(5 / 5) Una “vecchia” annata a scaffale, che si rivela un grande assaggio. Sotto la lente di Vinialsuper, il Rosso di Montalcino Doc 2013 di Villa Poggio Salvi. Un’etichetta dall’ottimo rapporto qualità prezzo, presente nei supermercati Il Gigante. diffusi nel Nord Italia. Una vera e propria “chicca”, prodotta in sole 18 mila bottiglie.
LA DEGUSTAZIONE
Splendido il colore con cui si presenta il vino nel calice. Un rosso rubino intenso e luminoso, di per sé invitante: la prova – ancor prima dell’assaggio – che il vino ha retto bene nel tempo, anche se conservato al supermercato (non credete a chi vi dice che questo non avviene).
Convince anche l’analisi olfattiva. Un rosso di Montalcino molto profumato, quello di Poggio Salvi. Al bouquet floreale, con richiami netti alla rosa, si affiancano richiami netti di frutta rossa polposa, a perfetta maturazione.
Non mancano echi leggermente speziati e ricordi di macchia mediterranea. Perfetta la corrispondenza gusto olfattiva, rinvigorita da una buona freschezza e da un tannino presente, ma molto elegante. Al corredo si aggiunge una vena salina che contribuisce a rendere la beva instancabile. Buona la persistenza.
Il Rosso di Montalcino 2013 di Poggio Salvi è perfetto per accompagnare pasti a base di carne rossa e bianca. Accompagna bene dai primi ai formaggi semistagionati, passando per secondi importanti come gli arrosti. Importante la temperatura di servizio, compresa fra i 16 e i 18 gradi per un consumo ottimale.
LA VINIFICAZIONE
Si tratta di un’etichetta ottenuta da uve Sangiovese grosso, le stesse utilizzate per la produzione del Brunello. L’età dei vigneti varia dai 5 ai 20 anni, a un’altitudine di 350-500 metri, con esposizione Sud-Ovest. La forma di allevamento è il cordone speronato, con densità d’impianto di 5 mila piante per ettaro.
La vendemmia, nel 2013, ha avuto inizio nella prima decade di settembre ed è stata condotta a mano, in cassette. La vinificazione è avvenuta in vasche di acciaio termo-condizionate, a 28-30 gradi. Si è protratta per 12-14 giorni. Fondamentali le continue follature del cappello, grazie a un sistema automatico a pistoni.
Il futuro Rosso di Montalcino Villa Poggio Salvi è maturato 12 mesi in botti di rovere di Slavonia da 30, 60 e 100 ettolitri. L’affinamento in bottiglia è risultato di minimo 2 mesi, prima della commercializzazione.
Quanto all’andamento stagionale, il 2013 è stato un anno molto particolare dal punto di vista climatico. Inverno con temperature nella media, primavera piovosa, estate con pochi picchi di caldo e molte piogge fino a metà agosto.
Settembre perfetto che ha portato ad un annata molto interessante, con uve di ottima struttura e belle acidità. La raccolta è avvenuta con 10 giorni di ritardo rispetto alle medie degli ultimi anni.
Prezzo pieno: 12,90 euro Acquistabile presso: Il Gigante
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
gianni maccari valter peretti tenuta ridolfi montalcino 1
MONTALCINO – Poteva fare il dandy col Prosecco, mettendo il piede fuori di casa. Ma voleva “un territorio puro”. Lontano dalle mode, dai disciplinari dettati dal mercato. Un “brand del vino italiano ancora spendibile”. Con queste premesse non potevano che incontrarsi Giuseppe Valter Peretti e Montalcino. Tenuta Ridolfi, acquistata nel 2011 dal noto imprenditore veneto, titolare della “Conceria Cristina” di Montebello vicentino (VI), è per lui “molto più di una questione di business”.
È il sogno che ha voluto cucirsi addosso. Iniziando a ritagliarne i contorni da più lontano. Proprio come farebbe un sarto. Nel 1992 Peretti sbarca a Larciano, in provincia di Pistoia. Ulivi e qualche ettaro di vigna da Chianti servono a prendere le misure al Brunello. Di lì a 20 anni, “zac”. Il percorso si compie.
A Montalcino, Peretti conosce Gianni Maccari (nella foto sopra) attuale factotum di Tenuta Ridolfi. Uno a cui dare in mano le chiavi del sogno, viste le precedenti collaborazioni con aziende del calibro di Poggio di Sotto, uno dei gioielli di ColleMassari Wine Estates.
Ingenti investimenti sul fronte della tecnologia, sia in vigneto sia in cantina, consentono a Ridolfi di entrare nell’olimpo dei grandi di Montalcino. Oggi la tenuta di Località Mercatali conta 21 ettari, tutti certificati biologici: 13,4 a Brunello di Montalcino, 1 ettaro a Rosso di Montalcino e il resto a Chianti, per ora non prodotto.
Tra le novità introdotte in seguito all’acquisizione dei terreni, un’attenzione green per la produzione, grazie al solo utilizzo di rame e zolfo e di tecniche come la confusione sessuale per contrastare la tignola e il sovescio per riequilibrare la fertilità del terreno.
Pratiche imitate in seguito dalle aziende circostanti Tenuta Ridolfi, tanto da creare un polmone verde nell’areale nord est di Montalcino. L’ottima materia prima, vendemmiata a mano, viene condotta in cantina e selezionata acino per acino, grazie a sofisticati macchinari dotati di selettori ottici.
Diverse le tipologie di legno presenti nella bottaia, che presto sarà ampliata per far spazio a numerose barrique. Una parte integrante della visione del Brunello di Giuseppe Valter Peretti e necessarie, in particolare, per la produzione del “Donna Rebecca”, l’unicum della cantina.
LA DEGUSTAZIONE
Vino Spumante Rosé Brut, Tenuta Ridolfi: 90/100
Numeri in crescita di anno in anno per il Metodo Martinotti (Charmat) di casa Ridolfi. Quest’anno saranno 12 mila le bottiglie, duemila in più della vendemmia 2018, in degustazione. Aumentano anche i mesi di autoclave, da una base iniziale di tre, nel 2016, fino ai 6 dello spumante 2019, in commercio dal prossimo anno.
Uno sparkling ottenuto da uve Sangiovese in purezza, raccolte tramite diradamento delle vigne del Brunello e del Rosso. Molto profumato al naso, tra fiori freschi e frutta rossa, convince ancor più al palato con le sue note precise ed invitanti di ciliegia, lamponi e fragoline.
Non manca una leggera vena minerale, che racconta la presenza di calcare e fossili nei terreni della tenuta. Un Brut da 10 grammi litri di residuo, perfettamente integrati nel sorso. La prova provata che il Sangiovese si può spumantizzare con ottimi risultati (in questo caso in un’azienda di Ravenna, la CPS), come stanno facendo ormai diverse aziende toscane.
Rosso di Montalcino Doc 2016, Tenuta Ridolfi: 93/100
Vino in stato di grazia, specie in una batteria di Brunelli da annata certamente non semplice, come la 2014. Un vino giocato su finezza ed eleganza, col vitigno in prima linea. Rosso rubino di buona luminosità e trasparenza, alla vista.
Al naso molto tipico e fragrante. Ha bisogno di qualche minuto per liberare completamente tutto il ventaglio di profumi: alle note nette di ciliegia e lampone si accostano ricordi di macchia mediterranea, balsamicità, liquirizia e una leggera vena speziata.
Anche in bocca questo Rosso guadagna consistenza e carattere col passare dei minuti. I precisi e croccanti sentori di frutta rossa si legano a una gran freschezza che rende il sorso dinamico, piacevole e di ottima lunghezza.
Brunello di Montalcino Docg 2014, Tenuta Ridolfi: 92/100 Trentasei mesi in botti di rovere di Slavonia da 25 a 35 ettolitri, più un 3% della massa che affina in barrique. Prima della commercializzazione, minimo 12 mesi di riposo in bottiglia. Vino importante e corposo, come nelle attese.
Le lunghe macerazioni e i continui rimontaggi del mosto in acciaio regalano un’estrazione esemplare dei primari del Sangiovese. La leggera ma presente nota vanigliata, specie in chiusura, imbriglia croccantezza del frutto e mineralità, regalando un sorso incentrato su equilibrio e piacevolezza.
Brunello di Montalcuno Docg 2014 “Donna Rebecca”, Tenuta Ridolfi: 91/100
Vino tecnicamente ineccepibile, nel solco dello stile chiesto da Giuseppe Valter Peretti al winemaker Gianni Maccari. Si tratta della “chicca” di Tenuta Ridolfi, prodotta nel 2014 in sole 1.800 bottiglie, in pieno stile borgognone. Un vino pensato per elevare, all’ennesima potenza, l’internazionalità del Sangiovese toscano.
La vinificazione avviene interamente in barrique della Tonnellerie Baron, con fermentazione e macerazione della durata di 90 giorni a temperatura controllata di 26 gradi. Fondamentali i batonnage giornalieri, tramite rotazione dei piccoli contenitori di legno, come vuole la tradizione borgognotta.
Ne risulta un Brunello fuori dagli schemi della Denominazione. Morbidezza e note conferite dal legno dominano un sorso che mostra comunque una buona spalla acida, capace di garantire freschezza ed equilibrio alla beva. Il sorso è suadente, setoso e spiccatamente femminile.
Brunello di Montalcino Docg Riserva 2016, Tenuta Ridolfi: 95/100
Assaggio da botte e non può che essere così, dal momento che il vino sarà in commercio non prima di gennaio 2021, per via del disciplinare di produzione che impone cinque anni di affinamento per la Riserva, uno in più del tradizionale Brunello.
Strepitose le attese: frutto, materia, tannino estremamente elegante e legame col territorio all’ennesima potenza. Il vino che, al momento, sembra esprimere più di tutti le potenzialità di Tenuta Ridolfi a Montalcino.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
“Dovete venire a vedere questo”. Cercavano il colpo di fulmine nelle campagne romagnole, i fratelli Aldo e Paolo Rametta. Quello che, di lì a poco, sarebbe divenuto Poggio della Dogana, si è materializzato all’improvviso. Come un miraggio quel cascinale in vendita a Castrocaro Terme e Terra del Sole (FC), circondato dai vigneti. “Amore a prima vista”, per dare vita alla liaison col Sangiovese di Romagna.
“Molto più di una scelta di business”, assicurano i due imprenditori del settore delle energie rinnovabili, che per la loro avventura nel mondo del vino – iniziata 4 anni fa – possono contare sui due soci Cristiano Vitali ed Emanuele Coveri.
In cantina l’enologo Francesco Bordini, uno che al Sangiovese dà del tu, intenzionato a dare un’impronta “naturale” a tutta la produzione: “Lieviti indigeni e fermentazioni spontanee sono le due novità che, pian piano, introdurremmo su tutta la produzione”, annuncia il winemaker a WineMag.it.
La Romagna è il territorio più a nord dove si produce Sangiovese – spiega Bordini – aspetto importante nell’ambito dei cambiamenti climatici. Inoltre, l’individuazione di 12 sottozone, indicabili in etichetta, costituiscono un ulteriore elemento di valorizzazione delle singole peculiarità del terreno, nonché del vitigno”.
L’occasione per scoprire i vini di Poggio alla Dogana è stata ieri, al ristorante Moebius di Milano. Lo chef Enrico Croatti, romagnolo, li ha già scelti per la sua carta dei vini. E ha pensato a un menu ad hoc, in abbinamento.
LA DEGUSTAZIONE
Romagna Doc Sangiovese Superiore 2018 “I Quattro Bastioni”: 92/100
Vino esemplare per la filosofia della cantina. Tutta la succosità del Sangiovese in un calice che esalta l’essenzialità del frutto e, al contempo, il terroir dello “spungone” romagnolo, antica formazione rocciosa “col mare dentro“, che conferisce mineralità ai rossi della zona. Beva facile, ma tutt’altro che banale. Un biglietto da visita di carta patinata.
Romagna Doc Sangiovese Castrocaro e Terre del Sole 2017 “Santa Reparata”: 90/100
Vino che si presenta di un colore più carico e impenetrabile del precedente. Più materia e polpa, sia al naso sia al palato. Un Sangiovese gastronomico, che sfodera un tannino di cacao e una freschezza viva, tali da consentire di osare con piatti strutturati e relativamente grassi, nell’abbinamento a tavola.
Romagna Doc Sangiovese Superiore Riserva 2017 “Poggiogirato”: 87/100
Prima bottiglia sfortunata, si passa alla seconda: meglio, ma l’utilizzo di lieviti indigeni stressa ancor più la gioventù del vino, esaperandone le asperità. “Poggiogirato” ha ancora bisogno di bottiglia per trovare il perfetto equilibrio.
Le zaffate di zolfo iniziali si disperdono con l’ossigenazione, ma il carattere selvatico del Sangiovese romagnolo permane. In bocca il vino si conferma scalpitante come un puledro. Etichetta da attendere ancora.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
È una sorta di preludio al celebre Sassicaia, il Toscana Igt 2017 “Le Difese” di Tenuta San Guido. Un entry level che evidenzia le grandi attitudini bordolesi del territorio di Bolgheri, in una veste adatta a molti palati.
Ottenuto da un 70% Cabernet Sauvignon e un 30 % Sangiovese, “Le Difese” – in vendita anche al supermercato, nelle vetrine “chiuse a chiave” dei punti vendita più forniti e all’avanguardia – convince per l’ottimo rapporto qualità prezzo.
LA DEGUSTAZIONE
Alla vista si presenta di un rubino luminoso, trasparente. Naso di buona intensità e finezza, che si evolve bene con l’ossigenazione, senza snaturarsi. Frutti rossi come il ribes, ma anche neri come la mora selvatica.
Il sottofondo rivela un utilizzo non invasivo del legno, suggerito da richiami leggeri di vaniglia. Vi si elevano ricordi di macchia mediterranea, come rosmarino e alloro. Non mancano richiami floreali alla viola e alla rosa, accenni alla liquirizia nera e leggeri sbuffi pepati.
Ingresso di bocca su una buona struttura, costruita da un’ossatura fresca e sapida che accompagna il sorso sino a una chiusura asciutta, di buona persistenza anche se non di grandissima complessità. Il centro bocca è dominato dalla frutta. Questo il momento in cui calice trova la perfetta corrispondenza gusto olfattiva.
Tannini fini e distesi, anche se non del tutto addomesticati, rendono il sorso setoso, senza rinunciare a un minimo di “graffio”, che torna utile nel pairing. Perfetto l’abbinamento con i piatti a base di carne, meglio se alla griglia. “Le Difese” 2017 non disdegna la selvaggina o i formaggi saporiti, specie se ben stagionati.
LA VINIFICAZIONE Prodotto per la prima volta nel 2002, “Le Difese” 2017 di Tenuta San Guido è figlio di un’annata giudicata “molto particolare” dagli agronomi ed enologi di Bolgheri. Una delle più siccitose, dopo la 2003.
A mitigarla, le brezze marine diurne, alternate alle brezze di terra notturne, che hanno dato refrigerio ai vigneti, evitando alle piante di andare in “stress”. L’andamento climatico ha influito negativamente sulle rese, mediamente più basse del 20% rispetto ad un’annata normale, ma non sulla qualità dei mosti.
In particolare, i terreni su cui insistono i vigneti destinati a “Le Difese” registrano una forte presenza di zone calcaree, ricche di galestro e di sassi, solo parzialmente argillosi. Si trovano a un’altitudine compresa fra i 100 e i 300 metri sul mare, con esposizione a Sud / Sud-Ovest.
Il sistema di allevamento è il cordone speronato, con una densità d’impianto che varia da 5.500 a 6.250 ceppi per ettaro. La vinificazione prevede innanzitutto una attenta selezione dei grappoli, tramite tavolo di cernita.
Pressatura e diraspatura soffice delle uve anticipano la fermentazione in tini di acciaio inox, a temperatura controllata (29-30°C) senza aggiunta di lieviti selezionati. Segue una macerazione sulle bucce per 10-13 giorni per il Cabernet Sauvignon e per circa 13-15 giorni per il Sangiovese.
Fondamentali le successive fasi di rimontaggio e deléstage, volti ad ammorbidire i tannini. Anche la fermentazione malolattica viene svolta in acciaio. Una volta terminata, il vino atto a divenire “Le Difese” affinata per circa 8 mesi in barrique di rovere.
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Sette vini della Romagna da scoprire nelle Terre dello Spungone 43
Bertinoro, Predappio, Meldola, Castrocaro Terme e Terra del Sole. Centri nevralgici della “Romagna da mangiare” e “da bere”. Con la loro gastronomia e i loro vini “lenti”. Così lontani dalla frenesia della Riviera. Eppure così vicini al mare, semplicemente perché ce l’hanno dentro. O, meglio, sotto. Si chiama “Spungone” la formazione rocciosa composta da conchiglie e fossili presente nei vigneti situati fra il torrente Marzeno, nel Comune di Brisighella (RA), e Capocolle, frazione di Bertinoro (FC).
La parola d’ordine, nel calice, è “mineralità“. Una qualità dibattuta tra gli esperti, a colpi di ricerche e contro ricerche, più o meno scientifiche, volte a identificarne l’essenza. Fatto sta che i vini delle “Terre dello Spungone” risultano spesso rispondenti alla percezione di pietra bagnata e “zolfo”.
L’autoctona Albana – prima Docg a bacca bianca d’Italia, nel 1987 – e il rosso Sangiovese, presente con alcuni biotipi come quello di Predappio, sono accomunati anche da un’acidità piuttosto marcata. Caratteristiche legate proprio alla presenza di questa formazione, di natura calcarea.
In alcuni punti, lo spungone riaffiora dal terreno come uno scoglio. In altri si mescola alla terra, ormai polveroso, rivelando la sua natura friabile. Sopra a veri e propri “atolli” di spungone sorgono alcune tra le rocche più belle d’Italia.
Spettacolare, oltre alla nota Rocca di Bertinoro (sede del Museo Interreligioso), la Fortezza di Castrocaro, patrimonio comunale e “casa museo” allestita e gestita dallo studioso Elio Caruso. All’interno, ci si può immergere tra le pareti verticali di spungone: un’area che sarà inaugurate a breve, diventando accessibile al pubblico.
Eppure sono solo 7 mila i visitatori che ogni anno scelgono come meta la Fortezza di Castrocaro, a fronte dei 40 mila attesi dopo la ristrutturazione, avvenuta nei primi anni Duemila. “L’idea di dare lavoro ad alcuni giovani del posto è naufragata”, ammette Caruso.
Un progetto di valorizzazione che non è stato abbandonato, nel rispetto di un edificio costruito prima dell’anno Mille e ultimato in circa 700 anni. Un’eternità. C’è ancora tempo, insomma, prima di dare per persa la battaglia col turismo, dopo anni di incuria che hanno risparmiato una buona parte dell’imponente fortificazione.
A dare fiducia è l’imminente aggiunta del Comune sparso di Castrocaro Terme e Terre del Sole tra le tappe della Via Romea Germanica, tra i più suggestivi pellegrinaggi d’Europa, pensato alla fine del 1200 dall’Abate Alberto del Monastero Benedettino della Santa Vergine Maria di Stade, in Germania, che lo descrive in un’opera.
Ad annunciarlo è Vanessa Petruzzi, Tourism promotion Sales manager dell’ente romagnolo, che potrà così contare presto su un’altra gemma, da affiancare allo stabilimento termale oggetto di un imponente ampliamento e ammodernamento, proprio negli ultimi mesi.
Nelle “Terre dello Spungone”, vino, gastronomia e benessere fanno rima anche con la mobilità sostenibile, legata alla bicicletta. Lo sa bene Luigi Barillari. Col suo “Bike To” (www.biketo.it) si percorre in sella alle e-bike, le biciclette con la pedalata assistita, il Parco fluviale “Giovanni Falcone” di Castrocaro, lungo le sponde del Montone.
I quattro chilometri e mezzo di sentiero – “quasi tutto in pianura”, rassicura la guida – sono una perla per chi ama la natura. Per i più temerari la possibilità di raggiungere Forlì, proseguendo per altri 10 chilometri. In progetto per il futuro il collegamento del Parco fluviale di Castrocaro con Cervia, vera e propria porta verso Venezia.
Stratificata anche l’offerta della ristorazione nelle “Terre dello Spungone”. Per gli appassionati del buon vino o per chi è a caccia del selfie da incorniciare, magari al tramonto, la scelta non può che ricadere sul “balcone della Romagna” di Ca’ de Be, nel cuore di Bertinoro.
Il ristorante è accessibile dalla piazza che ospita la Colonna delle Anella, sede delle celebrazioni del Rito dell’Accoglienza, vera e propria parola d’ordine in tutta la regione del centro Italia.
E Ca’ de Be è solo uno dei progetti di “accoglienza enogastronomica” di Simone Rosetti, owner e sommelier di questo vero e proprio “place to be” romagnolo, per la cura della materia prima (farina da grano locale per la piadina e verdure dell’orto privato) oltre che per la location romantica, simbolica e rigenerante.
Stuzzicante e al limite del provocatorio, sempre a Bertinoro, la cucina dello chef Edoardo Zamagni a “La Svineria“, l’enoristorante di Lorenzo Rossi, ai piedi della salita che porta alla piazza principale del paese.
Ottima anche qui la materia prima, non sempre locale ma di certo selezionatissima. La affianca una carta dei vini di tutto rispetto, che spazia dalle vere e proprie eccellenze romagnole (con attenzione alle cantine di Bertinoro) a quelle nazionali, con particolare predilezione per i rossi della Toscana e del Piemonte.
Un tentativo, quello del giovane imprenditore e dell’altrettanto giovane chef, di alzare l’asticella in una Bertinoro che vive ancora di piatti (e impiattamenti) tradizionali e tradizionalisti. Un tocco di modernità distintiva, tutt’altro che pacchiana. Un “esperimento” da incoraggiare.
Più casereccia, ma proprio per questo meritevole di essere testata, la cucina della Vecia Cantena d’la Prè, a Predappio: tappa fondamentale dopo la visita alla casa diMussolini, costruita appunto con lo spungone, e agli edifici che trasudano Razionalismo.
Qui il must – oltre alla visita delle cantine storiche che si dipanano nei sotterranei – è l’assaggio del Formaggio della Solfatara di Predappio Alta, destinato a diventare quantomeno De.Co. (Denominazione comunale).
A prepararne tra i 5 e i 6 quintali ogni anno è la Pro Loco locale, che si occupa dell’affinamento delle forme da 1,2 chilogrammi, nella cava di zolfo ormai in disuso a Predappio Alta.
La stessa solfatara ogni anno, sin dal 1982, diventa teatro di uno dei presepi più grandi della Romagna. Un altro motivo di attrattiva turistica, dal momento che i presepisti chiamati all’allestimento godono di grande fama. Il presepe 2019 sarà a cura di Andrea Fontana, artista “autoctono”, originario di Lugo di Romagna (RA).
Arte che diventa intrattenimento, sempre nelle “Terre dello Spungone”, a Meldola. Il paesino, caratterizzato dal bel Loggiato Aldobrandini, di epoca rinascimentale, sembra indicare la via per il Teatro Dragoni. Trecento posti a sedere e un loggione da 30 posti, spesso occupati con facilità, grazie a spettacoli dialettali e a una stagione che ha visto, negli anni, salire sul palco interpreti come Gaber.
Accanto al teatro, lungo la salita che conduce alla Rocca di Meldola, l’Arena Hesperia, costruita nel XIX secolo e oggi sede del Museo del Baco da seta “Ciro Ronchi”: “Le filande erano fiorenti e numerose – spiega il direttore Luciano Ravaglioli – e Meldola è l’unico Comune che vanta una razza di baco, che porta lo stesso nome, come testimonia la Stazione Bacologia di Padova”.
Sempre a Meldola, da non perdere il Museo dell’Ecologia diretto dallo studioso Giancarlo Tedaldi nella Chiesa sconsacrata della Madonna del Sasso. Un percorso ideale nella Romagna della biodiversità, con interessanti reperti storici e la presenza di animali imbalsamati, testimoni fedeli della fauna locale.
SETTE VINI DA NON PERDERE NELLE “TERRE DELLO SPUNGONE”
Romagna Doc Sangiovese Superiore Riserva 2016 Predappio di Predappio “Vigna del Generale”, Fattoria Nicolucci: 94/100
In assoluto il miglior Sangiovese degustato in tre giorni di tour nelle “Terre dello Spungone”. Un vino, questo di Alessandro Nicolucci (10 ettari totali per 90 mila bottiglie complessive) che ha tutto per competere a livello nazionale e internazionale con i grandi rossi.
Colore rosso rubino carico, mediamente trasparente. Frutto di grandissima precisione, con ricordi particolari di ribes, lampone. Accenni di inchiostro, riscontrabili anche in grandi Sangiovesi toscani, e richiami all’arancia sanguinella, succosa, matura. Leggera speziatura nera.
Al palato, oltre alla perfetta corrispondenza, il cru di Nicolucci rivela gran complessità, grazie a un utilizzo maestoso del legno e a una freschezza rigenerante. Tannino elegantissimo ma presente coi suoi rintocchi sabbiosi. Poi liquirizia e un accenno leggero di cuoio. In chiusura le erbe aromatiche e una vena sapidità che chiama il sorso successivo.
Romagna Doc Sangiovese Riserva Bertinoro 2014 “P. Honorii”, Tenuta La Viola: 92/100 Splendida esecuzione di Sangiovese romagnolo in un’annata non semplice. Una di quelle in cui i vignaioli hanno però occasione di dimostrare di che pasta sono fatti. Sorprendente l’equilibrato tra la componente fresca e la totale ed assoluta godibilità succosa del frutto, a sua volta colto nella sua piena ma perfetta maturità, senza la minima sbavatura.
Leggerissimo accenno selvatico che porta ancora una volta il confronto su toni alti, coi vicini della Toscana. Non manca il cuoio. Sempre al naso, la balsamicità data mentuccia e macchia mediterranea.
Corrispondenza perfetta per un palato che gode di una gran freschezza, di un tannino elegante e di prospettiva, che si diverte a fare da contraltare a un frutto di gran concentrazione. Lungo e fresco anche il finale, su accenni di macchia mediterranea e iodio.
Romagna Doc Sangiovese Superiore 2017 “Il Prugnolo”, Tenuta Villa Trentola: 91/100
Austero, “territoriale”, ha bisogno di tempo per aprirsi. Concederglielo è un dovere, perché poi lo fa benissimo e diventa uno splendore. Mora, ma ancor più lampone, oltre ad accenni precisi all’arancia sanguinella. In bocca, più che sul frutto, è un Sangiovese giocato sulle durezze, spiegate da un tannino elegante, che parla di prospettive future ottime. Non ne risente al momento la bevibilità, che non potrà che divenire sempre più agile col passare dei mesi.
Romagna Doc Sangiovese Predappio 2017 “Notturno”, Drei Donà: 90/100 Classico rubino mediamente trasparente. Frutto rosso di gran precisione: ribes e fragoline di bosco. Naso che gioca soprattutto su una gran profondità, su note di erbe aromatiche, timo, mentuccia e accenni di spezia nera.
In bocca una gran concentrazione e un tannino che, pur essendo ancora in fase di integrazione, si mostra in cravatta, su note di cioccolato. Corrispondente al palato, dove convince per la grandissima freschezza e parla ancora di una buona prospettiva futura.
Romagna Doc Sangiovese Superiore 2017 “Girapoggio”, Bissoni: 88/100 Avete presente l’estate e quella voglia che ogni tanto t’assale di versarti un rosso fresco “da frigorifero”, che sappia dissetare e, al contempo, far sorridere dalla gioia? Eccolo.
“Girapoggio” è il classico vino che gioca con lo spazio: largo, per la componente data della frutta matura (lampone nettissimo, succoso), ma al contempo profondo al naso, con richiami di macchia mediterranea e spezia.
In bocca l’ingresso è morbido, ancora una volta largo, “piacione” e “femminile” per certi suoi versi sinuosi. Splendido appunto se servito con qualche grado in meno rispetto a quelli canonici per il vino rosso da uve Sangiovese.
Romagna Albana Docg 2018 “Frangipane”, Tenuta La Viola: 87/100
Giallo paglierino acceso. Biancospino netto, salvia, ma naso in generale non esplosivo o particolarmente generoso. La componente fruttata ricorda il melone giallo, giustamente maturo.
Il nettare poi si scalda e dà il meglio di sé. In bocca gran bella freschezza e verticalità. Chiusura che la alleggerisce, senza snaturarla, sempre sul frutto giustamente maturo (pesca gialla). Chiusura asciutta, pulita.
Pagadebit di Romagna Doc 2018 “San Pascasio”, Campodelsole: 86/100
Buona prova sulla Denominazione Pagadebit di questo colosso da 700 mila bottiglie che opera principalmente nella Grande distribuzione, con catene come Esselunga. Il Pagabebit di Campodelsole piace per la sua estrema godibilità, specie alla corretta temperatura di servizio. Il classico vino capace di chiamare il sorso successivo, in maniera “compulsiva”: semplice, beverino ma non banale. Ben fatto.
Giallo paglierino leggermente velato e naso di biancospino, con predominanza minerale. Accenni di nocciola tostata. La componente fruttata si decide su trame esotiche. In bocca sorprende per la gran sapidità e freschezza: caratteristiche che riescono a compensare molto bene (e a riequilibrare) la maturità “morbida” del frutto.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Monteregio di Massa Marittima Doc 2012 Scarilius La Pierotta
Dimostra una buona longevità “Scarilius” 2012 dell’Azienda agricola La Pierotta. Un Sangiovese in purezza prodotto in Maremma, sotto l’egida della Doc Monteregio di Massa Marittima. Una Denominazione ancora piuttosto sconosciuta, tra quelle toscane che ricadono nella provincia di Grosseto.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, “Scariulius” 2012 si presenta di un rosso rubino con unghia granata. Chiara, al naso, l’impronta di un Sangiovese con qualche anno sulle spalle, ma ancora vivo e scalpitante. La percentuale d’alcol in volume (14%) si fa sentire senza disturbare troppo, come componente volatile.
Aiuta, anzi, l’espressione piena del frutto, a bacca nera: mora matura, in particolare. Poi richiami floreali di viola e terziari dettati dall’affinamento in legno di “Scarilius” (cuoio e tabacco dolce), oltre ad accenni leggeri di ‘selvatico’, macchia mediterranea e spezia, che rendono ancora più complesso il quadro.
L’ingresso in bocca è potente, sulla scorta dell’alcol già avvertito al naso. Ottima la corrispondenza gusto olfattiva, su tinte di frutti di bosco ed erbe come il timo e il rosmarino. Centro bocca piuttosto morbido, su tannini eleganti e ben integrati, che giocano con una bella venatura fresca.
Chiusura leggermente mentolata e persistenza più che sufficiente, su ritorni di caffè e liquirizia. Perfetto a tutto pasto, se la scelta ricade sulle carni: antipasti, primi dai ricchi ragù e secondi, senza disdegnare la selvaggina. Ottimo il rapporto qualità prezzo di questa etichetta di punta dell’Azienda agricola La Pierotta.
LA VINIFICAZIONE
Il Monteregio di Massa Marittima Doc 2012 “Scarilius” è ottenuto mediante vinificazione tradizionale in rosso. La fermentazione, con macerazione delle vinacce, avviene in vasche di cemento vetrificato. La maturazione, per 12 mesi, è affidata a barrique di rovere francese.
L’affinamento si prolunga per 6 mesi, in bottiglia, prima della commercializzazione. L’Azienda Agricola La Pierotta è situata ai piedi di Monte d’Alma, sul versante nord della provincia di Grosseto, nel cuore dell’Alta Maremma Toscana.
La famiglia Rustici vanta oltre 30 anni di esperienza nella zona. Quindici gli ettari di terreno complessivi, tredici dei quali coltivati a vigneto, con una produzione di circa ottocento ettolitri di vino all’anno.
A Sangiovese, Ciliegiolo e Vermentino si affiancano Sirah, Cabernet Sauvignon e Merlot. Completano l’offerta le Grappe ed una produzione di Olio Extravergine di Oliva di qualità.
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Ebbene sì. Il vino rosato “invecchia” e lo fa benissimo se si tratta del Toscana Igt “Operandi” di Piandaccoli. La vendemmia 2016 di questo rosato da uve Sangiovese offre il meglio di sé, nel 2019. Provare per credere.
LA DEGUSTAZIONE Un vino invitante già dal colore: buccia di cipolla luminoso, con riflessi aranciati, che non cade affatto nei facili richiami delle sirene provenzali e commerciali. Al naso è intenso e piuttosto complesso, nel susseguirsi tra note precisissime di piccoli frutti a bacca rossa e nera, macchia mediterranea ed agrumi (arancio e buccia di lime).
Il vitigno e le sue caratteristiche risultano preponderanti al palato, segno di una lavorazione più che mai rispettosa del varietale. Un altro punto in più, in un mondo di rosati slavati e uniformati. Già, perché quella dei rosati, in Italia, è una professione. Mica un hobby.
E allora ecco la bocca riempirsi del rosso Sangiovese a tutti noto, in tutti i suoi risvolti. Compresi i tannini, che si avvertono ancora pur essendo perfettamente integrati al resto dei descrittori.
Quanto al corredo di “Operandi”, ancora agrumi, frutta rossa, macchia mediterranea e una gran freschezza, impreziosita da una chiusura tra l’agrumato, il frutto rosso e lo speziato finissimo. Non manca la sapidità.
Una nota iodica che si avverte chiaramente nei Chianti di Piandaccoli, realtà toscana guidata da un imprenditore illuminato come Giampaolo Bruni, che può contare su un parco vigneti invidiabile dal punto di vista vocazionale e qualitativo, oltre che su evidenti abilità enologiche in cantina.
LA VINIFICAZIONE
Uve Sangiovese grosso in purezza per il rosato “Operandi” 2016, frutto dell’assemblaggio dei vignetiFattoria e Pozzo. La vinificazione avviene in maniera piuttosto classica, con breve contatto sulle bucce, affinamento in acciaio di 12 mesi e ulteriore maturazione in vetro di 4 mesi, prima della commercializzazione. Solo 4 mila le bottiglie prodotte.
Novanta ettari complessivi per Piandaccoli, che ha sede a Calenzano, a pochi chilometri da Firenze. I suoli dei vigneti sono estremamente variegati: ciottolosi, ricchi di minerali, limo e sabbia e tendenti all’argilla.
I vitigni allevati sono prevalentemente autoctoni toscani: Sangiovese, Foglia Tonda, Pugnitello, Barsaglina, Mammolo, Colorino, Malvasia Toscana e Chardonnay. Il terroir è caratterizzato da profondi “borri”, ovvero spaccature più o meno profonde del suolo, che concorrono alla formazione di un microclima unico.
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Il San Giorgio, storica etichetta del Rosso Umbria Igt di Lungarotti, raggiunge il traguardo delle 40 vendemmie e debutta a Vinitaly (pad.7/B2, Veronafiere 7-10 aprile) con l’annata 2016, che ne segna l’evoluzione in chiave moderna.
Nato con la vendemmia del 1977, su richiesta di un importatore tedesco che voleva un rosso umbro in grado di competere con i grandi vini da tavola toscani, l’Igt creato da Giorgio Lungarotti – fondatore della cantina, che oggi esporta in circa 50 Paesi del mondo – è divenuto da subito l’emblema del “Superumbrian”.
Il San Giorgio rappresentava, infatti, il risultato di una lungimirante e riuscita sperimentazione con il suo triplice uvaggio, Cabernet Sauvignon (50%), Sangiovese (40%) e Canaiolo (10%).
IL NUOVO “SUPERUMBRIAN” “Ricerca, innovazione, ma anche capacità di visione sono gli elementi costanti nello sviluppo dei nostri prodotti” commenta Chiara Lungarotti, da vent’anni alla guida del Gruppo. “Tutti aspetti che ci hanno spinto a inaugurare una nuova era per un vino storico come il San Giorgio che debutta con un uvaggio rinnovato: Cabernet Sauvignon e Sangiovese in parti uguali. Il risultato è un vino rosso di grande struttura e da lungo invecchiamento”.
Le uve del nuovo “Superumbrian” derivano dal reimpianto del vigneto di Cabernet Sauvignon, che nel 2016 ha raggiunto la sua espressione massima per realizzare vini di grande invecchiamento; mentre il Sangiovese proviene da Vigna Monticchio.Alla fermentazione in acciaio con macerazione sulle bucce per circa 25-28 giorni segue un primo anno di affinamento in barrique e un altro anno di riposo in bottiglia.
Il vino si presenta nel bicchiere con un colore rosso rubino e sfumature violacee, conserva al naso un profumo intenso, complesso ed ampio e richiama al palato il sapore dei frutti rossi. La sua tannicità persistente lo rende, inoltre, particolarmente adatto all’abbinamento con piatti a base di cacciagione, arrosto allo spiedo o formaggi stagionati.
Le novità che riguardano il San Giorgio non si esauriscono solo nell’uvaggio, ma interessano anche l’immagine della bottiglia. L’etichetta che veste l’annata 2016 riporta la firma autografa di Giorgio Lungarotti e raffigura “San Giorgio e il drago” di Raffaello Sanzio; Santo al quale è ancora oggi dedicata la tradizionale accensione dei falò propiziatori nelle campagne del borgo umbro di Torgiano la sera del 23 aprile.
“Questo vino vuole essere un omaggio a mio padre, coraggioso innovatore e sperimentatore oltre che pioniere della viticoltura in Umbria – conclude Chiara Lungarotti -. Non è un caso quindi che porti la sua firma; un richiamo alla tipica tenacia e tempra umbra unite alla costante capacità di precorrere i tempi”.
Oltre al mercato italiano, il San Giorgio, che nell’ultimo anno ha segnato una crescita complessiva nelle vendite del 78%, trova nella Svizzera il primo Paese europeo di riferimento e riscuote un grande successo anche in Germania e in Lussemburgo. Tra i Paesi extra Ue è particolarmente richiesto in Canada ed in molti Paesi dell’Estremo Oriente, tra cui Giappone, Cina, Thailandia e Corea del Sud.
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Molmenti di Costaripa il Peter Pan dei rosati. Come nasce il rosato da viticoltura di Mattia Vezzola 1
LAZISE – Ci sono vini che raccontano idee. Manifesti di una rivoluzione prima culturale, poi enologica. Di fatto, il Valtènesi Doc “Molmenti” di Costaripa non è un semplice rosato. E neppure un rosé, o un “vino rosa”, definizione distintiva dei vini prodotti nella zona del Lago di Garda.
“Molmenti” è innanzitutto il manifesto programmatico di una nuova concezione di vino. Che parte dalla vocazionalità del terreno e del territorio, per arrivare al calice. Passando per il genio del suo produttore, Mattia Vezzola.
Un sorso d’aria “nuova” nel mondo dei rosati italiani. Da pensare come vini “Peter Pan” capaci di durare nel tempo. Anzi, da consumare a distanza di diversi anni dalla vendemmia e dall’imbottigliamento.
Alla stregua dei rossi e di certi bianchi (pochi a dire la verità) capaci di superare agilmente la prova delle lancette. Un rosato del nord, di lago, che trova in Girofle di Severino Garofano il suo gemello meridionale, in termini di concezione aulica del rosato, come vino da lungo affinamento. Già, perché a detta di Vezzola, “il rosé è un antidoto al formalismo e alla banalità”.
LA SVOLTA “L’idea di produrre un vino rosato che sfidasse il tempo – spiega Mattia Vezzola, ospite di una masterclass all’Anteprima Chiaretto 2018 di Lazise – è nata negli anni Novanta. Nel 2009 la svolta, quando assaggiai un rosato vendemmia 1999 della Rioja, in perfetta forma. Era appena stato messo in commercio, dopo 4 anni di botte e 6 di bottiglia”.
Da quel giorno, Vezzola capì di non essere folle come credevano tutti. Da diversi anni produceva infatti un “rosato da viticoltura” dedicato a Pompeo Gherardo Molmenti, ideatore nel 1896 del Chiaretto di Moniga del Garda.
“Prima di aver assaggiato quel vino – ammette il patron di Costaripa – mi sembrava di essere un tipo d’avanguardia. Mi sono trovato in un sorso sull’ultimo vagone del treno. Mi convinsi definitivamente che i rosé non sono solo vini di grande viticoltura, ma anche di grandissima tecnologia, per i quali occorre investire in ricerca”.
Secondo Mattia Vezzola, “per produrre un vino rosato che sfidi il tempo non basta un’uva di grande qualità”. Nel 2012 l’ulteriore svolta nella produzione di “Molmenti”, ottenuto da una vigna di 55 anni: un cru di 4 ettari che ha assorbito tutte le energie mentali dell’appassionato vignaiolo di Moniga.
Cambia così il profilo sensoriale e l’aspetto estetico del rosato che sta facendo la storia di Costaripa. Il vino ottenuto da uve Groppello (base del blend di “Molmenti” assieme a Marzemino, Sangiovese e Barbera) tende a ingiallire e diventare ambrato col tempo.
Come ovviare? “Mi resi conto che le rese in vigna non dovevano essere necessariamente basse, ma giuste, in modo da aumentare la disponibilità di grappoli perfetti per la selezione”.
Vocazionalità del terreno e scelta degli acini perfetti per il rosato sono dunque i capisaldi di “Molmenti”. Ma non basta.
La grande attenzione di Vezzola in vigna si sposta poi in cantina, dove le uve vengono vinificate secondo una sorta di disciplinare ben preciso, perfezionato in anni di osservazione ed esperienza.
“La vocazionalità è la possibilità che il padre eterno ti dà 9 anni su 10 di fare lì un grande vino – ricorda il vignaiolo citando il patron di Romanée-Conti. Il resto lo fa l’uomo. Dopo aver portato uve più che perfette in cantina, estraiamo il meglio dell’acino, ovvero il 55-60%. Il suo vero cuore”.
LA TECNICA DI PRODUZIONE
“Gran parte dei rosé del mondo – continua Vezzola – oltre ad essere prodotta con uve compromesse, è ottenuta tramite salasso. Una tecnica con la quale si estrae al massimo il 12% della ‘materia’ dell’acino, compresa la parte acquosa. Così facendo si ottengono vini di buon profilo sensoriale, ma la parte di maggiore qualità viene destinata a vini rossi, di struttura”.
Due le ore di macerazione previste per il Valtènesi Doc “Molmenti”, seguite da decantazione statica, travaso e fermentazione in botte. “Non viene effettuata malolattica – spiega Vezzola – in quanto significherebbe togliere al vino la sua spina dorsale“. L’affinamento in legno si protrae per due anni, prima dell’imbottigliamento.
Ma Vezzola punta ad alzare ulteriormente l’asticella, lasciando in bottiglia “Molmenti” per 3 anni, prima di metterlo in commercio: un anno in più rispetto ai 2 attuali. Un ulteriore sforzo (anche economico) che interessa una produzione che varia tra le 3 e le 6 mila bottiglie annue.
LA DEGUSTAZIONE
In assaggio, in occasione della masterclass tenuta questa mattina da Vezzola all’Anteprima Chiaretto 2018, le vendemmie 2015, 2013, 2012 e 2011. Quattro campioni diversi tra loro, accomunati però da un fil rouge evidentissimo: sapidità ed eleganza.
“Tutti vini da giudicare tra diversi anni”, come tiene a precisare lo stesso produttore, ma che già oggi offrono qualche spunto utile per immaginarli nel futuro. La calda vendemmia 2015 regala per esempio un calice ancora troppo condizionato dal legno, con note evidenti di caramella mou, vaniglia e fondo di caffè.
Vena salmastra netta, che si riflette in bocca in una sapidità accentuatissima. Un “vino da salivazione”, per dirla con le parole di Vezzola. Giocato tutto sul rimbalzo tra le durezze e i morbidi terziari.
“Molmenti” 2013 è invece il frutto di un’annata più fresca. L’acida è più marcata rispetto alla 2015, come dimostra una corrispondenza gusto olfattiva d’agrume. Evidente anche l’evoluzione del vino, sin da un naso che inizia a parlare di idrocarburo. Un vino giovanissimo, che forse supererà in longevità la vendemmia 2015.
“Questa annata – ricorda Vezzola – fu bocciata per tre volte dalle commissioni tecniche della Doc, prima di essere approvata”. Un aspetto rimarcato anche sull’etichetta, dove il produttore definisce “pur-troppo unico” il colore giudicato “alterato” dagli esperti della Doc.
Naso floreale per la vendemmia 2012, che al momento si esprime meglio al palato. Senza perdere tuttavia la caratteristica principale di “Molmenti”: una chiusura salina, su un frutto di rara precisione ed eleganza.
Decisamente diverso, invece, il colore della vendemmia 2011. Cosa è cambiato? “Semplicemente la temperatura di macerazione, più alta in occasione di questa annata”. Il naso è connotato da una leggera e piacevole nota ossidativa, che accompagna un frutto più presente e polposo rispetto agli altri campioni, oltre ai consueti ricordi di idrocarburo.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Montecucco la bomboniera della Toscana. Dieci vini per conoscerla e amarla
MILANO – Carta e penna. Si scrive la lista della spesa del vino della “nuova” Toscana. Una bomboniera, ancora tutta da scoprire. Chi è a caccia del rapporto “qualità prezzo” nella regione non può più fare a meno dello “scaffale” della Doc Montecucco.
Lo ha confermato la trasferta milanese di 15 produttori, in degustazione lunedì 25 al Westin Palace Hotel. Un evento organizzato dal Consorzio Tutela Vini Montecucco, in collaborazione con l’Associazione italiana sommelier meneghina.
Sono sette i Comuni della Doc, che si concentra principalmente sul Sangiovese Grosso (non a caso Docg dal 2011) e su vitigni internazionali come Cabernet e Syrah. La parte del leone della bacca bianca spetta al Vermentino, che in verità non convince come quello della Costa Tosacana.
La vocazione naturale del Montecucco è per i rossi, come conferma la possibilità di produrre anche Brunello e Morellino di Scansano, almeno su una parte dell’areale della Doc. Un territorio che produce vini di qualità, perfetti per la ristorazione e per il consumatore a caccia di etichette degne della grande tradizione vitivinicola Toscana, senza per questo svenarsi.
Quanto durerà? Per molto tempo ancora, si spera. Il “sistema Montecucco“, tra l’altro, è riuscito a trovare il proprio equilibrio e la propria dimensione a scaffale senza snaturarsi, o sfruttare intensivamente il territorio.
Come ha evidenziato il caporedattore centrale del Corriere della Sera, Luciano Ferraro, conduttore di una masterclass sui vini di Montecucco, “la Denominazione ha da sempre una grande sensibilità ambientale, come dimostra il 70% della produzione certificata biologica”.
“Avventurandosi nei territori del Montecucco non è difficile imbattersi in scorci di natura incontaminata – ha aggiunto Ferraro – in cui la coltura della vite si inserisce in maniera armonica col resto delle attività agricole e di allevamento”.
I MIGLIORI ASSAGGI DI MONTECUCCO DOCG E DOC Una Denominazione sana, dunque. Lo ha dimostrato ampiamente il banco di degustazione al Westin Palace di Milano. Molte aziende, tra l’altro, si trovano al cambio generazionale. La propensione all’estero, anche grazie alle nuove “leve” sta facendo conoscere Montecucco fuori dai confini toscani.
Ad oggi, il 60% della produzione finisce all’estero, con Usa e Germania sul podio. Le 67 aziende produttrici del Consorzio raggruppano poco più di 500 ettari di vigneto su una superficie vitata di circa 800 ettari: poco più 1,2 milioni di bottiglie su una produzione complessiva di 1,8 milioni l’anno.
Montecucco Sangiovese Docg Riserva 2015, Otto Ettari: 91/100
L’azienda più interessante della Denominazione, se non altro in termini di prospettiva. Prima vendemmia nel 2015 e già una Riserva di Sangiovese commovente: 5 mila bottiglie in totale su una produzione di 40 mila.
Si tratta di un “cru”, dotato di un gran bel corpo, struttura, sapidità. Pregevole e lunga la chiusura, su tinte speziate. Il tutto dopo un naso che anticipa la gran precisione del sorso, su note fruttate e richiami di liquirizia.
A firmare questa etichetta è un giovane enologo di cui conviene appuntarsi il nome: Jacopo Vagaggini. Formatosi alla Faculté d’Oenologie de Bordeaux, si sentirà parlare molto di lui in futuro. Scommettiamo?
Montecucco Sangiovese Docg 2015, Le Maciarine: 90/100 Gran freschezza e mineralità: questo il filo conduttore dei vini de Le Maciarine. Dopo l’ottima prova del Montecucco Doc 2013, lascia ancora più il segno il Sangiovese 2015 con i suoi tannini vivi, ammansiti da un anno in tonneaux di rovere francese.
Montecucco Sangiovese Docg Riserva 2015, Campi Nuovi: 90/100
Il vino che riesce più di qualsiasi altro in degustazione a Milano a far comprendere le potenzialità internazionali della piccola Doc toscana, senza perdere per questo tipicità. Un vino bandiera del Montecucco. Ottima anche la vendemmia 2013 di questa Riserva, di cui restano appena 700 bottiglie.
Montecucco Sangiovese Riserva Docg 2011 “Viandante”, Tenuta L’Impostino: 89/100
Gran frutto e bevibilità per questa Riserva che mostra le ottime capacità di affinamento “in vetro” del Sangiovese di Montecucco. Un sorso connotato ancora da una gran freschezza, che costituisce la spina dorsale del “Viandante”.
Montecucco Rosso Doc 2015 “Albatreto”, Pierini e Brugi: 89/100
Una vera e propria “chicca” questo Sangiovese impreziosito da un sapientissimo tocco di Syrah. E’ il vino più interessante portato Milano da un piccolo produttore: 4 ettari, 10 mila bottiglie complessive, produzione bio certificata.
Frutto, spezia, richiami alla macchia mediterranea corrispondenti tra naso e palato, che chiude su un tannino vivo, di prospettiva. Splendido, sempre di questa cantina, anche il Montecucco Doc Riserva 2013 “Sugherettaio”.
Montecucco Sangiovese Docg 2016, Montenero: 88/100 Vinificazione in cemento, affinamento in rovere francese e 9 mesi di bottiglia per questo cru da vigne di 40 anni, che affondano le radici a 400 metri sul livello del mare. Si tratta di un clone particolare di Sangiovese, con grappoli più piccoli rispetto a quelli classici.
Messo da poco sul mercato, già racconta una bella storia fatta di frutti di bosco, al naso. Al palato, oltre al frutto, si evidenziano richiami erbacei di macchia mediterranea, una mineralità salina e un tannino di prospettiva. Legno che deve ancora integrarsi al meglio. Vino (e cantina) da tenere in grande considerazione per il futuro.
Montecucco Sangiovese Docg Riserva 2012 “SottoCasa”, Poderi Firenze: 88/100
Sua maestà la bevibilità, espressa al meglio in questo calice di Poderi Firenze, che della freschezza del sorso fa il proprio credo. Terreni alcalini e scelta della botte di rovere di Slavonia da 40 ettolitri sono i segreti di Matteo Meloncelli, per domare i tannini del Sangiovese senza banalizzare il calice.
Montecucco Doc Vermentino 2016 “Irisse”, ColleMassari: 87/100
Quando stai per gettare la spugna sui bianchi di Montecucco, ecco la luce. Un Vermentino impreziosito da un 15% di Grechetto, vendemmia 2016. Bel frutto, salinità e utilizzo sapiente del legno per un vino di grande gastronomicità.
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Buona la prima, anzi l’Anteprima. Italia del vino in fermento per l’avvio delle Anteprime di Toscana, a metà tra quelle di Barolo, Barbaresco e Roero (dedicate solo alla stampa e agli operatori del settore), Amarone, Sagrantino di Montefalco, Romagna Sangiovese e Albana. Ecco gli appuntamenti da non perdere dedicati ai winelovers.
AMARONE DELLA VALPOLICELLA
La giornata aperta al pubblico è quella del 3 febbraio. In degustazione l’Amarone 2015, dalle 10:00 alle 19:00 al Palazzo della Gran Guardia di Verona. Biglietto di ingresso 40 euro (35 euro con acquisto online). Qui l’elenco delle cantine partecipanti, che metteranno a disposizione anche le vecchie annate.
Ma la “Red Week” si apre martedì 29 gennaio con il Valpolicella education program (Vep) 2019, il corso di formazione sulla prima Dop di vino rosso del Veneto, rivolto agli operatori internazionali del settore ideato dal Consorzio Tutela Vini Valpolicella per creare una rete di “Valpolicella wine specialist” nel mondo.
ANTEPRIME DI TOSCANA Dopo la PrimAnteprima riservata a stampa e operatori del settore, sabato 9 febbraio, dalle 9.30 alle 17.30 alla Fortezza da Basso di Firenze (Padiglione Cavaniglia, viale Filippo Strozzi, 1), il programma delle Anteprime di Toscana aperto al pubblico si apre con Chianti Lovers, il 10 febbraio.
Appuntamento sempre alla Fortezza da Basso, dalle 16.00 alle 21.00, con la degustazione delle nuove annate Chianti Docg 2018 e Riserva 2016, in uscita nel 2019.
Per il prossimo appuntamento dedicato ai winelovers occorre sposarsi a San Gimignano (SI), per la presentazione delle nuove annate in uscita sul mercato nel corso del 2019: la Vernaccia di San Gimignano 2018 e la Riserva 2017.
Due le date utili: domenica 10 febbraio, dalle 14.00 alle 19. al Museo di Arte Moderna e Contemporanea De Grada (Via Folgore 11, San Gimignano), i banchi di assaggio con i produttori, a ingresso gratuito. Stessa location mercoledì 13 febbraio, dalle 15.00 alle 17.00.
Tutti a Montepulciano, nel cuore della Toscana, per l’Anteprima del Vino Nobile di Montepulciano, aperta al pubblico e agli operatori del settore sabato 9 dalle ore 15.00 alle ore 19.30, domenica 10 dalle ore 11.00 alle ore 18.30 e lunedì 11 dalle ore 10.30 alle ore 18.30.
SAGRANTINO DI MONTEFALCO L’Anteprima Sagrantino 2015 si svolgerà a Montefalco (PG) dal 18 al 20 febbraio 2019, evento promosso dal Consorzio Tutela Vini Montefalco. Tasting, visite in cantina, approfondimenti, iniziative e masterclass per un focus completo su Montefalco, le sue aziende ed i suoi produttori.
Una panoramica completa sulla nuova annata ma anche sulle capacità evolutive del Montefalco Sagrantino Docg, sugli abbinamenti gastronomici con il coinvolgimento diretto di chef provenienti da tutta Italia, sulla corretta comunicazione all’interno di un ristorante, con il coinvolgimento dei sommelier italiani.
I banchi d’assaggio aperti al pubblico sono in programma al Chiostro di Sant’Agostino, dalle ore 16 del 19 febbraio. Spazio anche per la cucina d’autore, il 18 febbraio. Dalle ore 10.30 si svolgerà la finale del Concorso nazionale “Sagrantino nel piatto” dedicato agli chef di tutta Italia.
Il Concorso ha l’obiettivo di selezionare e premiare il miglior piatto che abbia come ingrediente il Montefalco Sagrantino Docg e che abbia in abbinamento uno dei vini di Montefalco. Le ricette dovranno essere inviate entro il 4 febbraio prossimo (info e modulistica sul sito www.consorziomontefalco.it).
“Quest’anno – ricorda Filippo Antonelli, presidente del Consorzio Tutela Vini Montefalco – celebriamo i 40 anni dal riconoscimento delle denominazioni Montefalco Doc e Montefalco Sagrantino Docg, istituite nel 1979, testimonianza di un lungo ed importante processo di osmosi tra vitivinicoltura e territorio da valorizzare e tutelare sempre di più, da rafforzare evento dopo evento, iniziativa dopo iniziativa”.
“VINI AD ARTE” 2019, ANTEPRIMA SANGIOVESE DOC ROMAGNA
Al Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza in scena l’Anteprima della Doc Romagna. L’appuntamento per il pubblico e gli addetti del settore è il 17 e 18 febbraio con 50 produttori che presenteranno le nuove annate di Sangiovese e Albana.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
ROMA – L’Associazione EnoClub Siena rinnova l’appuntamento con il Sangiovese a Roma, per l’ottavo anno consecutivo, con Sangiovese Purosangue.
Saranno circa 60 le aziende in degustazione alla due giorni di banchi di assaggio al Radisson Blu Hotel di via Filippo Turati, 181. I seminari del sabato costituiranno un prezioso approfondimento, sia sui territori e che sulle aziende che hanno fatto la storia di questo vitigno.
Il biglietto d’ingresso intero è fissato a 25 euro. Ridotto e prevendita a 20 euro, soci Enoclub 15 euro. È anche possibile acquistare l’ingresso per entrambe le giornate, a 30 euro.
IL FOCUS SUL VITIGNO Il progetto di valorizzazione del Sangiovese trova ogni volta nuovi spunti di approfondimento e riflessione, cercando di non banalizzare mai un tema estremamente complesso e importante, affrontando la conoscenza delle molte zone italiane in cui si coltiva.
Partendo dal nucleo toscano, dettagliato per aree e menzioni, si indagano e confrontano anche le altre zone italiane, come l’Emilia Romagna e l’Umbria.
IL PROGRAMMA
Sabato 19 gennaioo
re 14.00 – Apertura banchi di assaggio con i produttori
ore 15.00 – Seminario comparativo sulle zone del Sangiovese. Condotta da Davide Bonucci (costo della degustazione euro 20)
ore 17.30 – Degustazione Sangiovese Orizzontale annata 2010. Condotta da Davide Bonucci (costo della degustazione euro 25)
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Donatella Cinelli Colombini presidente Consorzio Orcia 2 1
CASTIGLIONE D’ORCIA – Si è tenuta ieri nel Castello di San Giovanni d’Asso una giornata di promozione della denominazione Orcia Doc, organizzata dal Consorzio del Vino Orcia in occasione della presentazione del programma della Mostra Mercato del Tartufo Bianco in corso questo weekend e il prossimo.
Protagoniste le aziende del territorio che hanno avuto l’occasione di presentarsi ad operatori di settore, giornalisti e degustatori delle principali guide enologiche italiane.
Ad accogliere gli ospiti, il Presidente del Consorzio del Vino Orcia Donatella Cinelli Colombini che ha così descritto la denominazione: “L’Orcia nasce in uno dei migliori distretti enologici del mondo nelle alte colline del Sud della Toscana, fra le aree del Brunello di Montalcino e del Vino Nobile di Montepulciano, una zona di straordinaria bellezza paesaggistica, in gran parte iscritta nel patrimonio dell’Umanità Unesco e costellata di piccole città d’arte. Non meraviglia quindi che circa 2 milioni fra turisti ed escursionisti arrivino in questo paradiso del turismo enogastronomico e se la concorrenza delle due celebri denominazioni confinanti poteva far paura è anche servita da stimolo all’Orcia che, dal 14 febbraio 2000 ad oggi, in soli 18 anni, ha letteralmente corso verso l’eccellenza qualitativa facendo moltissima sperimentazione”.
Orcia Doc, i vini del Vulcano spento Presente alla giornata anche l’enologo Paolo Vagaggini, “Mr Sangiovese” che ha guidato la degustazione tecnica “Orcia Doc: i vini del vulcano la rivelazione dell’ultimo decennio”.
“Tutto nasce da un vulcano, come spesso succede nei grandi territori vitivinicoli, in questo caso il monte Amiata, e intorno ad un vulcano, adesso spento, c’ è sempre un mare di argilla fertile e ricca di minerali, un ambiente ideale per la coltivazione della vite” ha affermato l’enologo.
“Dallo scorrimento delle acque nell’ impluvio che si forma, nasce un fiume di nome Orcia, contornato da una natura meravigliosa e selvaggia; questo fiume arriva al mare in trenta chilometri in linea d’ aria e da esso porta il clima temperato già affrancato dalla salsedine – ha raccontato Vagaggini – la vallata di questo fiume rimane protetta ad est dai venti freddi della Siberia dal Monte Amiata di 1738 metri ed a nord dai monti del Chianti e Montalcino, così che il clima si mantiene estremamente favorevole”.
Secondo l’enologo, dalla compressione della spinta del vulcano in eruzione avviene la formazione del prezioso galestro, minerale drenante ed arieggiante per il terreno argilloso. Terroir ideale per grandi vini ed i vini dell’ area dell’ Orcia lo saranno sempre più nel futuro.
Orcia Doc: una denominazione che nasce nel territorio Unesco. Le uve che danno i vini della denominazione sono in gran parte coltivate in un territorio, la Val d’Orcia, che da qualche anno è stato riconosciuto come patrimonio Unesco. Non è un caso che tra i principali temi portati avanti dai produttori e dal Consorzio vi sia proprio quello della salvaguardia del paesaggio agricolo, uno tra i più belli del mondo.
Un paesaggio dove ogni anno in media si registrano circa 1,4 milioni di presenze turistiche, con un milione di escursionisti. Molti sono anche gli stranieri che hanno case di proprietà nella zona e non a caso il 65% delle aziende vitivinicole dell’Orcia Doc è impegnata anche nell’ospitalità con un agriturismo o un servizio di ristorazione. Senza contare che la maggior parte di queste strutture è come un museo all’aria aperta, un “museo del paesaggio” con punti panoramici unici al mondo.
I numeri della Doc Nata nel febbraio del 2000, l’Orcia Doc raccoglie nella sua area di produzione dodici comuni a sud di Siena (Buonconvento, Castiglione d’Orcia, Pienza, Radicofani, San Quirico d’Orcia, Trequanda, parte dei territori di Abbadia San Salvatore, Chianciano Terme, Montalcino, San Casciano dei Bagni, Sarteano e Torrita di Siena).
Il disciplinare di produzione prevede la tipologia “Orcia” (uve rosse con almeno il 60% di Sangiovese), l’”Orcia Sangiovese” (con almeno il 90% di Sangiovese) entrambe anche con la menzione Riserva in base a un prolungato invecchiamento (rispettivamente 24 e 30 mesi tra botte di legno e bottiglia). Fanno inoltre parte della Doc il bianco, il rosato e il Vin Santo.
A oggi sono 153 gli ettari di vigneti dichiarati su un totale potenziale di 400 ettari. La produzione media annua si attesta intorno alle 240 mila bottiglie realizzate dalle circa 60 cantine nel territorio di cui oltre 40 socie del Consorzio di tutela che dal 2014 ha l’incarico di vigilanza e promozione Erga Omnes nei confronti di tutti i produttori della denominazione.
Il Consorzio di tutela si occupa di promuovere la denominazione attraverso azioni varie, dal web alla segnaletica sul territorio, passando per incoming di giornalisti e buyers da tutto il mondo. Sono ormai di riferimento eventi territoriali tra cui l’Orcia Wine Festival.
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Sangiovese Poggio ai Chiari Fabio Cenni Chiusi vale bene una Doc 6 1024x768 1
SIENA – Non chiamatelo profeta senza patria. Perché una patria, Fabio Cenni, ce l’ha. Si chiama Chiusi. Il patron dell’Azienda agricola Colle Santa Mustiola si presenta a Sangiovese Purosangue con una verticale 1997-2010 da far tremare i Brunelli.
E col sostegno del giornalista Andrea Gabbrielli chiede una Doc, ovvero una Denominazione di origine controllata, per una delle aree “meno considerate dalla critica enologica italiana”. Chiusi, per l’appunto. Molto più di una boutade goliardica.
Un “torto” che non ha ragione d’esistere, vista la forma strepitosa di tutte le annate in degustazione ieri pomeriggio al foyer del Teatro dei Rinnovati, presso il Palazzo comunale di piazza del Campo, a Siena.
“Chiusi – ha spiegato Davide Bonucci, one man company di Enoclub Siena e ideatore del format sul re dei vitigni toscani – è uno di quei territori non particolarmente mediatici che meritano invece di essere celebrati attraverso i vini lì prodotti. Un’area che non fa massa critica come altre e, forse per questo, non gode della considerazione che merita”:
LA DEGUSTAZIONE Se non lo hai mai incontrato prima, il Sangiovese “Poggio ai Chiari” di Fabio Cenni (nella foto sopra) rischia di sembrarti piombato sul Pianeta Terra come Superman. Un meteorite nel calice. A maggior ragione dopo aver degustato – meno di 24 ore prima – oltre 200 sfumature del vitigno all’anteprima di Purosangue 2018, rinvenendo “solo” un 10% dei campioni sopra i 90 punti.
Già. Qui siamo di fronte a una delle migliori sublimazioni del Sangiovese in purezza. SI tratta, di fatto, del risultato di un lungo lavoro di selezione clonale che ha portato Cenni a selezionare 28 cloni “Superman” di Sangiovese. “Quelli che mi assicuravano longevità”, spiega il produttore con un filo d’orgoglio, mentre i calici cominciano a tingersi d’un rosso rubino lontano dalle tinte attese per le annate più vetuste.
E’ lì che si inizia a capire di che razza sono i vini di Chiusi. Dall’esame visivo. Zero “unghie aranciate” per dirla alla Treccani del sommelier. Tenuta perfetta. E quando al naso la vendemmia 1997 butta fuori richiami mielosi leggerissimi e garbati, ad accompagnare note di scorza d’arancia, ginger candito e cuoio, capisci di esser davanti a un supereroe di rosso. Un moikano toscano.
Peccato non alzi altrettanto la cresta al palato, che evidenzia solo reminiscenze della gloria che fu, neppure troppo tempo fa: bella concentrazione ma corredo monocorde, col sorso ormai troppo teso sulla sola freschezza. Resta comunque un assaggio da ricordare, pur non in termini di complessità.
Strepitosa, invece, la vendemmia 2002. Colore carico, naso che si accende come il semaforo verde della Formula Uno, alla griglia di partenza. Frutto rosso carnoso, succoso, ma anche toffee e macchia mediterranea, con alloro e salvia a conferire balsamicità, prima al naso e poi al sorso. Fresco e sapido, per tornare al forziere della linguistica sommelier. Col fiore che vira dalla rosa appassita alla viola, per azione di sua Provvidenza, l’Ossigeno. Miglior annata assoluta della verticale.
Una nota verde netta contraddistingue invece il naso della vendemmia 2003, unita alle ormai consuete tinte balsamiche e iodiche, che si mescolano a una speziatura sul filo del rasoio del “piccante”. Un tannino integrato, ma vivo, asciuga forse troppo presto il sorso su note di buccia di arancia disidratata.
La vendemmia 2004 è l’altra annata da ricordare. E pensare che parte chiusa, timida, impacciata. Poi, il Sangiovese inizia a fare il Sangiovese. Ti prende per mano il naso sulla macchia mediterranea, con un gioco d’alloro, rosmarino e mentuccia. Poi di liquirizia e di cuoio, che non coprono del tutto la carnosità del frutto rosso.
In bocca, quest’annata di “Poggio ai Chiari” di Fabio Cenni si rivela compatta, strong. Tattile. Chiusura splendida, sapida e fruttata. Il patron di Colle Santa Mustiola ci crede talmente tanto da averne conservate 2 mila bottiglie, pronte ad essere messe in commercio nei primi mesi del 2019: obbligatorio accaparrarsene almeno un paio.
Vendemmia 2005, quella del giro di boa. Naso tra i più “morbidi” della batteria, ma non è vaniglia: è frutto. Succo di frutto di cloni di Superman Sangiovese. Corrispondenza gusto olfattiva perfetta, su note tendenti al maturo garbato, dosato, centellinato.
Segno di una raccolta e di una selezione perfetta dei grappoli, in vigneto. Che goduria quando il naso vira sul tabacco, mentre in bocca la percezione del tannino pare perfetta per controbilanciare il frutto. Chapeau.
Bel palato fresco e sapido per le vendemmie successive (2006 / 2010), le più “giovani” presenti alla verticale, ancora non pronte ma già in grado di dire più di una parola sull’andamento delle annate e sulle prospettive future.
Di fatto, si distinguono bene l’una dall’altra. La 2009 ricorda per certi versi la 2005, con i suoi richiami di frutta matura: sorprende, addirittura, come una delle più godibili già oggi, potendo contare su una freschezza invidiabile e una chiusura di sale e spezie. La 2007 è certamente tra le espressioni più eleganti del “Poggio ai Chiari”, ma deve ancora assestarsi il tannino, che domina il finale.
Anche le vendemmie 2008 e 2010 paiono simili nel calice, per il loro timido affacciarsi al mondo esterno: è troppo presto per giudicarle, ma saranno sicuramente all’altezza di un nome, “Poggio ai Chiari”, che merita – se non una Doc – almeno la ribalta delle cronache enologiche.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
50 anni di Doc Rosso Piceno. Quattro cantine da visitare 6 1024x768
Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario della Doc Rosso Piceno, un territorio da sempre sottostimato, nonostante le potenzialità pedoclimatiche e la qualità dei vini di molti vignaioli, anche emergenti.
Siamo andati sul posto, percorrendo il triangolo Offida, Ripatransone, Castorano. Abbiamo raccolto sensazioni tattili, olfattive e gustative, direttamente tra i filari e tra le mura delle cantine.
Abbiamo trovato grandi equilibri e grandi finezze, vini complessi e molto territoriali influenzati dal mare e dalla montagna.
Ritorneremo per continuare il tour: in agenda altre piccole ma grandi realtà. Per il momento prendete carta e penna e segnatevi queste.
PODERI SAN LAZZARO L’azienda Agricola Poderi San Lazzaro nasce nel 2003. Paolo Capriotti porta avanti la tradizione di famiglia, nella coltivazione della vite e nella produzione del vino di qualità e si cimenta in quella che a tutt’oggi è diventata la sua principale occupazione.
Ci troviamo nel comune di Offida, il cuore del Rosso Piceno Superiore una delle DOC storiche Italiane. Ottima posizione, in piena collina a circa 300 metri sul livello del mare e a circa 15 Km dall’Adriatico e 25 Km dai monti Appennini. Suoli argillosi su questi crinali ed esposizioni a sud, sud-ovest e nord-ovest.
Qui si risente dell’influenza del mare e delle giuste variazioni termiche tra il caldo diurno e le brezze serali. Si lavora in biologico e la filosofia dell’azienda è rivolta all’estrema cura dei vigneti per ottenere uve di qualità e per garantire il massimo del prodotto in bottiglia.
Paolo Capriotti produce attualmente circa 50 mila bottiglie divise tra uve bianche con Passerina e Pecorino e uve rosse come Montepulciano e Sangiovese in prevalenza ma anche uve Bordò.
Rese sempre intorno ai 70/80 quintali/ettaro , uso di legni vecchi e nuovi francesi , grande pulizia e espressività di un territorio molto vocato per la viticultura che nulla ha da invidiare alla vicina Toscana. Questa realtà del Piceno merita per passione, dedizione e grande intuito di questo “giovane” produttore.
I MIGLIORI ASSAGGI Pecorino Pistillo 2016. 14%vol , stessa densità di impianto a 4000 ceppi/ettaro ma resa più bassa. Qui siamo sui 70 q/ett. Lo scatto rispetto al bianco di apertura è notevole. Esposizione a Nord , terreno argilloso.
Il Pecorino 2016 dopo la fermentazione il 30% della massa affina in legno grande per 7/8 mesi . poi dopo un successivo passaggio in acciaio viene imbottigliato. Il colore è giallo paglierino carico con intensi riflessi dorati. Al naso agrume, cedro, pesca, pera e le caratteristiche note varietali del pecorino come erbe di campo e fiori. In bocca l’attacco è deciso.
Le note fruttate rilevabili al naso, lasciano il posto a sensazioni più mature, note di salvia, sfumature ammandorlate e mineralità. Nel finale torna l’agrumato a sottolineare tipicità e caratteri varietali.
Un vino da tutto pasto che con il salire della temperatura di servizio può offrire sensazioni organolettiche davvero interessanti e complesse. Da bere fresco non freddo. Ottimo rapporto q/p per un vino davvero divertente. Da preferire forse in annate più fresche dove la carica alcolica ben si bilancia con le durezze.
Podere 72 , Rosso Piceno Superiore Doc 2015 . 14.5% vol , Taglio di 50% Montepulciano e 50% sangiovese , il vino perfetto da bere sempre estate fresco e inverno a temp ambiente. Qui rese un po’ più alte sugli 80q/ett per un totale di 15000 bottiglie.
Il Vino della casa per Paolo Capriotti. Vendemmiato prima il sangiovese che porta a maturazione il grappolo con qualche settimana di anticipo rispetto al montepulciano. Le uve vengono vinificate e affinate separatamente passando circa un anno e mezzo in barrique usate e nuove e successivamente assemblate per fare un passaggio in acciaio e quindi arrivare in bottiglia.
Vinificazione a cappello emerso con rimottaggi frequenti. Colore rubino carico , al naso visciola , prugna , spezia e cacao. Ottimo bilanciamento tra le parti morbide e dure è un vino dalla struttura e dalla beva non impegnativa ma golosa. Tannini leggeri e ottima persistenza del reto olfattivo.
Grifola 2013 , Marche rosso Igt. 15%vol Montepulciano 100%. Bassissime rese, siamo circa sui 50 q/ett per un totale di 5000/6000 bottiglie a seconda dell’annata. Vigne di circa 40 anni. Vendemmia a metà Ottobre fermentazione in acciaio con cappello emerso e fino a 4 rimottaggi al giorno.
Verso Dicembre o Gennaio viene portato il barrique nuove di rovere Francese dove rimane per circa 2 anni, successivamente un dopo un passaggio in acciaio rimane in bottiglia altri 18 mesi. Il colore è un rubino intenso , impenetrabile . Il naso è un misto di frutta rossa matura, liquirizia, cacao, il tannino e morbido e non per niente ruvido.
La leggerezza del sorso non fa pensare alla gradazione alcolica in etichetta. Un vino che appare ancora giovane, con una acidità e un corpo che ne garantiscono longevità. Struttura , tanta struttura . Un vino da sorseggiare con calma, da rispettare nei tempi.
Bordo 2014, Marche rosso Igt. Bordò è il nome con cui è chiamato nelle Marche il vitigno grenache. Si tratta di un vitigno tipicamente mediterraneo, che nella zona picena ha trovato un habitat perfetto. Un uva difficile ci racconta Paolo, dall’acino delicato.
In fermentazione bastano 3 giorni di contato che le bucce si rompano e si possa gia svinare. Una caratteristica intrinseca dell’uva questa. Siamo sulle 600 bottiglie prodotte, una vera chicca. Dopo la vendemmia manuale, le uve sono portate in cantina per la fermentazione, che avviene in acciaio a cappello sommerso con frequenti rimontaggi.
Il vino matura poi per metà in legno nuovo e per metà in legno vecchio per circa 2 anni. Dopo un veloce passaggio in acciaio viene imbottigliato. Nel calice ha un colore granato. Il profilo olfattivo è caratterizzato da eleganti note floreali, sentori di macchia mediterranea, aromi di piccoli frutti a bacca rossa, cioccolato bianco, spezie orientali come la cannella e in minor misura la china.
Il sorso è piacevolmente fresco e gustoso anche se non ampissimo, di buona struttura, con tannini maturi e aromi ricchi e complessi. Finale da scorza d’arancia essiccata. Un vino elegante , fine , raffinato che accarezza il palato.
AZIENDA AGRICOLA VALTER MATTONI Valter Mattoni detto “la Roccia” è un personaggio meraviglioso. Decoratore e imbianchino di professione, nel 2006 ha deciso di iniziare sul serio a fare vino, non solo per goderne lui e la sua famiglia come da anni facevano ma per far godere anche noi. Ed ecco la prima annata in commercio, la 2006 appunto.
La sua idea, fare un vino semplice, diretto, senza troppe decorazioni, come il nonno e il padre prima di lui hanno sempre fatto. Una produzione minuscola, siamo nell’ordine delle 7500/8000 bottiglie anno. Artigianali. Preziose. Emozionanti.
I vigneti di proprietà sono Montepulciano, Trebbiano, Sangiovese e Bordò (la grenache marchigiana). Sì, anche Valter fa parte di quel piccolo gruppo di produttori che in un fazzoletto di Piceno coltivano e vinificano l’uva Bordò con grandissimi risultati.
La produzione maggiore è per il Montepulciano, Arshura esce in circa 4000 bottiglie/anno, 1500/1600 bottiglie sono di Trebbiano e solo qualche centinaio per Sangiovese e Bordò. Tre ettari e mezzo la proprietà, esposizioni a sud-est e sud-ovest, a circa 300 metri sul livello del mare , in faccia all’Adriatico.
Terreni argillosi alluvionali come tutta la zona di Castorano (AP) Le piante più vecchie hanno età fino ai 50/60 aa e sono il trebbiano e il montepulciano. In cantina si predilige l’uso di legni usati anche di oltre 4 passaggi. Tutte barrique di legni Francesi .
I MIGLIORI ASSAGGI Arshura, Marche rosso Igt 2015. 15%vol. Fermentazione in acciaio, poi un anno in barrique usate francesi. Rubino profondo con unghia accennata viola, naso su note di visciole, frutta rossa e cacao. Un naso ricco, che evolve con la leggera areazione del calice.
Al palato il tannino è morbido e il finale persiste su note di marasca e su note balsamiche mai stucchevoli. Il sorso è caldo ma i 15 % vol non appesantiscono la beva. L’utilizzo chirurgico del legno lo rende allo stesso tempo ricco e setoso.
Mai invadente in bocca. Verticale ed orizzontale, un sorso pieno su tutti i campi sensoriali. Un grandissimo Montepulciano in purezza. Un puledro adesso, che diventerà un campione di razza tra qualche anno.
Rossobordò 2015. Produzione esigua di circa 300 bott anno. Stessa vinificazione dell’Arshura, fermentazione in acciaio, poi via in barrique vecchie per 2 anni. Nel calice di un rosso rubino, luminoso, quasi trasparente.
I profumi rimandano alla spezia mista al frutto rosso piccolo, fragole appena colte, alternate a cannella e alla cioccolata. Poi un sentore di rose e infine china e rabarbaro. E’ un naso affascinante per eleganza, che si scopre come una timida donna. Non ti stancheresti mai di annusare il calice.
In bocca il tannino è morbido, l’acidità presente, minerale e sapido. Lunghissimo. Ritornano prepotenti le note speziate, con un finale che si addolcisce e chiude in freschezza. Mai pesante.
Il retro olfattivo è un campo aromatico incredibile per armonicità. Un vino giovane ma preciso, chiaro, che non lascia spazio ai tecnicismi, da ascoltare e degustare dentro e fuori dal pasto.
AZIENDA AGRICOLA CAMELI IRENE
La famiglia Allevi, sulle colline del paese di Castorano (AP), riparate dai venti del mare, esposte a sud e particolarmente adatte per la coltivazione e la cura di vitigni, coltiva da oltre 40 anni Sangiovese, Montepulciano, Passerina e Pecorino, vitigni autoctoni di questo territorio con l’aggiunta di un piccolo vitigno di Chardonnay e da pochi anni di uva Bordò (non ancora vinificata).
Una produzione totale di 20000 bottiglie anno. Tre gli ettari totale dell’azienda tutti a circa 200 metri sul livello del mare. Esposizioni a sud e sud est. Un piccolo produttore che fa della semplicità il suo punto di forza.Una bella realtà di una famiglia di vignaioli come una volta, quelli per cui siamo innamorati del vino.
I MIGLIORI ASSAGGI Pecorino Gaico 2016. 13,5 % vol, densità di 6 mila ceppi/ettaro per resa 60 q/ettaro. Vigne giovani. Fermentazione e affinamento sempre in acciaio per 6-8 mesi. Poi una sosta di altri 6 mesi minimo in bottiglia.
Colore giallo paglierino carico, sentori di frutta a pasta gialla, note che con la sosta nel bicchiere e il lieve rialzo della temperatura sconfinano quasi in un leggero tropicale. Erbe aromatiche sul finale. In bocca è rotondo, acidità ben bilanciata, finale lungo.
Conte 2017, Rosso Piceno Doc. 14%vol. 50 % Montepulciano, 50% Sangiovese. Fermentazione malolattica e affinamento sempre in acciaio. Sosta di 6-8 mesi in vasca poi assemblate le masse e imbottigliato.
Rosso Rubino carico con riflesso violaceo. La nota olfattiva è caratterizzata da profumi complessi di fiori, con una nota predominante di rosa e violetta poi frutta rossa ciliegia, fragola ma anche more e susina.
Finemente tannico al palato e con un’acidità perfettamente bilanciata. Un vino quotidiano che unisce il corpo del montepulciano all’eleganza del Sangiovese. Un best buy.
Paià 2016 , Rosso Piceno superiore Doc. 13,5 % vol. Montepulciano 70 %, Sangiovese 30 %. Vinificazione in acciaio poi affinamento in barrique usate solo per il Montepulciano. Il Sangiovese affina sempre in vasca di acciaio.
Colore Rubino carico e naso potente. Frutta rossa matura , caffè e una nota di spezia. Un vino dal corpo e dalla freschezza armoniose. Bello il tannino che si fa sentire senza invadere.
In bocca in prevalenza le durezze sulla parte morbida non stancano il palato. Un vino da pasto, da grigliata. Ottimo servito qualche grado sotto i canonici 18°.
AZIENDA AGRICOLA LE CANIETTE La realtà della famiglia Vagnoni è sicuramente una delle più conosciute qui nel territorio Piceno. Giovanni Vagnoni, seguendo le orme del nonno prima e del padre poi, nei primi anni ’90 entra in azienda e inizia a introdurre tutte quelle novità tecnologiche ed imprenditoriali che hanno reso Le Caniette conosciute ed apprezzate sul territorio e nel mondo.
Attualmente l’Azienda si estende per un totale di 20 ettari di cui vitati circa 16. Siamo a Ripatransone (AP) in una posizione limitrofa e perpendicolare al mare, le vigne godono di molti elementi favorevoli che le rendono uniche perché particolare è il microclima, come lo è la conformazione del terreno, composto da depositi sabbiosi e conglomeratici di tetto (Pleistocene inferiore). Un’azienda certificata biologica dal 1996.
I MIGLIORI ASSAGGI Lucrezia 2017 , Marche Passerina Igt. 12,5% vol. Bassa densità di impianto , siamo sui 400 ceppi per ettaro ma rese da 90/100 q/ettaro. dopo la vendemmia viene mantenuta per 10 gg a 0° C, sussegue diraspatura e spremitura molto soffice in assenza di ossigeno, pulizia dei mosti statica, fermentazione a temperatura controllata di circa 15 °C per circa 30 giorni. Affinamento in acciaio per circa 3 mesi.
E’ una Passerina diversa dalle solite scialbe e anonime che spesso si trovano in zona. E’ una bella bottiglia da ingresso di serata. Il colore è un giallo paglierino scarico ma il naso è intenso, ricco di frutta bianca fresca. In bocca sapidità e mineralità preparano la bocca e la stuzzicano. Discreta persistenza.
Chiediamo a Giovanni qual è quel tocco che rende questa Passerina una bottiglia che non passa inosservata e lui ci confida che dopo la spremitura del mosto fiore del pecorino circa 10/15 % della massa rimasta viene aggiunta alla Passerina conferendole quella struttura aromatica che per natura alla varietà manca. Piaciuta molto.
Morellone 2013 , Rosso Piceno Sup Doc. 13,5% vol ; 30% Sangiovese – 70% Montepulciano. Macerazione dai 6 ai 9 giorni in acciaio, affinamento e malolattica in barrique usate per 2 anni, un passaggio in cemento per fare la massa e poi ulteriori 2 anni di nuovo in acciaio. Terreno misto sciolto con presenza di calcare dai 280 ai 380 metri di altitudine.
Siamo sui 5000 ceppi per ettaro con rese di 60 quintali per ettaro. Rubino intenso, naso esplosivo caratteristico del montepulciano , marasca, prugna e spezia fino al cacao. In bocca è rotondo con corpo e struttura ben bilanciata dalla freschezza del Sangiovese.
Armonico al palato. Tannino giustamente levigato. Bella persistenza. Un gran vino, che si gusta meglio con qualche anno di bottiglia che lo rende ulteriormente armonico e leggero alla beva.
Cinabro 2013 , Marche Rosso Igt. 13,5 % vol. 100% Uva Bordò, (clone di Grenache) con piante di oltre 100 anni da un vigneto riscoperto poco distante dalla cantina. Vendemmia a fine agosto breve macerazione in tini di legno per 8 giorni, affinamento e malolattica in mezze barrique ( da 115 l) per 3 anni.
Poi sosta di un anno minimo in bottiglia. Cinquemila ceppi per ettaro a cordone speronato per una resa irrisoria di circa 12 quintali. Granato da manuale nel calice. Naso affascinante, mai sentita una china cosi netta.
Rabarbaro, chinotto, spezia, erba medicinale, poi agrume e un accenno di frutta rossa. E’ splendida l’evoluzione . In bocca è un fazzoletto di seta, entra elegante ed esplode. Sorso verticale dalla persistenza infinita.
La nota aranciata quasi da scorza essiccata ritorno sul finale donando freschezza e pulizia. Una bottiglia da bere con calma, senza fretta, anche fuori dal pasto. Una meraviglia.
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Palermo – La maturazione delle uve procede in modo ottimale, ma le condizioni atmosferiche di giugno e luglio porteranno sicuramente ad una riduzione del quantitativo di uva raccolta che ci porrà ben al di sotto della media degli ultimi anni. Sono queste le prime indicazioni sulla vendemmia appena iniziata da parte dei produttori dei vini Doc Sicilia.
“L’andamento climatico degli ultimi mesi lascia presagire un’ottima qualità delle uve” dice Maurizio Lunetta, direttore del Consorzio di tutela vini Doc Sicilia. “l Pinot grigio appena raccolto ha avviato una vendemmia che però fa prevedere quantitativi al di sotto della media degli ultimi anni, anche se probabilmente superiore alla vendemmia del 2017. Se analizziamo la campagna di raccolta nel suo complesso” continua Lunetta, “ci aspettiamo una riduzione dei quantitativi soprattutto a causa delle piogge estive che hanno interessato una vasta area viticola del Trapanese”.
LA PAROLA AI VITICULTORI “Per quanto siamo ancora all’inizio della stagione vendemmiale” aggiunge Paolo Di Maria delle Cantine Ermes di Santa Ninfa, nella Valle del Belice, “i primi raccolti ci soddisfano molto dal punto di vista qualitativo, mentre indubbiamente non possiamo non considerare i diradamenti naturali dei vigneti delle nostre zone registrati nei mesi scorsi. Dal nostro osservatorio agronomico possiamo prevedere un calo di produzione di uve non trascurabile (stimiamo il 30% circa di una annata normale), ma l’obiettivo di riuscire a dare redditività ai viticoltori puntando sulla qualità dei vini è raggiungibile. Siamo impegnati da anni a rendere sostenibile il lavoro e i sacrifici fatti dai nostri soci conferitori per una produzione di qualità”
“Quest’anno abbiamo avuto finora un clima mite e piogge relativamente abbondanti rispetto alla media delle precedenti stagioni: ecco perché possiamo prevedere che il bilancio della vendemmia sarà positivo” commenta Filippo Paladino, vicepresidente delle Cantine Colomba Bianca, azienda che raccoglie uve in diverse zone della provincia di Trapani, specie tra Marsala, Mazara e la Valle del Belice. “Le condizioni climatiche hanno però esposto le piante ad attacchi di Peronospera. Il Nero d’Avola, che è molto suscettibile a questa malattia fungina, potrebbe registrare un calo di quantità del 40 per cento rispetto alla media, mentre il Grillo, il Catarratto e il Grecanico sono nell’ordine di quantità dell’anno scorso”.
“Nella zona del siracusano e in parte del ragusano dove la nostra azienda ha i vigneti ci aspettiamo una vendemmia abbondante” racconta Nino Di Marco, della Cantina Terre di Noto. “Prevediamo di registrare un miglioramento dal punto di vista della produzione che possiamo fissare in un più 5 per cento, e la conferma di uno standard qualitativo perfetto come già registrato nella passata campagna di raccolta. Non abbiamo subito attacchi di malattie alle viti e l’ondata di caldo che si è abbattuta la settimana scorsa sulla Sicilia non prevediamo possa portare a conseguenze negative per i vigneti. Certo, sappiamo che il fattore climatico è indecifrabile, ma al momento non ci sono segnali allarmanti”.
“Nel nisseno, dove la nostra azienda cooperativa ha i suoi viticoltori, la vendemmia dovrebbe far registrare un aumento delle quantità rispetto allo scorso anno” conclude Salvatore Vitale della Cantina La Vite di Riesi. “Non abbiamo avuto malattie che colpiscono le viti e le temperature sono state buone, senza i picchi di caldo dello scorso anno. Così, se nella passata vendemmia abbiamo raccolto 190 mila quintali di uve in seguito alla riduzione provocata dalle condizioni atmosferiche avverse, quest’anno possiamo prevedere un raccolto sopra i 210 mila quintali. In questa settimana iniziamo a raccogliere Sangiovese e Chardonnay, a settembre toccherà al Nero d’Avola. E anche per questo vitigno tutto procede nel migliore dei modi”.
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Notte rosa sul lago con Trasimeno Rosé Festival 1024x688 1
Sabato 23 giugno 2018 sarà la notte rosa del Lago Trasimeno. Il Consorzio Tutela Vini Trasimeno presenta la prima edizione di Trasimeno Rosé Festival, una serata interamente dedicata ai vini rosati del territorio umbro, in occasione della Notte Romantica dei Borghi più belli d’Italia.
L’appuntamento è in oltre trenta ristoranti dell’area che circonda il Lago Trasimeno, a pochi chilometri da Perugia.
In occasione dell’evento le cantine del Consorzio consegneranno agli esercizi coinvolti alcune etichette dei loro vini rosati e i ristoratori, dall’aperitivo alla fine della serata di sabato, offriranno ai clienti un calice di rosé del Trasimeno e realizzeranno degli appositi menù a tema con i prodotti del territorio che meglio si abbinano a questi vini.
La data zero del Trasimeno Rosé Festival è una scommessa per il Consorzio Trasimeno e le aziende che ne fanno parte. In tutta l’area si coltivano varietà come il Sangiovese e il Gamay del Trasimeno, particolarmente vocate alla produzione di vini rosati, tanto che nel disciplinare della DOC Trasimeno verrà presto inserita la possibilità di vinificare in rosato con uve provenienti da questa varietà.
La scelta della data non è un caso, dato che il 23 giugno si festeggia la Notte Romantica dei Borghi più belli d’Italia, a cui appartengono tutti i paesi coinvolti nel Trasimeno Rosé Festival e il giorno precedente, invece, è stato nominato dai provenzali l‘International Rosè Day, che vede la celebrazione del vino rosato in tutto il mondo.
“Il Trasimeno Rosè Festival – spiega Emanuele Bizzi, presidente del Consorzio Tutela Vini Trasimeno – è una giornata che le cantine consortili vogliono dedicare ad un vino sempre più apprezzato, anche sul Trasimeno”.
“L’evento vuole essere un modo per avvicinare il pubblico ai meravigliosi rosé che la nostra terra sa regalare – continua Bizzi – un vino informale, perfetto per gli aperitivi con gli amici e che si abbina perfettamente ai piatti con il pesce di lago tipici di questa zona. Un vino rosa come i tramonti che colorano il Trasimeno nelle serate estive”.
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Grandi denominazioni, territori ad alta vocazione vitivinicola, strade e turismo del vino. Il vino IGT Toscana rappresenta un carnet di produzioni di alta qualità e di spiccata territorialità, dove rigore produttivo e passione dei vitivinicoltori toscani si intrecciano indissolubilmente. Vini prodotti in ogni angolo della Toscana; diverse tipologie, uvaggi e caratteristiche che sono espressione dei singoli territori toscani. Vini che presentano una grande varietà ma anche una qualità assoluta, basti pensare ai SuperTuscan o alle produzioni enologiche delle singole cantine che già producono vini a Denominazione.
Il Vino Igt Toscana, insieme ai prodotti da agricoltura biologica e l’Olio Igp Toscano, fa parte delle produzioni certificate toscane promosse da Rete Qualità Toscana, una rete di imprese agricole toscane nata con l’obiettivo di promuovere l’aggregazione della filiera agroalimentare per valorizzare le produzioni di qualità regionali, attraverso le azioni della Misura 3.2 del PSR (Piano di Sviluppo Rurale).
Oggi a Montepulciano, patria del Vino Nobile, Rete Qualità Toscana ha organizzato un tour fra alcune importanti realtà vitivinicole del territorio (Fattoria del Cerro e Vecchia Cantina di Montepulciano) per promuovere la filiera del Vino Igt Toscana e presentare alla stampa le attività della rete d’impresa.
«Già dal 2012, con qualitoscana.net – sottolinea Marco Failoni, coordinatore di Rete Qualità Toscana – RQT ha partecipato ai progetti sviluppando 3,5 milioni e mezzo di euro di investimenti. Oggi con Agr-Eat il progetto di RQT va avanti: abbiamo inserito nel progetto complessivamente 51 beneficiari e 18 partecipanti indiretti investimenti per 7,5 milioni di euro sempre con il contributo della Regione Toscana».
Vino e Toscana, un binomio indissolubile. Vigneti a perdita d’occhio che disegnano colline, cantine nel segno della tradizione e dell’innovazione tecnologica, sapienza enologica e professionalità antiche, etichette apprezzate nel mondo. Il vino per la Toscana è un biglietto da visita di eccellenza, un brand apprezzato nei mercati internazionali.
«RQT – aggiunge Failoni – è promotore del progetto integrato di filiera Agr-Eat, co-finanziato dal PSR della Regione Toscana, che opera per sviluppare una efficiente filiera corta dei prodotti dell’agricoltura toscana, incentrata sulla vendita diretta e l’agri-ristorazione, e per promuovere alcuni dei sistemi di qualità che rappresentano un valore fondamentale nel panorama agroalimentare toscano. In questi mesi sono stati svolti oltre 120 eventi di promozione in tutta la Toscana».
I NUMERI DEL VINO IGT TOSCANA
La Toscana è una terra di vini rossi, pari infatti, a circa l’88 per cento dei vini toscani. La vendemmia 2017) ha portato in cantina circa 2 milioni 300 mila quintali di uve, e da queste 391 mila ettolitri di vino Igt.
In Toscana il numero di aziende con vite è di oltre 22 mila unità, delle quali poco più di 15 mila con vite da vino Docg e Doc. Si tratta di aziende contrassegnate da dimensioni piccole o medio-piccole, anche se non mancano alcune aziende di ampiezza rilevante. Venti sono le cantine sociali, la cui produzione è stata pari al 13 per cento del totale regionale.
Il vitigno più rappresentativo è il Sangiovese, con il 62 per cento dell’intera superficie iscritta allo schedario viticolo, seguito dal Merlot e dal Cabernet Sauvignon rispettivamente con l’8 e il 6 per cento.
Per quanto riguarda le Igt, sono stati oltre 12 mila gli ettari interessati nel 2017, con la quasi totalità della produzione afferente all’Igt Toscana. Il valore ex fabrica generato dalla filiera dei vini Dop e Igp imbottigliati toscani è stimata nell’ordine del miliardo di euro, circa 850 milioni di euro per i Dop cui si aggiungono 148 milioni per le Igt, pari al 12 per cento sul totale di 8 miliardi 200 milioni di euro stimato da Ismea per l’Italia.
Per quanto riguarda l’export le produzioni Igt Toscana sono in linea con i dati generali del vino toscano. Quasi il 60 per cento della produzione certificata regionale, considerando un’annata produttiva normale, prende la via dei mercati esteri.
Ogni anno circa 900 mila ettolitri di vino toscano trovano spazio sui mercati internazionali, in un rapporto fino a oggi piuttosto stabile tra paesi extracomunitari e comunitari, circa 57 e 43 per cento, per un fatturato di oltre 560 milioni di euro, evidenziando una capacità di proiezione verso mercati lontani tutt’altro che tipica del food & beverage italiano, ancora prevalentemente orientato verso i mercati più vicini.
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Da qualche anno in Romagna il mese di maggio (e in questo 2018 anche di giugno) è dedicato all’Albana. E ogni anno il Consorzio Vini di Romagna e i diversi Comuni coinvolti in questo processo di valorizzazione e promozione del vino simbolo di questa terra – insieme al Sangiovese – forniscono nuovi spunti e nuove possibilità di conoscenza agli eno-appassionati che partecipano ai vari appuntamenti. Dopo gli appuntamenti della scorsa settimana a Brisighella e Oriolo dei Fichi, il 3 giugno tappa a Dozza, Faenza il 10 giugno (a Casa Spadoni), Bertinoro il 16 giugno.
In tutte le location sarà presente un banco d’assaggio per dar modo al pubblico di degustare e apprezzare i 7 vini finalisti, selezionati “alla cieca” da una giuria tecnica composta da critici delle principali guide del settore, tecnici ed esperti enogastronomici, sommelier, commerciali vino. Dalla graduatoria della Giuria tecnica si andrà ad assegnare il premio “Albana Dèi” ai migliori Romagna Albana DOCG di tipologia secco.
Nelle date indicate, inoltre, il pubblico potrà votare i sette vini finalisti per eleggere “L’Indigeno del Cuore”– premio Valter Dal Pane e le Albane locali per eleggere l’Albana del Borgo (versioni secco e passito).
Il Consorzio Vini di Romagna presidierà tutti i banchi d’assaggio con “A scuola di Etichetta”, info-point sul Romagna Albana DOCG dove poter illustrare agli avventori il percorso e gli elementi di valore della Denominazione d’Origine Controllata e Garantita, vertice massimo della piramide della qualità dei vini italiani ed europei, avamposto di tutela e valorizzazione dell’italianità.
Le premiazioni avverranno entro la fine di giugno, in data e luogo da definire.
Questi appuntamenti annuali sono l’occasione per il Consorzio Vini di Romagna per fare il punto sul vitigno autoctono e vino più identitario della Romagna, nell’intento di diffonderne la cultura affermandone la straordinarietà e il carattere distintivo, nella ricchezza d’interpretazioni dei produttori romagnoli. L’evento dedicato all’Albana, giunto alla sesta edizione, è curato da Carlo Catani e Andrea Spada.
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Dalla cantina dell’Azienda Agricola “La Casetta”, nasce lo Spumante Brut “MiA”, proveniente dalle colline
dell’appennino tosco-romagnolo, figlio di un blend in cui Chardonnay e Pinot Nero si sposano con il
Sangiovese. Ne nasce una bollicina semplice, elegante e versatile che nel canale horeca si aggira intorno ai dieci euro di prezzo.
LA DEGUSTAZIONE
Passando all’analisi visiva, troviamo nel calice un vino di un elegante rosa Cerasuolo e dal perlage fine e persistente.
Al naso la predominanza è quella dei sentori caratteristici del Sangiovese, come il bouquet delicato di violetta, ciliegia, fragola accompagnati da frutta esotica e pietra focaia.
La bevuta è piena, una bella freschezza si sprigiona sulla lingua chiudendosi con la tipica avvolgenza
ammandorlata dello Chardonnay.
Un piacevole metodo charmat, perfetto per l’aperitivo ma anche a tutto pasto, magari con una delicata
pasta alla burrata e salmone.
LA VINIFICAZIONE
Vinificato con metodo charmat, spumantizzazione 6 mesi in autoclave in acciaio inox, affinamento di 3 mesi
sulla bottiglia.
In provincia di Ravenna, sulle colline tosco-romagnolo, nasce nel 1963 l’Azienda agricola “La Casetta” dai
fratelli Antonio ed Angelo Errano, a cui si unisce nel 70’ anche Giuseppe Bartolini. Etichette caratteristiche nascono dall’amore per il proprio lavoro e per le proprie terre, dove autoctoni come il grechetto, trebbiano e sangiovese si uniscono a vitigni internazionali come Pinot Nero e Chardonnay.
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Proviene da Radda, la capitale dell’antica Lega del Chianti il Chianti Classico Docg Monteraponi oggi sotto la nostra lente di ingrandimento.
Una località storica e una denominazione che di fatto ha più di 300 anni di storia da cui nasce questo vino giovane e leggero, in calzoni corti, ma di ottima fattura!
La Lega del Chianti nacque a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, quando la lotta tra Guelfi e Ghibellini era in pieno vigore.
Era una circoscrizione di città rurali, dette Popoli, concepita inizialmente con compiti prevalentemente di tutela dell’ordine pubblico e di difesa dei diritti dei popolari di fronte ai soprusi dei magnati, ma con il passare degli anni acquisì compiti sempre più amministrativi.
Era costituita da settanta Popoli ed era divisa in tre “Terzieri”, facenti capo alle tre più importandi località: Radda (che ne divenne il capoluogo), Castellina e Gaiole.
Il primo statuto risale al 1384, e la lega rimase tale fino al 1774 quando il Granduca Pietro Leopoldo la sciolse creando i tre comuni attuali. Lo stemma della Lega del Chianti era un gallo nero su fondo oro, stemma che diventerà il simbolo del Chianti Classico.
Tra i compiti della Lega del Chianti c’era anche la tutela del vino locale, tanto che Cosimo III de’ Medici, Granduca di Toscana, nel 1716 stabilì che i tre villaggi della Lega del Chianti più Greve in Chianti, erano gli unici territori autorizzati alla produzione, territori che ancora tutt’oggi coincidono con quello della denominazione “Chianti Classico Docg”, da non confondersi con la denominazione “Chianti Docg”, di concezione più recente.
Nel 1930 infatti il governo italiano, per far fronte alle crescenti richieste di vino Chianti, ampliò la zona di produzione a nord di Firenze e a Sud di Siena, oltre che in aree delle provincie di Pisa, Pistoia e Prato.
LA DEGUSTAZIONE
Il Chianti Classico Docg Monteraponi sprigiona giovinezza alla vista. Il rosso è ancora di un bel rubino luminoso e solo sull’unghia mostra l’incedere del tempo virando al granato. Un ottimo inizio!
Al naso inizialmente è chiuso, si percepiscono solo piccoli frutti rossi ancora piuttosto freschi come ribes e lampone e le note sono tutte sussurrate. Ma con il passare del tempo ecco emergere in sottofondo il legno con la sua speziatura dolce, e poi note di sottobosco e di terra, fino a evocare un lontano ricordo balsamico.
In bocca entra teso, giovane, di medio corpo. Non sembra affatto un vino di ormai quattro anni. Il tannino è molto morbido, integrato, levigato. Al retronasale torna la nota terrosa e anche leggermente ematica. Equilibrato, intenso e di buona lunghezza, termina con una nota amarognola e leggermente acidula che ricorda la buccia dell’uva.
LA VINIFICAZIONE
Il Chianti Classico Monteraponi è 95% Sangiovese e 5% Canaiolo da agricoltura biologica. La vinificazione avviene spontaneamente in vasche di cemento vetrificato, senza controllo di temperatura e senza aggiunta di lieviti selezionati.
Dopo una lunga macerazione sulle bucce (25 giorni), fermentazione alcolica e malolattica, invecchia in botti di Slavonia per 16 mesi più un ulteriore mese di decantazione in cemento. Non viene né filtrato né chiarificato.
L’azienda agricola Monteraponi prende il nome dall’antico borgo medievale situato sul poggio omonimo, appartenne al Conte Ugo Marchese e governatore di Toscana sulla fine del X secolo
e distante non più di qualche chilometro dalla capitale della Lega del Chianti, Radda.
Dei 200 ha sui quali si estende l’azienda agricola, solo 20 sono destinati alla coltivazione, 12 a vigneto e 8 a uliveto. Il resto è una distesa di boschi centenari di querce e castagni che isolano e proteggono la proprietà.
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FAENZA – “Bollicine e territorio: la Romagna si muove e chiama l’Unione Europea”. Questo il titolo dell’incontro alla Fiera di Faenza domani, lunedì 26 febbraio, alle 20.30.
La serata chiama a raccolta tutto il mondo vitivinicolo della Romagna con particolare riferimento ai produttori di sparkling wine.
Secondo i dati del Consorzio Vini di Romagna lo scorso anno sono stati imbottigliati 5,4 milioni di bottiglie di vini frizzanti Igt con indicazioni romagnole, 900 mila di spumanti sempre Igt, inferiori sono stati i numeri per i vini a denominazione di origine controllata (Doc Romagna): 12mila bottiglie frizzanti, e 38mila spumanti.
Il trend pare destinato a crescere ancora di più, all’orizzonte poi c’è l’aggiornamento della Romagna Doc Spumante. Un progetto (criticato da associazioni come Fivi, la Federazione italiana Vignaioli indipendenti) che nasce “dall’esigenza di traguardare la viticoltura romagnola nei prossimi 20 anni, cercando di generare valore aggiunto attraverso una qualificazione dei disciplinari”.
Sempre secondo il Consorzio, lo spumante Romagna Doc favorirebbe “un forte impegno nell’innalzamento qualitativo delle produzioni e un altrettanto forte impegno nella capacità di intercettare i trend ed i mercati, nazionali ed esteri, maggiormente remunerativi per i produttori”.
Un pensiero rivolto sopratutto alle varietà autoctone, con la seconda fase che dovrà essere dedicata al Sangiovese di collina. Il progetto è promosso dal Consorzio Vini di Romagna con tutti i produttori impegnati a livello di Consiglio di amministrazione, commissioni tecniche e valorizzazione, in stretta sinergia con il coordinamento vino di Alleanza Cooperative Agroalimentari.
Non è un caso, appunto, che all’incontro a Faenza prendano parte i principali protagonisti del mondo vitivinicolo della Romagna e non solo: Paolo De Castro (nella foto) Vice presidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo, Stefano Bonaccini Presidente della Regione Emilia Romagna, Simona Caselli Assessore regionale all’Agricoltura.
Al convegno “Bollicine e territorio: la Romagna si muove e chiama l’Unione Europea” parteciperanno anche Ruenza Santandrea Coordinatrice settore vino Alleanza Cooperative Agroalimentare, Carlo Dalmonte Presidente Caviro, Marco Nannetti Presidente Terre Cevico, Giordano Zinzani del Consorzio Vini di Romagna, Mauro Sirri delle Cantine Celli di Bertinoro. Coordina la serata Antonio Farnè, caporedattore del Tg3 Emilia Romagna.
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Non solo uno dei vini italiani più famosi al mondo, ma anche uno di quelli storicamente più importanti. Troviamo tracce storiche del Chianti già nel XVI secolo, passando poi per la prima definizione dei confini della zona di produzione nel 1716 e attraverso la prima forma di definizione dell’uvaggio, grazie al Barone Bettino Ricasoli nella prima metà del 1800.
Una lunga storia che giunge a noi attraverso la costituzione del consorzio del Gallo Nero nel 1924 e dall’introduzione della specifica “classico” nel 1932, e un disciplinare modificato l’ultima volta nel 2013.
È il tempo, quindi, a consegnarci il Chianti Classico. Ma, all’atto pratico, come si comporta il vino alla sfida col tempo? È stata la sezione di Varese dell’Onav a tentare di dare una risposta. Organizzando una splendida verticale di Chianti Classico Riserva “Il Poggio” di Castello di Monsanto, lo scorso 26 gennaio. Cinque vini, uno per decennio. Per assaporare lo scorrere del tempo.
LA VERTICALE Riserva Il Poggio 2013. 14,2% per un vino nato in un’annata fresca ed equilibrata. Vinificazione in tonneaux sia di primo che di secondo passaggio, delestage per una estrazione dolce. Uvaggio 90% Sangiovese e 10% Colorino.
Colore rubino non particolarmente inteso, unghia lievemente aranciata. Molto intenso al naso, pulito. Quasi non avvertiamo sentori terziari, ma grandi note fruttate. Ciliegio, viola, una leggera nota terrosa. Solo dopo un po’ avvertiamo un leggero sentore tostato o di legna da camino. In bocca è piacevole con un tannino leggermente aggressivo ed amaricante. Molto fresco grazie alla viva acidità.
Riserva Il Poggio 2006. 14% figli di un’annata altalenante con stagione di raccolta ottimale. 18 mesi in tonneaux.
Più colorato del precedente, più carico, più coprente. Anche al naso è più intenso e regala sensazioni diverse. Marmellata di lamponi, vaniglia, fiori appassiti, marasca. Iniziamo a percepire una maggiore presenza di note terziarie come pepe, chiodi di garofano, cacao, terra. Chiude una nota mentolata.
In bocca il tannino è vivo, deve ancora evolvere. Meno amaro del 2013 il sorso è pulito e chiude con una lunga persistenza.
Riserva Il Poggio 1999. 13,8%. il 40% del vino fa barrique per 8 mesi, 60% botti di slavonia da 50hl. Vent’anni iniziano a farsi sentire e il vino cambia registro. Colore integro, al naso si avvertono subito sentori di rabarbaro e radici ed agrume (chinotto).
I terziari si spendono in note di pepe, terra, ruggine, tamarindo e legni balsamici. Profumi molto diversi rispetto ai due fratelli minori assaggiati in precedenza. All’assaggio è integro, nessuna ossidazione, fresco ed armonico accompagna la persistenza con un retro olfattivo ricco di caffè e marasca.
Riserva Il Poggio 1982. 13,9%. Tre anni e mezzo in botti Slavonia da 50hl. Un’annata che già all’epoca fu considerata “di allungo”, capace di dare vini longevi.
Nobile color aranciato al naso somiglia più al 2006 anche al 1999. Marmellata di frutti rossi, terra, grafite, cacao, caffè, tabacco ed una nota balsamica. Agile in bocca, di buona acidità e tannino vellutato. Persistente. Stupisce per la sua gioventù e per la sua schiettezza.
Riserva Il Poggio 1977. 13,8%. Tre anni e mezzo in botti Slavonia da 50hl. Annata regolare. Colore che tende al bruno. Al naso è difficile e contrastante. Radici, tamarindo, liquirizia, rabarbaro. Una nota dolciastra che può ricordare l’assenzio o il vermuoth ma sempre in contrasto con le note secco/amare.
Pulito, senza “danni”, fa sentire i suoi anni. In bocca è meno integro del precedente ma l’acidità ancora supporta il sorso. Equilibrato ed armonico il tannino ancora “asciuga” la bocca.
CASTELLO DI MONSANTO, “CRU” IL POGGIO
Il Castello di Monsanto risale alla metà del 1700, ma è molto più recentemente che il suo nome diventa iconico nel mondo del Chianti.
Nel 1961 viene acquistato da Aldo Bianchi, incantato dalla vista che si gode dal suo terrazzo, e lo donò al figlio Fabrizio in occasione del suo matrimonio.
Stregato dai vini della tenuta Fabrizio iniziò a dedicarsi ad essi. Nel 1968, in controtendenza con quanto era in uso allora, decise di eliminare le uve a bacca bianca dall’uvaggio.
Il messaggio era chiaro: è il Sangiovese la vera ricchezza di questa terra. Nello stesso anno la scelta di eliminare i raspi per ottenere un vino più complesso ed equilibrato.
Tutto questo applicato alle uve provenienti dal vigneto Il Poggi. 5,5 Ha, il primo “cru” di Chianti Classico.
Vigneto collinare che insiste su galestro, un terreno scistoso argilloso che tende a sfaldarsi naturalmente e che dono al vino i suoi particolarissimi sentori.
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(3,5 / 5) Esse(l’)allunga. Anzi, lo gonfia. Non tutti gli sconti sono veri e propri “affari”. E’ bene tenerlo a mente nelle corsie del vino al supermercato.
Esempio lampante quello del Chianti Docg Conti Serristori 2016. In questi giorni al 50% sugli scaffali di Esselunga (2,99 euro al posto di 6 euro).
Un prezzo che pare di per sé “gonfiato” ad hoc. Online, la stessa bottiglia è in vendita a meno di 5 euro (prezzo pieno).
Centesimo più, centesimo meno, sono diversi i siti web che confermato la poco elegante operazione del colosso milanese della Grande distribuzione. Tant’è.
LA DEGUSTAZIONE
Il calice di questo Chianti Docg, che in etichetta riporta il simbolo del casato dei Conti Serristori, si tinge di un rosso rubino piuttosto trasparente. Il naso è quello dei Chianti “duri” e poco aggraziati.
Se da un lato risultano tipiche le note di frutti a bacca rossa e di fiori di viola, dall’altro il legno dell’affinamento risulta davvero troppo invadente. Non stiamo parlando della classica vena “vanigliata”. Piuttosto di una sensazione “verde”, scomposta.
Una caratteristica riscontrabile anche al palato, dove i tannini, pur mascherati da una vena sapida nel finale, contribuiscono a sgraziare le note fruttate incontrate al naso, già di per sé poco fini.
Insomma, un Chianti da abbinare a piatti decisi, a base di carne rossa. Oppure, ad oggi, da dimenticare in cantina. Sperando che il quadro gusto-olfattivo ne guadagni, riequilibrandosi nel tempo.
LA VINIFICAZIONE
Il Chianti Docg Conti Serristori è ottenuto all’85% da uve Sangiovese grosso. Completa il “blend” un 15% di vitigni complementari. Le vigne vengono selezionate nella parte senese della zona classica del Chianti, sul territorio dei comuni di Castellina e Radda.
I vigneti sono allevati a Guyot e cordone speronato, su colline di 300-350 metri di altitudine bene esposte e di
composizione diversa, con microclimi differenti. La produzione di uva per ettaro è di 75 quintali, con una resa in vino del 70%.
Le uve mature, raccolte durante la prima decade di ottobre, sono vinificate tradizionalmente “in rosso”, con un paio di settimane di macerazione e con frequenti rimontaggi. La fermentazione, previa l’aggiunta di lieviti selezionati, si svolge alla temperatura controllata di 25 gradi.
La maturazione avviene in fusti di rovere del Limousin: una scelta che potrebbe motivare l’eccessiva “durezza” del vino, percepita durante la degustazione. Prima dell’immissione in commercio, questo Chianti affina ulteriormente in bottiglia per diversi mesi.
La cantina Conti Serristori, operante in località Gaggiano a Poggibonsi, in provincia di Siena, è un’azienda storica della Toscana del vino. Oggi fa parte di Giv, Gruppo italiano vini, uno dei maggiori player del settore in Italia, con importanti partecipazioni in società estere.
Centoquarantacinque gli ettari di vigneti di Serristori, che si estendono tra il cuore del Chianti Classico e la città di San Gimignano. Alla cantina principale si affianca quella destinata alla vinificazione e all’affinamento della Vernaccia.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Il vino oggi sotto la nostra lente di ingrandimento è il frutto dell’amore nato tra Claudia e Pablo in quel di Montalcino, sul finire degli anni 80.
Un rapporto nato tra colleghi, dipendenti di un’azienda del posto, che si è trasformato in un percorso di vita comune. Suggellato da tre figlie, dall’acquisto del podere Pascena e dalla costruzione della loro cantina, nel 2002.
Da allora hanno cominciato la loro produzione di vini di gran pregio, dalla personalità sorprendente, ma fortemente legata alla tradizione.
LA DEGUSTAZIONE
10.149 bottiglie prodotte per questo ottimo Sangiovese in purezza, che al calice esprime un bellissimo rosso rubino con un leggero riflesso violaceo.
Al naso è intenso e complesso con i caratteristici sentori di viola ed amarena cui segue un leggero richiamo morbido di camomilla e, sul finale, un richiamo più energico di chiodi di garofano.
In bocca esprime la sua personalità: in un perfetto matrimonio tra morbidezze e durezze, la sapidità leggera si accompagna ad un tannino moderato e vellutato. La sensazione pseudocalorica è appagante assieme alla rotondità del vino.
La persistenza al palato richiama dolci ricordi di sottobosco regalando lunghi secondi di piacere prima di riappoggiare le labbra al calice per il sorso successivo. Se si accompagna il tutto con un bel tagliere di formaggi o un maialino arrosto, il quadro si completa.
LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve Sangiovese provenienti dal vigneto Pascena sito ad un altitudine di 250 metri sul livello del mare su terreno collinare ricco di argilla a bassa fertilità. La vinificazione avviene in acciaio con fermentazione delle bucce per 9 giorni a temperatura controllata inferiore ai 28°, per poi procedere all’invecchiamento di 12 mesi in botte, acciaio inox e barrique usate.
L’Azienda Agricola Claudia Ferrero si trova nel Podere Pascena, tra Sant’Angelo in Colle e Sant’Angelo in Scalo. Dispone di 5,5 ha di vigneto, di cui 3 a Montalcino metà iscritti a Brunello e metà a Rosso di Montalcino e 2,5 a Montenero d’Orcia, a pochi km da Montalcino ma già nella Maremma Toscana nei quali si coltivano Alicante, Montepulciano, Merlot, Cabernet e Sangiovese.
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Modigliana Il Pratello foto di archivio inverno1 300x225
Un paese in Appennino, la storia di un territorio straordinariamente vocato per il Sangiovese e la tradizionale festa, “E zoc ed Nadel”, che raccoglie tutta la comunità attorno a un fuoco acceso in piazza.
Sono gli ingredienti della serata che giovedì 4 gennaio alle ore 18.30 vedrà i produttori di vino di Modigliana (FC) in piazza a raccontare dal vivo i loro Sangiovese per quella che a tutti gli effetti è la prima degustazione del nuovo anno.
Un’occasione unica per conoscerli e capire cosa abbiano di così speciale queste valli che si arrampicano in alto, tra boschi e rocce. La serata è promossa da BCC Credito Cooperativo Ravennate Forlivese & Imolese, in collaborazione con Az. Agr. F.lli Lecca e Coldiretti di Forlì. La degustazione è gratuita, previo acquisto del calice.
AZIENDE PARTECIPANTI: LE DICHIARAZIONI Parteciperanno le aziende: Lu.Va., Mutiliana, Il Teatro, Torre San Martino, Il Pratello, Villa Papiano. Abbinati ai vini vi saranno i prodotti dell’azienda agricola Fratelli Lecca.
“Vogliamo coinvolgere questo paese in un’avventura nuova, quella di un racconto che porta queste valli in giro per il mondo”, a parlare è Luca Monduzzi, titolare insieme alla moglie Stefania Montanari dell’azienda agricola Il Teatro. “Il vino è un’opportunità nuova per Modigliana, la possibilità di un futuro che qualche anno fa neanche si poteva immaginare. Oggi le nostre valli sono conosciute un po’ dappertutto e per me è una soddisfazione enorme, un motivo d’orgoglio e uno stimolo”.
Luciano Leoni, dell’azienda Luva, modiglianese doc, parla del vino con il senso di appartenenza di chi è nato fra questi monti. Modigliana si candida così a diventare la Stella dell’Appennino, il territorio di riferimento di tutta la Romagna del vino. Lo fa con i vini sottili, eleganti e freschi che nascono da suoli, unici in Romagna, di marne e arenarie.
“Siamo convinti che la comunità vada coinvolta, i vini di Modigliana devono essere i vini di tutti e tutti ne devono comprendere la finezza. Scendere in piazza a parlarne tra la gente ci sembra il modo migliore per raccontarli”, così Tommaso Bindi, dell’azienda Torre San Martino, rimarca l’anima militante di questa serata di strada.
“Il carattere del sangiovese di Modigliana è elegante, austero, con un frutto garbato che indugia sui richiami minerali e con una bocca sapida e tagliente. Sono vini da attendere nel tempo, sempre sottili e vibranti, figli dei terreni poveri di questo territorio che si articola su tre valli che salgono in Appennino: Ibola restituisce i vini più sottili e salati, verticali e chiusi; Tramazzo è una valle che consegna i vini più eleganti e delicati, finissimi; Acerreta è invece la valle con i suoli più ricchi e i vini si esprimono su una trama tannica più fitta e sono materici e carnosi”. A raccontare in questo modo il territorio è Giorgio Melandri, wine writer ed esperto, da sempre impegnato in una lettura territoriale del vino, oggi coinvolto in questa terra con una sua piccola produzione firmata Mutiliana. “
È una identità originale, lontana da quella classica romagnola di vini prodotti sulle argille e noi su questa diversità stiamo costruendo un racconto nuovo, che mette il territorio (e non il marchio) al primo posto e “viaggia” in Appennino fino ai 600-700 metri di quota”. A parlare è Francesco Bordini, agronomo, wine maker e titolare di Villa Papiano, che prosegue: “La storia della qualità, già dagli anni ’70 con la incredibile storia dei Ronchi di Castelluccio firmati da Gian Vittorio e Gian Matteo Baldi, è passata di qui. Oggi la stiamo rilanciando, complice una rinnovata sensibilità del mercato per i vini eleganti e freschi, sottili eppure complessi”.
“Quando ho piantato le mie vigne a 500 m s.l.m, negli anni ’90, mi hanno preso per matto e invece oggi quella è stata semplicemente una scommessa vinta. Aprire le bottiglie di quelle prime vendemmie oggi è emozionante, sono ancora vini perfetti” conclude Emilio Placci, dell’azienda Il Pratello.
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(3,5 / 5) E’ l’ultima Doc di Emilia Romagna (ultima solo in ordine alfabetico) a finire oggi nel calice di viniasuper. Si tratta dell’entry level di gamma della Fattoria Zerbina di Faenza nel Ravennate Acquistato con un taglio prezzo di circa il 25% (a soli euro 4,90), ma che regge egregiamente il suo prezzo pieno medio al super, estremamente competitivo rispetto a quello di noti e-tailers.
LA DEGUSTAZIONE
Il Romagna Sangiovese Superiore Doc Ceregio della Fattoria Zerbina marca il calice di rosso rubino intenso che non fa passare la luce. Il naso è intenso, con punte vinose non fastidiose, note di prugna e ciliegia oltre ad una puntina pizzicante pepata.
Al palato entra teso e asciutto, mostrando un certo carattere “rustico” nella sua rotondità. Rustico, ma non grezzo, semplice e tradizionale, ma non “dozzinale”. Un vino immediato e piacevole con una bella vena acida ed una tannicità dalla tessitura fine. Il Romagna Sangiovese Superiore Doc Ceregio della Fattoria Zerbina fa della semplicità il suo punto di forza. E così, di bicchiere in bicchiere riscalda l’anima e accompagna allegramente un pasto a base di carne, anche alla griglia, delle paste ripiene o dei formaggi stagionati. Un vino conviviale, con un’anima soul.
LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve Sangiovese (93%), Merlot (5%) e Ancellotta (2%) allevate nelle vigne di Montignano, Boschetto, Capanno, Malvone, Querce e Anfiteatro. I vigneti sono esposti a sud-est, sud-ovest, ovest e nord-est su suolo franco argilloso, calcareo e sono allevati a cordone speronato e alberello. La fermentazione avviene in acciaio con macerazione di 10 giorni. Successivamente il vino matura per 8 mesi in vasche di acciaio e di cemento e affina per ulteriori 2 mesi in bottiglia. La produzione complessiva si attesta sulle 120.000 bottiglie da 750ml.
Fattoria Zerbina è un riferimento assoluto per l’enologia romagnola. Fondata nel 1966 da Vincenzo Geminani che acquisto l’omonimo podere e piantò i primi vigneti. A partire dal 1987, la nipote Cristina Geminani, decise di dare una svolta qualitativa all’azienda nell’ottica di incrementare il valore di Sangiovese e Albana. Via dunque, per il Sangiovese alla messa a dimora della prima vigna ad alberello ad alta densità d’impianto, via alla sperimentazione delle prime selezioni clonali questo vitigno, taglio finale con introduzione di percentuali variabili di anno in anno di merlot e di syrah e proseguimento della tradizione dell’assemblaggio con ancellotta, vitigno tradizionale e poco considerato delle colline romagnole. Il Sangiovese rappresenta l’80% della loro superficie vitata.
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Due giorni di degustazioni al Merano Wine Festival 2017. E l’imbarazzo della scelta nello stilare una “classifica” dei migliori assaggi. Si è chiusa martedì pomeriggio in grande stile, al Kurhaus, con Catwalk Champagne (100 etichette di 40 aziende francesi tra le più note e prestigiose) l’edizione 2017 del “salotto bene” del vino italiano.
Organizzazione pressoché impeccabile nelle varie location che hanno ospitato il ricco calendario di eventi. Tanti professionisti, pochi curiosi. Biglietti da visita che finiscono in poche ore, tra un assaggio e l’altro.
Perché il Wine Festival di Helmuth Köcher, per il vino italiano, sta al business quasi quanto il Prowein di Dusseldorf. Per le sale, a caccia di “chicche”, tanto importatori, distributori ed enotecari quanto buyer della Gdo (segnalata la presenza, tra gli altri, dell’attento buyer di Coop).
Peraltro, con un occhio alla sostenibilità delle pratiche agricole in vigna, visto l’ampio spazio dedicato ai vini naturali, biologici, biodinamici e Piwi dall’evento d’apertura “Bio&Dynamica”. Una classifica, quella dei migliori vini degustati al Merano Wine Festival 2017 da vinialsuper, che tiene conto anche di questo aspetto.
I MIGLIORI SPUMANTI 1) Riserva Extra Brut Alto Adige Doc 2011 “1919”, Kettmeir. Sul podio una bollicina altoatesina da vertigini. A produrla è Kettmeir, azienda del gruppo vinicolo Santa Margherita di stanza in via Cantine 4, a Caldaro.
Sessanta ettari complessivi, per una produzione che si aggira attorno alle 400 mila bottiglie: 120 mila sono di spumante, di cui 70 mila metodo classico. Il progetto, come spiega l’enologo Josef Romen, è quello di incrementare ulteriormente gli sparkling nei prossimi anni, “senza perdere territorialità”.
Naso fine ed elegante per la Riserva Extra Brut 2011 “1919”, tra il candito d’arancia e l’arnica. Il blend di Chardonnay (60%) e Pinot Nero (40%) funziona, al palato, al ritmo di una bollicina che esalta nuovamente note d’agrumi, questa volta in grado di ricordare la buccia del lime. E una balsamicità tendente alla spezia.
Il Pinot Nero, raccolto in un vigneto circondato dai boschi, a 700 metri sul livello del mare, ci mette i muscoli e la “zappa” sulla lingua. Lo Chardonnay la cravatta e il savoir-faire. Immaginate una Ricola buttata in un bicchiere d’acqua e sale: eccolo lì, questo tagliente Extra Brut. Sul gradino più alto del podio. “E’ una prova – chiosa Romen – per capire fino a dove possiamo arrivare”. Di questa cantina se ne sentirà parlare bene e a lungo. Purché si decida a cambiare colore alla Riserva in questione: sembra quella di uno spumante rosè.
2) Blanc de Blanc Extra Brut Franciacorta Docg 2011 “Elite”, Mirabella. Interessante realtà della Franciacorta “alternativa”, la cantina Mirabella. Si presenta ai banchi di Merano con un “Senza Solfiti” che ti sfida sin dall’etichetta, essenziale ma pretenziosa, con quel nome di fantasia che chiama i tempi dei cavalieri. Ma è una dama dalla chioma bionda, l’export manager Marta Poli, a servire la sfida nel calice.
Sboccatura 2016, 48 mesi sui lieviti per questo Chardonnay in purezza. “Elite” si presenta di un giallo invitante. Al naso crema pasticcera, burro, arancia candita, liquirizia. Palato pieno, secco, corrispondente nei sentori. Chiusura di gran pulizia su una bocca di pompelmo, prima del nuovo capolino della crema pasticcera. A colpire è l’evoluzione di questo spumante nel calice, sensibilissimo alle temperature di servizio.
Gioca col termometro questo figlio della Franciacorta che avanza, giovane e dinamica. Scaldandosi, libera note di erbe aromatiche e di macchia mediterranea. E la crema pasticcera, mista a quella speziatura dolce di liquirizia, diventa crème brûlée: la parte alta, quella col caramello elegantemente bruciacchiato. Chapeau.
Aggiungi al curriculum che si tratta di un “Senza Solfiti” (fra 3 e 6 mg/l). Che è il frutto di 10 anni di sperimentazioni da cui sono scaturite quatto tesi universitarie. Che è il “primo metodo classico italiano Docg senza solfiti e senza allergeni”. E il quadro è davvero completo.
3) Alto Adige Doc Extra Brut 2012 “Cuvée Marianna”, Arunda. Sessanta mesi sui lieviti per questo metodo classico altoatesino della nota casa di Molten (Meltina, BZ), 4 g/l di dosaggio: 80% Chardonnay elaborato al 100% in barrique (dal primo al quinto passaggio), più un 20% di Pinot Nero vinificato in bianco, che fa solo acciaio.
Vini base da Terlano e Salorno, vendemmie 2009, 2010 e 2011. E’ lo sparkling dedicato a “Marianna”, moglie di Joseph Reiterer: i due decidono assieme come bilanciare la cuvée, prima di metterla in commercio. Cinque, massimo 6 mila bottiglia totali.
Giallo dorato nel calice, naso di frutta a polpa gialla (albicocca non matura), lime, bergamotto. Non manca una vena balsamica, che porta il naso tra le montagne: in particolare ai sentori mentolati tipici dei semi dell’angelica. Una gran freschezza, insomma, che al palato si tramuta in un gran carattere: buccia di arancia, ricordi di menta, una punta di liquirizia.
Piacevolmente tagliente il gioco tra l’acidità e la sapidità spinta. Poi, d’un tratto, “Cuvée Marianna” sembra ammorbidirsi: siamo tra il finale e il retro olfattivo, che assume tinte di vaniglia bourbon. Un signor spumante, dal rapporto qualità prezzo eccezionale.
Segnalazioni Bianco dell’Emilia Igt Frizzante Secco 2016 “L’Ancestrale nativo”, Terraquila: Sboccatura à la volée per questo frizzante di Terraquila. Siamo in Emilia Romagna, per un blend di Pignoletto e Trebbiano che non può mancare nella cantina degli amanti dei vini dritti, diretti, “salati”.
Moscato Giallo Igt Veneto 2016, Maeli: Vino frizzante dei Colli Euganei, più esattamente ottenuto sui Colli di Luvigliano, tra le Dolomiti e Venezia. Una realtà, Maeli, che punta tutto sul Fior d’Arancio, nome locale del Moscato Giallo che, nell’occasione, si presenta in un calice capace di sfoderare note sulfuree, di grafite e fruttate di nettarina matura. Corrispondente al palato, tra il sale e la frutta.
VINI BIANCHI 1) Vigneti delle Dolomiti Igt 2008 “Julian”, Weingut Lieselehof. E’ l’edizione del Merano Wine Festival che segnerà la definitiva consacrazione sul mercato di molti vini Piwi, acronimo di Pilzwiderstandfähig, riferito alle “viti resistenti” a malattie come oidio, peronospora e botrite, tutte originate da funghi.
Weingut Lieselehof, cantina della famiglia Werner Morandell situata a Caldaro, in Alto Adige, è all’avanguardia da questo punto di vista. E sul podio dei vini bianchi di viniasuper finisce proprio “Julian”, vendemmia 2008: un blend tra due varietà Piwi qualità hyperbio: Bronner (60%) e Johanniter (40%).
Se il Bronner, per certi versi, ricorda lo Chardonnay, è il Johanniter a dare l’impronta (soprattutto olfattiva, ma anche gustativa) del Riesling. Un sinonimo di longevità che ritroviamo appunto anche nella degustazione del blend Julian, straordinariamente vivo. A partire dal colore: un giallo dorato stupendo.
Alle note di idrocarburo fanno eco richiami di erbe di montagna, camomilla e miele. Di primo acchito, al naso, questo bianco di casa Lieselehof sembra aver fatto barrique. In realtà è solo chiuso e necessita tempo per aprirsi, scaldandosi un poco tra le mani.
Acidità ancora viva (rinvigorita da ricordi di agrumi come il pompelmo, ingentiliti da quelli della pesca matura) per un vino destinato a durare ancora a lungo nel tempo. Lungo il retro olfattivo, tutto giocato sul rincorrersi di freschi sentori di erbe mediche.
2) Secondo posto nella nostra speciale classifica per due vini, pari merito. Li elenchiamo in ordine di assaggio. Il primo è il Grillo Terre Siciliane Igt Canaddunaschi 2016, della Società agricola Le sette Aje di Cannata Rosalia e S.lle. Biodinamico non certificato per questa piccola cantina di Santa Margherita di Belice, in provincia di Agrigento, che utilizza i principi dell’omeopatia in vigna, sottoponendo le piante a veri e propri “vaccini” contro le malattie.
Una realtà tutta al femminile, presa sotto l’ala “protettiva” da una delle donne del vino simbolo della regione: Marilena Barbera, presso la quale avviene la vinificazione delle uve Grillo de Le Sette Aje, in vasche d’acciaio di proprietà. Il risultato è eccezionale. Tremilacinquecento bottiglie in totale per l’annata 2016. Qualcuna di più per la 2017.
Giallo dorato ammaliante e naso intrigante, tutto giocato sulle erbe aromatiche. Macchia mediterranea in primo piano, ma anche mentuccia. In bocca è una vera e propria esplosione: un Grillo pieno, ricco, carico, caldo: corrispondente al naso per le sensazioni che conferiscono una freschezza e un corpo da campione, assieme a una bilanciata sapidità.
Chiude lungo, riuscendo a sorprendere ancora nello sfoderare inattese note di burro e crema pasticcera. Un contrasto interessantissimo tra le durezze e le morbidezze, che regala un sorso unico. A 15 euro circa (al consumatore) uno dei migliori bianchi in circolazione in Italia, per l’annata 2016.
Gli mettiamo accanto un altro vino difficile da dimenticare. Per farlo saliamo dalla Sicilia alla Campania. Raggiungiamo il beneventano per il racconto della Falanghina 2016 “Donnalaura” di Masseria Frattasi. Siamo nella terra d’elezione della Falangina, a Montesarchio, dove la cantina coltiva il biotipo campano e un altro clone, ancora più raro, dotato di una vena acida ulteriormente accentuata. Siamo poco sotto i 920 metri sul livello del mare, per un vino estremo, di “montagna”.
Donna Laura è la nonna di Pasquale Clemente, patron di Masseria Frattasi a cui è dedicato questo bianco dalle caratteristiche uniche. Si tratta infatti di una Falanghina da vendemmia tardiva. Le uve restano sulla pianta fino al 15 novembre, concentrando così zuccheri e aromi. Vengono poi vinificate in acciaio e, prima dell’imbottigliamento, passano 6 mesi in barrique nuove di rovere francese.
Una scommessa perfettamente riuscita quella di compensare con la concentrazione su pianta la vena tipicamente acida della Falanghina. Il risultato è un vino che si presenta di un giallo paglierino molto carico. Naso eccezionalmente fine e “montano”: arnica, resina di pino, liquirizia, una lieve nota dolciastra che ricorda per certi versi quelle della veneta Glera e un richiamo sottile di vaniglia, assimilabile al legno della barrique.
In bocca, l’ingresso è di quelli tipici dell’uvaggio: caldo, acido, quasi tagliente. Una sensazione accentuata dal sollevarsi delle note balsamiche già percepite al naso, che rinfrescano ulteriormente il sorso. Grande lunghezza per un retro olfattivo che fa emergere note delicate di surmaturazione, con ricordi di miele d’eucalipto.
3) Frühroter Veltliner 2015, Schmelzer Weingut. Ci spostiamo in Austria per questo “orange” capace di regalare vere e proprie emozioni. Più esattamente a Gols, piccolo Comune a sud est di Vienna, non lontano dai confini con Slovacchia e Ungheria.
Il vitigno in considerazione è il Frühroter Veltliner, autoctono austriaco nato dall’incrocio spontaneo tra Grüner Sylvaner (Silvaner verde) e Roter Veltliner (Veltliner Rosso). Solo una delle ottime etichette prodotte da Georg ed Elisabeth Schmelzer, in stretto regime biodinamico.
Cinque settimane di fermentazione in barrique di rovere aperte, con batonnage due volte al giorno. Il succo viene poi trasferito in altre barrique, a riposare per un anno. Quindi, il Frühroter Veltliner di Schmelzer viene imbottigliato. Ne risulta un orange velato, che sprigiona sentori pieni, intensi, di zenzero e arancia candita, ma anche di frutta tropicale matura: ananas, papaya.
Bocca corrispondente, ma con bella vena sapida: le note agrumate dominano il palato, ben bilanciate da quelle dolci, esotiche. Un vino gastronomico di grande interesse. Rimanendo tra i “bianchi” di casa Schmelzer, ottimo anche il Gruner 2016, con le sue note di fiori secchi e una vena sapida, rude.
4) Trentino Doc Gewurztraminer 2016, Cantina Endrizzi. Medaglia di “legno” per il coraggio di questa cantina di San Michele all’Adige. Capace di andare controcorrente, proponendo sul mercato un Gewurztraminer dal taglio serio, senza la stucchevolezza “piaciona” in voga tra i tanti competitor (grandi nomi compresi). Per di più, il rapporto qualità prezzo è eccezionale.
E’ ottenuto dai vigneti Masetto e Maso Kinderleit, situati in zona collinare, attorno alla cittadina della provincia di Trento. Un Gewurz, quello di Endrizzi, che conserva tutta l’aromaticità tipica del vitigno, svestita di qualsiasi risvolto pacchiano. Gran pienezza in un sorso che risulta caldo, visti i 14 gradi, tutti di “sostanza”, quasi di “materia tattile”, e non della morbida lascivia dello zucchero. Un bianco che non stanca mai.
Segnalazioni Langhe Doc Nascetta 2013 “Se'” e 2016, Poderi Cellario: le potenzialità di “invecchiamento” dell’autoctono piemontese sono evidenti nella mini verticale proposta da Fausto Cellario, appassionato vignaiolo che sa trasmettere entusiasmo e amore per la propria terra;
Bianco fermo 2016 “89-90”, La Piotta: si discosta in maniera elegante dalla media dei vini bianchi passati in barrique questo vino bio e vegan dell’Azienda Agricola La Piotta. Utilizzo ineccepibile del legno sullo Chardonnay, a smorzare le asperità del Riesling. Luca Padroggi è un giovane che farà parlare (bene) dell’Oltrepò pavese, a lungo.
Lugana Dop Bio 2016, Perla del Garda: “Cru” di 4 ettari per dare vita a una Lugana potente, tanto piena e intensa quanto fine, con fresche note di mentuccia ad accostare la vena tipicamente sapida.
Vernaccia di San Gimignano Docg 2016, Fattoria di Pancole: Come molte delle aziende presenti al Merano Wine Festival 2017, Fattoria di Pancole fa Gdo (per l’esattezza con Conad in Toscana, 25 mila bottiglie l’anno). Si presenta al banco con la Vernaccia top di gamma, capace di esaltare appieno le caratteristiche del vitigno, presentando ottimi margini di affinamento futuro.
Igt Marche Bianco 2016 “Corniale”, Conventino: Non poteva mancare la segnalazione di un vino bianco quotidiano. Per farlo voliamo nella zona Nord delle Marche, da Conventino. Siamo a Monteciccardo, in provincia di Pesaro e Urbino. Semplice ma tutt’altro che banale il suo Corniale 2016. Acidità al rintocco di sentori di kiwi, mela verde, lime e pompelmo, ben calibrati con una bocca beverina, giustamente sapida. Davvero un bell’Incrocio Bruni 54.
VINI ROSSI 1) Beneventano Igt Aglianico 2015 “Kapnios”, Masseria Frattasi. Di nuovo questa straordinaria cantina campana sul podio del Merano Wine Festiaval 2017 di vinialsuper. Il miglior rosso è ottenuto da uve Aglianico amaro del Taburno in purezza, allevate nella zona di Montesarchio, Tocco e Bonea, a un’altitudine compresa tra i 500 e i 600 metri sul livello del mare.
Le uve, raccolte a metà novembre, vengono appassite in due modi: in parte appese e in parte su graticci, all’interno di un piccolo caseggiato coperto da tegole di terracotta. Passaggio in rovere nuovo, prima dell’ulteriore affinamento in bottiglia, per un anno.
Ne scaturisce un vino dal rosso rubino intrigante, sgargiante. Il naso è di quelli che ti fanno innamorare del bordo del calice: piccoli frutti a bacca rossa e nera, erbe di montagna, ginepro, miele d’eucalipto. Un’infinità di sentori, pronti a spuntare di minuto in minuto. E il palato non delude: caldo, esageratamente pieno, di frutta fragrante e liquirizia dolce, ma anche di caffé tostato. Un vino di cui innamorarsi.
Straordinario – ancor di più in ottica futura – anche il Cabernet Sauvignon 2015 “Kylyx” di Masseria Frattasi. Viti appositamente innestate su portinnesto debole: se ne portano in cantina solo 2 grappoli. Mille bottiglie in totale per la vendemmia 2015 (2016 non prodotto).
Acciaio prima e barrique di rovere francese poi (14 mesi) per questo Cab ottenuto dal recupero di un terreno abbandonato, circondato dal bosco. Naso che esalta appieno le caratteristiche del vitigno, con la sua vena sia vegetale sia piccante. Tannini e acidità di immensa prospettiva, ben corroborati da una mineralità unica.
2) Alto Adige Doc Pinot Nero 2007 “Villa Nigra”, Colterenzio Schreckbichl. Cornell è la linea dei “cru” di cantina Colterenzio, dalla quale peschiamo l’argento della nostra speciale classifica dei migliori vini degustati al Merano Wine Festival. In particolare, a colpire, è il Pinot Nero vendemmia 2007 ottenuto – come tutti i vini della “Selezione” Schreckbichl (Colterenzio) – da vigneti che godono di particolari condizioni d’eccellenza: altitudine di 400 metri, esposizione a sud ovest su terreni ghiaiosi e calcarei di origine morenica, con microclima fresco. Resa di 35 ettolitri per ettaro.
Nel calice, il Pinot Nero 2007 di Colterenzio di presenta ancora come un giovincello: il classico rubino di buona trasparenza, tipico del re degli uvaggi altoatesini a bacca rossa. Un naso finissimo di mirtillo e fragolina di bosco, ma anche di ciliegia, con una punta leggerissima di pepe, anticipa sentori più evoluti tendenti al dolce (miele d’acacia), senza mai trascinare il quadro olfattivo in disomogenee percezioni di marmellata.
Nel calice c’è il bosco. E lo si capisce anche dai richiami “vegetali” al muschio e alla menta. In bocca, questo Pinot Nero è più che corrispondente: la spalla acida è ancora muscolosa, il tannino levigato ma ancora in grado di dire la sua. A completare il quadro, richiami minerali salini che contribuiscono a chiamare il sorso successivo. Beva eccezionale per questo vino che ha ancora davanti diversi anni sulla cresta dell’onda.
3) Vigneti delle Dolomiti Igt Teroldego 2012 “Gran Masetto”, Cantina Endrizzi. Conquista il podio, dopo la medaglia di “legno” tra i vini bianchi, Cantina Endrizzi con il suo prodotto di punta: un Teroldego fatto alla maniera dell’Amarone, col 50% delle uve diraspate e sottoposte per circa tre mesi ad appassimento in celle refrigerate, alla temperatura di 10 gradi.
Uve raccolte nello storico vigneto di Masetto, tra i Comuni di Mezzolombardo e Mezzocorona, in provincia di Trento. Il risultato è un vero e proprio Teroldego alla seconda. Colore rosso purpureo, impenetrabile. Naso tipico, rinvigorito dai sentori affascinanti del parziale appassimento, che non coprono la fragranza della ciliegia e della prugna per il quale si fa apprezzare il re dei vini rossi trentini.
Grande pulizia ed eleganza anche in un palato corrispondente, arricchito da preziosi richiami di polvere di cacao. Un vino che fa venir voglia d’aver davanti un piatto di selvaggina. O, perché no? Un buon libro.
Segnalazioni Toscana Igt “Argena”, Orlandini Aziende Agricole Forestali(verticale). In degustazione le annate 2000, 2001, 2003, 2004, 2005 e 2006. Un vino unico, prodotto dalla famiglia Orlandini da un vecchio vigneto di Sangiovese con piccole quantità di Cabernet Sauvignon. Un microclima particolare, circondato da boschi, sulle colline situate tra il Castello di Gargonza ed il Castello del Calcione, a metà tra Arezzo e Siena.
Tutte le annate di Argena conservano le caratteristiche dell’annata, a riprova del metodo col quale opera la famiglia Orlandini, che non ama “uniformare” al gusto comune i propri gioielli. Anzi. Tra tutte le etichette, segnaliamo quelle di Argena 2004 e 2005: “nasi” pregevoli, tra la frutta (ciliegia) e la macchia mediterranea (rosmarino) e sapore armonico, corroborato da tannini tutt’altro che mansueti.
Barbera d’Alba Doc Superiore 2015 Vigna Serraboella, Rivetti Massimo. Siamo a Neive, in provincia di Cuneo, Piemonte. L’azienda agricola Massimo Rivetti sfodera due Barbaresco 2013 diversi ma ugualmente meritevoli di attenzione: il primo, Froi, è di “easy” e di “pronta beva”; il secondo, “Serraboella”, ottenuto da un cru sulla stessa collina di “Froi”, è incredibilmente fine e presenta tannino e acidità di gran prospettiva.
Ma è l’outsider Barbera d’Alba Superiore 2015 “Serraboella” a fare davvero centro nel cuore. Si tratta di una selezione ottenuta da una singola vigna di 75 anni, la più vecchia dell’azienda, nel cru “Serraboella”. Due anni in barrique di rovere francese 1/3 nuove e 2/3 di secondo passaggio. Naso da campione, tra il frutto rosso e la liquirizia dolce, con un accenno di cuoio e un sottofondo di erbe di montagna. Corrispondente al palato, dove si conferma una Barbera destinata ad essere molto longeva.
Zweigelt 2015, Schmelzer Weingut. Abbiamo già incontrato questa cantina austriaca tra i migliori vini bianchi. Tra tutti i vini proposti in degustazione, a colpire c’è anche un rosso: lo Zweigelt. Si tratta di un incrocio tra St. Laurent con il Blaufränkisch, noto anche con il nome di Blauer Zweigelt, Rotburger e Zweigeltrebe.
In sintesi? Un vino da provare, destinato al pubblico (sempre più vasto) degli amanti dei vini naturali. Colore rosso rubino poco trasparente, ovviamente velato, trattandosi di un non filtrato. Alle note di piccoli frutti a bacca rossa, risponde al naso una vena di iodio che ritroveremo al palato: more mature, ribes nero maturo, una nota amarognola tipica di erbe come il rabarbaro. Tannino vigoroso, sapidità straordinariamente bilanciata col resto dei descrittori. Un “vino wow”.
Nebbiolo d’Alba “Il Donato”, La Torricella di Diego Pressenda. Vino di grande prospettiva questo Nebbiolo prodotto a Monforte d’Alba da La Torricella. Frutti rossi, frutta secca, pepe, tabacco dolce. Tannino equlibrato, ma in chiara evoluzione. Ottimo anche il Barolo 2013.
PASSITI E VINO COTTO 1) Bronner “Sweet Claire”, Weingut Lieselehof. Si tratta di un passito da Bronner, vitigno Piwi di qualità hyperbio. E siamo sempre in casa Lieselehof, già premiata tra i bianchi per lo strepitoso “Julian 2008”.
In questo caso, uve Bronner in purezza essiccate in inverno e pressate a febbraio. Giallo oro luccicante, note di agrumi (lime e limone), pesca e albicocca sciroppata, una punta di idrocarburo. In bocca c’è corrispondenza, arricchita ulteriormente dalla freschezza di note di menta piperita pressata, quasi concentrata. Stra-or-di-na-rio.
2) Erbaluce di Caluso Doc Passito 2009 “Alladium”, Cieck. Cieck è sinonimo di Erbaluce di Caluso, uno dei grandi vini bianchi piemontesi, capaci di prestarsi a un ottimo invecchiamento. Sul podio di vinialsuper finisce nella categoria passiti con “Alladium”. Deliziosamente avvolgente al naso, con le sue note agrumate e candite. Caldo e freddo allo stesso tempo, come quando si mette il naso nel talco. Corrispondente al palato, con un finale fresco.
3) Vino Cotto Stravecchio “Occhio di Gallo”, Cantina Tiberi David. Vera e propria “chicca” al Merano Wine Festival 2017, prossimamente tra i banchi del Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi 2017. Parliamo della cantina Tiberi David di Loro Piceno (MC), patria del “vino cotto”, localmente chiamato “lu vi cottu”.
Un vino dalle origini nobili, che questa bella realtà a conduzione famigliare (nella foto sopra Emanuela Tiberi con il figlio Daniele Fortuna) è riuscita a far apprezzare nei salotti del Kurahus, con la stessa genuinità del prodotto. Tipico colore “occhio di gallo” (ambra) nel calice per le annate 2003 e 2005, ottenute dalla “cottura” di uve Verdicchio, Trebbiano, Montepulciano e Sangiovese.
Grande complessità in un naso e in un palato corrispondenti, con note di frutta passita e spezie calde. Perfetto accompagnamento per una vasta gamma di dessert, ma anche per i formaggi.
Fotogallery dei migliori assaggi al Merano Wine Festival 2017, compresi fuori classifica
baronia della pietra enzo barbiera
celestina fe merano wine festival
conventino incrocio bruni 54
elite franciacorta mirabella metodo classico senza solfiti
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Nuova edizione, stessi obiettivi di sempre. Anche nel 2017 “Enologica – Salone del vino e del prodotto tipico dell’Emilia Romagna”, unirà vino e cibo della regione con le tradizioni, la cultura e l’identità della regione del centro italia. Un “discorso corale, territoriale e popolare che identifica e rende unica l’Emilia Romagna”, assicurano gli organizzatori.
Appuntamento a Bologna, dal 18 al 20 novembre, nel centralissimo Palazzo Re Enzo, con oltre 100 tra produttori, consorzi e cantine. Sono previsti anche seminari e degustazioni tematiche, per raccontare il vino dell’Emilia Romagna, dai principali vitigni ad alcuni autoctoni tutti da scoprire.
Ci sarà inoltre il “Teatro dei Cuochi”, con gli chef che si racconteranno, anche attraverso le proprie creazioni gastronomiche in abbinamento ai vini. Inoltre, “Carta Canta”, il premio rivolto a ristoranti, enoteche, bar, agriturismi e hotel situati in Italia o all’estero, che propongono un assortimento qualificato di vini della regione. E “Panino d’Autore”, con lo chef Daniele Reponi, che realizzerà panini gourmet utilizzando esclusivamente prodotti Dop e Igp made in Emilia Romagna.
IL FORMAT
Quello di Enologica è ormai un format consolidato, frutto dell’esperienza di Enoteca Regionale Emilia Romagna, capace anche quest’anno di offrire una chiave di lettura originale dell’evento. A Enologica 2017 saranno protagoniste anche le creature fantastiche, ovvero la rappresentazione popolare della natura, delle paure, dei sogni, delle “cose inspiegabili” e familiari della storia dell’uomo, un patrimonio di storia e tradizioni tramandato oralmente fino ai tempi moderni.
Come si legge nell’introduzione del catalogo, scritta dal curatore di Enologica Giorgio Melandri: “Noi siamo per un racconto ‘quotidiano’, pieno di cose vere, di gente e storie. Il racconto del vino vive dentro alle giornate della gente e noi abbiamo il dovere di lasciarcelo. Siamo una regione dove è il quotidiano a essere straordinario, dove un fosso può nascondere una creatura fantastica, dove un albero può nascondere un segreto, dove un vino può raccontare tante storie”.
VINO E VITIGNI Ad accogliere i visitatori di Enologica 2017, sotto al loggiato d’ingresso di Palazzo Re Enzo, ci sarà un grande pannello (circa 6×4 metri) con delle originali “sculture di terra”, realizzate da I.TER di Bologna.
Si tratta di rappresentazioni artistico-scientifiche dei principali suoli che ospitano la pianta della vite in Emilia Romagna e che si trovano percorrendo la via Emilia da Sud a Nord, partendo quindi dalla provincia di Rimini per arrivare fino a quella di Piacenza (con una sola piccola deviazione nel territorio ferrarese).
Diversi tipi di terreno che corrispondono ai sette vitigni principali della regione, da dove nascono i vini a denominazione: Albana e Sangiovese per la Romagna, Pignoletto per il bolognese, Fortana per il ferrarese, Lambrusco per il modenese, il reggiano e il parmense, Malvasia per il parmense e il piacentino, Gutturnio per il piacentino.
Per ogni vitigno c’è poi la rappresentazione grafica dei profumi e dei sapori principali che connotano i vari vini (attraverso immagini di fiori, frutti, ecc.) per aiutare i visitatori nella ricerca di quelle determinate caratteristiche anche nel momento della degustazione.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Come ogni autunno arriva il vino Novello, disponibile dal 30 ottobre in tutti i supermercati e le enoteche italiane. Un vino che, con i suoi profumi intensi e fruttati, regala da una parte una sensazione di nostalgia per l’estate e dall’altra anticipa le caratteristiche dei futuri vini fatti e finiti. Dando un segnale chiaro di come sarà il vino del prossimo anno.
A partire dalle 00.01 del 30 ottobre sarà possibile stappare il Novello, da consumare entro i prossimi sei mesi. Termine ultimo consigliato per apprezzare questo vino con le proprie caratteristiche inalterate.
Con il Novello si iniziano a stappare le prime bottiglie della nuova annata, ma lungo lo stivale la vendemmia non è ancora finita nei vigneti più alti delle uve Nebbiolo in Valtellina, per le uve Aglianico per Taurasi in Campania e del Nerello Mascalese nella zona dell’Etna, in Sicilia.
Il primo vino dell’ultima vendemmia, un tempo, si consumava nelle case di campagna, da parte degli stessi contadini che lo producevano. Veniva spillato dalle botti tra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre, per controllare lo stato di maturazione del vino prodotto.
LE REGOLE DEL NOVELLO
La legge del 6 ottobre 1989 ne regolamenta l’entrata sul mercato, con l’utilizzo di almeno il 40% di vino ottenuto con la tecnica di macerazione carbonica dell’uva intera. Il restante 60% può essere trattato con tecniche di vinificazione classiche, per cui da evento tradizionale e contadino per antonomasia, è diventato oggi un fenomeno di marketing intorno al quale ruotano business, sagre e tradizioni.
In Italia la produzione di Novello spazia su quasi tutto il territorio nazionale isole comprese, usando qualsiasi tipo di uva (preferibilmente rossa) dall’autoctono all’internazionale: le uve più comunemente usate sono Aglianico, Cannonau, Barbera, Merlot, Nero d’Avola, Corvina, Refosco, Cabernet Sauvignon, Sangiovese.
LA TECNICA DI PRODUZIONE
I Novelli sono vini realizzati tramite una particolare tecnica di vinificazione chiamata Macerazione Carbonica (MC). La MC consiste in un processo di macerazione delle uve che, ancora intere, vengono collocate in una vasca a tenuta stagna e saturate con anidride carbonica, insufflata tramite apposite bombole.
Quest’operazione, creando all’interno della vasca un ambiente totalmente asfittico, induce i lieviti indigeni presenti sulle bucce delle uve (organismi aerobici) a penetrare all’interno degli acini per ricavarne acqua ed ossigeno, innescando così un processo di fermentazione intracellulare.
A questo punto, dopo un intervallo di tempo che varia dai 5 ai 20 giorni, ad una temperatura di circa 30° le uve vengono convogliate in una pressa e pigiate, facendo così fuoriuscire un succo parzialmente dolce che concluderà la sua fermentazione in un nuovo contenitore. Al termine del ciclo si procede alla vinificazione, con una lieve pigiatura e un’ulteriore fermentazione (3/4 giorni).
COME SI PRESENTA IL VINO NOVELLO
Alla vista
Al naso
In Bocca
Il vino novello si presenta di un bel colore rosso brillante con tonalità che vanno dal rosso vivo al porpora intenso, con chiari ed evidenti riflessi violacei, percepibili soprattutto sull’unghia.
Caratteristica inconfondibile di un buon vino novello è il grandissimo aroma fruttato, intenso e persistente: sono chiaramente identificabili note di lampone e fragola, con sempre in sottofondo note vinose di vino fresco.
Si ritrovano le sensazioni di freschezza e gli aromi fruttati già percepiti al naso: il vino novello è solitamente un vino leggero, fresco e vivace, poco persitente e di facile beva, talvolta leggermente effervescente.
LE CARATTERISTICHE ORGANOLETTICHE 1) Assenza quasi totale di tannini, che li rende bevibili alla temperatura di servizio dei bianchi
2) Omogeneità aromatica fra novelli di diverse varietà di uva o appiattimento varietale
3) Presenza di alcuni descrittori aromatici tipici: note di banana, gomma americana e lampone
4) Il grado alcolico non supera quasi mai gli 11% vol
Queste caratteristiche sono dovute al mancato o ridotto contatto del succo con le bucce, situazione che determina una scarsa estrazione dei composti polifenolici e dei precursori aromatici in esse contenuti, tanto più che parte di queste sostanze (scarsamente idrosolubili) passa generalmente al succo solo in seguito allo sviluppo di alcool, che agisce come vero e proprio solvente durante la macerazione.
Per il loro scarso contenuto alcolico e polifenolico, oltre che per l’estrema semplicità del loro profilo aromatico, i Vini Novelli hanno una durata molto scarsa, una forte sensibilità all’ossidazione e una fragranza effimera, che tende ad esaurirsi nell’arco di un anno.
GLI ABBINAMENTI DEL VINO NOVELLO Ogni regione ha il suo abbinamento tradizionale per il vino Novello, ma in linea di massima si possono seguire le linee guida per un qualunque vino rosso leggero e profumato.
Abbinamento ideale sono le castagne, in qualunque modo le cuciniate (bollite, arrosto, a castagnaccio), ma il Novello si può tranquillamente abbinare anche ad un buon piatto di salumi misti od ad un secondo a base di carni bianche.
La corretta temperatura di servizio è di compresa tra i 14 ed i 16 gradi ed è indispensabile berlo giovane. Una commissione di esperti ha ideato un bicchiere appositamente per il Novello e fatto realizzare appositamente da Veronafiere, in edizione numerata.
La forma del calice richiama quella di un chicco d’uva, predisponendo il degustatore al gusto primigenio del frutto e lo stile è giovanile ed elegante allo stesso tempo, come il pubblico più appassionato del Novello.
BEAUJOLAIS, IL NOVELLO FRANCESE Il Beaujolais, invece, è come il nostro Chianti: un vino, ma anche un territorio che si trova a nord di Lione (Francia). Qui si pianta un solo tipo di uva a bacca rossa, il Gamay, con cui si produce l’omonimo vino, nonché il Novello francese. Il Beaujolais nouveau, per legge, può essere commercializzato solo dal terzo mercoledì di novembre.
I novelli italiani hanno rispetto agli altri una maggiore ricchezza di acido carbonico, si presentano di un bel colore rosso brillante con tonalità che vanno dal rosso vivo al porpora intenso con chiari ed evidenti riflessi violacei percepibili soprattutto sull’unghia, vivace e invitante e una rotondità vellutata ben rilevabile al palato, grazie a qualche traccia zuccherina.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
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