italiano Zonin, che la converte dall’indirizzo cerealicolo e olivicolo originale all’attuale viticolo e olivicolo.
Ci troviamo appunto in località Il Palagio a Castel San Gimignano, in provincia di Siena. Un vino con una storia da raccontare, insomma, questo Sangiovese in purezza che “scomoda” un nome altisonante della scuola cistercense. E un vino che, date le premesse, non delude affatto le attese. Anzi.
LA DEGUSTAZIONE
La vendemmia 2009, quella finita sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it, sorprende oltre le attese. Nel calice il Sangiovese Toscana Igt Arnolfo di Cambio si presenta di un rosso rubino tendente al granato. Scorre mediamente denso, colorando il vetro d’una tinta poco trasparente.
Al naso risulta di un balsamico intrigante. Tra le note di frutti rossi e quelle floreali di viola mammola si fa largo una speziatura decisa di liquirizia dolce, che domina la scena e mitiga sentori più duri, di cuoio. L’ossigenazione del prezioso nettare nel calice regala di lì a poco l’incedere, timido e delicato, del baccello di vaniglia.
Un lampo di femminile gentilezza, prima di un assaggio che risulta di primo acchito antitetico. In bocca, il Sangiovese Toscana Igt Arnolfo di Cambio entra – di fatto – piuttosto austero. Per aprirsi, poi, alle note fruttate (piccole bacche rosse) e speziate (liquirizia dolce), già avvertite al naso.
Il tannino, elegante e suadente, accompagna un sorso di facilità non comune tra vini di tale alcolicità (13,5%) ed evoluzione (vendemmia 2009, ricordiamolo). Così come non risulta comune quel rincorrersi, quasi giocoso, tra un’acidità ancora viva e una spiccata sapidità, figlie di uno dei territori italiani maggiormente vocati alla viticoltura. Intenso e fine anche una volta deglutito, l’Arnolfo di Cambio Sangiovese Toscana Igt della Fattoria Il Palagio è un vino di assoluto livello, da degustare anche in compagnia di un buon libro.
A tavola, l’abbinamento perfetto è quello con le portate “importanti” a base di carne, dalla selvaggina alle grigliate consistenti, pur non disdegnando i formaggi di media stagionatura. La temperatura di servizio? Tra i 16 e i 18 gradi, per apprezzarlo appieno, a sorsi pazienti e rispettosi.
LA VINIFICAZIONE
Il territorio da cui prende vita il Sangiovese Toscana Igt Arnolfo di Cambio è quello di Castel San Gimignano, Siena: più esattamente dal Poggio di Tollena. Il mosto di uve Sangiovese (in purezza) è ricavato da vendemmia manuale, che avviene nella prima decade del mese di ottobre.
Viene posto in fermentini verticali, dove ha luogo la fermentazione alcolica che si protrae per circa 10 giorni, alla temperatura di 28 gradi. Successivamente avviene la fermentazione malolattica, il processo che consente la trasformazione dell’acido malico in acido lattico. Il vino, dunque, viene posto in botti di rovere. Resta a maturare per i successivi 18 mesi.
Un ulteriore affinamento in bottiglia, per un periodo di circa 4 mesi, anticipa la commercializzazione. Fattoria Il Palagio, oggi proprietà di Gaetano Zonin, domina un tipico poggio toscano nella Val d’Elsa senese, nel comune di Colle di Val d’Elsa e per una piccola parte nel comune di San Gimignano. Le vigne, situate a un’altitudine di 350 metri sul livello del mare, hanno un’estensione di oltre cento ettari, di cui 95 coltivati a vite e 16 ad olivo.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
”Non solo moda”, è proprio il caso di dire in questo caso. Forse non tutti sanno che Ferruccio e Salvatore Ferragamo, grandi firme della moda made in Italy sono anche titolari di una azienda vinicola, ovviamente in Toscana, nell’antico borgo medievale di Borro, ai piedi del Pratomagno in Valdarno. Borgo che dà anche il nome all’azienda ”Il Borro”. Azienda che ha scelto proprio la passerella del Vinitaly per far sfilare il nuovo nato in famiglia. Si tratta di uno spumante rosè metodo classico prodotto da uve Sangiovese, che matura 48 mesi sui lieviti e che ha un nome elegante e classico, ”Bolle di Borro”. Un prodotto totalmente bio, certificazione ottenuta dall’azienda nel 2015, in linea con i trend del mercato, non solo perché i Ferragamo di trends se ne intendono, ma proprio perché è la filosofia alla quale si sono convertiti già dal 2011. Prima con la riconversione dei vigneti in chiave biodinamica, poi con lo sviluppo all’interno dell’azienda di altre attività come l’Orto Bio, l’apicoltura bio e anche l’ospitalità di lusso che ha riportato il borgo allo splendore del tempo di Lorenzo de Medici. L’idea di intraprendere l’attività è stata di Salvatore, figlio di Ferruccio che ha scelto proprio il borgo de il Borro per le condizioni pedoclimatiche uniche: inverni miti, ottima umidità ed esposizione dei vigneti. La proprietà è stata acquistata in condizioni fatiscenti nel 1993 ed oggi è un’azienda a ”bolletta zero” tutta gestita con fonti rinnovabili. La cantina, cuore dell’azienda è scavata sotto terra e si snoda sotto l’antica villa.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
(5 / 5) Prodotto in prevalenza con uve Sangiovese, il Brusco dei Barbi Toscana Igt è un vino prodotto dalla Fattoria dei Barbi di Montalcino, Siena. Frutto di lunghi studi effettuati negli anni ’60 e ’70 da Giovanni Colombini sulla fermentazione delle uve di Montalcino, si prefigge l’obiettivo di “mettere in evidenza con grande semplicità e schiettezza, le tipiche note fruttate di questo vitigno”. Una missione più che compiuta, che si conferma anche a distanza di anni di evoluzione in bottiglia. Sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it finisce infatti la vendemmia 2013, che a tre anni di distanza si rivela ancora capace di dare centralità al frutto, incastonato – per quanto riguarda la parte olfattiva – in una speziatura sostenuta, eppure mai invasiva.
Nel calice, il vino comincia a tendere al granato, pur mostrandosi sostanzialmente del colore originario: il rubino intenso. Scorre poco denso e trasparente, emanando un bouquet fine, assieme fruttato, floreale e vegetale. Ai frutti rossi (lampone, fragoline di bosco) si accostano note delicate di viola. Con l’ossigenazione, il Brusco dei Barbi mostra le unghie con il carattere delle note vegetali (rosmarino e salvia), sostenute da spezie come lo zafferano e dalla percezione di tostatura e cuoio.
Brusco dei Barbi Rosso Toscana Igt 2013, Fattoria dei Barbi
Un quadro che sembrerebbe anticipare un palato robusto: tutt’altro. In bocca, il Brusco della Fattoria dei Barbi sembra aver già esaurito tutte le sue cartucce, a tre anni dalla vendemmia. Eppure, il contrasto tra un olfatto dirompente e un gusto soffuso e snello, è forse ciò che di meglio ha da offrire questo vino toscano. Grande facilità e piacevolezza nella beva, dunque, nonostante il Brusco si mostri ancora di alcolicità calda. Il segreto? La freschezza e il finale che tende al sapido, invitando al sorso successivo. Un vino curioso e tutt’altro che banale, insomma, inserito nella corretta fascia prezzo nei supermercati italiani. Il Brusco dei Barbi Toscana Igt è abbinabile a tutto pasto. Servito a una temperatura di 18 gradi, si accompagna bene a carni bianche, affettati, sughi speziati, formaggi non troppo stagionati e pizza tradizionale.
LA VINIFICAZIONE Le uve pigio-diraspate subiscono un abbattimento di temperatura fino a 16 gradi. Questo processo di raffreddamento della buccia dell’uva permette di ottenere una maggiore estrazione del contenuto in antociani e polifenoli. La fermentazione alcolica si protrae per 10-12 giorni a temperatura controllata, tra i 17 e i 18 gradi. Il vino permane in vasche d’acciaio fino all’imbottigliamento, che precede la commercializzazione. L’apertura al pubblico della Cantina dei Barbi, negli anni ’50’ è uno degli atti di nascita del turismo del vino, in Toscana e non solo. Dopo la morte di Giovanni Colombini nel 1976, la fattoria dei Barbi è stata guidata dalla figlia Francesca e poi dal nipote Stefano, che a loro volta hanno sviluppato ed esteso le proprietà di famiglia a Montalcino, dando così seguito ad una grande tradizione che risale all’Ottocento.
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[Usr 4] Eccoci a recensire per la prima volta un interessante vino toscano a denominazione d’origine controllata Orcia Doc. Denominazione che a breve sarà oggetto di un festival del quale abbiamo già scritto. Un po’ ci siamo emozionati quando lo abbiamo visto a scaffale perché fuori dal centro Italia non è di facile reperimento. Orcia Doc 2013 Tenuta Belsedere di Trequanda in provincia di Siena è oggi sotto la nostra accurata lente di ingrandimento. Il nome fa un po’ sorridere, un sorriso che però diventa di compiacimento una volta degustato il prodotto che regala un’ottima bevuta da supermercato.
L’Orcia Doc 2013 della Tenuta Belsedere nel calice si presenta di colore rosso rubino intenso. Limpido, poco trasparente e denso. Al naso esprime inizialmente delle belle note fruttate di frutti di bosco e prugna, che si arricchiscono, a mano a mano che si apre, in note di spezie dolci di vaniglia, leggeri sentori vegetali e anche cuoio. In bocca è davvero gradevole, caldo, rotondo, secco.
Fresco, leggermente sapido e con tannini morbidi e avvolgenti. Un vino elegante ed armonico, di gusto pieno. Una bella sorpresa poi il finale lungo e fruttato. Da provare se si amano i vini toscani, ma non solo, da provare pure per l’ottimo rapporto qualità prezzo. Si abbina a carni rosse, selvaggina, formaggi stagionati come quelli delle crete senesi, salumi di cinta senese. Va servito a 16-18 gradi e ha una gradazione di 13% di alcol.
Orcia Doc 2013, Tenuta Belsedere
Prodotto con uve 80% Sangiovese, 10% Merlot e 10% Cabernet Sauvignon. La zona di produzione è quella di Trequanda (Si). I vigneti sono allevati a cordone speronato su altitudini di circa 400 mt s.l.m. esposte a sud ovest con terreni argillosi e di medio impasto. L’epoca di raccolta delle uve è variabile, solitamente tra la fine di settembre e la prima di ottobre. La vendemmia è manuale, con selezione in vigna delle uve per una resa di 56 hl a ettaro. Ad una macerazione sulle bucce a 28 gradi, della durata di circa 20 giorni, segue un periodo di affinamento in barrique di 6-8 mesi e una maturazione in bottiglia di 3 mesi prima della commercializzazione. Un vino ”recente” per l’azienda, visto che il primo Orcia Doc Belsedere è nato nel 2006, la Doc invece risale al 2000.
Protagonista indiscusso dei vini a denominazione Orcia Doc è il Sangiovese. imposto dal disciplinare con una quota almeno del 60%. La zona di produzione si trova tra quella del Brunello di Montalcino e quella del Nobile di Montepulciano. La Tenuta Belsedere, dispone di circa 400 ettari di cui solo 15 vitati, dispone di una cantina all’avanguardia e si inserisce in quello che è uno dei paesaggi viticoli più belli d’Italia. Di proprietà della famiglia Gori Pannilini Sorelli dal 1500, rifornisce direttamente alcune Coop del centro Italia, ma è possibile trovare i loro prodotti in altre catene, non gestite direttamente da loro, ma dall’azienda che li distribuisce.
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(4 / 5) Un grande blend di Sangiovese, Alicante e Canaiolo il Maremma Toscana Doc Tesan vendemmia 2013 prodotto dall’azienda vitivinicola La Biagiola di Sovana di Sorano in provincia di Grosseto. Di colore rosso rubino profondo si presenta subito come un’esplosione vulcanica di profumi, d’altronde le sue uve provengono da terreni fatti di cenere e lapilli. Intensi sentori speziati di pepe, note balsamiche e di macchia mediterranea evolvono verso la frutta rossa matura, lasciando anche spazio alla foglia di tabacco. Davvero complesso. E anche al gusto non delude: corposo, caldo, ben 14% di alcol in volume, rotondo, sapido e gradevole. Una vena acida viva accompagnata da un tannino elegante e da un finale persistente con note di liquirizia. Nessuna nota stonata: un’eleganza anticipata da un’etichetta distintiva, legata alla civiltà etrusca che si è affermata proprio in quei luoghi. Il nome Tesan deriva dall’etrusco e significa “aurora”, il motivo a scacchiera presente in etichetta è un disegno ricorrente di questa affascinante civiltà e sta a simboleggiare il rapporto tra terra e cielo. Si abbina con primi piatti con salse a base di carne e secondi di carne rossa.
LA VINIFICAZIONE
Il Maremma Toscana Rosso Doc Tesan prodotto da La Biagiola è un blend di uve Sangiovese per il 70%, Alicante 25% e Canaiolo nero 5%. Tutte le operazioni, a partire dalla raccolta sono effettuate a mano. Dopo la fermentazione, il Maremma Toscana Rosso Doc Tesan viene affinato per otto mesi in acciaio. I vigneti si trovano in un’area deindustrializzata, priva di inquinamento e urbanizzazione massiva. I terreni sono di origine vulcanica: l’alta mineralità del terroir dona sapidità ai vini bianchi e complessità organolettica ai vini rossi. L’azienda vitivinicola la Biagiola è una realtà giovane, a conduzione familiare, nata proprio con l’intento di produrre vini di qualità, equilibrati ed armonici nei gusti e nei sapori. Le viti sono coltivate con grande rispetto, nel loro habitat, su un terreno generoso destinato sin dai tempi antichi ai vigneti. La Biagiola si trova su un giacimento archeologico di estrema rilevanza con un archeoparco visitabile dal 2011. Quando entusiasmo, capacità, terroir e storia si combinano non possono che uscire prodotti di estrema qualità come il Maremma Toscana Rosso Doc Tesan. Potere della grande distribuzione organizzata, possiamo portarci un pezzo di poesia e di Toscana nel nostro focolare: emozioni uniche che solo il vino sa trasmettere.
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(3,5 / 5) Dici Chianti e inizi a respirare aria di Toscana. Ma il Chianti Classico Docg Riserva 2009 Tenute Piccini riesce a farci sognare? Noi di vinialsupermercato.it lo abbiamo provato per voi. Cominciamo col dire che ci mette un po’ ad esprimersi, quindi consigliamo di aprirlo circa un’ora prima di consumarlo. L’uvaggio utilizzato per produrlo è 100% Sangiovese, la gradazione alcolica 13%. Il Chianti Classico DOCG Riserva 2009 Piccini ha un colore rosso rubino con riflessi granati all’unghia, limpido e con discreta trasparenza. Al naso la frutta risponde, ma attendiamo altri sentori oltre a quello immediato della ciliegia. Finalmente arrivano anche note floreali e boisè a renderlo un po’ più complesso.
Al palato lo troviamo leggermente sotto corpo, ma rotondo e vellutato con i suoi tannini morbidi. Vino fresco, complessivamente di beva piacevole ed equilibrata, le note fruttate sono comunque prevalenti. Servito a 18° si abbina a carni rosse, arrosti e formaggi stagionati. Il Chianti Classico Docg Riserva 2009 Tenute Piccini, che si presenta in Gdo con un prezzo al di sotto dei sei euro, lo collochiamo nella cosiddetta fascia media che garantendo un buon rapporto qualità prezzo può accontentare diversi palati. Lo stesso Gambero Rosso lo ha premiato con due bicchieri per l’ottimo rapporto qualità prezzo.
Un Chianti Classico Docg comunque leggero, che per consumatori più esigenti manca un po’ nello “sprint”. Il Chianti Classico Docg Riserva 2009 viene affinato per 12 mesi in botti di rovere e per altri tre mesi in bottiglia. Il Gallo Nero è il simbolo del Chianti Classico, che si differenzia dagli altri per la zona di origine classica di produzione, il cugino Chianti lo possiamo trovare prodotto per esempio anche nei dintorni di Pisa. Le Tenute Piccini si trovano in Località Piazzole a Castellina in Chianti (Siena). La loro storia conta già ben quattro generazioni. Si tratta di un’azienda capillarmente distribuita in Italia e all’estero. Una curiosità interessante: le Tenute Piccini sono tra le prime cantine ad aver fiutato il business nascente del wine truck. Muniti di cinque ape car, che sono tornati tanto di moda, alcuni incaricati stanno girando l’Italia in lungo e in largo per proporre degustazioni itineranti. Addirittura lo scorso ottobre a bordo di una mini rover hanno oltrepassato la Manica, per portare i loro vini a Londra e a Manchester. Insomma, non c’è segmento di mercato che sfugga al loro attento marketing. E in qualche modo, per rispondere al nostro primo interrogativo: la Toscana c’è.
Prezzo pieno: 5,99 euro
Acquistato presso: Supermercati SuperDì
Vini al supermercato è la rubrica dedicata al vino in vendita nelle maggiori insegne di supermercati presenti in Italia. Nella Gdo viene venduta la maggior percentuale di vino italiano. Qui potrai trovare recensioni, punteggi e opinioni sui migliori vini in vendita nella Grande distribuzione organizzata, valutati con cognizione di causa, spirito critico costruttivo e l’indipendenza editoriale che ci caratterizza. Inoltre, una rubrica sempre aggiornata sui migliori vini in promozione presenti sui volantini delle offerte delle maggiori insegne di supermercati italiani. Vini al Supermercato è la guida autorevole ai vini in vendita in Gdo, con una pubblicazione annuale delle migliori etichette degustate alla cieca dalla nostra redazione. Seguici anche su Facebook ed Instagram. Sostieni la nostra testata giornalistica indipendente con una donazione a questo link.
(4 / 5) Torniamo in Liguria, questa volta a Levante, nel cuore della Lunigiana, per un vino rosso di qualità prodotto in regione determinata. Siamo nei Colli di Luni, zona che la Liguria divide in parte con la provincia Toscana di Massa Carrara. Questo è il più esteso paesaggio vitivinicolo della Liguria nel quale non si produce solo il rinomato Vermentino, che pur raggiunge qui la sua massima espressione, ma anche qualche vino rosso tra cui il Colli di Luni Rosso Doc, Terre di Luna. La cantina di produzione è la Lunae Bosoni Srl di Ortonovo, provincia di La Spezia, che prende proprio il nome dall’antica città di Luni.
Si tratta di una azienda familiare dal passato agricolo che dal 1966 si è concentrata sulla viticoltura e la cui produzione spazia da vini cru a passiti e distillati. Colli di Luni Rosso Doc Terre di Luna viene prodotto con uve Sangiovese, Ciliegiolo e Canaiolo. Queste ultime due, utilizzate frequentemente per assemblaggi, regalano morbidezza e alcolicità al Sangiovese. La vendemmia che abbiamo provato è la 2013. Di colore rosso rubino, al naso si presenta delicato con sentori di frutta rossa e note speziate che ricordano il pepe nero. Un vino secco, piacevolmente caldo che nonostante i suoi 13% di alcol in volume si presenta altrettanto piacevolmente tannico.
Si abbina a carni rosse o a piatti al forno, ma anche a salumi e formaggi di media stagionatura. Un vino da noi assaggiato quasi con dei preconcetti, associando mentalmente l’eccellenza produttiva ligure solo ai vini bianchi, ma che ha sorpreso. Ma lo consigliamo anche per un altro motivo. La Liguria, per le sue caratteristiche orografiche, non riesce a raggiungere un’importante massa critica sul panorama italiano. La sua produzione sul volume nazionale si attesta infatti intorno allo 0,4% e lo spazio che viene riservato ai vini liguri sugli scaffali dei supermercati è veramente limitato. Colli di Luni Rosso Doc Terre di Luna, offerto agli ospiti, risulterà anche originale. La foto davanti al camino è puramente evocativa, naturalmente va servito intorno ai 16/18°.
Prezzo pieno: 6,90 euro
Acquistato presso: Carrefour
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(5 / 5) Ormai celebri in Italia e nel mondo per il loro spettacolare Tignanello, primo Sangiovese ad essere affinato in barrique, i Marchesi Antinori regalano anche al “pubblico” delle enoteche dei supermercati un prodotto di altissima qualità, a un prezzo tutto sommato contenuto. Stiamo parlando di Villa Antinori, un riuscitissimo blend di Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Merlot e Syrah, in vendita presso i punti vendita Esselunga. Una bottiglia di altissimo livello, che regala una tra le migliori espressioni del Sangiovese e del “bere toscano” nell’intero spettro della grande distribuzione organizzata italiana.
Nel calice, Villa Antinori si presenta di un rosso rubino intenso. Al naso è elegante, con note di frutta a bacca rossa matura che si mescolano a spezie dolci (liquirizia) e ai profumi tipici del legno di barrique. In bocca è stupefacente per completezza ed equilibrio. Giustamente sapido, presenta nuovamente i sentori finissimi di frutta matura avvertiti all’olfatto, che col passare dei secondi vengono affiancati da spezie (ancora liquirizia e a sorpresa pepe e cannella). La beva è facile, di corpo e rotonda, con tannini morbidi e vellutati che anticipano un finale lungo, sapido e dominato dalla vaniglia.
E’ il perfetto accompagnamento per piatti di carne rossa, selvaggina e cacciagione. Villa Antinori è ottenuto dal mixaggio di una componente di Sangiovese superiore al 55%, seguita dal 25% circa di Cabernet Sauvignon, 15% Merlot e 5% di Syrah. Le uve vengono diraspate e pigiate in maniera soffice, e messe in appositi serbatoi termo condizionati. La fermentazione alcolica è iniziata il giorno dopo la pigiatura ed è durata dai 5 ai 7 giorni. La macerazione, invece, è durata dagli 8 ai 12 giorni.
Le temperature di fermentazione non hanno superato i 28-30 gradi per le uve Cabernet e Sangiovese, favorendo così l’estrazione di colore e tannini dolci. Nel caso del Syrah e del Merlot non si sono mai superati i 25 gradi, per preservare gli aromi. Il vino ottenuto ha svolto la fermentazione malolattica nei mesi di ottobre e novembre, dopodiché è stato introdotto in barriques di rovere francese, ungherese e americano per un periodo di affinamento di 12 mesi. Villa Antinori è stato dunque imbottigliato e affinato per 8 mesi in bottiglia, prima della commercializzazione. Un prodotto che rende grande, anche tra gli scaffali del supermercato, il nome di una famiglia di produttori di vino giunta alla generazione numero 26, attiva ormai da oltre 600 anni.
Da quando, cioè, nel 1385, Giovanni di Pietro Antinori entrò a far parte dell’Arte Fiorentina dei Vinattieri. Il Villa Antinori Rosso Toscana Igt, in particolare, è stato introdotto – come spiega la stessa casa vitivinicola – nel 1928 dal Marchese Niccolò Antinori, padre di Piero Antinori, come il primo Chianti prodotto per essere invecchiato e migliorare nel tempo. Nel 2001, Piero Antinori inaugura una nuova evoluzione del Villa Antinori che diventa un Toscana Igt, prodotto con le migliori selezioni di uve provenienti esclusivamente dalle tenute di proprietà in Toscana. Il disegno dell’etichetta è rimasto invariato dal 1928, leggermente ritoccata con l’annata 1990 e con il 2001″.
Prezzo pieno: 11,99 euro
Acquistato presso: Esselunga
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Profumato, intenso, accattivante. InSogno Bolgheri Doc Rosso 2013 di Podere Guado al Melo è una di quelle bottiglie che non t’aspetti di trovare tra le corsie di un supermercato. Ma che, grazie all’ottimo rapporto qualità prezzo, è bello scoprire e assaporare. Sorprendendosi, su come la qualità dei vini stia crescendo anche tra le corsie dei cosiddetti “discount”. Bolgheri è una denominazione di origine controllata della provincia di Livorno, in Toscana, il cui disciplinare consente il mixaggio tra differenti tipi di uve. InSogno nasce in particolare dal blend tra Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Petit Verdot. Di colore rosso granato, luminoso, si presenta al naso con note accese di frutti di bosco e prugna, molto vinoso.
Al palato è caldo e deciso, corposo, pieno, tannini ben equilibrati. Le note fruttate lasciano volentieri spazio alla liquirizia, al cuoio e al legno. Il meglio deve ancora venire in un finale lungo, gustosamente speziato. L’abbinamento perfetto è quello con le carni rosse, anche al sangue, nonché alla selvaggina, all’agnello e alle grigliate. InSogno Bolgheri Doc Rosso nasce nel pieno della Maremma livornese, più esattamente a Castagneto Carducci. Podere Guado al Melo è una bella realtà guidata da Attilio Scienza, docente di viticoltura all’Università Statale di Milano, assieme al figlio Michele, enologo e biologo. La cantina è completamente immersa nel verde della zona, tra ulivi e arbusti tipici della macchia mediterranea, letteralmente incastonata all’interno di una bassa collina.
Una cantina, dunque, completamente interrata. Che permette di mantenere “in modo naturale e per tutto l’anno un ambiente interno adatto alla conservazione del vino”. Inoltre, vasche interrate permettono di recuperare e riciclare l’acqua piovana dei drenaggi. “Il nome Guado al Melo – si evince dal sito Internet aziendale – è antico: chissà in che epoca, un albero di melo permetteva di identificare il luogo di attraversamento sicuro del torrente Fossa di Bolgheri, che segna il confine Nord del podere. Guado al Melo è in un luogo appartato e silenzioso, circondato dalle colline che disegnano un orizzonte ondulato, immerso nella natura incontaminata dei boschi della macchia mediterranea. Sulle alture spicca il profilo dell’antica Rocca di Castiglioncello di Bolgheri, che con la sue mura di pietra sembra tenerci sospesi in uno spazio fuori dal tempo”. Come vivere inSogno.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(4 / 5)Un vino potente, caldo, asciutto. È il Rosso di Montalcino Doc 2013 della cantina Val di Suga Srl Grezzana, azienda vitivinicola del colosso Bertani Domains Srl (Tenimenti Angelini) che opera appunto anche nel Comune della provincia di Siena dove è consentita da disciplinare la produzione di questo noto vino italiano. Nel calice, il Rosso di Montalcino Val di Suga si presenta di un rosso rubino intenso, con riflessi violacei. Il naso è un incendio: una vera e propria invasione dei tipici sentori del Montalcino. Si avvertono la particolare vena legnosa, nonché i richiami ai piccoli frutti di bosco e alla ciliegia. Timida anche qualche nota di mandorla, che avvolge il naso e smorza piacevolmente gli altri sentori, addolcendo l’esperienza olfattiva. Al palato, il Rosso di Montalcino Val di Suga conferma l’antipasto offerto al naso, proponendosi come uno dei rossi tipici senesi più potenti e di qualità in commercio nella grande distribuzione italiana (leggi qui la recensione di un altro Montalcino). Alla buona tannicità, che fa presagire la possibilità di conservare ancora qualche mese l’annata 2013 senza stapparla, si accostano le note di ciliegia e frutti di bosco e more sotto spirito. Grande corpo, grande equilibrio, grande carattere. Perfetto l’abbinamento con i piatti della tradizione toscana, ma anche a primi piatti con ragù e secondi di carne, bianca e rossa (meglio però il maiale o il vitello).
Il Rosso di Montalcino Val di Suga è uno dei prodotti di punta nella Gdo del gruppo Angelini-Bertani, che in quattro diverse regioni d’Italiana detiene 350 ettari di vigneti per un totale di 500 ettari di terreni. Il giro d’affari nel 2013 ammonta a circa 20 milioni di euro di fatturato tra Belpaese ed estero, con 3 milioni di bottiglie smerciate. Tra gli obiettivi del gruppo Bertani, quello di produrre in Toscana vini con l’utilizzo in purezza del Sangiovese, senza l’utilizzo sempre più frequente di altri uvaggi, su tutti Cabernet e Merlot.
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(3,5 / 5) E’ la curiosità di degustare un altro prodotto bresciano, dopo l’ottima esperienza con il Lugana Valtenesi, che mi ha spinto all’acquisto di un altro vino della stessa cantina: il Chiaretto Valtenesi (Civielle – Cantine della Valtenesi e del Lugana, Moniga del Garda). Si tratta dunque questa volta di un rosato, che come il Lugana sa catturare l’attenzione sugli scaffali del supermercato per il suo colore: un rosso tenue eppure luminoso, che ricorda quello di un petalo di rosa. L’annata che prendiamo in considerazione è la 2014. Il Chiaretto Doc Valtenesi è ottenuto dal blend di Groppello, Marzemino, Sangiovese e Barbera, uvaggi che nella zona del Lago di Garda hanno trovato terreno fertile dove sviluppare caratteristiche uniche rispetto al resto del panorama enologico nazionale, grazie alla conformazione morenica delle colline su cui crescono i vigneti e a un miocroclima ideale. Risulta così al naso un bouquet primaverile ed equilibrato, con punte vinose (tutt’altro che fastidiose o insistenti) certamente conferite dall’utlizzo del Barbera. Interessanti le note di fragola, chiaramente percepibili sia al naso sia, successivamente, al palato. Evidenti anche le note profumate di piccoli frutti a bacca rossa. Al palato, il Chiaretto Valtenesi è ancora più complesso e riserva la sorpresa di un finale carico, lungo, reso ancora più caratteristico dai sentori di lime e bucce d’uva, oltre che dall’apporto immancabile e distinto del Sangiovese.
Perfetto l’abbinamento con piatti di pesce di lago e di mare, verdure, antipasti e carni bianche: piatti leggeri, insomma, estivi. Non a caso, dunque, il Chiaretto fu uno dei primi vini a ottenere in Italia la Denominazione di Origine Controllata, già nel luglio 1967. Un vino che affonda le sue radici nel territorio lacustre della provincia di Brescia, la cui tecnica di vinificazione fu messa nero su bianco già nell’Ottocento dal senatore veneziano Pompeo Molmenti, residente a Moniga del Garda. E’ la cosiddetta tecnica della ‘levata di cappello’, che consiste nel separare – a poche ore dalla soffice pigiatura delle uve – il mosto dalle bucce. Si tratta di un’operazione molto complessa e che richiede grande esperienza da parte dei vinificatori locali, in quanto la scelta del momento esatto per dividere mosto e bucce determina la corretta colorazione del vino e la tenuta stessa del colore del miglior Chiaretto, una volta imbottigliato. Tecnica che conoscono bene gli 80 soci della Valtenesi, che tengono alta anche nella grande distribuzione italiana, la bandiera dei vini di qualità.
Prezzo pieno: 6,99 euro
Acquistato presso: Il Gigante
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(5 / 5) Astenersi indecisi. Dovrebbe esserci scritto così, a caratteri cubitali, sull’etichetta frontale di Ziggurat Montefalco rosso 2009 delle Tenute Lunelli. Già, perché questo vino è un’esplosione. Di potenza. Di gusto. Di carattere. Roba da palati forti. In questa bottiglia, la potenza del rosso di Montefalco – il Sagrantino – incontra il Sangiovese e la sua eleganza. Ciò che ne scaturisce è un vino di grandissima forza. Speziato. Infuocato. E non è un eufemismo.
Potrebbero trarre in inganno, infatti, i 13.5 gradi che farebbero pensare a una predominanza organolettica del Sangiovese sul Montefalco, vino che raggiuge (e supera) anche i 15 gradi, in alcune delle sue più grandi espressioni. Ziggurat Lunelli è la rappresentazione liquida delle monumentali costruzioni dell’epoca mesopotamica: gli “ziqqurat”, che come le piramidi poggiavano su una base ampia, affusolandosi verso il cielo. Così come questo vino inizia ampio e caldo, per raggiungere “punte” di grande carattere nel finale, in un concerto speziato e balsamico che conferisce all’assaggio immensa eleganza. Si abbina alla perfezione con le carni rosse poco cotte e con i piatti della tradizione toscana, nonché con la selvaggina.
Entrando nelle specifiche tecniche, Ziggurat è un blend così composto: Sangiovese 70%, Sagrantino 15%, Cabernet e Merlot 15%. La raccolta avviene in maniera manuale, tra i mesi di settembre e ottobre, nei vigneti di proprietà della famiglia Lunelli, a Montefalco e Bevagna, in Umbria, più esattamente in provincia di Perugia. Si tratta di terreni di composizione limoso -argillosa, dotati di una buona potenzialità agronomica, ben strutturati e resistenti alla siccità estiva. La macerazione si protrae per una ventina di giorni, con una prima fase compiuta a freddo, alla temperatura di 12 gradi, per 20 ore, per poi proseguire a 26- 28 gradi in botti di acciaio. Evidente, all’assaggio, come Ziggurat abbia subito anche una fase di maturazione (12 mesi in barrique da 225 e tonneaux da 500 litri) e almeno 6 mesi in bottiglia. Un vino sontuoso, che si presta anche a un ulteriore invecchiamento in bottiglia.
Prezzo pieno: 8,99 euro Acquistato presso: Il Gigante
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