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“Amarone e oltre”, il libro di Sandro Boscaini sulla storia di Masi Agricola

Amarone e oltre, il libro di Sandro Boscaini sulla storia di Masi Agricola
«Mi accingo a raccontare la storia di un incontro: quello tra un mio antenato e una località in Valpolicella Classica. Il primo, individuato qui come il capostipite del mio ramo della famiglia Boscaini. La seconda, una terra fortunata come altre, vocate a produrre uve straordinarie e per questo destinate a essere conosciute e apprezzate in Italia e nel mondo». È con questo incipit che Sandro Boscaini, presidente di Masi Agricola, si rivolge ai lettori invitandoli a intraprendere un viaggio lungo 250 anni. Quello di “Amarone e oltre“, libro edito da Egea in cui ripercorre la storia dell’azienda di famiglia, dalla prima vendemmia nel 1772 fino ai giorni nostri.

Le vicende della storia si intrecciano con quelle della famiglia, delle cantine e del territorio, dalla Valpolicella fino alle Venezie. La narrazione si snoda tra il rispetto della tradizione e le innovazioni introdotte nei processi produttivi. Lasciando spazio ad aneddoti personali e curiosità tecniche, testimonianze di prima mano e fonti letterarie.

L’andamento cronologico della prima parte del volume cede il passo nella seconda a un punto di vista più manageriale. Lo sguardo si posa sui temi all’ordine del giorno nella gestione dell’azienda.

LA RIFLESSIONE SULLA SOSTENIBILITÀ

«Ritengo che la contestualizzazione delle vicende di famiglia in quelle generali di portata nazionale e territoriale sia di estrema importanza per leggere con un’ottica più ampia il territorio e la sua cultura, il vigneto e la professionalità vitivinicola, la passione e l’imprenditorialità, la cultura d’impresa e la sostenibilità», commenta Sandro Boscaini riferendosi a un tema centrale in “Amarone e Oltre”.

Senza sostenibilità economica – continua Boscaini – non ci sarebbe stato sviluppo e sopravvivenza dell’impresa; senza quella sociale non si sarebbero creati e sviluppati rapporti indispensabili in campo produttivo e distributivo; senza la sostenibilità ambientale e l’amore per la terra e il vigneto si sarebbero distrutte nel tempo le fonti di ricchezza».

E nelle prossime settimane “Amarone e oltre” supererà i confini italiani, dove è già disponibile nei principali canali. L’edizione inglese del volume, curata da Bocconi University Press, sarà disponibile a partire da fine novembre.

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Federvini: Micaela Pallini è il nuovo Presidente

L’Assemblea Generale di Federvini, l’associazione confindustriale dei produttori di vini, spiriti e aceti, ha eletto oggi i nuovi vertici nominando Presidente Micaela Pallini (Pallini).

Già Presidente del Gruppo Spiriti, Micaela Pallini succede a Sandro Boscaini (Masi Agricola) che ha guidato l’associazione per due mandati, dal 2014. Alla vicepresidenza della Federazione sono stati nominati Piero Mastroberardino (Mastroberardino) e Aldo Davoli (Gruppo Campari).

L’Assemblea ha rivolto un ringraziamento particolare al Presidente uscente, per l’intera attività svolta e per l’impegno profuso nell’ultimo difficilissimo anno della pandemia. Insieme ai ringraziamenti, l’Assemblea ha rivolto un messaggio di auguri al nuovo vertice per le sfide di rilancio che attendono il settore.

Sono stati inoltre nominati i vertici dei consigli di gruppo. Gruppo Vino: Presidente Albiera Antinori (Marchesi Antinori), Vicepresidenti Piernicola Leone De Castris (Leone De Castris) ed Ettore Nicoletto (Bertani).

Gruppo Spiriti: Presidente Giuseppe D’Avino (Strega Alberti Benevento), Vicepresidenti Mauro Balestrini (Diageo) e Leonardo Vena (Lucano 1894). Gruppo Aceti: Presidente Giacomo Ponti (Ponti), Vicepresidente Sabrina Federzoni (Monari Federzoni).

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Al via il progetto “Vino Patrimonio comune” di Federvini e Alleanza Coop Agroalimentari

Le imprese associate di Federvini e di Alleanza delle Cooperative Italiane-Agroalimentare si sono unite nel progetto “Vino Patrimonio Comune” al fine di sviluppare percorsi comuni per garantire l’autenticità delle proprie produzioni.

L’idea ha mosso i primi passi con la vendemmia 2020 durante la quale, grazie alla collaborazione delle Aziende e delle Cooperative aderenti, sono stati effettuati i primi campionamenti dall’Università di Parma, partner scientifico dell’iniziativa.

È stato così possibile realizzare la “Banca Dati isotopica mosti/vini per la vendemmia 2020” costituita da dati relativi agli isotopi stabili dell’ossigeno e dell’idrogeno di campioni di mosti e vini provenienti da varie località italiane. La banca dati sarà progressivamente implementata per poter disporre di uno strumento sempre più performante e completo.

«L’obiettivo di questo importante progetto è raggiungere un più elevato livello di conoscenza delle nostre produzioni vitivinicole territoriali – dice Luca Rigotti, Coordinatore del settore vitivinicolo dell’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari – un percorso che ci consente di mettere a disposizione delle associate uno strumento di autocontrollo e di maggiore consapevolezza».

«Consideriamo la firma di oggi – prosegue Rigotti – il punto di partenza di un’iniziativa e di una strada ambiziosa, che riteniamo necessaria perché in grado di contribuire alla maggiore tutela ed alla valorizzazione dei vini sui mercati».

Il legislatore europeo ha infatti sviluppato da tempo la banca dati isotopica con finalità di controllo nel settore vitivinicolo. Tuttavia tale strumento, implementato e gestito dalle Autorità nazionali di controllo degli Stati membri Ue, non è consultabile dagli operatori privati.

Nel settore privato, sempre su base europea, alcune insegne del commercio hanno avviato progetti di profilazione delle caratteristiche analitiche dei vini per tutelare principalmente i propri interessi contrattuali.

I percorsi avviati sino ad oggi, pertanto, o non sono consultabili dagli operatori privati o, quando promossi dal settore privato, prevedono la proprietà dei dati in capo a soggetti diversi dai produttori di vino.

la mancanza di dati e riferimenti condivisi rispetto alla banca dati a cui tali sistemi privati attingono, aggiunge incertezze sulle rilevazioni.

«Valore e autenticità: è da queste due parole che siamo partiti ed è a questi due aspetti che il nostro progetto guarda – sottolinea Sandro Boscaini, Presidente di Federvini – Stiamo posando la prima pietra di una casa comune, che nasce sotto l’impulso dei nostri Associati, ma la cui porta è aperta sin d’ora a tutti».

«Il nostro auspicio, anzi il nostro invito, è che nel progetto possano presto riconoscersi altri nostri colleghi – conclude Boscaini – e che possano aderire più enti ed organismi scientifici per lavorare insieme alla valorizzazione e tutela dell’autenticità del vino».

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Riapertura sicura dell’Horeca: Federvini sostiene in Italia la campagna WeStandReady

WeStandReady è la campagna paneuropea lanciata da SpiritsEurope per chiedere azioni coordinate che aprano la strada a una riapertura sicura nonché a una ripresa sostenibile e a lungo termine dei settori dell’ospitalità e del turismo in Europa.

A sostegno della campagna anche Federvini, nella convinzione che la migliore risposta alla crisi generata dalla pandemia sia quella di una visione comune che orienti la ripresa e la crescita dell’intero comparto.

Per supportare questi obiettivi, SpiritsEurope ritiene fondamentale sviluppare una task force dell’Ue e un fondo per il recupero che riunisca rappresentanti intersettoriali, ministri nazionali e Commissione Europea.

Dopo l’avvio della campagna europea WeStandReady molti dei paesi aderenti hanno risposto al progetto rilasciando la propria versione nazionale, allo scopo di diffonderne i contenuti nei rispettivi stati.

BOSCAINI: ALLEANZE PER LA RIPARTENZA

In ambito nazionale – dichiara il Presidente di Federvini, Sandro Boscaini – puntiamo sulle alleanze con Federturismo convinti che sia nell’interesse del sistema Paese un impegno comune a ricominciare presto e bene in sicurezza».

«Federvini – prosegue Boscaini – è parte attiva per il rilancio dell’intero settore, facendo leva su alleanze per favorire la ripartenza. In questo senso, Federvini promuove la campagna europea volta a sensibilizzare la Commissione Ue a supportare al meglio quei settori che ruotano attorno all’universo Horeca e che sono stati tra i più penalizzati dalla pandemia».

«Per questo – conclude il Presidente – chiediamo al Governo il massimo sostegno nel rilanciare i settori legati all’ospitalità e di essere nelle condizioni di una definitiva riapertura e ripartire anche in virtù di un effettivo avanzamento della campagna vaccinale. Nel massimo rispetto delle regole di sicurezza, torniamo a godere della convivialità con serenità e senso di responsabilità».

IL GREEN PASS VACCINALE

Proprio in giornata, il premier Mario Draghi ha annunciato al G20 sul Turismo che «dalla seconda metà di giugno 2021 sarà pronto un Green pass europeo, mentre da metà maggio sarà in vigore il pass verde nazionale».

In questo scenario di difficoltà il passaporto vaccinale rappresenta una svolta per salvare un comparto strategico del Paese che conta 612mila imprese e rappresenta il 10,1% del sistema produttivo nazionale e il 12,6% dell’occupazione nazionale, secondo dati Unioncamere.

«Senza turismo – evidenzia la Coldiretti – sono a rischio anche i 5.266 i tesori alimentari tradizionali dei borghi d’Italia, custoditi da generazioni dagli agricoltori e salvati per sostenere la rinascita del Paese».

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Federvini: «Informazione ed educazione gli strumenti contro l’abuso di alcol»

«Riteniamo che l’informazione e l’educazione siano i principali strumenti a disposizione per contrastare abusi ed eccessi, anche in un contesto nel quale il consumo di alcol già risulta in costante declino in Europa e in Italia», dichiara Sandro Boscaini, Presidente di Federvini, con riferimento al’Europe’s Beating Cancer Plan presentato oggi dalla Commissione Europea.

«Sono invece da respingere misure fiscali e regolamentari che tendono a demonizzare la nostra cultura del bere e della socialità – prosegue Boscaini – e che, lungi dal contrastare efficacemente l’abuso, colpiscono, oltre che l’intera filiera vitivinicola, la stragrande maggioranza dei consumatori che si rapportano in maniera corretta e responsabile al mondo dei vini, degli aperitivi, degli amari, dei liquori e dei distillati».

«L’abuso di alcol va combattuto con la prevenzione e l’educazione – dice ancora il Presidente – mentre il consumo moderato di bevande alcoliche non va demonizzato in quanto rappresenta una componente importante delle nostre tradizioni millenarie, basate sullo stile di vita mediterraneo, oltreché di dieta, pienamente riconosciuto non in contrasto con la salute».

Nel contesto di una dieta mediterranea, e come parte di uno stile di vita sano, l’evidenza scientifica mostra infatti quanto nessun aumento del rischio di cancro risulti da un consumo moderato e consapevole di bevande alcoliche.

«Riteniamo utile – conclude Boscaini – che all’interno di un documento così ampio sia stato dedicato un paragrafo al consumo dannoso di alcol, un fenomeno che Federvini, insieme a tutti i suoi associati e alle sue associazioni europee, ha da sempre condannato e sul quale intende collaborare con le autorità nazionali e comunitarie per contribuire al suo contrasto».

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Lotta al cancro: per l’Europa vino, sigarette e Coca Cola sono la stessa cosa

Il nuovo spauracchio del vino italiano (ed europeo) ha nome e cognome e non arriva dall’altra parte dell’Oceano, come i dazi di Trump. Si chiama Europe’s Beating Cancer Plan e prevede, tra le altre misure volte appunto alla lotta al cancro, l’intensificazione del «sostegno dell’Ue agli Stati membri e agli stakeholders nel rafforzamento delle capacità di ridurre il danno correlato all’alcol». Nulla di preoccupante, solo a prima vista.

Per comprendere la preoccupazione del settore vitivinicolo occorre consultare agli allegati del documento presentato oggi dalla Commissione europea, alla vigilia del World Cancer Day. Tra le “list of action”, l’attenzione si concentra sul punto 3.3, “Reducing harmful alcohol consumption”.

Tra le misure previste, la «revisione della legislazione dell’Ue relativa alla tassazione dell’alcol e all’acquisto transfrontaliero di prodotti alcolici; la proposta di etichettatura obbligatoria dell’elenco degli ingredienti, della dichiarazione nutrizionale sull’etichetta delle bevande alcoliche (leggasi Kcal, ndr) e delle avvertenze per la salute».

Inoltre, l’Ue prevede di «ridurre l’esposizione dei giovani al marketing online di alcolici bevande attraverso il monitoraggio dell’attuazione dell’Audiovisual Media Service Directive», ovvero la Direttiva sui servizi dei media audiovisivi.

Al punto 3.4 dell’allegato, l’altra potenziale stangata per il settore vitivinicolo e degli Spirits, nell’ambito delle iniziative volte alla promozione della salute attraverso l’accesso a la dieta e l’attività fisica.

Sempre tra il 2021 e il 2025 è infatti prevista la «pubblicazione di uno studio di mappatura delle misure fiscali e delle politiche di prezzo su bevande zuccherate, bibite e bevande alcoliche».

Nello stesso calderone, per intenderci, potrebbero finire Coca Coca e pregiate denominazioni del vino italiano ed europeo, con conseguenze fiscali anche sulla libera circolazione delle merci all’interno dell’Unione europea.

Eppure, nel testo ufficiale del documento presentato oggi in Commissione europea, l’unico riferimento agli alcolici è vago. Forse strategicamente. Il team guidato da Ursula von der Leyen, che ha tra gli obiettivi strategici nel campo della salute proprio la lotta al cancro, parla esclusivamente di «harmful alcohol consumption», tra gli ambiti di prevenzione.

L’alcol viene infatti chiamato in causa tra le ragioni che giustificano l’esorbitante impatto economico complessivo del cancro in Europa, superiore ai 100 miliardi di euro all’anno.

«Senza un’azione conclusiva – sottolinea la Commissione europea – si stima che entro il 2035 i casi di cancro aumenteranno di quasi il 25%, diventando la principale causa di morte nell’Ue. Inoltre, la pandemia Covid-19 ha avuto un grave effetto sulla cura del cancro, interrompendo il trattamento, ritardando la diagnosi e la vaccinazione e influenzando l’accesso ai farmaci».

Sul piede di battaglia le maggiori associazioni agricole e della filiera vitivinicola italiana. La prima a lanciare l’allarme è stata Coldiretti: «L’Unione Europea vuole cancellare i fondi per la promozione di carne, salumi e vino – evidenzia il presidente della Confederazione, Ettore Prandini – prevedendo addirittura etichette allarmistiche sulle bottiglie come per i pacchetti di sigarette».

Con la scusa di tutelare la salute, che va invece salvaguardata promuovendo una dieta equilibrata e varia senza criminalizzare singoli alimenti, si propone di introdurre allarmi per la salute nelle etichette delle bevande alcoliche prima del 2023, eliminando altresì dai programmi di promozione i prodotti agroalimentari, come specificatamente le carni rosse e quelle trasformate, che vengono associati ai rischi di tumore».

Sempre secondo Ettore Prandini, quella dell’Ue è una vera e propria «provocazione nei confronti dell’Italia a dieci anni dal riconoscimento Unesco della dieta mediterranea, fondata proprio su una alimentazione diversificata che con pasta, frutta, verdura, carne, extravergine e il tradizionale bicchiere di vino consumati a tavola in pasti regolari, che hanno consentito fino ad ora agli italiani di conquistare il primato europeo di longevità».

È di oggi la reazione stizzita di Confagricoltura Toscana. Così Francesco Colpizzi, presidente regionale della Federazione Vitivinicola: «Sulla Toscana rischia di abbattersi una stangata epocale, l’Europe’s Beating Cancer Plan intende cancellare i fondi destinati alla promozione di vino, carni e salumi e introdurre etichette dissuasive su questi prodotti, segnalati come cancerogeni».

Confagricoltura chiede immediatamente un intervento di tutela da parte del Governo e della Regione: il presidente Eugenio Giani e i vertici di Stato si facciano sentire. Questo è un colpo diretto alla nostra economia, all’identità gastronomica e produttiva del Paese. Non possiamo accettare alcuna etichetta allarmistica.

Davvero stiamo paragonando un panino al prosciutto o un bicchiere di vino – continua Colpizzi – spesso indicato anzi come salutare, al consumo delle sigarette? Un piano di azione, quello europeo, che si spaccia a tutela della salute senza avere solide basi medico-scientifiche. L’unica conseguenza certa sarebbero le ripercussioni devastanti sulla nostra economia”.

Dura anche Unione Italiana Vini. «La comunicazione del Piano di azione della Commissione europea per combattere il cancro – commenta Sandro Sartor, responsabile tavolo vino e salute di Uiv – è preoccupante. Troviamo forviante il principio per il quale il consumo di alcol sia considerato dannoso a prescindere da quantità e tipologia della bevanda».

«Ancora più inique di questa premessa – conclude – sono le proposte del piano che vedono assimilare il consumo di vino al fumo, con la conseguenza di azzerare un settore che solo in Italia conta su 1,3 milioni di addetti e una leadership mondiale delle esportazioni a volume».

Intanto, proprio negli ultimi minuti, arriva dall’Ue aria di disgelo. La Vicepresidente della Commissione europea Margaritīs Schinas riconosce che è «del tutto improprio assimilare l’eccessivo consumo di superalcolici tipico dei Paesi nordici al consumo moderato e consapevole di prodotti di qualità ed a più bassa gradazione come la birra e il vino in Italia».

Schinas va oltre e sottolinea che nel Bel paese «il consumo consapevole è diventato l’emblema di uno stile di vita “lento”, attento all’equilibrio psico-fisico che aiuta a stare bene con se stessi, da contrapporre all’assunzione sregolata di alcol». Il dibattito, insomma, è aperto. Anche all’interno dell’Ue.

Ma l’ultimo intervento, in ordine temporale, è del Segretario generale del Comité Européen des Entreprises Vins (Ceev), Ignacio Sánchez Recarte: «Rimarremo attenti allo sviluppo delle azioni proposte nel campo della tassazione e dell’informazione dei consumatori per garantire che la riduzione del consumo dannoso di alcol rimanga veramente l’obiettivo e la priorità principale».

Quanto alla promozione, «consente ai produttori di vino di trasmettere al meglio l’immagine qualitativa dei propri prodotti e il legame con un determinato territorio e l’idea di ridurre i danni alcol correlati riducendo il consumo di alcol di per sé è semplicistica, particolarmente pericolosa e incoerente con la politica di qualità dell’Ue».

Fa eco a Ceev Sandro Boscaini, in qualità di presidente di Federvini: «L’informazione e l’educazione sono i principali strumenti a disposizione per contrastare abusi ed eccessi, anche in un contesto nel quale il consumo di alcol già risulta in costante declino in Europa e in Italia».

«Sono invece da respingere – aggiunge – misure fiscali e regolamentari che tendono a demonizzare la nostra cultura del bere e della socialità e che, lungi dal contrastare efficacemente l’abuso, colpiscono, oltre che l’intera filiera vitivinicola, la stragrande maggioranza dei consumatori che si rapportano in maniera corretta e responsabile al mondo dei vini, degli aperitivi, degli amari, dei liquori e dei distillati».

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Movida, arriva la “Guida al bere consapevole” di Fipe e Federvini

Comportamenti inadeguati, violazione alle regole e agli orari, consumi incontrollati e poco attenti alla qualità, eccessiva facilità di accesso all’alcol. Sono alcune delle concause che stanno dietro all’esplosione del fenomeno della “movida molesta”, o “mala movida”, che caratterizza le notti di molte città italiane, in particolare nei fine settimana.

Un fenomeno preoccupante che oggi, con la necessità di coniugare il ritorno alla normalità dopo i funesti mesi di lockdown, con l’osservanza delle norme sul distanziamento sociale, deve essere tenuto ancor più sotto controllo.

Anche per questo Federvini e Fipe-Confcommercio – associazioni di categoria che rappresentano rispettivamente il settore della produzione di bevande alcoliche e la loro somministrazione – da sempre attive nel promuovere un approccio responsabile e moderato, hanno deciso di realizzare insieme un vademecum per un corretto approccio al bere: una “Guida al bere consapevole“.

La ‘Guida al servizio per un consumo consapevole’ analizza il fenomeno del consumo di alcol sia dal punto di vista dei pubblici esercizi, che da quello dei consumatori, e punta a diffondere una serie di buone pratiche da adottare per scongiurare eccessi e patologie alcol-correlate. Un’azione congiunta ulteriormente significativa, se si considera l’impatto negativo che i mesi di pandemia hanno determinato su tutta la filiera dell’Ho.Re.Ca., pronta a ripartire, promuovendo un modello di consumo capace di esaltare l’approccio responsabile, fatto di equilibrio, giusto apprezzamento della qualità e contrasto agli eccessi.

“Il concetto di ‘consapevolezza’ accompagna la ‘responsabilità’ per dare un segnale di impegno ragionato ed emotivamente coinvolgente – ha dichiarato Sandro Boscaini, Presidente di Federvini – non è semplicemente una questione nominalistica: consapevolezza significa essere convinti nel profondo che una certa azione è giusta e porta benefici condivisi al di là di una norma o di un pungolo imposto dall’esterno, il quale può anche non essere né condiviso né sentito”.

Consapevolezza significa anche costruire una sorta di affinità elettiva con il prodotto, attraverso una profonda conoscenza delle sue caratteristiche organolettiche, ed empatia verso brand affidabili e storici nonché verso i territori di provenienza, facendo così convergere elementi razionali ed emozionali.

Con questo abbrivio fatto di passione è quindi possibile contrastare gli eccessi ed il consumo errato, attraverso la comunanza di obiettivi da parte di produttori ed operatori.

Questi ultimi, grazie ad un percorso formativo in grado di accrescere la propria competenza professionale, possono giocare un ruolo centrale in un’azione sistematica di prevenzione di abitudini sbagliate, le quali impediscono di assaporare, appieno, le nostre specialità”.

Il ‘consapevole’ rapporto con il vino, gli aperitivi, i liquori e i distillati è quindi un elemento positivo per tutti gli attori: i produttori hanno l’obiettivo di fare accostare i consumatori ai propri prodotti facendone apprezzare le qualità organolettiche, la storia e le tradizioni ed associandoli a preziosi ed indimenticabili momenti di socialità; il tutto attraverso un servizio che esalta l’esperienza della degustazione e della convivialità.

“Il settore dei pubblici esercizi da sempre punta sulla qualità e sulla responsabilità nella somministrazione di bevande alcoliche – dichiara Lino Enrico Stoppani, Presidente di Fipe-Confcommercio – con  il ruolo di  principale attore per la diffusione delle buone pratiche per il bere consapevole, promotore di questo percorso virtuoso, capace, cioè, da una parte, di valorizzare la qualità e la storia delle bevande somministrate e, dall’altra,  di coniugare esigenze commerciali con la responsabilità sociale in capo agli esercenti sui temi della prevenzione, sensibilizzazione ed educazione ad un consumo consapevole e responsabile”.

L’attenzione dei Pubblici Esercizi deve essere massima, perché il rischio è quello che diversamente si facilitino comportamenti pericolosi e dannosi per le persone e la società.

Gli episodi di mala movida, certamente lontani dai valori e dagli interessi dei nostri imprenditori, sono spesso correlati alla carenza di adeguati requisiti professionali e morali, a una lotta contro l’abusivismo commerciale a volte debole e a un presidio del territorio da parte delle Forze dell’Ordine non sempre puntuale, anche per le tante incombenze che interessano la loro attività.

Questi episodi finiscono poi con l’indebolire il comparto, danneggiandolo sia dal punto di vista commerciale che reputazionale”.

La “Guida al bere consapevole” è strutturata in quattro parti: la disciplina normativa, alcol e fattori di rischio, caratteristiche delle bevande alcoliche, suggerimenti per il miglioramento del servizio.

La filosofia che ha suggerito la guida è, infatti, un approccio olistico, nel quale proprio la cura e la disciplina nel servizio rendono l’esperienza di degustazione unica e ricca di emozioni.

In questo senso, i trend più attuali come bartending e mixology si inseriscono in un solco di somministrazione consapevole, accentuando l’aspetto di ritualità del consumo e generando un concetto di divertimento improntato alla sana convivialità.

A distribuire la guida a tutti gli operatori italiani provvederanno le Associazioni Territoriali di Fipe-Confcommercio, accompagnando anche una miniserie in 4 clip video, su ‘orari di somministrazione e vendita delle bevande alcoliche’, ‘alcol e guida’, ‘alcol e minori’, ‘il corretto servizio’ consultabili da subito sul sito web di Fipe.

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Non un “ministero all’Horeca”, ma quasi: così Fipe chiede di rilanciare la ristorazione

EDITORIALE – Non un vero e proprio “ministero all’Horeca“, ma quasi. Si è mossa in questa direzione Fipe, Federazione italiana pubblici esercizi, in occasione degli Stati Generali dell’Economia in corso a Villa Pamphilj. Il rilancio della ristorazione italiana, del resto, è in cima ai pensieri di Sandro Boscaini (Federvini) e Riccardo Cotarella (Assoenologi), intervenuti martedì 16 giugno al webinar su vino e finanza organizzato da Foragri.

C’è bisogno di una regia unica che sappia migliorare il settore nell’interesse anche del Paese – sintetizza Fipe – favorendo la sua trasformazione digitale, investendo sul suo capitale umano, rafforzando l’identità con elementi strategici per la filiera agroalimentare e turistica, rivedendo il sistema delle regole uniche per tutto il settore”.

Oggi, come evidenzia ancora Fipe, “le competenze sul settore della ristorazione sono frammentate su tre Ministeri (Sviluppo Economico, Agricoltura e Turismo) con priorità settoriali quali asimmetria di regole, concorrenza sleale, dequalificazione e despecializzazione professionale, sviluppo delle malattie cibo-alcol correlate, alcolismo, obesità, intolleranze e allergie alimentari, fenomeni sociali gravi, mala movida e infiltrazioni malavitose”.

Il settore – denuncia la Federazione italiana pubblici esercizi – è disciplinato da una legge che ha trent’anni (Legge 287/1991), epoca in cui esisteva un altro mercato e altri modelli di consumo. La domanda è cambiata, i modelli di consumo si sono evoluti, il Paese ha bisogno, anche, di una ristorazione forte per il suo rilancio”.

Sempre in occasione degli Stati Generali, Fipe ha sollecitato “provvedimenti emergenziali“, capaci cioè di “tamponare i problemi economico-finanziari impedendo la chiusura di molte aziende”, e “provvedimenti strutturali“, di visione e di rilancio per il comparto.

Tra questi, prioritario secondo la Federazione italiana pubblici esercizi “il rafforzamento dei provvedimenti di sostegno per le imprese, in modo particolare sui temi degli indennizzi tempestivi per le ingenti perdite di fatturato, della liquidità”.

“Vanno inoltre preservate le competenze professionali – ha aggiunto Fipe – con tutti gli strumenti di protezione sociale disponibili”. I provvedimenti strutturali e di visione strategica del settore riguardano, invece, “l’attivazione di politiche governative sulla ristorazione e la filiera agroalimentare, coordinate ed unitarie, capaci di dare dignità istituzionale al settore”. Se non un ministero, serve quantomeno un concerto: di idee, intenzioni. E fatti.

Il crollo delle attività di bar, trattorie, ristoranti, pizzerie e agriturismi, di fatto, ha un effetto negativo a valanga sull’agroalimentare nazionale, con una perdita di fatturato di oltre 8 miliardi per i mancati acquisti in cibi e bevande nel 2020. Parlano chiaro, in questo senso, i dati Ismea sugli effetti dell’emergenza Coronavirus per la spesa alimentare degli italiani.

Se gli acquisti domestici aumentano del 6% circa rispetto al 2019, per quelli extradomestici per colazioni, pranzi e cene fuori casa è stimato un calo del 40%. Una drastica riduzione dell’attività che, come sottolinea la Coldiretti, pesa sulla vendita di molti prodotti agroalimentari, dal vino alla birra, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura ma anche su salumi e formaggi di alta qualità che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco.

“In alcuni settori come quello ittico e vitivinicolo, la ristorazione – riferisce Coldiretti – rappresenta addirittura il principale canale di commercializzazione per fatturato”. La spesa alimentare fuori casa, prima dell’emergenza Coronavirus era pari al 35% del totale dei consumi a tavola degli italiani. Se non un ministero all’Horeca, insomma, serve (in fretta) qualcosa che gli assomigli. E pure molto.

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Banche, fondi e prestiti nel settore del vino: scarsa fiducia tra i piccoli produttori

Due ricerche a confronto (una italiana, l’altra francese) per sostenere una tesi: il settore del vino italiano dovrebbe dare più credito a banche, fondi, garanzie e prestiti. Il webinar organizzato ieri pomeriggio da Foragri sul binomonio vino e finanza, oltre a confermare la solidità delle imprese italiane del settore vitivinicolo – anche a fronte dell’emergenza Coronavirus – ha evidenziato la scarsa fiducia nei confronti del credito da parte dei piccoli produttori.

A sottolinearlo, quasi involontariamente, sono stati gli interventi di Alessandro Giacometti, responsabile area Strategie commerciali di Banca Monte dei Paschi di Siena ed Emanuele Fontana, responsabile Servizio Agri-Agro di Crédit Agricole Italia. Solo il 3-5% dei clienti titolari di aziende agricole si è rivolto agli sportelli per un prestito. Dato che sale al 10-15% per i titolari di imprese attive in altri settori produttivi.

Ciliegina sulla torta le parole di Walter Ricciotti. Indicando come esempio virtuoso quello di Prosit, holding che può contare sul fondo di private equity Made in Italy Fund, il co-fondatore e Ceo di Quadrivio Group ha di fatto chiarito quali siano i profili più adatti al binomio vino e finanza.

Ovvero aziende interessate a crescere nel medio e lungo periodo, implementare la produzione e puntare dritto sull’estero, con operazioni di branding. Addirittura aggregandosi tra loro, proprio come avvenuto con Prosit. Qualcosa di ancora molto lontano dal mondo e dalla progettualità delle piccole imprese a conduzione famigliare e dei vignaioli. Illuminanti, in questo senso, i numerosi interventi di esponenti del mondo della produzione.

La presidente Fivi Matilde Poggi, rivolgendosi al Sottosegretario del Ministero per le Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Giuseppe L’Abbate, non ha fatto alcun accenno al sistema del credito. Confermando, piuttosto, la preferenza di misure per lo stoccaggio privato e la richiesta di abbassare l’aliquota Iva sul vino dal 22 al 10%, passando dall’ordinaria all’agevolata almeno per i prossimi tre anni e mezzo.

Un’ipotesi sul tavolo dei ministri Teresa Bellanova e Roberto Gualtieri già da fine maggio, che non gode tuttavia del pieno appoggio della base della Federazione di “indipendenti”, dubbiosa sugli effettivi benefici del provvedimento, giudicato persino deleterio per le piccole imprese.

Sul fronte dell’Iva anche la “provocazione” – così è stata definita dallo stesso relatore – di Davide Gaeta, professore associato del dipartimento di Economia aziendale dell’Università degli studi di Verona: “È davvero un tabù la riduzione dell’imposta sul valore aggiunto, oppure può essere uno strumento, seppur temporaneo, per l’incentivazione dei consumi nazionali?”.

Tra i produttori, emblematico l’intervento di Sandro Boscaini, titolare di Masi Agricola, nonché presidente di Federvini. Anche in questo caso, nessun accenno al credito. Piuttosto, un appello accorato alle istituzioni.

“Oltre al tema della liquidità – ha sottolineato – il problema nel medio e lungo termine è quello di riequilibrare domanda e offerta nel settore del vino. Vendemmia verde, distillazione e riduzione rese sono tutte belle cose, necessarie come un ‘cerotto’. Ma non dobbiamo mai dimenticare che, al di là dell’emergenza, noi produciamo per vendere“.

L’attivazione della domanda ci serve per mantenere sano il flusso del nostro business, in Italia come all’estero. C’è necessità assoluta di intervenire, di aiutare chi ha sofferto di più il lockdown da Coronavirus, ovvero il mondo della ristorazione e, in generale, dell’Horeca. Va inoltre riattivato il turismo, che ogni anno genera un indotto straordinario attorno al vino”.

Non ultimo l’export: “Mi sento di spendere parole forti su questo fronte – ha sottolineato Sandro Boscaini – bisogna riattivare subito le esportazioni, farlo adesso, con mezzi immediati. Abbiamo già perso un mucchio di opportunità, compreso Vinitaly. C’è la necessità di stanziare fondi ad hoc e di fare promozione al Made in Italy“.

Sulla stessa linea il presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella: “Come categoria – ha dichiarato – ci sentiamo molto vicini e solidali al mondo della ristorazione e condividiamo l’urgenza e la priorità di interventi utili a ridare al vino il suo teatro: i ristoranti sono il palcoscenico in cui il vino italiano è attore protagonista”.

Tra i relatori anche Raffaele Borriello: “Non bisogna solo aspettare che riaprano i canali tradizionali come la ristorazione, ma dobbiamo piuttosto iniziare a ragionare tutti su un mondo nuovo, lasciatoci in eredità da Coronavirus”, ha avvertito il direttore generale dell’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare.

Sul fronte delle garanzie, Ismea ha garantito alle imprese agricole 215 milioni di euro complessivi, dal 22 di aprile al 16 giugno. In chiusura, Borriello ha evidenziato il successo della misura della cambiale agraria da 30 milioni di euro, augurandosi che venga rifinanziata tra le misure del Decreto Rilancio.

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Famiglie Storiche, tris di Cavalieri del Lavoro con la nomina di Marilisa Allegrini

Con la recente nomina di Marilisa Allegrini, sono tre i Cavalieri del Lavoro, tra cui due donne, nominati all’interno dell’Associazione Famiglie Storiche. Un riconoscimento che ne fa l’associazione territoriale d’imprese con il maggior numero di Cavalieri del Lavoro.

L’Associazione è nata nel 2009 per volontà di dieci cantine (oggi sono 13) convergenti su obiettivi come l’elevatissimo standard qualitativo dell’Amarone, nonché la promozione della sua reputazione in Italia e nel mondo, in quanto vino simbolo dell’eccellenza Made in Italy e della Valpolicella.

Un gruppo, oggi presieduto da Alberto Zenato, che complessivamente commercializza 2,2 milioni di bottiglie, circa il 16% della produzione totale di Amarone, per un fatturato complessivo di 70 milioni di euro, il 20% del totale delle vendite della Docg, di cui l’80% destinate all’export.

Mi congratulo con Marilisa Allegrini per l’importante riconoscimento – dichiara Alberto Zenato – che dà lustro a tutta l’Associazione e al suo operato, da sempre finalizzato a sviluppare le potenzialità del nostro territorio, salvaguardando paesaggio agrario e tecniche colturali tradizionali,  investendo, al contempo, in ricerca e innovazione all’interno di una cooperazione che condivide risultati, stimoli e investimenti di ognuno per il progresso della collettività. Quegli stessi valori indispensabili per ottenere la prestigiosa nomina”.

“È un onore – conclude Zenato – presiedere un’Associazione che conta ben tre Cavalieri del Lavoro. Oltre a Marilisa Allegrini, negli anni passati sono stati insigniti del Cavalierato anche Maria Cristina Loredan Rizzardi e Sandro Boscaini”.

“Siamo cinque donne nell’azienda di famiglia ed è un segnale – dichiara Marilisa Allegrini – credo più che mai nel concetto di sharing e questo è stato il motivo per cui ho sostenuto la nascita dell’Associazione Le Famiglie Storiche e credo ancora molto nel suo significato e nel suo ruolo di stimolo per tutto il nostro territorio”.

“Naturalmente, aver ricevuto questa onorificenza dal Presidente Mattarella mi rende onorata e orgogliosa. Penso che nella mia nomina si sia inteso riconoscere anche l’alto valore aggiunto dello sguardo imprenditoriale femminile, che ha rappresentato tanta parte del successo del Made in Italy nel mondo”.

Non ho smesso mai di narrare, ovunque mi trovassi, che il vino è un’attività e una passione che si sposa perfettamente, armonicamente direi, con l’arte, la cultura, la storia, la bellezza del paesaggio – continua Allegrini – e che costituisce un grande medium trasversale capace di unire popoli, tradizioni e pensieri differenti.

Oggi, nella fase emergenziale che stiamo vivendo, piena di timori e di complessità, i Cavalieri del Lavoro devono cavalcare l’ottimismo della rinascita e appunto unire ciò che rischia di essere diviso e frammentato”.

Sandro Boscaini, presidente di Masi Agricola e primo presidente dell’Associazione Famiglie storiche, è stato invece nominato Cavaliere del Lavoro nel 2016.

“Personalmente – dichiara – ne ho ricevuti altri di grande prestigio ma devo dire che questo riconoscimento mi è particolarmente caro perché non è solo un omaggio a quanto ho fatto in questi anni di lunga carriera, alla mia famiglia e ai traguardi raggiunti da Masi, ma rappresenta una onorificenza che assume una forma più ampia”.

“Vuole essere infatti un tributo al nostro Amarone, alla nostra Valpolicella e più in generale a tutto il Veneto, ai suoi valori nei quali la nostra gente si riconosce; a tutti coloro che si sono imposti in maniera determinata e determinante nel ruolo di traino dell’enologia italiana”.

“Quello che ho cercato di fare, non da solo ma assieme ai pochi pionieri del nostro vino, è stato dare una veste di serietà e pregio ai vini italiani, nel mio caso soprattutto all’Amarone, a lungo considerato vino poco equilibrato, pesante e un po’ rustico. Ho lavorato per dargli un’identità e uno stile, senza snaturarne la precisa territorialità e rendendo note a livello internazionale le sue tante ragioni di superiorità”.

È stata un’altra donna dell’Associazione, la contessa Maria Cristina Loredan Rizzardi (nella foto) all’epoca alla guida della Guerrieri Rizzardi, a ricevere l’encomio nel 2010, prima donna veronese e unica donna imprenditrice del settore enologico.

“Già all’inizio degli anni ‘80 – sottolinea Giuseppe Rizzardi, attuale vicepresidente de Le Famiglie Storiche – mia madre ha avuto l’intuizione di produrre il vino con l’identificazione del vigneto da cui provenivano le uve, una carta di identità qualitativamente ineccepibile”.

“Ha perseguito in modo rigoroso un lavoro mirato alla cura della vigna, della cantina e al benessere dei collaboratori – conclude Rizzardi – intuendo anche l’importanza dello sviluppo dei mercati esteri e dello stile aziendale nei rapporti con gli importatori stranieri”.

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“Terregiunte”, bufera Facebook a Roma: Rimessa Roscioli si scusa con Vespa e Masi

ROMA – Continua a far parlare di sé il Vino d’Italia “Terregiunte” del duo Vespa – Masi, già al centro di polemiche la scorsa estate, per l’abuso nell’utilizzo delle parole “Amarone” e “Primitivo di Manduria”. Rimessa Roscioli, nota enoteca-ristorante di Roma, è intervenuta sulla propria pagina Facebook per scusarsi con il giornalista Rai e con Sandro Boscaini – patron della cantina della Valpolicella – in seguito ai toni usati in un post da un collaboratore. Un exploit social degno dell’ormai nota guerriglia tra “vini naturali” e “vini convenzionali“.

Vespa e Masi, così come il vino “Terregiunte”, non vengono mai nominati nel post firmato “Lo Staff della Rimessa Roscioli” e neppure da Alessandro e Pierluigi Roscioli, nei commenti. Altra ipotesi è che il vino finito nel bersaglio sia il Rosso dei Vespa, prodotto dalla sola casa pugliese.

Il primo a puntare il dito sul collaboratore del locale è stato infatti il direttore commerciale di Vespa Vignaioli per Passione.

“Salve a tutti – si legge sulla pagina Facebook dell’enoteca-ristorante – questo breve messaggio per dire che la Rimessa Roscioli ufficialmente si dissocia da qualsiasi commento, post, che non venga dei suoi canali ufficiali (Facebook, Instagram, newsletter e altro)”.

Commenti personali in altre chat o canali non riguardano la Rimessa Roscioli e tantomeno il nome Roscioli in generale. Se qualcuno si è sentito offeso per qualche post pubblicato dai nostri collaboratori nelle loro pagine personali (post prontamente rimosso), ci dispiace. Crediamo nella libertà di espressione, ma anche nel rispetto del lavoro degli altri“.

“Siamo un’enoteca ristorante – continua il post – non siamo in trincea o in una barricata. Non pensiamo di cambiare il mondo con il nostro lavoro. Come dice giustamente Alessandro Roscioli: ‘In fondo parliamo di vino e salsicce'”.

Forse qualcuno non si rende conto, quando scrive (e quando legge), che non c’è più distinzione tra le etichette, i brand, le cose e le persone, e insultare un brand o una cosa (bottiglia di vino ad esempio), significa oggi insultare una persona“.

“Se qualcuno si è sentito offeso per qualcosa fatta o detta da un nostro collaboratore ci dispiace, da un semplice ed umile piano umano. Su questa pagina non è mai stato pubblicato, e mai lo sarà, un post denigratorio del lavoro di qualcun altro”, continua Roscioli.

Non solo per una questione di rispetto del lavoro altrui, ma anche perché non fa proprio parte della nostra cifra e soprattutto per il rispetto della Famiglia Roscioli, che è sempre stata estremamente accondiscendente e disponibile al netto dei tanti errori da noi commessi, il più delle volte in buona fede”.

“A tutti chiedo di farsi una buona bevuta per dimenticare, ciascuno con il vino che più lo aggrada e soddisfa. Salute, Lo Staff della Rimessa Roscioli“. Un messaggio chiaro e distensivo, che si inserisce in un contesto ben preciso: quello dei toni esasperati, violenti e offensivi utilizzati da meno di una decina di “ultras” del vino naturale, su Facebook. L’ultimo capitolo di una saga giunta finalmente all’epilogo? Bello poterci sperare.

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Terregiunte: marcia indietro di Masi e Vespa dopo l’attacco dei Consorzi


Terregiunte
, finalmente, è quello che è: un vino da tavola, come il Tavernello. Il ravvedimento (tardivo, in verità) è degli stessi Bruno Vespa e Sandro Boscaini (Masi Agricola), che hanno eliminato dal sito web ufficiale tutti i riferimenti all’Amarone e al Primitivo di Manduria. Una Docg e una Doc che non potevano essere nominati per fini commerciali.

Ora, sul portale del”Vino d’Italia” Terregiunte, la descrizione parla chiaro: “Blend Costasera Masi 2016 e Raccontami Vespa 2016 dal color rosso rubino profondo. Al naso balsamico con sentori di tabacco, amarena, mirto, prugna con un pizzico di cacao. Al palato la struttura è compatta, progressiva, densa e golosa. Sapido e potente, è caratterizzato da tannini eleganti e setosi. Piacevolissimo il finale con note di ciliegia e marasca”.

Tutto bellissimo, se non fosse che nel can can mediatico generato dopo la presentazione di Terregiunte a Cortina, l’etichetta abbia potuto beneficiare (anche sui media) della notorietà dell’Amarone Docg e del Primitivo di Manduria Doc.

Proprio a causa di questo uso improprio delle due Denominazioni, il Consorzio di Tutela Vini Valpolicella (il territorio dove viene prodotto l’Amarone) e il Consorzio per la Tutela del Primitivo di Manduria si sono schierati duramente contro le scelte di marketing e comunicazione del duo Masi-Vespa.

Resta il fatto che, nel nome di un “Vino d’Italia” nato per essere venduto principalmente in Cina, le due aziende abbiano deciso di declassare un Amarone e un Primitivo di Manduria.

A premiare il “vinaggio” firmato dagli enologi Riccardo Cotarella (per Futura 14 di Bruno Vespa) e Andrea Dal Cin (per Masi Agricola) sarà il mercato, non abbiamo dubbi. L’opinione pubblica, un po’ meno.

E all’appello, ora, mancano solo i commenti ufficiali dei diretti interessati, tra cui il governatore del Veneto, Luca Zaia, e il suo omologo pugliese, Michele Emiliano. Zaia, infatti, ha presenziato personalmente all’evento “Terregiunte” a Cortina. Emiliano si è invece collegato via Skype dal suo ufficio.

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Terregiunte, “comunicazione illegittima”. Lezione del Consorzio alla stampa prostrata


EDITORIALE –
Il Consorzio Tutela vini Valpolicella, con la decisa presa di posizione su Terregiunte – il “Vino d’Italia” pubblicizzato da Bruno Vespa e Masi Agricola, col suo massimo rappresentante Sandro Boscaini, citando Amarone Docg e Primitivo Doc – dà una lezione non solo ai due produttori, ma a tutta la stampa (di settore e non) che si è prestata e prostrata nel “pubblicizzare” un’operazione di marketing ai danni di due Denominazioni del vino italiano.

Non a caso, la Vespa Vignaioli, sulla propria pagina Facebook, nel bieco tentativo di ammantare di legittimità questa porcata, ha pubblicato nei giorni scorsi la vergognosa spataffiata di titoli delle testate che hanno parlato di Terregiunte, così come speravano Vespa e Boscaini.

Coraggiosa doppiamente, dunque, la decisione del Consorzio Vini Valpolicella guidato dal produttore Andrea Sartori. Una stigmatizzazione che, comunque, resta a metà: in attesa che anche il Consorzio di tutela del Primitivo di Manduria segua le orme dei veneti. Ai lettori della stampa italiana, l’operazione Terregiunte offre un motivo in più per scegliere. Chi non leggere più.

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La nuova moda è declassare. Così muoiono le Denominazioni del vino italiano


EDITORIALE –
Declassare uve e terreni è ormai diventata una “moda” in Italia, se non una tentazione incalzante tra i produttori. Un fenomeno che dimostra la crisi delle Denominazioni del vino italiano, che paiono contare sempre meno. Forse perché sono ormai tutto tranne che una garanzia?

In Italia, più che Doc o Docg, sono molti i produttori che virano su vini Igt o persino sul “Vino da tavola”. E non serve poi tanto chiamarlo poeticamente e religiosamente “Terregiunte“, come il “Vino d’Italia” di Vespa-Boscaini & Co, che altro non è che un Tavernello, solo col nome (e gli interpreti) più “fighi”: tanto arditi da usare il nome di una Doc e di una Docg per avvalorare un’operazione biecamente commerciale, più che enologica.

Se da un lato ci sono vignaioli che fanno di tutto per “esaltare il terroir”, e Consorzi come quello del Soave che tentano, attraverso le Unità geografiche aggiuntive, di valorizzare la tipicità dei singoli cru della Denominazione, a girar per vigne e cantine del Bel paese capita spesso di rimaner più colpiti dagli Igt che dai vini Doc o Docg.

Caso eclatante, capitato di recente durante il tour di WineMag.it in Calabria, quello di Cantina Enotria, a Cirò Marina. Igt di altissimo livello: veri, col vitigno nudo e “crudo” al naso e al palato, belli da morire. E i Doc ad uso e consumo del mercato internazionale, abituato a un gusto ormai standardizzato, che tende allo zuccherino.

Non è un caso la crescita esponenziale delle vendite dei vini a Denominazione in un settore come la Grande distribuzione organizzata. Notoriamente, chi è abituato ad acquistare vino al supermercato guarda innanzitutto il prezzo, prediligendo i vini con la “fascetta di Stato” più perché rassicurato sul fronte della contraffazione, che a garanzia di bere un vino di qualità, intesa come “rispetto” del vitigno e della Denominazione (che spesso neppure conosce).

Invece, nel mondo del vino di nicchia, spesso vale l’opposto. Il vignaiolo rinuncia alla Doc (o alla Docg) perché non ha bisogno che un disciplinare gli dica quanta uva raccogliere in quel vigneto: diraderà a priori, fottendosene della scartoffia ministeriale e consortile.

Il vignaiolo bypassa le regole dei Disciplinari perché sa che, nel 90% dei casi, il suo Igt o “Vino da tavola” vale – nel calice – più di quanto qualsiasi sgangherata e politicizzata commissione di degustazione possa sancire, durante gli assaggi dei campioni.

Lo stesso vignaiolo a cui, spesso, non viene riconosciuto il merito della valorizzazione del terroir in cui opera, costringendolo a “rivedere” ciò che è invece il semplice frutto della propria terra: magari non rispettoso dei canoni commerciali imposti dalle Denominazioni, ma veritiero del vitigno e del microclima, senza troppe correzioni enologiche, che spesso hanno tragico “effetto standardizzante“.

Succede poi che Consorzi come quello del Prosecco Superiore di Conegliano Valdobbiadene, diviso secondo indiscrezioni tra il fare “massa critica” con la Doc – unendosi persino sotto l’egida di un solo organismo, che decida della Glera veneta e friulana in maniera collegiale – o “contrastarla” eliminando addirittura la parola “Prosecco” dall’etichetta, ricerchi paradossalmente le ragioni della flessione dei prezzi delle uve (e delle vendite delle bottiglie) nel fenomeno dei vini base Glera non rivendicati.

Una presa di posizione assurda agli occhi di chiunque abbia mai provato un Igt Treviso prodotto sulle colline Unesco (dunque a Valdobbiadene, mica a San Polo di Piave) da gente come Eros Zanon, per citare solo uno che da anni non scende più a “compromessi” con nessuno, tantomeno con la politica. Nes-su-no, chiaro? E non è solo, Zanon.

In un quadro di forte incertezza per il futuro del vino italiano – stretto tra Brexit, Stati Uniti che sono più l’Eldorado di una volta e la concorrenza sempre più pressante del Nuovo Mondo – ci mancava solo il placet politico del governatore del Veneto Luca Zaia e dell’omologo pugliese Michele Emiliano al “Vino d’Italia” di Bruno Vespa e Sandro Boscaini (Masi). Un blend che, se non altro, ha il merito di diagnosticare il momento di panico.

COSA MANCA? UNA PROGRAMMAZIONE SERIA
La Doc Sicilia riduce le rese del Grillo, dopo aver scontentato molte aziende isolane col divieto di produrre vini Igt Terre Siciliane col noto vitigno isolano a bacca bianca e col Nero d’Avola (a ribellarsi sono anche “big” come Duca di Salaparuta, che di fatto continua a produrre Igt, forte di una sentenza europea a proprio favore).

Non va meglio al nord. La Doc Venezie del “fenomeno” Pinot Grigio, il Barolo, il Consorzio Asolo Montello e il Consorzio Tutela Vini Valpolicella guidato Andrea Sartori bloccano gli impianti dei nuovi vigneti per i prossimi tre anni.

Di lì a poche settimane, una delle cantine che meglio rappresenta la storia del vino veneto (Masi Agricola) annuncia di aver sostanzialmente declassato le uve Corvina, Rondinella e Molinara del proprio vino simbolo.

Si tratta di quello che la stessa cantina di Sant’Ambrogio di Valpolicella definiva fino a ieri “gigante gentile che assieme a Barolo e Brunello rappresenta l’aristocrazia dei rossi italiani”, ovvero “Costasera“. La priorità, ora, sembra essere il matrimonio “Nord-Sud” col Primitivo “Raccontami” del giornalista e conduttore tv più “plastico” della storia della Repubblica, Bruno Vespa.

Che il mondo del vino italiano stia andando verso la direzione di una “Doc Italia” è ormai chiaro a tutti. Del resto, il nostro tricolore e quella scritta “Made in Italy” sulle bottiglie (come sui sui capi d’abbigliamento) è una delle poche cose che ancora funziona del nostro Paese.

Una formula, “Made in Italy”, utile come strumento di promozione di un terroir, non di una minestra che rischia di creare ancora più confusione in un mercato già di per sé confuso e fortemente frammentato come quello del vino italiano nel mondo.

E non a caso Vespa promette (alla stampa compiacente) di vendere alla grande “Terregiunte” in Cina, Paese dove potrebbe andare a spiegare, magari assieme al signor Boscaini, le differenze tra Manduria e la Valpolicella, al posto di rovesciare semplicisticamente nello stesso calice una Docg e una Doc distanti tra loro mille chilometri.

LE RESPONSABILITÀ DELLE COMMISSIONI DI DEGUSTAZIONE
Dunque, per favore, abbiate almeno la decenza di non spacciare questa operazione come innovativa e salvifica per l’Italia del vino. Non parlate di “matrimonio” mentre sputtanate l’Amarone.

Non usate il nome di una Docg (col beneplacito delle istituzioni che costituisce l’aggravante, non il salvacondotto) per promuovere un vino che farete pagare come 30 bottiglie di una Glera Treviso Igt molto più rispettosa delle colline di Valdobbiadene (e dell’Unesco) di tanti Docg “fascettati” di zucchero.

E un altro favore, mica a me, ma al mondo del vino italiano: date un taglio alle commissioni tecniche di degustazione delle Denominazioni. Mica un taglio, inteso come “taglio”, “zac”, “tutti a casa”.

Intendo un taglio “commerciale”: fate andare a degustare i buyer (che so? Quelli della Gdo internazionale), assieme agli agronomi ed enologi nostrani, in imbarazzo a bocciare i vini dei colleghi al soldo degli imbottigliatori (etichette che poi finiscono al Lidl, con tanto di fascetta di Stato e sputtanamento della Denominazione, a 1,60 euro).

Ditelo chiaro e tondo che, in quel contesto, passano l’esame i vini destinati a un mercato di massa, o tutt’al più all’estero. Solo così si tornerò a dare centralità ai vitigni. A chi li rispetta per davvero. E a chi avrebbe voglia di vedere la Denominazione sulla propria bottiglia, al posto di rifugiarsi nell’Igt, perché nel proprio territorio crede davvero. Al di là del Dio Denaro.

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“Terregiunte” by Vespa e Masi: un modo “figo” per chiamare un Tavernello


EDITORIALE –
Nasce “Terregiunte“, il “vino d’Italia” che sancisce il matrimonio tra Bruno Vespa e il patron di Masi Agricola, Sandro Boscaini. Un modo “figo” per chiamare una tipologia di vino che già esiste, in Italia: il “vino d’Italia”, la cui immagine più fulgida è costituita dal Tavernello.

“Terregiunte” è infatti il blend tra le uve Primitivo (di Manduria) e quelle tipiche del re dei vini rossi del Veneto, per lo più Corvina e Corvinone. Vendemmia 2016. Tredicimila bottiglie, sul mercato a partire da novembre. “Era una mia vecchia idea” spiega Vespa, che ieri ha riunito stampa e politici all’Hotel Cristallo di Cortina d’Ampezzo.

Tra gli altri, è intervenuto il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia. Collegato via Skype il suo omologo pugliese, Michele Emiliano. Non poteva mancare l’enologo Riccardo Cotarella, firma e “prevosto” di questo “matrimonio enologico tra Nord e Sud Italia”.

“Terregiunte – precisa Bruno Vespa – è un ‘nuovo Vino’, un blend, miscela di due o più uve per ottenere un taglio unico: di Primitivo, vino dallo spiccato carattere mediterraneo, e Amarone”.

Quella di Vespa e Masi Agricola è tutto tranne che una novità. Il riferimento non è a quella clamorosa gaffe di Contri Spumanti, colosso veneto che fino al 2016 presentava sul proprio sito web un’etichetta – il Primitivo di Manduria Doc “Contessa Carola” – dichiarando sulla scheda tecnica di aver utilizzato la Corvina.

Bensì al più noto, quanto bistrattato, “vino d’Italia”: il Tavernello. Caviro, l’azienda che lo produce nel famigerato Tetra Pak, ma anche in bottiglia, lo ottiene “blendando” di anno in anno le uve prodotte dai soci di tutto il paese, dalle regioni del nord a quelle del sud. Ottenendo, grazie anche all’abilità degli enologi, un prodotto uguale di anno in anno. Di vendemmia, in vendemmia.

IL SILENZIO DELLE ISTITUZIONI
Potrà non piacere il paragone tra “Terregiunte” e il Tavernello, ma tant’è. E fa specie che politica e istituzioni del vino non intervengano, anzi avallino questo progetto di marketing di due privati, che si fregiano dell’utilizzo della parola “Amarone” per promuovere un prodotto che non è Doc, non è Docg e non è un Igt. È un Tavernello. Solo più figo.

Infine, diciamocelo. Questo vino, nato dall’improvviso (ma mica tanto, cisternamente parlando) amore tra il Veneto e la Puglia, è anche colpa vostra. Di voi critici enogastronomici, che bandite il Sagrantino di Montefalco come “imbevibile” e “troppo tannico”, gioendo alle versioni detanninizzate, morbide come la gommapiuma a 6 mesi dall’imbottigliamento.

E’ colpa di chi chiede “l’Amarone pronto subito“, perché così “fresco e beverino”. Un po’ come è colpa di chi si è “stancato di aspettare 10 anni un Barolo”. Bevete questo, allora. Bevete il “blend d’Italia”. O le etichette di Caviro, enologicamente perfette e senza gli inutili, poetici fronzoli di “Terregiunte”. Cin, cin.

[URIS id=37342]

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Vinitaly: la filiera del vino italiana compatta per identificare le migliori strategie di crescita

Verona – Anche quest’anno Vinitaly ha ospitato l’intera filiera italiana del vino nell’importante convegno “Investire nel vino: strategie, prospettive, opportunità” che ha visto la partecipazione del Presidente del Consiglio dei ministri Paolo Gentiloni e del Vice Ministro delle politiche Agricole Alimentari e Forestali Andrea Olivero.

Il tavolo di lavoro, tenutosi nell’auditorium ‘Verdi’ del centro congressi PalaExpo e moderato dalla giornalista RAI Chiara Giallonardo, è stato aperto dal Presidente di Veronafiere Maurizio Danese e ha visto i vertici istituzionali del settore confrontarsi sulle strategie e le politiche da adottare per migliorare la competitività del comparto. Presenti: Massimiliano Giansanti – Presidente Confagricoltura; Dino Scanavino – Presidente Cia-Agricoltori Italiani; Ruenza Santandrea – Coordinatrice settore vitivinicolo Alleanza cooperative Agroalimentari; Ernesto Abbona – Presidente Unione Italiana Vini; Sandro Boscaini – Presidente Federvini; Riccardo Ricci Curbastro – Presidente Federdoc; Emilio Renato Defilippi – Vice Presidente Assoenologi.

Innovazione, competitività e promozione sui mercati esteri i temi centrali del convegno, durante il quale è stata ribadita la necessità sia di investire in tecnologie per lo sviluppo del settore, semplificandone le procedure, sia di valorizzare il vino italiano all’estero con strategie promozionali strutturate che valorizzino la cultura del made in Italy e del bere responsabile. L’accento è stato posto anche sulla necessità di continuare a lavorare uniti, in collaborazione con le Istituzioni, per contesti normativi efficienti e vicini alle esigenze produttive del comparto.

Ad aprire il dibattito Massimiliano Giansanti, Presidente Confagricoltura che ha sottolineato che “l’innovazione rappresenta un elemento fondamentale per competere nei mercati globali ed il vino è fra i settori che meglio hanno recepito l’urgenza di cogliere le continue sfide per soddisfare le esigenze dei consumatori. Innovazione e vitivinicoltura sono un connubio oramai imprescindibile. Le aziende del settore rispondono attivamente agli stimoli proposti dalle moderne tecnologie, ma occorre sostenere il loro lavoro con contesti normativi efficienti e le opportune semplificazioni amministrative.”

“Le misure di mercato che la politica agricola comune prevede per il settore vitivinicolo costituiscono spesso un fattore di successo per il vino Made in Italy. Ha aggiunto Dino Scanavino, Presidente Cia. Strumenti strategici per la competitività del comparto attraverso cui le imprese possono sostenere investimenti, promuovere all’estero i loro prodotti e valorizzare la componente sostenibile e paesaggistica del vino. Un’esperienza, quella dell’OCM vino, importante e vincente che va difesa e rafforzata nella prossima riforma della Pac anche attraverso interventi di sostegno all’innovazione lungo la filiera, senza trascurare la necessità di un’attenta ed efficace politica di semplificazione del settore”.

“Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un cambiamento nel modo di produrre vino – ha evidenziato la coordinatrice Vino dell’Alleanza cooperative Agroalimentari Ruenza Santandrea – con l’adozione di tecniche sempre più sostenibili per trovare un nuovo equilibrio tra produzione agricola e ambiente e provare a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici. Si contano numerose iniziative messe in campo da aziende vitivinicole in tutta Italia volte ad un minor utilizzo di acqua e fertilizzanti o a percorsi virtuosi per evitare scarti che vengono reimpiegati al termine del processo produttivo”.

“Ma tutti questi sforzi da soli non bastano, senza la ricerca, – ha continuato Santandrea – una ricerca scientifica diffusa e condivisa, che guardi agli interessi della viticoltura tutta e che sia in grado di trasferire in soluzioni concrete ed efficaci i propri risultati. Ostacolare o rifiutare la ricerca e il progresso scientifico, in nome di una tradizione intoccabile, può diventare una moda pericolosa ed è un rischio che non possiamo permetterci”.

A mettere l’accento sull’importanza di diffondere una corretta cultura del vino italiano all’estero Ernesto Abbona, Presidente Unione Italiana Vini. “Da sempre, il vino riveste un ruolo centrale nella storia del nostro Paese: questo ne descrive, attraverso le sue infinite declinazioni, le peculiarità del territorio e del paesaggio. Infatti, il vino e la “cultura” di cui lo stesso può godere rispecchiano il nostro Paese in maniera totale”.

“Come filiera – ha aggiunto il Presidente di UIV – abbiamo il dovere di un impegno proattivo sulle tematiche relative al consumo responsabile, l’obbligo di contrastare la demonizzazione del vino, dato che le singole iniziative nazionali potrebbero portare ad una escalation di nuovi leggi proibizionistiche e misure sanzionatorie in tutta Europa, e, in particolare, nei principali mercati ove sono destinate le nostre esportazioni, danneggiando l’immagine del nostro prodotto”.

“Concentriamo le nostre energie sul valore del nostro prodotto anche nei mercati internazionali, cogliamo tutte le opportunità per migliorare il sistema di promozione dei nostri vini, evitiamo gli errori del recente passato” – ha commentato Sandro Boscaini, Presidente Federvini. “Dobbiamo come produttori, tutti, fare uno sforzo importante per concentrare l’attenzione sul valore dei nostri territori, delle produzioni vitivinicole e dei nostri prodotti. Appare necessario avere tutti lo stesso programma e gli stessi obiettivi”.

L’invito a mantenersi compatti e a collaborare con le Istituzioni è arrivato anche dal Presidente Federdoc, Riccardo Ricci Curbastro . “Promuovere e tutelare i nostri vini a Denominazione, che sono un patrimonio collettivo apprezzato in tutto il mondo, è fra i nostri principali compiti, ma abbiamo bisogno di strumenti idonei a supporto da parte delle Istituzioni per farli crescere sui principali mercati target e per proteggerli dalle usurpazioni e dalle contraffazioni che avvengono, proprio sui mercati più strategici”.

Un monito all’eccessiva burocrazia e un auspicio alla semplificazione delle procedure sono stati infine lanciati da Emilio Renato Defilippi, Vice Presidente Assoenologi. “Occorre attuare delle azioni di alleggerimento burocratico nell’ambito del lavoro dell’enologo, attese dall’intero settore anche alla luce del prezioso lavoro svolto nell’approvazione del Testo unico del vino”.

“Chiediamo – continua – un serio impegno nella semplificazione del settore. Dell’ambiente vitivinicolo – sottolinea Defilippi – abbiamo una visione di un settore da controllare, frutto di trascorsi negativi che la storia e l’evoluzione qualitativa dei nostri prodotti hanno oggettivamente superato, occorre quindi un cambio di prospettive dove la professionalità dei tecnici e l’etica imprenditoriale siano il reale riferimento fiduciario dei consumatori”.

“Chiediamo – conclude il Vice Presidente di Assoenologi – che ci venga riconosciuto anche a livello legislativo il ruolo di garante e di responsabile di produzione, al pari della fiducia che molti imprenditori ci riconoscono per la programmazione dei loro investimenti”.

Sono inoltre intervenuti nel dibattito i rappresentanti delle Istituzioni europee Joao Onofre, Capo unità vino, DG Agricoltura e Sviluppo Rurale, Commissione Europea; Felice Assenza, Direttore Generale Politiche Internazionali e Unione Europea – Mipaaf. e l’On. Paolo De Castro Vice Presidente Commissione Agricoltura – Parlamento Europeo, che hanno ribadito l’impegno a livello nazionale e comunitario per sostenere il settore nelle sue richieste.

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Vintegra: accordo Assoenologi Federvino per la sharing economy

Assoenologi e Federvini, nell’ambito dell’accordo “Vino Patrimonio Comune”, danno vita a VINTEGRA, un sistema specializzato e garantito di servizi integrati basato sui principi dell’economia della condivisione e dell’accesso anziché della proprietà, con l’obiettivo di ottimizzare gli investimenti delle imprese per le loro necessità tecniche.

“Vogliamo applicare i principi della sharing economy all’interno della filiera vitivinicola – afferma Riccardo Cotarella, presidente Assoenologi – mettendo a sistema la professionalità dell’Enologo. Questo vuol dire avere la possibilità di portare a fattor comune competenze e tecniche per parlare al mondo con un’unica voce di eccellenza e qualità”.

“L’esigenza di un coordinamento è sempre più urgente – dichiara Sandro Boscaini, presidente di Federvini – partendo dalla necessità di avere una qualità reale e percepita sempre più alta ed uniforme: ogni singolo prodotto è oggi ambasciatore del ‘saper fare’ italiano e quindi deve poter attingere da una rete di competenze tecniche, culturali e promozionali che devono diventare patrimonio comune”.

Si partirà, quindi, nel 2018 con la individuazione di laboratori qualificati da Assoenologi e Federvini, “dotati di strutture di alto livello per collaborare al miglioramento dei prodotti e dei processi”.

“La variazione in atto nelle condizioni climatiche e la velocità con cui cambiano gli stili di vita e gli approcci al consumo – evidenzia Assoenologi – oltre alla maggiore importanza che acquisiscono i nuovi mercati, rendono necessario e urgente il contributo della ricerca e la conseguente implementazione sia in vigneto sia in cantina che nella comunicazione nei mercati”. Con questi temi si confronterà nell’immediato e a medio termine il progetto VINTEGRA.


Federvini – Federazione Italiana Industriali Produttori, Esportatori ed Importatori di Vini, Vini Spumanti, Aperitivi, Acquaviti, Liquori, Sciroppi, Aceti ed Affini – nasce nel 1917, aderisce a Federalimentare e Confindustria, ha un’ampissima rappresentanza dei produttori di vini, liquori, acquaviti e aceti e di Aceto Balsamico di Modena IGP. Scopi della Federazione sono la tutela degli interessi e l’assistenza della categoria in tutte le sedi istituzionali, nazionali, comunitarie ed internazionali.

Assoenologi – Associazione Enologi Enotecnici Italiani, organizzazione nazionale di categoria dei tecnici vitivinicoli, è stata fondata nel 1891, ed è stata riconosciuta dall’Union Inter-nationale des Oenologues l’Associazione di categoria più antica, più numerosa e meglio organizzata a livello mondiale. Scopi dell’Associazione la tutela professionale dell’enologo e dell’enotecnico sotto il profilo etico, giuridico ed economico, nonché promuovere l’aggiornamento tecnico e culturale dei propri associati.

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